sabato 21 gennaio 2023

LA VITA DI ALFONSO RATISBONNE

 

  Maria nella vita di Alfonso Ratisbonne 


 Giovinezza di Alfonso Ratisbonne
Alfonso Ratisbonne nasce a Strasburgo il 1 maggio 1814 da una ricca famiglia di banchieri, penultimo di otto figli. Dopo aver perso all’età di quattro anni la madre, trascorre la fanciullezza in due istituti elitari della città. A 16 anni perde anche il padre. A prendere in sua tutela Alfonso è lo zio materno Luigi che, dopo il completamento degli studi universitari alla Sorbona di Parigi dove si laurea in Giurisprudenza, lo impiega nella sua banca e lo fa socio negli affari. In questo periodo Alfonso si fa notare per il suo ateismo e il disprezzo totale della religione cattolica di cui, in modo particolare, critica le forme “paganeggianti” della devozione popolare. Rompe ogni legame con il fratello Teodoro che, convertitosi al cattolicesimo, il 18 dicembre 1830 viene ordinato anche sacerdote. Nel 1840, a 27 anni, Alfonso s’innamora perdutamente di sua cugina Flora molto più giovane di lui. I genitori di lei si oppongono al matrimonio e Alfonso decide di intraprendere un lungo viaggio in Europa e in Medio Oriente. Salpa da Marsiglia il 9 dicembre 1841 per giungere a Napoli qualche settimana dopo. A causa di un’avaria, la nave non può continuare il suo viaggio verso Palermo e Alfonso, nell’attesa, decide di recarsi alcuni giorni a Roma.

Apparizione dell’Immacolata e conversione di Alfonso
Girovagando per le strade della capitale, incontra il barone Gustavo de Bussière, suo vecchio compagno di studi alla Sorbona che lo invita ripetutamente a casa sua. Gustavo era stato convertito al cattolicesimo proprio dal fratello di Alfonso ed era devotissimo della Vergine. Rischiando la violenta reazione di Alfonso, una sera gli offre una “Medaglia miracolosa” raffigurante la Vergine Immacolata così come si era rivelata nel 1830 nella cappella della Rue du bac a Parigi, a Caterina Labourè, professa delle suore della carità di S. Vincenzo. Alfonso prende la medaglia e, per non dispiacere l’amico, la mette al collo. Nella tarda mattinata del 21 gennaio Alfonso, ormai vicino alla partenza per Napoli, fa l’ultimo giro per le vie della capitale e incontra nuovamente il barone nei pressi di Piazza di Spagna. Gustavo ferma la sua carrozza davanti alla Basilica di S. Andrea delle Fratte, perché deve organizzare in quella chiesa il funerale di un diplomatico. 

Nell’attesa del ritorno dell’amico, Alfonso decide di entrare nella basilica per ammirarne le opere d’arte. Sono esattamente le 12,45. All’improvviso gli sembra che una luce misteriosa si concentri nella cappella di sinistra, dedicata a S. Michele. In mezzo a questa luce vede grande, maestosa e bellissima la Vergine Maria, qual è raffigurata nella Medaglia miracolosa. La Vergine, senza dire parola, gli fa segno di inginocchiarsi e Alfonso comprende, in un istante, l’errore dello stato in cui si trova e la bruttura del peccato e vede risplendergli tutta la bellezza, la ricchezza e la profondità della fede cristiana fino allora combattuta. Il desiderio di cambiare vita, di farsi cattolico lo invade profondamente. Finita l’apparizione Alfonso si fa accompagnare dal barone, stupito nel vederlo profondamente cambiato, nella Chiesa del Gesù, dove racconta l’apparizione e si confessa tra le lacrime. Dopo un intenso catecumenato, il 31 gennaio 1842, riceve il Battesimo e la Cresima, per mano del Cardinale Patrizi, vicario di Roma.

Dopo l’apparizione
Il Vicariato dell’Urbe istituì il 17 febbraio dello stesso anno 1841 una commissione d’inchiesta e il 3 giugno 1842 papa Gregorio XVI riconobbe come straordinaria e miracolosa la conversione di Alfonso.Ritornato a Parigi, Alfonso si incontra con il fratello Teodoro ripacificandosi con lui e decide di farsi gesuita. Il 20 giugno 1842 entra in noviziato a Tolosa e il 24 settembre 1848 viene ordinato sacerdote. 

Con il passare del tempo Alfonso capì che la sua missione era quella di servire i suoi fratelli ebrei. Lasciato l’ordine dei gesuiti con l’autorizzazione di Papa Pio IX, si reca in Terra Santa dove fonda il ramo maschile della Congregazione di Nostra Signora di Sion insieme al Fratello che da tempo aveva già fondato quello femminile. Si dedica all’assistenza agli orfani fondando diverse case di accoglienza. Dopo un breve viaggio a Roma nel 1878, ritorna definitivamente in Terra Santa, dove muore il 6 maggio del 1884, pronunciando i nomi di Gesù e Maria, cirocndato dagli orfani a cui aveva dedicato la sua vita. Aveva 70 anni e ne erano trascorsi 42 dall’apparizione che aveva cambiato la sua vita. Le sue spoglie furono deposte in un’umile tomba nel giardino della Casa di Ain-Karim in San Giovanni in Montana, all’ombra di una statua della Vergine Immacolata.

Spiritualità mariana di Alfonso Ratisbonne
L’esperienza dell’apparizione legò in maniera indelebile Alfonso Ratisbonne a Maria. Maria era per lui causa di gioia perenne. Ad una suora che gli chiedeva come facesse ad essere sempre sereno e allegro anche in circostanze dolorose, P. Alfonso rispose: “Vi dirò qual è il segreto di tutto questo: dico tutto alla Santa Vergine, le confido tutto quello che mi può tormentare, addolorare e inquietare e poi la lascio fare. Come posso allora essere triste? Sapendo che così tutto andrà secondo la volontà divina e per il meglio, me ne rallegro in anticipo”.


Alfonso ha in Maria una confidenza illimitata che, come lui stesso dirà, rasenta quasi la temerità. La sua è una fiducia straordinaria, continua, inesauribile, che non proviene da un’esaltazione del cuore o da uno sforzo della volontà, ma da un’esperienza vissuta e sempre presente, da un’evidenza che si impone da se stessa e che è motivo di gioia. Alfonso vede la sua vita come un costante Magnificat e un perenne Stabat Mater. Esalta e ringrazia Maria con illimitata riconoscenza e con altrettanta disponibilità si pone accanto alla Croce con Lei, fidandosi soltanto del suo materno amore e della sua sicura protezione. Ha la consapevolezza che senza Maria non sarebbe quello che è. Non è stata forse l’Immacolata ad avergli ottenuto il favore di Dio, gratuitamente, ad averlo illuminato nel suo cammino di fede? A chi si recava a Roma o gli scriveva dalla Città eterna diceva: “Ringraziate per me la Vergine Immacolata perché io non riuscirò mai a ringraziarla abbastanza”. Alfonso vive sempre sotto lo sguardo di Maria. Ne ha il cuore così pieno che gli è impossibile esprimere ciò che per lui è incomunicabile: l’intimità con sua Madre. L’aveva vista bella e piena di luce e di quella luce si sentiva sempre inondato. Maria è sempre presente nel suo cuore ed egli è anche impaziente di raggiungerla nel cielo. 

Diceva ad un amico di non sapere come mai, sebbene peccatore, non avesse paura della morte, anzi di desiderarla e di voler morire recitando il Memorare di S. Bernardo, sicuro di poter ritornare ad ammirare lo splendore della sua Madre dolcissima. Poco prima di morire diceva ai suoi: “ quando starò per morire non ditemi altro che: Maria! La pace scenderà allora nel mio cuore!”. Sentiva di essere chiamato dalla Vergine, di aver bisogno di Lei. “Desidero solo Maria! - diceva – Maria è per me tutto! Maria! Qui c’è tutto!”. Maria! Questo nome esprime tutta la sua vita, l’unico nome che riceve nel battesimo e il solo che sarà anche inciso sulla lapide della sua tomba. Maria fu il suo grande amore ed è il suo nome di ringraziamento a Dio per tutta l’eternità.

Conclusione
La vita di Alfonso Ratisbonne è tutto un canto a Maria che ha le note di una polifonia:
- è un canto di ringraziamento a Colei che, senza suo merito, si era degnata apparirgli;
- è un canto di dedizione a Colei che, mostrandosi amorevole, lo ha incitato ad essere padre di una sterminata schiera di orfani. Nell’amore di Maria egli ha trovato il segreto del suo amore per i fratelli e per i deboli, fatto di opere concrete e di servizio;
- è un canto di appartenenza spirituale a Colei che è la madre dei santi. Richiamandolo alla luce della fede da una vita senza significato, Maria ha delineato e segnato il suo cammino spirituale e Alfonso, seguendolo, è divenuto un autentico testimone di santità;
- è un canto di fiducia illimitata in Colei che non abbandona e che maternamente segue i suoi figli. Con Lei vicina, mano con mano, Alfonso ha trascorso la sua vita, mai staccando il suo sguardo da Lei, mai dimenticando di essere oggetto della sua materna sollecitudine.
Ancora oggi la vita di Alfonso Ratisbonne è un modello di spiritualità mariana, di quella spiritualità che vede nella Vergine la via autentica che conduce a Dio. Alfonso ha riposato sul cuore di Maria e si è ritrovato immerso nell’amore di Dio.


Dal libro di S. M. Carmelle, Alfonso Ratisbonne da Roma a Gerusalemme, Figlie di Sion, Roma 1991.


AVE MARIA!

venerdì 20 gennaio 2023

Benedetto XVI e il Motu Proprio "Traditionis Custodes"

 

Stanno facendo il giro del web le dichiarazioni di Mons. Georg Gänswein, l’ultimo segretario particolare di Benedetto XVI, rese note questa mattina, circa la reazione di Benedetto XVI al Motu Proprio Traditionis Custodes, con cui il suo successore ha cercato di vanificare la grande liberalizzazione della liturgia tradizionale realizzata dal Motu Proprio Summorum Pontificum (ved. anche qui).

Le parole di Mons. Gänswein sono così eclatanti e dirompenti, che quasi ci sentiamo in colpa a dare loro il pur dovuto e necessario risalto in questi momenti di lutto. Ma, nello stesso tempo, ci sembra doveroso rendere giustizia già in queste prime ore alla memoria di Benedetto XVI, e riconoscere la sofferenza che Egli ha dovuto affrontare di fronte al sistematico tentativo di smantellare gli atti più importanti e fecondi del suo difficile pontificato. Tentativo che, come dimostra la grande manifestazione di affetto e devozione che gli viene tributata proprio in queste ore, la Provvidenza non ha permesso andasse a buon fine.

Tornando a Mons. Gänswein, egli ha parlato di Traditionis Custodes nell’intervista rilasciata – probabilmente prima della scomparsa di Benedetto XVI – a Guido Horst, Editore Capo di German Catholic weekly Die Tagespost, che è stata diffusa oggi, e il cui video è reperibile qui (con sottotitoli in inglese).

Il brano che ci interessa si trova circa al minuto 23’; ve ne proponiamo qui di seguito la nostra (artigianale) traduzione:

Guido Horst: La revoca da parte di Papa Benedetto delle restrizioni alla celebrazione della forma straordinaria del rito romano secondo il messale del 1962 non è durata come intendeva: come Papa emerito, ha assistito alla promulgazione del Motu Proprio Traditionis Custodes di Papa Francesco. È rimasto deluso?

Mons. Gänswein: lo ha colpito in modo molto forte. Credo che abbia spezzato il cuore di Papa Benedetto leggere il nuovo Motu Proprio, perché la sua intenzione era quella di far trovare la pace interiore, la pace liturgica, a coloro che avevano semplicemente trovato una casa nella vecchia Messa, per allontanarli da Lefebvre. E se si pensa per quanti secoli l’antica Messa è stata fonte di vita spirituale e di nutrimento per molte persone, tra cui molti santi, è impossibile immaginare che non abbia più nulla da offrire. E non dimentichiamo che molti giovani che sono nati dopo il Vaticano II e che non capiscono bene tutto il dramma del Concilio – che questi giovani, pur conoscendo la nuova Messa, hanno comunque trovato una casa spirituale, un tesoro spirituale anche nella vecchia Messa. Portar via questo tesoro alle persone… beh, non posso dire di sentirmi a mio agio con questo.

Si tratta di una dichiarazione totalmente attendibile, non solo per l’autorevolezza e la certezza della fonte, ma anche perché conferma – aggiungendovi il triste riferimento a Traditionis Custodes – ciò che già si sapeva sin dal 2016, dalla nota risposta a Peter Seewald in Ultime conversazioni (Milano, Garzanti, 2016, spec. pagg. 189-190): 

Peter Seewald: La riabilitazione dell’antica messa viene spesso interpretata come una concessione alla Fraternità sacerdotale san Pio X.

Benedetto XVI: Questo è assolutamente falso! Per me era importante che la Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato. Che ciò che prima era sacro non divenisse da un momento all’altro una cosa sbagliata. Il rito si deve evolvere. Per questo è stata annunciata la riforma. Ma l’identità non deve spezzarsi. La Fraternità sacerdotale san Pio X si fonda sulla sensazione che la Chiesa abbia rinnegato se stessa. Questo non deve succedere. Il mio intento, tuttavia, come ho detto, non era di natura tattica: m’importava la cosa in sé. Naturalmente conta anche che il papa, nel momento in cui vede profilarsi uno scisma, è tenuto a fare il possibile per impedirlo, compreso il tentativo di ricondurre queste persone all’unità della Chiesa.

Si coglie bene, così, anche il riferimento al lefebvrismo: la preoccupazione che una giusta esigenza – garantire che la Chiesa non abbia mai a rinnegare se stessa – non venga soddisfatta allontanandosi in qualche modo dalla Chiesa stessa, dove, come Benedetto XVI insegnò in un’altra occasione, nessuno è di troppo. E ciò si realizza facendo in modo che l’identità non abbia a rompersi, che quanto prima era sacro non divenga da un momento all’altro una cosa sbagliata: un obiettivo che è importante in se, anche a prescindere dal pur ineludibile dovere di un Papa di fare quanto gli è possibile per impedire un potenziale scisma.

Alla luce di tutto ciò, è agevole comprendere come il carattere intrinsecamente divisivo e rotturista di Traditionis Custodes e, soprattutto, il suo portato ideologicamente antitradizionale, abbiano davvero spezzato il cuore di Benedetto XVI. E si spezza anche il nostro, considerando con quale e quanta amarezza Egli avrà vissuto le ultime stagioni della sua vita terrena, pur sapendo e volendo offrire efficacemente le sue sofferenze perché la Chiesa possa uscire presto, trionfante, dalla crisi che la attanaglia. Anche per queste ragioni ciò che abbiamo appreso oggi da Mons. Gänswein accresce ulteriormente la nostra gratitudine per il Papa emerito.

Enrico Roccagiachini

CREDO CHE TRADITIONIS CUSTODES ABBIA SPEZZATO IL CUORE DI BENEDETTO XVI…

«Fratelli! Vertigine è pensare di salire. È vero. Ma chi vi dice che è necessario attaccare l’altezza direttamente?

 


Maria Valtorta: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'

   Cap. CLXVI. I miracoli dopo l'elezione apostolica. Prima predica di Simone Zelote e di Giovanni.

   18 maggio 1945.

   166.1 Gesù, scendendo a mezza costa, trova molti discepoli e molti altri ancora che si sono uniti piano piano ai discepoli, portati qui, in questo luogo fuori via, dal bisogno del miracolo, dal desiderio della parola di Gesù, venuti sicuri per indicazioni di gente o per istinto d’anima. Io penso che gli angeli degli uomini guidassero gli stessi, desiderosi di Dio, al Figlio di Dio. Né credo di fare con ciò della leggenda. Se si pensa con quale pronta e astuta costanza Satana portava i nemici a Dio e al suo Verbo, nei momenti in cui lo spirito demonico poteva fare apparire agli uomini una parvenza di colpa nel Cristo, è lecito poter pensare, più che lecito è giusto, che anche gli angeli non fossero inferiori ai demoni e portassero gli spiriti non demonici al Cristo.
   E Gesù, a tutti questi che lo hanno atteso senza stanchezze e timori, si prodiga in soccorsi di miracoli e in soccorsi di parola. Quanti miracoli! Una fioritura pari a quella che decora le balze del monte: grandi come è quello di un fanciullo, estratto ustionato atrocemente da un pagliaio in fiamme, portato qui su una barella, mucchio di carne arsa che mugola lamentosamente sotto al lino di cui lo hanno ricoperto tanto è atroce il suo aspetto arso, morente ormai, e che Gesù risana alitandogli sopra e risarcendo le bruciature che si annullano completamente, tanto che il fanciullo sorge nudo affatto, e corre felice verso la mamma che ne carezza piangendo di gioia le carni tutte guarite, senza tracce di fuoco, ne bacia gli occhi che si pensavano arsi e invece sono vivi e scintillanti di gioia, i capelli che sono appena corti, ma non distrutti, quasi la vampa avesse fatto da rasoio e non da distruzione; fino al piccolo miracolo di un vecchietto tossicoloso che dice: «Non per me, ma perché devo fare da padre ai nipotini orfani e non posso lavorare il suolo con questo umore fermo qui, in gola, e che mi affoga»…
   E poi il miracolo non visibile, ma certo esistente, che provocano le parole di Gesù: «Fra voi è uno che piange con l’anima e non osa dire con la parola: “Abbi pietà!”. Io rispondo: “Sia come tu chiedi. Tutta la pietà. Perché tu sappia che Io sono la Misericordia”. Solo, a mia volta, ti dico: “Abbi generosità”. Sii generoso con Dio. Strappa ogni legame col passato. Dio lo senti e a Lui che senti vieni allora con libero cuore, con totale amore». Chi sia, fra la folla, colui o colei al quale vanno queste parole, non so.

   166.2 Gesù dice ancora: «Questi sono i miei apostoli. Altrettanti Cristi sono, perché Io tali li ho eletti. Rivolgetevi ad essi con fiducia. Essi sanno da Me tutto quanto vi abbisogna per le anime vostre…». Gli apostoli guardano Gesù perfettamente spaventati. Ma Egli sorride e prosegue: «…e daranno alle vostre anime luce di stella e ristoro di rugiada tanto da impedirvi di languire nelle tenebre. E poi Io verrò e vi darò pienezza di sole e di onde, tutta la sapienza per farvi forti e felici di soprannaturale fortezza e gioia. La pace a voi, figli. Sono atteso da altri, più infelici e poveri di voi. Ma soli non vi lascio. Vi lascio i miei apostoli, ed è come lasciassi i figli del mio amore affidati alle cure delle più amorose e fidate delle nutrici».
   Gesù fa un gesto di addio e di benedizione e si avvia, fendendo la folla che non lo vuole lasciare partire; ed è allora che si ha l’ultimo miracolo, quello di una vecchierella semiparalizzata, condotta qui dal nipote e che agita festosa il braccio destro prima inerte e grida: «Egli mi ha sfiorata col suo manto, nel passare, e sono guarita! Neppure lo chiedevo, perché vecchia sono… Ma Egli ha avuto pietà anche del mio desiderio segreto. E col manto, un lembo di esso che mi ha sfiorato il braccio perduto, mi ha guarita! Oh! che grande Figlio ha avuto il santo Davide nostro! Gloria al suo Messia! Ma guardate! Ma guardate! Anche la gamba è spedita come il braccio… Oh! come a vent’anni sono!».
   Il convergere di molti verso la vecchietta, che strilla con tutto il suo fiato la sua felicità, fa sì che Gesù possa svignarsela senza essere più oltre impedito. E gli apostoli dietro.

   166.3 Quando sono in un luogo deserto, quasi al piano, fra una folta brughiera che va verso il lago, si fermano un momento. Gesù per dire: «Vi benedico! Tornate al vostro lavoro e fatelo finché Io verrò come ho detto».
   Pietro, fino ad allora sempre zitto, prorompe: «Ma, Signor mio, che hai fatto? Perché dire che noi abbiamo tutto quanto abbisogna alle anime? È vero! Tu ci hai detto molto. Ma noi siamo zucconi, io almeno, e… e di quello che mi hai dato me ne è rimasto poco, molto poco mi è rimasto. È come uno che, di un pasto, ha ancora nello stomaco il più greve. Il resto non c’è più».
   Gesù sorride apertamente: «E dove è allora il resto del cibo?».
   «Ma… non so. So che, se io mangio piattini delicati, dopo un’ora non mi sento più niente nello stomaco. Mentre se mangio radici pesanti o lenticchie con l’olio, eh! ci vuole a mandarle giù!».
   «Ci vuole. Ma credi che radici e lenticchie, che sembra ti empiano di più, sono quelle che meno ti lasciano di sostanza: tutta scoria che passa con poco utile. Mentre i piattini che in un’ora non ti senti più, sono non nello stomaco dopo un’ora, ma nel tuo stesso sangue. Quando un cibo è digerito non è più nello stomaco, ma il suo succo è nel sangue e giova di più. Ora a te e ai tuoi compagni vi pare che di quanto vi ho detto più nulla o ben poco sia in voi. Forse vi ricordate bene le parti che più sono consone alla vostra particolare natura: i violenti le parti violente, i meditativi le parti meditative, gli amorosi le parti tutto amore. Senza forse è così. Ma credete: tutto è in voi. Anche se vi pare che sia dileguato. Lo avete assorbito. Il pensiero vi si dipanerà come un filo multicolore portandovi le tinte dolci o severe a seconda che ne avete bisogno. Non abbiate paura. Pensate pure che Io so e che mai vi manderei se vi sapessi incapaci di fare. Addio, Pietro. Su! Sorridi! Abbi fede! Un bell’atto di fede nella Sapienza onnipresente. Addio a tutti.
   Il Signore resta con voi». E rapido li lascia, ancora stupiti e agitati di quanto hanno udito dire di dover fare.

   166.4 «Eppure bisogna ubbidire», dice Tommaso.
   «Eh!… già!… Oh! povero me! Quasi gli corro dietro…», mormora Pietro.
   «No. Non lo fare. L’ubbidienza è amore a Lui», dice Giacomo di Alfeo.
   «E cominciare mentre ancora Egli ci è presso, e può consigliarci se sbagliamo, è elementare e anche santa prudenza. Aiutarlo dobbiamo», consiglia lo Zelote.
   «È vero. Gesù è piuttosto affaticato. Bisogna sollevarlo un poco, come possiamo. Non basta portare le sacche, preparare i letti e il cibo. Questo chiunque lo può fare. Ma aiutarlo, come Egli vuole, nella sua missione», conferma Bartolomeo.
   «Tu dici bene perché sei dotto. Ma io… Quasi ignorante sono io…», geme Giacomo di Zebedeo.
   «O Dio! Ecco che arrivano quelli che erano lassù! Come facciamo?», esclama Andrea.
   E Matteo: «Scusate se io, il più miserabile, consiglio. Ma non sarebbe meglio pregare il Signore, invece di stare qui a lamentarsi su ciò che coi lamenti non si ripara? Su, Giuda, tu che sai tanto bene la Scrittura, di’ per tutti la preghiera[5] di Salomone per ottenere la sapienza. Presto! Prima che ci raggiungano».
   E il Taddeo con la sua bella voce baritonale inizia: «Dio dei miei padri, Signore di misericordia che tutto hai creato…» ecc… ecc…, fino al punto: «… per la sapienza furono salvati tutti quelli che a Te, Signore, piacquero fin dal principio».
   Appena in tempo prima che la gente li raggiunga, li attorni, li assalga con mille domande sul dove è andato il Maestro, sul quando tornerà, e, più difficile ad essere accontentata, con la richiesta: «Ma come si fa a seguire il Maestro non con le gambe, ma con l’anima, per le vie della Via che Egli indica?».
   A questa domanda gli apostoli restano imbarazzati. Si guardano fra di loro e l’Iscariota risponde: «Col seguire la perfezione», quasi fosse una risposta che possa spiegare tutto!…
   Giacomo di Alfeo, più umile e più pacato, pensa e poi dice:
   «La perfezione a cui accenna il mio compagno si raggiunge ubbidendo alla Legge. Perché la Legge è giustizia e la giustizia è perfezione».

   166.5 Ma la gente ancora non è contenta e chiede per bocca di uno che pare un capo: «Ma noi siamo piccoli come fanciulli nel Bene. I fanciulli non sanno ancora il significato del Bene e del Male, non distinguono. E noi, in questa Via che Egli indica, siamo così informi da essere incapaci di distinguere. Avevamo una via nota. Quella antica che ci è stata insegnata nelle scuole. Così difficile, lunga, paurosa! Ora, dalle sue parole, sentiamo che è come quell’acquedotto che vediamo di qui. Sotto c’è la via delle bestie e dell’uomo; sopra, sugli archi leggeri, alta nel sole e nell’azzurro, presso ai rami più alti che frusciano e cantano per il vento e gli uccelli, vi è un’altra via, liscia, pulita, luminosa quanto quella inferiore è scabra, sporca, oscura, una via, per l’acqua che è limpida e sonante, che è benedizione, per l’acqua che viene da Dio e che è accarezzata da ciò che è di Dio: raggi di sole e di stelle, fronde novelle, fiori, ali di rondine. Noi vorremmo salire a quella via più alta, e che è la sua, e non sappiamo, perché siamo confitti qui, in basso, sotto il peso di tutta la costruzione antica. Come facciamo?».
   Colui che ha parlato è un giovane sui venticinque anni, bruno, robusto, dallo sguardo intelligente e l’aspetto meno popolano della maggioranza dei presenti. Si appoggia ad un altro più maturo.
   L’Iscariota, che alto come è lo vede, sussurra ai compagni:
   «Presto, parlate bene. Vi è Erma con Stefano, Stefano, amato da Gamaliele!». Cosa che finisce di imbarazzare del tutto gli apostoli.

   166.6 Infine lo Zelote risponde:
   «L’arco non sarebbe se non ci fosse la base nella via oscura. Questa è la matrice di quello, che da essa si lancia e sale nell’azzurro di cui tu sei voglioso. Le pietre confitte nel suolo, e che sorreggono il peso senza godere dei raggi e dei voli, non ignorano però che essi ci sono, perché talora una rondine cala con uno strido fino al fango e carezza la base dell’arco, e scende un raggio di sole o di stella a dire quanto è bello il firmamento. Così nei secoli passati è scesa, di tempo in tempo[6], una parola celeste di promessa, un raggio celeste di sapienza, per carezzare le pietre oppresse dal corruccio divino. Perché le pietre erano necessarie. Non sono, non furono e non saranno mai inutili. Su esse si è elevato lentamente il tempo e la perfezione del conoscere umano fino a raggiungere la libertà del tempo presente e la sapienza del conoscere sovrumano.
   Già leggo la tua obbiezione, ti è scritta in volto. È quella che tutti abbiamo avuto, prima di saper comprendere che questa è la Nuova Dottrina, la Buona Novella predicata a coloro che per un processo a ritroso non sono divenuti adulti con l’elevarsi delle pietre del sapere, ma si sono sempre più oscurati come muro che sprofonda in un abisso cieco.
   Noi, per uscire da questa malattia di oscuramento soprannaturale, dobbiamo liberare coraggiosamente la pietra fondamentale da tutte le pietre sovrapposte. Non abbiate tema di demolire quello che è un alto muro ma che non porta la linfa pura della sorgente eterna. Tornate alla base. Quella non va mutata. È da Dio. Ed immobile è. Ma prima di scartare le pietre, perché non tutte sono malvagie e inutili, provatele una ad una, al suono della parola di Dio. Se le sentite non discordi, ritenetele, riusatele per ricostruire. Ma se in esse sentite il suono discorde della voce umana o quello lacerante della voce satanica – e non vi potete sbagliare perché se è voce di Dio è suono d’amore, se è voce umana è suono di senso, se voce satanica è voce d’odio – allora frantumate le pietre malvagie. Dico: frantumate, perché è carità non lasciare indietro germi od oggetti di male che possano sedurre il viandante ed indurlo ad usarle per suo danno. Frantumate letteralmente ogni cosa non buona che fu vostra in opere, scritti, insegnamenti o atti. Meglio restare con poco, elevarsi appena di un cubito ma con buone pietre, che per dei metri ma con pietre malvagie. I raggi e le rondini scendono anche sulle muricce appena elevate dal suolo, e i fioretti umili della proda con facilità giungono ad accarezzare le pietre basse. Mentre le superbe pietre che vogliono elevarsi inutili e scabre non hanno che schiaffi di rovi e abbracci di tossici. Demolite per ricostruire e per salire provando la bontà delle vostre antiche pietre alla voce di Dio».

   166.7 «Bene parli, uomo. Ma salire! Come? Ti abbiamo detto che meno di pargoli siamo. Chi ci fa salire sull’erta colonna? Proveremo le pietre al suono di Dio, frantumeremo le meno buone. Ma come salire? È vertigine solo a pensarlo!», dice Stefano.

   166.8 Giovanni, che ha ascoltato a capo chino sorridendo a se stesso, alza un volto luminoso e prende la parola.
   «Fratelli! Vertigine è pensare di salire. È vero. Ma chi vi dice che è necessario attaccare l’altezza direttamente? Questo non i pargoli, ma neppure gli adulti lo possono fare. Solo gli angeli possono lanciarsi negli azzurri, perché hanno libertà da ogni peso di materia. E negli uomini solo gli eroi della santità lo possono fare.
   Abbiamo un vivente che tuttora, in questo mondo avvilito, sa essere eroe di santità come gli antichi di cui si infiora Israele, quando i Patriarchi erano amici di Dio e la parola del Codice eterno era la sola, ma la ubbidita da ogni retta creatura. Giovanni, il Precursore, insegna come si attacca l’altezza direttamente. È un uomo, Giovanni. Ma la Grazia che il Fuoco di Dio gli ha comunicata, mondandolo dal ventre della madre, così come fu mondato dal serafino il labbro del Profeta, perché potesse precedere il Messia senza lasciare fetore di colpa d’origine sulla via regale del Cristo, ha dato a Giovanni ali di angelo e la penitenza le ha fatte crescere, abolendo insieme quel peso di umanità che la sua natura di nato di donna aveva conservato. Onde Giovanni, dal suo speco dove predica penitenza, e dal suo corpo dove arde lo spirito sposato alla Grazia, lancia, può lanciare se stesso al sommo dell’arco oltre il quale è Dio, l’altissimo Signore Iddio nostro, e può, dominando i secoli passati, il giorno presente, il tempo futuro, annunciare, con voce di profeta, con occhio d’aquila che può fissare il Sole eterno e riconoscerlo: “Ecco l’Agnello di Dio. Colui che leva i peccati del mondo”, e morire dopo questo suo canto sublime, che sarà usato non solo nel tempo limitato ma nel tempo senza fine, nella Gerusalemme per sempre eterna e beata, per acclamare la Seconda Persona, per invocarla sulle miserie umane, per osannarla nei fulgori eterni.

   166.9 Ma l’Agnello di Dio, il dolcissimo Agnello che ha lasciato la sua luminosa dimora dei Cieli nei quali è Fuoco di Dio in abbraccio di fuoco – oh! eterna generazione del Padre che concepisce col Pensiero illimitato e santissimo il suo Verbo, e se lo assorbe producendo una fusione d’amore che crea lo Spirito di Amore in cui si accentra la Potenza e la Sapienza! – ma l’Agnello di Dio che ha lasciato la sua purissima, incorporea forma, per chiudere la sua purezza infinita, la sua santità, la sua natura divina in carne mortale, sa che noi non siamo i mondati dalla Grazia, ancora non lo siamo, e sa che non potremmo, come l’aquila che è Giovanni, lanciarci nelle altezze, sul culmine dove è Dio Uno e Trino. Noi siamo i piccoli passeri del tetto e della via, siamo le rondini che toccano l’azzurro ma si cibano di insetti, siamo le calandre che vogliono cantare per imitare gli angeli ma rispetto al cui canto il nostro è fremito discorde di cicala estiva. Questo, il dolce Agnello di Dio, venuto per levare i peccati del mondo, lo sa. Perché, se non è più lo Spirito infinito dei Cieli, avendo costretto Se stesso in carne mortale, la sua infinità non è menomata per questo, e tutto sa essendo sempre infinita la sua sapienza.
   Ed ecco allora che ci insegna la sua via. La via dell’amore. Egli è l’Amore che per misericordia di noi si fa carne. Ecco allora che questo Amore misericordioso ci crea la via che anche i piccoli possono salire. Ed Egli, non per bisogno proprio, ma per insegnarcela, la percorre per primo. Egli neppure avrebbe bisogno di aprire le ali per rifondersi col Padre. Il suo spirito, io ve lo giuro, è chiuso qui, sulla misera Terra, ma è sempre col Padre, perché tutto può Dio, e Dio Egli è. Ma va avanti, lasciando dietro di Sé gli aromi della sua santità, l’oro e il fuoco del suo amore. Osservate la sua via. Oh! ben giunge all’arco sommo! Ma come è placida e sicura! Non è una retta: è una spirale. Più lunga, e il suo sacrificio di amore misericordioso si svela in questa lunghezza su cui Egli trattiene Se stesso per amore di noi deboli. Più lunga, ma più adatta alla nostra miseria. La salita all’Amore, a Dio, è semplice come è semplice l’Amore. Ma è profonda perché Dio è un abisso che direi irraggiungibile se Egli non si abbassasse per farsi raggiungere, per sentirsi baciare dalle anime di Lui innamorate (Giovanni parla e piange sorridendo con la bocca, nell’estasi del suo svelare Dio). È lunga la semplice via dell’Amore, perché l’Abisso che è Dio non ha fondo, e tanto uno potrebbe salire quanto volesse. Ma l’Abisso mirabile chiama il nostro abisso miserabile. Chiama con le sue luci e dice: “Venite a Me!”. Oh! Invito di Dio! Invito di Padre!

   166.10 Udite! Udite! Dai Cieli lasciati aperti, perché il Cristo ne ha spalancato le porte – mettendo a tenerle tali gli angeli della Misericordia e del Perdono, perché in attesa della Grazia sugli uomini ne fluissero almeno luci, profumi, canti e sereni, atti a sedurre santamente i cuori umani – vengono incontro a noi parole soavissime. È la voce di Dio che parla. E la voce dice: “La vostra puerizia? Ma è la vostra moneta migliore! Vorrei che tutt’affatto piccoli diveniste per avere in voi l’umiltà, la sincerità e l’amore dei pargoli, il confidente amore dei pargoli verso il padre. La vostra incapacità? Ma è la mia gloria! Oh! venite. Neppure vi chiedo che voi da voi stessi proviate il suono delle pietre buone e cattive. Ma datele a Me! Io le sceglierò e voi vi ricostruirete. La scalata alla perfezione? Oh! no, piccoli figli miei. Qui la mano nella mano del Figlio mio, fratello vostro, ora e così, al suo fianco ascendete…”.
   Ascendere! Venire a Te, eterno Amore! Prendere la tua somiglianza, ossia l’Amore! Amare! Ecco il segreto!… Amare! Darsi… Amare! Abolirsi… Amare! Fondersi… La carne? Un nulla. Il dolore? Un nulla. Il tempo? Un nulla. Il peccato stesso diviene nulla se io lo sciolgo nel tuo fuoco, o Dio! L’Amore solo è. L’Amore! L’Amore, che ci ha dato l’incarnato Iddio, ci darà ogni perdono. E amare è atto che nessuno sa meglio dei pargoli fare. E nessuno è amato più di un pargolo.

   166.11 O tu che non conosco, ma che vuoi conoscere il Bene per distinguerlo dal Male, per avere l’azzurro, il sole celeste, tutto quanto è letizia soprannaturale, ama e l’avrai. Ama Cristo. Morirai nella vita, ma risusciterai nello spirito. Con uno spirito nuovo, senza più avere bisogno di usare le pietre, sarai per l’eternità un fuoco che non muore. La fiamma sale. Non abbisogna di scalini né di ali per salire. Libera il tuo io da ogni costruzione, poni in te l’Amore. Fiammeggerai. Lascia che ciò avvenga senza restrizioni. Aizza anzi la fiamma gettandovi ad alimentarla tutto il tuo passato di passioni, di sapere. Si distruggerà nella fiamma il men buono, e ciò che già è metallo nobile si farà puro. Gettati, o fratello, nell’amore attivo e gaudente della Trinità. Comprenderai ciò che ora ti pare incomprensibile, perché comprenderai Dio, il Comprensibile solo da quelli che si dànno senza misura al suo fuoco sacrificatore. Ti fisserai in ultimo in Dio in un abbraccio di fiamma, pregando per me, il pargolo di Cristo, che ha osato parlarti dell’Amore».

   166.12 Sono tutti di stucco: apostoli, discepoli, fedeli… L’interpellato è pallido, mentre Giovanni è di porpora non tanto per la fatica quanto per l’amore.
   Infine Stefano ha un grido: «Te benedetto! Ma dimmi, chi sei?».
   E Giovanni – ed ha un atto che mi ricorda molto la Vergine nell’atto dell’Annunciazione – dice piano, curvandosi come adorando Colui che nomina: «Sono Giovanni. Tu vedi in me il minimo fra i servi del Signore».
   «Ma chi il tuo maestro prima d’ora?».
   «Alcuno che Dio non sia, poiché ho avuto il latte spirituale da Giovanni il presantificato di Dio, mangio il pane di Cristo Verbo di Dio, e bevo il fuoco di Dio che mi viene dai Cieli. Sia gloria al Signore!».
   «Ah! ma io non vi lascio più! Né te né costui, nessuno lascio. Prendetemi!».
   «Quando… Oh! ma qui è Pietro, il capo fra noi», e Giovanni prende lo sbalordito Pietro e lo proclama così «il primo».
   E Pietro ritrova se stesso: «Figlio, a grande missione occorre severa riflessione. Questo è l’angelo di noi e accende. Ma occorre sapere se la fiamma in noi potrà durare. Misura te stesso. E poi vieni al Signore. Noi ti apriremo il cuore come a fratello carissimo. Per intanto, se vuoi conoscere meglio la nostra vita, resta. Le greggi del Cristo possono crescere a dismisura per essere scelti, fra i perfetti e gli imperfetti, i veri agnelli dai falsi montoni».
   E con questo ha fine la prima manifestazione apostolica.


[5] preghiera, che è in: Sapienza 9. 

[6] di tempo in tempo, invece di  dentro per dentro (tipica espressione annotata in 6.1), è correzione di MV su una copia dattiloscritta.



Gesù é la Verità, la Vita e la Via

 


Dongo (Como), 13 giugno 1989. Anniversario della seconda apparizione a Fatima.


La bestia simile a un agnello.

«Figli prediletti, oggi ricordate la mia seconda apparizione, avvenuta nella povera Cova da Iria

in Fatima, il 13 giugno 1917.

Già da allora Io vi ho predetto quanto voi state vivendo in questi tempi.

Vi ho annunciato la grande lotta fra Me, Donna vestita di sole, e l'enorme Drago rosso, che ha

portato l'umanità a vivere senza Dio.

Vi ho anche predetto il subdolo e tenebroso lavoro, compiuto dalla Massoneria, per

allontanarvi dalla osservanza della Legge di Dio e rendervi così vittime dei peccati e dei vizi.

Soprattutto, come Mamma, vi ho voluto avvertire del grande pericolo che minaccia oggi la

Chiesa, a causa dei molti e diabolici attacchi che si compiono contro di Lei per distruggerla.

Per raggiungere questo scopo, alla bestia nera che sale dal mare, viene in aiuto dalla terra, una

bestia che ha due corna, simili a quelle di un agnello.

L'agnello, nella divina Scrittura, è sempre stato il simbolo del sacrificio. Nella notte

dell'esodo, viene sacrificato l'agnello e, con il suo sangue, sono aspersi gli stipiti delle case

degli ebrei, per sottrarle al castigo che invece colpisce tutti gli egiziani.

La Pasqua ebraica ricorda questo fatto ogni anno, con la immolazione di un agnello, che viene

sacrificato e consumato.

Sul Calvario Gesù Cristo si immola per la redenzione dell'umanità, si fa Lui stesso nostra

Pasqua e diventa il vero Agnello di Dio che toglie tutti i peccati del mondo.

La bestia porta sul capo due corna simili a quelle di un agnello. Al simbolo del sacrificio è

intimamente unito quello del Sacerdozio: le due corna. Un copricapo con due corna portava il

Sommo Sacerdote nel Vecchio Testamento. La mitria - con due corna - portano i Vescovi nella

Chiesa, per indicare la pienezza del loro Sacerdozio. La bestia nera, simile a una pantera,

indica la Massoneria; la bestia con due corna, simile a un agnello, indica la Massoneria

infiltrata all'interno della Chiesa, cioè la Massoneria ecclesiastica, che si è diffusa sopra

tutto fra i Membri della Gerarchia.

Questa infiltrazione massonica, all'interno della Chiesa, vi è già stata da Me predetta in

Fatima, quando vi ho annunciato che Satana si sarebbe introdotto fino al vertice della Chiesa.

Se compito della massoneria è di condurre le anime alla perdizione, portandole al culto di false

divinità, lo scopo della massoneria ecclesiastica è invece quello di distruggere Cristo e la sua

Chiesa, costruendo un nuovo idolo, cioè un falso Cristo ed una falsa Chiesa.

- Gesù Cristo è il Figlio del Dio vivente, è il Verbo incarnato, è vero Dio e vero Uomo, poiché

unisce nella sua Persona divina la natura umana e la natura divina.


Gesù, nel vangelo, ha dato di se stesso la sua più completa definizione, dicendo di essere la

Verità, la Vita e la Via.


- Gesù è la Verità, perché ci rivela il Padre, ci dice la sua Parola definitiva, porta al suo

perfetto compimento tutta la divina Rivelazione.

- Gesù è la Vita, perché ci dona la stessa vita divina, con la Grazia da Lui meritata con la

Redenzione, ed istituisce i Sacramenti come mezzi efficaci che comunicano la Grazia.

- Gesù è la Via, che conduce al Padre, per mezzo del Vangelo, che ci ha dato, come cammino da

percorrere, per giungere alla salvezza.


Gesù è Verità, perché è Lui - Parola vivente - fonte e sigillo di tutta la divina Rivelazione.

Allora la massoneria ecclesiastica agisce per oscurare la Sua divina Parola, per mezzo di

interpretazioni naturali e razionali e, nel tentativo di renderla più comprensiva ed accolta, la

svuota di ogni suo soprannaturale contenuto. Così si diffondono gli errori, in ogni parte della

stessa Chiesa Cattolica. A causa della diffusione di questi errori, oggi molti si allontanano

dalla vera fede, dando attuazione alla profezia che vi è stata fatta da Me a Fatima: - verranno

tempi in cui molti perderanno la vera fede. - La perdita della fede è apostasia.

La massoneria ecclesiastica agisce, in maniera subdola e diabolica, per condurre tutti alla

apostasia.


Gesù è Vita perché dona la Grazia.

Scopo della massoneria ecclesiastica è quello di giustificare il peccato, di presentarlo non più

come un male, ma come un valore ed un bene. Così si consiglia di compierlo, come un modo di

soddisfare le esigenze della propria natura, distruggendo la radice da cui può nascere il

pentimento e si dice che non è più necessario confessarlo. Frutto pernicioso di questo

maledetto cancro, che si è diffuso in tutta la Chiesa, è la sparizione della confessione

individuale in ogni parte. Le anime vengono portate a vivere nel peccato, rifiutando il dono

della Vita, che Gesù ci ha offerto.


Gesù è Via, che conduce al Padre, per mezzo del Vangelo.

La massoneria ecclesiastica favorisce le esegesi, che danno di esso interpretazioni

razionalistiche e naturali, per mezzo dell'applicazione dei vari generi letterari, così che esso

viene dilaniato in ogni sua parte. Alla fine si giunge a negare la realtà storica dei miracoli e

della sua resurrezione e si mette in dubbio la divinità stessa di Gesù e la sua missione

salvifica.

Dopo di avere distrutto il Cristo storico, la bestia con due corna simili a un agnello cerca di

distruggere il Cristo mistico che è la Chiesa.

La Chiesa istituita da Cristo è una sola: quella santa, cattolica, apostolica, una, fondata su

Pietro.

Come Gesù, anche la Chiesa da Lui fondata, che forma il suo corpo mistico, è Verità, vita e via.


- La Chiesa è verità, perché ad essa sola Gesù ha affidato da custodire, nella sua integrità,

tutto il deposito della fede. Lo ha affidato alla Chiesa gerarchica, cioè al Papa ed ai Vescovi

uniti con Lui.

La massoneria ecclesiastica cerca di distruggere questa realtà con un falso ecumenismo, che

porta all'accettazione di tutte le Chiese cristiane, affermando che ciascuna di esse possiede

una parte della verità. Essa coltiva il disegno di fondare una Chiesa ecumenica universale,

formata dalla fusione di tutte le confessioni cristiane, fra cui la Chiesa cattolica.


- La Chiesa è vita perché dona la Grazia ed essa sola possiede i mezzi efficaci di Grazia, che

sono i sette Sacramenti. Specialmente è vita perché ad Essa sola è stato dato il potere di

generare l'Eucarestia, per mezzo del Sacerdozio ministeriale e gerarchico. Nella Eucarestia

Gesù Cristo è realmente presente col suo Corpo glorioso e la sua divinità.

Allora la massoneria ecclesiastica, in tante e subdole maniere, cerca di attaccare la pietà

ecclesiale verso il Sacramento della Eucarestia. Di essa valorizza solo l'aspetto della Cena,

tende a minimizzare il suo valore sacrificale, cerca di negare la reale e personale presenza di

Gesù nelle Ostie consacrate.

Per questo si sono gradualmente soppressi tutti i segni esterni, che sono indicativi della fede

nella presenza reale di Gesù nella Eucarestia, come le genuflessioni, le ore di adorazione

pubbliche, la consuetudine santa di circondare il Tabernacolo di luci e di fiori.


- La Chiesa è via perché conduce al Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo sul

cammino della perfetta unità. Come il Padre e il Figlio sono uno, così dovete essere una sola

cosa fra voi. Gesù ha voluto che la sua Chiesa sia segno e strumento dell'unità di tutto il

genere umano. La Chiesa riesce ad essere unita, perché è stata fondata sulla pietra angolare

della sua unità: Pietro ed il Papa che succede al carisma di Pietro.

Allora la massoneria ecclesiastica cerca di distruggere il fondamento della unità della Chiesa,

con l'attacco subdolo ed insidioso al Papa.

Essa ordisce le trame del dissenso e della contestazione al Papa; sostiene e premia coloro che

lo vilipendono e gli disubbidiscono; propaga le critiche e le opposizioni di Vescovi e di teologi.

In questa maniera si demolisce il fondamento stesso della sua unità e così la Chiesa viene

sempre più lacerata e divisa.


Figli prediletti, vi ho invitato a consacrarvi al mio Cuore Immacolato e a entrare in questo mio

materno rifugio, soprattutto per essere preservati e difesi contro questa terribile insidia.

Per questo, nell'atto di consacrazione del mio Movimento, Io vi ho sollecitato a rinunciare ad

ogni aspirazione di fare carriera. Così potete sottrarvi alla più forte e pericolosa insidia,

usata dalla massoneria, per associare alla sua setta segreta tanti miei figli prediletti.

Vi porto ad un grande amore a Gesù verità, facendovi coraggiosi testimoni di fede; a Gesù

vita, portandovi a grande santità; a Gesù via, chiedendovi di essere nella vita solo Vangelo

vissuto ed annunciato alla lettera.


Poi vi conduco al più grande amore alla Chiesa.

Vi faccio amare la Chiesa-verità, facendovi forti annunciatori di tutte le verità della fede

cattolica, mentre vi opponete, con forza e coraggio, a tutti gli errori.

Vi rendo ministri della Chiesa-vita, aiutandovi ad essere Sacerdoti fedeli e santi. Siate

sempre disponibili alle necessità delle anime, prestatevi, con generosa abnegazione, al

ministero della Riconciliazione e siate fiamme ardenti di amore e di zelo verso Gesù presente

nella Eucarestia.

Nelle vostre Chiese si torni a fare con frequenza le ore di pubblica adorazione e riparazione al

Santissimo Sacramento dell'altare.

Vi trasformo in testimoni della Chiesa-via, e vi rendo strumenti preziosi della sua unità. Per

questo vi ho donato, come secondo impegno del mio Movimento, una particolare unità al Papa.

Per mezzo del vostro amore e della vostra fedeltà, il disegno divino della perfetta unità della

Chiesa tornerà a risplendere in tutto il suo splendore.

Così alla tenebrosa forza, che oggi esercita la massoneria ecclesiastica, per distruggere

Cristo e la sua Chiesa, Io oppongo il forte splendore della mia schiera sacerdotale e fedele,

perché Cristo sia da tutti amato; ascoltato e seguito, e la sua Chiesa sia sempre più amata,

difesa e santificata.

In questo soprattutto risplende la vittoria della Donna vestita di sole e il mio Cuore

Immacolato ha il suo più luminoso trionfo».


AVE MARIA!

IL MIO CUORE IMMACOLATO è IL SOLO RIFUGIO


Milano, 3 giugno 1989. Primo sabato e festa del Cuore Immacolato di Maria.

La bestia simile a una pantera.

«Figli prediletti, oggi vi riunite nei Cenacoli di preghiera, per celebrare la festa del Cuore

Immacolato della vostra Mamma Celeste.

Da ogni parte del mondo vi ho chiamati a consacrarvi al mio Cuore Immacolato, e voi avete

risposto con filiale amore e con generosità.

Ormai mi sono formata la mia schiera, con quei figli che hanno accolto il mio invito ed hanno

ascoltato la mia voce.

È giunto il tempo in cui il mio Cuore Immacolato deve essere glorificato dalla Chiesa e da tutta

l'umanità.

Perché, in questi tempi della apostasia, della purificazione e della grande tribolazione, il mio

Cuore Immacolato è il solo rifugio e la strada che vi conduce al Dio della salvezza e della pace.

Soprattutto il mio Cuore Immacolato diventa oggi il segno della mia sicura vittoria nella

grande lotta che si combatte fra i seguaci dell'enorme Drago rosso ed i seguaci della Donna

vestita di sole.

In questa terribile lotta sale dal mare, in aiuto al Drago, una bestia simile a una pantera.

Se il Drago rosso è l'ateismo marxista, la bestia nera è la Massoneria.

Il Drago si manifesta nel vigore della sua potenza; la bestia nera invece agisce nell'ombra, si

nasconde, si occulta in modo da entrare in ogni parte.

Ha le zampe di orso e la bocca di un leone, perché opera ovunque con l'astuzia e con i mezzi di

comunicazione sociale, cioè della propaganda.

Le sette teste indicano le varie logge massoniche, che agiscono ovunque in maniera subdola e

pericolosa.

Questa bestia nera ha dieci corna e sulle corna dieci diademi, che sono segni di dominio e di

regalità.

La massoneria domina e governa in tutto il mondo per mezzo delle dieci corna.

Il corno, nel mondo biblico, è sempre stato uno strumento di amplificazione, un modo di fare

udire maggiormente la propria voce, un forte mezzo di comunicazione.

Per questo Dio ha comunicato al suo popolo la sua Volontà per mezzo di dieci corna che hanno

fatto conoscere la sua Legge: i dieci comandamenti.

Chi li accoglie e li osserva cammina nella vita sulla strada della divina Volontà, della gioia e

della pace.

Chi fa la volontà del Padre, accoglie la Parola di suo Figlio e partecipa della Redenzione da Lui

compiuta. Gesù dona alle anime la stessa vita divina, attraverso la Grazia, che Lui ci ha

meritato con il suo Sacrificio compiuto sul Calvario.

La Grazia della Redenzione viene comunicata per mezzo dei sette sacramenti. Con la Grazia

vengono inseriti nell'anima dei germi di vita soprannaturale che sono le virtù. Fra esse le più

importanti sono le tre virtù teologali e le quattro cardinali: fede, speranza, carità; prudenza,

fortezza, giustizia e temperanza.

Al sole divino dei sette Doni dello Spirito Santo, queste virtù germogliano, crescono, si

sviluppano sempre di più e conducono così le anime sul cammino luminoso dell'amore e della

santità.

Compito della bestia nera, cioè della massoneria, è quello di combattere, in maniera subdola,

ma tenace, per impedire alle anime di percorrere questa strada, indicata dal Padre e dal Figlio

ed illuminata dai doni dello Spirito.

Infatti se il Drago rosso agisce per portare tutta l'umanità a fare a meno di Dio, alla

negazione di Dio e perciò diffonde l'errore dell'ateismo, lo scopo della massoneria non è di

negare Dio, ma di bestemmiarlo.

La bestia apre la bocca per proferire bestemmie contro Dio, per bestemmiare il suo nome e la

sua dimora, contro tutti quelli che abitano in cielo.

La bestemmia più grande è quella di negare il culto dovuto al solo Dio per darlo alle creature

ed allo stesso Satana.

Ecco perché in questi tempi, dietro la perversa azione della massoneria, si diffondono ovunque

le messe nere ed il culto satanico.

Inoltre la massoneria agisce, con ogni mezzo, per impedire che le anime si salvino e così vuole

rendere vana l'opera della Redenzione compiuta da Cristo.

Se il Signore ha comunicato la sua Legge con i dieci comandamenti, la massoneria diffonde

ovunque, con la potenza delle sue dieci corna, una legge che è completamente opposta a quella

di Dio.

Al comandamento del Signore: - "Non avrai altro Dio fuori di me"

- essa costruisce altri falsi idoli, di fronte ai quali oggi molti si prostrano in adorazione.

Al comandamento: - "Non nominare il nome di Dio invano"

- essa si oppone con il bestemmiare Dio ed il suo Cristo, in tanti modi subdoli e diabolici, fino a

ridurre un marchio di vendita indecoroso il suo Nome e a fare dei film sacrileghi sulla sua vita

e sulla sua divina Persona.

Al comandamento: - "Ricordati di santificare le feste"

- essa trasforma la domenica in week end, nel giorno dello sport, delle gare, dei divertimenti.

Al comandamento: - "Onora il padre e la madre"

- essa contrappone un modello nuovo di famiglia fondato sulla convivenza, persino fra

omosessuali.

Al comandamento: - "Non uccidere"

- essa è riuscita a fare legittimare, in ogni parte, l'aborto, a fare accogliere la eutanasia, a

fare quasi scomparire il rispetto dovuto al valore della vita umana.

Al comandamento: - "Non commettere atti impuri"

- essa giustifica, esalta e propaganda ogni forma di impurità, fino alla giustificazione degli atti

contro natura.

Al comandamento: - "Non rubare"

- essa opera perché sempre più si diffondano i furti, la violenza, i sequestri e le rapine.

Al comandamento: - "Non dire falsa testimonianza"

- essa agisce perché si propaghi sempre più la legge dell'inganno, della menzogna, della

doppiezza.

Al comandamento: - "Non desiderare la roba e la donna di altri"

- essa agisce per corrompere nel profondo la coscienza, ingannando la mente e il cuore

dell'uomo.

In questa maniera le anime vengono sospinte sul cammino perverso e cattivo della

disubbidienza alla Legge del Signore, vengono sommerse dal peccato e sono così impedite dal

ricevere il dono della Grazia e della vita di Dio.

Alle sette virtù teologali e cardinali, che sono il frutto del vivere in grazia di Dio, la

massoneria oppone la diffusione dei sette vizi capitali, che sono il frutto di vivere

abitualmente in stato di peccato.

Alla fede essa oppone la superbia; alla speranza la lussuria; alla carità l'avarizia; alla prudenza

l'ira; alla fortezza l'accidia; alla giustizia l'invidia; alla temperanza la gola.

Colui che diventa vittima dei sette vizi capitali viene gradualmente condotto a togliere il culto

che è dovuto al solo Dio, per dado a delle false divinità, che sono la personificazione stessa di

tutti questi vizi.

Ed in questo consiste la bestemmia più grande ed orribile.

Ecco perché su ogni testa della bestia è scritto un titolo blasfemo.

Ogni loggia massonica ha il compito di fare adorare una diversa divinità.

- La prima testa porta il titolo blasfemo della superbia, che si oppone alla virtù della fede, e

conduce a dare il culto al dio della ragione umana e dell'orgoglio, della tecnica e del progresso.

- La seconda testa porta il titolo blasfemo della lussuria, che si oppone alla virtù della

speranza, e porta a dare il culto al dio della sessualità e dell'impurità.

- La terza testa porta il titolo blasfemo dell'avarizia, che si oppone alla virtù della carità, e

diffonde ovunque il culto al dio del denaro.

- La quarta testa porta il titolo blasfemo dell'ira, che si oppone alla virtù della prudenza, e

conduce a dare il culto al dio della discordia e della divisione.

- La quinta testa porta il titolo blasfemo dell'accidia, che si oppone alla virtù della fortezza, e

diffonde il culto all'idolo della paura, dell'opinione pubblica e dello sfruttamento.

- La sesta testa porta il titolo blasfemo dell'invidia, che si oppone alla virtù della giustizia, e

porta a dare il culto all'idolo della violenza e della guerra.

- La settima testa porta il titolo blasfemo della gola, che si oppone alla virtù della temperanza,

e conduce a dare il culto all'idolo così esaltato dell'edonismo, del materialismo e del piacere.

Il compito delle Logge massoniche è quello di operare oggi, con grande astuzia, per portare

ovunque l'umanità a disprezzare la santa Legge di Dio, ad operare in aperta opposizione ai

dieci Comandamenti, a sottrarre il culto dovuto al solo Dio, per darlo a dei falsi idoli, che

vengono esaltati ed adorati da un numero sempre più grande di uomini: la ragione; la carne; il

denaro; la discordia; il dominio; la violenza; il piacere.

Così le anime vengono precipitate nella tenebrosa schiavitù del male, del vizio e del peccato, e,

nel momento della morte e del giudizio di Dio, nello stagno di fuoco eterno che è l'inferno.

Ora comprendete come, in questi tempi, contro il terribile ed insidioso attacco della bestia

nera, cioè della massoneria, il mio Cuore Immacolato diventi il vostro rifugio e la strada sicura

che vi porta a Dio.

Nel mio Cuore Immacolato si delinea la tattica usata dalla vostra Mamma Celeste, per

controbattere e vincere la subdola trama usata dalla bestia nera.

Per questo formo tutti i miei figli ad osservare i dieci comandamenti di Dio; a vivere alla

lettera il Vangelo; ad usare spesso dei sacramenti; specie quelli della penitenza e comunione

eucaristica, come aiuti necessari per restare nella grazia di Dio; ad esercitare in maniera

forte le virtù, per camminare sempre sulla strada del bene, dell'amore, della purezza e della

santità.

Così mi servo di voi, miei piccoli figli che vi siete a Me consacrati, per smascherare tutte

queste subdole insidie che la bestia nera vi tende e rendere infine vano il grande attacco che

la massoneria ha sferrato oggi contro Cristo e la sua Chiesa. Ed alla fine, soprattutto nella sua

più grande sconfitta, apparirà, in tutto il suo splendore, il trionfo del mio Cuore Immacolato

nel mondo».

AVE MARIA!