venerdì 2 marzo 2018

30 Sante Messe consecutive! e

Il Valore infinito di Una Santa Messa


1. Ogni Messa, in quanto perpetuazione del sacrificio di Cristo, ha un valore infinito.
San Tommaso in maniera categorica afferma che tanto vale la Messa quanto il sacrificio della croce.


2. Tuttavia sebbene il sacrificio della croce abbia di per se stesso un valore infinito, noi ne attingiamo sempre un frutto “finito”, "limitato”.
Tutto dipende dalla nostra capacità di aprirci a questo tesoro immenso.
Prova lampante è il fatto, pur compiuto il sacrificio di Cristo, ognuno di noi rimane quello che è. Abbiamo un deposito di valore immenso accanto alla nostra vita, ma la santità dipende dalla nostra personale partecipazione a questo sacrificio.
Lo stesso discorso vale anche per la Messa.
Una sola Messa sarebbe sufficiente per santificarci interamente. Ma questo non avviene. Non certo perché il sacrificio della Messa abbia scarsa potenza, ma perché noi non la tesaurizziamo.
È un discorso simile a quello dell’energia solare. È immensa di per se stessa. Ma noi ne prendiamo tanta quanta siamo disposti a riceverla.


3. Per questo tutti i teologi dicono che l’effetto della Messa ricevuto dai fedeli è limitato.
La conclusione allora è semplice: più si partecipa alla Messa (non solo con la presenza materiale, ma soprattutto con la partecipazione all’immolazione di Cristo), più grande è l’effetto che si riceve.


4. L’offerta data dai fedeli per la celebrazione della Messa è una piccola partecipazione materiale al sacrifici di Cristo.
Tirando fuori di tasca propria una certa somma (per quanto piccola), l’offerente si unisce al sacrificio di Cristo con un sacrificio personale.
È chiaro allora che – stando solo a questo aspetto – ci si unisce maggiormente con una celebrazione singola che con una celebrazione alla quale ci si congiunge in maniera molto debole, per il suddividersi dell’offerta in una serie di celebrazioni.


5. Tuttavia vi sono anche altri aspetti da tenere presente: quelli della devozione e del fervore personale. 
Sapere che ogni giorno viene celebrata una Messa perpetua in un determinato Santuario in suffragio di coloro che si sono iscritti, crea una specie di legame con un luogo di devozione, ravviva la fede e l’unione quotidiana con il sacrificio di Cristo e con le anime dei defunti. E sotto questo aspetto l’iscrizione a queste Messe è certamente meritorio.


6. Pertanto non è possibile dire quale tipo di celebrazione produca maggiore frutto. La cosa è conosciuta solo da Dio. 
Pertanto il mio consiglio è questo: hai fatto bene a iscrivere alcune persone alle Messe perpetue che si celebrano a Loreto e fai bene di quando in quando a farne celebrare anche singolarmente, specie negli anniversari o altre date particolarmente care.


7. È cosa buona fare celebrare delle Messe non solo per i defunti ma anche per i vivi, in particolare per la conversione di determinate persone.
Ti rispondo oggi 31 luglio, memoria di S. Ignazio di Loyola. Si legge di questo santo che non solo celebrava delle Messe per le sue intenzione, ma chiedeva ai suoi confratelli di celebrare Messe per le sue intenzioni.


8. Non è necessario essere presenti materialmente. Ma la presenza materiale aumenta il grado di partecipazione al sacrificio di Cristo. E se non si può essere presenti materialmente, si cercherà di esserlo con il pensiero, con la preghiera, con il raccoglimento.


Le Sante Messe Gregoriane



1. Sono chiamate “Gregoriane” le Messe celebrate per trenta giorni consecutivi in suffragio di un defunto.
La pia pratica ebbe inizio con S. Gregorio Magno, papa, il quale nei suoi dialoghi (IV,55) narra dell’ordine che, in quanto Abate del Monastero, aveva dato al Priore Prezioso perché fosse celebrata la Messa per 30 giorni consecutivi in suffragio dell’anima del monaco Giusto, circa il quale si erano riscontare irregolarità circa la povertà monastica, al punto da essere sepolto fuori dal cimitero dei monaci.
Dopo la celebrazione delle Trenta Messe per trenta giorni consecutivi, San Gregorio vide l’anima del monaco Giusto entrare in Paradiso.
L’autorevolezza di San Gregorio Magno, Papa e uno dei quattro grandi dottori della Chiesa occidentale, ha dato credito a questa pratica, che ben presto si è diffusa nei monasteri e anche presso il popolo cristiano col nome di Messe gregoriane.

2. Ecco la narrazione precisa di San Gregorio: “Erano ormai passati trenta giorni dalla morte di Giusto (un monaco confratello di Gregorio) e io cominciai ad avere compassione di lui (..) e mi chiedevo se vi fosse qualche mezzo per liberarlo. Allora, chiamato il priore del nostro monastero, Prezioso, accorato gli dissi: "Da tanto tempo, ormai, quel nostro fratello morto è nel tormento del fuoco. Gli dobbiamo un atto di carità". (..) "Va', dunque, e da oggi, per trenta giorni consecutivi, abbi cura di offrire per lui il Santo Sacrificio" (Dialoghi IV, 57, 14)”. 

3. Le 30 Messe gregoriane devono essere celebrate per 30 giorni consecutivi per un solo identico defunto (Sacra Congregazione delle indulgenze, 25 Agosto 1888).
Gli ultimi tre giorni della settimana santa (nei quali non si può celebrare la Messa per un defunto in particolare) non costituiscono interruzione.
Non è necessario che venga celebrata sempre dal medesimo sacerdote. Ma se per negligenza si salta qualche giorno, si deve iniziare da capo o diversamente si restituisce l’offerta, che in genere, comportando un particolare onere per il celebrante, è più grande. 
Un documento della Chiesa dal titolo “Tricenario gregoriano” del 24.2.1967 ha disposto che “la serie delle trenta messe gregoriane, anche se viene interrotta per un improvviso impedimento (per es. una malattia) o per altra ragionevole causa (per es. celebrazione di una messa funebre o di un matrimonio), per disposizione della Chiesa conserva integri i suoi frutti di suffragio, che la prassi della Chiesa e la pietà dei fedeli le hanno finora riconosciuto.
Resta tuttavia l'obbligo per il sacerdote celebrante di completare quanto prima la celebrazione delle trenta messe”.

4. Poiché la celebrazione per un solo fedele comporta un particolare onere per il celebrante, è più consistente anche l’elemosina richiesta.
E con quest’offerta più consistente ci si unisce con un sacrificio maggiore al sacrificio di Cristo.
San Tommaso considera anche che i poveri non hanno la disponibilità dei ricchi per far celebrare Messe. Ma osserva che la loro offerta, sebbene quantitativamente inferiore a quella data dai ricchi, ha un valore più grande perché si unisce al sacrifico di Cristo con un maggiore sacrificio personale.

5. Mi piace anche dire con san Tommaso che “il suffragio può essere considerato come opera meritoria della vita eterna in quanto deriva dalla carità.
E sotto questo aspetto l’opera soddisfattoria giova non solo a colui al quale è destinata, ma molto di più a chi la compie” (Somma Teologica, Supplemento 71, 5).

6. Pertanto anche tu, se fai celebrare delle Messe per i defunti, puoi sperare molto anche per te.


AMDG et DVM

Tardi


Troppo Tardi
C'era una volta un ragazzo nato con una grave malattia, di cui non si conosceva la cura e che poteva morire in qualsiasi momento... Visse sempre in casa sua, con l'assistenza di sua madre ma a 17 anni, decise di uscire almeno una volta... Girando emozionato per il suo quartiere vide dalla vetrina di un negozio di musica una tenera ragazza della sua età che faceva la commessa. Amore a prima vista. entrò e senza vedere nient'altro che la ragazza, le si avvicinò. "Posso aiutarti?" gli chiese lei sorridendo! Era il sorriso più bello che lui avesse mai visto nella sua vita e sentì il desiderio di baciarla. Balbettando le disse: "Si, eeehhhmmm, uuuhhh...mi piacerebbe .... un CD". E prese il primo che vide . "Vuoi che te lo impacchetti?" Chiese la ragazza sorridendo di nuovo. Muto, annuì! Lei andò nel magazzino, tornò con il pacchetto e glielo consegnò. Lui lo prese ed uscì di corsa, quasi scappando. Da quel giorno, andò al negozio ogni giorno. Comprava un cd, lasciava che la ragazza facesse il pacchetto e se ne tornava a casa. Era molto timido e non riusciva a chiederle un appuntamento. Ma sua madre lo spronò , e così il giorno seguente si armò di coraggio e si diresse al negozio. Come tutti i giorni comprò un cd e come sempre lei andò nel retro a fargli una confezione. Il ragazzo allora posò sul bancone un biglietto con il numero di telefono e uscì di corsa dal negozio. A casa si mise ad aspettare. Il giorno dopo il telefono squillò e sua madre andò a rispondere Era la ragazza che chiese di parlare col figlio; la madre cominciò a piangere mentre diceva: "..è morto questa notte”. Il cuore del ragazzo non aveva retto alla delusione di non aver ricevuto la chiamata della ragazza. Più tardi la madre entrò nella stanza del figlio e con dolcezza si mise a guardare tra le sue cose. Aprendo l'armadio sorpresa si trovò di fronte un mucchio di pacchetti. Incuriosita ne prese uno e mentre lo apriva per vedere cosa c’era dentro, ne usci un biglietto . C’era scritto: "Ciao!!! Sei bellissimo! Ti andrebbe di uscire con me?? TVB... Sofia." Scioccata li aprì tutti e in tutti trovò un bigliettino che diceva la stessa cosa
Morale:
Questa è la vita, non aspettare troppo per dire a qualcuno di speciale
quello che senti. Dillo oggi stesso. Domani potrebbe essere troppo
tardi. Con l'amore tutto è possibile.

Pericolosissima scheletrizzazione! - E MAI i cristiani sono stati ignoranti COSI' come oggi. Popolo allo sbando con Pastori per lo più mercenari che “credono solo a ciò che vedono... avendo Fede in loro stessi e quindi è ben poca e misera Fede. Quanti saranno gli ELETTI? Pochi... saranno pochi. Ma con quei pochi rinnoverò il Mondo, riportandolo all'inizio di come lo avevo creato. Quei pochi coglieranno nel cuore la "Primavera del Mondo”, come l'accolsero in pochi accanto a Gesù e a Maria"

IL LATINO E LA CRISTIANITA'
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 3 - Marzo 2018


  Quando iniziò la nostra storia eravamo conosciuti come “quelli della messa in latino” e ancora oggi chi vuole esprimersi sbrigativamente dice così.

  A noi questa espressione non è mai piaciuta, perché affrettatamente riduttiva di tutta una visione non solo della liturgia, ma di tutta la vita cristiana, concepita secondo la grande Tradizione della Chiesa.

  Siamo stati sempre coscienti, inoltre, delle difficoltà provocate ai fedeli dall'uso del latino, difficoltà di ordine pratico e psicologico, essendo questi abituati da troppi anni all'uso dell’italiano nella messa; e non ci è mai piaciuto mettere in difficoltà, siamo pastori e non abbiamo mai giocato.

  Allora perché ostinarsi con il latino?

  Innanzitutto, l'abbiamo sempre detto, perché siamo per la salvaguardia del rito bimillenario della Santa Messa della Chiesa di Roma; la nuova messa non ne è la traduzione in lingua comprensibile, ma una spaventosa “scheletrizzazione”, operata per avvicinarci pericolosamente al modo protestante di concepire la preghiera, specialmente nella forma anglicana. Risultato: il popolo cattolico è praticamente omologato ai fratelli separati, ha cambiato fede.

  Per questo reagiamo contro questa distruzione della fede cattolica con l'unica possibilità che la Chiesa ci offre nella sua legislazione, restare alla Messa “di prima”, di prima del disastro.

  Detto questo è vero che insistiamo con il latino, usandolo anche nella proclamazione dell'Epistola e del Vangelo, anche se avremmo facoltà di leggerle solo in italiano. Le ragioni sono diverse, non ultima è che il latino è stato la lingua della Cristianità, cioè della realizzazione della società cristiana in occidente; ed è sicuramente questo il motivo principale per cui è stato praticamente abolito, se si esclude qualche suo folkloristico uso a Roma e altrove.

  Il progetto dei rivoluzionari, che si sono impossessati del Concilio e della sua attuazione violenta nel post-Concilio, era quello di segnare un nuovo inizio della Chiesa, un “anno zero”, in cui finalmente il Cristianesimo si sarebbe liberato da tutte le ambiguità del passato, prima tra tutte la commistione col potere. E qual era, secondo i novelli apostoli del cristianesimo puro, l'inizio del male? L'epoca Costantiniana, la conversione dell'Impero Romano al Cristianesimo. E che cosa c'è che ricorda più di tutto, dal punto di vista pratico esterno, l'unione tra Impero e fede cattolica? Non c'è dubbio, l'uso del latino.

  È nell'uso del latino che anche un semplice fedele intuisce che la Chiesa cattolica sia l'erede dell'Impero Romano. L'uso del latino intuitivamente richiama che la società divenuta cristiana è nient'altro che la realizzazione pratica, pur sempre perfettibile, del Vangelo di Cristo. È nell'uso del latino che senti come la cristianizzazione della società operatasi nel Medioevo costituisca il vertice dell'opera cattolica di trasformazione del mondo per la salvezza delle anime...

 ... ma loro non volevano più tutto questo. I rivoluzionari avevano deciso che la Chiesa dovesse sbarazzarsi del passato che, a loro meschino giudizio, aveva falsificato l'opera di Cristo.

  Per questo, per loro, il Concilio e il post-Concilio divennero la più sconvolgente e brutale operazione per abolire duemila anni di Cristianesimo, e ritornare a un mitico “Gesù puro”, al Gesù senza la sua Cristianità: fu la velenosa illusione di tutte le eresie, anche di quella di Lutero, che in fondo sono semplicemente degli spiritualismi satanici.

  Un Cristo senza la sua Cristianità, ridotto a predicatore morale; un Cristo senza la sua Chiesa e la sua storia, la storia della cristianizzazione del mondo, la storia della società cristiana, degli stati e delle nazioni cristiane, che hanno prodotto una civiltà che ha aiutato la salvezza delle anime.
  Un Cristo senza il corpo! Senza il suo corpo!
  No, loro non volevano più tutto questo, pensando che le persone sarebbero state in piedi da sole, dentro un mondo libero di tradire Cristo e la verità.
  Hanno rifiutato il lavoro paziente di secoli, che aveva nel latino il suo segno esterno più evidente... e hanno dovuto cambiare la Messa!

  La scusa era la comprensione dei fedeli... e loro sapevano di mentire.

  Altro che comprensione dei fedeli! Mai i cristiani sono stati ignoranti come oggi. Andate nelle scuole, girate per le strade, parlate con la gente, la nostra gente: non sa nemmeno più che Dio è Trinità.

  Ma di tutto questo parleremo un'altra volta; intanto chiediamo fedeltà nella salvaguardia della Messa di sempre, la Messa latina, chiedendoci una rinnovato vigore nel divenirne missionari, ciascuno secondo la propria vocazione: invitiamo, facciamola conoscere e amare, per fare amare la storia di tutta la Cristianità.

  O sancte Joseph, protector noster, ora pro nobis.

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LINEE PER UNA SOLUZIONE DEL PROBLEMA

BIVIO DRAMMATICO

IL COMPITO CHE CI ATTENDE
Editoriale di "Radicati nella fede" - Anno XI n° 2 - Febbraio 2018

 La protestantizzazione del Cattolicesimo è veramente il disastro più grande che poteva capitare, è opera del maligno che vuole annullare l'azione di Cristo nella vita degli uomini.

  Se è tristissimo vedere come da più parti, troppe parti, non si perda occasione per inneggiare a Lutero anche in casa cattolica; se è penoso dover constatare che, con una superbia pari solo all'ignoranza, troppi pastori con le loro diocesi si affrettano a riabilitare Lutero, quasi che per quattro secoli nessuno avesse colto il nocciolo della questione; se è vergognoso vedere come, con un colpo di spugna, si possa cancellare il lavoro dei santi della riforma cattolica, che hanno smascherato gli inganni dell'eresia di Martin Lutero e dei suoi seguaci, è ancora più triste vedere come questo modo falso di vivere il cristianesimo si diffonda popolarmente, pressoché universalmente.

  La protestantizzazione prende tante facce e coinvolge tanti aspetti, ma uno di quelli più rilevanti è la riduzione di tutto il Cristianesimo ad una fede astratta.

  È la pratica realizzazione del Sola Fide di Martin Lutero.

 Qual è la questione?

  La questione è che la fede è diventata tutto! come se fosse la cosa più difficile e quindi l'unico dono da dare a Dio. Circola un'idea di fede come completamente staccata dalla ragione: una specie di “salto nel buio” che l'uomo compie spinto da una ispirazione interiore; una sorta di sentimento spiritualizzato.
  Insomma, la fede viene travisata e giudicata un atto così straordinario, che quando un uomo rischia nell'atto di fede finisce per pensare di aver praticamente compiuto già il proprio “sacrificio” innanzi a Dio.

  È come se si finisse col dire: “io credo, e quindi il Signore deve già essere contento di me”.

  Sola Fide, solo la fede salva... si è così trasformato il cattolicesimo, anche popolare. Il mondo cristiano è per lo più fatto oggi di vaghi credenti, che si ritengono giusti perché fanno lo sforzo di non negare l'esistenza di Dio... e tutto resta qui. Un cattolicesimo così tristemente ridotto non produce più niente, anzi si piega alla completa adesione al mondo e al suo modo di vivere. È sotto gli occhi di tutti che questa protestantizzazione della Chiesa è stato il miglior veicolo per la completa laicizzazione della società.

  Invece la fede è ragionevole, segue la ragione; credere in Gesù Cristo e nella Rivelazione è il modo più normale di ragionare: da indizi chiari risali alla conoscenza certa di Dio Trinità. I discepoli hanno fatto così, hanno visto l'eccezionalità della personalità di Cristo, lo hanno sentito parlare come nessun'altro; hanno visto i miracoli, che sono i segni della divinità di Gesù, hanno visto e toccato il suo corpo risorto e... hanno pagato con il sangue la loro testimonianza. È ragionevole allora fidarsi della loro testimonianza e quindi credere fermamente in Gesù Cristo.

  In questo senso la fede non è proprio un “salto nel buio”, ma è semplicemente un tipo di conoscenza. È conoscenza indiretta, tramite testimone; è un cosa normale per l'uomo, normalissima. La maggioranza delle cose che conosciamo, le sappiamo perchè qualcuno ce le ha testimoniate, non perché le abbiamo viste direttamente.

  E’ per questo che la fede è obbligante, perché corrisponde ad un modo normale di ragionare. Ti fidi perchè hai le ragioni per fidarti: tutto questo non può essere l'eccezionalità, è la normalità.

  La normalità è credere in Cristo, l'anormalità è non credergli, questo non solo dal punto di vista religioso, ma semplicemente umano.

  Il Credo che cantiamo ogni Domenica a Messa non è fatto per dire a Dio che crediamo in lui, sarebbe troppo poco. È fatto invece per ribadire i contenuti della Rivelazione che crediamo, per ricordare tutte le principali verità di fede che Dio ci ha detto; e noi le crediamo fermamente perchè è ragionevole credere nell'autorità di Cristo che le ha rivelate, visto che ha dato segni innumerevoli e inequivocabili della sua divinità.

  Per questo il problema non è credere, ma vivere di fede... cioè fare fino in fondo la volontà di Dio.

  La vera questione è decidere di seguire ciò che Cristo ha detto e la Chiesa, nella sua Tradizione, ci indica: cioè vivere una vita totalmente diversa da quella che il mondo di oggi ci propone. Così hanno fatto i primi cristiani, che non andavano al circo dove ci si divertiva della violenza; così han fatto i martiri, così gli eremiti che per non peccare andavano in solitudine.

  La lettera a Diogneto così descrive questa scelta decisa per la volontà di Dio:

  «I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale. La loro dottrina non è nella scoperta del pensiero di uomini multiformi, né essi aderiscono ad una corrente filosofica umana, come fanno gli altri. Vivendo in città greche e barbare, come a ciascuno è capitato, e adeguandosi ai costumi del luogo nel vestito, nel cibo e nel resto, testimoniano un metodo di vita sociale mirabile e indubbiamente paradossale. Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera. Si sposano come tutti e generano figli, ma non gettano i neonati. Mettono in comune la mensa, ma non il letto. Sono nella carne, ma non vivono secondo la carne. Dimorano nella terra, ma hanno la loro cittadinanza nel cielo. Obbediscono alle leggi stabilite, e con la loro vita superano le leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Non sono conosciuti, e vengono condannati. Sono uccisi, e riprendono a vivere. Sono poveri, e fanno ricchi molti; mancano di tutto, e di tutto abbondano. Sono disprezzati, e nei disprezzi hanno gloria. Sono oltraggiati e proclamati giusti. Sono ingiuriati e benedicono; sono maltrattati ed onorano. Facendo del bene vengono puniti come malfattori; condannati gioiscono come se ricevessero la vita. Dai giudei sono combattuti come stranieri, e dai greci perseguitati, e coloro che li odiano non saprebbero dire il motivo dell'odio. A dirla in breve, come è l'anima nel corpo, così nel mondo sono i cristiani.» (Lettera a Diogneto, V,1-VI,1)

  E' questa la volontà di Dio, vivere secondo la fede. Invece il Protestantesimo ha fatto credere che l'opera è credere e solo per questo Dio dovrebbe ringraziarci. Il Protestantesimo è semplicemente un cristianesimo che non cambia il mondo, ma che è cambiato dal mondo.

  Anche per noi, che vogliamo vivere secondo la grande Tradizione Cattolica, si pone la stessa urgente scelta: vivere secondo la fede o accontentarsi di credere?

  È il bivio drammatico: da una parte c'è il cristianesimo che cambia il mondo e salva le anime, dall'altra parte un Protestantesimo che distrugge la presenza cristiana nel mondo.

  E se vogliamo tradurre in modo più esplicito per noi, questo bivio drammatico diventa: fare la tradizione in tutto, a partire dalla messa, lasciando che essa coinvolga tutti gli aspetti della vita? oppure accontentarsi di disquisire solamente per una chiesa più tradizionale?

  La fede senza le opere è morta, quindi non solo credere ma vivere di fede. E più nel piccolo vuol dire per noi fare una vita veramente tradizionale, e non solo pensarla per la chiesa e per il mondo.

  Quanto lavoro ci attende in questo anno! Quanto lavoro per vincere il nostro imborghesimento, che è sempre il frutto di una terribile protestantizzazione


AMDG et DVM

Lezione sulla MISERICORDIA

Per il primo venerdì del mese


CDXCV. Lezione sulla misericordia in risposta alle obiezioni sul perdono all'adultera. Congedo ai discepoli sulla via di Betania. 

   17 settembre 1946.

 1 Gesù ha raggiunto i dieci apostoli e i principali discepoli alle falde del monte Uliveto, vicino alla fontana di Siloan. Quando essi vedono venire a passo sollecito Gesù fra Pietro e Giovanni, gli vanno incontro, ed è proprio vicino alla fonte che si riuniscono.
   «Saliamo alla via di Betania. Lascio la città per qualche tempo. Andando vi dirò ciò che dovete fare», ordina Gesù.
   Fra i discepoli vi sono anche Mannaen e Timoneo che, rasserenati, hanno ripreso il loro posto. E vi sono Stefano ed Erma, Nicolai, Giovanni d'Efeso, il sacerdote Giovanni e tutti, insomma, i più notabili per sapienza oltre gli altri, semplici, ma tanto attivi per grazia di Dio e volere proprio.
   «Lasci la città? Ti è accaduto qualcosa?», chiedono in molti.
   «No. Ma vi sono luoghi che attendono…».
 2 «Che hai fatto questa mattina?».
   «Ho parlato… I profeti… Ancora una volta. Ma essi non intendono…».
   «Nessun miracolo, Maestro?», chiede Matteo.
   «Nessuno. Un perdono. E una difesa».
   «Chi era? Chi offendeva?».
   «Coloro che si credono senza peccato accusavano una peccatrice. Io l'ho salvata».
   «Ma se era peccatrice avevano ragione essi».
   «La sua carne era certamente peccatrice. La sua anima… Molto avrei da dire sulle anime. E non direi peccatrici solo quelle la cui colpa è palese. Sono peccatrici anche quelle che spingono altri a peccare. E di un peccato più astuto. Fanno insieme la parte del serpente e del peccatore».
   «Ma che aveva fatto la donna?».
   «Adulterio».
   «Adulterio?! E Tu l'hai salvata?! Non dovevi!!», esclama l'Isca­riota.
   Gesù lo guarda fissamente, poi chiede: «Perché non dove­vo?».
   «Ma perché… ti può nuocere. Tu lo sai come ti odiano e cercano accuse contro Te! E certo… Salvare un'adultera è andare contro la Legge».
   «Io non ho detto che la salvavo. Ho detto loro che soltanto chi era senza peccato la colpisse. E nessuno l'ha colpita perché nessuno era senza peccato. Ho dunque confermato la Legge che commina la lapidazione agli adulteri, ma ho anche salvato la donna perché non si è più trovato un lapidatore».
   «Ma Tu…».
   «Volevi che la lapidassi Io? Sarebbe stata giustizia, perché Io l'avrei potuta lapidare. Ma non sarebbe stata misericordia».
   «Ah! era pentita! Ti ha supplicato e Tu…».
   «No. Non era neppure pentita. Era soltanto avvilita e paurosa».
   «Ma allora!… Perché?… Non ti capisco più! Prima riuscivo ancora a capire i tuoi perdoni a Maria di Magdala, a Giovanni di Endor, a… insomma a molti pec…».
   «Di' pure: a Matteo. Non me ne ho a male. Anzi, ti sono grato se tu mi aiuti a ricordare il mio debito di riconoscenza al mio Maestro», dice Matteo calmo e dignitoso.
   «Sì, ebbene, anche a Matteo… Ma essi erano pentiti del loro peccato, della loro vita licenziosa. Ma questa!… Non ti capisco più! E non sono solo io a non capirti…».
   «Lo so. Non mi capisci… Mi hai sempre capito poco. E non tu solo. Ma ciò non muta il mio modo di agire».
   «Il perdono va dato a chi lo chiede».
   «Oh! Se Iddio dovesse dare il perdono soltanto a chi lo chiede! E colpire subito chi alla colpa non fa seguire il pentimento! Tu non ti sei mai sentito perdonato prima di esserti pentito? Puoi proprio dire che ti sei pentito, e per questo sei stato perdonato?».
   «Maestro, io…».
 3 «Uditemi tutti, perché molti fra voi trovano che Io ho sbagliato e che Giuda ha ragione. Qui è Pietro e Giovanni. Essi hanno sentito ciò che Io ho detto alla donna e ve lo possono ripetere. Non sono stato stolto nel perdonare. Non ho detto ciò che dissi ad altre anime, alle quali perdonavo perché erano completamente pentite. Ma ho dato modo e tempo a quell'anima di giungere al pentimento e alla santità, se vorrà raggiungerli. Ricordatevelo per quando sarete i maestri delle anime.
   Due cose è essenziale avere per poter essere veri maestri e degni di essere maestri. Prima cosa: una vita austera per se stessi, di modo da poter giudicare senza le ipocrisie di condannare negli altri ciò che a noi si perdona. Seconda: una paziente misericordia per dare modo alle anime di guarire e di fortificarsi.
   Non tutte le anime guariscono istantaneamente dalle loro ferite. Alcune lo fanno per successive fasi, e talora lente e soggette a ricadute. Cacciarle, condannarle, impaurirle non è arte di medico spirituale. Se le cacciate da voi, torneranno per rimbalzo a gettarsi fra le braccia dei falsi amici e maestri. Aprite le vostre braccia e il vostro cuore, sempre, alle povere anime. Che esse sentano in voi un vero e santo confidente, sulle cui ginocchia non si vergognano di piangere. Se voi le condannate privandole degli aiuti spirituali, sempre più le farete malate e deboli. Se voi le impaurite di voi e di Dio, come potranno alzare gli occhi a voi e a Dio?
   L'uomo incontra per primo giudice l'uomo. Solo l'essere che vive spiritualmente sa incontrare per primo Iddio. Ma la creatura che è già giunta a vivere spiritualmente non cade in colpa grave. La sua parte umana può ancora avere debolezze, ma lo spirito forte veglia e le debolezze non divengono colpe gravi. Mentre l'uomo, che ancora è molto carne e sangue, pecca e incontra l'uomo. Ora, se l'uomo, che gli deve indicare Dio e formare lo spirito, gli incute paura, come può il colpevole abbandonarsi a lui? E come può dire: "Mi umilio perché credo che Dio è buono e che perdona", se vede che un suo simile non è buono?
   Voi dovete essere il termine di paragone, la misura di ciò che è Dio, così come un picciolo è la parte che fa capire la ricchezza di un talento. Ma se voi siete crudeli con le anime, voi piccioli che siete una parte dell'Infinito e lo rappresentate, cosa crederanno allora esse che sia Dio? Quale durezza intransigente penseranno in Lui?
 4 Giuda, tu che giudichi con severità, se in questo momento Io ti dicessi: "Io ti denuncerò al Sinedrio per pratiche magiche…"».
   «Signore! Non lo farai! Sarebbe… sarebbe… Tu sai che è…».
   «So e non so. Ma tu vedi come subito invochi pietà per te… e tu sai che non saresti condannato da essi perché…».
   «Che vuoi dire, Maestro? Perché dici questo?», dice molto agitato Giuda interrompendo Gesù.
 Il quale, molto calmo ma con uno sguardo che trivella il cuore a Giuda, e nello stesso tempo frena il suo turbato apostolo sul quale convergono gli sguardi degli altri undici apostoli e di molti discepoli, dice: «Ma perché essi ti amano. Hai buoni amici, tu, là dentro. Lo hai detto più volte».
   Giuda tira un sospiro di sollievo, si asciuga un sudore strano in quel giorno freddo e ventoso, e dice: «È vero. Amici vecchi. Ma non credo che se peccassi…».
   «E chiedi pietà perciò?».
   «Certamente. Sono ancora imperfetto e voglio divenire perfetto».
   «Lo hai detto. Anche quella creatura è molto imperfetta. Gli ho dato tempo a divenire buona, se vuole».
   Giuda non ribatte più.


 5 Sono ormai sulla via di Betania, già lontani da Gerusalemme. Gesù si ferma e dice: «E voi, avete dato ai poveri ciò che vi ho dato? Avete fatto tutto ciò che vi avevo detto?».
   «Tutto, Maestro», dicono apostoli e discepoli.
   «Allora sentite. Ora Io vi benedirò e vi congederò. Vi spargerete, come sempre, per la Palestina. Vi radunerete di nuovo qui per la Pasqua. Non mancate allora… e in questi mesi fortificate il vostro cuore e quello di chi crede in Me. Siate sempre più giusti, disinteressati, pazienti. Siate ciò che vi ho insegnato di essere. Girate per città, paesi, case sperdute. Non evitate nessuno. Sopportate tutto. Non è il vostro io ciò che servite, così come Io non servo l'io di Gesù di Nazaret, ma servo il Padre mio. Voi pure servite il Padre vostro. Perciò i suoi interessi, non i vostri, devono esservi sacri, anche se possono procurare dolore o lesione ai vostri interessi umani. Abbiate spirito di abnegazione e di ubbidienza. Potrà accadere che Io vi chiami o vi ordini di stare dove siete. Non giudicate il mio ordine. Quale che sia, ubbidite, credendo fermamente che esso è buono ed è dato per vostro bene. E non abbiate invidia se alcuni saranno chiamati e altri no da Me. Voi vedete… Alcuni si sono staccati da Me… e Io ne ho sofferto. Erano quelli che ancora volevano regolarsi con la loro mente. La superbia è la leva che ribalta gli spiriti e la calamita che me li strappa. Non maledite chi mi ha lasciato. Pregate perché torni… I miei pastori staranno due a due nelle immediate vicinanze di Gerusalemme. Isacco per ora viene con Me insieme a Marziam. Amatevi molto fra voi. Aiutatevi a vicenda. Amici miei, tutto il resto ve lo dica il vostro spirito, ricordandovi ciò che ho insegnato, e ve lo dicano i vostri angeli. Io vi benedico».
   Tutti si prostrano, mentre Gesù dice la benedizione mosaica. Poi si affollano a salutare Gesù. Infine si separano da Lui, che coi dodici, Isacco e Marziam, procede sulla via di Betania.
   «Ora sosteremo il tempo di salutare Lazzaro e poi proseguiremo verso il Giordano».
   «Andiamo a Gerico?», chiede interessato Giuda di Keriot.
   «No. A Betabara».
   «Ma… la notte…».
   «Non mancano case e paesi da qui al fiume…».
   Nessuno parla più e, tolto il frusciare degli ulivi e lo scalpiccio dei passi, non resta altro rumore.
AMDG et DVM

GENESIS 2, 07: lectura bìblica (3)

Génesis 2, 07: lectura bíblica

g207as1b
Dios forma (yatsar): da forma, modela, dispone algo en forma de cuerpo.
Dios es presentado como un alfarero, un trabajador de su propia obra.
«Así habla Yavhé: el que creó (bara) los cielos, el Dios que modeló (yatsar) la tierra, la hizo (asah) y la afirmó (kun). No la creó (bara) en vano, la esculpió (yatsar) para que fuera habitable»(Is 45, 18).
Dios crea de la nada = bara. Y sale, de sus manos, un ser dependiente de Él.
Modela ese ser creado = yatsar.
Y lo lleva a su perfección natural = asah.
Lo afirma en la verdad de su ser, le da el fin para lo que ha sido creado = kun.
Dios no es un artista vano, que hace las cosas para pasar el tiempo. Es un artista inteligente, que pone un fin divino a todo lo que crea, a todo lo que sale de sus manos.
«Como está el barro en la mano del alfarero (yatsar), así estáis vosotros en Mi Mano, casa de Israel» (Jer 18, 6).
Dios se ocupa constantemente de su obra. Es un alfarero que no descansa, que lleva a su plenitud espiritual su creación material.
No hay evolución en las cosas que Dios ha creado, porque todo lo ha hecho perfecto. Hay una involución a causa del pecado que reina en toda la creación.
Dios «… formó…al hombre polvo (aphar)….».
ha adam es la persona humana que Dios va a crear. Ya no habla de la esencia humana (adam), sino de la persona humana varón, de Adán.
Dios dispone (yatsar) el polvo (aphar) en forma de cuerpo.
El hombre es polvo:
«….polvo (aphar) eres, y al polvo volverás» (Gn 3, 19d).
Es un polvo que Dios va a modelar. Y saldrá el hombre Adán: será tomado de la tierra (adamah).
La primera acción de Dios en la creación de Adán es formar el polvo, darle forma, modelarlo. La segunda acción divina es «inhalar sobre su semblante el espíritu de vida», el aliento de vida, el alma racional.
El resultado es algo de la tierra, un ser terreno.
Son dos acciones distintas en la creación del hombre.
Toda la dificultad está en determinar los caracteres propios de la acción divina que forma el cuerpo humano. ¿Qué es el polvo? ¿Qué es la tierra?
Muchos sostienen que el cuerpo de Adán podía representar el último eslabón de una serie indefinida de organismos inferiores. Es decir, el cuerpo en el cual infundió Dios el alma racional fue un organismo del género simia, una especie animal que fue elevada a su última perfección y puesta a punto para recibir la infusión del alma mediante una acción divina.
Se apoyan en el texto hebreo que dice que Dios fabricó a Adán del barro o polvo de la tierra. Ese fabricar o modelar puede tener un sentido figurativo; y el polvo o barro puede aplicarse sin dificultad a un organismo animal.
«… a mí también, lo mismo que a ti, me hizo Dios; y del mismo barro (komer) fui yo también formado» (Job 33, 6).
Komer es el polvo afianzado en el suelo, el cemento de la calle.
«Yo… lo envié contra el pueblo objeto de mi furor, para que saquease e hiciera de él su botín, y le pisase como se pisa el polvo (komer) de las calles» (Is 10, 6)
Del mismo barro fui yo formado. Luego, ese barro no significa una especie animal. Eliú no fue formado de un animal. Eliú habla aquí de su formación en el útero materno; y en consecuencia llama barro al semen y al óvulo humano, a la concepción del esperma y del óvulo en ese vientre. Llama barro a ese cemento, a ser ultimado, afirmado en el seno de su madre.
La simple elección o designación de una especie animal, dispuesta a recibir la infusión del alma, no representa una acción divina positiva para formar el cuerpo del hombre.
Dios es el que modela el cuerpo del hombre, el que trabaja ese cuerpo concebido. Una especie animal que Dios la disponga sólo para recibir el alma racional va en contra de la verdad revelada: Dios modela… el polvo.
No tiene sentido hablar de la creación de una especie animal sólo para infundir el alma racional. En este texto, no se habla de la creación de una especie animal, sino de la creación del hombre, la fabricación del ser humano. Y son dos obras diferentes: modelar el cuerpo humano e infundir el alma racional. No se habla de crear (bara) una especie animal.
Y tampoco el polvo o barro de la tierra puede significar un organismo animal.
«… y fabricó (yatsar) Dios de la tierra (adamah) todos los animales del campo» (Gn 2, 19). La voz tierra (adamh) no puede tener el significado de organismos inferiores a los producidos, sino que tiene el significado común.
No puede leerse: fabricó Dios de los organismos inferiores todos los animales del campo.
«… produzca la tierra (erets) vivientes…» (Gn 1, 24): en la producción de los animales, la tierra misma es llamada a la participación instrumental del acto productor; y su efecto es el animal completo, es decir, el principio de vida del animal va envuelto en la materia del animal, y es producido con la misma acción con que se produce el elemento del cuerpo.
Pero esta tierra (erets) no significa la materia del polvo, del barro, no es adamah ni aphar, sino una superficie de terreno, un trozo de tierra que se convierte en productiva, en la que viven seres vivientes.
«… para que domine… sobre todas las bestias de la tierra (erets) y sobre cuantos animales se mueven sobre ella (erets)».
El mandato divino a la tierra (erets)produzca. Que del cuerpo del animal formado sobre la tierra (erets) salga su principio vital. Dios forma el cuerpo del animal y, en esa misma acción, es producido el principio vital del animal, el alma sensible, que es un alma material. Produzca ese trozo de tierra (erets) seres vivientes: que en esa parte de la tierra existan especies animales.
Pero, en el hombre, la tierra no es un instrumento para crear al ser humano: Dios modela el polvo, no manda a la tierra producir al hombre. Dios no modela la tierra. Dios, una vez ha formado al hombre, lo saca de la tierra (adamah) y lo pone en el Paraíso, en una tierra que Él ha plantado.
Dios ya ha creado la naturaleza humana, y la ha hecho imagen y semejanza suya: ha creado los dos gametos, el masculino y el femenino. El esperma y el óvulo. Ahora, los va a modelar, les va a dar forma.
El esperma y el óvulo es el polvo, el barro, que es la esencia humana. Dios une las dos cosas, da la forma, y en el ser concebido, en el semblante de esa unión entre el óvulo y el esperma, en la concepción del cuerpo, sopla el aliento de vida: el alma racional se une sustancialmente al cuerpo concebido por el esperma y el óvulo.
«El primer hombre fue de la tierra, terreno» (1 Cor 15, 47).
Adán es de la tierraha adam es adamah. Adán ha sido tomado de la tierra:
«… hasta que vuelvas a la tierra (adamah), pues de ella has sido tomado» (Gn 3, 19b).
Tomar de la tierra, modelar el polvo.
Tomar lo que es terreno, lo que está dentro de la tierra, en la tierra. Dar forma al polvo.
Son dos significados distintos. Los dos hacen referencia a la nada del hombre. El hombre es polvo, vuelve al polvo; el hombre es terreno, vuelve a la tierra.
La tierra y el polvo a los cuales vuelve el cuerpo humano por la muerte no es un organismo animal, que metafóricamente se llama tierra y polvo, ni tampoco pueden designar un paradero remoto a donde llega el cadáver después de una serie de transformaciones intermedias. La tierraes el término inmediato del accidente de la muerte. El cadáver se vuelve tierra, coge la forma de la tierra, se transforma en polvo.
No se puede admitir la evolución en la creación ni de los animales ni de los hombres.
Dios, al crear el esperma y el óvulo, los tiene que unir en un vientre adecuado para poder modelarlos.
¿Qué es la tierra (adamah)?
Se puede pensar que Dios creó una especie animal sólo como incubadora, para que en su vientre Dios modelara el polvo del esperma y del óvulo. En ese vientre, en esa tierra, se concibe el cuerpo humano, y el alma racional se une a ese cuerpo.
Dios no crea el cuerpo del hombre de los genes de un animal. Porque Dios modela el polvo, no modela una especie animal o los genes de esa especie animal. No se da la evolución de un animal en una especie más avanzada, porque Dios crea cada ser en su perfección natural. Ese ser nunca puede evolucionar en el ser, en la sustancia de su ser. Podrá alcanzar evoluciones accidentales, según la misión que tenga ese ser en la vida.
El polvo es lo que Dios ya ha creado: la esencia humana, a su imagen y a su semejanza. El macho y la hembra: el esperma y el óvulo.
Tiene que modelar ese polvo: tiene que unir el esperma y el óvulo. Pero no puede dar forma al cuerpo del hombre fuera de un ambiente propicio para que naturalmente se conciba ese cuerpo.
Dios no crea a Adán ya adulto y le insufla su alma. Eso no tiene sentido.
Dios crea las cosas según sus exigencias naturales, según sus procesos naturales según la perfección de su ser.
Dios tiene que poner ese esperma y ese óvulo, ese polvo, en una tierra adecuada, en el vientre de un animal. Por eso, ese polvo es de la tierra, es de ese vientre.
Ese animal sólo ha sido preparado por Dios para que actúe como vientre, como incubadora, no como madre natural del ser que va a crear. Y, por lo tanto, ese animal, ese vientre, esa tierra adecuada no hace otra cosa que dar calor a esa concepción humana.
Dios pone el polvo del esperma y del óvulo, y los modela, les da forma: los une, se concibe el cuerpo, y se infunde el alma. Y Dios va modelando ese ser humano, dentro de ese vientre animal, dentro de esa tierra, hasta que naturalmente le llega la hora de tomarlo de la tierra.
«…de la tierra has sido tomado…».
No ha producido la tierra al hombre: el hombre no pertenece a un país concreto.
El hombre ha sido sacado de un vientre animal, de una especie animal producida de la tierra, como fueron producidos los otros animales.
Dios modela… el polvo dentro de una especie animal producida de la tierra.
«Dios modela… el polvo de la tierra»: modela ese ser concebido en el vientre de ese animal. Es un ser humano lo concebido porque los gametos pertenecen a la naturaleza humana. Dios los ha creado sin la participación del animal, de los genes del animal. Ese ser humano es de la tierra, es de ese animal, porque es concebido en el vientre de ese animal, dentro de ese vientre.
«El primer hombre es de la tierra, terreno» (1 Cor 15, 4a): es de un vientre animal.
Pero «el segundo hombre es del cielo» (1 Cor 15, 47b): es de un vientre divino. La Virgen María.
Dios ha creado al primer hombre con un cuerpo glorioso, un cuerpo capaz de atravesar el vientre animal en donde fue concebido, en donde fue modelado por Dios.
Cuando llega el tiempo del parto, Adán es tomado de ese vientre animal, de esa tierra, sin necesidad de que el vientre animal produzca el parto naturalmente. Es tomado porque no tiene virtud divina para salir de ese vientre. Sólo Jesús podía salir del vientre divino de Su Madre sin ser tomado, porque poseía esa virtud por ser Dios.
De esta manera, ese vientre animal no es madre de Adán. Es sólo un sitio en donde se incuba un cuerpo que no pertenece a ese animal.
Dios modela ese proceso del hombre hasta el final porque el animal ha producido lo concebido. La especie animal no concibe a Adán, sino que en su vientre es Dios quien concibe a Adán. Pero es necesario hacerlo en un ambiente apropiado a la concepción del ser humano.

AMDG et DVM