giovedì 9 febbraio 2023

La VIRGEN SS.MA NOS AVISAVA DESDE EL 15 de Abril 1990: la segunda Pascua en gloria se está preparando para vosotros. Se acerca la segunda Pascua en gloria.



Rubbio (Vicenza), 15 de abril de 1990

Pascua de Resurrección

La segunda Pascua en gloria.

«Que vuestros corazones estén llenos de alegría y de paz, hijos

predilectos, en este día de la Pascua.

Mi Hijo Jesús: Vilipendiado, ultrajado, flagelado, condenado

y muerto en la Cruz, resucita hoy de la muerte con el poder de Su

Divinidad y en el esplendor de Su Cuerpo Glorioso.

Por la fuerza divina de este nuevo y glorioso nacimiento suyo,

la sombra del sepulcro se convierte en luz intensísima, un terremoto remueve de

 improviso el pesado bloque de piedra que sella la entrada, los guardias colocados 

para su custodia caen desfallecidos ante un poder ilimitado, los Ángeles se 

inclinan para adorar Su paso luminoso, la naturaleza canta con gozo, invadida por

el vibrar de una vida renovada.

Cristo resucitado sale del sepulcro en el esplendor Divino de Su Cuerpo Glorioso.

Es Su Pascua de Resurrección.

Es el inicio de la nueva humanidad redimida y conquistada por Él.

Es el alba de su nuevo reino.

Es el primer día de su triunfo real.

Que vuestro corazón esté lleno de alegría, hijos predilectos, porque 

la segunda Pascua en gloria se está preparando para vosotros.

Esta pobre humanidad que camina en la tiniebla del rechazo

de Dios, forma un sepulcro oscuro y gélido, y es consumida por

el viento impetuoso de las pasiones, muerta por el pecado, por el

egoísmo, por el odio y por la impureza.


Parece que ahora sólo la muerte triunfa en el mundo.

Sin embrago, tened confianza y esperanza. Cristo resucitado

vive entre vosotros. Cristo viviente es vuestra gran victoria.


Se acerca la segunda Pascua en gloria.

Dentro de poco, se abrirá la puerta de este inmenso sepulcro

en que yace la humanidad entera.

Jesucristo, rodeado por el coro de los Angeles, sobre las nubes

del cielo postradas a sus pies, formando un trono real, en el esplendor 

de su Divinidad, regresará para llevar a la humanidad a

una vida nueva, las almas a la gracia y al amor, la Iglesia a la

cumbre más alta de santidad, y así, instaurará en el mundo su

Reino de gloria.»

mercoledì 8 febbraio 2023

IL RITRATTO DI PAPA BENEDETTO XVI...

 

Il ritratto di Benedetto XVI, ovvero, come si scrive in Codice Ratzinger, la spiegazione

di Andrea Cionci
Il Codice Ratzinger, illustrato nel volume omonimo, è semplicemente uno stile di comunicazione per chi ha "orecchie per intendere”

Ritratto di Benedetto XVI
Ritratto di Benedetto XVI
Qualche giorno fa, ho pubblicato su Libero una recensione del ritratto di famiglia pontificia, che l’artista russa Natalia Tsarkova ha dedicato al Santo Padre Benedetto XVI. La pittrice è del tutto inconsapevole della Magna Quaestio, eppure ha inserito degli elementi simbolici che ben si prestano a un’interpretazione plasticamente sovrapponibile con la realtà della sede impedita. (Il potere profetico dell’arte…).

Il “Codice Ratzinger”

Tutto l’articolo era, però, un piccolo esercizio di scrittura in Codice Ratzinger, una dimostrazione “di scuola” dei sistemi retorici con cui papa Benedetto riesce a comunicare e a dire sempre la verità dalla sua sede impedita: anfibologie, “non detti”, riferimenti alle fonti, giochi logico-sintattici, allusioni storiche e simboliche. Come capirete, non si tratta affatto di “gnosi” come ha contestato chi non ha i mezzi intellettivi per comprenderlo o sufficiente malafede per negarlo, o irriderlo come fanno alcuni intellettuali tradizionalisti che si vogliono spartire le vesti del Vic

Il Codice Ratzinger, illustrato nel volume omonimo edito da Byoblu nel maggio 2022, è semplicemente uno stile di comunicazione per chi ha “orecchie per intendere” e ha già compreso la questione canonica della sede impedita: Benedetto non ha mai abdicato, ma, costretto a togliersi di mezzo dai poteri forti che sponsorizzavano Bergoglio, si è rifugiato in uno status canonico dove egli è prigioniero, ma resta l’unico papa. Non ha lasciato la sede vacante, ma impedita. Pertanto Bergoglio è antipapa. Qui è illustrata, “for dummies”, la vicenda canonica.

Un consiglio: leggete prima l’articolo originale sul ritratto, tutto di seguito. Poi confrontate qui sotto l’ ”esegesi” dell’articolo.

Finalmente la tela è caduta: un’opera realizzata in due anni ha mostrato papa Benedetto tale e quale, per come è oggi. Attorno a lui, nella clausura del monastero Mater Ecclesiae, si raccoglie ciò che resta della Famiglia Pontificia: non più protonotari, cappellani, elemosinieri, ma il fedelissimo Mons. Gaenswein, che, con una penna sottile, si appunta, diligente, le parole di Benedetto XVI – come Baruc, segretario del profeta Geremia – per riferirle al mondo esterno. Poi ci sono le Memores Domini, le pie donne che curano la persona del papa. Mons. Georg Ratzinger, appena in secondo piano, “dietro al velo” della morte, veglia sul fratello Benedetto XVI, il pontefice più longevo della storia, come ha ricordato il suo biografo Peter Seewald durante il convegno del 30 ottobre a Madrid”.

Papa Benedetto in sede impedita

Fateci caso: non è specificato che si sta parlando del quadro. Il riferimento al dipinto è solo un’illusione del lettore, ma l’opera in questione, realizzata in due anni, potrebbe essere anche “Codice Ratzinger”, il libro inchiesta realizzato in due anni che svela papa Benedetto in sede impedita, l’opera che ha fatto cadere la tela sulla Magna Quaestio. Il riferimento a Geremia è a uno dei più clamorosi e recenti codici.

“Così, Natalia Tsarkova, famosa pittrice russa, interprete ispirata di una commissione pontificia, ha fatto vedere al pubblico, il 3 ottobre, una grande composizione artistica, ricca di luci inaspettate, ombre trasparenti, velature cangianti e simbolismi allegorici”.

La Tsarkova, attraverso il suo quadro, ha messo in luce per pura ispirazione quello che ha fatto papa Benedetto. La grande composizione artistica è quella di papa Benedetto, il suo piano di auto esilio in sede impedita, il suo codice Ratzinger denso di anfibologie, allusioni, metafore velate (anfibologia col termine pittorico “velatura”) e riferimenti allegorici e simbolici.

Nel monastero, l’atmosfera generale è corrusca, drammatica, ma carica di un’intima serenità e di amore per un papa ancora lucidissimo e coraggioso nella sua fortezza. In effetti, si intravede la luce dell’alba: pare quel mondo nuovo di cui parla Benedetto al quale lui sente di appartenere già, ma che ancora non è iniziato”.

Monastero Mater Ecclesiae

Sembra che si stia parlando dello scenario nel quadro, ma non è specificato: quella che si descrive è l’atmosfera reale dentro al Monastero Mater Ecclesiae, della famiglia pontificia rimasta intorno a papa Benedetto. Anfibologia su “fortezza”, sia come virtù che come “luogo di detenzione”.

«Brillerà sempre in mezzo a noi la stella del suo pontificato» spiegò il card. Sodano subito dopo la Declaratio del 2013 QUI e, come una stella, sebbene defilato, brilla lo stemma di papa Ratzinger. Il simbolo – araldicamente elegante e originale – del suo pontificato rimasto in vigore fin dal 2005: anche non essendo più il “pontefice sommo” come lui disse a Castelgandolfo nel 2013, papa Benedetto lo ha comunque mantenuto”.

Si ricorda come il card. Sodano, subito dopo la Declaratio, non parlò mai di fine del pontificato, ma, anzi, lo assimilò a una stella, che per definizione resta fissa nel cielo. La citazione dello stemma è funzionale alla costruzione di un gioco anfibologico: è solo lo stemma ad essere rimasto in vigore dal 2005 o è lo stesso pontificato? Entrambi, naturalmente, ma il lettore bergogliano può accontentarsi anche del solo stemma. Il riferimento a “pontefice sommo”, poi rimanda alla nota questione.

La talare bianca di Benedetto XVI

Nel quadro, realizzato dalla Tsarkova di propria iniziativa, la suora a destra cuce un bottone sulla talare bianca di Benedetto, con le 33 asole, tante quanti gli anni di Cristo. Quella talare che papa Ratzinger ha conservato perché, come scrisse nel 2016 al vaticanista Tornielli, era “la cosa più pratica e non aveva altri vestiti disponibili”. Sopra, un’altra Memores che spiega una tovaglia, con lo stesso gesto di una Veronica”.

Qui il riferimento è a uno dei più gustosi codici Ratzinger, quando papa Benedetto spiegò che era rimasto vestito di bianco perché non aveva altri abiti disponibili. La citazione della Veronica allude al sacrificio cristico di papa Benedetto.

“Colpisce l’angelo custode in armatura: iconograficamente pare l’arcangelo Michele, figura escatologica, (nel quale non è difficile riconoscere la pittrice), inginocchiato e con uno sguardo adorante verso il Santo Padre, mentre gli porge carte, documenti e un grosso libro chiuso. Spiega la Tsarkova che l’angelo indica gli altri libri ammonticchiati dicendo: “Santo Padre, guarda questi libri che hai scritto. C’è molto altro da pubblicare per dare luce ai tuoi scritti”. Ed è proprio così, vista la potenza dell’errore e l’incomprensione che gravano su questo grande papa”.

Incredibile l’intuizione dell’artista. C’è infatti molto altro da pubblicare, per spiegare il senso reale degli scritti di papa Benedetto, in particolare, di tutti i suoi messaggi che non sono stati compresi.

Il gatto rosso di Benedetto

“E le rose, portate da una Memores, appena colte nel roseto, simbolo della Madonna, ma anche del martirio. Poi i dettagli, il gatto rosso di papa Benedetto fuori San Pietro: la bestiola, dal noto significato spirituale cristiano, si lecca lo zampino perché – credono i russi – aspetta un ospite che sta per uscire dal Vaticano: Francesco”.

La pittrice intendeva solo dipingere un simbolo mariano, la rosa, che, però, anche simbolo di quel martirio al quale si è sottoposto papa Benedetto. Straordinaria l’intuizione – inconsapevole – della pittrice sul gatto: aspetta un ospite, Francesco. Eppure, specifichiamo noi, il gatto nell’iconografia cristiana è simbolo del diavolo.

“In alto, evanescente, la colomba dello Spirito Santo che, grazie all’investitura divina, assiste il successore di San Pietro la cui basilica, tempio del Signore , come per Geremia, è irraggiungibile per il 95enne Benedetto XVI. Sullo sfondo a sinistra, l’altare della messa antica, ricorda il Summorum Pontificum, il motu proprio con cui il papa, in vero, ha ripristinato la messa in latino”.

Il papa, “in vero”, anfibologicamente si intende il vero papa, non è un modo di dire. Il riferimento è a quel Summorum Pontificum abrogato da Bergoglio.

Le mani di Papa Ratzinger

“Le mani di papa Ratzinger sono unite dal rosario, catena d’amore per Cristo e Maria, alla quale lui è legatissimo”.

E’ legatissimo alla catena, o a Maria? Come vedete non è specificato: anfibologia.

Al collo, più grande e pesante di quanto si percepisca, la croce, d’oro; all’anulare, quello che non è l’anello piscatorio, (come hanno scritto) che fu graffiato e non spezzato, messo da parte, ma l’anello conciliare che riporta – realmente – San Pietro. Il dettaglio più significativo, in primo piano, è l’acqua, simbolo di quella purificazione della Chiesa portata avanti da Ratzinger, sul quale si riflette lo stesso papa mentre suona il pianoforte. Sembra di sentire quella sua musica dove anche le pause sono espressive: «Dum tacet clamat», commentò Mons. Gaenswein”.

La croce è più “pesante di quanto si percepisca” perché papa Benedetto ha fatto un enorme sacrificio per salvare la Chiesa, compreso solo da pochi. C’è poi il riferimento all’articolo sull’”anello impedito” graffiato, ma non annullato. Quel “realmente” è un tipico uso anfibologico che papa Benedetto fa dell’avverbio: realmente, ovvero in senso regale. L’anello conciliare quindi, riportando ancora San Pietro come nell’anello piscatorio ribadisce la regalità di papa Benedetto, cioè la sua legittimità di pontefice.

“Incredibile come le intuizioni dell’artista, spontanee e pochissimo concordate, abbiano incontrato il pieno favore di papa Benedetto che ha commentato, con la sua voce da tempo sottilissima, che in pochi comprendono: «E’ perfetto: se l’artista l’ha voluto così, l’ha voluto il Signore».
Insomma, finalmente un codice espressivo, un linguaggio che possono capire tutti, per una grande opera da donare alla Chiesa, destinata “a chi ha occhi per vedere” e che resterà nei secoli”.

Il codice è quello di Benedetto

Il codice espressivo non è quello della pittrice, ma quello – ovviamente – di papa Benedetto, scritto in un linguaggio che tutti possono capire, che descrive il suo gesto grandioso per salvare la Chiesa dalla prova finale dell’apostasia. Una grande opera di cui si parlerà nei prossimi secoli.

Naturalmente, si tratta di una pallida imitazione dello stile del Santo Padre, ma speriamo di avervi fornito, con questo esempio, una chiave interpretativa che vi possa consentire di decodificare da soli quanto scrive e dichiara il Vicario di Cristo.

In merito alle sue dichiarazioni sulla vicenda dimissioni, potrete esaminare in questo articolo, un altro “esercizio in Codice Ratzinger” che attinge esattamente alle sue stesse parole.

(Il volume “Codice Ratzinger” sarà presentato dall’autore il 27 novembre a Catania, il 3 dicembre a Pordenone, il 4 a Bologna, il 18 a Pisa, il 23 a Grosseto. Per info @CionciAndrea)

Sette Regole che reggono

Uniamoci carissimi fratelli al Santo Papa Giovanni Paolo I,
così umile e pieno di bontà,
chiedendoGli di intercedere per noi presso il Padre 


«SETTE REGOLE» CHE REGGONO


A san Bernardino da Siena

Caro Santo sorridente,

Papa Giovanni apprezzava talmente le tue prediche scritte

che voleva proclamarti dottore della chiesa. Morì e non se ne

fece, sinora, nulla. Peccato!

Quelle che il buon papa apprezzava, non erano però le tue

prediche in latino, studiate, limate, ben suddivise, bensì le prediche

in italiano, raccolte dalla tua voce, tutte sprizzanti vita,

fervore religioso, umorismo e saggezza pratica. Egli ti vagheggiava,

forse, «Dottore Sorridente» accanto al «Mellifluo» Bernardo,

all’«Angelico» Tommaso, al «Serafico» Bonaventura, al «Consolante» 

Francesco di Sales.

Pensava che in tempi in cui parole difficili, irte di ismi nebulosi,

sono usate ad esprimere perfino le cose più facili di questo

mondo, fosse opportuno mettere in risalto il fraticello che aveva

insegnato: «Parla chiarozzo, acciò che chi ode, ne vada contento

e illuminato, e non imbarbagliato»!

E tutt’altro che «imbarbagliati» rimasero, davanti alla tua

predica, i professori e gli studenti dell’università di Siena nel giugno

del 1427. Tu parlasti loro del «modo di studiare», proponesti

«sette regole» e concludesti: «Le quali sette regole se le osservi

e vi continui, in poco tempo diventerai valent’uomo o valente

donna».

Col tuo permesso, abbreviandole e... addomesticandole, io

tento ora di richiamare le tue «sette regole» in vista degli studenti

di oggi.

I quali sono brava e simpatica gente, che non corrono nessunissimo

pericolo di venire «imbarbagliati», per il semplice motivo

che vogliono fare da sé la propria esperienza delle cose. Né da te

né da me gradiscono «modelli di comportamento», che odorino

di moralismo a un chilometro di distanza. E probabilmente non

leggeranno queste righe, ma io le scrivo lo stesso; scrivo a te.

Anche Einaudi ha scritto le Prediche inutili, che, tuttavia, a

qualcuno sono riuscite utili.

* * *

Prima regola, la estimazione. Uno non arriva a studiare sul

serio, se prima non stima lo studio. Non arriva a farsi una cultura,

se prima non stima la cultura.

Quello studente fa arco della schiena sui libri. Tu scrivi: «Bene!

così non ti grilla il cervello come altri zovincelli, che non

attendono a studio niuno, ma a forbire le panche!». Ama i libri,

sarai a contatto con gli uomini grandi del passato: «Parlerai loro

ed essi parleranno con te; udiranno te, e tu udirai loro, e gran

diletto ne piglierai».

Cosa diventa, invece, lo studente scioperato? Diventa «come

uno porco in istia che pappa e bee e dorme». Diventa «Messer

Zero», che non combinerà nulla di grande e di bello nella vita.

Intendiamoci: per una vera cultura sono da apprezzare, oltre

che i libri, anche la discussione, il lavoro di gruppo, lo scambio

di esperienze. Tutte queste cose ci stimolano ad essere attivi oltre

che ricettivi; ci aiutano ad essere noi stessi nell’imparare, a manifestare

agli altri il nostro pensiero in modo originale; favoriscono

l’attenzione cortese verso il prossimo.

Mai però venga meno l’estimazione verso i grandi «maestri»;

essere i confidenti di grandi idee vale più che essere gli inventori

di idee mediocri. Diceva Pascal: «Colui che è salito sulle spalle

di un altro, vedrà più lontano dell’altro, anche se è più piccolo

di lui!».

* * *

Seconda regola, la separazione. Separarsi, almeno un pochino!

Altrimenti non si studia sul serio. Gli atleti devono pur

astenersi da molte cose: lo studente è un po’ atleta e tu, caro fra

Bernardino, gli hai preparato tutta una lista di cose «proibite».

Ne riporto qui solo due: cattive compagnie, cattive letture.

«Uno libertino tutti li guasta. Una mela fracida, accostata alle

buone, tutte l’altre corrompe». «Occhio – tu scrivi – anche ai

libri di Ovidio e altri libri di innamoramenti». Senza disturbare

Ovidio, oggi tu parleresti esplicito di libri, di rotocalchi indecenti,

cinema cattivi e droga. Intatta, invece, conserveresti la seguente

apostrofe: «Quando tu, padre, hai un figliolo a studio, a

Bologna, o dove si sia, e tu senti che egli è innamorato, non gli

mandare più denari. Fallo tornare, ché egli non imparerà nulla,

se non canzonette e sonetti... e sarà poi Messer coram-vobis».

Efficace quest’ultimo rimedio, di «tagliare i viveri». Ma oggi

esso non scatta più: lo stato, infatti, si sostituisce, se occorre, ai

papà, snocciolando agli universitari il presalario.

Rimane una speranza: che lo studente si applichi da sé il

«rimedio del saltimbanco».

Ti è noto: salito su una sedia, il saltimbanco, ai contadini

che l’attorniavano attoniti e a bocca aperta in giorno di mercato,

mostrava una scatoletta chiusa: «Qui dentro – diceva – c’è il rimedio

efficacissimo per i calci dei muli: costa poco, pochissimo,

acquistarlo è una fortuna». E di fatto, molti acquistavano. Ma

ad uno dei compratori venne voglia di aprire la scatola: vi trovò

nient’altro che due metri di sottile spago. Alzò la voce a protestare:

«È una truffa!». «Niente truffa – rispose l’imbonitore – tu

sta’ distante quanto è lungo lo spago e nessun calcio sprangato da

mulo ti potrà raggiungere!».

È il rimedio classico e radicale suggerito da voi predicatori;

vale per tutti, vale specialmente per gli studenti esposti oggi a

mille insidie. Separazione! Da tutti i “muli», che sprangano calci

morali!

* * *

Terza regola, quietazione. «L’anima nostra è fatta come l’acqua.

Quando sta quieta, la mente è come un’acqua quieta; ma

quando è commossa, s’intorbida». Va dunque fatta riposare e

quietare, questa mente, se si vuol imparare, approfondire e ritenere.

Com’è possibile riempire la testa di tutti i personaggi dei

rotocalchi, del cinema, del «video», degli sport, così vivaci, invadenti

e talvolta avvilenti e inquinanti, e poi pretendere ch’essa

ritenga, insieme, le nozioni dei libri di scuola, al confronto così

scolorite e scialbe?

Una fascia di silenzio occorre proprio attorno alla mente di

chi studia, perché si conservi quieta e pulita. Tu, piissimo frate,

suggerisci di chiederla al Signore; suggerisci perfino la giaculatoria

adatta: «Quietaci, messer Domeneddio, la mente». Gli studenti

nostri, a questo punto, sorrideranno; sono abituati spesso

a ben altre giaculatorie! Ma tant’è: un po’ di silenzio e un pizzico

di preghiera in mezzo a tanto quotidiano fracasso non guasta in

alcun modo!

* * *

Quarta regola, ordinazione, cioè ordine, equilibrio, giusto

mezzo, sia nelle cose del corpo che dello spirito. Mangiare? «Sì –

tu scrivi – ma non troppo né poco. Tutti gli estremi sono viziosi,

la via del mezzo ottima. Non si può portare due some: lo studio

e il poco mangiare, il troppo mangiare e lo studio: ché l’uno ti

farà intisichire e l’altro ti ingrosserà il cervello». Dormire? Anche,

ma «non troppo né poco... più utile è levarsi per tempo... con la

mente sobria».

Pur lo spirito ha bisogno di ordinare e tu continui: «Non

mandare il carro davanti ai buoi... impara piuttosto meno scienza

e sàppila bene, che assai e male!». Salvator Rosa è d’accordo

con te, quando scrive: Se infarinato se’, vatti a far friggere. L’imparaticcio,

la semplice infarinatura, la superficialità, il pressappochismo

non sono cose serie. Tu consigli anche di avere simpatie

personali tra i vari autori o le varie materie: «Fa’ istima in te più

d’uno dottore che d’un altro, o d’un libro che d’un altro... Non

ne dispregiare però niuno».

* * *

Quinta regola, continuazione, ossia perseveranza. «La mosca

si posa appena sul fiore e passa, volubile e agitata, ad un altro

fiore; il calabrone si ferma un po’ di più, ma gli preme far rumore;

l’ape, invece, silenziosa e operosa, si ferma, succhia a fondo

il nettare, porta a casa e ci dà il miele dolcissimo». Così scriveva

san Francesco di Sales e mi pare che tu convenga in pieno: niente

studenti-mosca, niente studenti-calabrone, ti piace la volitività

tenace e realizzatrice e hai ragione da vendere.

Nella scuola e nella vita, non basta desiderare, bisogna volere.

Non basta cominciare a volere, ma occorre continuare a

volere. E non basta neppure continuare, ma è necessario saper ricominciare

a volere da capo tutte le volte che ci si è fermati o per

pigrizia o per insuccessi o per cadute. La sfortuna di un giovane

studente, più che la scarsa memoria, è una volontà di stoppa. La

fortuna, più che il forte ingegno, è una volontà robusta e tenace.

Ma questa si tempra soltanto al sole della grazia di Dio, si scalda

al fuoco delle grandi idee e dei grandi esempi!

* * *

Sesta regola, discrezione. Vuol dire: fare il passo secondo la

gamba; non prendere il torcicollo a forza di mirare a mete troppo

alte; non mettere mano a troppe cose insieme; non pretendere i

risultati dalla sera alla mattina.

Essere il primo della classe è interessante, ma non è per me,

se ho i soldi dell’ingegno contati in tasca; lavorerò con ogni impegno

e sarò contento anche se arrivo quarto o quinto. Mi piacerebbe

prendere lezioni di violino, ma tralascio, se esse danneggiano

i miei studi e fanno dire di me: «Chi due lepri insieme caccia,

una non prende e l’altra lascia!».

* * *

Settima regola, dilettazione, cioè prendere gusto. Non si può

studiare a lungo, se non si prende un po’ di gusto allo studio. E

il gusto non capita subito, ma dopo. Nei primi tempi c’è sempre

qualche ostacolo: la pigrizia da superare, occupazioni piacevoli

che ci attirano di più, la materia difficile. Il gusto viene più tardi,

quasi premio per lo sforzo fatto.

Tu scrivi: «Sanza essere ito a Parigi a studiare, impara dall’animale

ch’ha l’unghie fèsse (cioè il bue), che prima mangia e insacca,

e poi ruguma, a poco a poco». Ruguma significa rumina,

ma per te, caro e saggio santo, vuol dire qualcosa di più, cioè: il

bue va assaporandosi il fieno piano piano, quando è saporabile e

godibile, e fino in fondo. E così dovrebbe avvenire per i libri di

studio, cibo delle nostre menti.

* * *

Caro san Bernardino! Enea Silvio Piccolomini, tuo concittadino

e papa con il nome di Pio II, scrisse che, alla tua morte,

i signori più potenti d’Italia si divisero le tue reliquie. Ai poveri

senesi, che tanto ti amavano, nulla rimase di te. Restava solo

l’asinello, sulla cui groppa eri qualche volta salito, quando ti sentivi

stanco dal viaggio negli ultimi anni di tua vita. Le donne di

Siena videro un giorno passare la povera bestia, la fermarono, la

depilarono tutta e conservarono quei peli come reliquia.


Al posto dell’asinello, io ho spelacchiato e “spennato», rovinandola,

una delle tue bellissime prediche. Queste «penne» andranno

tutte disperse al vento o qualcuna, almeno da qualcuno,

sarà raccolta?

Settembre 1972

AMDG et DVM