domenica 1 dicembre 2013

SANT' ANTONIO: Nella sua prima venuta Gesù fu umile; nella seconda sarà terribile, amabile, soave e desiderabile e benedetto nei secoli.

Il Santo Rosario
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Dicembre

1. Considera che quattro sono gli "avventi" (le venute) del Signore. Il primo "avvento" fu nella carne. Il secondo "avvento" avviene nella mente; è detto infatti: "Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui" (Gv 14,23). Il terzo "avvento" si verificherà al momento della nostra morte, come sta scritto: "Beato quel servo che il Signore al suo ritorno troverà al lavoro" (Lc 12,43). Infine il quarto "avvento" sarà nella gloria, come leggiamo nell'Apocalisse: "Ecco, verrà sulle nubi e ogni occhio lo vedrà" (Ap 1,7).

2. Nella sua prima venuta Gesù fu umile; nella seconda sarà terribile, amabile, soave e desiderabile e benedetto nei secoli. Ogni uomo infatti, nel giudizio finale, vedrà Gesù Cristo. Gli empi a loro confusione "vedranno colui che hanno trafitto" (Gv 19,37). Invece i giusti vedranno la salvezza di Dio.

3. Chi piange per i propri peccati o per quelli del prossimo o per la miseria di questo esilio terreno, o per il ritardo di giungere al regno dei cieli, viene consolato dal Signore, il quale consolò la madre sua che piangeva durante la sua passione, dicendole: "Donna, ecco il tuo figlio!".

4. Considera che l'olio condisce tutti i cibi, così anche noi dobbiamo condire con il timore di Dio tutto ciò che facciamo, perché il salmo dice: "Servite il Signore nel timore" (Sal 2,11) e chi è in piedi stia attento a non cadere (cf. 1Cor 10,12).

5. O Israele, cioè o anima fedele, che per mezzo della fede vedi Dio, preparati all'incontro con il suo Figlio, perché è vicino il suo avvento, che si celebra nelle prossime feste. Il Figlio di Dio, venendo in mezzo a noi con l'incarnazione, valicò i cori degli angeli e giunse "saltando per i monti e balzando per le colline" (Ct 2,8).

6. Quando ascoltiamo la parola di Dio, prima veniamo illuminati nel cuore, per poter poi camminare sul retto sentiero. Mentre camminiamo, dobbiamo tenere in mano la lampada accesa, il che avviene quando mostriamo al prossimo le opere buone, fatte con retta intenzione, la quale deve illuminare ogni nostra azione.

7. Osserva che nella confessione il peccatore deve compiere tre atti: pentirsi dei peccati commessi, avere il fermo proposito di non ricadervi, obbedire a tutto ciò che gli comanda il confessore. Se la nostra barca viene legata al legno della croce del Signore con questa fune, non potrà mai venir strappata.

8. La Beata Vergine Maria è paragonata alla luna piena, perché è perfetta sotto ogni aspetto. Mentre la luna nel suo ciclo è talvolta incompleta, quando è dimezzata e quando è falcata, la gloriosa Vergine Maria mai ebbe delle imperfezioni: né nella sua nascita, perché fu santificata ancora nel grembo materno e custodita dagli angeli; né durante i giorni della sua vita, perché mai peccò di superbia: sempre rifulse di pienezza di perfezione. Ed è detta luce perché dissolve le tenebre.

Ti preghiamo dunque, o nostra Signora, perché tu, che sei la stella del mattino, scacci con il tuo splendore la nuvola della suggestione diabolica, che copre la terra della nostra mente. Tu che sei la luna piena, riempi la nostra vuotezza, dissolvi le tenebre dei nostri peccati, affinché meritiamo di giungere alla pienezza della vita eterna e alla luce della gloria infinita.


9. Quando un vaso è pieno, tutto ciò che vi si versa in più va perduto. Chi è pieno delle cose temporali, non può venir riempito della conoscenza della volontà di Dio. Chi ne vuole essere pieno, è necessario che venga prima condotto nel deserto: là potrà sentire il soffio di una brezza leggera che penetra nel suo cuore, e così sarà riempito della conoscenza della divina volontà.

10. La cattiveria trova tutto stretto; invece la povertà e l'obbedienza, proprio per il fatto che sono strette, danno la libertà: perché la povertà rende ricchi e l'obbedienza rende liberi.

11. Dobbiamo confidare solo in colui che ha fatto noi, e non in quello che noi abbiamo fatto. Colui che ha fatto noi è tutto il Bene, il sommo Bene; invece il bene che abbiamo fatto noi è sempre inquinato dai nostri peccati. Tu stesso perciò devi distinguere in quale bene si deve confidare: unicamente nel "buon" Signore Gesù.

12. Cristo con le braccia aperte sulla croce, quasi come due ali, accoglie coloro che a lui accorrono, e nel rifugio delle sue piaghe li nasconde dalla minaccia dei demoni. Infatti le piaghe di Gesù Cristo parlano di noi al Padre non per ottenere vendetta, ma per impetrare misericordia. Con l'apertura del costato del Signore, venne aperta la porta del paradiso, dalla quale rifulse a noi lo splendore della luce eterna.

13. Il sacco fatto di crine, il cilicio, i miseri pannicelli nei quali Gesù fu avvolto, l'umile luogo del presepio nel quale fu adagiato, ci invitano a svegliarci dal sonno e a scacciare le vane fantasie sulle cose di questo mondo.
14. La luce splendente si ebbe nell'incarnazione del Verbo, dalla quale scaturì la fede; il giorno pieno si verificò nella passione, con la quale fu più vicina la salvezza. "Che cosa ci sarebbe servito l'essere nati, se non fossimo stati redenti?" (cf. Exultet della veglia pasquale).

15. "Godete sempre nel Signore! Ve lo ripeto: godete". Per ben due volte l'Apostolo ripete l'invito a godere, e questo a motivo del duplice dono della prima e della seconda venuta del Signore. Dobbiamo godere perché nella prima venuta ci ha portato le ricchezze della redenzione, e nella seconda ci darà la ricompensa e la gloria.

16. Il Signore tacque come un agnello quando fu condotto alla passione; e anche ora sta in silenzio, perché non interviene con minacce o castighi. È paziente, aspetta che ognuno faccia penitenza. Ma nel giorno del giudizio griderà come una partoriente, lasciando libero corso al rammarico sì a lungo represso. Allora disperderà tutte le ricchezze accumulate iniquamente e distruggerà il loro potere; renderà deserti i monti e i colli, cioè abbatterà la superbia sia dei prelati che dei sottoposti, e farà inaridire ogni germe di gola e di lussuria.

17. L'"opera del Signore" è la creazione, la quale, ben considerata, porta colui che l'osserva all'ammirazione del suo Creatore. Se c'è tanta bellezza nella creatura, quanta ce ne sarà nel Creatore? La sapienza dell'artefice risplende nella materia. Ma coloro che sono schiavi dei sensi non comprendono tutto questo.

18. La sintesi di tutte le cose che sono state scritte per nostro ammaestramento consiste soprattutto in tre cose: nella creazione, nella redenzione e nel giudizio dell'ultimo giorno. La creazione e la redenzione ci insegnano ad amare Dio, l'ultimo giudizio a temerlo, "affinché in virtù della perseveranza e della consolazione che ci vengono dalle Scritture, teniamo viva la nostra speranza" (Rm 15,4).

19. O profondità della divina clemenza, che va ben oltre il fondo dell'umana intelligenza, perché la sua misericordia è senza numero. Sta scritto nel libro della Sapienza: "Dio, avendo tutto disposto con misura, calcolo e peso" (Sap 11,20), non volle rinchiudere la sua misericordia entro queste leggi, entro questi termini, anzi è la sua misericordia che tutto racchiude e tutto abbraccia. La sua misericordia è dovunque, anche nell'inferno, perché neppure il dannato viene punito nella misura che la sua colpa esigerebbe.

20. Oggi sono i poveri, i semplici, gli indotti, i rozzi e le vecchierelle che hanno sete della parola della vita, dell'acqua della sapienza salvatrice. Invece i cittadini di Babilonia che si ubriacano al calice d'oro della grande meretrice, i sapienti consiglieri del faraone, credete a me, costoro sono pieni di parole vuote.

21. Cristo è la verità. In Cristo ci fu la povertà, l'umiltà e l'obbedienza. Chi si scandalizza di queste cose, si scandalizza di Cristo. I veri poveri non si scandalizzano, perché solo essi vengono evangelizzati, cioè nutriti con la parola del vangelo, perché essi sono il popolo del Signore e le pecore del suo pascolo (cf. Sal 94,7).

22. Come Cristo ha accolto i ciechi per illuminarli, gli zoppi per farli camminare, i lebbrosi per mondarli, i sordi per restituire loro l'udito, i morti per risuscitarli e i poveri per evangelizzarli, così noi dobbiamo accoglierci scambievolmente.

23. Disse l'angelo ai pastori: "Questo sarà per voi il segno: troverete un Bambino avvolto in fasce e adagiato in una mangiatoia". Il Salvatore viene nell'umiltà e nella povertà. Beato colui che avrà questo segno sulla fronte e sulla mano, cioè nella fede e nelle opere.

24. Come il profeta Isaia, anche noi oggi desideriamo che i cieli si squarcino per poter contemplare, visibile nella carne, colui che è invisibile. Si squarci il cielo, discenda il Verbo e di fronte a lui si dissolva la superbia dei monti (i grandi di questo mondo) alla presenza della sua umanità. Chi sarebbe ancora così superbo, così arrogante e pieno di sé, se riflettesse a fondo sulla Maestà annientata, sulla Potenza resa debole e sulla Sapienza che balbetta?

25. Chi è tanto superbo, arrogante e orgoglioso, che, contemplando nel presepio la Maestà annichilita, la Potenza diventata debolezza, la Sapienza balbettante, non senta il cuore fondere come cera al fuoco?... E chi è tanto attaccato alle cose terrene e al denaro che, contemplando il Figlio di Dio avvolto in poveri panni, adagiato in una greppia, non senta il desiderio di liberarsi dalla schiavitù delle cose di questo mondo?

26. Ieri è nato il Signore, oggi viene lapidato il servo; ieri il Re è stato avvolto in fasce, oggi il soldato è stato spogliato della veste corruttibile; ieri il Salvatore è stato adagiato nel presepio, oggi Stefano viene portato in cielo.
Stefano s'interpreta "regola", o "coronato", oppure anche "che fissa lo sguardo". Regola dev'essere per noi il suo esempio: "Piegate le ginocchia" pregò per quelli che lo lapidavano: "Signore, non imputar loro questo peccato" (At 7,60). Fu coronato con il suo stesso sangue, e fissò lo sguardo nel Figlio di Dio: "Vedo i cieli aperti e Gesù che sta alla destra di Dio" (At 7,56.60).

27. "Il discepolo che Gesù amava". Pur senza essere nominato, con queste parole Giovanni viene come distinto dagli altri, non perché Gesù amasse solo lui, ma perché lo preferiva agli altri. Amava anche gli altri, ma questo "più intimamente". Lo gratificò di una maggiore tenerezza del suo amore perché l'aveva chiamato quando era ancora vergine, e perché vergine era rimasto: anche per questo gli affidò la Madre. E questo discepolo, durante l'ultima cena, posò il capo sul petto del Signore. Fu un grande segno di amore che lui solo posasse il capo sul petto di Gesù, "nel quale sono racchiusi tutti i tesori della sapienza e della scienza" (Col 2,3). E questo fatto era come il presagio di quanto avrebbe scritto sugli "arcani" della divinità, molto meglio degli altri.

28. Oggi Cristo è benedetto e lodato nei bambini Innocenti, che per lui e al suo posto sono stati oggi uccisi da Erode. Un Bambino è cercato, vengono uccisi dei bambini, nei quali nasce l'immagine, la figura del martirio e nei quali viene consacrata a Dio l'infanzia della chiesa. E la chiesa per bocca di Isaia dice: "Chi mi ha generato costoro? Io ero priva di figli e sterile, espatriata e condotta schiava: questi chi li ha allevati? Io ero abbandonata e sola, e questi dov'erano?" (Is 49,21).
O strazio, o pietà! I bimbi sorridevano alla spada dell'uccisore e si divertivano, i pargoletti! Gli agnellini, come afferrati per i piedi, vengono condotti al macello per essere uccisi per Cristo. Le olive nuove vengono portate al torchio per estrarne l'olio. Ecco la passione dei pargoli!
Quale il loro premio? "Sono attorno alla mensa del Signore, e cantano un canto nuovo". Per le preghiere dei santi Innocenti, conceda questo anche a noi, colui che è benedetto nei secoli.

29. La giustificazione dell'uomo si effettua in due modi: con la propria decisione e con l'ispirazione divina. Il Creatore coopera all'azione della sua creatura. Perciò, nell'opera della nostra giustificazione, egli esige il nostro volontario assenso. Sono necessari sia il nostro impegno sia la grazia divina. Invano uno si appoggia al libero arbitrio, se non è sostenuto dall'aiuto divino. Fa' dunque ciò che tocca a te, offrendo la tua volontà, e Dio farà quello che a lui compete, infondendoti la sua grazia.

30. Il Signore parla come una madre amorosa che, quando vuole abituare il figlioletto a camminare, gli mostra un pane o una mela: "Vieni", gli dice, "e te lo do!". E quando il bambino si avvicina che quasi lo prende, la madre a poco a poco si allontana e, sempre mostrando ciò che ha in mano, continua a dirgli: "Vieni, se vuoi prenderlo!". Anche alcuni uccelli tirano fuori dal nido i loro piccoli e con il loro volo insegnano loro a volare e a seguirli nell'aria.
La stessa cosa fa Cristo: per indurci a seguirlo, propone se stesso come esempio e ci promette il premio nel suo regno.

31. Niente è più prezioso del tempo, e, purtroppo, nulla si trova oggi che sia meno apprezzato. Passano i giorni della salvezza e nessuno riflette, nessuno si preoccupa di perdere un giorno, che non gli ritornerà mai più. Come non cadrà un capello dal capo, così neppure un istante di tempo andrà perduto... Dice l'Ecclesiastico: "O figlio, abbi cura del tempo!" (Eccli 4,23) perché è un dono sacrosanto...
O peccatore, il Signore ti ha concesso (imprestato) il tempo per guadagnarti la salvezza, e tu ti sei appropriato del tempo che ti è stato accordato, e l'hai sprecato. Ma, credi a me! Il Signore ti richiederà ciò che è suo, e farà giustizia. O Signore, se tu giudicherai severamente i giusti, che cosa ne sarà degli ingiusti?

BINOMIO INSCINDIBILE

R. DE MATTEILATINO E CHIESA CATTOLICA, BINOMIO INSCINDIBILE.

Il prof. de Mattei  -al Convegno Summorum Pontificum- ha affrontato un argomento che, potremmo dire, è coessenziale al nome stesso del nostro blog (Messainlatino): Il latino, lingua liturgica della Chiesa e della Cattolicità.

La tesi dello storico, sostenuta con dovizia di riferimenti documentali  che qui, ovviamente, non possiamo riportare, è che la lingua latina sia costitutiva della stessa liturgia cristiana: non, quindi, elemento accidentale che possa essere tranquillamente abrogato o modificato.

E' vero che la prima liturgia cristiana fu espressa nel greco della koiné, ma fin dai primi secoli a Roma l'utilizzo del latino si diffonde, secondo quanto possiamo ricostruire dai resti epigrafici.

Papa San Damaso, nel IV secolo, benché spagnolo di nascita, rafforzò la romanità, nelle sue due articolazioni: da un lato la petrinitas, cioè il primato del romano pontefice, dall'altro la latinitas, ossia la romanità della Chiesa . A lui si deve l'adozione della lingua latina come lingua universale della Chiesa, che esprime una rinnovata Weltanschauung della Chiesa.

Quando Teodosio il Grande vinse la battaglia del Frigido contro i pagani barbari, si saldò definitivamente l'unione tra il romano impero e la Fede cristiana. Fino alla riforma liturgica (1970), si continuò quindi a pregare per il romanus imperator, anche se il Sacro Romano Impero era stato dissolto nel 1806 e la stessa casa di Asburgo, che aveva per secoli cinto il serto imperiale, era decaduta nel 1918.

La liturgia della Chiesa non nasce nel IV-V secolo, ma in quel tempo essa fu codificata in stretta aderenza al traditum: in un rescritto del 416 Innocenzo I attesta come la Liturgia romana rappresentava l'antico costume fedelmente conservato. E' la tradizione di sempre, però romanamente sfrondata delle ampollosità che in Oriente ebbero tanto successo.

Il latino arrivò con la fede là dove le legioni romane non misero mai piede, come in Irlanda: ecco la risposta migliore contro chi crede che la Fede si sia inculturata nella latinità, e non viceversa. Le genti irlandesi non parlavano affatto il latino, e l'evangelizzazione avvenne in gaelico, ma accolsero la liturgia nella sua pura forma latina, la fecero propria e la difesero nei secoli contro le più dure persecuzioni.

Lungi dall'inculturarsi nella (inesistente) latinità irlandese, la Fede trapiantò la latinità nell'Irlanda e da là, grazie ai 40 benedettini irlandesi, si diffuse alla Scozia e pure in Inghilterra a sud del Vallo di Adriano, dove era quasi estinto perfino il ricordo dell'Impero romano. Da lì, ulteriormente, in Germania, altro territorio ove le legioni erano state fermate nella selva di Teutoburgo e la latinità romana non era prima pervenuta.

Il greco ambì a divenire come il latino lingua universale, a causa del nazionalismo del patriarcato di Costantinopoli. Il patriarca ambiva a soppiantare il Papa, sul rilievo del primato politico della Seconda Roma (Costantinopoli) rispetto alla decaduta Roma che non aveva più imperatori. Ma in Oriente il Patriarca era soggetto al cesaropapismo imperiale e non valeva molto più di un funzionario imperiale. Il greco scomparve gradualmente, poi, per effetto delle invasioni musulmane.

Quando l'Impero romano rinacque con Carlo Magno, la latinitas riassunse anche un ruolo politico di unificazione; e quando nel Basso Medioevo iniziarono a diffondersi le lingue nazionali, l'uso del latino non declinò, e restò la lingua internazionale fino al XVIII secolo, la lingua della Chiesa, della scienza, della diplomazia.

Vi è una necessità, sia pure storica e non metafisica, di relazione tra il cattolicesimo e la lingua latina. Quel binomio che il padre Chénu, alla vigilia del Concilio, si proponeva di spezzare eliminando il latino dalla vita della Chiesa. Il movimento liturgico pure auspicava un rinnovamento in tal senso in nome di una maggior partecipazione dei fedeli alla liturgia. 
Ma a questi aneliti rispondeva Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia, promulgata con la massima solennità (il giorno della Cattedra di Pietro, in San Pietro, davanti a numerosi cardinali e vescovi), che alla vigilia del Concilio, e come ad orientarne gli esiti, chiedeva non solo di conservare l'uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l'utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria e volgare, e dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla fluttuazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.

E' significativo che anche il codice canonico per le chiese orientali sia sempre stato in lingua latina.

Nessun'altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità e, al tempo stesso, di essere aliena ai nazionalismi. La massoneria internazionale da sempre ricerca una società perfetta che parli un'unica lingua ed ha escogitato l'esperanto, però miseramente fallito; mai ha pensato di utilizzare allo stesso fine il latino, per odio alla Chiesa.

L'uso della lingua volgare è una caratteristica di tutte le eresie di questo millennio, a cominciare da quella catara.

*L'intervento del prof. de Mattei è stato interrotto a questo punto dall'arrivo dal card. Castrillòn Hoyos, che è stato accolto da un calorosissimo applauso.*

Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla compresione unitaria delle lingue: logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un'unica lingua per tutti. 

La lingua latina, ricordava Giovanni XXIII, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L'unità linguistica resta un modello e un ideale; e se nella predicazione è giocoforza utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono l'unica lingua sacra. // Fu un grave errore del postconcilio che la Chiesa si facesse immanente al mondo rinunziando alla sua lingua, proprio quando l'incipiente mondializzazione avrebbe richiesto un gesto in senso esattamente contrario.

Oggi la Chiesa dovrebbe riaffermare la sua romanitas latinitas; e in esse trova pieno spazio il rito romano antico riportato alla Chiesa dal motu proprio Summorum Pontificum. Ricordando che Pio XII scriveva che il sacerdote che misconoscesse il latino era afflitto da una "deplorevole miseria intellettuale".
Lunga standing ovation finale.

SABATO 14 MAGGIO 2011                                           ENRICO

Nessun peccato umano prevale sulla forza del perdono divino e niente lo limita se non la mancanza di buona volontà da parte dell'uomo, contrastando la grazia e la verità.



DICEMBRE
Pensieri tratti dall'enciclica Dives in Misericordia di Giovanni Paolo II
1. «Dio, ricco di misericordia, per l'immenso amore con il quale egli ci amò, da morti che eravamo a cagione dei peccati, ci fece rivivere assieme a Cristo» (Ef 2,4).
2. Colui che Gesù Cristo ci ha rivelato come Padre è un Dio ricco di misericordia. Fu suo Figlio, dunque, a farcelo conoscere, manifestandolo nella propria persona.
3. In certo senso, è Cristo stesso la misericordia. Per chi la scorge in lui — e in lui la trova — Dio si fa vedere ai nostri occhi come Padre «ricco di misericordia».
4. La verità di Dio, «Padre misericordioso» ci consente di «vederlo» vicinissimo agli uomini, specialmente quando soffrono e sono minacciati.
5. Presentare il Padre come amore e misericordia è, nella coscienza medesima di Cristo, la verifica fondamentale della sua missione di Messia.
6. Nel rivelare in Dio l'amore e la misericordia, Cristo esige, al tempo stesso, che gli uomini si facciano guidare a loro volta, nella vita, dall'amore e dalla misericordia.
7. La misericordia, per così dire, condiziona la giustizia la quale, in definitiva, serve la misericordia.

8. Ecco Maria che, entrata nella casa di Zaccaria, magnifica il Signore con tutta l'anima «per la sua misericordia» di cui gli uomini divengono partecipi «di generazione in generazione».
9. Nella parabola del figlio prodigo, l'analogia con l'uomo di tutti i tempi consente di comprendere il mistero della misericordia quale dramma profondo che si svolge tra la bontà del Padre e il peccato dei figli.
10. Come è presentata da Cristo nella parabola del figlio prodigo, la misericordia ha la forma interiore dell'amore che, nel Nuovo Testamento, è chiamato «Agàpe». Tale amore è capace di chinarsi su ogni figlio prodigo e, quando ciò avviene, colui che è oggetto della misericordia non si trova umiliato, ma rivalutato: un figlio, anche se «prodigo», non cessa di esser figlio.
11. Occorre che il vero volto della misericordia sia sempre nuovamente rivelato. Nonostante i numerosi pregiudizi, essa appare particolarmente necessaria al nostro tempo.
12. La parabola del figlio prodigo esprime la realtà della conversione. La misericordia non consiste unicamente nello sguardo, sia pure il più penetrante e il più benevolo, rivolto al male fisico o morale: la misericordia manifesta il proprio vero aspetto quando rivaluta, promuove e trae il bene da tutte le forme del male.
13. La dimensione divina della redenzione ci consente di svelare le profondità di quell'amore che non indietreggia davanti allo straordinario sacrificio del proprio figlio.
14. Credere in tale amore significa credere nella misericordia. La misericordia infatti è la dimensione indispensabile dell'amore, è come il suo secondo nome.
15. Nel compimento finale (escatologico), la misericordia si rivela come amore, mentre nella storia attuale, che è insieme storia di peccato e di morte, l'amore deve rivelarsi come misericordia.

16. Se dei teologi affermano che la misericordia è il più grande fra gli attributi di Dio, la Bibbia, la tradizione e tutta la vita di fede del popolo di Dio ne forniscono particolare testimonianza.
17. La misericordia è quell'attributo divino, grazie al quale l'uomo si incontra particolarmente da vicino e particolarmente spesso con il Dio vivente.
18. La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia — il più stupendo attributo del Creatore e Redentore — conducendo gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore (specialmente alla parola di Dio e ai Sacramenti dell'Eucarestia e della Riconciliazione).
19. Proprio perché esiste il peccato nel mondo, Dio «ha tanto amato il mondo da dare per esso l'Unigenito». Dio, che è «amore», non può rivelarsi altrimenti se non come misericordia.
20. La misericordia in se stessa, come perfezione di Dio infinito, è ugualmente infinita. Inesauribile è quindi la prontezza del Padre nell'accogliere i figli prodighi che fanno ritorno alla sua casa. Sono infinite la prontezza e la forza di perdono che scaturiscono continuamente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio di Dio.
21. Nessun peccato umano prevale sulla forza del perdono divino e niente lo limita se non la mancanza di buona volontà da parte dell'uomo, contrastando la grazia e la verità.
22. La Chiesa professa e proclama la conversione. La conversione a Dio consiste sempre nello scoprire la sua misericordia.
23. La conversione a Dio è sempre frutto del «ritrovamento» del Padre, il quale è ricco di misericordia.

24. Gesù Cristo ha insegnato che non soltanto riceviamo e sperimentiamo da Dio la sua misericordia, ma che siamo chiamati a praticare a nostra volta la misericordia verso gli altri.
25. Già dal momento dell'incarnazione s'apre una nuova prospettiva nella storia della salvezza. Maria è colei che in modo eccezionale, come nessun altro, sperimentò la misericordia; quindi, è colei che conosce più a fondo il mistero della divina misericordia, ne conosce il prezzo e sa quanto sia grande. In questo senso, la chiamano «Madre della misericordia».
26. L'uomo giunge alla divina misericordia in quanto egli stesso interiormente si trasforma nello spirito di un simile amore verso il prossimo, che costituisce per lui uno stile di vita, una caratteristica essenziale della vocazione cristiana.
27. Compito della Chiesa è di rendere testimonianza alla misericordia di Dio, rivelata in Cristo mediante l'intera sua missione di Messia, professandola in primo luogo come verità salvifica di fede, cercando di introdurla e di incarnarla tanto nei suoi fedeli, quanto — se le è possibile — in tutti gli uomini di buona volontà.
28. Professando la misericordia e sempre rimanendole fedele, la Chiesa ha il diritto e il dovere di rivolgersi alla misericordia di Dio, implorandola di fronte ai fenomeni del male fisico e morale, contro tutte le minacce che gravano sull'orizzonte dell'umanità contemporanea.
29. La misericordia diventa elemento indispensabile per plasmare i vicendevoli rapporti fra gli uomini. Essa è sommamente indispensabile per quelli che si trovano maggiormente vicini tra di loro: uomo e donna, genitori e figli, amici. Di essa sono obbligati a tener conto l'educazione e la pastorale.
30. Il mondo degli uomini diventerà più umano solo quando, unitamente alla giustizia, nei rapporti reciproci o che ne plasmano il volto morale, introdurranno il momento del perdono che, per il Vangelo, è essenziale. Il perdono attesta che nel mondo è presente un amore più potente del peccato ed è la condizione fondamentale affinché gli uomini si riconciglino con Dio e fra di loro.

31. L'uomo contemporaneo si interroga spesso, con profonda ansia, circa la soluzione delle terribili tensioni che si sono accumulate sul mondo e s'intrecciano in mezzo agli uomini. E, se talvolta non ha il coraggio di pronunciare la parola «misericordia», oppure nella sua coscienza priva di contenuto religioso non ne trova l'equivalente, tanto più bisogna che la Chiesa pronunci questa parola non soltanto in nome proprio, ma anche in nome di tutti gli uomini contemporanei.