Leggendo questo prospetto possiamo farci un'idea sulla diffusione mondiale dei Messaggi da Gesù Cristo. Può altresì servire per scaricare Crociata di Preghiera, Litanie di Gesù, Il Sigillo del Dio Vivente, oltre agli stessi Messaggi nei diversi idiomi.
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
lunedì 3 marzo 2014
Aglae e i suoi gioielli
Maria Valtorta
............«Abbiamo perduto dei giorni con quello stupido incidente. Ha sciupato tutto...
e mia madre, che tanto aveva fatto, è rimasta delusa. Non so poi perché Tu hai
voluto segregarti sino alla purificazione».
«Giuda, perché chiami stupido un fatto che fu grazia per un vero fedele? Non
vorresti tu, per te, tal morte? Aveva atteso tutta la vita il Messia; si era portato,
già anziano, per vie disagiate ad adorarlo quando gli dissero: "C'è". Aveva
conservato in cuore per trent'anni la parola di mia Madre. L'amore e la fede lo
hanno investito, nell'ultima ora che Dio gli serbava, dei loro fuochi. Il cuore gli
si è spezzato nella gioia, incenerito, come olocausto gradito, dal fuoco di Dio.
Quale sorte migliore di questa? Ha sciupato la festa che tu avevi
preparata? Vedi in questo una risposta di Dio. Non vada mescolato ciò che è
dell'uomo con ciò che è di Dio...
Tua madre mi avrà ancora. Quel vecchio non mi avrebbe più avuto.
Tutta Keriot può venire al Cristo, il vegliardo non aveva più forze per farlo.
Sono stato felice di aver raccolto sul cuore il vecchio padre morente
e di avergli raccomandato lo spirito. E per il resto... Perché dare scandalo
mostrando sprezzo alla Legge? Per dire: "Seguitemi" occorre camminare.
Per portare su via santa bisogna fare la stessa via. Come avrei potuto,
o come potrei dire: "Siate fedeli", se infedele fossi Io?».
«Credo che questo errore sia la causa della nostra decadenza. I rabbi e i
farisei accasciano il popolo sotto i precetti e poi... poi fanno come quello
che ha profanato la casa di Giovanni facendone un luogo di vizio»,
osserva Simone.
«È un di Erode... », ribatte l'Iscariota.
«Sì, Giuda. Ma le stesse colpe sono anche nelle caste che si dicono,
da sé se lo dicono, sante. Che ne dici, Maestro?», dice Simone.
«Dico che solo se vi sarà un pugno di vero lievito e di vero incenso in Israele,
si formerà il pane e si profumerà l'altare».
«Che vuoi dire?».
«Voglio dire che, se vi sarà chi verrà alla Verità con cuore retto, la Verità
si spargerà come lievito nella massa della farina e come incenso per tutto Israele».
«Che ti ha detto quella donna?», chiede Giuda.
Gesù non risponde. Si volge a Giovanni: «Pesa molto e fatichi. Dammi il tuo carico».
«No, Gesù. Sono uso ai pesi e poi... me lo fa leggero il pensiero della gioia
che ne avrà Isacco».
Il poggio è girato. All'ombra del bosco, sull'altro versante, sono le pecore di Elia.
E i pastori, seduti all'ombra, le guardano. Vedono Gesù e corrono.
«La pace a voi. Qui siete?».
«Eravamo in pensiero per Te... e per il ritardo... incerti se venirti incontro
o ubbidire... abbiamo deciso venire sin qui... per ubbidire a Te e al nostro
amore insieme. Dovevi esser qui da molti giorni».
«Abbiamo dovuto sostare...».
«Ma... nulla di male?».
«No, nulla, amico. La morte di un fedele sul mio petto. Non altro».
«Cosa vuoi che accadesse, pastore? Quando le cose sono ben preparate...
Certo bisogna saperle preparare, e preparare i cuori a riceverle. La mia città
ha dato al Cristo ogni onore. Non è vero, Maestro?».
«È vero. Isacco, siamo passati, nel ritorno, da Sara. Anche la città di Jutta,
senza altra preparazione fuor di quella della sua semplice bontà e della verità
delle parole di Isacco, ha saputo capire l'essenza della mia dottrina e amare,
di un amore pratico, disinteressato e santo. Ti ha mandato vesti e cibo, Isacco,
e agli oboli rimasti sul tuo giaciglio tutti hanno voluto unire qualcosa per te,
che torni nel mondo e che sei privo di tutto.
Tieni. Io non porto mai denaro. Ma questo l'ho preso perché è purificato
dalla carità».
«No, Maestro, tienilo ...sono abituato a farne senza».
«Ora dovrai andare per i paesi in cui ti manderò. E ti occorre. L'operaio
ha diritto alla mercede, anche se operaio d'anima... perché ancora vi è un corpo
da nutrire, come fosse l'asinello che aiuta il padrone. Non è molto. Ma tu
saprai fare... Giovanni in quella sacca ha vesti e sandali. Gioacchino ha preso
dei suoi. Saranno grandi... ma c'è tanto amore nel dono!». Isacco prende la
bisaccia e si ritira a vestirsi dietro un cespuglio. Era ancora scalzo e nella
sua bizzarra toga fatta di una coperta.
«Maestro», dice Elia.
«Quella donna... quella donna che sta nella casa di Giovanni... quando Tu eri
via da tre giorni e noi pasturavamo le pecore sui prati di Ebron ché son
di tutti, i prati, e non ci potevano cacciare ci mandò una servente con questa
borsa e dicendo che ci voleva parlare... Non so se ho fatto bene... ma per la
prima volta ho reso la borsa e ho detto: "Non ho nulla da udire"... Poi lei mi
ha fatto dire: "Vieni in nome di Gesù" e sono andato... Ha aspettato che non
ci fosse il suo... insomma l'uomo che la tiene... Quante cose ha voluto... anzi,
voleva sapere. Ma io... ho detto poco. Per prudenza. È una meretrice.
Temevo fosse un tranello per Te. Mi ha chiesto chi sei, dove stai, che fai,
se sei un signore... Io ho detto: "È Gesù di Nazaret, è dapertutto perché è un
maestro e va insegnando per la Palestina"; ho detto che sei un uomo povero,
semplice, un operaio che la Sapienza ha fatto sapiente... Non di più».
«Hai fatto bene», dice Gesù; e contemporaneamente Giuda esclama:
«Hai fatto male! Perché non hai detto che è il Messia, che è il Re del
mondo? Schiacciarla, la superba romana, sotto il fulgore di Dio!».
«Non mi avrebbe capito... E poi? Ero certo se era sincera? L'hai detto tu,
quando la vedesti, cosa è lei. Potevo gettare le cose sante - e tutto ciò che
è Gesù è santo - in bocca a lei? Potevo mettere in pericolo Gesù dando
troppe notizie? Da tutti gli venga male, ma non da me».
«Andiamo noi, Giovanni, a dirle chi è il Maestro, a spiegarle la verità santa».
«Io no. A meno che Gesù me lo ordini».
«Hai paura? Che vuoi che ti faccia? Hai schifo? Non lo ha avuto il Maestro!».
«Non paura e non schifo. Ho pietà di lei. Ma penso che, se Gesù voleva,
poteva fermarsi ad istruirla. Non lo ha fatto... non è necessario farlo noi».
«Allora non c'erano segni di conversione... Ora... Fai vedere, Elia,
la borsa». E Giuda rovescia su un lembo del mantello, poiché si è seduto
sull'erba, il contenuto della borsa.
Anelli, armille, braccialetti, una collana rotolano: giallo oro sul giallo opaco
della veste di Giuda.
«Tutti gioielli!... Che ce ne facciamo?».
«Si possono vendere», dice Simone.
«Sono cose noiose», obbietta Giuda che però li ammira.
«Gliel'ho detto anche io, nel prenderli; ho anche detto: "Il tuo signore ti
batterà". Mi ha risposto: "Non è roba sua. Mia è, ne faccio ciò che voglio.
So che è oro di peccato... ma diventerà buono se usato per chi è povero e
santo. Perché si ricordi di me", e piangeva».
«Vacci, Maestro».
«No».
«Mandaci Simone».
«No».
«Allora vado io».
«No». I «no» di Gesù sono secchi e imperiosi.
«Ho fatto male, Maestro, a parlare con lei, a prendere quell'oro?»,
chiede Elia che vede Gesù serio.
«Non hai fatto male. Ma non c'è nulla di più da fare».
«Ma forse quella donna vuole redimersi ed ha bisogno di essere
ammaestrata... », obbietta ancora Giuda.
«In lei sono già tante scintille atte a suscitare l'incendio in cui può ardersi il
suo vizio e rimanere l'anima rinverginizzata dal pentimento. Poco fa vi ho
parlato di lievito che si sparge per la farina e la fa santo pane.
Udite una breve parabola. Quella donna è farina. Una farina in cui il Maligno
ha mescolato le sue polveri di inferno. Io sono il lievito. Ossia la mia parola
è il lievito. Ma se troppa pula è nella farina, o se sassi e rena vi è mescolata,
e cenere con essa, può farsi il pane anche se il lievito è buono?
Non può farsi. Occorre che pazientemente si levi dalla farina pula, cenere,
sassi e rena. La Misericordia passa e offre il crivello...
Il primo: quello fatto da brevi verità fondamentali. Quali sono necessarie
per esser comprese da uno che è nella rete della completa ignoranza,
del vizio, del gentilesimo. Se l'anima lo accoglie, comincia la prima
purificazione.
La seconda avviene col crivello dell'anima stessa, che confronta il suo
essere con l'Essere che si è rivelato. E ne ha orrore. E inizia la sua opera.
Per una operazione sempre più minuta, dopo i sassi, dopo
la rena, dopo la cenere, giunge anche a levare quello che è già farina,
ma con granelli ancor pesanti, troppo pesanti per dare ottimo pane.
Ora eccola tutta pronta. Ripassa allora la Misericordia e si immette in
quella farina preparata - anche questa è preparazione, Giuda - e la solleva
e la fa pane. Ma è operazione lunga e di "volontà" dell'anima.
Quella donna... quella donna ha già in sé quel minimo che era giusto darle
e che le può servire a compiere il suo lavoro. Lasciamo lo compia,
se vorrà farlo, senza turbarla. Tutto turba un'anima che si lavora: la curiosità,
gli zeli inconsulti, le intransigenze come le eccessive pietà».
«Allora non ci andiamo?».
«No. E, perché nessuno fra voi abbia tentazione, partiamo subito.
Nel bosco è ombra. Sosteremo alle falde della valle del Terebinto.
E là ci separeremo. Elia tornerà ai suoi pascoli con Levi. Mentre Giuseppe
verrà con Me sino al guado di Gerico. Poi... ci riuniremo ancora.
Tu, Isacco, continua ciò che facesti a Jutta, andando da qui, per Arimatea e
Lidda, sino a raggiungere Doco. Là ci ritroveremo. Vi è da preparare la
Giudea. E tu sai come farlo. Come hai fatto a Jutta».
«E noi?».
«Voi? Verrete, l'ho detto, per vedere la mia preparazione. Anche Io mi
sono preparato alla missione».
«Andando da un rabbi?».
«No».
«Da Giovanni?».
«Ne presi solo il battesimo».
«E allora?».
«Betlemme ha parlato con le pietre ed i cuori. Anche lì dove ti porto,
Giuda, le pietre ed un cuore, il mio, parleranno e ti daranno risposta».
Elia, che ha portato latte e pane scuro, dice: «Ho cercato, mentre attendevo,
e con me ha cercato Isacco, di persuadere quelli di Ebron... Ma
non credono, non giurano, non vogliono che Giovanni. È il loro "santo" e
non vogliono che quello».
«Peccato comune a molti paesi e a molti credenti presenti e futuri.
Guardano l'operaio e non il padrone che ha mandato l'operaio.
Chiedono all'operaio senza neppur dirgli: "Di' al tuo padrone questo".
Dimenticano che l'operaio c'è perché c'è il padrone, e che è il padrone che
istruisce l'operaio e lo rende atto al lavoro.
Dimenticano che l'operaio può intercedere.
Ma uno solo può concedere: il padrone. In questo caso, Dio e il
suo Verbo con Lui. Non importa. Il Verbo ne ha dolore, ma
non rancore. Andiamo».
La visione ha termine.
Tu mi sei fortezza e rifugio, Tu mio conforto e difesa
"Il Vangelo come mi è stato rivelato". cap 79 pg 211 di
http://www.potenzadellacroce.net/contenuti/materiali/Maria_Valtorta_-_Evangelo_completo.pdf
domenica 2 marzo 2014
La Medalla de San Benito
Significado e historia de la Medalla de San Benito
Explicación del anverso
En las antiguas medallas aparece, rodeando la figura del santo, este texto latino en frase entera: Eius in óbitu nostro preséntia muniámur. "Que a la hora de nuestra muerte, nos proteja tu presencia". En las medallas actuales, frecuentemente desaparece la frase que es sustituida por esta: Crux Sancti Patris Benedicti, o todavía, más simplemente, por la inscripción: Sanctus Benedictus.
Explicación del reverso
- En cada uno de los cuatro lados de la cruz: C. S. P. B. Crux Sancti Patris Benedicti. Cruz del Santo Padre Benito
- En el palo vertical de la cruz: C. S. S. M. L. Crux Sácra Sit Mihi Lux. Que la Santa Cruz sea mi luz
- En el palo horizontal de la cruz: N. D. S. M. D. Non Dráco Sit Mihi Dux. Que el demonio no sea mi jefe
- Empezando por la parte superior, en el sentido del reloj: V. R. S. Vade Retro Satána. Aléjate Satanás - N. S. M. V. Non Suáde Mihi Vána. No me aconsejes cosas vanas - S. M. Q. L. Sunt Mála Quae Libas. Es malo lo que me ofreces - I. V. B. ípse Venéna Bíbas. Bebe tú mismo tu veneno
En la parte superior, encima de la cruz suele aparecer unas veces la palabra PAX y en las más antiguas IESUS
Historia de la medalla
No cabe duda que la medalla de San Benito es una de las más apreciadas por los fieles. A ella se le atribuyen poder y remedio, ya sea contra ciertas enfermedades de hombre y animales, ya contra los males que pueden afectar al espíritu, como las tentaciones del poder del mal. Es frecuente también colocarla en los cimientos de nuevos edificios como garantía de seguridad y bienestar de sus habitantes.
El origen de esta medalla se fundamenta en una verdad y experiencia del todo espiritual que aparece en la vida de san Benito tal como nos la describe el papa san Gregorio en el Libro II de los Diálogos. El Padre de los monjes usó con frecuencia del signo de la cruz como signo de salvación, de verdad, y purificación de los sentidos. San Benito quebró el vaso que contenía veneno con la sola señal de la cruz hecha sobre él. Cuando los monjes fueron perturbados por el maligno, el santo mandó que hicieran la señal de la cruz sobre sus corazones. Una cruz era la firma de los monjes en la carta de su profesión cuando no sabían escribir. Todo ello no hace más que invitar a sus discípulos a considerar la santa cruz como señal bienhechora que simboliza la pasión salvadora del Señor, por la que se venció el poder del mal y de la muerte.
La medalla tal como hoy la conocemos, se puede remontar al siglo XII o XIV o quizá a una época anterior y tiene su historia. En el siglo XVII, en Nattenberg -Baviera-, en un proceso contra unas mujeres acusadas de brujería, ellas reconocieron que nunca habían podido influir malignamente contra el monasterio benedictino de Metten porque estaba protegido por una cruz. Hechas, con curiosidad, investigaciones sobre esa cruz, se encontró que en las tapias del monasterio se hallaban pintadas varias cruces con unas siglas misteriosas que no supieron descifrar. Continuando la investigación entre los códices de la antigua biblioteca del monasterio, se encontró la clave de las misteriosas siglas en un libro miniado del siglo XIV. En efecto, entre las figuras aparecía una de san Benito alzando en su mano derecha una cruz que contenía parte del texto que se encontraba sólo en sus letras iniciales en las astas cruzadas de las cruces pintadas en las tapias del monasterio de Metten, y en la izquierda portaba una banderola con la continuación del texto que completaba todas las siglas hasta aquel momento misteriosas.
Mucho más tarde, ya en el siglo XX, se encontró otro dibujo en un manuscrito del monasterio de Wolfenbüttel representando a un monje que se defiende del mal, simbolizado en una mujer con una copa llena de todas las seducciones del mundo. El monje levanta contra ella una cruz que contienía la parte final del texto consabido. Es posible que la existencia de tal creencia religiosa no sea fruto del siglo XIV sino muy anterior.
Benedicto XIV, en marzo de 1742, aprobó el uso de la medalla que había sido tachada anteriormente, por algunos, de superstición. Dom Gueranger, liturgista y fundador de la Concregación Benedictina de Solesmes, comentó que el hecho de aparecer la figura de san Benito con la santa Cruz, confirma la fuerza que su signo obtuvo en sus manos. La devoción de los fieles y las muchas gracias obtenidas por ella es la mejor muestra de su auténtico valor cristiano.
© 2013 - MONASTERIO DE SANTO DOMINGO DE SILOS
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