giovedì 28 giugno 2012

***** "Tutta la sua vita terrena è stata una vittoria sulla morte, perché spesa interamente al servizio di Dio, nell’oblazione piena di sé a Lui e al prossimo. Per questo Maria è in se stessa un inno alla vita: è la creatura in cui si è già realizzata la parola di Cristo: “Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10)".

Ai lettori di "Maria Giglio della Trinità ..." offro questo magnifico discorso del Papa Benedetto XVI, che in dicembre 2011 m'era sfuggito e che parla di
una verità che vorrei tutti conoscessero per la gloria di Gesù benedetto e dell'Immacolata Madre nostra dolcissima: il Santo Padre dice che Maria, è pienamente associata alla vittoria di Gesù Cristo, suo Figlio, sul peccato e sulla morte; è libera da qualsiasi ombra di morte e totalmente ricolma di vita. ...

Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa


DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Solennità dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria
Giovedì, 8 dicembre 2011

<<Cari fratelli e sorelle!
La grande festa di Maria Immacolata ci invita ogni anno a ritrovarci qui, in una delle piazze più belle di Roma, per rendere omaggio a Lei, alla Madre di Cristo e Madre nostra. Con affetto saluto tutti voi qui presenti, come pure quanti sono uniti a noi mediante la radio e la televisione. E vi ringrazio per la vostra corale partecipazione a questo mio atto di preghiera.

Sulla sommità della colonna a cui facciamo corona, Maria è raffigurata da una statua che in parte richiama il passo dell’Apocalisse appena proclamato: “Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle” (Ap 12,1). Qual è il significato di questa immagine? Essa rappresenta nello stesso tempo la Madonna e la Chiesa.

Anzitutto la “donna” dell’Apocalisse è Maria stessa. Ella appare “vestita di sole”, cioè vestita di Dio: la Vergine Maria infatti è tutta circondata dalla luce di Dio e vive in Dio. Questo simbolo della veste luminosa chiaramente esprime una condizione che riguarda tutto l’essere di Maria: Lei è la “piena di grazia”, ricolma dell’amore di Dio. E “Dio è luce”, dice ancora san Giovanni (1 Gv 1,5). Ecco allora che la “piena di grazia”, l’“Immacolata” riflette con tutta la sua persona la luce del “sole” che è Dio.
Questa donna tiene sotto i suoi piedi la luna, simbolo della morte e della mortalità. Maria, infatti, è pienamente associata alla vittoria di Gesù Cristo, suo Figlio, sul peccato e sulla morte; è libera da qualsiasi ombra di morte e totalmente ricolma di vita. Come la morte non ha più alcun potere su Gesù risorto (cfr Rm 6,9), così, per una grazia e un privilegio singolare di Dio Onnipotente, Maria l’ha lasciata dietro di sé, l’ha superata. E questo si manifesta nei due grandi misteri della sua esistenza: all’inizio, l’essere stata concepita senza peccato originale, che è il mistero che celebriamo oggi; e, alla fine, l’essere stata assunta in anima e corpo nel Cielo, nella gloria di Dio. Ma anche tutta la sua vita terrena è stata una vittoria sulla morte, perché spesa interamente al servizio di Dio, nell’oblazione piena di sé a Lui e al prossimo. Per questo Maria è in se stessa un inno alla vita: è la creatura in cui si è già realizzata la parola di Cristo: “Io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza” (Gv 10,10).

Nella visione dell’Apocalisse c’è un altro particolare: sul capo della donna vestita di sole c’è “una corona di dodici stelle”. Questo segno rappresenta le dodici tribù d’Israele e significa che la Vergine Maria è al centro del Popolo di Dio, di tutta la comunione dei santi. E così questa immagine della corona di dodici stelle ci introduce alla seconda grande interpretazione del segno celeste della “donna vestita di sole”: oltre a rappresentare la Madonna, questo segno impersona la Chiesa, la comunità cristiana di tutti i tempi. Essa è incinta, nel senso che porta nel suo seno Cristo e lo deve partorire al mondo: ecco il travaglio della Chiesa pellegrina sulla terra, che in mezzo alle consolazioni di Dio e alle persecuzioni del mondo deve portare Gesù agli uomini.

E’ proprio per questo, perché porta Gesù, che la Chiesa incontra l’opposizione di un feroce avversario, rappresentato nella visione apocalittica da “un enorme drago rosso” (Ap 12,3). Questo dragone ha cercato invano di divorare Gesù – il “figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni” (12,5) –, invano perché Gesù, attraverso la sua morte e risurrezione, è salito verso Dio e si è assiso sul suo trono. Perciò il dragone, sconfitto una volta per sempre nel cielo, rivolge i suoi attacchi contro la donna – la Chiesa – nel deserto del mondo. Ma in ogni epoca la Chiesa viene sostenuta dalla luce e dalla forza di Dio, che la nutre nel deserto con il pane della sua Parola e della santa Eucaristia. E così in ogni tribolazione, attraverso tutte le prove che incontra nel corso dei tempi e nelle diverse parti del mondo, la Chiesa soffre persecuzione, ma risulta vincitrice. E proprio in questo modo la Comunità cristiana è la presenza, la garanzia dell’amore di Dio contro tutte le ideologie dell’odio e dell’egoismo.

L’unica insidia di cui la Chiesa può e deve aver timore è il peccato dei suoi membri. Mentre infatti Maria è Immacolata, libera da ogni macchia di peccato, la Chiesa è santa, ma al tempo stesso segnata dai nostri peccati. Per questo il Popolo di Dio, peregrinante nel tempo, si rivolge alla sua Madre celeste e domanda il suo aiuto; lo domanda perché Ella accompagni il cammino di fede, perché incoraggi l’impegno di vita cristiana e perché dia sostegno alla speranza. Ne abbiamo bisogno, soprattutto in questo momento così difficile per l’Italia, per l’Europa, per varie parti del mondo. Maria ci aiuti a vedere che c’è una luce al di là della coltre di nebbia che sembra avvolgere la realtà. Per questo anche noi, specialmente in questa ricorrenza, non cessiamo di chiedere con fiducia filiale il suo aiuto: “O Maria, concepita senza peccato, prega per noi che a te ricorriamo”. Ora pro nobis, intercede pro nobis ad Dominum Iesum Christum!>>



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LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!

Fra Daniele Natale e il Purgatorio - "Fui condannato a due/tre ore di purgatorio. «Ma come?, mi chiesi, solo due/tre ore? E poi potrò rima nere per sempre vicino a Dio eterno Amore?». Feci un salto di gioia e mi sentii come un figlio prediletto. ..."


Fra Daniele Natale (ora è Servo di Dio) e il Purgatorio

 
fra daniele sedutoSono un semplice fratello laico cappuccino. Ho svolto la mia vita facendo il lavoro che mi competeva: portinaio, sacrista, questuante, cuciniere. Spesso mi recavo, bisaccia in spalla, a chiedere l'elemosina di porta in porta. Ogni mattino facevo la spesa per il convento.
Mi conoscevano tutti e mi volevano bene. Ogni volta che compravo qualcosa mi facevano degli sconti. Quelle poche lire, anziché consegnarle al superiore, le conservavo per la corrispondenza, per le mie piccole necessità ed anche per aiutare dei militari che bussavano alla porta del convento.
Si era nell'immediato dopo guerra. Io ero a San Giovanni Rotondo, mio paese nativo, nel medesimo convento di Padre Pio. Da un po' di tempo avvertivo dei dolori all'apparato digerente. Mi sottoposi a visita medica ed il medico diagnosticò un male incurabile: tumore.
Con la morte nel cuore andai a raccontare tutto a Padre Pio, il quale, dopo avermi ascoltato, bruscamente mi disse: «Operati!». Rimasi confuso e reagii. Dissi: Padre, non ne vale la pena! Il medico non mi ha dato nessuna speranza. Ormai so di dover morire. «Non importa ciò che ti ha detto il medico: operati, ma a Roma nella tale clinica e dal tale professore». Il Padre mi disse queste cose con tale forza e con tanta sicurezza che io risposi: «Si, Padre, lo farò». Allora lui mi guardò con dolcezza e, commosso, aggiunse: «Non temere, io sarò sempre con te». La mattina dopo ero già in viaggio per Roma. Mentre ero seduto sul treno, avvertii a fianco a me una presenza misteriosa: era Padre Pio che manteneva la promessa di starmi vicino. Quando arrivai a Roma, seppi che la clinica era «Regina Elena»; il professore si chiamava Riccardo Moretti. Verso sera feci il mio ingresso in clinica. Sembrava che tutti mi aspettassero, come se qualcuno avesse annunciato il mio arrivo. Mi accolsero immediatamente. Subito dopo il consulto medico, il direttore sanitario venne a chiedermi il consenso per l'intervento previsto per il giorno dopo. Io apposi la firma richiesta. Alle ore 7.00 del mattino ero già in sala operatoria. Mi prepararono per l'intervento. Nonostante l'anestesia, rimasi sveglio e cosciente: mi raccomandai al Signore con le stesse parole che Lui rivolse al Padre prima di morire: «Padre, nelle tue mani raccomando il mio spirito». I medici cominciarono l'intervento ed io sentivo tutto ciò che dicevano; soffrivo dolori atroci, ma non mi lamentai, anzi ero contento di sopportare tanto dolore che offrivo a Gesù e mi accorgevo come tutte quelle sofferenze rendevano la mia anima sempre più pura dai miei peccati. Ad un certo punto mi addormentai. Quando ripresi coscienza mi dissero che ero stato tre giorni in coma prima di morire. Mi presentai dinanzi al trono di Dio. Vedevo Dio, ma non come giudice severo, bensì come Padre affettuoso e pieno di amore. Allora capii che il Signore aveva fatto tutto per amor mio, che si era preso cura di me dal primo all'ultimo istante della mia vita, amandomi come se io fossi l'unica creatura esistente su questa terra. Mi resi anche conto però che, non solo non avevo ricambiato questo immenso amor divino, ma l'avevo del tutto trascurato.
Fui condannato a due/tre ore di purgatorio. «Ma come?, mi chiesi, solo due/tre ore? E poi potrò rima nere per sempre vicino a Dio eterno Amore?». Feci un salto di gioia e mi sentii come un figlio prediletto. La visione scomparve ed io mi ritrovai in purgatorio. Le due/tre ore di purgatorio mi erano state date soprattutto per aver mancato al voto di povertà, per aver conservato per me quelle poche lire, come ho detto prima. Erano dolori terribili che non si sapeva da dove venissero, però si provavano intensamente. I sensi che più avevano offeso Dio in questo mondo: gli occhi, la lingua... provavano maggior dolore ed era una cosa da non credere perché laggiù nel purgatorio, uno si sente come se avesse il corpo e conosce/riconosce gli altri come avviene nel mondo. Intanto, non erano passati che pochi momenti di quelle pene e già mi sembrava che fosse un'eternità. Quello che più fa soffrire nel purgatorio non è tanto il fuoco, pur tanto intenso, ma quel sentirsi lontani da Dio, e quel che più addolora è di aver avuto tutti i mezzi a disposizione per la salvezza e di non averne saputo approfittare. Pensai allora di andare da un confratello del mio convento per chiedergli di pregare per me che ero nel purgatorio. Quel confratello rimase meravigliato perché sentiva la mia voce, ma non vedeva la mia persona, e chiese: «Dove sei? perché non ti vedo?». Io insistevo e, vedendo che non avevo altro mezzo per raggiungerlo, cercai di toccarlo; ma le mie braccia si incrociavano senza toccarsi. Solo allora mi resi conto di essere senza corpo. Mi accontentai di insistere perché pregasse molto per me e me ne andai. «Ma come? - dicevo a me stesso - non dovevano essere solo due/tre ore di purgatorio?... e sono tra scorsi già trecento anni?». Almeno così mi sembrava. Ad un tratto mi apparve la Beata Vergine Maria e la scongiurai, la implorai dicendole: «O santissima vergine Maria, madre di Dio, ottienimi dal Signore la grazia di tornare sulla terra per vivere ed agire solo per amore di Dio!». Mi accorsi anche della presenza di Padre Pio e supplicai anche lui: «Per i tuoi atroci dolori, per le tue benedette piaghe, Padre Pio mio, prega tu per me Id dio che mi liberi da queste fiamme e mi conceda di continuare il purgatorio sulla terra». Poi non vidi più nulla, ma mi resi conto che il Padre parlava alla Ma donna. Dopo pochi istanti mi apparve di nuovo la Beata Vergine Maria: era la Madonna delle Grazie, ma senza Gesù Bambino. Ella chinò il capo e mi sorrise. In quel preciso momento ripresi possesso del mio corpo, aprii gli occhi e stesi le braccia. Poi, con un movi mento brusco, mi liberai del lenzuolo che mi copriva. Ero stato accontentato, avevo ricevuto la grazia! La Madonna mi aveva esaudito. Subito dopo, quelli che mi vegliavano e pregavano, spaventatissimi, si precipitarono fuori dalla sala per andare in cerca di infermieri e di dottori. In pochi minuti la clinica era in subbuglio. Credevano tutti che io fossi un fantasma e decisero di chiudere bene la porta e sparire per un certo timore degli spiriti.
Al mattino seguente, mi alzai molto presto e mi sedetti su di una poltrona. Malgrado la porta fosse accuratamente custodita, alcuni riuscirono ad entra re e mi chiesero spiegazione dell'accaduto. Per tran quillizzarli, dissi che stava arrivando il medico di guardia, il quale avrebbe raccontato l'accaduto. Di solito i medici non arrivavano prima delle ore dieci. Quella mattina erano ancora le ore sette e io dissi ai presenti: «Guardate: il medico sta arrivando, ora sta parcheggiando la macchina nel tal posto». Ma nessuno volle credermi. Ed io: «Ora sta attraversando la strada, porta la giacca sul braccio e si passa la mano sulla testa come fosse preoccupato, non so cosa avrà!...». Ma nessuno dava credito alle mie parole. Allora dissi: affinché crediate che io non vi mento, vi confermo che ora il medico sta salendo in ascensore e sta per bussare alla porta. Avevo appena finito di parlare, che la porta si aprì ed il medico entrò con grande meraviglia di tutti i presenti. Con le lacrime agli occhi il dottore disse: «Sì, adesso credo: credo in Dio, credo nella Chiesa, credo in Padre Pio...».
Quel dottore, che prima non credeva o la cui fede era ad acqua di rose, confessò che quella notte non era riuscito a chiudere occhio pensando alla mia morte da lui accertata senza darsi spiegazione. Disse che malgrado il certificato di morte da lui stilato era tornato per rendersi conto di cosa era successo quel la notte che tanti incubi gli aveva procurato, perché quel morto (che ero io) non era un morto come gli altri. In effetti, non si era sbagliato!

CONCLUSIONE
Dopo questa esperienza, fra Daniele visse veramente il purgatorio su questa terra purificandosi
attraverso malattie, sofferenze e dolori, e uniformandosi sempre e in tutto alla volontà di Dio.  Ricordiamo solo alcuni interventi da lui subiti: prostata, colicisti, aneurisma della vena porta addominale con relativa protesi, tumore alla vescica, intervento dopo un terribile incidente stradale nei pressi di Bologna, tralasciando altri ricoveri e dolori non solo fisici, ma anche morali.
Alla sorella Felicetta che gli chiedeva come si sentisse in salute fra Daniele confidò: «Sorella mia, sono più di 40 anni che non ricordo cosa significhi star bene!».

Fra Daniele è morto il 6 luglio 1994.
Mentre la sua salma era composta nella cappella dell'Infermeria del convento dei Frati Cappuccini in San Giovanni Rotondo e si recitava il Santo Rosario in suffragio della sua anima benedetta, ad alcuni dei pre senti parve che fra Daniele muovesse le labbra, come per rispondere al Rosario, alle Ave Maria. La voce si sparse in un baleno, tanto che il superiore padre Livio Di Matteo, per una certa serenità interiore, volle accertarsi che non si trattasse di morte apparente. Per questo fece venire dalla vicina Casa Sollievo della Sofferenza il dottor Nicola Silvestri Aiuto di Medicina legale ed il dottor Giuseppe Fasanella Assistente di Medicina legale i quali praticarono a fra Daniele l'elettrocardiogramma e gli misurarono anche la temperatura, accertandone così definitivamente il decesso.
Ora fra Daniele gode certamente la visione beatifica di Dio e dal cielo sorride, benedice e protegge.

Tratto da: "fra Daniele Natale - racconta...le sue esperienze con Padre Pio" di padre Remigio Fiore

Ave, Ave, Ave,
Ave Maria!

Papa Benedetto XVI: "Con la preghiera costante e fiduciosa il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione."


BENEDETTO XVI

Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa
UDIENZA GENERALE
Piazza San Pietro
Mercoledì, 9 maggio 2012
Cari fratelli e sorelle,
oggi vorrei soffermarmi sull’ultimo episodio della vita di san Pietro raccontato negli Atti degli Apostoli: la sua carcerazione per volere di Erode Agrippa e la sua liberazione per l’intervento prodigioso dell’Angelo del Signore, alla vigilia del suo processo a Gerusalemme (cfr At 12,1-17).
Il racconto è ancora una volta segnato dalla preghiera della Chiesa. San Luca, infatti, scrive: «Mentre Pietro dunque era tenuto in carcere, dalla Chiesa saliva incessantemente a Dio una preghiera per lui» (At 12,5). E, dopo aver miracolosamente lasciato il carcere, in occasione della sua visita alla casa di Maria, la madre di Giovanni detto Marco, si afferma che «molti erano riuniti e pregavano» (At 12,12). Fra queste due annotazioni importanti che illustrano l’atteggiamento della comunità cristiana di fronte al pericolo e alla persecuzione, viene narrata la detenzione e la liberazione di Pietro, che comprende tutta la notte. La forza della preghiera incessante della Chiesa sale a Dio e il Signore ascolta e compie una liberazione impensabile e insperata, inviando il suo Angelo.


Il racconto richiama i grandi elementi della liberazione d’Israele dalla schiavitù dell’Egitto, la Pasqua ebraica. Come avvenne in quell’evento fondamentale, anche qui l’azione principale è compiuta dall’Angelo del Signore che libera Pietro. E le stesse azioni dell’Apostolo - al quale viene chiesto di alzarsi in fretta, di mettersi la cintura e di legarsi i fianchi – ricalcano quelle del popolo eletto nella notte della liberazione per intervento di Dio, quando venne invitato a mangiare in fretta l’agnello con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano, pronto per uscire dal Paese (cfr Es 12,11). Così Pietro può esclamare: «Ora so veramente che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode» (At 12,11). Ma l’Angelo richiama non solo quello della liberazione di Israele dall’Egitto, ma anche quello della Risurrezione di Cristo. Narrano, infatti, gli Atti degli Apostoli: «Ed ecco, gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro e lo destò» (At 12,7). La luce che riempie la stanza della prigione, l’azione stessa di destare l’Apostolo, rimandano alla luce liberante della Pasqua del Signore che vince le tenebre della notte e del male. L’invito, infine: «Metti il mantello e seguimi» (At 12,8), fa risuonare nel cuore le parole della chiamata iniziale di Gesù (cfr Mc 1,17), ripetuta dopo la Risurrezione sul lago di Tiberiade, dove il Signore dice per ben due volte a Pietro: «Seguimi» (Gv 21,19.22). E’ un invito pressante alla sequela: solo uscendo da se stessi per mettersi in cammino con il Signore e fare la sua volontà, si vive la vera libertà.


Vorrei sottolineare anche un altro aspetto dell’atteggiamento di Pietro in carcere; notiamo, infatti, che, mentre la comunità cristiana prega con insistenza per lui, Pietro «stava dormendo» (At 12,6). In una situazione così critica e di serio pericolo, è un atteggiamento che può sembrare strano, ma che invece denota tranquillità e fiducia; egli si fida di Dio, sa di essere circondato dalla solidarietà e dalla preghiera dei suoi e si abbandona totalmente nelle mani del Signore. Così deve essere la nostra preghiera: assidua, solidale con gli altri, pienamente fiduciosa verso Dio che ci conosce nell’intimo e si prende cura di noi al punto che – dice Gesù – «perfino i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non abbiate dunque paura…» (Mt 10, 30-31). Pietro vive la notte della prigionia e della liberazione dal carcere come un momento della sua sequela del Signore, che vince le tenebre della notte e libera dalla schiavitù delle catene e dal pericolo di morte. La sua è una liberazione prodigiosa, segnata da vari passaggi descritti accuratamente: guidato dall’Angelo, nonostante la sorveglianza delle guardie, attraversa il primo e il secondo posto di guardia, sino alla porta di ferro che immette in città: e la porta si apre da sola davanti a loro (cfr At 12,10). Pietro e l’Angelo del Signore compiono insieme un tratto di strada finché, rientrato in se stesso, l’Apostolo si rende conto che il Signore lo ha realmente liberato e, dopo aver riflettuto, si reca in casa di Maria, la madre di Marco, dove molti dei discepoli sono riuniti in preghiera; ancora una volta la risposta della comunità alla difficoltà e al pericolo è affidarsi a Dio, intensificare il rapporto con Lui.


Qui mi pare utile richiamare un’altra situazione non facile che ha vissuto la comunità cristiana delle origini. Ce ne parla san Giacomo nella sua Lettera. E’ una comunità in crisi, in difficoltà, non tanto per le persecuzioni, ma perché al suo interno sono presenti gelosie e contese (cfr Gc 3,14-16). E l’Apostolo si chiede il perché di questa situazione. Egli trova due motivi principali: il primo è il lasciarsi dominare dalle passioni, dalla dittatura delle proprie voglie, dall’egoismo (cfr Gc 4,1-2a); il secondo è la mancanza di preghiera – «non chiedete» (Gc 4,2b) – o la presenza di una preghiera che non si può definire come tale – «chiedete e non ottenete, perché chiedete male, per soddisfare le vostre passioni» (Gc 4,3). Questa situazione cambierebbe, secondo san Giacomo, se la comunità parlasse tutta insieme con Dio, pregasse realmente in modo assiduo e unanime. Anche il discorso su Dio, infatti, rischia di perdere la sua forza interiore e la testimonianza inaridisce se non sono animati, sorretti e accompagnati dalla preghiera, dalla continuità di un dialogo vivente con il Signore. Un richiamo importante anche per noi e le nostre comunità, sia quelle piccole come la famiglia, sia quelle più vaste come la parrocchia, la diocesi, la Chiesa intera. E mi fa pensare che hanno pregato in questa comunità di san Giacomo, ma hanno pregato male, solo per le proprie passioni. Dobbiamo sempre di nuovo imparare a pregare bene, pregare realmente, orientarsi verso Dio e non verso il bene proprio.


La comunità, invece, che accompagna la prigionia di Pietro è una comunità che prega veramente, per tutta la notte, unita. Ed è una gioia incontenibile quella che invade il cuore di tutti quando l’Apostolo bussa inaspettatamente alla porta. Sono la gioia e lo stupore di fronte all’azione di Dio che ascolta. Così dalla Chiesa sale la preghiera per Pietro e nella Chiesa egli torna per raccontare «come il Signore lo aveva tratto fuori dal carcere» (At 12,17). In quella Chiesa dove egli è posto come roccia (cfr Mt 16,18), Pietro racconta la sua «Pasqua» di liberazione: egli sperimenta che nel seguire Gesù sta la vera libertà, si è avvolti dalla luce sfolgorante della Risurrezione e per questo può testimoniare sino al martirio che il Signore è il Risorto e «veramente ha mandato il suo angelo e lo ha strappato dalle mani di Erode» (At 12,11). Il martirio che subirà poi a Roma lo unirà definitivamente a Cristo, che gli aveva detto: quando sarai vecchio un altro ti porterà dove tu non vuoi, per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio (cfr Gv 21,18-19).


Cari fratelli e sorelle, l’episodio della liberazione di Pietro raccontato da Luca ci dice che la Chiesa, ciascuno di noi, attraversa la notte della prova, ma è la vigilanza incessante della preghiera che ci sostiene. Anche io, fin dal primo momento della mia elezione a Successore di san Pietro, mi sono sempre sentito sorretto dalla preghiera di voi, dalla preghiera della Chiesa, soprattutto nei momenti più difficili. Ringrazio di cuore. Con la preghiera costante e fiduciosa il Signore ci libera dalle catene, ci guida per attraversare qualsiasi notte di prigionia che può attanagliare il nostro cuore, ci dona la serenità del cuore per affrontare le difficoltà della vita, anche il rifiuto, l’opposizione, la persecuzione. L’episodio di Pietro mostra questa forza della preghiera. E l’Apostolo, anche se in catene, si sente tranquillo, nella certezza di non essere mai solo: la comunità sta pregando per lui, il Signore gli è vicino; anzi egli sa che «la forza di Cristo si manifesta pienamente nella debolezza» (2Cor 12,9). La preghiera costante e unanime è un prezioso strumento anche per superare le prove che possono sorgere nel cammino della vita, perché è l’essere profondamente uniti a Dio che ci permette di essere anche profondamente uniti agli altri. Grazie.











LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!


"DOV'E' IL TUO TESORO LI' E' ANCHE IL TUO CUORE"

Coroncina della Divina Misericordia




Il nostro cuore ha
22 miliardi di cellule, con circa 100 mila battiti al giorno e
40 milioni all’anno:
quante di queste cellule e 
quanti di questi battiti noi consacriamo 
ogni giorno 
a Gesù Eucaristico?
Molto pochi,
o forse neppure uno! ESAMINIAMOCI.
(P. Stefano Pio M. Manelli, FI)

Ven Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa intercesión del Corazón Inmaculado de María, tu amadísima Esposa


NOS CUM PROLE PIA
BENEDICAT VIRGO MARIA

mercoledì 27 giugno 2012

Squarci di vita missionaria della Beata Maria Baouardy



Squarci di vita missionaria  
della Beata Maria di Gesù Crocifisso


La traversata da Aden a Madras è stata buona: Madre Elia stava benissimo. La Madre Sottopriora, suor Maria del Salvatore ed io, abbiamo avuto un po' di mal di mare. Padre Lazzaro è venuto a trovarci a Madras. Come era impressionato vedendoci! Aveva le lacri­me agli occhi: ci ha raccontato quanto avesse sofferto da quando ci aveva lasciato. Siamo rimasti un giorno a Madras e siamo in seguito partiti per Vellore, con Padre Lazzaro. Mon­signore è rimasto a Madras con Padre Graziano per degli affari. Abbiamo trascorso cinque giorni presso le suore del Buon Pastore; sono state molto buone con noi. Un giorno mentre ero nella cappella, sentii una grande tristezza pensando a suor Stefania ed a suor Eufrasia. Ero in quel momento, molto tentata contro la Madre sottopriora e suor Maria del Salvato­re; mi sembrava che esse prendessero di me tutto a male. Madre Elia mi rimproverava mol­to. Allora io mi rivolsi a Gesù e mi lamentai con Lui. Vidi un uomo che mi disse: Perché ti lamenti di esse? Una di esse sarà presto tua madre e l'altra la tua maestra di noviziato. Quando sentii ciò, ebbi molta pena, pensando che Madre Elia stava per morire. In effetti, durante la notte, ella fu molto sofferente a Vellore, e pensai che il calice era molto vicino.

Dopo ciò, Padre mio, ci siamo fermati in molti posti, prima di arrivare al Vicariato di Monsignore; ma non è accaduto niente di particolare. Arrivando a Calcutta, una grande pro­cessione è venuta a prendere Monsignore. Credendo che fossimo vicini alla chiesa, siamo scese dalla vettura, cosa che ha molto stancato nostra Madre; malgrado ciò, ella era con­tentissima di vedere tutti gli onori resi a Mons. Maria Ephrem. A Calcutta, nostra Madre si mise a letto. Monsignore e il Padre Lazzaro avevano molta pena nel vederla sofferente; Pa­dre Graziano anche, ma se l'aspettava perché sapeva tutto. 

Monsignore era desolato di que­sto terzo sacrificio che il Signore stava per domandare. Non potendo più prolungare il suo soggiorno presso di noi, parti per Mangalore con Padre Graziano; Padre Lazzaro restò con noi a Calcutta. Il giorno della partenza di Monsignore, ero molto tentata contro Padre Laz­zaro e contro le nostre suore. Mi recai in cappella e dissi a Gesù: È possibile, Signore, che io possa vivere con questo Padre e con queste suore, senza nostra Madre? E piangevo mol­to. Il pensiero che l'una sarebbe stata un giorno la mia Madre e l'altra la mia Maestra, mi faceva venire molte tentazioni.

 Allora, Padre mio, mi addormentai; e durante il mio sonno,
vidi un uomo con due bimbi; e quest'uomo mi mostrava tutto ciò che io avevo fatto duran­te la mia vita, e mi disse: Vedi, io sopporto tutto ciò per te; e tu, non vuoi sopportare ciò per me! Sono io che le ho scelte; sono io che ho loro ispirato di farti ciò; sono io che ten­go i cuori nella mia mano e li faccio cambiare quando voglio. Mormori sempre, perché ho fatto morire suor Stefania e suor Eufrasia, e perché voglio che Madre Elia sia seppellita qui! Nello stesso tempo, vidi un bimbo che mi presentava un calice e una croce molto pe­santi. Il calice era pieno; mi sembrava che, in tutta la mia vita, io non ne avessi bevuto una goccia. Quel bambino mi disse: Prima della tua morte, occorre che lo svuoti; e morirai su questa croce; e tutti i rami ai quali ti attaccherai, io li taglierò. Risvegliandomi, feci ge­nerosamente il sacrificio di nostra Madre, sebbene con molto dolore. Sa, Padre mio, quan­to costa a un figlio fare il sacrificio della propria madre, e soprattutto di una madre come Madre Elia. Nostra Madre è stata così buona per me durante la sua malattia! Il buon Dio lo permetteva, per farmi sentire di più il sacrificio. Fu solo il giorno della sua morte che fu molto severa con me; ma per questo, non la amavo meno, al contrario. Nel momento in cui ella stava per spirare, Madre Sottopriora e suor Maria del Salvatore domandarono perdono a nostra Madre, pregandola di dire loro un'ultima parola e di benedirle. Feci come loro; nostra Madre non mi rispose: O Madre cara, le dissi, dica anche a me un'ultima parola. Fa' tutto ciò che ti si dirà, rispose. Grazie, Madre cara, ripresi, non dimenticherò mai queste parole! Do­po queste parole entrò in agonia, pur conservando la sua conoscenza. Ci guardava, faceva se­gno a Padre Lazzaro di prendere cura delle sue figlie. Il Padre rispose: Sì, Madre, lei Sa quan­to le ami; ne avrò cura. Egli è stato fedele alla sua promessa. Nostra Madre ha domandato di rinnovare i suoi voti; suor Maria del Salvatore li ha pronunziati ad alta voce. Dopo questo mo­mento, nostra Madre restò tranquilla con Gesù. È morta come una santa. Ora, Padre mio, so­no distaccata da tutto». ("Il piccolo nulla" cap. 12)


LAUDETUR  JESUS  CHRISTUS!
LAUDETUR  CUM  MARIA!
SEMPER  LAUDENTUR!