venerdì 8 luglio 2022

Caminante Wanderer: ¿Las vísperas?

Caminante Wanderer: ¿Las vísperas?:   Durante la semana pasada hemos asistido al proceso de lapidación del Papa Benedicto XVI por parte no solamente de los medios de comunicaci...

mercoledì 6 luglio 2022

Päivi Räsänen

 

«Siamo tutti peccatori e abbiamo bisogno di Gesù, ma ora penso che ci sia un forte odio contro i valori cristiani nella nostra società». Sono le dichiarazioni rilasciate al Christian Post da Päivi Räsänen, classe 1959, medico, politica ed ex ministro dell’Interno della Finlandia finita alla sbarra per delle prese di posizione contro l’ideologia Lgbt. Come i lettori del Timone ricorderanno, la donna lo scorso marzo era poi stata assolta dal tribunale, che aveva stabilito che «difendere il concetto di famiglia e matrimonio tra un uomo e una donna» non è odio che «deve esserci una ragione sociale prevalente per interferire e limitare la libertà di espressione».

Successivamente a quel verdetto, l’accusa ha però impugnato la sentenza. Per questo la battaglia legale che ha per imputata l’ex ministro dell’Interno finlandese –  vicenda che un teologo come Timo Eskola ha definito «l’evento più importante nella storia della Chiesa finlandese in cento anni» – continua; e per questo le parole di Päivi Räsänen, che nei giorni scorsi ha preso la parola al Summit internazionale sulla libertà religiosa di Washington, sono particolarmente importanti. La donna ha altresì fatto presente che oggi «se parli di questioni di genere – dicendo che ci sono due generi o che il matrimonio è tra una donna e un uomo – susciti odio contro di te». Sembra assurdo a pensarci, eppure le cose stanno esattamente in questi termini.

Per rendersene conto, basta riflettere sulla stessa vicenda Räsänen, che originatasi per il semplice fatto che su Twitter, nel giugno 2019, la politica finlandese molto banalmente, aveva criticato la sponsorizzazione ufficiale della Chiesa evangelica luterana di Finlandia al Pride 2019 e, nel farlo, aveva criticato l’immagine del brano biblico Romani 1:24-27. Tutto qui. Eppure alla donna – che il Timone ha già intervistato nel numero cartaceo di ottobre 2021 – essersi esposta così sui social è costato un calvario giudiziario, come si diceva poc’anzi, che non è ancora terminato; e che chissà quando finirà, se l’accanimento nei suoi confronti non cesserà.

«I miei valori e i miei convincimenti non sono cambiati», ha aggiunto ancora Räsänen commentando lo scenario attuale, «ma le cose sono cambiate molto rapidamente in Finlandia. E penso sia lo stesso anche in altri Paesi occidentali, che sono Paesi post-cristiani». Diventa difficile contestare queste considerazioni dell’ex ministro finlandese, la quale ha colto un aspetto su cui, in effetti, poco ci si è finora soffermati: quello della rapidità. L’odio anticristiano si sta diffondendo, e in parte si è già diffuso a livello occidentale, con estrema velocità.

Come mai? Le spiegazioni possibili a questa trasformazione così repentina sono almeno un paio. La prima riguarda i mezzi di comunicazione che – anche grazie ai social network – hanno guadagnato in tempestività fino a diventare, ormai, megafoni istantanei di certi messaggi. E poi, spiegazione numero due, c’è il timore degli stessi cristiani, pastori in primis molto spesso, a denunciare l’ostilità di cui sono vittime. Si preferisce così unirsi all’agenda liberal e progressista, secondo cui le uniche discriminazioni son oggi quelle ai danni delle minoranze etniche o sessuali, non vedendo – o fingendo di non vedere – che, se un odio è davvero dilagante in Occidente, e nel mondo intero, è ora quello anticristiano.

AMDG et DVM

Monumentale e quindi...Memorabile discorso , del dicembre 2005

 



http://benedettoxvielencospeciali.blogspot.com/2009/11/la-sacra-liturgia-lo-speciale-del-blog.html#:~:text=Il%20Concilio%20non%20fu%20una%20rottura%20con%20la%20precedente%20tradizione%20(Monumentale%20discorso%20alla%20curia%20romana%2C%2022%20dicembre%202005)

giovedì 30 giugno 2022

Per trasmettere un messaggio

 


La coraggiosa testimonianza dell’abito

22 Febbraio 2007Il santo abito

LETTERA DI GIOVANNI PAOLO II
AL CARDINALE VICARIO UGO POLETTI

Al venerato fratello
Cardinale Ugo Poletti
Vicario Generale per la diocesi di Roma.

 

La cura dell’amata diocesi di Roma pone al mio animo numerosi problemi, tra i quali appare meritevole di considerazione, per le conseguenze pastorali da esso derivanti, quello relativo alla disciplina dell’abito ecclesiastico.

Più volte negli incontri con i sacerdoti ho espresso il mio pensiero al riguardo, rilevando il valore ed il significato di tale segno distintivo, non solo perché esso contribuisce al decoro del sacerdote nel suo comportamento esterno o nell’esercizio del suo ministero, ma soprattutto perché evidenzia in seno alla Comunità ecclesiastica la pubblica testimonianza che ogni sacerdote è tenuto a dare della propria identità e speciale appartenenza a Dio. E poiché questo segno esprime concretamente il nostro “non essere del mondo” (cf. Gv 17,14), nella preghiera composta per il Giovedì Santo di quest’anno, alludendo all’abito ecclesiastico, mi rivolgevo al Signore con questa invocazione: “Fa’ che non rattristiamo il tuo Spirito… con ciò che si manifesta come una volontà di nascondere il proprio sacerdozio davanti agli uomini e di evitarne ogni segno esterno” (Giovanni Paolo II, Precatio feria V in cena Domini anno MCMLXXXII recurrente, universis Ecclesiae sacerdotibus destinata, 4, die 25 mar. 1982: Insegnamenti di Giovanni Paolo II, V, 1 [1982] 1064).

Inviati da Cristo per l’annuncio del Vangelo, abbiamo un messaggio da trasmettere, che si esprime sia con le parole, sia anche con i segni esterni, soprattutto nel mondo odierno che si mostra così sensibile al linguaggio delle immagini. L’abito ecclesiastico, come quello religioso, ha un particolare significato: per il sacerdote diocesano esso ha principalmente il carattere di segno, che lo distingue dall’ambiente secolare nel quale vive; per il religioso e per la religiosa esso esprime anche il carattere di consacrazione e mette in evidenza il fine escatologico della vita religiosa. L’abito, pertanto, giova ai fini dell’evangelizzazione ed induce a riflettere sulle realtà che noi rappresentiamo nel mondo e sul primato dei valori spirituali che noi affermiamo nell’esistenza dell’uomo. Per mezzo di tale segno, è reso agli altri più facile arrivare al Mistero, di cui siamo portatori, a Colui al quale apparteniamo e che con tutto il nostro essere vogliamo annunciare.

Non ignoro le motivazioni di ordine storico, ambientale, psicologico e sociale, che possono essere proposte in contrario. Potrei tuttavia dire che motivazioni di eguale natura esistono in suo favore.

Devo però soprattutto rilevare che ragioni o pretesti contrari, confrontati oggettivamente e serenamente col senso religioso e con le attese della maggior parte del Popolo di Dio, e con il frutto positivo della coraggiosa testimonianza anche dell’abito, appaiono molto più di carattere puramente umano che ecclesiologico.

Nella moderna città secolare dove si è così paurosamente affievolito il senso del sacro, la gente ha bisogno anche di questi richiami a Dio, che non possono essere trascurati senza un certo impoverimento del nostro servizio sacerdotale.

In forza di queste considerazioni, sento il dovere, come Vescovo di Roma, di rivolgermi a lei, signor Cardinale, che più da vicino condivide le mie cure e sollecitudini nel governo della mia diocesi, perché, d’intesa con le Sacre Congregazioni per il Clero, per i Religiosi e gli Istituti Secolari e per l’Educazione Cattolica, voglia studiare opportune iniziative destinate a favorire l’uso dell’abito ecclesiastico e religioso, emanando a tale riguardo le necessarie disposizioni e curandone l’applicazione.

Nell’invocare su di lei, signor Cardinale, e sull’intera diocesi di Roma l’onnipotente aiuto del Signore, per l’intercessione della Vergine santissima “Salus Populi Romani”, di cuore imparto l’apostolica benedizione.

Dal Vaticano, 8 Settembre 1982.

La sublimità ...

 

Il sacerdote e la Santa Messa

14 Luglio 2011Spiritualita

SILVIO MARIA GIRAUD
MISSIONARIO DELLA SALETTE

SACERDOTE E OSTIA

* * *

LIBRO TERZO

LE VIRTU' SACERDOTALI
L'UNIONE A GESÙ CRISTO

 

 

* * *

CAPITOLO DODICESIMO. LA SANTA MESSA

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La sublimità cui il Sacerdote viene innalzato dall'Ordinazione sacra è assolutamente superiore ad ogni pensiero umano. Neppure gli Angeli potrebbero giungere a intendere perfettamente la dignità, lo stato santo, o meglio per usare il linguaggio di san Dionigi (541), lo stato deiforme al quale viene elevato il Sacerdote. È questo il profondo segreto di Dio. Il Sacerdote è sacerdote in tutta la sua persona e in tutto il suo essere; nell' anima come nella carne: Sacerdote sempre, sia che adempia qualche ministero, ovvero che si presenti come uomo privato. In lui tutto è sacerdotale e quindi tutto è divino; egli pensa e ama divinamente; egli vive, ma non più lui; Dio medesimo vive in lui, quei Dio che lo ha fatto il suo Sacerdote e un altro se stesso. Epperò quando il Sacerdote umile e modesto, Si avvia all'altare rivestito dei gloriosi abiti sacerdotali, tutto s'inchina al suo passaggio, la Chiesa della terra come gli Angeli del Cielo. In quell'anima che per la sacra ordinazione è divenuta un altro CRISTO, vi è una gloria celeste e divina; se fossero visibili i raggi che circondano la sua fronte, il suo volto, il suo cuore e il suo corpo medesimo, tutto nell'universo resterebbe impallidito. Se la grandezza del Sacerdote potesse comparire visibilmente nella sua vera realtà, i re e le regine getterebbero ai suoi piedi le loro corone. Quando si potesse vedere quale inesauribile sorgente di ogni bene si apra per tutte le creature, ogni volta che il Sacerdote alza la mano per benedire e consacrare, ne risulterebbe dappertutto sulla faccia della terra un immenso tripudio di gioia. In cielo avviene un tale tripudio quando il Sacerdote va all'altare, perché quaggiù egli è il concittadino deI Cielo; avviene pure in Purgatorio, poiché il Sacerdote è l'amico, l'aiuto, il liberatore delle anime purganti; avviene anche in una moltitudine di anime, le quali secondo la parola di sant'Ambrogio, «vedendo CRISTO nel Sacerdote, stanno nella luce vera ed infallibile» (542). Ma un tale tripudio di gioia, avviene nell’Ostia in una maniera incomprensibile, più profonda e più amorosa… O Sacerdote! l'Ostia vivente trasalisce, l'Ostia vivente ti aspetta perché vuol venire nelle tue mani; nelle tue mani soprattutto essa si compiace: Essa è tua, e tu sei suo. L'Ostia sempre richiede il suo Sacerdote, e sempre il Sacerdote è una cosa sola con l'Ostia; non possono star separati. La gioia dell'Ostia è di aver il suo Sacerdote; la gioia del Sacerdote è di aver la sua Ostia, mistero bello e delizioso! O impenetrabile abisso di grazia, di pace e di gioia che rimane il segreto del Sacerdote e dell'Ostia!

«Il mondo non ci ama, scriveva san Paolino da Nola, ma GESÙ CRISTO ci ama: Mundus nos non amat, sed amat nos Christus» (543), GESÙ CRISTO ci ama e ogni mattina ci accorda il sublime onore di salire all'altare e celebrare la santa Messa; e allora cosa importa che il mondo non ci ami? La santa Messa è tutto per il Sacerdote, è il suo gran tesoro, la sua consolazione, la sua gloria, la vita della sua vita, il centro dove tutto in lui trova il suo riposo, dove lo spirito, il cuore, l'anima intera trova tutto quanto può essere oggetto dei più ardenti desideri: luce, dolcezza, pace. sicurezza, felicità, forza, grandezza, e, per dire tutto con una parola sola, unione e unità con Dio e in Dio, per mezzo di CRISTO Ostia del Padre, fattosi Ostia nostra. La santa Messa è propriamente l'azione, la grande Azione del Sacerdote; all'altare, e solamente all'altare, il Sacerdote è veramente tale: quando tiene nelle sue mani l'Ostia santa, la innalza, la divide, ne dispone secondo il suo diritto per se medesimo e per le anime; qui sta il fine supremo del suo ministero; qui si rivela la sostanza del suo misterioso Sacerdozio. Per questa azione, infatti, il Sacerdote è particolarmente segnato con un sigillo indelebile; il carattere ricevuto nell'Ordinazione si riferisce tutto all'Ostia. Perciò, di tutto lo si può privare, fuorché del suo potere sopra l'Ostia. Ministero dolcissimo insieme e terribile! Il Sacerdote e l'Ostia: unità così indissolubile che neppure la degradazione la può rompere. Neppure la dannazione potrebbe togliere, nel disgraziato Sacerdote che precipitasse nell'inferno, la relazione con l'Ostia; il carattere sacerdotale sarebbe «quel sale, col quale sarà salata ogni vittima» (Mc 9, 47-48). Disgrazia terribile! La Chiesa, nella preghiera Hanc igitur, immediatamente prima della Consacrazione, ci fa domandare di esserne preservati. Si verifichi piuttosto per noi la bella parola di sant'Ambrogio: «La nostra Ostia si compiaccia di riconoscere in noi la sua gloriosa impronta. Oblatio sicut hostia pura, in vobis semper suum signaculum recognoscat!» (544).

Celebriamo sempre degnamente ogni santa Messa, perciò ricordiamo questa parola di san Giovanni Eudes: «La Messa è cosa così grande che ci vorrebbero tre eternità per celebrarla degnamente: la prima per la preparazione, la seconda per la celebrazione, la terza per il ringraziamento».

I. Preparazione alla santa Messa. – Probet autem seipsum homo(1 Cor 11, 28).

Pervulgatum apud sanctos Patres axioma est, dice il Card. Bona, quod talem se animae exhibet Deus, qualem se illa praeparat Deo. Ideo Christus in Eucharistia, aliis quidem est fructus vitae… aliis vero panis insipidus… Pauci sunt qui admirables hujus sacri convivii in se sentiant effectus, quia pauci sunt qui se ad illos recipendos rite disponant… Instante itaque celebratione, totis viribus curare debet (Sacerdos), ut in ara cordis ignem divini amoris succendat, actusque eliciat diversarum virtutum… tanto Sacrificio, quantum fieri poterit, convenientes (545). E san Bonaventura: Abstractus et divinus factus, nihil aliud videat, nihil aliud sentiat, quam Deum (546).

La preparazione deve essere particolarmente interna; ma pure non si trascuri l'esterno, ossia l'esatta pulitezza in ogni cosa che si avvicina all'altare; soprattutto si osservi il silenzio. Vespere praecedenti, dice ancora il Card. Bona, cogite Sacerdos se, die crastina, hostiam salutarem Deo omnipotenti oblaturum, eique cagitationi indormiat; sequenti die, in eadem cogitatione invigilet, etc. (547). Vi sono Sacerdoti che, ad imitazione di san Carlo, han la fortuna di confessarsi ogni giorno prima della santa Messa, non per scrupolo, ma per amore.

Il Sacerdote fervente prende con fede i sacri paramenti, e questi gli ricordano come debba essere Vittima con GFSÙ Ostia. Il Card. Bona dice che essi rappresentano le varie circostanze della Passione; l'amitto, è figura del velo con cui i soldati coprirono il volto di GESÙ nel cortile di Caifasso; il camice ricorda la veste bianca di cui lo rivestì Erode; e così degli altri. La Messa è la memoria della Passione, quindi tutto quanto ci ricorda la Passione è mezzo efficace per disporre l'anima al divin Sacrificio. Rivestito degli abiti sacri, il Sacerdote va all'altare, tutto assorto in Dio, come GESÙ quando si avviava all'Orto (548); egli, allora soprattutto, è un altro CRISTO e gli Angeli si prostrano riverenti al suo passaggio. È necessario che abbia i sentimenti e le disposizioni di GESÙ, e sia esso pure Sacerdote e Vittima del Padre. Ma una tale disposizione «non è l'effetto di un semplice preparamento attuale, durasse pure un'ora intera; non può essere l'effetto che della grazia di GESÙ CRISTO in noi, e del lavoro magari di parecchi anni nella mortificazione dei sensi e nella crocifissione di noi stessi per essere conformi a GESÙ CRISTO in qualità di Vittime, prima di essere associati a Lui come Sacerdote. GESÙ, prima di entrare nella perfezione, nei diritti e nelle funzioni del suo Sacerdozio eterno nel Santuario del Cielo, ha dovuto essere Vittima sulla Croce; così coloro che sono destinati ad essere partecipi della potenza e grandezza del suo Sacerdozio per offrire il terribile Sacrificio del suo Corpo, debbono aver lavorato e lavorare continuamente a crocefiggere in se stessi l'uomo vecchio. GESÙ risorto è il Sacerdote del Cielo: così, per compiere su la terra la celeste funzione del suo Sacerdozio, bisogna essere uomini rinnovati, e per così dire, risorti. Per essere sacerdoti con GESÙ CRISTO, bisogna essere Vittime con Lui, Vittime celesti infiammate» (549).

II. Durante la Santa Messa. – Il Sacerdote, nella Messa, è GESÙ CRISTO, quindi Sacrificatore e Vittima come GESÙ CRISTO.

1°) GESÙ CRISTO, come Sacrificatore, è tutto assorto nel sentimento della Maestà del Padre, cui offre se stesso e tutto il creato: il Sacerdote deve rendersi partecipe di questo sentimento, e rimanere nel più profondo raccoglimento. Si è sempre ammirato nei Santi quando stavano all'altare, quel contegno raccolto, calmo e tranquillo, espressione del raccoglimento e della pace dell'anima che riusciva di somma edificazione per chiunque assisteva alla loro Messa. Bossuet osserva che GESÙ CRISTO medesimo ci ha dato l'esempio, nella sua oblazione; ecco le sue parole: «Perché GESÙ appare così tranquillo sul Calvario mentre nell'Orto era così turbato? il motivo più evidente sta in questo che sul Calvario Egli era nell'azione medesima del suo Sacrificio, e nessuna azione deve essere compiuta con maggior tranquillità. E Voi che assistete al santo Sacrificio, vi lasciate distrarre!… Ah! non avete ancora compreso ciò che è il Sacrificio.

«Il Sacrificio è un'azione con la quale rendete a Dio i vostri omaggi; orbene, chi non sa che tutte le azioni che esprimono il rispetto esigono un contegno, calmo e dimesso? L'olio che si spandeva sulla testa del Pontefice per consacrarlo (Lv 8, 12), era appunto il simbolo sacro della tranquillità dello spirito ottenuta con l'allontanamento di ogni pensiero estraneo… O GESÙ, Pontefice mio divino! per questo senza dubbio vi dimostrate così tranquillo nella vostra Agonia (sulla Croce). Nell'Orto lo veggo turbato, sia pur volontariamente, perché si considerava come Vittima, voleva operare come Vittima e prendere l'azione e il contegno di una Vittima che si lascia trascinare per compiere la funzione Sacerdotale, appena le sue mani si sono elevate per offrire la Vittima al Cielo corrucciato, non vuol più provare nessun turbamento… e in mezzo a tanti dolori, Egli «muore, dice sant'Agostino, con maggior dolcezza e tranquillità che noi nell'addormentarci» (550).

Quale lezione per noi che ci lasciamo così facilmente, distrarre da vani pensieri! All'altare, con tutto il nostro contegno e con l'osservanza esatta e modesta di ogni rubrica, dobbiamo essere l'immagine fedele di GESÙ CRISTO crocefisso. Nella santa Messa, dice san Gregorio, qui Passionis Dominicae mysteria celebralmus; debemus imitari quod agimus (Dialog., IV).

Su l'altare, come già su la Croce, GESÙ offre e abbandona se stesso al Padre e con sé offre tutto il creato, così il Sacerdote deve pure offrirsi e abbandonarsi completamente con GESÙ CRISTO. Ad ogni parola, ad ogni movimento, quando prende l'Ostia fra le mani, o bacia l'altare vicino all'Ostia, quando la innalza, soprattutto quando dice: Per ipsum, ***** ipso et in ipso est tibi omnis honor et gloria, deve innalzarsi lui pure al Padre, come il fumo dell'incenso e la fiamma dell'Olocausto. Quando l'incenso è consumato, non ne resta che un po’ di cenere, tutta la sostanza è scomparsa e si è innalzata davanti a Dio; così il fervente Sacerdote, nella santa Messa, vuole, per così dire, svanire e perdersi davanti alla Gloria e alla Maestà del Padre, dimodochè in lui l'io non abbia più consistenza e neppure realtà.

Il Sacerdote all'altare dà e offre tutto quanto può dare; ha diritto di offrire e consacrare tutto il creato, perché offre e consacra persino il Creatore. Quale sconvenienza e indecenza se, in quei momenti, egli rivolgesse il pensiero e l'intenzione a qualche miserabile interesse materiale! Non potest Sacerdos illa intentione celebrare… ut ex hoc pecuniam consequatur, quia peccaret mortaliter (551).

2°) GESÙ CRISTO nel santo Sacrificio, in quanto Vittima, è in uno stato di morte e di annientamento, di espiazione e di penitenza per le anime; si dà alle anime per comunicar loro il suo stato di Ostia. Il Sacerdote, quando celebra, deve mettersi, come Lui, in istato di morte, di espiazione e di penitenza a pro delle anime, con la disposizione di darsi totalmente alle anime ed anche morire per esse. San Gregorio dice di san Cassio, Vescovo di Narni, che quando doveva offrire il santo Sacrificio, Velut totus in lacrymis defluens, semetipsum, ***** magna contritione, mactabat (552). Tale dovrebbe essere ogni Sacerdote.

Cosa degna di attenzione, nella Liturgia della Messa occupano un posto notevole le espressioni di umiltà, di penitenza e di contrizione; ciò indica che tra i fini del Sacrificio, il più sensibile ed evidente è l'espiazione; è quello che maggiormente risalta. Tutti i Sacramenti parlano di penitenza e di morte; ma il Sacramento dell'altare «annuncia particolarmente la morte del Signore» (1 Cor 11, 26). Perciò la sostanza della vita cristiana sta nella contrizione, nell'odio del peccato e nella volontà ferma di esserne liberi e distruggerne in noi le minime tracce, come pure di offrirne a Dio una conveniente riparazione. Sarebbe sommamente deplorevole che il Sacerdote non intendesse praticamente questa dottrina.

Se il Sacerdote non ha questo spirito, tutto il disegno di Dio nel chiamarlo al Sacerdozio diventa inutile. Lo spirito di GESÙ Vittima penitente ed espiatrice, deve essere il carattere dell'intera vita del Sacerdote, ma soprattutto quando oltre all'altare la Vittima della Croce. Per questo appunto la Chiesa, in quell'azione, gli mette sulle labbra tante parole che si addicono alla condizione di peccatore, affinché l'espiazione diventi il carattere principale di tutta la sua vita sacerdotale.

Con questo spirito di espiazione, il Sacerdote deve darsi alle anime. Nostro Signore si è dato alle anime, nelle umiliazioni, nelle sofferenze, nella Croce, con la morte; nella sua Passione e morte Egli manifestò più sensibilmente questo fine dell'espiazione. Il Sacerdote deve attingere nella sua unione con GESÙ Vittima penitente all'altare, quello spirito di espiazione e portarlo sempre e dappertutto. E non deve dimenticare che è questo il mezzo potente di attirare sulle opere dello zelo la benedizione di Dio. Tutti gli uomini apostolici furono Vittime espiatrici. Così, il Sacerdote nella santa Messa, abbandonandosi con amore alla grazia di GESÙ CRISTO Sacrificatore e Ostia, nell'intento di essere unito con Lui nelle medesime disposizioni come lo è nel Sacerdozio, si stabilisce sempre più in quello stato che GESÙ, nel Cenacolo prima di incamminarsi al suo Sacrificio, domandava al Padre principalmente per i suoi Sacerdoti: Ut sint unum, sicut et nos… Ut sint consummati in unum!

III. Dopo la Messa, il ringraziamento. – Nella Liturgia della Messa, il ringraziamento incomincia subito dopo la Comunione: quid retribuam?… Ricevuto il Corpo di GESÙ CRISTO, è necessario un atto di riconoscenza per un dono sì grande, e il Sacerdote, a questo fine, prende il prezioso Sangue di GESÙ CRISTO; questo indica che GESÙ CRISTO, e GESÙ CRISTO solo, è la nostra lode e il nostro ringraziamento. Qual dono, infatti, potremo noi offrire all'Eterno Padre? «Nel ricevere GESÙ CRISTO, dice il Padre de Condren, il Sacerdote ha ricevuto tutto… Siccome non abbiamo nulla che non riceviamo da Dio, anche la nostra lode e il nostro ringraziamento devono essere un dono di Dio. Orbene qual è questo dono di Dio? GESÙ CRISTO, il Calice della salvezza, il tesoro dei poveri; quando abbiamo ricevuto questo nostro tesoro, possiamo dire per ringraziare: In me sunt Deus, vota tua, quae reddam, laudationes tibi (Ps. 55, 12). Possiedo tutto ciò che può esservi offerto, per la lode e il ringraziamento che vi sono dovuti» (Op. cit., parte IV).

Le Orazioni dopo la Comunione, anche se esprimono domande, sono di ringraziamento. Implorando che quel rimedio divino sia permanente in noi, noi domandiamo la grazia della vita di GESÙ CRISTO in noi e, una vita che operi gli atti che le sono proprii, vita che ci renda somiglianti a Lui; è questo il vero frutto della comunione, ma è pure il modo di far onore a GESÙ CRISTO; il miglior ringraziamento è una vita santa. L’ultima parola, Deo gratias, al termine dell'ultimo Vangelo è ancora una parola di azione di grazie.

Il Sacerdote, mentre il popolo si ritira, continua il ringraziamento e, invitando tutte le creature a benedire e lodare Colui ch'egli porta nel Cuore, le chiama tutte attorno a questo o gran Re e Sacerdote: universale, che è il centro della Religione di ogni creatura, l'Ostia nella quale e con la quale ogni creatura deve offrirsi ed immolarsi a Dio. Deposti in silenzio i sacri Paramenti, il Sacerdote si guarderà bene, in quei momenti preziosi, dalle chiacchiere e dalle distrazioni. Lo spirito della Chiesa è che si osservi il silenzio nella Sagrestia tanto come in Chiesa; il Sacerdote, se appena intende il suo dovere e l'interesse dell'anima sua, sa circondarsi dopo la Messa di un ambiente di silenzio e di raccoglimento, onde trattenersi con GESÙ nell'effusione intima dei suoi affetti. Potrà talvolta accadere che la carità imponga di differire il ringraziamento, ma il buon Sacerdote procurerà che tale sacrificio sia eccezione e non frequenza, altrimenti che ne sarebbe della sua vita interiore? «Un Sacerdote privo di vita interiore, dice Monsignor Gay, è una terrà senz'acqua e un cielo senza sole» (Mysteres du Rosaire).

Il Card. Bona raccomanda quattro atti principali nel ringraziamento: azione di grazie propriamente detta, offerta di se stesso, domanda e proponimenti. Per l'offerta così si esprime: Sequitur oblatio, qua par pari Deo reddere Sacerdos potest, Filium ejus unigenitum et consubstantialem ei offerendo, seipsum quoque offerat Patri et Christo holocaustum acceptabile in odorem suawitatis (De celebratione Missae). Preghiamo pure la Madonna, Madre e insieme Ostia di Colui che abbiamo nel nostro cuore, perché si unisca a noi. Ricordiamo anche le anime del Purgatorio, applicando loro l'indulgenza plenaria annessa alla preghiera: En ego, o bone Jesu.

Che se talora, in quei momenti così preziosi, 1'anima si sente stanca, distratta e incapace, sia nostro conforto quella verità di fede: GESÙ è tutto, è tutta la Religione dovuta al Padre e a Lui medesimo; in ogni dovere di religione Egli è il nostro supplemento. Dunque, in tutta verità, farà Egli stesso, in noi e per noi, il nostro ringraziamento; noi ci uniremo a Lui, pregandolo di supplire alla nostra debolezza e incapacità.

Il Sacerdote che ha celebrato, porta in se stesso una nuova santificazione che rapisce gli Angeli ed è per la Chiesa una feconda sorgente di ogni benedizione. Ugone da San Vittore, quel santo mistico del secolo XII, stava per morire; essendo venuto a visi tarlo un suo discepolo ed avendogli domandato come stava, rispose: «Benissimo, e nel corpo e nell'anima». Poi disse: «Voi avete celebrato la santa Messa; avvicinatevi e soffiate sul mio volto in forma di croce, per comunicarmi lo Spirito Santo». Avendolo obbedito il discepolo, egli esclamò: Os meum aperuiet attraxi spiritum. Così apprezzava quel santo uomo, il soffio di una bocca che aveva ricevuto il Sangue di GESÙ. Quale meravigliosa influenzi! non deve avere il Sacerdote che porta in sé, in virtù del santo Sacrificio, lo spirito e la vita di GESÙ CRISTO?

NOTE

(540) S. AUG., De bono viduitatis

(541) Sacrosancte ad uniformem deiformitatem pro captu nostro, et ad Deum divinamque virtutem promovemur. De Ecel. Hierarch., cap. I. ­ Si verum sit (Sacerdotem) virum esse prorsus divinum,… pro suo modulo ad deiformitatis fastigium perfectissimis perfectivisque deificationibus evectum, etc. Ibid.. cap. III.

(542) Omnis anima, quae Christum cogitat, in lumine semper est; dies lucet, tibi semper Christus aspirat. In Psalm., CXVIII, Serm. XIX.

(543) Epist. ad Severum.

(544) De Sacram. (in fine),

(545) De Sacrificio Missae.

(546) De praepar. ad Missam.

(547) Ibid.

(548) Sciens (Jesus) quia omnia dedit ei Pater in manus, et quia a Deo exivit et ad Deum vadit, Joann XIII, 3.

(549) CONDREN, Idea del Sacerdozio, ecc., parte IV.

(550) I Sermon sur la Compassion

(551) S. TH., Opusc., LXV.

(552) Homil., XXXVII