"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
mercoledì 23 novembre 2022
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AMMONIZIONI
Delle virtù, delle quali fu adorna la Santissima Vergine, e deve esserne l'anima santa.
O Regina Sapienza. Dio vi salvi colla vostra.santa sorella la pura semplicità.
O signora santa povertà , Dio vi salvi colla vostra santa sorella umiltà.
O signora santa carità. Dio vi salvi colla vostra sorella la santa ubbidienza.
O santissime virtù tutte, vi salvi il Signore, dal quale venite e derivate.
Non havvi al mondo uomo alcuno, il quale possa avere una sola tra voi, se prima non.muore. (a)
Chi ne possiede una, e non offende le altre, le possiede tutte; e chi ne viola una sola, non ne ha nessuna, e le viola tutte; (b) e ciascuna cuopre di confusione i vizii e i peccati.
La santa sapienza confonde Satana e tutte le malizie di lui.
La pura santa semplicità confonde tutta la sapienza di questo mondo e del corpo.
La santa povertà confonde la cupidigia, l'avarizia e le cure di questo secolo.
La santa umiltà confonde la superbia, tutti gli uomini che vivono nel mondo,e similmente tutte le cose che sono nel mondo.
La santa carità confonde. tutte le tentazioni del demonio e della carne, e tutti i carnali timori.
La santa ubbidienza confonde tutte le corporali, e carnali volontà, e tiene mortificato il suo corpo, affinchè ubbidisca allo spirito e ubbidisca al suo Fratello, e sia soggetto e sottomesso a tutti gli uomini del mondo; e non pure a' soli uomini, ma ancora a tutti gli animali e alle fiere , talchè possano fare di lui quel che vorranno, per quanto sarà loro supernamente concesso dal Signore.
Sia ringraziato Dio, Così sia.
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(a) (Muore spiritualmente;, cioè al mondo, alla carne, alle inclinazioni viziose,, agli affetti terreni, a! peccato, come dice l'Apostolo: Qui mortui sumus peccato; etc,(Rom. 6,2).
(b) È questa dottrina approvata dal Santi Padri, -fra ì quali S. Gregorio dice: < Uua virtù senza le altre o è affatto nulla, o è'imperfetta' (Moral. 1. 21, c. 1.) ». E S. Agostino: « Niuna, virtù può dirsi perfetta, se non ha seco le altre quali inseparabili compagne (Ep. 129 ad Hier.) ». Ma sono fra loro connesse solamente le virtù morali e nel loro stato' perfetto, quando cioè inclinano ad esercitare gli atti loro proprii con facilità, prontezza, costanza e accuratezza, e. a vincere ogni ostacolo e difficoltà. Giacché le virtù nello stato imperfetto non hanno reciproca connessione , e una può stare senzar altra ; mentre (dice S. Tommaso) vediamo certuni pronti alle opere di liberalità, e non pronti alle opere di castità. Per aver pòi tutte le virtù, non è d' uopo 'esercitarle tutte; ma basta aver l'animo disposto e preparato a praticarne gli atti al presentarsene l'occasione, e a non far cosa contraria ad alcuna di esse; e cosi si hanno tutte ra-dicalmente e per partecipazione." ' Dicesi che , offesa una virtù, si perdono tutte le altre, in quanto che perdono la loro integrità e perfezione. S. Bonaventura reca le seguenti ragioni, onde le virtù 'Sono connesse fra loro; 1/ per la larghezza di Dio che le dona, non dandone una senza l' altra; 2/ perchè, come un membro ha bisogno dell'altro, cosi una virtù abbisogna dell'altra; 3/ come nella cetra, mancandovi una corda, non vi è perfetta armonia, cosi nell'anima, se non vi sono tutte le virtù, non vi sarà spirituale melodia; 4/ perchè alcune virtù essendo contro i singoli vizii, fa d' uopo avere tutte le virtù per combattere tutti i vizi; e come non è compito soldato del mondo colui che non è fornito di tutte le sue armi , cosi non è perfetto soldato 'di Cristo quegli a cui manca qualche virtù; 5/ perchè l' anima è come un vaso d'oro ornato di pietre preziose, cioè delle virtù; è ' come un nobil orto, a cui non manca il decoro di qualche albero o fiore [Comp. Theol. verit.l. 5, c. VIII].
c) Il perfetto ubbidiente , avendo rinunzìata la propria volontà per , amor di Dio, profitta d' ogni occasione per praticare questa rinunzia e annegazione, senza considerare le qualità de' soggetti, ai quali si sottomette; e prontamente obbedisce non solo ai prelati... ma.ancora agli uguali, agl'inferiori, anteponendo ai proprii gli altrui voleri, semprechè la giustizia il consente. Anzi egli è disposto a soggiacere alle stesse creature irragionevoli, in quanto sono strumenti e ministre della divina volontà, senza di cui nulla operano.
Opuscoli del serafico patriarca S. Francesco d'Assisi [microform]
BENEDETTO XVI: “MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ “…
JOSEPH RATZINGER :B16 e G.GÄNSWEIN |
BENEDETTO XVI:
“MASCHIO E FEMMINA LI CREÒ “…
[…] Nella questione della famiglia non si tratta soltanto di una determinata forma sociale, ma della questione dell’uomo stesso – della questione di che cosa sia l’uomo e di che cosa occorra fare per essere uomini in modo giusto. Le sfide in questo contesto sono complesse. C’è anzitutto la questione della capacità dell’uomo di legarsi oppure della sua mancanza di legami. Può l’uomo legarsi per tutta una vita? Corrisponde alla sua natura? Non è forse in contrasto con la sua libertà e con l’ampiezza della sua autorealizzazione? L’uomo diventa se stesso rimanendo autonomo e entrando in contatto con l’altro solo mediante relazioni che può interrompere in ogni momento? Un legame per tutta la vita è in contrasto con la libertà? Il legame merita anche che se ne soffra? Il rifiuto del legame umano, che si diffonde sempre più a causa di un’errata comprensione della libertà e dell’autorealizzazione, come anche a motivo della fuga davanti alla paziente sopportazione della sofferenza, significa che l’uomo rimane chiuso in se stesso e, in ultima analisi, conserva il proprio "io" per se stesso, non lo supera veramente. Ma solo nel dono di sé l’uomo raggiunge se stesso, e solo aprendosi all’altro, agli altri, ai figli, alla famiglia, solo lasciandosi plasmare nella sofferenza, egli scopre l’ampiezza dell’essere persona umana. Con il rifiuto di questo legame scompaiono anche le figure fondamentali dell’esistenza umana: il padre, la madre, il figlio; cadono dimensioni essenziali dell’esperienza dell’essere persona umana. Il Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, in un trattato accuratamente documentato e profondamente toccante, ha mostrato che l’attentato, al quale oggi ci troviamo esposti, all’autentica forma della famiglia, costituita da padre, madre e figlio, giunge ad una dimensione ancora più profonda. Se finora avevamo visto come causa della crisi della famiglia un fraintendimento dell’essenza della libertà umana, ora diventa chiaro che qui è in gioco la visione dell’essere stesso, di ciò che in realtà significa l’essere uomini. Egli cita l’affermazione, diventata famosa, di Simone de Beauvoir: "Donna non si nasce, lo si diventa" ("On ne naît pas femme, on le devient"). In queste parole è dato il fondamento di ciò che oggi, sotto il lemma "gender", viene presentato come nuova filosofia della sessualità. Il sesso, secondo tale filosofia, non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi. La profonda erroneità di questa teoria e della rivoluzione antropologica in essa soggiacente è evidente. L’uomo contesta di avere una natura precostituita dalla sua corporeità, che caratterizza l’essere umano. Nega la propria natura e decide che essa non gli è data come fatto precostituito, ma che è lui stesso a crearsela. Secondo il racconto biblico della creazione, appartiene all’essenza della creatura umana di essere stata creata da Dio come maschio e come femmina. Questa dualità è essenziale per l’essere umano, così come Dio l’ha dato. Proprio questa dualità come dato di partenza viene contestata. Non è più valido ciò che si legge nel racconto della creazione: "Maschio e femmina Egli li creò" (Gen 1,27). No, adesso vale che non è stato Lui a crearli maschio e femmina, ma finora è stata la società a determinarlo e adesso siamo noi stessi a decidere su questo. Maschio e femmina come realtà della creazione, come natura della persona umana non esistono più. L’uomo contesta la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo nei confronti di se stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto, che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura. Maschio e femmina vengono contestati nella loro esigenza creazionale di forme della persona umana che si integrano a vicenda. Se, però, non esiste la dualità di maschio e femmina come dato della creazione, allora non esiste neppure più la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione. Ma in tal caso anche la prole ha perso il luogo che finora le spettava e la particolare dignità che le è propria. Bernheim mostra come essa, da soggetto giuridico a sé stante, diventi ora necessariamente un oggetto, a cui si ha diritto e che, come oggetto di un diritto, ci si può procurare. Dove la libertà del fare diventa libertà di farsi da sé, si giunge necessariamente a negare il Creatore stesso e con ciò, infine, anche l’uomo quale creatura di Dio, quale immagine di Dio viene avvilito nell’essenza del suo essere. Nella lotta per la famiglia è in gioco l’uomo stesso. E si rende evidente che là dove Dio viene negato, si dissolve anche la dignità dell’uomo. Chi difende Dio, difende l’uomo. Con ciò vorrei giungere al secondo grande tema che, da Assisi fino al Sinodo sulla Nuova Evangelizzazione, ha pervaso tutto l’anno che volge al termine: la questione cioè del dialogo e dell’annuncio. Parliamo anzitutto del dialogo. Vedo per la Chiesa nel nostro tempo soprattutto tre campi di dialogo nei quali essa deve essere presente, nella lotta per l’uomo e per che cosa significhi essere persona umana: il dialogo con gli Stati, il dialogo con la società – in esso incluso il dialogo con le culture e con la scienza – e, infine, il dialogo con le religioni. In tutti questi dialoghi, la Chiesa parla a partire da quella luce che le offre la fede. Essa, però, incarna al tempo stesso la memoria dell’umanità che, fin dagli inizi e attraverso i tempi, è memoria delle esperienze e delle sofferenze dell’umanità, in cui la Chiesa ha imparato ciò che significa essere uomini, sperimentandone il limite e la grandezza, le possibilità e le limitazioni. La cultura dell’umano, di cui essa si fa garante, è nata e si è sviluppata dall’incontro tra la rivelazione di Dio e l’esistenza umana. La Chiesa rappresenta la memoria dell’essere uomini di fronte a una civiltà dell’oblio, che ormai conosce soltanto se stessa e il proprio criterio di misure. Ma come una persona senza memoria ha perso la propria identità, così anche un’umanità senza memoria perderebbe la propria identità. Ciò che, nell’incontro tra rivelazione ed esperienza umana, è stato mostrato alla Chiesa va, certo, al di là dell’ambito della ragione, ma non costituisce un mondo particolare che per il non credente sarebbe senza alcun interesse. Se l’uomo con il proprio pensiero entra nella riflessione e nella comprensione di quelle conoscenze, esse allargano l’orizzonte della ragione e ciò riguarda anche coloro che non riescono a condividere la fede della Chiesa. Nel dialogo con lo Stato e con la società, la Chiesa certamente non ha soluzioni pronte per le singole questioni. Insieme con le altre forze sociali, essa lotterà per le risposte che maggiormente corrispondano alla giusta misura dell’essere umano. Ciò che essa ha individuato come valori fondamentali, costitutivi e non negoziabili dell’esistenza umana, lo deve difendere con la massima chiarezza. Deve fare tutto il possibile per creare una convinzione che poi possa tradursi in azione politica. Nella situazione attuale dell’umanità, il dialogo delle religioni è una condizione necessaria per la pace nel mondo, e pertanto è un dovere per i cristiani come pure per le altre comunità religiose. Questo dialogo delle religioni ha diverse dimensioni. Esso sarà innanzi tutto semplicemente un dialogo della vita, un dialogo della condivisione pratica. In esso non si parlerà dei grandi temi della fede – se Dio sia trinitario o come sia da intendere l’ispirazione delle Sacre Scritture ecc. Si tratta dei problemi concreti della convivenza e della responsabilità comune per la società, per lo Stato, per l’umanità. In ciò bisogna imparare ad accettare l’altro nel suo essere e pensare in modo diverso. A questo scopo è necessario fare della responsabilità comune per la giustizia e per la pace il criterio di fondo del colloquio. Un dialogo in cui si tratta di pace e di giustizia diventa da sé, al di là di ciò che è semplicemente pragmatico, una lotta etica circa le valutazioni che sono presupposte al tutto. Così il dialogo, in un primo momento meramente pratico, diventa tuttavia anche una lotta per il giusto modo di essere persona umana. Anche se le scelte di fondo non sono come tali in discussione, gli sforzi intorno a una questione concreta diventano un processo in cui, mediante l’ascolto dell’altro, ambedue le parti possono trovare purificazione e arricchimento. Così questi sforzi possono avere anche il significato di passi comuni verso l’unica verità, senza che le scelte di fondo vengano cambiate. Se ambedue le parti muovono da un’ermeneutica di giustizia e di pace, la differenza di fondo non scomparirà, crescerà tuttavia anche una vicinanza più profonda tra loro. Per l’essenza del dialogo interreligioso, oggi in genere si considerano fondamentali due regole:
Queste regole sono giuste. Penso, tuttavia, che in questa forma siano formulate troppo superficialmente. Sì, il dialogo non ha di mira la conversione, ma una migliore comprensione reciproca: ciò è corretto. La ricerca di conoscenza e di comprensione, però, vuole sempre essere anche un avvicinamento alla verità. Così, ambedue le parti, avvicinandosi passo passo alla verità, vanno in avanti e sono in cammino verso una più grande condivisione, che si fonda sull’unità della verità. Per quanto riguarda il restare fedeli alla propria identità: sarebbe troppo poco se il cristiano con la sua decisione per la propria identità interrompesse, per così dire, in base alla sua volontà, la via verso la verità. Allora il suo essere cristiano diventerebbe qualcosa di arbitrario, una scelta semplicemente fattuale. Allora egli, evidentemente, non metterebbe in conto che nella religione si ha a che fare con la verità. Rispetto a questo direi che il cristiano ha la grande fiducia di fondo, anzi, la grande certezza di fondo di poter prendere tranquillamente il largo nel vasto mare della verità, senza dover temere per la sua identità di cristiano. Certo, non siamo noi a possedere la verità, ma è essa a possedere noi: Cristo, che è la Verità, ci ha presi per mano, e sulla via della nostra ricerca appassionata di conoscenza sappiamo che la sua mano ci tiene saldamente. L’essere interiormente sostenuti dalla mano di Cristo ci rende liberi e al tempo stesso sicuri. Liberi: se siamo sostenuti da Lui, possiamo entrare in qualsiasi dialogo apertamente e senza paura. Sicuri, perché Egli non ci lascia, se non siamo noi stessi a staccarci da Lui. Uniti a Lui, siamo nella luce della verità. […] AVE MARIA! |