venerdì 2 settembre 2016

PERCHE' con abili coperture si sono occultati da secoli -come fossero fantasie- quei veri tesori che sono molti testi degli apocrifi Vangeli? Perché? Una domanda ancora senza risposta soddisfacente.


STORIA DI GIUSEPPE FALEGNAME: 
RECENSIONE COPTA 


Questa è la relazione del trapasso del corpo del nostro santo padre Giuseppe falegname, padre di Cristo 1 secondo la carne, che visse centoundici anni. 
Il nostro Salvatore ha raccontato agli apostoli tutta la sua biografia sul monte degli Ulivi. Gli stessi apostoli hanno scritto queste parole e le hanno depositate nella biblioteca di Gerusalemme. Il giorno in cui il santo vegliardo lasciò il suo corpo, era il 26 del mese di epep (agosto) 2. Nella pace di Dio. Amen! 

[1, 1] Dal matrimonio agli anni centoundici. Un giorno, sul monte degli Ulivi, il nostro buon Salvatore era seduto ed aveva attorno a sé i suoi discepoli; parlò ad essi in questi termini: "Miei cari fratelli, figli del mio buon Padre che vi ha scelto da tutto il mondo, spesso, come sapete, vi ho avvertito ch'io devo essere crocifisso, ch'io devo assolutamente gustare la morte, che risusciterò dai morti, che vi affiderò il compito di predicare il vangelo affinché l'annunciate in tutto il mondo, che vi investirò di una forza dall'alto (Lc 24, 49), che vi riempirò di uno Spirito santo affinché predichiate a tutte le nazioni, dicendo loro: 

[2] "Fate penitenza, poiché per l'uomo é meglio trovare un bicchier d'acqua nel mondo che verrà, che possedere tutti i beni del mondo intero"; ed ancora: "Lo spazio di un'impronta di piede nella casa di mio Padre (Gv 14, 2), vale più di tutte le ricchezze di questo mondo"; ed ancora: "Un'ora di gioia dei giusti, vale più di cento anni dei peccatori che piangono e si lamentano senza che alcuno asciughi le loro lacrime o s'interessi minimamente di essi". 

[3] Or dunque, mie membra gloriose, quando andrete, rivolgete loro questo insegnamento: "Il Padre mio regolerà il vostro conto con una bilancia giusta e un peso giusto" (Pro 16, 11); ed ancora: "Sarà esaminata anche una parola vana detta da voi. Come non v'é modo di sfuggire alla morte, così nessuno può sfuggire alle proprie azioni buone o cattive". 

[4] Tutto quanto vi ho detto si riassume in questo: il forte non può essere salvato dalla sua forza, né alcuno può salvarsi ad opera della sua grande ricchezza (Ger 9, 22-23). Ascoltate ora, ch'io vi racconterò la storia di mio padre Giuseppe, il vecchio falegname. Sia benedetto! 

[2, 1] C'era un uomo chiamato Giuseppe della città di Betlemme degli Ebrei, città di David. Era ben dotato di saggezza e istruito nell'arte della falegnameria. Quest'uomo chiamato Giuseppe sposò una donna, nell'unione di un matrimonio santo, che gli diede figli e figlie: quattro maschi e due femmine. Ecco i loro nomi: Giuda e Ioseto, Giacomo e Simone; i nomi delle figlie sono: Lisia e Lidia. 

[2] La moglie di Giuseppe morì, come é stabilito per tutti gli uomini, lasciando Giacomo ancora in tenera età. Giuseppe era una persona giusta che in tutte le sue azioni dava gloria a Dio. Andava ad esercitare il mestiere di falegname di fuori; secondo la legge di Mosé, lui e i suoi due figli vivevano del lavoro delle loro mani. Questa persona giusta di cui parlo é Giuseppe, mio padre secondo la carne (Rm 1, 3), colui al quale fu unita come sposa mia madre Maria. 

[3, 1] Mentre mio padre viveva nella vedovanza, Maria, mia madre, buona e benedetta sotto tutti gli aspetti, si trovava nel tempio, dedita al suo servizio nella santità. Aveva raggiunto l'età di dodici anni dopo aver passato tre anni in casa dei suoi genitori e nove nel tempio del Signore. 

[2] I sacerdoti, vedendo che la vergine praticava l'ascetismo e proseguiva nel timore del Signore, deliberarono tra loro dicendo: "Cerchiamo un uomo per bene al quale fidanzarla in attesa della celebrazione del matrimonio, affinché non le avvenga nel tempio quanto suole capitare alle donne, e diventiamo così colpevoli di un grande peccato". 

[4, 1] Nello stesso tempo convocarono le tribù di Giuda e scelsero in essa dodici nomi secondo il nome delle dodici tribù. La sorte cadde sul buon vecchio Giuseppe, mio padre secondo la carne. Allora i sacerdoti risposero e dissero a mia madre, la vergine benedetta: "Va' con Giuseppe, obbedisci a lui fino a quando verrà il tempo in cui avverrà il matrimonio". Mio padre Giuseppe prese Maria a casa sua. 

[2] Lei vi trovò il piccolo Giacomo nella tristezza dell'orfano, e si prese cura di allevarlo: per questo motivo fu chiamata Maria madre di Giacomo (Mt 27, 56). Dopo che l'ebbe presa a casa sua, si pose in cammino nell'esercizio del suo mestiere di falegname. In casa sua, mia madre Maria passò due anni, fino al momento opportuno. 

[5, 1] Nel quattordicesimo anno della sua età, di mia propria volontà, venni ed entrai in lei: io, Gesù, vostra vita. 

[2] Dopo che era incinta da tre mesi, il candido Giuseppe ritornò dal viaggio ove aveva esercitato il mestiere di falegname, e trovò che mia madre, la vergine, era incinta. Ne fu turbato, ebbe paura e pensò di congedarla segretamente (Mt 1, 19). Ma a causa del suo dispiacere non mangiò né bevve. 

[6, 1] Ed ecco che nel cuore della notte, Gabriele, l'arcangelo della gioia, per ordine del mio Padre buono, andò da lui con una visione e gli disse: "Giuseppe, figlio di David, non temere di ricevere presso di te Maria tua sposa, poiché colui che lei partorirà viene dallo Spirito santo, sarà chiamato Gesù (Mt 1, 20-21) e farà pascolare tutti i popoli con uno scettro di ferro (Ap 12, 5)". 

[2] L'angelo si allontanò, poi, da lui. Alzatosi dal suo giaciglio, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l'angelo del Signore, e Maria rimase con lui. 

[7, 1] Venne in seguito un ordine del re Augusto per fare registrare tutta la terra, ognuno nella sua città. Nella sua buona vecchiaia, il vecchio si alzò e condusse la vergine Maria, mia madre, nella sua città, Betlemme. Essendo lei prossima al parto, egli aveva iscritto il suo nome presso lo scriba, così: Giuseppe, figlio di David, con Maria, sua sposa, e Gesù, suo figlio, della tribù di Giuda. 

[2] Mia madre Maria mi mise al mondo sulla via del ritorno da Betlemme, nella tomba di Rachele, moglie del patriarca Giacobbe, madre di Giuseppe e di Beniamino. 

[8, 1] Satana consigliò a Erode il Grande, padre di Archelao, di decapitare il mio amico e parente Giovanni; assecondandolo, cercò di uccidere anche me pensando che il mio regno fosse di questo mondo. Giuseppe ne fu avvertito da mio Padre per mezzo di una visione: s'alzò e mi prese (Mt 2, 19-21) con Maria, mia madre, sulle braccia della quale mi trovavo; Salome venne dietro di noi. 

[2] Partimmo per l'Egitto e restammo là un anno, fino al giorno in cui i vermi entrarono nel corpo di Erode: di essi egli morì, a causa del sangue dei piccoli bambini innocenti da lui sparso. 

[9, 1] Dopo la morte dell'empio Erode, ritornammo in una città della Galilea, che si chiama Nazaret (Mt 2, 23). Mio padre Giuseppe, il vecchio benedetto, esercitava il mestiere di falegname e noi abbiamo vissuto del lavoro delle sue mani; osservante della Legge di Mosé, non mangiò mai il suo pane gratuitamente. 

[10, 1] Dopo tutto questo lungo tempo, il suo corpo non si era indebolito, non aveva scemato la luce dei suoi occhi, non un solo dente della sua bocca si era guastato. Egli non mancò mai di discernimento e di saggezza; era come un giovane, sebbene la sua età avesse raggiunto, in una beata vecchiaia, l'anno cento e undici. 

[11, 1] I suoi due figli più giovani, Ioseto e Simeone, si sposarono e si stabilirono nelle loro case. Anche le due sue figlie si sposarono, come é lecito ad ogni essere umano. Giuseppe restò in casa con l'ultimo figlio, Giacomo. Dopo che la vergine mi aveva generato, rimasi presso di loro in completa sottomissione, come un figlio. 

[2] In verità, infatti, ho compiuto tutte le azioni umane, con la sola eccezione del peccato. Chiamavo Maria, mia madre, e Giuseppe, mio padre, e obbedivo loro prevenendo i loro ordini; non rispondevo mai una sola parola e li amavo molto. 

[12, 1] Tristezza di fronte alla morte. Poi si avvicinò la morte di mio padre Giuseppe, come é stato imposto a tutti gli uomini. Allorché il suo corpo fu colpito da malattia, il suo angelo lo avvertì: "Quest'anno tu morrai". Rimase turbato, ed allora si recò a Gerusalemme nel tempio del Signore, si prostrò davanti all'altare e pregò così: 

[13, 1] "Dio, padre di ogni consolazione (2 Cor 1, 3) e Dio di tutta la carne, Dio della mia anima, del mio corpo e del mio spirito, poiché ho terminato i giorni di vita che mi avete accordato in questo mondo, ecco che vi prego, Signore Dio, di mandarmi l'arcangelo Michele affinché resti presso di me fino a tanto che la mia povera anima sia uscita dal mio corpo senza dolore e senza turbamento. 

[2] La morte, infatti, costituisce una grande paura e un grande dolore per ogni uomo. Per l'uomo come per l'animale domestico, per la bestia selvatica come per il rettile, per l'uccello come per tutte le creature che sono sotto il cielo ed hanno un'anima viva, la separazione dell'anima dal corpo é un dolore e un'afflizione grande. Or dunque, mio Signore, il tuo angelo sia presso l'anima mia e presso il mio corpo, fino a che si siano separati l'uno dall'altra senza dolore. 

[3] Quando io verrò verso di te, non permettere che, lungo il cammino, l'angelo, al quale mi hai associato dal giorno in cui mi hai formato fino ad ora, volti verso di me un viso infuocato dall'ira, bensì mi tratti benevolmente. Non permettere che lungo il cammino verso di te, mi tormentino quelli dalla faccia cangiante. Non fare arrestare la mia anima dai preposti alla porta, e non confondermi davanti al tuo terribile tribunale. 

[4] Non scatenare contro di me i flutti del fiume di fuoco, quello nel quale sono purificate tutte le anime, prima di vedere la gloria della tua divinità: Dio che giudichi ognuno con verità e giustizia! Or dunque, mio Signore, mi conforti la tua misericordia, giacché sei la fonte di ogni bene. A te la gloria nell'eternità delle eternità. Amen!". 

[14, 1] Sul letto di morte. Ritornò poi a Nazaret, la città ove abitava, e si pose a letto con la malattia della quale poi doveva morire, secondo il destino di ogni uomo. La sua malattia divenne più grave che in tutti gli altri casi nei quali era stato malato dal giorno in cui era al mondo. Ecco i dati sulla vita del mio diletto padre Giuseppe. Giunto all'età di quarant'anni, prese moglie e visse quarantanove anni di matrimonio con la moglie; poi questa morì ed egli restò solo per un anno. 

[2] Poi mia madre passò due anni a casa sua, allorché gliela affidarono i sacerdoti dandogli il seguente avvertimento: "Sorvegliala fino al momento in cui avverrà il vostro matrimonio". All'inizio del terzo anno che lei era a casa sua, nel quindicesimo anno della sua età, mi mise al mondo con un mistero che in tutto l'universo nessuno comprende ad eccezione di me, di mio Padre e dello Spirito santo, che siamo uno. 

[15, 1] La somma dei giorni di vita di mio padre vegliardo benedetto, fu di centoundici anni, come aveva ordina to il mio buon Padre. Il giorno in cui abbandonò il suo corpo fu il 26 del mese di epip. Allora l'oro raffinato, cioé la carne di mio padre Giuseppe, iniziò la trasformazione, e l'argento, la sua ragione cioé e il suo giudizio, si alterò. Dimenticò di bere e di mangiare, e la valentia della sua arte iniziò a vacillare. 

[2] Capitò dunque che in quel giorno, e cioé il 26 di epifi, allo spuntare dell'aurora, mio padre Giuseppe si agitò molto sul suo letto. Sperimentò una viva paura, mandò un gemito profondo e con grande turbamento si mise a gridare in questi termini: 

[16, 1]"Guai a me, oggi! Guai al giorno in cui mia madre mi ha partorito in questo mondo! Guai al seno nel quale ricevetti il germe della vita! Guai alle mammelle dalle quali ho succhiato il latte! Guai ai piedi sui quali mi sono seduto! Guai alle mani che mi hanno sostenuto fino a quando divenni adulto, per diventare peccatore! 

[2] Guai alla mia lingua e alle mie labbra che così spesso si sono implicate nell'ingiuria, nella calunnia, nella detrazione, in parole vane dissipate, piene di inganno! Guai ai miei occhi che hanno guardato cose scandalose! Guai alle mie orecchie che si sono dilettate a udire discorsi frivoli! Guai alle mie mani che hanno preso quanto non apparteneva ad esse! Guai al mio stomaco e alle mie viscere che hanno avuto cupidigia di alimenti che non appartenevano ad essi! 

[3] Se quello trova qualcosa lo divora peggio di una fiamma di fornace ardente fino a renderlo inutile sotto ogni aspetto! Guai ai miei piedi che hanno servito male il mio corpo portandolo in vie non buone! Guai al mio corpo che ha ridotto deserta la mia anima e straniera per il Dio che l'ha creata! 

[4] Che fare adesso? Sono stretto da ogni parte. Veramente, guai ad ognuno che peccherà. Veramente, lo stesso grande turbamento che vidi abbattersi su mio padre Giacobbe, allorché abbandonò il suo corpo, si impadronisce ora di me, infelice. Ma Gesù Dio, arbitro della mia anima e del mio corpo, compie su di me la sua volontà". 

[17, 1] Allorché il mio caro padre Giuseppe parlava così, io mi alzai e andai da lui che giaceva sul letto. Lo trovai che aveva l'anima e lo spirito turbati. Gli dissi: "Salute, amato padre Giuseppe, dalla vecchiaia buona e benedetta!". Egli mi rispose con grande paura della morte e mi disse: "Mille volte salute, amato figlio! All'udire la tua voce la mia anima si calma un poco. 

[2] Gesù, mio signore! Gesù, mio vero re! Gesù, mio buono e misericordioso salvatore! Gesù liberatore! Gesù guida! Gesù difensore! Gesù tutto bontà! Gesù dal nome dolce e tenero sulla bocca di tutti! Gesù, occhio scrutatore! Gesù, orecchio veramente attento, ascoltami oggi, io tuo servo che ti imploro e verso le mie lacrime davanti a te. Sei veramente Dio, sei veramente Signore, come disse molte volte l'angelo, e soprattutto il giorno in cui il mio cuore era mosso da sospetti perché lei era incinta; io pensavo: Voglio rimandarla segretamente! 

[3] Mentre riflettevo così, l'angelo mi apparve in una visione e mi parlò così: Giuseppe, figlio di David, non avere timore di ricevere con te Maria tua sposa, giacché colui che lei partorirà sarà dello Spirito santo. Non avere alcun dubbio a proposito della sua gravidanza, poiché partorirà un figlio che chiamerai Gesù. 

[4] Tu sei Gesù Cristo, il salvatore della mia anima, del mio corpo e del mio spirito. Non condannarmi! Io sono tuo schiavo e opera delle tue mani. Io non sapevo, o Signore, e non comprendo il mistero dello sconcertante concepimento. N‚ mai ho udito che una donna sia rimasta incinta senza un uomo, e che una vergine abbia partorito pur conservando il sigillo della sua verginità. 

[5] O mio Signore, se non ci fosse questo mistero, non crederei in te né al tuo santo concepimento, rendendo gloria a quella che ti ha generato, a Maria, vergine benedetta. 

[6] Ricordo il giorno in cui il ceraste morse il ragazzo che poi morì; la sua famiglia ti cercò per consegnarti ad Erode, ma la tua misericordia lo raggiunse e hai risuscitato colui a proposito del quale ti dicevano: Sei tu che l'hai ucciso! Vi fu gran gioia a casa di colui che era morto; ed io ti presi subito per l'orecchio dicendo: Sii prudente, figlio mio! Ma tu mi rimproverasti, dicendo: Se non foste mio padre, secondo la carne, non era necessario ch'io vi insegnassi quanto avete compiuto. 

[7] Or dunque, mio Signore e mio Dio, se é causa di quel giorno che tu mi hai mandato questi segni terrificanti, io chiedo alla tua bontà di non entrare in contesa con me. Io sono tuo schiavo, figlio della tua serva. Se tu spezzi i miei vincoli, ti offrirò un sacrificio di lode, cioé la confessione della gloria della tua divinità. Tu, infatti, sei Gesù Cristo, vero figlio di Dio e allo stesso tempo figlio dell'uomo". 

[18, 1] Mentre mio padre Giuseppe diceva questo, io non potei trattenermi dal versare lacrime alla vista della morte che lo dominava e all'udire le parole di bisogno che proferiva. Poi, fratelli, mi ricordai della mia morte in croce per la salvezza di tutto il mondo. E si alzò colei il cui nome é soave alla bocca di tutti coloro che mi amano, la mia cara madre Maria. 

[2] Mi disse con grande tristezza: "Guai a me, figlio mio! Non muore forse colui che ha una vecchiaia buona e benedetta, il vostro caro e venerabile padre secondo la carne, Giuseppe?". Le risposi: "Mia cara, ma qual é mai quell'uomo che, rivestito di carne umana, non debba provare la morte? Giacché la morte é la sovrana dell'umanità, madre mia benedetta! Anche voi, dovete morire come ogni altro uomo. Ma sia per il mio padre Giuseppe che per voi, madre benedetta, la morte non sarà una morte, ma una vita eterna senza fine. 

[3] Anch'io, infatti, devo assolutamente morire a causa della carne mortale di cui mi sono rivestito dentro di voi. Or dunque, mia cara madre, alzatevi per andare dal vegliardo benedetto, Giuseppe, per conoscere il destino che gli giungerà dall'alto". 

[19, 1] Maria e Gesù al capezzale di Giuseppe. Lei si alzò, andò nel luogo ove giaceva e lo vide proprio mentre si stavano manifestando in lui i segni della morte. Io pure, amici miei, mi sedetti al suo capezzale, mentre Maria, mia madre, si sedette ai suoi piedi. Egli fissò gli occhi sul mio viso, ma non pot‚ parlare essendo dominato dalla morte. Improvvisamente alzò gli occhi in alto e mandò un grande gemito. 

[2] Per lungo tempo, io tenni le sue mani e i suoi piedi, mentre egli mi guardava e mi implorava dicendo: "Non permettere che essi mi portino via!". Pressai la mano sul suo cuore e vidi che la sua anima era già salita nella gola per sfuggire dal corpo. Ma l'ultimo momento non era ancora giunto, quello cioé nel quale viene la morte senza indugio; di fatti c'era ancora il tormento e le lacrime che la seguono, e lo sgomento che la precede. 

[20, 1] Quando la mia amata madre mi vide tastare il suo corpo, anche lei gli tastò i piedi. Sentì che la respirazione e il calore se ne erano andati, e mi disse ingenuamente: "Grazie, mio caro figlio! Non appena avete passato la vostra mano sul suo corpo, il calore se n'é andato. I suoi piedi e i polpacci sono freddi come il ghiaccio". Io andai dai suoi figli e dalle sue figlie e dissi loro: "Venite a parlare a vostro padre, giacché é il momento di parlargli, prima che la sua bocca cessi di parlare e la sua carne diventi fredda". 

[2] Allora i figli e le figlie di Giuseppe vennero a intrattenersi con lui. Egli era in pericolo a causa dei dolori della morte e sul punto di uscire da questo mondo. Lisia, figlia di Giuseppe, disse: "Guai a me, fratelli miei, questo é certo il male della nostra cara madre che fino ad oggi non abbiamo più rivisto. Così avverrà pure al nostro padre Giuseppe: non lo rivedremo più". I figli di Giuseppe alzarono allora la voce piangendo. Anch'io e mia madre, la vergine Maria, piangemmo con essi, poiché era giunto il momento della morte. 

 [21, 1] Allora io guardai verso il sud e scorsi la morte. Essa entrò in casa seguita dall'Amenti, che ne é lo strumento, e con il diavolo attorniato da una folla innumerevole di inservienti vestiti di fuoco, dalla bocca dei quali usciva fumo e zolfo. Mio padre Giuseppe guardò, vide che lo cercavano pieni di ira, contro di lui, con la quale sono soliti infiammare il loro volto, e contro ogni anima che lascia il corpo, specialmente (contro) i peccatori nei quali vedono anche il più piccolo segno. 

[2] Quando il buon vecchio li vide in compagnia della morte, i suoi occhi si riempirono di lacrime. In quel momento, l'anima di mio padre Giuseppe ebbe un sussulto mandando un grande respiro, mentre cercava un mezzo per nascondersi ed essere salva. Udito il gemito di mio padre Giuseppe allorché scorse potenze che non aveva ancora veduto, subito mi alzai e minacciai il diavolo e tutti coloro che erano con lui: essi scapparono con gran disordine e vergogna. 

[3] Nessuna delle persone che si trovavano attorno a mio padre Giuseppe, neppure mia madre Maria, si accorse degli eserciti terribili che perseguitano le anime degli uomini. Anche la morte ebbe timore allorché vide che avevo minacciato le potenze delle tenebre e le avevo scacciate. Allora io mi alzai ed elevai una preghiera al mio misericordioso Padre, dicendo: 

[22, 1] "Padre mio e padre di ogni misericordia, padre della verità! Occhio che vede, orecchio che ascolta, ascoltate me, vostro amato figlio, che vi supplico per l'opera delle vostre mani, per mio padre Giuseppe, affinché mandiate un folto coro di angeli con Michele, dispensatore di bontà, e Gabriele, messaggero di luce, ad accompagnare l'anima di mio padre Giuseppe fino a tanto che oltrepassi i sette eoni delle tenebre. 

[2] Che essa non transiti per quelle vie strette che é terribile percorrere e lungo le quali si ha grande paura di vedere le potenze che le signoreggiano, e il fiume di fuoco che vi scorre ed accavalla i suoi flutti come le onde del mare. Siate misericordioso con l'anima di mio padre Giuseppe che viene verso le vostre sante mani: é infatti il momento in cui ha bisogno di questa misericordia". 

[3] Vi assicuro, miei venerabili fratelli e miei apostoli benedetti: ogni uomo che nasce in questo mondo e conosce il bene e il male, dopo avere trascorso tutto il suo tempo sospeso alla concupiscenza dei suoi occhi, ha bisogno della pietà del mio buon Padre, non appena giunge il momento di morire, di valicare il transito e presentare la propria difesa davanti al tribunale terribile. Ma ritorno al transito di mio padre Giuseppe, il giusto vegliardo. 

[23, 1] Quando rese lo spirito, io l'abbracciai, gli angeli presero la sua anima e la misero in un delicato tessuto di seta. Accostatomi, mi assisi presso di lui, ma nessuno dei circostanti sapeva che era morto. 

[2] A motivo delle potenze che erano sul sentiero, feci custodire la sua anima da Michele e da Gabriele, mentre gli angeli cantavano davanti ad essa fino a quando la riportarono al mio buon Padre. 

[24, 1] Ritornai dunque presso il corpo di mio padre Giuseppe che giaceva come una cesta, mi sedetti, gli abbassai gli occhi, gli chiusi la bocca e rimasi a contemplarlo. Dissi alla vergine: "Dove sono ora, o Maria, tutti i lavori del mestiere da lui esercitato dall'infanzia ad oggi? Sono finiti tutti in un istante. E' come se non fosse mai nato in questo mondo". 

[2] I suoi figli e le sue figlie udendomi asserire questo a Maria mia madre, mi dissero con molte lacrime: "Guai a noi, o signore, il nostro padre é morto e noi non lo sapevamo". Risposi: "E' morto veramente. Tuttavia la morte di Giuseppe, mio padre, non é una morte, ma una vita per l'eternità. Molto grande é ciò che riceverà il mio carissimo Giuseppe, giacché da quando la sua anima ha lasciato il corpo, é per lui cessato ogni dolore. 

[3] Se n'é andato nel regno per l'eternità. Dietro di sé ha lasciato il peso del corpo, dietro di sé ha lasciato questo mondo pieno di ogni genere di dolori e di vani affanni. Se n'é andato alla dimora del riposo del mio Padre celeste, quella che non sarà mai distrutta". 

[4] Quando io dissi ai miei fratelli: "Vostro padre Giuseppe il vegliardo benedetto, é morto", si alzarono, si strapparono le vesti e piansero a lungo. 

[25, 1] Tutti quelli della città di Nazaret e della Galilea, avuta notizia del lutto, si adunarono tutti nel luogo ove eravamo noi, come é costume presso gli Ebrei. Trascorsero tutto il giorno a piangere, fino all'ora nona. All'ora nona li feci uscire tutti, versai dell'acqua sul corpo del mio amato padre Giuseppe, l'unsi di olio profumato, e pregai il mio buon Padre celeste con preghiere celestiali scritte con le mie stesse dita sulle tavolette celesti quando ancora non avevo preso carne dalla vergine Maria. 

[2] Nel momento stesso in cui io pronunciai l'amen della preghiera, giunse una moltitudine di angeli: diedi loro ordine di spiegare un vestito, feci alzare loro il corpo del mio benedetto padre Giuseppe e lo feci deporre in questi abiti per seppellirlo. 

[26, 1] Posi la mia mano sul suo cuore dicendo: "Il fetido odore della morte non ti colpisca mai, le tue orecchie non puzzino e la putrefazione non coli mai dal tuo corpo! Il lenzuolo della tua carne, con il quale ti ho vestito, non venga mai leso dalla terra, bensì rimanga sul tuo corpo fino al momento del banchetto dei mille anni. I capelli della tua testa, ch'io tante volte ho afferrato con le mie mani, non si scoloriscano mai, mio caro padre Giuseppe! 

[2] Con un dono celeste che (sarà dato loro) in cielo, benedirò quanti metteranno da parte un'offerta per presentarla nel tuo santuario nel giorno della tua commemorazione, cioé il 26 del mese di epifi. 

[3] Non lascerò mancare di alcun bene di questo mondo, per tutti i giorni della sua vita, colui che, nel tuo nome, avrà dato del pane in mano a un povero. Coloro che nel giorno della tua commemorazione daranno un bicchiere di vino nella mano di uno straniero o di una vedova o di un orfano, io te li offrirò affinché tu li conduca al convivio dei mille anni. 

[4] Coloro che scriveranno il libro del tuo transito con tutte le parole che oggi sono uscite dalla mia bocca, per la tua salvezza, mio caro padre Giuseppe, io te li offrirò in questo mondo, ed inoltre quando abbandoneranno il loro corpo io strapperò l'obbligo di pagamento dei loro peccati affinché non subiscano alcun tormento, eccetto l'angoscia della morte e il fiume di fuoco che é al cospetto di mio Padre e purifica ogni anima. 

[5] Se poi un pover'uomo non ha modo di fare quanto detto, se avrà un figlio e lo chiamerà Giuseppe a gloria del tuo nome, la sua casa non sarà raggiunta né da fame né da malattia, perché c'é il tuo nome". 

[26, 1] I capelli della tua testa...: il cod. M ha: "Non si cambi un sol capello del tuo capo, non si disfacciano le tue ossa né si muti nulla del tuo corpo. La tua bara non si tarli né si buchi né si rompa in eterno. Benedetto tante volte o padre mio Giuseppe, vecchio retto e giusto. Sia a te ogni bene!". 

[27, 1] I grandi della città si recarono poi ove era stato deposto il corpo di mio padre, in compagnia dei preposti ai funerali per seppellire il suo corpo secondo i riti funebri degli Ebrei; ma lo trovarono già sepolto. Il lenzuolo era stato unito al suo corpo quasi con ganci di ferro, ed essi non trovarono l'apertura del lenzuolo. Poi lo portarono alla tomba. 

[2] Dopo che ebbero scavato l'ingresso della caverna per aprire la porta e deporlo con i suoi padri, mi ricordai del giorno in cui era partito con me verso l'Egitto, delle grandi tribolazioni che per me aveva subìto, e mi stesi sul suo corpo e piansi a lungo su di lui, dicendo: 

[28, 1] Ineluttabilità della morte. "O morte causa di molte lacrime e lamentazioni, tu hai ricevuto questo sorprendente potere da colui che comanda ogni cosa. Il rimprovero, più che alla morte, é rivolto ad Adamo e sua moglie. La morte non fa nulla senza l'ordine di mio Padre. 

[2] Ci furono uomini che vissero novecento anni prima di morire e molti vissero ancora di più; nessuno di loro disse: Ho visto la morte, e neppure: Essa viene ad intervalli a tormentare qualcuno. Non tormenta che una sola volta, ed é mio Padre che la invia all'uomo; nel momento in cui va verso di lui, ode la sentenza che viene dal cielo. Se la sentenza viene con tormento e con collera, anche la morte porta a compimento l'ordine del Padre mio - prendere l'anima dell'uomo e condurla al suo Signore - con tormento e con collera. La morte non ha il potere di condurla nel fuoco o di condurla nel regno dei cieli. La morte adempie l'ordine di Dio. 

[3] Adamo invece non adempì la volontà del Padre mio, la trasgredì tanto che irritò mio Padre, obbedendo a sua moglie e disobbedendo al mio buon Padre; attirò (in tal modo) la morte su di ogni vivente. Se Adamo non avesse disobbedito al mio buon Padre, non avrebbe attirato su di sé la morte. 

[4] Che cosa dunque avrebbe potuto impedirmi di pregare il mio buon Padre affinché mandasse un grande carro di luce sul quale io avrei posto mio padre Giuseppe, prima che gustasse la morte, per farlo condurre verso il luogo del riposo con gli angeli incorporei, con la carne nella quale fu generato? E' a causa della trasgressione di Adamo che venne questo grande dolore su tutt'intera l'umanità, con questa grande angoscia della morte. 

[5] Io stesso, essendo rivestito di questa carne passibile, é necessario che gusti la morte per essere misericordioso verso la creatura che ho plasmato". 

[29, 1] Mentre parlavo così e abbracciavo, piangendo, il mio padre Giuseppe, aprirono la porta della tomba e deposero il suo corpo presso il corpo di suo padre Giacobbe. La sua fine giunse alla età di centoundici anni. In bocca non aveva un sol dente cariato e i suoi occhi non s'erano ancora affievoliti, la sua vista era come quella di un fanciullo. Il suo vigore non s'era mai scemato e proseguì il suo mestiere di falegname fino al giorno in cui fu colpito dalla malattia della quale doveva poi morire". 

[30, 1] All'udire queste cose da nostro Signore, noi apostoli ce ne rallegrammo; dopo esserci lavati, adorammo le sue mani e i suoi piedi e gioimmo, dicendo: "Vi ringraziamo, nostro buon Salvatore, perché ci avete resi degni di udire da voi queste parole di vita. 

[2] Ma siamo rimasti stupiti di voi, nostro buon Salvatore; perché mai avete accordato l'immortalità a Enoc e a Elia e fino ad oggi essi hanno ancora la carne nella quale sono nati? Perché la loro carne non conobbe la corruzione, mentre questo vegliardo benedetto, il falegname Giuseppe, al quale avete fatto così grande onore di chiamarlo vostro padre e al quale avete obbedito in tutto, e a proposito del quale ci avete dato degli ordini, dicendo: 

[3] "Quando vi investirò di forza e quando vi avrò mandato colui che é il promesso del Padre mio, cioé il Paraclito, lo Spirito santo, inviandoci a predicare il santo vangelo, predicherete anche il mio santo padre Giuseppe"; ed ancora: "Dite queste parole di vita nel testamento della sua uscita dal corpo"; ed ancora: "Leggete le parole di questo testamento nei giorni di festa e nei giorni sacri"; ed ancora: "Nei giorni di festa leggete questo testamento all'uomo che non ha imparato la scrittura", ed ancora: " Mi vendicherò contro colui che eliminerà o aggiungerà qualcosa di queste parole, relegandomi tra i bugiardi". 

[4] Siamo stupiti giacché dal giorno in cui siete nato a Betlemme, l'avete chiamato vostro padre secondo la carne, e ciononostante non gli avete promesso l'immortalità per farlo così vivere eternamente". 

[31, 1] Il Salvatore nostro ci rispose dicendo: "La sentenza che mio Padre ha emanato contro Adamo non sarà invalidata, poiché disobbedì ai suoi ordini. Allorché mio Padre decreta che l'uomo sia giusto, questi diviene suo eletto. Allorché l'uomo, desiderando fare del male, ama le opere del diavolo, se egli lo lascia vivere a lungo, non sa forse che qualora non faccia penitenza, cadrà nelle sue mani? Ma quando una persona raggiunge un'età avanzata compiendo opere buone, queste opere fanno di lui un vegliardo. 

[2] Ogni volta che egli (Dio) vede qualcuno pervertire le sue vie, gli abbrevia la vita. Egli così interviene nei loro giorni. Ogni profezia pronunziata da mio Padre sul genere umano deve compiersi e realizzarsi interamente. 

[3] Mi avete parlato anche di Enoc e di Elia, dicendo: "Vivono nella carne in cui sono nati", e a proposito di Giuseppe, mio padre secondo la carne: "Perché non l'avete lasciato vivere nella carne fino al presente?". Avesse pur vissuto duemila anni, gli era pur sempre necessario morire. 

[4] Mie sante membra, vi assicuro che ogni qualvolta Enoc ed Elia pensano alla morte vorrebbero non avere più nulla da fare con essa ed essere ormai liberi dalla grande angoscia nella quale si trovano. Costoro, infatti, devono morire in un giorno di terrore, di tormento, di clamore, di minaccia e di afflizione. Questi due uomini saranno uccisi dall'anticristo e, per un bicchier d'acqua, verseranno il loro sangue sulla terra, a causa della vergogna che gli faranno subire rimproverandolo". 

[32, 1] Noi rispondemmo: "Signore e Dio nostro, chi sono i due uomini dei quali avete detto che saranno uccisi dal figlio di perdizione per un bicchiere d'acqua?". Gesù nostro Salvatore e nostra vita, rispose: "Sono Enoc ed Elia". Mentre il nostro salvatore ci diceva questo, noi ci rallegrammo e fummo pieni di gioia, lo ringraziammo innalzando a lui omaggi e lodi, a lui che é nostro Salvatore e nostro Dio. A lui dal quale giunge al Padre ogni gloria e ogni lode, a lui stesso e allo Spirito vivificatore, ora e in ogni tempo fino all'eternità di tutte le eternità. Amen! 

AMDG et BVM

giovedì 1 settembre 2016

DENARO / pecunia

DENARO
1. Moneta; mezzo di scambio. Nell’antichità spesso si barattavano capi di bestiame, vale a dire un capo veniva dato in cambio di un altro, e questo evidentemente è il più antico metodo di compravendita. Indicativo è il fatto che il termine latino pecunia (da cui il nostro aggettivo “pecuniario”) deriva da pecus, che significa “bestiame”. Tuttavia bestiame (Ge 47:17) e viveri (1Re 5:10, 11) non erano sempre un comodo mezzo di scambio. Perciò si cominciarono a usare metalli come oro e argento. Già all’epoca di Abraamo metalli preziosi servivano come denaro. Ma non si trattava di moneta coniata in modo convenzionale. Si trattava di argento e oro, senza dubbio per comodità sotto forma di lingotti, anelli, braccialetti o altri oggetti aventi un determinato peso. (Cfr. Ge 24:22; Gsè 7:21). Il comune termine ebraico reso “denaro” letteralmente significa “argento”. (Ge 17:12, nt.) Spesso gli oggetti di metallo venivano pesati dagli interessati all’atto del pagamento. — Ge 23:15, 16; Ger 32:10.
Dato che nelle operazioni commerciali si usavano pesi, è comprensibile che questi avessero anche valore monetario. (Vedi PESI E MISURE). Presso gli israeliti esistevano cinque unità principali: la ghera, il mezzo siclo (bèqaʽ), il siclo, la mina (manèh) e il talento. (Eso 25:39; 30:13; 38:25, 26; 1Re 10:17; Ez 45:12; vedi GHERA, II; MINA; SICLO; TALENTO). Il loro valore è indicato sotto. 
(In anni recenti il prezzo dell’oro e dell’argento ha subìto variazioni. In questa pubblicazione l’oro è valutato 16.000 lire al grammo e l’argento 300 lire al grammo; anticamente la proporzione fra l’oro e l’argento si ritiene fosse invece di 13 a 1).
1 ghera = 120 di siclo
Oro L. 9.120
Argento L. 171
bèqaʽ = 10 ghera
Oro L. 91.200
Argento L. 1.710
1 siclo = 2 bèqaʽ
Oro L. 182.400
Argento L. 3.420
1 mina = 50 sicli
Oro L. 9.120.000
Argento L. 171.000
1 talento = 60 mine
Oro L. 547.200.000
Argento L. 10.260.000
Il valore del “pezzo di denaro” (ebr. qesitàh) menzionato in Genesi 33:19, Giosuè 24:32 eGiobbe 42:11 non può essere stabilito con precisione. Pure incerto è il valore del pim, che forse equivaleva a circa due terzi del siclo. — 1Sa 13:21; vedi PIM.
Monete nelle Scritture Ebraiche. Si ritiene comunemente che le prime monete siano state coniate verso il 700 a.E.V. Perciò è possibile che gli israeliti abbiano usato le prime monete coniate nel loro paese dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia. I libri della Bibbia posteriori all’esilio menzionano il darico persiano (1Cr 29:7; Esd 8:27) e le dramme (ebr.darkemohnìm), pari generalmente al darico. (Esd 2:69; Ne 7:70-72) Il darico d’oro persiano pesava 8,4 g e quindi attualmente varrebbe 134.000 lire. — Vedi DARICO; DRAMMA.
Monete dell’epoca delle Scritture Cristiane. Nelle Scritture Greche Cristiane sono menzionate le seguenti monete: il lepton (Giudea), il quadrante (Roma), l’asse (Roma e province), il denaro (Roma), la dramma (Grecia), il didramma (Grecia) e lo statere (Grecia; ritenuto da alcuni il tetradramma di Antiochia o di Tiro). (Mt 5:26; 10:29;17:24, 27; 20:10; Mr 12:42; Lu 12:6, 59; 15:8; 21:2Int; vedi DENARO n. 2; STATERE). Le unità monetarie di valore molto maggiore, quali la mina e il talento, erano pesi e non monete. (Mt 18:24; Lu 19:13-25
La tabella che segue indica il rapporto fra le varie unità monetarie e ne dà il valore attuale approssimativo.
1 lepton (rame o bronzo) = 1quadrante
Valore attuale L. 9,02
1 quadrante (rame o bronzo) = 2 lepton
Valore attuale L. 18,04
1 asse (rame o bronzo) = 4 quadranti
Valore attuale L. 72,16
1 denaro (argento) = 16 assi
Valore attuale L. 1.155
1 dramma (argento) =
Valore attuale L. 1.020
1 didramma (argento) = 2 dramme
Valore attuale L. 2.040
1 tetradramma* = 4 dramme
Valore attuale L. 4.080
1 mina (argento) = 100 dramme
Valore attuale L. 102.000
1 talento (argento) = 60 mine
Valore attuale L. 6.120.000
1 talento (oro) =
Valore attuale L. 326.400.000
Potere d’acquistoL’equivalente attuale delle monete antiche non dà un’idea precisa del loro valore. La Bibbia invece fornisce informazioni circa il loro potere d’acquisto e questo aiuta a capire che valore avevano un tempo. All’epoca del ministero terreno di Gesù i braccianti agricoli ricevevano di solito un denaro per una giornata lavorativa di 12 ore. (Mt 20:2) Si presume che all’epoca delle Scritture Ebraiche la paga fosse più o meno uguale. In tal caso un siclo d’argento sarebbe stato pari al salario di tre giorni.
Il prezzo di uno schiavo era 30 sicli d’argento (forse il salario di 90 giorni). (Eso 21:32; cfr.Le 27:2-7). Il profeta Osea acquistò una donna per 15 pezzi d’argento e un homer e mezzo (15 efa) di orzo. Probabilmente questo equivaleva all’intero prezzo di uno schiavo. In tal caso un’efa (22 litri) di orzo allora valeva un siclo. — Os 3:2.
In tempi di carestia i prezzi salivano bruscamente. Gli 80 pezzi d’argento (il salario di circa 240 giorni) con cui un tempo si potevano acquistare 8 homer (1.760 litri) di orzo, durante un assedio bastavano solo per l’ossuta testa di un asino, animale che secondo la Legge mosaica non era neanche commestibile. — 2Re 6:25; cfr. Os 3:2.
Nel I secolo E.V. due passeri costavano un asse (il salario di 45 minuti di lavoro), e cinque passeri si potevano comprare per due volte tanto. (Mt 10:29; Lu 12:6) La vedova bisognosa osservata da Gesù offrì ancor meno, solo due lepton (1 quadrante), cioè 1/64del salario di una giornata di lavoro. Eppure Cristo Gesù la lodò perché, avendo offerto non parte di ciò che aveva in più, ma “tutto quello che aveva, tutto il suo sostentamento, la sua offerta era maggiore di quella di chi aveva dato molto”. (Mr 12:42-44; Lu 21:2-4) La tassa annuale del tempio pagata dagli ebrei era di due dramme o di un didramma (il salario di circa due giorni). (Mt 17:24) Poiché una dramma equivaleva più o meno al salario di una giornata lavorativa, era ragionevole che una donna scopasse tutta la casa e cercasse con cura la dramma smarrita. — Lu 15:8, 9.
Giuda Iscariota tradì Gesù per 30 pezzi d’argento, evidentemente il prezzo di uno schiavo. (Mt 26:14-16, 47-50) Quei pezzi d’argento dovevano essere sicli o monete di pari valore. La Bibbia non specifica che monete fossero, ma solo che erano d’argento.
Il denaro può essere sia utile che nocivo. Il denaro costituisce una protezione contro la povertà e i relativi problemi, poiché permette di procurarsi cose più o meno necessarie. (Cfr. Ec 7:12; 10:19). Per questa ragione esiste la possibilità che uno cominci a confidare nel denaro e dimentichi il Creatore. (Cfr. De 8:10-14). “L’amore del denaro [lett., affetto per l’argento] è la radice di ogni sorta di cose dannose, e correndo dietro a questo amore alcuni sono stati sviati dalla fede e si sono del tutto feriti con molte pene”. (1Tm 6:10) Per denaro alcuni hanno pervertito la giustizia, si sono prostituiti, hanno assassinato, hanno tradito altri e hanno travisato la verità. — De 16:19; 23:18; 27:25; Ez 22:12; Mt 26:14, 15;28:11-15.
Viceversa il giusto uso del denaro è approvato da Dio. (Lu 16:1-9) Questo include le contribuzioni per promuovere la pura adorazione e l’aiuto materiale a quelli nel bisogno. (Cfr. 2Cr 24:4-14; Ro 12:13; 1Gv 3:17, 18; vedi CONTRIBUZIONE; DONI DI MISERICORDIA). 
Anche se col denaro si può fare molto bene, le cose più preziose — cibo e bevanda spirituali, la vita eterna stessa — si possono acquistare senza di esso. — Isa 55:1, 2; Ri 22:17.
2. (Lat. denarius). Moneta d’argento romana più o meno del peso di 3,85 g, che quindi attualmente varrebbe 1.155 lire. Aveva l’effigie della testa di Cesare ed era “la moneta del tributo” che i romani esigevano dagli ebrei. (Mt 22:19-21) Ai giorni del ministero terreno di Gesù i braccianti agricoli di solito ricevevano un denaro per una giornata lavorativa di 12 ore. (Mt 20:2) Perciò Rivelazione 6:6 descrive una condizione terribile dicendo che una chenice di grano o tre chenici d’orzo sarebbero costate un denaro (la paga di un’intera giornata).
Se il costoso nardo che Maria, sorella di Lazzaro, usò per ungere Gesù Cristo fosse stato venduto per 300 denari (quasi il salario di un anno), probabilmente una bella somma sarebbe finita nella cassa che teneva Giuda Iscariota. Non è strano che il disonesto Giuda Iscariota sollevasse vivaci obiezioni, dal momento che non fu in grado di appropriarsi neanche di una minima parte di quella somma. — Gv 12:3-6; 13:29; Mr 14:3-11.
Il buon samaritano dell’illustrazione di Gesù spese due denari (il salario di due giorni) per aiutare uno straniero sconosciuto, e si dichiarò disposto a sobbarcarsi ad altre spese. (Lu 10:33-35) Invece, in un’altra illustrazione di Gesù che metteva in risalto la necessità di essere clementi, uno schiavo il cui debito di 60.000.000 di denari era stato annullato non fu disposto a rimettere il debito di 100 denari a un compagno di schiavitù. — Mt 18:24-33.

Narrazione di Giuseppe d'Arimatea // Ci son cose assai preziose nei Vangeli occultati


Narrazione di Giuseppe d'Arimatea che chiese il corpo del Signore, in cui sono contenuti anche i motivi della condanna dei due ladroni




[1, 1] Io, Giuseppe d'Arimatea, che ho chiesto a Pilato il corpo di nostro Signore Gesù per seppellirlo, fui imprigionato dagli Ebrei omicidi e deicidi i quali mantenendo la legge di Mosè sono diventati agenti di afflizione: hanno suscitato l'ira del legislatore misconoscendo il Dio da loro crocifisso, e hanno dimostrato la sua divinità a tutti i credenti. Presentazione dei due ladroni. Sette giorni prima che essi condannassero alla morte in croce il figlio di Dio, a Pilato erano stati mandati due uomini catturati a Gerico con i seguenti capi d'accusa. 

[2] Il primo, di nome Gesta, aveva assassinato dei viandanti e depredato altri, appeso donne con i piedi in alto e la testa in basso e tagliato loro i seni, e bevuto il sangue dei bambini, dopo averli mutilati; non aveva mai riconosciuto alcun dio,  obbedito ad alcuna legge: si era comportato così fin dall'inizio della sua vita. Ecco invece qual era la situazione dell'altro. Si chiamava Dema, era galileo e aveva un albergo; ospitava i ricchi, ma faceva anche del bene ai bisognosi e, come Tobia, seppelliva segretamente i morti poveri; si industriava di derubare i beni degli Ebrei, rubò anche la legge a Gerusalemme; depredò la stessa figlia di Caifa, sacerdotessa del santuario, e sottrasse persino il deposito segreto collocatovi da Salomone. Queste le azioni delle quali si era reso colpevole. 

[3] Gesù fu dunque arrestato tre giorni prima della pasqua, nella sera. Né Caifa né tutto il popolo ebraico volevano festeggiare la pasqua a causa del loro profondo dolore per il furto che era stato consumato nel santuario. Il compito di Giuda. Chiamarono Giuda Iscariota e glielo dissero: egli era, infatti, figlio del fratello del grande sacerdote Caifa; siccome non era uno dei discepoli che seguivano Gesù, tutti gli Ebrei l'istigarono a seguirlo, non per credere ai prodigi che egli operava né per approvare i suoi discorsi, ma per consegnare Gesù nelle loro mani dandogli una parola menzognera. Per questa bella impresa ricevette due dramme d'oro al giorno. C'era pure, a quanto si dice, uno dei discepoli chiamato Giovanni che aveva passato due anni con Gesù. 

[4] Tre giorni prima di impadronirsi di Gesù, Giuda disse agli Ebrei: "Su, teniamo consiglio e deliberiamo che non è il ladrone che ha rubato la legge, ma Gesù in persona. Io poi mi incarico dell'arresto". Quando furono pronunciate queste parole uno di noi, di nome Nicodemo, che custodiva le chiavi del santuario, si rivolse a tutti dicendo: "Non commettete un simile crimine!". Nicodemo era più leale di tutti gli altri Ebrei. Ma la moglie di Caifa, di nome Sarra, gridò: "Parlando in questo luogo santo, Gesù stesso disse: "Io posso distruggere il tempio e ricostruirlo in tre giorni"". Gli Ebrei le risposero: "Noi tutti crediamo alle tue parole!". Terminato il consiglio, Gesù fu arrestato. 

[2, 1] Gesù davanti a Anna e Caifa. Il giorno appresso, il quattro del mese, all'ora nona lo condussero davanti a Caifa. Anna e Caifa: "Perchè hai tu rubato la nostra legge, e messo all'asta pubblica le promesse di Mosè e dei profeti?". Ma Gesù non rispose. Radunatasi nuovamente la moltitudine, qualcuno gli domando: "Perchè volevi tu distruggere in un istante il tempio che Salomone ha costruito in quarantasei anni?". Gesù non rispose: il tempio che è stato saccheggiato dal ladro è quello della sinagoga. 

[2] Verso sera, sulla fine del quarto giorno, tutta la moltitudine domandava che, a motivo della perdita della legge, la figlia di Caifa fosse data alle fiamme; e non si sapeva come celebrare la pasqua. Ma lei disse: "Perseverate, figli, continuate e mettete a morte questo Gesù. Così è la legge e in tal modo celebreremo la festività". Giuda accusatore. Anna e Caifa ricompensarono segretamente Giuda Iscariota dandogli una somma molto forte e gli dissero: "Parla come ci hai detto: "Io ho visto che la legge è stata rubata da Gesù e non da questa irreprensibile giovane"". Giuda rispose loro: "E' indispensabile che tutto il popolo ignori queste raccomandazioni che mi avete fatto a proposito di Gesù. Lasciatelo e io mi incarico di persuadere il popolo che le cose sono così". E, astutamente, misero Gesù in libertà. 

 [3] Nel quinto giorno, Giuda andò nel tempio e, rivoltosi a tutto il popolo, disse: "Che cosa mi darete s'io vi consegno colui che ha detronizzato la legge e rubato i profeti?". Gli Ebrei gli risposero: "Se tu ce lo consegni, ti daremo trenta denari d'oro". Il popolo ignorava che Giuda intendeva parlare di Gesù: era, infatti, opinione diffusa che egli fosse figlio di Dio. Giuda si prese i trenta denari d'oro. [4] Andato al santuario all'ora quarta e all'ora quinta Giuda trovò Gesù che discorreva nell'atrio. Fattasi sera, disse agli Ebrei: "Datemi una scorta di soldati armati di spade e di bastoni, e ve lo consegnerò". Gli diedero così una scorta per prenderlo. Cammin facendo, Giuda disse ai suoi compagni: "Afferrate colui ch'io bacerò. E' lui che ha rubato la legge e i profeti". E avvicinatosi a Gesù, lo baciò, dicendo: "Salve, Rabbi!". Era la sera del quinto giorno. Afferratolo, lo portarono da Caifa e dai sommi sacerdoti; Giuda disse: "Costui è quegli che ha rubato la legge e i profeti". E gli Ebrei sottoposero Gesù a un iniquo interrogatorio dicendo: "Perchè tu hai fatto questo?". Ma Gesù non rispondeva. Vedendo questa cattedra di empi, Nicodemo e io, Giuseppe, ci allontanammo da loro, non volendo perderci con il consiglio degli empi. 

[3, 1] Gesù in croce tra i due ladroni. Durante questa notte inflissero a Gesù molti trattamenti indegni e, nella vigilia del sabato, lo consegnarono a Pilato, il governatore, affinché fosse crocifisso: in questo convennero tutti. E' per questo che, dopo averlo interrogato, il governatore Pilato ordinò che fosse crocifisso con due ladroni: insieme a Gesù furono crocifissi Gesta, alla sua sinistra, e Dema, alla sua destra. 

[2] Quello che si trovava a sinistra cominciò a gridare dicendo a Gesù: "Guarda quanti delitti ho commesso sulla terra! Sebbene sapessi che tu sei re, pensavo che saresti perito. Perchè tu che dici di essere figlio di Dio, non puoi salvare te stesso, nel bisogno? Come puoi tu soccorrere un altro che ti invochi? Se tu sei il Cristo, discendi dalla croce, ed io crederò in te. Per ora io non ti considero un uomo, ma una bestia feroce condannata a morire con me". E proseguì dicendo molte altre cose su Gesù, bestemmiando e digrignando i denti contro di lui. Questo ladrone era, infatti, caduto negli inganni del demonio. 

[3] Il buon ladrone. Ma il ladrone di destra, che si chiamava Dema, vedendo che la grazia divina era diffusa su Gesù, gli rivolse la parola così: "Io vedo, Gesù Cristo, che tu sei il figlio di Dio. Io ti vedo, Cristo, adorato da migliaia di miriadi di angeli. Perdona i peccati da me commessi! Fa' che né le stelle, né gli astri della notte assistano alla mia condanna allorchè tu verrai a giudicare tutta la terra: è, infatti, durante la notte che ho portato a compimento i miei perversi disegni. Fa' che il sole, oscuratosi adesso per te, non si muova per illuminare il male che è dentro il mio cuore: io, nulla posso offrirti per espiare le mie colpe. Ecco che mi sovrasta la morte a causa dei miei peccati, ma tu sei l'espiazione: liberami, o padrone dell'universo, dalla tua terribile riprovazione; non permettere al demonio di inghiottirmi e di ereditare l'anima mia come quella del miserabile che è crocifisso alla tua sinistra. Vedo, infatti, che il demonio si impadronisce con gioia della sua anima, mentre il suo corpo diventa a poco a poco invisibile. Non mettermi neppure dalla parte degli Ebrei, giacchè vedo Mosè e i patriarchi immersi in una profonda desolazione, mentre il demonio gioisce del loro dolore. Perciò, o padrone, prima che io renda il mio spirito, ordina che siano rimessi i miei peccati, ricordati di me, povero peccatore, nel tuo regno, allorchè sull'alto tuo trono che domina i cieli, verrai a giudicare le dodici tribù di Israele, poichè per opera tua hai offerto al mondo il mezzo di evitare un grande castigo". 

[4] Mentre questo ladrone parlava così, Gesù gli rispose: "In verità ti dico, tu, Dema, sarai oggi con me in paradiso, e i figli del regno, i discendenti di Abramo, di Isacco, di Giacobbe e di Mosè, saranno gettati nelle tenebre esteriori, ove sarà pianto e stridore di denti. Tu solo abiterai nel paradiso fino alla mia seconda venuta, quando verrò per giudicare quanti non avranno confessato il mio nome". Disse ancora al ladrone: "Quando sarai partito, dì ai cherubini e alle dominazioni che portano la spada fiammeggiante, custodi del paradiso dal quale è stato scacciato il primo uomo Adamo ch'io avevo posto nel paradiso ma non ha osservato i miei ordini, che nessuno dei primi vedrà il paradiso fino a quando verrò io per la seconda volta per giudicare i vivi e i morti: così sta scritto. Io Gesù Cristo, figlio di Dio, disceso dal più alto dei cieli, uscito dall'invisibile seno del Padre mio, senza esserne separato, venuto sulla terra per prendere un corpo ed essere crocifisso per salvare Adamo, mia creatura, alle dominazioni dei miei arcangeli, ai portieri del paradiso, ai ministri del Padre mio, prescrivo e ordino l'ammissione di colui che è stato crocifisso con me; in virtù mia abbia la remissione dei peccati, vestito di un corpo immortale entri nel paradiso e abiti là ove nessuno mai ha potuto abitare". Dopo queste parole, Gesù rese lo spirito: era la vigilia del sabato, l'ora nona. Tenebre si estesero su tutta la terra e si sentì un grande terremoto: crollò il santuario e anche il pinnacolo del tempio. 

[4, 1] Sepoltura di Gesù e sua apparizione a Giuseppe. Io, Giuseppe, chiesi il corpo di Gesù e lo seppellii in un sepolcro nuovo dove ancora non era stato posto alcuno; ma il corpo del ladrone che era stato crocifisso alla sua destra non lo si trovò più, mentre il corpo di quello che era stato crocifisso alla sua sinistra era simile a quello di un dragone. Poichè io avevo chiesto il corpo di Gesù per seppellirlo, gli Ebrei si irritarono contro di me e mi rinchiusero in una prigione ove, con la forza, erano trattenuti i malfattori. Era la sera del sabato quando mi si inflisse questo trattamento con il quale la nostra nazione recava oltraggio alla giustizia. Ecco quale terribile malvagità la nostra nazione praticava nel giorno di sabato. 

[2] Precisamente nella sera del primo giorno della settimana, all'ora quinta della notte. Gesù venne da me in prigione, con il ladrone che era stato crocifisso alla sua destra e che aveva mandato in paradiso: nella camera risplendette una luce accecante, la casa fu sospesa ai quattro angoli, si aprì così un passaggio e io sono uscito. Prima dunque riconobbi Gesù, poi il ladrone che portava una lettera a Gesù. Quando ci mettemmo in cammino per la Galilea brillò una luce così grande che la creazione non poteva sopportare; mentre dal ladrone emanava un gradito profumo che è quello del paradiso. 

[3] Lettera dei cherubini. Gesù si assise in un luogo e lesse così: "Noi cherubini e angeli, che dalla tua divinità ricevemmo l'ordine di custodire il giardino del paradiso, ti comunichiamo quanto segue per opera del ladrone che è stato crocifisso con te: alla vista dell'impronta dei chiodi del ladrone che fu crocifisso con te e dello splendore delle lettere della tua divinità, il fuoco s'è spento, incapace di resistere allo splendore di questa impronta e venne su di noi un timore grande; udimmo il creatore del cielo e della terra e di tutta la creazione, che discendeva dalle regioni più elevate fino alle profondità della terra per il primo uomo, Adamo. Vedendo la croce immacolata che sfolgorava, per mezzo del ladrone, con uno splendore sette volte più vivo di quello del sole, fummo colti dalla paura, risentimmo il tremore della terra e la grande voce dei servi degli inferi che dicevano con noi: "Santo, santo, santo è colui che comanda nel più alto dei cieli"; mentre le potestà innalzavano il grido: "Signore, ti sei manifestato in cielo e sulla terra apportando al mondo la gioia, ma con un dono ancora più bello di questo, con la tua invisibile volontà eterna tu hai liberato la stessa opera dalla morte!"". 

[5, 1] Gesù, Giovanni, il ladrone, Giuseppe. Io ho contemplato queste cose mentre andavo in Galilea con Gesù e il ladrone. Gesù si trasfigurò e non era più come prima che fosse crocifisso, ma era diventato tutto luce. Gli angeli lo servivano continuamente e Gesù parlava con essi. Io passai con lui tre giorni: non c'era con lui alcuno dei suoi discepoli, ma soltanto il ladrone. 

[2] A metà della festa degli azzimi sopraggiunge il suo discepolo Giovanni. Noi non notammo più il ladrone, né sapevamo che cosa ne era avvenuto. Giovanni allora domandò a Gesù: "Chi era costui che tu non mi hai neppure presentato a lui?". Ma Gesù non gli rispose. Giovanni si prostrò allora davanti a lui, dicendo: "Signore, so che tu mi hai amato fin da principio, e perchè mai non mi fai conoscere quest'uomo?". Gesù gli rispose: "Perchè domandi tu cose nascoste? Sei diventato ottuso a un tratto? Non percepisci il profumo del paradiso che pervade questo luogo? Non conosci tu quest'uomo? E' il ladrone crocifisso il quale ha ottenuto il paradiso. In verità in verità ti dico che lui solo non attenderà il gran giorno". Giovanni gli chiese: "Rendimi degno di vederlo!". 

[3] Giovanni stava ancora parlando allorchè, tutt'a un tratto, gli apparve il ladrone; Giovanni, esterrefatto, si prostrò a terra. Il ladrone non era più come prima dell'arrivo di Giovanni, bensì assomigliava a un re soffuso da una grande potenza; portava la sua croce e s'udirono più voci dire insieme: "Vieni nel luogo del paradiso che ti è stato preparato! Abbiamo disposto che tu sia servito fino al gran giorno, per volere di colui che ti ha mandato". Dopo queste parole, il ladrone e io, Giuseppe, diventammo invisibili: io mi ritrovai a casa mia, ma non vidi più Gesù. 

[4] Avendo visto queste cose, le scrissi affinchè tutti credano in Gesù Cristo crocifisso, nostro Signore, e più nessuno serva alla legge di Mosè; si presti fede, invece, ai segni e prodigi da lui operati, e per mezzo di questa fede ereditiamo la vita eterna e possiamo incontrarci nel regno dei cieli. Giacchè a lui spetta gloria, potenza, lode e grandezza nei secoli dei secoli. Amen. 

AMDG et BVM

Un segreto ricevuto dal Cielo


[128] Il beato Alano de la Rupe ed altri autori, fra i quali il Bellarmino, riferiscono la storia di quel buon sacerdote che aveva consigliato a tre sorelle, sue penitenti, di recitare devotamente il Rosario tutti i giorni per un amo intero, al fine di confezionare un bel vestito di gloria alla Vergine Maria: si tratta - egli diceva - di un segreto ricevuto dal cielo. 

Docili, le tre sorelle eseguirono puntualmente
per un anno il consiglio. Ed ecco che la sera del giorno della Purificazione, quando esse erano già aletto, la Madonna, accompagnata dalle sante Caterina e Agnese, entrò nella loro camera. 
Era rivestita di un abito splendente di luce; in lettere d'oro vi erano scritte le parole del saluto: Ave,
Maria, 
piena di grazia. 

La celeste Regina si avvicinò al letto della sorella maggiore e le disse: “Ti saluto, figlia mia!; tu mi hai salutato tanto spesso e così bene: ora vengo per ringraziarti del magnifico abito che mi hai confezionato”. Anche le due Sante accompagnatrici ringraziarono la giovane, poi tutte e tre scomparvero.

Un'ora dopo, la Vergine santissima ritornò, sempre accompagnata dalle due Sante; vestiva, questa volta, un abito verde, senza ricami in oro e senza alcuno splendore. Si avvicinò al letto della seconda sorella e la ringraziò per l'abito che le aveva fatto con la recita del Rosario. 

Nella prima apparizione costei aveva notato che l'abito della Madonna era molto più ricco, e chiese il motivo della differenza. “Perché - rispose Maria - la tua sorella maggiore mi ha fatto un abito assai più bello, recitando meglio di te il Rosario”. E scomparve.

Circa un'ora dopo, la Madonna riapparve, vestita di cenci laceri e sporchi; s'accostò alla sorella
minore e le disse: “Figlia mia, così tu mi hai vestita; ti ringrazio!”. Piena di confusione, la
giovinetta esclamò: “Possibile, Signora mia? io vi ho vestita così male? Perdonatemi e concedetemi un altro po' di tempo perché possa farvi un abito più bello recitando meglio il Rosario!”.
Cessata la visione, la povera giovane afflittissima andò dal confessore per raccontargli quanto le era accaduto. L'esimio sacerdote esortò lei e le altre sorelle a recitare il Rosario per un altro anno, con più impegno e devozione; così fecero. Trascorso l'anno, sempre nel medesimo giorno della Purificazione, sull'imbrunire, la Madonna riapparve alle tre sorelle. Era accompagnata come la prima volta, dalle sante Caterina e Agnese e vestiva un abito veramente magnifico. 

Disse loro:
“Siate certe, figlie mie: verrete in Paradiso; domani stesso vi entrerete e grande sarà la vostra
gioia”. Unanimi le sorelle risposero: “Il nostro cuore è pronto, nostra amata Signora; altro non
desideriamo”.
Quella stessa sera le sorelle, colte da malore, mandarono a chiamare il loro confessore, ricevettero da lui gli ultimi sacramenti e lo ringraziarono di aver insegnato loro quella santa pratica. La dolce attesa si protrasse fino all'ora della Compieta quando la Madonna ricomparve, preceduta da un folto stuolo di vergini che rivestirono di candide tuniche le sorelle. Così agghindate le tre fortunate si avviarono verso la celeste patria, mentre un coro d'Angeli cantava: “Venite, spose di Cristo, ricevete la corona che vi siete preparata voi stesse per l'eternità”.

Da questa leggenda derivano parecchi insegnamenti: 
1) quanto è importante avere buoni direttori che
consigliano sante pratiche di pietà e specialmente il Rosario; 
2) quanto è utile recitare il Rosario con attenzione e devozione; 
3) quanto è benigna e misericordiosa la Madonna con chi si pente e propone di far meglio nell'avvenire; 
4) quanto Ella è generosa nel ricompensare in vita, in morte e nell'eternità, i piccoli servizi che a Lei rendiamo fedelmente.


“Vieni, Spirito Santo, vieni
per mezzo della potente intercessione
del Cuore Immacolato di Maria ,
tua amatissima Sposa”