SANTA CECILIA
22 luglio. Festività di S. Maria Maddalena.
Una bella e lunga visione che non ha nulla a che
fare con la Santa penitente che
io ho sempre amata tanto. La scrivo aggiungendo
fogli a questo quaderno perché
sono sola e prendo quanto ho sotto mano.
Vedo le catacombe. Per quanto io non sia mai 1
stata nelle catacombe, capisco
che sono esse. Quali non so. Vedo oscuri meandri
di stretti corridoi scavati
nella terra, bassi e umidi, fatti tutti a
giravolte come un labirinto. Si
cammina diritti e sembra di poter continuare, al
massimo di poter svoltare in un
altro corridoio, invece ci si trova di fronte una
parete terrosa e occorre
svoltare, tornare indietro sino a ritrovare un
altro corridoio che vada oltre.
In essi sono loculi e loculi, pronti per ricevere
martiri. Pronti in questo
senso: che ognuno è leggermente scavato nella
parete per dare una norma ai
fossori. Così in principio. Ma più ci si addentra
e più 2 i loculi sono già
fondi e compiti, messi tutti nel senso della
parete, come tante cuccette di
nave. Altri sono invece già colmi della loro
santa spoglia e chiusi da una rozza
lapide incisa malamente col nome del martire o
del defunto e i segni cristiani,
oltre una parola di addio e di raccomandazione.
Ma questi loculi già completati e chiusi sono proprio
in quella zona che
suppongo sia la centrale della catacomba, perché
qui si aprono sovente ambienti
più vasti, come sale e salette, e più alti,
ornati di graffiti e più luminosi
degli altri per delle lucernette a olio sparse
qua a là per devozione e per
comodità dei fedeli ai quali per qualche motivo
si spenga la propria lampadetta.
Anche le persone qui sono più numerose e sboccano
da tutte le parti, salutandosi
con amore, a voce bassa come il luogo santo lo
richiede. Vi sono uomini, donne e
bambini. Di ogni condizione sociale. Vestiti da
poveri e da patrizi. Le donne
hanno il capo coperto da una stoffa leggera come
una mussola. Non è il velo di
tulle, certo, ma è come una garza fitta fitta,
più bella nelle ricche, più
povera nelle povere, scura per le spose e vedove,
bianca per le vergini. Vi sono
spose che hanno i bambini in braccio. Forse non
avevano a chi lasciarli e se li
sono portati seco e, se i più grandicelli
camminano al fianco delle mamme loro,
i più piccini, certuni infanti, dormono beati
sotto il velo materno, cullati dal
passo della madre e dai canti lenti e pii che si
elevano sotto le volte.
Sembrano angioletti scesi dal Cielo e sognanti il
Paradiso a cui sorridono nel
sonno.
La gente aumenta e finisce a radunarsi in una
vastissima sala semicircolare che
ha nel culmine del cerchio l’altare volto verso
la folla ed è tutta coperta di
pitture o mosaici. Non capisco bene. So che sono
figurazioni colorate in cui
splendono i toni più vivi o chiari e brillano le
raggiere d’oro. Sull’altare
molti lumi accesi. Intorno all’altare una corona
di vergini bianco-vestite e
bianco-velate.
1 Da qui comincia a scrivere sui fogli aggiunti
al quaderno.
2 più è aggiunto da noi
Entra, benedicente, un vecchio dall’aspetto buono
e maestoso. Credo sia il
Pontefice, perché tutti si prostrano riverenti.
Egli è circondato da preti e
diaconi e passa fra la siepe di teste chine con
un sorriso di bellezza
ineffabile sul volto. Il solo sorriso dice della
sua santità. Sale all’altare e
si prepara al rito mentre i fedeli cantano.
La celebrazione ha luogo. È quasi simile alla
nostra 3. Molto più complessa di
quella vista nel Tullianum, celebrata dall’apostolo
Paolo, e di quella vista
celebrare in casa di Petronilla 4.
IL vecchio celebrante, Vescovo di certo se non
Pontefice, è aiutato e servito
dai diaconi, i quali hanno vesti molto diverse
dalle sue perché, mentre questo
porta una veste (di celebrazione) che somiglia,
tanto per darle un’idea, a
quegli accappatoi 5 da toletta che le donne usano
per pettinarsi - mantellette
tonde che coprono sul davanti e sul dietro e le
spalle e braccia sino quasi al
polso - i diaconi hanno una veste di celebrazione
quasi uguale alle attuali,
lunga sino al ginocchio e con maniche larghe e
corte.
La Messa consta di canti, che comprendo essere
brani di salmi o dell’Apocalisse,
di letture di brani epistolari o biblici e del
Vangelo, i quali vengono
commentati ai fedeli dai diaconi a turno.
Finito di leggere il Vangelo - lo legge con voce
di canto un giovane diacono -
si alza il Pontefice. Lo chiamo così perché sento
che così è indicato da una
mamma ad un suo bambino piuttosto irrequieto. Il
brano scelto era la parabola
delle dieci vergini: sagge o stolte 6.
Il Pontefice dice: «Propria delle vergini, questa
parabola si rivolge a tutte le
anime, poiché i meriti del Sangue del Salvatore e
la Grazia riverginizzano le
anime e le fanno come fanciulle in attesa dello
Sposo.
Sorridete, o vecchi cadenti; alzate il volto, o
patrizi sino a ieri immersi
nella fanghiglia del paganesimo corrotto;
guardate senza più rimpianto al vostro
candido ignorare di fanciulle, o madri e spose.
Non siete, nell’anima, dissimili
da questi gigli fra cui passeggia l’Agnello e che
ora fanno corona al suo
altare. L’anima vostra ha bellezze di vergine che
nessun bacio ha sfiorata,
quando rinascete e permanete in Cristo, Signor
nostro. Il suo venire fa più
candida di alba su un monte coperto di neve l’anima
che prima era sporca e nera
dei vizi più abbietti. Il pentimento la deterge,
la volontà la depura, ma
l’amore, l’amore del nostro santo Salvatore,
amore che viene dal suo Sangue che
grida con voce d’amore, vi rende la verginità
perfetta. Non già quella che
aveste all’alba della vostra vita umana. Ma
3 La scrittrice si riferisce, ovviamente, alla S.
Messa come veniva celebrata ai
suoi tempi, prima della riforma liturgica
introdotta dal Concilio Vaticano II,
anche se resta la somiglianza della celebrazione
da lei descritta con quella dei
nostri giorni.
4 Il 29 febbraio (pag. 225) ??? e il 4 marzo
(pag. 243).???
5 accappatoi è nostra correzione da accapatoi
6 Matteo 25, 1-13.
quella che era del padre di tutti: Adamo, ma
quella che era della madre di
tutti: Eva, prima che Satana passasse, traviando,
sulla loro innocenza angelica,
sull’innocenza: dono divino che li vestiva di
grazia agli occhi di Dio e
dell’universo.
O santa verginità della vita cristiana! Bagno di
Sangue, di Sangue di un Dio che
vi fa nuovi e puri come l’Uomo e la Donna usciti
dalle mani dell’Altissimo! O
nascita seconda della vostra vita, nella vita
cristiana, preludio di quella
terza nascita che vi darà il Cielo quando vi
salirete al cenno di Dio, candidi
per la fede o porpurei per il martirio, belli
come angeli e degni di vedere e
seguire Gesù Cristo, Figlio di Dio, Salvatore
nostro!
Ma oggi, più che alle anime riverginizzate dalla
Grazia, mi volgo a quelle
chiuse in corpo vergine, con volontà di vergine.
Alle vergini sagge che hanno
compreso l’invito d’amore del Signor nostro e le
parole del vergine Giovanni, e
vogliono seguire per sempre l’Agnello fra la
schiera di coloro che non conobbero
contaminazione e che empiranno in eterno i Cieli
del cantico che niuno può dire
se non coloro che vergini sono per amore di Dio
7. E parlo alla forte nella
fede, nella speranza, nella carità, che si ciba
questa notte delle Carni
immacolate del Verbo e si corrobora col suo
Sangue come di Vino celeste per
esser forte nella sua impresa.
Una fra voi si alzerà da questo altare per andare
incontro a un destino il cui
nome può essere “morte”. E vi va fidente in Dio,
non della fede comune a tutti i
cristiani, ma di una ancor più perfetta fede che
non si limita a credere per se
stessa, a credere nella protezione divina per se
stessa. Ma crede anche per gli
altri e spera di portare a questo altare colui
che domani sarà agli occhi del
mondo il suo sposo ma agli occhi di Dio il
fratello suo dilettissimo. Doppia 8,
perfetta verginità che si sente sicura della sua
forza al punto di non temere
violazione, di non temere ira di sposo deluso, di
non temere debolezza di senso,
di non temere paura di minacce, di non temere
delusione di speranze, di non
temere paura e quasi certezza di martirio.
Alzati e sorridi al tuo Sposo vero, casta vergine
di Cristo che vai incontro
all’uomo guardando a Dio, che ci vai per portare
l’uomo a Dio! Dio ti guarda e
sorride e ti sorride la Madre che fu Vergine e
gli angeli ti fanno corona.
Alzati e vieni a dissetarti alla Fonte immacolata
prima di andare alla tua
croce, alla tua gloria.
Vieni, sposa di Cristo. Ripeti a Lui il tuo canto
d’amore sotto queste volte che
ti sono più care della cuna della tua nascita al
mondo, e portalo teco sino al
momento che l’anima lo canterà nel Cielo mentre
il corpo poserà nell’ultimo
sonno fra le braccia di questa tua vera Madre: l’apostolica
Chiesa.»
Finita l’omelia del Pontefice, vi è un poco di
brusio, perché i cristiani
sussurrano guardando e accennando la schiera
delle vergini. Ma viene zittito per
far fare silenzio e poi vengono fatti uscire i
catecumeni e la Messa prosegue.
7 Apocalisse 14, 4.
8 Doppia è lettura incerta
Non c’è il Credo. Almeno io non lo sento dire.
Dei diaconi passano fra i fedeli
raccogliendo offerte, mentre altri diaconi
cantano con la loro voce virile
alternando le strofe di un inno alle voci bianche
delle vergini. Volute di
incenso salgono verso la volta della sala mentre
il Pontefice prega all’altare e
i diaconi sollevano sulle palme le offerte
raccolte in vassoi preziosi e in
anfore pure preziose.
La Messa prosegue ora così come è adesso. Dopo il
dialogo che precede il
Prefazio, e il Prefazio cantato dai fedeli, si fa
un grande silenzio in cui si
odono 9 solo le aspirazioni e i sibili del
celebrante che prega curvo
sull’altare e che poi si solleva e a voce più
distinta dice le parole della
Consacrazione.
Bellissimo il Pater intonato da tutti. Quando si
inizia la distribuzione delle
Specie i diaconi cantano. Vengono comunicate le
vergini per prime. Poi cantano
esse il canto udito per la sepoltura di Agnese
10: “Vidi supra montem Sion Agnum
stantem...”. Il cantico dura sinché dura la
distribuzione delle Specie
alternandosi al salmo: “Come il cervo sospira
alle acque, così l’anima mia anela
Te mio Dio” 11 (credo avere tradotto bene).
La Messa ha termine. I cristiani si affollano
intorno al Pontefice per esserne
benedetti anche singolarmente e per accomiatarsi
dalla vergine a cui si è
rivolto il Pontefice. Questi saluti avvengono
però in una sala vicina, una
anticamera, direi, della chiesa vera e propria. E
avvengono quando la vergine,
dopo una preghiera più lunga di tutte degli altri
presenti, si alza dal suo
posto, si prostra ai piedi dell’altare e ne bacia
il bordo. Pare proprio un
cervo che non sappia staccarsi dalla sua fonte d’acqua
pura.
Sento che la chiamano: “Cecilia, Cecilia” e la
vedo, finalmente, in viso, perché
ora è ritta presso il Pontefice e si è un poco
sollevato il velo. È bellissima e
giovanissima. Alta, formosa con grazia, molto
signorile nel tratto, con una
bella voce e un sorriso e uno sguardo d’angelo.
Dei cristiani la salutano con
lacrime, altri con sorrisi. Alcuni le dicono come
mai si è potuta decidere a
nozze terrene, altri se non teme l’ira del
patrizio quando la scoprirà
cristiana.
Una vergine si rammarica che ella rinunci alla
verginità. Risponde Cecilia a lei
per rispondere a tutti: “Ti sbagli, Balbina. Io
non rinuncio a nessuna
verginità. A Dio ho sacrato il mio corpo come il
mio cuore e a Lui resto fedele.
Amo Dio più dei parenti. Ma li amo ancora tanto
da non volerli portare a morte
prima che Dio li chiami. Amo Gesù, Sposo eterno,
più d’ogni uomo. Ma amo gli
uomini tanto da ricorrere a questo mezzo per non
perdere l’anima di Valeriano.
Egli mi ama, ed io castamente lo amo,
perfettamente lo amo, tanto da volerlo
avere meco nella Luce e nella Verità. Non temo le
sue ire. Spero nel Signore per
vincere. Spero in Gesù per cristianizzare lo
sposo terreno. Ma se non vincerò
in questo, e martirio mi verrà
9 odono è nostra correzione da ode
10 Il 20 gennaio, pag. 62. Apocalisse 14, 1.
11 Salmo 42 (volgata: 41), 2.
dato, vincerò più presto la mia corona. Ma no!...
Io vedo tre corone scendere
dal Cielo: due uguali e una fatta di tre ordini
di gemme. Le due uguali sono
tutte rosse di rubini. La terza è di due fasce di
rubini intorno e un grande
cordone di perle purissime. Esse ci attendono.
Non temete per me. La potenza del
Signore mi difenderà. In questa chiesa ci
troveremo presto uniti per salutare
dei nuovi fratelli. Addio. In Dio”.
Escono dalle catacombe. Si avvolgono tutti in
mantelli scuri e sgattaiolano per
le vie ancora semioscure perché l’alba è appena
appena al suo inizio.
Seguo Cecilia che va insieme a un diacono e a
delle vergini. Alla porta di un
vasto fabbricato si lasciano. Cecilia entra con
due vergini sole. Forse due
ancelle. Il portinaio però deve essere cristiano
perché saluta così: “Pace a
te!”.
Cecilia si ritira nelle sue stanze e insieme alle
due prega e poi si fa
preparare per le nozze. La pettinano molto bene.
Le infilano una finissima veste
di lana candidissima, ornata di una greca in
ricamo bianco su bianco. Sembra
ricamata in argento e perle. Le mettono monili
alle orecchie, alle dita, al
collo, ai polsi.
La casa si anima. Entrano matrone e altre
ancelle. Un via vai festoso e
continuo.
Poi assisto a quello che credo sia lo sposalizio
pagano. Ossia l’arrivo dello
sposo fra musiche e invitati e delle cerimonie di
saluti e aspersions e simili
storie, e poi la partenza in lettiga verso la
casa dello sposo tutta parata a
festa. Noto che Cecilia passa sotto archi di
bende di lana bianca e di rami che
mi paiono mirto e si ferma davanti al larario,
credo, dove vi sono nuove
cerimonie di aspersioni e di formule. Vedo a odo
i due darsi la mano e dire la
frase rituale: “Dove tu, Caio, io Caia”.
Vi è tanta di quella gente e su per giù tutta in
vesti uguali: toghe, toghe e
toghe, che non capisco quale sia il sacerdote del
rito e se c’è. Mi pare di
avere il capogiro.
Poi Cecilia, tenuta per mano dallo sposo, fa il
giro dell’atrio (non so se dico
bene), insomma della sala a nicchie e colonne
dove è il larario, e saluta le
statue degli antenati di Valeriano, credo. E
poscia passa sotto nuovi archi di
mirto ed entra nella vera casa. Sulla soglia le
offrono doni e, fra l’altro, una
rocca e un fuso. Glie la offre una vecchia
matrona. Non so chi sia.
La festa si inizia col solito banchetto romano e
dura fra canti e danze. La sala
è ricchissima come tutta la casa. Vi è un cortile
- credo si chiami impluvio, ma
non ricordo bene i nomi della edilizia romana né
so se li applico giusti - che è
un gioiello di fontane, statue e aiuole. Il
triclinio è fra questo e il giardino
folto e fiorito che è oltre la casa. Fra i
cespugli, statue di marmo e fontane
bellissime.
Mi sembra passi molto tempo perché la sera
scende. Si vede che per i romani non
c’erano le tessere 12. Il banchetto non finisce
mai. È vero che vi sono soste di
canti e danze. Ma insomma...
12 Le tessere che, nel periodo bellico in cui
Maria Valtorta scriveva,
regolavano il razionamento del pane e di altri
alimenti.
Cecilia sorride allo sposo che le parla e la
guarda con amore. Ma pare un poco
svagata. Valeriano le chiede se è stanca e, forse
per farle cosa gradita, si
alza per licenziare gli ospiti.
Cecilia si ritira nelle sue nuove stanze. Le sue
ancelle cristiane sono con lei.
Pregano e, per avere una croce, Cecilia bagna un
dito in una coppa che deve
servire alla toletta e segna una leggera croce
scura sul marmo di una parete. Le
ancelle la svestono del ricco abito mettendole
una semplice veste di lana, le
sciolgono i capelli levandone le forcine preziose
e glie li annodano in due
trecce. Senza gioielli, senza riccioli, così, con
le trecce sulle spalle,
Cecilia pare una giovinetta, mentre giudico abbia
dai 18 ai 20 anni.
Un’ultima preghiera e un cenno alle ancelle che
escono per tornare con
altre più anziane, certo della casa di Valeriano.
In corteo vanno ad una
magnifica camera e le più vecchie accompagnano
Cecilia al letto che è poco
dissimile dai divani alla turca di ora, soltanto
la base è di avorio intarsiato
e colonne di avorio sono ai quattro lati,
sorreggenti 13 un baldacchino di
porpora. Anche il letto è coperto di ricchissime
stoffe di porpora. La lasciano
sola.
Entra Valeriano e va a mani tese verso Cecilia.
Si vede che l’ama molto. Cecilia
sorride al suo sorriso. Ma non va verso lui.
Resta in piedi al centro della
stanza, perché, non appena uscite le vecchie
ancelle che l’avevano adagiata sul
letto, ella si è rialzata.
Valeriano se ne stupisce. Crede non l’abbiano servita
a dovere ed è già iracondo
verso le ancelle. Ma Cecilia lo placa dicendo che
fu lei a volerlo attendere in
piedi.
“Vieni, allora, Cecilia mia” dice Valeriano
cercando di abbracciarla. “Vieni,
ché io ti amo tanto”.
“Io pure. Ma non mi toccare. Non mi offendere con
carezze umane”.
“Ma Cecilia!... Sei mia sposa”.
“Son di Dio, Valeriano. Son cristiana. Ti amo, ma
con l’anima in Cielo. Tu non
hai sposato una donna, ma una figlia di Dio cui
gli angeli servono. E l’angelo
di Dio sta meco a difesa. Non offendere la
celeste creatura con atti di triviale
amore. Ne avresti castigo”.
Valeriano è trasecolato. Dapprima lo stupore lo
paralizza, ma poi l’ira d’esser
beffato lo soverchia ed egli si agita e urla. È
un violento, deluso sul più
bello. “Tu mi hai tradito! Tu ti sei fatta giuoco
di me. Non credo. Non posso,
non voglio credere che tu sei cristiana. Sei
troppo buona, bella e intelligente
per appartenere a questa sozza congrega. Ma
no!... È uno scherzo. Tu vuoi
giuocare come una bambina. È la tua festa. Ma lo
scherzo è troppo atroce. Basta.
Vieni a me”
“Sono cristiana. Non scherzo. Mi glorio d’esserlo
perché esserlo vuol dire esser
grandi in terra e oltre. Ti amo, Valeriano. Ti
amo tanto che sono venuta a te
per portarti a Dio, per averti con me in Dio”.
13 sorreggenti è nostra correzione da sorregenti
“Maledizione a te, pazza e spergiura! Perché mi
hai tradito? Non temi la mia
vendetta?...”
“No, perché so che sei nobile e buono e mi ami.
No, perché so che non osi
condannare senza prova di colpa. Io non ho
colpa...”.
“Tu menti dicendo di angeli e dèi. Come posso
credere a questo? Dovrei vedere e
se vedessi... se vedessi ti rispetterei come
angelo. Ma per ora sei la mia
sposa. Non vedo nulla. Vedo te sola”.
“Valeriano, puoi credere che io menta? Lo puoi
credere, proprio tu che mi
conosci? Sono dei vili, Valeriano, le menzogne.
Credi a quanto ti dico. Se tu
vuoi vedere l’angelo mio, credi in me e lo
vedrai. Credi a chi ti ama. Guarda:
sono sola con te. Tu potresti uccidermi. Non ho
paura. Sono in tua balìa. Mi
potresti denunciare al Prefetto. Non ho paura. L’angelo
mi ripara delle sue ali.
Oh! se tu lo vedessi!...”
“Come potrei vederlo?”
“Credendo in ciò che io credo. Guarda: sul mio
cuore è un piccolo rotolo. Sai
cosa è? È la Parola del mio Dio. Dio non mente, e
Dio ha detto di non avere
paura, noi che crediamo in Lui, ché aspidi e
scorpioni saranno senza veleno per
il nostro piede 14...”.
“Ma pure voi morite a migliaia nelle arene...”
“No. Non moriamo. Viviamo eterni. L’Olimpo non è.
Il Paradiso è. In esso non
sono gli 15 dèi bugiardi e dalle passioni
brutali. Ma solo angeli e santi nella
luce e nelle armonie celesti. Io le sento... Io
le vedo... O Luce! O Voce! O
Paradiso! Scendi! Scendi! Vieni a far tuo questo
tuo figlio, questo mio sposo.
La tua corona prima a lui che a me. A me il
dolore d’esser senza il suo affetto,
ma la gioia di vederlo amato da Te, in Te, prima
del mio venire. O gioioso
Cielo! O eterne nozze! Valeriano, saremo uniti
davanti a Dio, vergini sposi,
felici di un amore perfetto...” Cecilia è
estatica.
Valeriano la guarda ammirato, commosso. “Come
potrei... come potrei avere ciò?
Io sono il patrizio romano. Sino a ieri
gozzovigliai e fui crudele. Come posso
esser come te, angelo?”
“Il mio Signore è venuto per dare vita ai morti.
Alle anime morte. Rinasci in
Lui e sarai simile a me. Leggeremo insieme la sua
Parola e la tua sposa sarà
felice d’esserti maestra. E poi ti condurrò meco
dal Pontefice santo. Egli ti
darà la completa luce e la grazia. Come cieco a
cui si aprono le pupille tu
vedrai. Oh! vieni, Valeriano, e odi la Parola
eterna che mi canta in cuore”.
E Cecilia prende per mano lo sposo, ora tutto
umile e calmo come un bambino, e
si siede presso a lui su due ampi sedili e legge
il I capitolo del Vangelo di S.
Giovanni sino al v. 14, poi il cap. 3° nell’episodio
di Nicodemo.
La voce di Cecilia è come musica d’arpa nel
leggere quelle pagine e Valeriano le
ascolta prima stando seduto col capo appuntellato
alle mani, posando i
gomiti
14 Marco 16, 17-18; Luca 10, 19.
15 gli è nostra correzione da i
sui ginocchi, ancora un poco sospettoso e
incredulo, poi appoggia il capo sulla
spalla della sposa e a occhi chiusi ascolta
attentamente e, quando lei smette,
supplica: “Ancora, ancora”. Cecilia legge brani
di Matteo e Luca, tutti atti a
persuadere sempre più lo sposo, e termina
tornando a Giovanni del quale legge
dalla lavanda in poi 16.
Valeriano ora piange. Le lacrime cadono senza
sussulti dalle sue palpebre
chiuse. Cecilia le vede e sorride, ma non mostra
notarle. Letto l’episodio di
Tommaso incredulo 17, ella tace...
E restano così, assorti l’una in Dio, l’altro in
se stesso, sinché Valeriano
grida: “Credo. Credo, Cecilia. Solo un Dio vero
può aver detto quelle parole e
amato in quel modo. Portami dal tuo Pontefice.
Voglio amare ciò che tu ami.
Voglio ciò che tu vuoi. Non temere più di me,
Cecilia. Saremo come tu vuoi:
sposi in Dio e qui fratelli. Andiamo, ché non
voglio tardare a vedere ciò che tu
vedi: l’angelo del tuo candore “.
E Cecilia raggiante si alza, apre la finestra,
scosta le tende perché la luce
del nuovo giorno entri, e si segna dicendo il
Pater noster: adagio, adagio
perché lo sposo possa seguirla, e poi con la sua
mano lo segna in fronte e sul
cuore e per ultimo gli prende la mano e glie la
porta alla fronte, al petto,
alle spalle nel segno di croce, e poi esce
tenendo lo sposo sempre per mano,
guidandolo verso la Luce.
Non vedo altro.
Ma Gesù mi dice:
«Quanto avete da imparare dall’episodio di
Cecilia! È un vangelo della Fede 18.
Perché la fede di Cecilia era ancor più grande di
quella di tante altre vergini.
Considerate. Ella va alle nozze fidando in Me che
ho detto: “Se avrete tanta
fede quanto un granello di senapa, potrete dire a
un monte: ritirati, ed esso si
sposterà”19. Vi va sicura del triplo miracolo di
esser preservata da ogni
violenza, di esser apostola dello sposo pagano,
di esser immune per il momento,
e da parte di lui, da ogni denuncia. Sicura nella
sua fede, ella fa un passo
rischioso, agli occhi di tutti, non ai suoi,
perché i suoi fissi in Me vedono il
mio sorriso. E la sua fede ha ciò che ha sperato.
Come va al cimento? Corroborata di Me. Si alza da
un altare per andare alla
prova. Non da un letto. Non parla con uomini.
Parla con Dio. Non si appoggia
altro che a Me.
Ella lo amava santamente Valeriano, lo amava
oltre la carne. Angelica sposa,
vuole continuare ad amare così il consorte per
tutta la vera Vita. Non si limita
a farlo felice qui. Vuole farlo felice in eterno.
Non è egoista. Dà a lui ciò
che è il suo
16 Da Giovanni 13, 1 in poi.
17 Giovanni 20, 24-29.
18 Vedi il breve dettato del 28 febbraio, pag.
152.
19 Matteo 17, 20; Luca 17, 6.
bene: la conoscenza di Dio. Affronta il pericolo
pur di salvarlo. Come madre,
ella non cura pericoli pur di dare alla Vita un’altra
creatura.
La vera Religione non è mai sterile. Dà ardori di
paternità e maternità
spirituali che empiono i secoli di calori santi.
Quanti coloro che in questi
venti secoli hanno effuso se stessi, facendosi
eunuchi volontari 20 pur di esser
liberi di amare non pochi, ma tanti, ma tutti gli
infelici!
Guardate quante vergini fanno da madri agli
orfani, quanti vergini da padri ai
derelitti. Guardate quanti generosi senza tonaca
o divisa fanno olocausto della
loro vita per portare a Dio la miseria più
grande: le anime che si sono perdute
e impazzano nella disperazione e nella solitudine
spirituale. Guardate. Voi non
li conoscete. Ma Io li conosco uno per uno e li vedo
come diletti del Padre.
Cecilia vi insegna anche una cosa. Che per
meritare di vedere Iddio bisogna
esser puri. Lo insegna a Valeriano e a voi. Io l’ho
detto: “Beati i puri perché
vedranno Dio”21.
Esser puri non vuol dire esser vergini. Vi sono
vergini che sono impuri, e padri
e madri che sono puri. La verginità è l’inviolatezza
fisica e, dovrebbe essere,
spirituale. La purezza è la castità che dura
nelle contingenze della vita. In
tutte. È puro colui che non pratica e seconda la
libidine e gli appetiti della
carne. È puro colui che non trova diletto in
pensieri e discorsi o spettacoli
licenziosi. È puro colui che, convinto della
onnipresenza di Dio, si comporta
sempre, sia che sia con sé solo che con altri,
come fosse in mezzo ad un
pubblico.
Dite: fareste in mezzo ad una piazza ciò che vi
permettete di fare nella vostra
stanza? Direste ad altri, coi quali volete
rimanere in alto concetto, ciò che
ruminate dentro? No. Perché su una via
incorrereste nelle pene degli uomini e
presso gli uomini nel loro disprezzo. E perché
allora fate diversamente con Dio?
Non vi vergognate di apparire a Lui quali porci,
mentre vi vergognate di
apparire tali agli occhi degli uomini?
Valeriano vide l’angelo di Cecilia e ebbe il suo
e portò a Dio Tiburzio. Lo vide
dopo che la Grazia lo rese degno, e la volontà
insieme, di vedere l’angelo di
Dio. Eppure Valeriano non era vergine. Non era
vergine. Ma quale merito sapersi
strappare, per un amore soprannaturale, ogni
abitudine inveterata di pagano!
Grande merito in Cecilia che seppe tenere l’affetto
per lo sposo in sfere tutte
spirituali, con una verginità doppiamente eroica;
grande merito in Valeriano di
saper volere rinascere alla purezza dell’infanzia,
per venire con bianca stola
nel mio Cielo.
I puri di cuore! Aiuola profumata e fiorita su
cui trasvolano gli angeli. I
forti nella fede. Rocca su cui si alza e splende
la mia Croce. Rocca di cui ogni
pietra è un cuore cementato all’altro nella
comune Fede che li lega.
20 Matteo 19, 12.
21 Matteo 5, 8.
Nulla Io nego a chi sa credere e vincere la carne
e le tentazioni. Come a
Cecilia, Io do vittoria a chi crede ed è puro di
corpo e di pensiero.
Il Pontefice Urbano ha parlato sulla
riverginizzazione delle anime attraverso la
rinascita e la permanenza in Me. Sappiatela
raggiungere. Non basta esser
battezzati per essere vivi in Me. Bisogna sapervi
rimanere.
Lotta assidua contro il demonio e la carne. Ma
non siete soli a combatterla.
L’angelo vostro ed Io stesso siamo 22 con voi. E
la terra si avvierebbe verso la
vera pace quando i primi a far pace fossero i
cuori con se stessi e con Dio, con
se stessi e i fratelli, non più essendo arsi da
ciò che è male e che a sempre
maggior male spinge. Come valanga che si inizia
da un nulla e diviene massa
immane.
Tanto dovrei dire ai coniugi. Ma a che pro? Già
ho detto 23. Né si volle capire.
Nel mondo decaduto non soltanto la verginità pare
manìa ma la castità nel
coniugio, la continenza, che fa dell’uomo un Uomo
e non una bestia, non è più
riputata che debolezza e menomazione.
Siete impuri e trasudate impurità. Non date nomi
ai vostri mali morali. Ne hanno
tre, i sempre antichi e sempre nuovi: orgoglio,
cupidigia e sensualità. Ma ora
avete raggiunto la perfezione in queste tre belve
che vi sbranano e che andate
cercando con pazza bramosia.
Per i migliori ho dato questo episodio, per gli
altri è inutile perché alla loro
anima sporca di corruzione non fa che muovere
solletico di riso. Ma voi buoni
state fedeli. Cantate con cuore puro la vostra
fede a Dio. E Dio vi consolerà
dandosi a voi come Io ho detto. Ai buoni fra i
migliori darò la conoscenza
completa della conversione di Valeriano per il
merito di una vergine pura e
fedele.»
22 siamo è nostra correzione da sono
23 Nei dettati del 22 marzo (pag. 195) e del 21 giugno (pag. 321).