martedì 4 giugno 2013

S. Cecilia, vergine e martire


SANTA CECILIA

22 luglio. Festività di S. Maria Maddalena.

Una bella e lunga visione che non ha nulla a che fare con la Santa penitente che
io ho sempre amata tanto. La scrivo aggiungendo fogli a questo quaderno perché
sono sola e prendo quanto ho sotto mano.
Vedo le catacombe. Per quanto io non sia mai 1 stata nelle catacombe, capisco
che sono esse. Quali non so. Vedo oscuri meandri di stretti corridoi scavati
nella terra, bassi e umidi, fatti tutti a giravolte come un labirinto. Si
cammina diritti e sembra di poter continuare, al massimo di poter svoltare in un
altro corridoio, invece ci si trova di fronte una parete terrosa e occorre
svoltare, tornare indietro sino a ritrovare un altro corridoio che vada oltre.
In essi sono loculi e loculi, pronti per ricevere martiri. Pronti in questo
senso: che ognuno è leggermente scavato nella parete per dare una norma ai
fossori. Così in principio. Ma più ci si addentra e più 2 i loculi sono già
fondi e compiti, messi tutti nel senso della parete, come tante cuccette di
nave. Altri sono invece già colmi della loro santa spoglia e chiusi da una rozza
lapide incisa malamente col nome del martire o del defunto e i segni cristiani,
oltre una parola di addio e di raccomandazione.

Ma questi loculi già completati e chiusi sono proprio in quella zona che
suppongo sia la centrale della catacomba, perché qui si aprono sovente ambienti
più vasti, come sale e salette, e più alti, ornati di graffiti e più luminosi
degli altri per delle lucernette a olio sparse qua a là per devozione e per
comodità dei fedeli ai quali per qualche motivo si spenga la propria lampadetta.
Anche le persone qui sono più numerose e sboccano da tutte le parti, salutandosi
con amore, a voce bassa come il luogo santo lo richiede. Vi sono uomini, donne e
bambini. Di ogni condizione sociale. Vestiti da poveri e da patrizi. Le donne
hanno il capo coperto da una stoffa leggera come una mussola. Non è il velo di
tulle, certo, ma è come una garza fitta fitta, più bella nelle ricche, più
povera nelle povere, scura per le spose e vedove, bianca per le vergini. Vi sono
spose che hanno i bambini in braccio. Forse non avevano a chi lasciarli e se li
sono portati seco e, se i più grandicelli camminano al fianco delle mamme loro,
i più piccini, certuni infanti, dormono beati sotto il velo materno, cullati dal
passo della madre e dai canti lenti e pii che si elevano sotto le volte.
Sembrano angioletti scesi dal Cielo e sognanti il Paradiso a cui sorridono nel
sonno.
La gente aumenta e finisce a radunarsi in una vastissima sala semicircolare che
ha nel culmine del cerchio l’altare volto verso la folla ed è tutta coperta di
pitture o mosaici. Non capisco bene. So che sono figurazioni colorate in cui
splendono i toni più vivi o chiari e brillano le raggiere d’oro. Sull’altare
molti lumi accesi. Intorno all’altare una corona di vergini bianco-vestite e
bianco-velate.

1 Da qui comincia a scrivere sui fogli aggiunti al quaderno.
2 più è aggiunto da noi

Entra, benedicente, un vecchio dall’aspetto buono e maestoso. Credo sia il
Pontefice, perché tutti si prostrano riverenti. Egli è circondato da preti e
diaconi e passa fra la siepe di teste chine con un sorriso di bellezza
ineffabile sul volto. Il solo sorriso dice della sua santità. Sale all’altare e
si prepara al rito mentre i fedeli cantano.

La celebrazione ha luogo. È quasi simile alla nostra 3. Molto più complessa di
quella vista nel Tullianum, celebrata dall’apostolo Paolo, e di quella vista
celebrare in casa di Petronilla 4.

IL vecchio celebrante, Vescovo di certo se non Pontefice, è aiutato e servito
dai diaconi, i quali hanno vesti molto diverse dalle sue perché, mentre questo
porta una veste (di celebrazione) che somiglia, tanto per darle un’idea, a
quegli accappatoi 5 da toletta che le donne usano per pettinarsi - mantellette
tonde che coprono sul davanti e sul dietro e le spalle e braccia sino quasi al
polso - i diaconi hanno una veste di celebrazione quasi uguale alle attuali,
lunga sino al ginocchio e con maniche larghe e corte.
La Messa consta di canti, che comprendo essere brani di salmi o dell’Apocalisse,
di letture di brani epistolari o biblici e del Vangelo, i quali vengono
commentati ai fedeli dai diaconi a turno.
Finito di leggere il Vangelo - lo legge con voce di canto un giovane diacono -
si alza il Pontefice. Lo chiamo così perché sento che così è indicato da una
mamma ad un suo bambino piuttosto irrequieto. Il brano scelto era la parabola
delle dieci vergini: sagge o stolte 6.
Il Pontefice dice: «Propria delle vergini, questa parabola si rivolge a tutte le
anime, poiché i meriti del Sangue del Salvatore e la Grazia riverginizzano le
anime e le fanno come fanciulle in attesa dello Sposo.
Sorridete, o vecchi cadenti; alzate il volto, o patrizi sino a ieri immersi
nella fanghiglia del paganesimo corrotto; guardate senza più rimpianto al vostro
candido ignorare di fanciulle, o madri e spose. Non siete, nell’anima, dissimili
da questi gigli fra cui passeggia l’Agnello e che ora fanno corona al suo
altare. L’anima vostra ha bellezze di vergine che nessun bacio ha sfiorata,
quando rinascete e permanete in Cristo, Signor nostro. Il suo venire fa più
candida di alba su un monte coperto di neve l’anima che prima era sporca e nera
dei vizi più abbietti. Il pentimento la deterge, la volontà la depura, ma
l’amore, l’amore del nostro santo Salvatore, amore che viene dal suo Sangue che
grida con voce d’amore, vi rende la verginità perfetta. Non già quella che
aveste all’alba della vostra vita umana. Ma


3 La scrittrice si riferisce, ovviamente, alla S. Messa come veniva celebrata ai
suoi tempi, prima della riforma liturgica introdotta dal Concilio Vaticano II,
anche se resta la somiglianza della celebrazione da lei descritta con quella dei
nostri giorni.
4 Il 29 febbraio (pag. 225) ??? e il 4 marzo (pag. 243).???
5 accappatoi è nostra correzione da accapatoi
6 Matteo 25, 1-13.

quella che era del padre di tutti: Adamo, ma quella che era della madre di
tutti: Eva, prima che Satana passasse, traviando, sulla loro innocenza angelica,
sull’innocenza: dono divino che li vestiva di grazia agli occhi di Dio e
dell’universo.
O santa verginità della vita cristiana! Bagno di Sangue, di Sangue di un Dio che
vi fa nuovi e puri come l’Uomo e la Donna usciti dalle mani dell’Altissimo! O
nascita seconda della vostra vita, nella vita cristiana, preludio di quella
terza nascita che vi darà il Cielo quando vi salirete al cenno di Dio, candidi
per la fede o porpurei per il martirio, belli come angeli e degni di vedere e
seguire Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore nostro!
Ma oggi, più che alle anime riverginizzate dalla Grazia, mi volgo a quelle
chiuse in corpo vergine, con volontà di vergine. Alle vergini sagge che hanno
compreso l’invito d’amore del Signor nostro e le parole del vergine Giovanni, e
vogliono seguire per sempre l’Agnello fra la schiera di coloro che non conobbero
contaminazione e che empiranno in eterno i Cieli del cantico che niuno può dire
se non coloro che vergini sono per amore di Dio 7. E parlo alla forte nella
fede, nella speranza, nella carità, che si ciba questa notte delle Carni
immacolate del Verbo e si corrobora col suo Sangue come di Vino celeste per
esser forte nella sua impresa.
Una fra voi si alzerà da questo altare per andare incontro a un destino il cui
nome può essere “morte”. E vi va fidente in Dio, non della fede comune a tutti i
cristiani, ma di una ancor più perfetta fede che non si limita a credere per se
stessa, a credere nella protezione divina per se stessa. Ma crede anche per gli
altri e spera di portare a questo altare colui che domani sarà agli occhi del
mondo il suo sposo ma agli occhi di Dio il fratello suo dilettissimo. Doppia 8,
perfetta verginità che si sente sicura della sua forza al punto di non temere
violazione, di non temere ira di sposo deluso, di non temere debolezza di senso,
di non temere paura di minacce, di non temere delusione di speranze, di non
temere paura e quasi certezza di martirio.
Alzati e sorridi al tuo Sposo vero, casta vergine di Cristo che vai incontro
all’uomo guardando a Dio, che ci vai per portare l’uomo a Dio! Dio ti guarda e
sorride e ti sorride la Madre che fu Vergine e gli angeli ti fanno corona.
Alzati e vieni a dissetarti alla Fonte immacolata prima di andare alla tua
croce, alla tua gloria.
Vieni, sposa di Cristo. Ripeti a Lui il tuo canto d’amore sotto queste volte che
ti sono più care della cuna della tua nascita al mondo, e portalo teco sino al
momento che l’anima lo canterà nel Cielo mentre il corpo poserà nell’ultimo
sonno fra le braccia di questa tua vera Madre: l’apostolica Chiesa.»

Finita l’omelia del Pontefice, vi è un poco di brusio, perché i cristiani
sussurrano guardando e accennando la schiera delle vergini. Ma viene zittito per
far fare silenzio e poi vengono fatti uscire i catecumeni e la Messa prosegue.

7 Apocalisse 14, 4.
8 Doppia è lettura incerta


Non c’è il Credo. Almeno io non lo sento dire. Dei diaconi passano fra i fedeli
raccogliendo offerte, mentre altri diaconi cantano con la loro voce virile
alternando le strofe di un inno alle voci bianche delle vergini. Volute di
incenso salgono verso la volta della sala mentre il Pontefice prega all’altare e
i diaconi sollevano sulle palme le offerte raccolte in vassoi preziosi e in
anfore pure preziose.
La Messa prosegue ora così come è adesso. Dopo il dialogo che precede il
Prefazio, e il Prefazio cantato dai fedeli, si fa un grande silenzio in cui si
odono 9 solo le aspirazioni e i sibili del celebrante che prega curvo
sull’altare e che poi si solleva e a voce più distinta dice le parole della
Consacrazione.
Bellissimo il Pater intonato da tutti. Quando si inizia la distribuzione delle
Specie i diaconi cantano. Vengono comunicate le vergini per prime. Poi cantano
esse il canto udito per la sepoltura di Agnese 10: “Vidi supra montem Sion Agnum
stantem...”. Il cantico dura sinché dura la distribuzione delle Specie
alternandosi al salmo: “Come il cervo sospira alle acque, così l’anima mia anela
Te mio Dio” 11 (credo avere tradotto bene).
La Messa ha termine. I cristiani si affollano intorno al Pontefice per esserne
benedetti anche singolarmente e per accomiatarsi dalla vergine a cui si è
rivolto il Pontefice. Questi saluti avvengono però in una sala vicina, una
anticamera, direi, della chiesa vera e propria. E avvengono quando la vergine,
dopo una preghiera più lunga di tutte degli altri presenti, si alza dal suo
posto, si prostra ai piedi dell’altare e ne bacia il bordo. Pare proprio un
cervo che non sappia staccarsi dalla sua fonte d’acqua pura.

Sento che la chiamano: “Cecilia, Cecilia” e la vedo, finalmente, in viso, perché
ora è ritta presso il Pontefice e si è un poco sollevato il velo. È bellissima e
giovanissima. Alta, formosa con grazia, molto signorile nel tratto, con una
bella voce e un sorriso e uno sguardo d’angelo. Dei cristiani la salutano con
lacrime, altri con sorrisi. Alcuni le dicono come mai si è potuta decidere a
nozze terrene, altri se non teme l’ira del patrizio quando la scoprirà
cristiana.
Una vergine si rammarica che ella rinunci alla verginità. Risponde Cecilia a lei
per rispondere a tutti: “Ti sbagli, Balbina. Io non rinuncio a nessuna
verginità. A Dio ho sacrato il mio corpo come il mio cuore e a Lui resto fedele.
Amo Dio più dei parenti. Ma li amo ancora tanto da non volerli portare a morte
prima che Dio li chiami. Amo Gesù, Sposo eterno, più d’ogni uomo. Ma amo gli
uomini tanto da ricorrere a questo mezzo per non perdere l’anima di Valeriano.
Egli mi ama, ed io castamente lo amo, perfettamente lo amo, tanto da volerlo
avere meco nella Luce e nella Verità. Non temo le sue ire. Spero nel Signore per
vincere. Spero in Gesù per cristianizzare lo sposo terreno. Ma se non vincerò
in questo, e martirio mi verrà


9 odono è nostra correzione da ode
10 Il 20 gennaio, pag. 62. Apocalisse 14, 1.
11 Salmo 42 (volgata: 41), 2.


dato, vincerò più presto la mia corona. Ma no!... Io vedo tre corone scendere
dal Cielo: due uguali e una fatta di tre ordini di gemme. Le due uguali sono
tutte rosse di rubini. La terza è di due fasce di rubini intorno e un grande
cordone di perle purissime. Esse ci attendono. Non temete per me. La potenza del
Signore mi difenderà. In questa chiesa ci troveremo presto uniti per salutare
dei nuovi fratelli. Addio. In Dio”.
Escono dalle catacombe. Si avvolgono tutti in mantelli scuri e sgattaiolano per
le vie ancora semioscure perché l’alba è appena appena al suo inizio.


Seguo Cecilia che va insieme a un diacono e a delle vergini. Alla porta di un
vasto fabbricato si lasciano. Cecilia entra con due vergini sole. Forse due
ancelle. Il portinaio però deve essere cristiano perché saluta così: “Pace a
te!”.
Cecilia si ritira nelle sue stanze e insieme alle due prega e poi si fa
preparare per le nozze. La pettinano molto bene. Le infilano una finissima veste
di lana candidissima, ornata di una greca in ricamo bianco su bianco. Sembra
ricamata in argento e perle. Le mettono monili alle orecchie, alle dita, al
collo, ai polsi.
La casa si anima. Entrano matrone e altre ancelle. Un via vai festoso e
continuo.

Poi assisto a quello che credo sia lo sposalizio pagano. Ossia l’arrivo dello
sposo fra musiche e invitati e delle cerimonie di saluti e aspersions e simili
storie, e poi la partenza in lettiga verso la casa dello sposo tutta parata a
festa. Noto che Cecilia passa sotto archi di bende di lana bianca e di rami che
mi paiono mirto e si ferma davanti al larario, credo, dove vi sono nuove
cerimonie di aspersioni e di formule. Vedo a odo i due darsi la mano e dire la
frase rituale: “Dove tu, Caio, io Caia”.


Vi è tanta di quella gente e su per giù tutta in vesti uguali: toghe, toghe e
toghe, che non capisco quale sia il sacerdote del rito e se c’è. Mi pare di
avere il capogiro.
Poi Cecilia, tenuta per mano dallo sposo, fa il giro dell’atrio (non so se dico
bene), insomma della sala a nicchie e colonne dove è il larario, e saluta le
statue degli antenati di Valeriano, credo. E poscia passa sotto nuovi archi di
mirto ed entra nella vera casa. Sulla soglia le offrono doni e, fra l’altro, una
rocca e un fuso. Glie la offre una vecchia matrona. Non so chi sia.
La festa si inizia col solito banchetto romano e dura fra canti e danze. La sala
è ricchissima come tutta la casa. Vi è un cortile - credo si chiami impluvio, ma
non ricordo bene i nomi della edilizia romana né so se li applico giusti - che è
un gioiello di fontane, statue e aiuole. Il triclinio è fra questo e il giardino
folto e fiorito che è oltre la casa. Fra i cespugli, statue di marmo e fontane
bellissime.
Mi sembra passi molto tempo perché la sera scende. Si vede che per i romani non
c’erano le tessere 12. Il banchetto non finisce mai. È vero che vi sono soste di
canti e danze. Ma insomma...

12 Le tessere che, nel periodo bellico in cui Maria Valtorta scriveva,
regolavano il razionamento del pane e di altri alimenti.


Cecilia sorride allo sposo che le parla e la guarda con amore. Ma pare un poco
svagata. Valeriano le chiede se è stanca e, forse per farle cosa gradita, si
alza per licenziare gli ospiti.

Cecilia si ritira nelle sue nuove stanze. Le sue ancelle cristiane sono con lei.
Pregano e, per avere una croce, Cecilia bagna un dito in una coppa che deve
servire alla toletta e segna una leggera croce scura sul marmo di una parete. Le
ancelle la svestono del ricco abito mettendole una semplice veste di lana, le
sciolgono i capelli levandone le forcine preziose e glie li annodano in due
trecce. Senza gioielli, senza riccioli, così, con le trecce sulle spalle,
Cecilia pare una giovinetta, mentre giudico abbia dai 18 ai 20 anni.
Un’ultima preghiera e un cenno alle ancelle che escono per tornare con
altre più anziane, certo della casa di Valeriano. In corteo vanno ad una
magnifica camera e le più vecchie accompagnano Cecilia al letto che è poco
dissimile dai divani alla turca di ora, soltanto la base è di avorio intarsiato
e colonne di avorio sono ai quattro lati, sorreggenti 13 un baldacchino di
porpora. Anche il letto è coperto di ricchissime stoffe di porpora. La lasciano
sola.

Entra Valeriano e va a mani tese verso Cecilia. Si vede che l’ama molto. Cecilia
sorride al suo sorriso. Ma non va verso lui. Resta in piedi al centro della
stanza, perché, non appena uscite le vecchie ancelle che l’avevano adagiata sul
letto, ella si è rialzata.
Valeriano se ne stupisce. Crede non l’abbiano servita a dovere ed è già iracondo
verso le ancelle. Ma Cecilia lo placa dicendo che fu lei a volerlo attendere in
piedi.
“Vieni, allora, Cecilia mia” dice Valeriano cercando di abbracciarla. “Vieni,
ché io ti amo tanto”.
“Io pure. Ma non mi toccare. Non mi offendere con carezze umane”.
“Ma Cecilia!... Sei mia sposa”.
“Son di Dio, Valeriano. Son cristiana. Ti amo, ma con l’anima in Cielo. Tu non
hai sposato una donna, ma una figlia di Dio cui gli angeli servono. E l’angelo
di Dio sta meco a difesa. Non offendere la celeste creatura con atti di triviale
amore. Ne avresti castigo”.
Valeriano è trasecolato. Dapprima lo stupore lo paralizza, ma poi l’ira d’esser
beffato lo soverchia ed egli si agita e urla. È un violento, deluso sul più
bello. “Tu mi hai tradito! Tu ti sei fatta giuoco di me. Non credo. Non posso,
non voglio credere che tu sei cristiana. Sei troppo buona, bella e intelligente
per appartenere a questa sozza congrega. Ma no!... È uno scherzo. Tu vuoi
giuocare come una bambina. È la tua festa. Ma lo scherzo è troppo atroce. Basta.
Vieni a me”
“Sono cristiana. Non scherzo. Mi glorio d’esserlo perché esserlo vuol dire esser
grandi in terra e oltre. Ti amo, Valeriano. Ti amo tanto che sono venuta a te
per portarti a Dio, per averti con me in Dio”.


13 sorreggenti è nostra correzione da sorregenti


“Maledizione a te, pazza e spergiura! Perché mi hai tradito? Non temi la mia
vendetta?...”
“No, perché so che sei nobile e buono e mi ami. No, perché so che non osi
condannare senza prova di colpa. Io non ho colpa...”.
“Tu menti dicendo di angeli e dèi. Come posso credere a questo? Dovrei vedere e
se vedessi... se vedessi ti rispetterei come angelo. Ma per ora sei la mia
sposa. Non vedo nulla. Vedo te sola”.
“Valeriano, puoi credere che io menta? Lo puoi credere, proprio tu che mi
conosci? Sono dei vili, Valeriano, le menzogne. Credi a quanto ti dico. Se tu
vuoi vedere l’angelo mio, credi in me e lo vedrai. Credi a chi ti ama. Guarda:
sono sola con te. Tu potresti uccidermi. Non ho paura. Sono in tua balìa. Mi
potresti denunciare al Prefetto. Non ho paura. L’angelo mi ripara delle sue ali.
Oh! se tu lo vedessi!...”
“Come potrei vederlo?”
“Credendo in ciò che io credo. Guarda: sul mio cuore è un piccolo rotolo. Sai
cosa è? È la Parola del mio Dio. Dio non mente, e Dio ha detto di non avere
paura, noi che crediamo in Lui, ché aspidi e scorpioni saranno senza veleno per
il nostro piede 14...”.
“Ma pure voi morite a migliaia nelle arene...”
“No. Non moriamo. Viviamo eterni. L’Olimpo non è. Il Paradiso è. In esso non
sono gli 15 dèi bugiardi e dalle passioni brutali. Ma solo angeli e santi nella
luce e nelle armonie celesti. Io le sento... Io le vedo... O Luce! O Voce! O
Paradiso! Scendi! Scendi! Vieni a far tuo questo tuo figlio, questo mio sposo.
La tua corona prima a lui che a me. A me il dolore d’esser senza il suo affetto,
ma la gioia di vederlo amato da Te, in Te, prima del mio venire. O gioioso
Cielo! O eterne nozze! Valeriano, saremo uniti davanti a Dio, vergini sposi,
felici di un amore perfetto...” Cecilia è estatica.

Valeriano la guarda ammirato, commosso. “Come potrei... come potrei avere ciò?
Io sono il patrizio romano. Sino a ieri gozzovigliai e fui crudele. Come posso
esser come te, angelo?”
“Il mio Signore è venuto per dare vita ai morti. Alle anime morte. Rinasci in
Lui e sarai simile a me. Leggeremo insieme la sua Parola e la tua sposa sarà
felice d’esserti maestra. E poi ti condurrò meco dal Pontefice santo. Egli ti
darà la completa luce e la grazia. Come cieco a cui si aprono le pupille tu
vedrai. Oh! vieni, Valeriano, e odi la Parola eterna che mi canta in cuore”.
E Cecilia prende per mano lo sposo, ora tutto umile e calmo come un bambino, e
si siede presso a lui su due ampi sedili e legge il I capitolo del Vangelo di S.
Giovanni sino al v. 14, poi il cap. 3° nell’episodio di Nicodemo.
La voce di Cecilia è come musica d’arpa nel leggere quelle pagine e Valeriano le
ascolta prima stando seduto col capo appuntellato alle mani, posando i
gomiti

14 Marco 16, 17-18; Luca 10, 19.
15 gli è nostra correzione da i

sui ginocchi, ancora un poco sospettoso e incredulo, poi appoggia il capo sulla
spalla della sposa e a occhi chiusi ascolta attentamente e, quando lei smette,
supplica: “Ancora, ancora”. Cecilia legge brani di Matteo e Luca, tutti atti a
persuadere sempre più lo sposo, e termina tornando a Giovanni del quale legge
dalla lavanda in poi 16.
Valeriano ora piange. Le lacrime cadono senza sussulti dalle sue palpebre
chiuse. Cecilia le vede e sorride, ma non mostra notarle. Letto l’episodio di
Tommaso incredulo 17, ella tace...
E restano così, assorti l’una in Dio, l’altro in se stesso, sinché Valeriano
grida: “Credo. Credo, Cecilia. Solo un Dio vero può aver detto quelle parole e
amato in quel modo. Portami dal tuo Pontefice. Voglio amare ciò che tu ami.
Voglio ciò che tu vuoi. Non temere più di me, Cecilia. Saremo come tu vuoi:
sposi in Dio e qui fratelli. Andiamo, ché non voglio tardare a vedere ciò che tu
vedi: l’angelo del tuo candore “.
E Cecilia raggiante si alza, apre la finestra, scosta le tende perché la luce
del nuovo giorno entri, e si segna dicendo il Pater noster: adagio, adagio
perché lo sposo possa seguirla, e poi con la sua mano lo segna in fronte e sul
cuore e per ultimo gli prende la mano e glie la porta alla fronte, al petto,
alle spalle nel segno di croce, e poi esce tenendo lo sposo sempre per mano,
guidandolo verso la Luce.
Non vedo altro.

Ma Gesù mi dice:

«Quanto avete da imparare dall’episodio di Cecilia! È un vangelo della Fede 18.
Perché la fede di Cecilia era ancor più grande di quella di tante altre vergini.
Considerate. Ella va alle nozze fidando in Me che ho detto: “Se avrete tanta
fede quanto un granello di senapa, potrete dire a un monte: ritirati, ed esso si
sposterà”19. Vi va sicura del triplo miracolo di esser preservata da ogni
violenza, di esser apostola dello sposo pagano, di esser immune per il momento,
e da parte di lui, da ogni denuncia. Sicura nella sua fede, ella fa un passo
rischioso, agli occhi di tutti, non ai suoi, perché i suoi fissi in Me vedono il
mio sorriso. E la sua fede ha ciò che ha sperato.
Come va al cimento? Corroborata di Me. Si alza da un altare per andare alla
prova. Non da un letto. Non parla con uomini. Parla con Dio. Non si appoggia
altro che a Me.
Ella lo amava santamente Valeriano, lo amava oltre la carne. Angelica sposa,
vuole continuare ad amare così il consorte per tutta la vera Vita. Non si limita
a farlo felice qui. Vuole farlo felice in eterno. Non è egoista. Dà a lui ciò
che è il suo

16 Da Giovanni 13, 1 in poi.
17 Giovanni 20, 24-29.
18 Vedi il breve dettato del 28 febbraio, pag. 152.
19 Matteo 17, 20; Luca 17, 6.

bene: la conoscenza di Dio. Affronta il pericolo pur di salvarlo. Come madre,
ella non cura pericoli pur di dare alla Vita un’altra creatura.
La vera Religione non è mai sterile. Dà ardori di paternità e maternità
spirituali che empiono i secoli di calori santi. Quanti coloro che in questi
venti secoli hanno effuso se stessi, facendosi eunuchi volontari 20 pur di esser
liberi di amare non pochi, ma tanti, ma tutti gli infelici!
Guardate quante vergini fanno da madri agli orfani, quanti vergini da padri ai
derelitti. Guardate quanti generosi senza tonaca o divisa fanno olocausto della
loro vita per portare a Dio la miseria più grande: le anime che si sono perdute
e impazzano nella disperazione e nella solitudine spirituale. Guardate. Voi non
li conoscete. Ma Io li conosco uno per uno e li vedo come diletti del Padre.
Cecilia vi insegna anche una cosa. Che per meritare di vedere Iddio bisogna
esser puri. Lo insegna a Valeriano e a voi. Io l’ho detto: “Beati i puri perché
vedranno Dio”21.

Esser puri non vuol dire esser vergini. Vi sono vergini che sono impuri, e padri
e madri che sono puri. La verginità è l’inviolatezza fisica e, dovrebbe essere,
spirituale. La purezza è la castità che dura nelle contingenze della vita. In
tutte. È puro colui che non pratica e seconda la libidine e gli appetiti della
carne. È puro colui che non trova diletto in pensieri e discorsi o spettacoli
licenziosi. È puro colui che, convinto della onnipresenza di Dio, si comporta
sempre, sia che sia con sé solo che con altri, come fosse in mezzo ad un
pubblico.

Dite: fareste in mezzo ad una piazza ciò che vi permettete di fare nella vostra
stanza? Direste ad altri, coi quali volete rimanere in alto concetto, ciò che
ruminate dentro? No. Perché su una via incorrereste nelle pene degli uomini e
presso gli uomini nel loro disprezzo. E perché allora fate diversamente con Dio?
Non vi vergognate di apparire a Lui quali porci, mentre vi vergognate di
apparire tali agli occhi degli uomini?

Valeriano vide l’angelo di Cecilia e ebbe il suo e portò a Dio Tiburzio. Lo vide
dopo che la Grazia lo rese degno, e la volontà insieme, di vedere l’angelo di
Dio. Eppure Valeriano non era vergine. Non era vergine. Ma quale merito sapersi
strappare, per un amore soprannaturale, ogni abitudine inveterata di pagano!
Grande merito in Cecilia che seppe tenere l’affetto per lo sposo in sfere tutte
spirituali, con una verginità doppiamente eroica; grande merito in Valeriano di
saper volere rinascere alla purezza dell’infanzia, per venire con bianca stola
nel mio Cielo.
I puri di cuore! Aiuola profumata e fiorita su cui trasvolano gli angeli. I
forti nella fede. Rocca su cui si alza e splende la mia Croce. Rocca di cui ogni
pietra è un cuore cementato all’altro nella comune Fede che li lega.


20 Matteo 19, 12.
21 Matteo 5, 8.


Nulla Io nego a chi sa credere e vincere la carne e le tentazioni. Come a
Cecilia, Io do vittoria a chi crede ed è puro di corpo e di pensiero.
Il Pontefice Urbano ha parlato sulla riverginizzazione delle anime attraverso la
rinascita e la permanenza in Me. Sappiatela raggiungere. Non basta esser
battezzati per essere vivi in Me. Bisogna sapervi rimanere.

Lotta assidua contro il demonio e la carne. Ma non siete soli a combatterla.
L’angelo vostro ed Io stesso siamo 22 con voi. E la terra si avvierebbe verso la
vera pace quando i primi a far pace fossero i cuori con se stessi e con Dio, con
se stessi e i fratelli, non più essendo arsi da ciò che è male e che a sempre
maggior male spinge. Come valanga che si inizia da un nulla e diviene massa
immane.
Tanto dovrei dire ai coniugi. Ma a che pro? Già ho detto 23. Né si volle capire.
Nel mondo decaduto non soltanto la verginità pare manìa ma la castità nel
coniugio, la continenza, che fa dell’uomo un Uomo e non una bestia, non è più
riputata che debolezza e menomazione.

Siete impuri e trasudate impurità. Non date nomi ai vostri mali morali. Ne hanno
tre, i sempre antichi e sempre nuovi: orgoglio, cupidigia e sensualità. Ma ora
avete raggiunto la perfezione in queste tre belve che vi sbranano e che andate
cercando con pazza bramosia.
Per i migliori ho dato questo episodio, per gli altri è inutile perché alla loro
anima sporca di corruzione non fa che muovere solletico di riso. Ma voi buoni
state fedeli. Cantate con cuore puro la vostra fede a Dio. E Dio vi consolerà
dandosi a voi come Io ho detto. Ai buoni fra i migliori darò la conoscenza
completa della conversione di Valeriano per il merito di una vergine pura e
fedele.»

22 siamo è nostra correzione da sono
23 Nei dettati del 22 marzo (pag. 195) e del 21 giugno (pag. 321).

domenica 2 giugno 2013

LETTERA APOSTOLICA MANE NOBISCUM DOMINE DEL SOMMO PONTEFICE GIOVANNI PAOLO II



 LETTERA APOSTOLICA
MANE NOBISCUM DOMINE
DEL SOMMO PONTEFICE
GIOVANNI PAOLO II
ALL'EPISCOPATO, AL CLERO
E AI FEDELI
PER L'ANNO DELL'EUCARISTIA
OTTOBRE 2004 – OTTOBRE 2005


 INTRODUZIONE

1. «Rimani con noi, Signore, perché si fa sera» (cfr Lc 24,29). Fu questo l'invito accorato che i due discepoli, incamminati verso Emmaus la sera stessa del giorno della risurrezione, rivolsero al Viandante che si era ad essi unito lungo il cammino. Carichi di tristi pensieri, non immaginavano che quello sconosciuto fosse proprio il loro Maestro, ormai risorto. Sperimentavano tuttavia un intimo «ardore» (cfr ivi, 32), mentre Egli parlava con loro «spiegando» le Scritture. La luce della Parola scioglieva la durezza del loro cuore e «apriva loro gli occhi» (cfr ivi, 31). Tra le ombre del giorno in declino e l'oscurità che incombeva nell'animo, quel Viandante era un raggio di luce che risvegliava la speranza ed apriva i loro animi al desiderio della luce piena. «Rimani con noi», supplicarono. Ed egli accettò. Di lì a poco, il volto di Gesù sarebbe scomparso, ma il Maestro sarebbe «rimasto» sotto i veli del «pane spezzato», davanti al quale i loro occhi si erano aperti.
2. L'icona dei discepoli di Emmaus ben si presta ad orientare un Anno che vedrà la Chiesa particolarmente impegnata a vivere il mistero della Santa Eucaristia. Sulla strada dei nostri interrogativi e delle nostre inquietudini, talvolta delle nostre cocenti delusioni, il divino Viandante continua a farsi nostro compagno per introdurci, con l'interpretazione delle Scritture, alla comprensione dei misteri di Dio. Quando l'incontro diventa pieno, alla luce della Parola subentra quella che scaturisce dal «Pane di vita», con cui Cristo adempie in modo sommo la sua promessa di «stare con noi tutti i giorni fino alla fine del mondo» (cfr Mt 28,20).
3. La «frazione del pane» — come agli inizi veniva chiamata l'Eucaristia — è da sempre al centro della vita della Chiesa. Per mezzo di essa Cristo rende presente, nello scorrere del tempo, il suo mistero di morte e di risurrezione. In essa Egli in persona è ricevuto quale «pane vivo disceso dal cielo» (Gv 6,51), e con Lui ci è dato il pegno della vita eterna, grazie al quale si pregusta l'eterno convito della Gerusalemme celeste. Più volte, e di recente nell'EnciclicaEcclesia de Eucharistia, ponendomi nel solco dell'insegnamento dei Padri, dei Concili Ecumenici e degli stessi miei Predecessori, ho invitato la Chiesa a riflettere sull'Eucaristia. Non intendo perciò, in questo scritto, riproporre l'insegnamento già offerto, al quale rinvio perché venga approfondito e assimilato. Ho ritenuto tuttavia che, proprio a tale scopo, potesse essere di grande aiuto un Anno interamente dedicato a questo mirabile Sacramento.
4. Com'è noto, l'Anno dell'Eucaristia andrà dall'ottobre 2004 all'ottobre 2005. L'occasione propizia per tale iniziativa mi è stata offerta da due eventi, che ne scandiranno opportunamente l'inizio e la fine: il Congresso Eucaristico Internazionale, in programma dal 10 al 17 ottobre 2004 a Guadalajara (Messico), e l'Assemblea Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, che si terrà in Vaticano dal 2 al 29ottobre 2005 sul tema: «L'Eucaristia fonte e culmine della vita e della missione della Chiesa». Ad orientarmi in questo passo non è mancata, poi, un'altra considerazione: cade in questo anno laGiornata Mondiale della Gioventù, che si svolgerà a Colonia dal 16 al 21 agosto 2005. L'Eucaristia è il centro vitale intorno a cui desidero che i giovani si raccolgano per alimentare la loro fede ed il loro entusiasmo. Il pensiero di una simile iniziativa eucaristica era già da tempo nel mio animo: essa costituisce infatti il naturale sviluppo dell'indirizzo pastorale che ho inteso imprimere alla Chiesa, specialmente a partire dagli anni di preparazione del Giubileo, e che ho poi ripreso in quelli che l'hanno seguito.
5. Nella presente Lettera apostolica mi propongo di sottolineare tale continuità di indirizzo, perché a tutti risulti più facile coglierne la portata spirituale. Quanto alla realizzazione concreta dell'Anno dell'Eucaristia, conto sulla personale sollecitudine dei Pastori delle Chiese particolari, ai quali la devozione verso così grande Mistero non mancherà di suggerire gli opportuni interventi. Ai miei Fratelli Vescovi, peraltro, non sarà difficile percepire come l'iniziativa, che segue a breve distanza la conclusione dell'Anno del Rosario, si ponga ad un livello spirituale così profondo da non venire ad intralciare in alcun modo i programmi pastorali delle singole Chiese. Essa, anzi, li può efficacemente illuminare, ancorandoli, per così dire, al Mistero che costituisce la radice e il segreto della vita spirituale dei fedeli come anche di ogni iniziativa della Chiesa locale. Non chiedo pertanto di interrompere i «cammini» pastorali che le singole Chiese vanno facendo, ma di accentuare in essi la dimensione eucaristica, che è propria dell'intera vita cristiana. Per conto mio, con questa Lettera voglio offrire alcuni orientamenti di fondo, nella fiducia che il Popolo di Dio, nelle sue diverse componenti, voglia accogliere la mia proposta con pronta docilità e fervido amore.

I

NEL SOLCO DEL CONCILIO
E DEL GIUBILEO
Con lo sguardo rivolto a Cristo
6. Dieci anni fa, con la Tertio millennio adveniente (10 novembre 1994), ebbi la gioia di indicare alla Chiesa il cammino di preparazione al Grande Giubileo dell'Anno 2000. Sentivo che questa occasione storica si profilava all'orizzonte come una grande grazia. Non mi illudevo, certo, che un semplice passaggio cronologico, pur suggestivo, potesse per se stesso comportare grandi cambiamenti. I fatti, purtroppo, si sono incaricati di porre in evidenza, dopo l'inizio del Millennio, una sorta di cruda continuità con gli eventi precedenti e spesso con quelli peggiori fra essi. È venuto così delineandosi uno scenario che, accanto a prospettive confortanti, lascia intravedere cupe ombre di violenza e di sangue che non finiscono di rattristarci. Ma invitando la Chiesa a celebrare il Giubileo dei duemila anni dall'Incarnazione, ero ben convinto — e lo sono tuttora più che mai!— di lavorare per i «tempi lunghi» dell'umanità.
Cristo infatti è al centro non solo della storia della Chiesa, ma anche della storia dell'umanità. In Lui tutto si ricapitola (cfr Ef 1,10;Col 1,15- 20). Come non ricordare lo slancio con cui il Concilio Ecumenico Vaticano II, citando il Papa Paolo VI, confessò che Cristo «è il fine della storia umana, il punto focale dei desideri della storia e della civiltà, il centro del genere umano, la gioia d'ogni cuore, la pienezza delle loro aspirazioni»(1)? L'insegnamento del Concilio apportò nuovi approfondimenti alla conoscenza della natura della Chiesa, aprendo gli animi dei credenti ad una comprensione più attenta dei misteri della fede e delle stesse realtà terrestri nella luce di Cristo. In Lui, Verbo fatto carne, è infatti rivelato non solo il mistero di Dio, ma il mistero stesso dell'uomo.(2) In Lui l'uomo trova redenzione e pienezza.
7. Nell'Enciclica Redemptor hominis, agli inizi del mio Pontificato, sviluppai ampiamente questa tematica, che ho poi ripreso in varie altre circostanze. Il Giubileo fu il momento propizio per convogliare l'attenzione dei credenti su questa verità fondamentale. La preparazione del grande evento fu tutta trinitaria e cristocentrica. In questa impostazione, non poteva certo essere dimenticata l'Eucaristia. Se oggi ci avviamo a celebrare un Anno dell'Eucaristia, ricordo volentieri che già nella Tertio millennio advenientescrivevo: «Il Duemila sarà un anno intensamente eucaristico: nel sacramento dell'Eucaristia il Salvatore, incarnatosi nel grembo di Maria venti secoli fa, continua ad offrirsi all'umanità come sorgente di vita divina».(3) Il Congresso Eucaristico Internazionale, celebrato a Roma, diede concretezza a questa connotazione del Grande Giubileo. Mette conto anche ricordare che, in piena preparazione del Giubileo, nella Lettera apostolica Dies Domini proposi alla meditazione dei credenti il tema della «Domenica» come giorno del Signore risorto e giorno speciale della Chiesa. Invitai allora tutti a riscoprire la Celebrazione eucaristica come cuore della Domenica.(4)
Contemplare con Maria il volto di Cristo
8. L'eredità del Grande Giubileo fu in qualche modo raccolta nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte. In questo documento di carattere programmatico suggerivo una prospettiva di impegno pastorale fondato sulla contemplazione del volto di Cristo, all'interno di una pedagogia ecclesiale capace di tendere alla «misura alta» della santità, perseguita specialmente attraverso l'arte della preghiera.(5) E come poteva mancare, in questa prospettiva, l'impegno liturgico e, in modo particolare, l'attenzione alla vita eucaristica? Scrissi allora: «Nel secolo XX, specie dal Concilio in poi, molto è cresciuta la comunità cristiana nel modo di celebrare i Sacramenti e soprattutto l'Eucaristia. Occorre insistere in questa direzione, dando particolar rilievo all'Eucaristia domenicale e alla stessa Domenica, sentita come giorno speciale della fede, giorno del Signore risorto e del dono dello Spirito, vera Pasqua della settimana».(6) Nel contesto dell'educazione alla preghiera invitavo poi a coltivare la Liturgia delle Ore, mediante la quale la Chiesa santifica le diverse ore del giorno e la scansione del tempo nell'articolazione propria dell'anno liturgico.
9. Successivamente, con l'indizione dell'Anno del Rosario e con la pubblicazione della Lettera apostolica Rosarium Virginis Mariae, ripresi il discorso della contemplazione del volto di Cristo a partire dalla prospettiva mariana, attraverso la riproposta del Rosario. In effetti, questa preghiera tradizionale, tanto raccomandata dal Magistero e tanto cara al Popolo di Dio, ha una fisionomia spiccatamente biblica ed evangelica, prevalentemente centrata sul nome e sul volto di Gesù, fissato nella contemplazione dei misteri e nel ripetersi dell'Ave Maria. Il suo andamento ripetitivo costituisceuna sorta di pedagogia dell'amore, fatta per accendere l'animo dell'amore stesso che Maria nutre verso il Figlio suo. Per questo, portando a ulteriore maturazione un itinerario plurisecolare, ho voluto che questa forma privilegiata di contemplazione completasse i suoi lineamenti di vero «compendio del Vangelo» integrandovi i misteri della luce.(7) E come non porre, al vertice dei misteri della luce, la Santa Eucaristia?
Dall'Anno del Rosario all'Anno dell'Eucaristia
10. Proprio nel cuore dell'Anno del Rosario promulgai la Lettera enciclica Ecclesia de Eucharistia, con la quale volli illustrare il mistero dell'Eucaristia nel suo rapporto inscindibile e vitale con la Chiesa. Richiamai tutti a celebrare il Sacrificio eucaristico con l'impegno che esso merita, prestando a Gesù presente nell'Eucaristia, anche al di fuori della Messa, un culto di adorazione degno di così grande Mistero. Soprattutto riproposi l'esigenza di una spiritualità eucaristica, additando a modello Maria come «donna eucaristica».(8)
L'Anno dell'Eucaristia si pone dunque su uno sfondo che si è andato di anno in anno arricchendo, pur restando sempre ben incardinato sul tema di Cristo e della contemplazione del suo Volto. In certo senso, esso si propone come un anno di sintesi, una sorta divertice di tutto il cammino percorso. Tante cose si potrebbero dire per vivere bene questo Anno. Io mi limiterò ad indicare alcune prospettive che possano aiutare tutti a convergere verso atteggiamenti illuminati e fecondi.
II
L'EUCARISTIA MISTERO DI LUCE
«Spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui» (Lc24,27)
11. Il racconto dell'apparizione di Gesù risorto ai due discepoli di Emmaus ci aiuta a mettere a fuoco un primo aspetto del mistero eucaristico, che deve essere sempre presente nella devozione del Popolo di Dio: l'Eucaristia mistero di luce! In che senso può dirsi questo, e quali sono le implicazioni che ne derivano per la spiritualità e per la vita cristiana?
Gesù ha qualificato se stesso come «luce del mondo» (Gv 8,12), e questa sua proprietà è ben posta in evidenza da quei momenti della sua vita, come la Trasfigurazione e la Risurrezione, nei quali la sua gloria divina chiaramente rifulge. Nell'Eucaristia invece la gloria di Cristo è velata. Il Sacramento eucaristico è «mysterium fidei» per eccellenza. Tuttavia, proprio attraverso il mistero del suo totale nascondimento, Cristo si fa mistero di luce, grazie al quale il credente è introdotto nelle profondità della vita divina. Non è senza una felice intuizione che la celebre icona della Trinità di Rublëv pone in modo significativo l'Eucaristia al centro della vita trinitaria.
12. L'Eucaristia è luce innanzitutto perché in ogni Messa la liturgia della Parola di Dio precede la liturgia eucaristica, nell'unità delle due «mense», quella della Parola e quella del Pane. Questa continuità emerge nel discorso eucaristico del Vangelo di Giovanni, dove l'annuncio di Gesù passa dalla presentazione fondamentale del suo mistero all'illustrazione della dimensione propriamente eucaristica: «La mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda» (Gv 6,55). Sappiamo che fu questa a mettere in crisi gran parte degli ascoltatori, inducendo Pietro a farsi portavoce della fede degli altri Apostoli e della Chiesa di tutti i tempi: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Gv 6,68). Nel racconto dei discepoli di Emmaus Cristo stesso interviene per mostrare, «cominciando da Mosé e da tutti i profeti», come «tutte le Scritture» portassero al mistero della sua persona (cfr Lc 24, 27). Le sue parole fanno «ardere» i cuori dei discepoli, li sottraggono all'oscurità della tristezza e della disperazione, suscitano in essi il desiderio di rimanere con Lui: «Resta con noi, Signore» (cfr Lc24,29).
13. I Padri del Concilio Vaticano II, nella CostituzioneSacrosanctum Conciliumhanno voluto che la «mensa della Parola» aprisse abbondantemente ai fedeli i tesori della Scrittura.(9) Per questo hanno consentito che, nella Celebrazione liturgica, specialmente le letture bibliche venissero offerte nella lingua a tutti comprensibile. È Cristo stesso che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura.(10) Al tempo stesso hanno raccomandato al celebrante l'omelia quale parte della stessa Liturgia, destinata ad illustrare la Parola di Dio e ad attualizzarla per la vita cristiana.(11) A quarant'anni dal Concilio, l'Anno dell'Eucaristia può costituire un'importante occasione perché le comunità cristiane facciano una verifica su questo punto. Non basta infatti che i brani biblici siano proclamati in una lingua comprensibile, se la proclamazione non avviene con quella cura, quella preparazione previa, quell'ascolto devoto, quel silenzio meditativo, che sono necessari perché la Parola di Dio tocchi la vita e la illumini.
«Lo riconobbero nello spezzare il pane» (Lc 24,35)
14. È significativo che i due discepoli di Emmaus, convenientemente preparati dalle parole del Signore, lo abbiano riconosciuto mentre stavano a mensa nel gesto semplice della «frazione del pane». Una volta che le menti sono illuminate e i cuori riscaldati, i segni «parlano». L'Eucaristia si svolge tutta nel contesto dinamico di segni che recano in sé un denso e luminoso messaggio. È attraverso i segni che il mistero in qualche modo si apre agli occhi del credente.
Come ho sottolineato nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia, è importante che nessuna dimensione di questo Sacramento venga trascurata. È infatti sempre presente nell'uomo la tentazione di ridurre l'Eucaristia alle proprie dimensioni, mentre in realtà è lui a doversi aprire alle dimensioni del Mistero. «L'Eucaristia è un dono troppo grande, per sopportare ambiguità e diminuzioni».(12)
15. Non c'è dubbio che la dimensione più evidente dell'Eucaristia sia quella del convito. L'Eucaristia è nata, la sera del Giovedì Santo, nel contesto della cena pasquale. Essa pertanto porta inscritto nella sua struttura il senso della convivialità: «Prendete e mangiate... Poi prese il calice e... lo diede loro dicendo: Bevetene tutti...» (Mt 26, 26.27). Questo aspetto ben esprime il rapporto di comunione che Dio vuole stabilire con noi e che noi stessi dobbiamo sviluppare vicendevolmente.
Non si può tuttavia dimenticare che il convito eucaristico ha anche un senso profondamente e primariamente sacrificale.(13) In esso Cristo ripresenta a noi il sacrificio attuato una volta per tutte sul Golgota. Pur essendo presente in esso da risorto, Egli porta i segni della sua passione, di cui ogni Santa Messa è «memoriale», come la Liturgia ci ricorda con l'acclamazione dopo la consacrazione: «Annunciamo la tua morte, Signore, proclamiamo la tua risurrezione...». Al tempo stesso, mentre attualizza il passato, l'Eucaristia ci proietta verso il futuro dell'ultima venuta di Cristo, al termine della storia. Questo aspetto «escatologico» dà al Sacramento eucaristico un dinamismo coinvolgente, che infonde al cammino cristiano il passo della speranza.
«Io sono con voi tutti i giorni...» (Mt 28,20)
16. Tutte queste dimensioni dell'Eucaristia si rannodano in un aspetto che più di tutti mette alla prova la nostra fede: è il mistero della presenza «reale». Con tutta la tradizione della Chiesa, noi crediamo che, sotto le specie eucaristiche, è realmente presente Gesù. Una presenza — come spiegò efficacemente il Papa Paolo VI — che è detta «reale» non per esclusione, quasi che le altre forme di presenza non siano reali, ma per antonomasia, perché in forza di essa Cristo tutto intero si fa sostanzialmente presente nella realtà del suo corpo e del suo sangue.(14) Per questo la fede ci chiede di stare davanti all'Eucaristia con la consapevolezza che siamo davanti a Cristo stesso. Proprio la sua presenza dà alle altre dimensioni — di convito, di memoriale della Pasqua, di anticipazione escatologica — un significato che va ben al di là di un puro simbolismo. L'Eucaristia è mistero di presenza, per mezzo del quale si realizza in modo sommo la promessa di Gesù di restare con noi fino alla fine del mondo.
Celebrare, adorare, contemplare
17. Mistero grande, l'Eucaristia! Mistero che dev'essere innanzituttoben celebrato. Bisogna che la Santa Messa sia posta al centro della vita cristiana, e che in ogni comunità si faccia di tutto per celebrarla decorosamente, secondo le norme stabilite, con la partecipazione del popolo, avvalendosi dei diversi ministri nell'esercizio dei compiti per essi previsti, e con una seria attenzione anche all'aspetto di sacralità che deve caratterizzare il canto e la musica liturgica. Un impegno concreto di questo Anno dell'Eucaristiapotrebbe essere quello di studiare a fondo, in ogni comunità parrocchiale, l' Ordinamento Generale del Messale Romano. La via privilegiata per essere introdotti nel mistero della salvezza attuata nei santi «segni» resta poi quella di seguire con fedeltà lo svolgersi dell'Anno liturgico. I Pastori si impegnino in quellacatechesi «mistagogica», tanto cara ai Padri della Chiesa, che aiuta a scoprire le valenze dei gesti e delle parole della Liturgia, aiutando i fedeli a passare dai segni al mistero e a coinvolgere in esso l'intera loro esistenza.
18. Occorre, in particolare, coltivare, sia nella celebrazione della Messa che nel culto eucaristico fuori della Messa, la viva consapevolezza della presenza reale di Cristo, avendo cura di testimoniarla con il tono della voce, con i gesti, con i movimenti, con tutto l'insieme del comportamento. A questo proposito, le norme ricordano — e io stesso ho avuto modo recentemente di ribadirlo(15) — il rilievo che deve essere dato ai momenti di silenzio sia nella celebrazione che nell'adorazione eucaristica. È necessario, in una parola, che tutto il modo di trattare l'Eucaristia da parte dei ministri e dei fedeli sia improntato a un estremo rispetto.(16) La presenza di Gesù nel tabernacolo deve costituire come un polo di attrazione per un numero sempre più grande di anime innamorate di Lui, capaci di stare a lungo ad ascoltarne la voce e quasi a sentirne i palpiti del cuore. «Gustate e vedete quanto è buono il Signore!» (Sal 33 [34],9).
L'adorazione eucaristica fuori della Messa diventi, durante questo anno, un impegno speciale per le singole comunità parrocchiali e religiose. Restiamo prostrati a lungo davanti a Gesù presente nell'Eucaristia, riparando con la nostra fede e il nostro amore le trascuratezze, le dimenticanze e persino gli oltraggi che il nostro Salvatore deve subire in tante parti del mondo. Approfondiamo nell'adorazione la nostra contemplazione personale e comunitaria, servendoci anche di sussidi di preghiera sempre improntati alla Parola di Dio e all'esperienza di tanti mistici antichi e recenti. Lo stesso Rosario, compreso nel suo senso profondo, biblico e cristocentrico, che ho raccomandato nella Lettera apostolicaRosarium Virginis Mariae, potrà essere una via particolarmente adatta alla contemplazione eucaristica, attuata in compagnia e alla scuola di Maria.(17)
Si viva, quest'anno, con particolare fervore la solennità del Corpus Domini con la tradizionale processione. La fede nel Dio che, incarnandosi, si è fatto nostro compagno di viaggio sia proclamata dovunque e particolarmente per le nostre strade e fra le nostre case, quale espressione del nostro grato amore e fonte di inesauribile benedizione.

III
L'EUCARISTIA SORGENTE ED EPIFANIA DI COMUNIONE
«Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4)
19. Alla richiesta dei discepoli di Emmaus che Egli rimanesse «con» loro, Gesù rispose con un dono molto più grande: mediante il sacramento dell'Eucaristia trovò il modo di rimanere «in» loro. Ricevere l'Eucaristia è entrare in comunione profonda con Gesù. «Rimanete in me e io in voi» (Gv 15,4). Questo rapporto di intima e reciproca «permanenza» ci consente di anticipare, in qualche modo, il cielo sulla terra. Non è forse questo l'anelito più grande dell'uomo? Non è questo ciò che Dio si è proposto, realizzando nella storia il suo disegno di salvezza? Egli ha messo nel cuore dell'uomo la «fame» della sua Parola (cfr Am 8,11), una fame che si appagherà solo nell'unione piena con Lui. La comunione eucaristica ci è data per «saziarci» di Dio su questa terra, in attesa dell'appagamento pieno del cielo.
Un solo pane, un solo corpo
20. Ma questa speciale intimità che si realizza nella «comunione» eucaristica non può essere adeguatamente compresa né pienamente vissuta al di fuori della comunione ecclesiale. È quanto ho ripetutamente sottolineato nell'Enciclica Ecclesia de Eucharistia. La Chiesa è il corpo di Cristo: si cammina «con Cristo» nella misura in cui si è in rapporto «con il suo corpo». A creare e fomentare questa unità Cristo provvede con l'effusione dello Spirito Santo. E Lui stesso non cessa di promuoverla attraverso la sua presenza eucaristica. In effetti, è proprio l'unico Pane eucaristico che ci rende un corpo solo. Lo afferma l'apostolo Paolo: «Poiché c'è un solo pane, noi, pur essendo molti, siamo un corpo solo: tutti infatti partecipiamo dell'unico pane» (1Cor 10,17). Nel mistero eucaristico Gesù edifica la Chiesa come comunione, secondo il supremo modello evocato nella preghiera sacerdotale: «Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato» (Gv 17,21).
21. Se l'Eucaristia è sorgente dell'unità ecclesiale, essa ne è anche la massima manifestazione. L'Eucaristia è epifania di comunione. È per questo che la Chiesa pone delle condizioni perché si possa prendere parte in modo pieno alla Celebrazione eucaristica.(18) Le varie limitazioni devono indurci a prendere sempre maggior coscienza di quanto sia esigente la comunione che Gesù ci chiede. È comunione gerarchica, fondata sulla coscienza dei diversi ruoli e ministeri, continuamente ribadita anche nella preghiera eucaristica attraverso la menzione del Papa e del Vescovo diocesano. È comunione fraterna, coltivata con una «spiritualità di comunione» che ci induce a sentimenti di reciproca apertura, di affetto, di comprensione e di perdono.(19)
«Un cuor solo e un'anima sola» (At 4,32)
22. In ogni Santa Messa siamo chiamati a misurarci con l'ideale di comunione che il libro degli Atti degli Apostoli tratteggia come modello per la Chiesa di sempre. È la Chiesa raccolta intorno agli Apostoli, convocata dalla Parola di Dio, capace di una condivisione che non riguarda solo i beni spirituali, ma gli stessi beni materiali (cfr At 2,42-47; 4,32-35). In questo Anno dell'Eucaristia il Signore ci invita ad avvicinarci il più possibile a questo ideale. Si vivano con particolare impegno i momenti già suggeriti dalla Liturgia per la «Messa stazionale», in cui il Vescovo celebra in cattedrale con i suoi presbiteri e i diaconi e con la partecipazione del Popolo di Dio in tutte le sue componenti. È questa la principale «manifestazione» della Chiesa.(20) Ma sarà lodevole individuare altre occasioni significative, anche a livello delle parrocchie, perché il senso della comunione cresca, attingendo dalla Celebrazione eucaristica un rinnovato fervore.
Il Giorno del Signore
23. In particolare auspico che in questo anno si ponga un impegno speciale nel riscoprire e vivere pienamente la Domenica come giorno del Signore e giorno della Chiesa. Sarei felice se si rimeditasse quanto ebbi a scrivere nella Lettera apostolica Dies Domini. «È proprio nella Messa domenicale, infatti, che i cristiani rivivono in modo particolarmente intenso l'esperienza fatta dagli Apostoli la sera di Pasqua, quando il Risorto si manifestò ad essi riuniti insieme (cfr Gv 20,19). In quel piccolo nucleo di discepoli, primizia della Chiesa, era in qualche modo presente il Popolo di Dio di tutti i tempi».(21) I sacerdoti nel loro impegno pastorale prestino, durante questo anno di grazia, un'attenzione ancor più grande alla Messa domenicale, come celebrazione in cui la comunità parrocchiale si ritrova in maniera corale, vedendo ordinariamente partecipi anche i vari gruppi, movimenti, associazioni in essa presenti.

IV

L'EUCARISTIA PRINCIPIO
E PROGETTO DI «MISSIONE»
«Partirono senza indugio» (Lc 24,33)
24. I due discepoli di Emmaus, dopo aver riconosciuto il Signore, «partirono senza indugio» (Lc 24,33), per comunicare ciò che avevano visto e udito. Quando si è fatta vera esperienza del Risorto, nutrendosi del suo corpo e del suo sangue, non si può tenere solo per sé la gioia provata. L'incontro con Cristo, continuamente approfondito nell'intimità eucaristica, suscita nella Chiesa e in ciascun cristiano l'urgenza di testimoniare e di evangelizzare. Ebbi a sottolinearlo proprio nell'omelia in cui annunciai l'Anno dell'Eucaristia, riferendomi alle parole di Paolo: «Ogni volta che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga» (1Cor11,26). L'Apostolo pone in stretta relazione tra loro il convito e l'annuncio: entrare in comunione con Cristo nel memoriale della Pasqua significa, nello stesso tempo, sperimentare il dovere di farsi missionari dell'evento che quel rito attualizza.(22) Il congedo alla fine di ogni Messa costituisce una consegna, che spinge il cristiano all'impegno per la propagazione del Vangelo e la animazione cristiana della società.
25. Per tale missione l'Eucaristia non fornisce solo la forza interiore, ma anche — in certo senso — il progetto. Essa infatti è un modo di essere, che da Gesù passa nel cristiano e, attraverso la sua testimonianza, mira ad irradiarsi nella società e nella cultura. Perché ciò avvenga, è necessario che ogni fedele assimili, nella meditazione personale e comunitaria, i valori che l'Eucaristia esprime, gli atteggiamenti che essa ispira, i propositi di vita che suscita. Perché non vedere in questo la speciale consegna che potrebbe scaturire dall'Anno dell'Eucaristia?
Rendere grazie
26. Un fondamentale elemento di questo progetto emerge dal significato stesso della parola «eucaristia»: rendimento di grazie. In Gesù, nel suo sacrificio, nel suo «sì» incondizionato alla volontà del Padre, c'è il «sì», il «grazie» e l'«amen» dell'umanità intera. La Chiesa è chiamata a ricordare agli uomini questa grande verità. È urgente che ciò venga fatto soprattutto nella nostra cultura secolarizzata, che respira l'oblio di Dio e coltiva la vana autosufficienza dell'uomo. Incarnare il progetto eucaristico nella vita quotidiana, là dove si lavora e si vive — in famiglia, a scuola, nella fabbrica, nelle più diverse condizioni di vita — significa, tra l'altro, testimoniare che la realtà umana non si giustifica senza il riferimento al Creatore: «La creatura, senza il Creatore, svanisce».(23) Questo riferimento trascendente, che ci impegna ad un perenne «grazie» — ad un atteggiamento eucaristico appunto — per quanto abbiamo e siamo, non pregiudica la legittima autonomia delle realtà terrene,(24) ma la fonda nel modo più vero collocandola, al tempo stesso, entro i suoi giusti confini.
In questo Anno dell'Eucaristia ci si impegni, da parte dei cristiani, a testimoniare con più forza la presenza di Dio nel mondo. Non abbiamo paura di parlare di Dio e di portare a fronte alta i segni della fede. La «cultura dell'Eucaristia» promuove una cultura del dialogo, che trova in essa forza e alimento. Ci si sbaglia a ritenere che il riferimento pubblico alla fede possa intaccare la giusta autonomia dello Stato e delle istituzioni civili, o che addirittura possa incoraggiare atteggiamenti di intolleranza. Se storicamente non sono mancati errori in questa materia anche nei credenti, come ebbi a riconoscere in occasione del Giubileo, ciò va addebitato non alle «radici cristiane», ma all'incoerenza dei cristiani nei confronti delle loro radici. Chi impara a dire «grazie» alla maniera del Cristo crocifisso, potrà essere un martire, ma non sarà mai un aguzzino.
La via della solidarietà
27. L'Eucaristia non è solo espressione di comunione nella vita della Chiesa; essa è anche progetto di solidarietà per l'intera umanità. La Chiesa rinnova continuamente nella celebrazione eucaristica la sua coscienza di essere «segno e strumento» non solo dell'intima unione con Dio, ma anche dell'unità di tutto il genere umano.(25) Ogni Messa, anche quando è celebrata nel nascondimento e in una regione sperduta della terra, porta sempre il segno dell'universalità. Il cristiano che partecipa all'Eucaristia apprende da essa a farsi promotore di comunione, di pace, di solidarietà, in tutte le circostanze della vita. L'immagine lacerata del nostro mondo, che ha iniziato il nuovo Millennio con lo spettro del terrorismo e la tragedia della guerra, chiama più che mai i cristiani a vivere l'Eucaristia come una grande scuola di pace, dove si formano uomini e donne che, a vari livelli di responsabilità nella vita sociale, culturale, politica, si fanno tessitori di dialogo e di comunione.
A servizio degli ultimi
28. C'è ancora un punto sul quale vorrei richiamare l'attenzione, perché su di esso si gioca in notevole misura l'autenticità della partecipazione all'Eucaristia, celebrata nella comunità: è la spinta che essa ne trae per un impegno fattivo nell'edificazione di una società più equa e fraterna. Nell'Eucaristia il nostro Dio ha manifestato la forma estrema dell'amore, rovesciando tutti i criteri di dominio che reggono troppo spesso i rapporti umani ed affermando in modo radicale il criterio del servizio: «Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti» (Mc 9,35). Non a caso, nel Vangelo di Giovanni non troviamo il racconto dell'istituzione eucaristica, ma quello della «lavanda dei piedi» (cfrGv 13,1-20): chinandosi a lavare i piedi dei suoi discepoli, Gesù spiega in modo inequivocabile il senso dell'Eucaristia. San Paolo, a sua volta, ribadisce con vigore che non è lecita una celebrazione eucaristica nella quale non risplenda la carità testimoniata dalla concreta condivisione con i più poveri (cfr 1Cor 11,17- 22.27-34).
Perché dunque non fare di questo Anno dell'Eucaristia un periodo in cui le comunità diocesane e parrocchiali si impegnano in modo speciale ad andare incontro con fraterna operosità a qualcuna delle tante povertà del nostro mondo? Penso al dramma della fame che tormenta centinaia di milioni di esseri umani, penso alle malattie che flagellano i Paesi in via di sviluppo, alla solitudine degli anziani, ai disagi dei disoccupati, alle traversie degli immigrati. Sono mali, questi, che segnano — seppur in misura diversa — anche le regioni più opulente. Non possiamo illuderci: dall'amore vicendevole e, in particolare, dalla sollecitudine per chi è nel bisogno saremo riconosciuti come veri discepoli di Cristo (cfr Gv13,35; Mt 25,31-46). È questo il criterio in base al quale sarà comprovata l'autenticità delle nostre celebrazioni eucaristiche.

CONCLUSIONE
29. O Sacrum Convivium, in quo Christus sumitur! L'Anno dell'Eucaristia nasce dallo stupore con cui la Chiesa si pone di fronte a questo grande Mistero. È uno stupore che non finisce di pervadere il mio animo. Da esso è scaturita l'Enciclica Ecclesia de Eucharistia. Sento come una grande grazia del ventisettesimo anno di ministero petrino, che sto per iniziare, il poter chiamare ora tutta la Chiesa a contemplare, a lodare, ad adorare in modo specialissimo questo ineffabile Sacramento. L'Anno dell'Eucharistia sia per tutti occasione preziosa per una rinnovata consapevolezza del tesoro incomparabile che Cristo ha affidato alla sua Chiesa. Sia stimolo ad una sua celebrazione più viva e sentita, dalla quale scaturisca un'esistenza cristiana trasformata dall'amore.
Tante iniziative potranno essere realizzate in questa prospettiva, a giudizio dei Pastori delle Chiese particolari. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti non mancherà di offrire, al riguardo, utili suggerimenti e proposte. Non chiedo tuttavia che si facciano cose straordinarie, ma che tutte le iniziative siano improntate a profonda interiorità. Se il frutto di questo Anno fosse anche soltanto quello di ravvivare in tutte le comunità cristiane la celebrazione della Messa domenicale e di incrementarel'adorazione eucaristica fuori della Messa, questo Anno di grazia avrebbe conseguito un risultato significativo. Buona cosa tuttavia è mirare in alto, non accontentandoci di misure mediocri, perché sappiamo di poter contare sempre sull'aiuto di Dio.
30. A voi, cari Confratelli nell'Episcopato, affido questo Anno, sicuro che accoglierete il mio invito con tutto il vostro ardore apostolico.
Voi, sacerdoti, che ogni giorno ripetete le parole della consacrazione e siete testimoni e annunciatori del grande miracolo di amore che avviene tra le vostre mani, lasciatevi interpellare dalla grazia di quest'Anno speciale, celebrando ogni giorno la Santa Messa con la gioia ed il fervore della prima volta e sostando volentieri in preghiera davanti al Tabernacolo.
Sia un Anno di grazia per voi, diaconi, che siete da vicino coinvolti nel ministero della Parola e nel servizio dell'Altare. Anche voi,lettori, accoliti, ministri straordinari della comunione, abbiate coscienza viva del dono che vi viene fatto con i compiti a voi affidati in vista di una degna celebrazione dell'Eucaristia.
In particolare, mi rivolgo a voi, futuri sacerdoti: nella vita di Seminario cercate di fare esperienza di quanto è dolce non solo partecipare ogni giorno alla Santa Messa, ma anche indugiare a lungo nel dialogo con Gesù Eucaristia.
Voi, consacrati e consacrate, chiamati dalla vostra stessa consacrazione a una contemplazione più prolungata, ricordate che Gesù nel Tabernacolo vi aspetta accanto a sé, per riversare nei vostri cuori quell'intima esperienza della sua amicizia che sola può dare senso e pienezza alla vostra vita.
Voi tutti, fedeli, riscoprite il dono dell'Eucaristia come luce e forza per la vostra vita quotidiana nel mondo, nell'esercizio delle rispettive professioni e a contatto con le più diverse situazioni. Riscopritelo soprattutto per vivere pienamente la bellezza e la missione della famiglia.
Molto infine mi aspetto da voi, giovani, mentre vi rinnovo l'appuntamento per la Giornata Mondiale della Gioventù a Colonia. Il tema prescelto — «Siamo venuti per adorarlo (Mt 2,2)» — si presta in modo particolare a suggerirvi il giusto atteggiamento in cui vivere quest'anno eucaristico. Portate all'incontro con Gesù nascosto sotto i veli eucaristici tutto l'entusiasmo della vostra età, della vostra speranza, della vostra capacità di amare.
31. Stanno davanti ai nostri occhi gli esempi dei Santi, che nell'Eucaristia hanno trovato l'alimento per il loro cammino di perfezione. Quante volte essi hanno versato lacrime di commozione nell'esperienza di così grande mistero ed hanno vissuto indicibili ore di gioia «sponsale» davanti al Sacramento dell'altare. Ci aiuti soprattutto la Vergine Santa, che incarnò con l'intera sua esistenza la logica dell'Eucaristia. «La Chiesa, guardando a Maria come a suo modello, è chiamata ad imitarla anche nel suo rapporto con questo Mistero santissimo».(26) Il Pane eucaristico che riceviamo è la carne immacolata del Figlio: «Ave verum corpus natum de Maria Virgine». In questo Anno di grazia, sostenuta da Maria, la Chiesa trovi nuovo slancio per la sua missione e riconosca sempre di più nell'Eucaristia la fonte e il vertice di tutta la sua vita.
A tutti giunga, apportatrice di grazia e di gioia, la mia Benedizione.
Dal Vaticano, il 7 ottobre, memoria della B. Maria Vergine del Rosario, dell'anno 2004, ventiseiesimo di Pontificato.
IOANNES PAULUS PP.II

(1) Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 45.
(2) Cfr ibid., 22.
(3) N. 55: AAS 87 (1995), 38.
(4) Cfr n. 32-34: AAS 90 (1998), 732-734.
(5) Cfr n. 30-32: AAS 93 (2001), 287-289.
(6) Ibid., 35, l.c., 290-291.
(7) Cfr Lett. ap. Rosarium Virginis Mariae (16 ottobre 2002), 19.21: AAS 95 (2003), 18-20.
(8) Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 53: AAS 95 (2003), 469.
(9) Cfr n.51.
(10) Cfr ibid., 7.
(11) Cfr ibid., 52.
(12) Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 10: AAS 95 (2003), 439.
(13) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 10: AAS 95 (2003), 439; Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istr. Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004), 38: L'Osservatore Romano, 24 aprile 2004, suppl., p.3.
(14) Cfr Lett. enc. Mysterium fidei (3 settembre 1965), 39: AAS 57 (1965), 764; S. Congr. dei Riti, Istr. Eucharisticum mysterium sul culto del Mistero eucaristico (25 maggio 1967), 9: AAS 59 (1967), 547.
(15) Cfr Messaggio Spiritus et Sponsa, nel XL anniversario della Costituzione Sacrosanctum Concilium sulla Sacra Liturgia (4dicembre 2003), 13: AAS 96 (2004), 425.
(16) Cfr Congr. per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, Istr. Redemptionis Sacramentum su alcune cose che si devono osservare ed evitare circa la Santissima Eucaristia (25 marzo 2004):L'Osservatore Romano, 24 aprile 2004, suppl.
(17) Cfr ibid. 137, l.c., p.7.
(18) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 44: AAS 95 (2003), 462; Codice di Diritto Canonico, can. 908; Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, can. 702; Pont. Cons. per la Promozione dell'Unità dei Cristiani, Directorium Oecumenicum (25 marzo 1993), 122-125, 129-131: AAS 85 (1993), 1086-1089; Congr. per la Dottrina della Fede, Lett. Ad exsequendam (18 maggio 2001): AAS 93 (2001), 786.
(19) Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Novo millennio ineunte (6 gennaio 2001), 43: AAS 93 (2001), 297.
(20) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. sulla Sacra LiturgiaSacrosanctum Concilium, 41.
(21) N. 33: AAS 90 (1998), 733.
(22) Cfr Omelia nella solennità del Corpus Domini (10 giugno 2004), 1: L'Osservatore Romano, 11-12 giugno 2004, p.6.
(23) Conc. Ecum. Vat. II, Cost. past. sulla Chiesa nel mondo contemporaneo Gaudium et spes, 36.
(24) Cfr ibid.
(25) Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. sulla Chiesa Lumen gentium, 1.
(26) Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia (17 aprile 2003), 53: AAS 95 (2003), 469.


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AMDG et BVM

BENEDETTO XVI, * ANGELUS *


"HOC EST ENIM CORPUS MEUM"



BENEDETTO XVI ANGELUS -  Castel Gandolfo  -  Domenica, 18 settembre 2005

<<Cari fratelli e sorelle!

Mentre l’Anno dell’Eucaristia si avvia al termine, vorrei riprendere un tema particolarmente importante, che stava tanto a cuore anche al venerato mio predecessore Giovanni Paolo II: la relazione tra la santità, via e meta del cammino della Chiesa e di ogni cristiano, e l'Eucaristia.


In particolare, il mio pensiero va quest'oggi ai sacerdoti, per sottolineare che proprio nell'Eucaristia sta il segreto della loro santificazione. In forza della sacra Ordinazione, il sacerdote riceve il dono e l'impegno di ripetere sacramentalmente i gesti e le parole con i quali Gesù, nell'Ultima Cena, istituì il memoriale della sua Pasqua. Tra le sue mani si rinnova questo grande miracolo d'amore, del quale egli è chiamato a diventare sempre più fedele testimone e annunciatore (cfr Lett. ap. Mane nobiscum Domine, 30). Ecco perché il presbitero dev'essere prima di tutto adoratore e contemplativo dell'Eucaristia, a partire dal momento stesso in cui la celebra. Sappiamo bene che la validità del Sacramento non dipende dalla santità del celebrante, ma la sua efficacia, per lui stesso e per gli altri, sarà tanto maggiore quanto più egli lo vive con fede profonda, amore ardente, fervido spirito di preghiera.

Durante l'anno, la Liturgia ci presenta come esempi santi ministri dell'Altare, che hanno attinto la forza dell'imitazione di Cristo dalla quotidiana intimità con lui nella celebrazione e nell'adorazione eucaristica. 

Qualche giorno fa abbiamo fatto memoria di san Giovanni Crisostomo, patriarca di Costantinopoli alla fine del quarto secolo. Fu definito "bocca d'oro" per la sua straordinaria eloquenza; ma venne anche chiamato "dottore eucaristico", per la vastità e la profondità della sua dottrina sul santissimo Sacramento. La "divina liturgia" che più viene celebrata nelle Chiese orientali porta il suo nome, e il suo motto: "basta un uomo pieno di zelo per trasformare un popolo", evidenzia quanto efficace sia l'azione di Cristo attraverso i suoi ministri. 

Nella nostra epoca, spicca poi la figura
 di san Pio da Pietrelcina, ….
Celebrando la santa Messa, egli riviveva con tale fervore il mistero del Calvario da edificare la fede e la devozione di tutti. Anche le stigmate, che Dio gli donò, erano espressione di intima conformazione a Gesù crocifisso. 

Pensando ai sacerdoti innamorati dell'Eucaristia, non si può inoltre


 dimenticare san Giovanni Maria Vianney, umile parroco di Ars ai tempi della rivoluzione francese. Con la santità della vita e lo zelo pastorale, egli riuscì a fare di quel piccolo paese un modello di comunità cristiana animata dalla Parola di Dio e dai Sacramenti.

Ci rivolgiamo ora a Maria, pregando in modo speciale per i sacerdoti del mondo intero, affinché traggano da questo Anno dell'Eucaristia il frutto di un rinnovato amore al Sacramento che celebrano. Per intercessione della Vergine Madre di Dio, possano sempre vivere e testimoniare il mistero che è posto nelle loro mani per la salvezza del mondo.>>
VALE! Ad multos annos!


FATIMA: La quarta e quinta apparizione


La quarta e quinta apparizione

Il 13 di agosto 1917 non ci fu l'apparizione, nonostante che un gran numero di fedeli si fossero radunati alla Cova da Iria, perché i tre ragazzi furono impediti di andarci dal sindaco del paese, fortemente anticlericale, il quale con un inganno le aveva trasferiti da Aljustrel alla Casa Comunale di Fatima e poi visto che non volevano ritrattare nulla sulle apparizioni, né svelare eventuali trucchi, li fece mettere in prigione per intimorirli.



La domenica successiva 19 agosto, i tre ebbero la bella sorpresa di vedere la Madonna nel luogo chiamato Valinhos, Ella volle placare la loro angoscia per aver saltato l'appuntamento del 13 alla Cova.


In quest'occasione, la Vergine fra l'altro, chiese che fosse eretta una cappella
sul luogo delle apparizioni con le offerte lasciate dai pellegrini.


Il 13 settembre la Signora apparve di nuovo ai tre pastorelli, che erano circondati da una folla di circa 30.000 persone; anche questa volta la Celeste Signora promise che il 13 ottobre avrebbe fatto un miracolo per tutti, poi sparì in un globo luminoso che partendo dal leccio si elevò verso il cielo.


Ave Maria Gratia Plena...