sabato 30 ottobre 2021

Semplicità e profondità dell'eloquio di Papa Benedetto XVI che parla della "correzione fraterna" !

 Benedetto XVI Angelus 2011

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BENEDETTO XVI

ANGELUS DOMINI

Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Domenica, 4 settembre 2011

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Cari fratelli e sorelle!

Le Letture Bibliche della Messa di questa domenica convergono sul tema della carità fraterna nella comunità dei credenti, che ha la sua sorgente nella comunione della Trinità. L' apostolo Paolo afferma che tutta la Legge di Dio trova la sua pienezza nell'amore, così che, nei nostri rapporti con gli altri, i dieci comandamenti e ogni altro precetto si riassumono in questo: “Amerai il tuo prossimo come te stesso” ( cfr Rm 13,8-10 ). 

Il testo del Vangelo, tratto dal capitolo 18° di Matteo, dedicato alla vita della comunità cristiana, ci dice che l'amore fraterno comporta anche  un senso di responsabilità reciproca, per cui, se il mio fratello commette una colpa contro di me, io devo usare carità verso di lui e, prima di tutto, parlargli personalmente, facendogli presente che ciò che ha detto o fatto non è buono. 

Questo modo di agire si chiama correzione fraterna: essa non è una reazione all'offesa subita, ma è mossa dall'amore per il fratello. Sant'Agostino commenta: “Colui che ti ha offeso, offendendoti, ha inferto a se stesso una grave ferita, e tu non ti curi della ferita di un tuo fratello? ... Devi dimenticare l'offesa che hai ricevuto, non la ferita di un tuo fratello” ( Discorsi 82, 7).

E se il fratello non mi ascolta? Gesù nel Vangelo odierno indica una gradualità: prima tornare a parlargli con altre due o tre persone, per aiutarlo meglio a rendersi conto di quello che ha fatto; se, malgrado questo, egli respinge ancora l'osservazione, bisogna dirlo alla comunità; e se non ascolta neppure la comunità, occorre fargli percepire  il distacco che lui stesso ha provocato, separandosi dalla comunione della Chiesa. 

Tutto questo indica che c'è una corresponsabilità nel cammino della vita cristiana: ciascuno, consapevole dei proprietà limiti e difetti, è chiamato ad accogliere la correzione fraterna e ad aiutare gli altri con questo particolare servizio.

Un altro frutto della carità nella comunità à la preghiera concorde. Dice Gesù: “Se due di voi sulla terra si metteranno d'accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà. Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro”( Mt 18,19-20). La preghiera personale è certamente importante, anzi, indispensabile, ma il Signore assicura la sua presenza alla comunità che - pur se molto piccola - è unita e unanime, perché essa riflette la realtà stessa di Dio Uno e Trino, perfetta comunione d'amore. 

Dice Origene che “dobbiamo esercitarci in questa sinfonia” ( Commento al Vangelo di Matteo 14, 1), cioè in questa concordia all'interno della comunità cristiana. Dobbiamo esercitarci sia nella correzione fraterna, che richiedono molta umiltà e semplicità di cuore, sia nella preghiera, perché salga a Dio da una comunità veramente unita in Cristo. 

Domandiamo tutto questo per intercessione di Maria Santissima, Madre della Chiesa, e di San Gregorio Magno, Papa e Dottore, che ieri abbiamo ricordato nella liturgia.


Dopo l'Angelus

Curry fratelli e sorelle,

Oggi, ad Ancona, si after il XXV Congresso Eucaristico Nazionale, con la Santa Messa presieduta dal mio Legato il Cardinale Giovanni Battista Re. Domenica prossima, a Dio piacendo, avrò la gioia di recarmi ad Ancora per la giornata culminante del Congresso. Fin da ora rivolgo il mio saluto cordiale e la mia benedizione a quanti parteciperanno a questo evento di grazia, che nel santissimo Sacramento dell'Eucaristia adora e loda Cristo, sorgente di vita e speranza per ogni uomo e per il mondo intero.

Saluto cordialmente i pellegrini francofoni, in particolare il gruppo delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Vi invito oggi a familiarizzare sempre di più con la Parola di Dio! Ci chiama all'amore reciproco. E questo amore si vive in modo molto concreto nella vita di tutti i giorni, vale a dire: prendersi del tempo per un dialogo vero con l'altro, rispettandolo, perdonandolo, pregando insieme e per l'altro. In questo modo può nascere e crescere la fraternità che Gesù è venuto a stabilire nelle famiglie, nelle comunità e nei paesi. Affido questo augurio alla Vergine Maria e di tutto cuore vi benedico.

Sono lieto di accogliere i pellegrini ei visitatori di lingua inglese presenti a questa preghiera dell'Angelus. Saluto i medici convenuti per il Convegno internazionale Matercare sulla dignità delle madri e delle ostetriche, nonché gli studenti presenti dell'Università Maria, Campus di Roma. Il brano evangelico di oggi ci ricorda che Dio è presente quando la Chiesa si riunisce per adorare nel suo nome. Possa noi trarre sempre grazia e forza dai nostri incontri di preghiera con Dio in comunione con i nostri fratelli e sorelle nella fede. Che Dio vi benedica tutti!

Mit Freude grüße ich alle deutschsprachigen Besucher hier a Castel Gandolfo. Im Evangelium des heutigen Sonntags spricht der Herr von der gemeinsamen Verantwortung, die Menschen füreinander haben. Herausforderungen und Irrwege einzelner müssen zur Sorge und zum Gebetsanliegen go werden. Jesus ruft jene, die ihm nachfolgen, in die Gemeinschaft und gibt ihnen Verantwortungssinn und den Mut zur Wahrheit. Gott will, daß wir füreinander Diener des Segens seien. Es erfüllt uns alle mit Freude, daß wir als Zeugen der Wahrheit am Heil der Welt mitwirken dürfen. Ich wünsche euch allen einen gesegneten Sonntag und eine gute Woche.

Saludo con afecto a los peregrinos de lengua española presentato in esta oración mariana. Nella liturgia di este día, Gesù hace saber ha conosciuto un discepolo che nella comunidad de hermanos ha de existir ante todo el amor. Amar al hermano no sólo es acogerle en su necesidad; también, a veces, es saber decirle una palabra de corrección. Si algún hermano peca, no dejemos de amarle, invitándolo a volver al buen camino. Esortare a todos a encomendar alla Santísima Virgen María los propósitos di conformare l'auténtica vida fraterna al que el Señor nos lama. Feliz Domingo.

Słowa pozdrowienia kieruję do Polaków, a szczególnie do dzieci i młodzieży rozpoczynających nowy rok szkolny i katechetyczny. Niech ten rok będzie dla was wszystkich czasem wzrastania „w mądrości, w latach i łasce u Boga iu ludzi” (Łk 2, 52). Modlę się o światło i moc Ducha Świętego dla wychowawców, aby ich trud wydawał obfite owoce w młodych sercach. Niech Bóg wam błogosławi!

[Espressioni di saluto rivolgo ai polacchi, e in modo particolare ai bambini e ai giovani che iniziano un nuovo anno scolastico e catechistico. Quest'anno sia per tutti see a tempo per crescere “in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini” (Lc 2, 51). Invoco la luce e la forza dello Spirito Santo per gli educatori, raffinato il loro impegno porti abbondanti frutti nei giovani cuori. Dio vi benedica!]

Rivolgo infine un cordiale saluto ai pellegrini di lingua italiana, in particolare al folto gruppo delle ACLI - Associazioni Cristiane dei Lavoratori Italiani -, alla fine dell'Incontro di studio sul tema del lavoro, a 30 anni dall'Enciclica Laborem exercens del Beato Papa Giovanni Paolo II Ho molto apprezzato, cari amici, l' attenzione a questo Documento, che rimane come una delle pietre miliari della dottrina sociale della Chiesa. Saluto il gruppo dei nuovi Seminaristi del Pontificio Collegio Internazionale Maria Mater Ecclesiae, l' Associazione Collegium Liberianum, che opera nella Basilica di Santa Maria Maggiore al servizio delle celebrazioni liturgiche, come pure i fedeli provenienti da Abbazia, in Diocesi di Bergamo. A tutti auguro una buona domenica, una buona settimana. Grazie a voi tutti.

 

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AMDG et DVM

SANTA MARIA GORETTI E I PAPI DEL NOSTRO TEMPO

 Giovanni Paolo II Discorsi 2002 Luglio

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE GIOVANNI PAOLO II
IN OCCASIONE DEL CENTENARIO DELLA MORTE
DI SANTA MARIA GORETTI

 

Al venerato Fratello
Mons. AGOSTINO VALLINI
Vescovo di Albano

1. Cento anni or sono, il 6 luglio 1902, nell'ospedale di Nettuno moriva Maria Goretti, barbaramente pugnalata il giorno prima nel piccolo borgo di Le Ferriere, nell'Agro pontino. Per la sua vicenda spirituale, per la forza della sua fede, per la capacità di perdonare il suo aguzzino, essa si pone tra le sante più amate del secolo ventesimo. Opportunamente, pertanto, la Congregazione della Passione di Gesù Cristo, a cui è affidata la cura del Santuario nel quale riposano le spoglie della Santa, ha voluto celebrare con particolare solennità la ricorrenza.

Santa Maria Goretti fu una ragazza alla quale lo Spirito di Dio donò il coraggio di restare fedele alla vocazione cristiana sino al supremo sacrificio della vita. La giovane età, la mancanza di istruzione scolastica e la povertà dell'ambiente in cui viveva non impedirono alla grazia di manifestare in lei i suoi prodigi. Anzi, proprio in tali condizioni apparve in modo eloquente la predilezione di Dio per le persone umili. Tornano alla mente le parole con le quali Gesù benedice il Padre celeste per essersi svelato ai piccoli e ai semplici, piuttosto che ai sapienti e ai dotti del mondo (cfr Mt 11, 25).

È stato giustamente osservato che il martirio di santa Maria Goretti aprì quello che sarebbe stato chiamato il secolo dei martiri. E proprio in tale prospettiva, al termine del Grande Giubileo dell'Anno 2000 ho sottolineato come "la viva coscienza penitenziale non ci ha impedito di rendere gloria al Signore per quanto ha operato in tutti i secoli, e in particolare nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle, assicurando alla Chiesa una grande schiera di santi e di martiri" (Novo millennio ineunte, 7).

2. Maria Goretti, nata a Corinaldo, nelle Marche, il 16 ottobre 1890, dovette ben presto intraprendere, con la sua famiglia, la via dell'emigrazione, giungendo, dopo varie tappe, a Le Ferriere di Conca nell'Agro pontino. Nonostante i disagi della povertà, che non le permisero neppure di andare a scuola, la piccola Maria viveva in un ambiente familiare sereno e unito, animato da fede cristiana, dove i figli si sentivano accolti come un dono e venivano educati dai genitori al rispetto per sé e per gli altri, oltre che al senso del dovere compiuto per amore di Dio. Ciò consentì alla bambina di crescere serena alimentando in sé una fede semplice, ma profonda. La Chiesa ha sempre riconosciuto alla famiglia il ruolo di primo e fondamentale luogo di santificazione per quanti ne fanno parte, a cominciare dai figli.

In tale contesto familiare Maria assimilò una salda fiducia nel provvido amore di Dio, fiducia manifestatasi particolarmente nel momento della morte del padre, colpito dalla malaria. "Mamma, fatti coraggio, Dio ci aiuterà", ebbe a dire la piccola in quei momenti difficili, reagendo con forza al grave vuoto prodotto in lei dalla morte del papà.

3. Nell'omelia per la canonizzazione, il Papa Pio XII di v.m. indicò Maria Goretti come "la piccola e dolce martire della purezza" (cfr Discorsi e Radiomessaggi, XII [1950-1951], 121), perché, nonostante la minaccia di morte, non venne meno al comandamento di Dio.

Quale fulgido esempio per la gioventù! La mentalità disimpegnata, che pervade non poca parte della società e della cultura del nostro tempo, fatica talora a comprendere la bellezza e il valore della castità. Dal comportamento di questa giovane Santa emerge una percezione alta e nobile della propria e dell'altrui dignità, che si riverberava nelle scelte quotidiane conferendo loro pienezza di senso umano. Non v'è forse in ciò una lezione di grande attualità? Di fronte a una cultura che sopravvaluta la fisicità nei rapporti tra uomo e donna, la Chiesa continua a difendere e a promuovere il valore della sessualità come fattore che investe ogni aspetto della persona e che deve quindi essere vissuto in un atteggiamento interiore di libertà e di reciproco rispetto, alla luce dell'originario disegno di Dio. In tale prospettiva, la persona si scopre destinataria di un dono e chiamata a farsi, a sua volta, dono per l'altro.

Nella Lettera apostolica Novo millennio ineunte osservavo che "nella visione cristiana del matrimonio, la relazione fra un uomo e una donna, - relazione reciproca e totale, unica e indissolubile - risponde al disegno originario di Dio, offuscato nella storia dalla 'durezza del cuore', ma che Cristo è venuto a restaurare nel suo splendore originario, svelando ciò che Dio ha voluto fin 'dal principio' (Mt 19, 8). Nel matrimonio, elevato alla dignità di Sacramento, è espresso poi il 'grande mistero' dell'amore sponsale di Cristo per la sua Chiesa (cfr Ef 5, 32)" (n. 47).

È innegabile che molte sono le minacce odierne all'unità e alla stabilità della famiglia. Fortunatamente, però, accanto ad esse si riscontra una rinnovata coscienza dei diritti dei figli ad essere allevati nell'amore, custoditi da ogni genere di pericoli e formati in modo da poter affrontare a loro volta la vita con fiducia e fortezza.

4. Meritevole di particolare attenzione, nella testimonianza eroica della Santa di Le Ferriere, è poi il perdono offerto all'uccisore e il desiderio di poterlo ritrovare, un giorno, in paradiso. Si tratta di un messaggio spirituale e sociale di straordinario rilievo per questo nostro tempo.

Il recente Grande Giubileo dell'Anno 2000, tra gli altri aspetti, è stato caratterizzato da un profondo richiamo al perdono, nel contesto della celebrazione della misericordia di Dio. L'indulgenza divina per le miserie umane si pone come esigente modello di comportamento per tutti i credenti. Il perdono, nel pensiero della Chiesa, non significa relativismo morale o permissivismo. Al contrario, esso richiede il pieno riconoscimento della propria colpa e l'assunzione delle proprie responsabilità, come condizione per ritrovare vera pace e riprendere fiduciosamente il proprio cammino sulla strada della perfezione evangelica.

Possa l'umanità introdursi con decisione nella via della misericordia e del perdono! L'uccisore di Maria Goretti riconobbe la colpa commessa, domandò perdono a Dio e alla famiglia della Martire, espiò con convinzione il proprio crimine e per tutta la vita si mantenne in queste disposizioni di spirito. La mamma della Santa, per parte sua, gli offrì senza reticenze il perdono della famiglia nell'aula del tribunale dove si tenne il processo. Non sappiamo se sia stata la mamma a insegnare il perdono alla figlia o il perdono offerto dalla Martire sul letto di morte a determinare il comportamento della mamma. È tuttavia certo che lo spirito del perdono animava i rapporti all'interno dell'intera famiglia Goretti, e per questo con tanta spontaneità poté esprimersi sia nella Martire che nella mamma.

5. Quanti conoscevano la piccola Maria, nel giorno del suo funerale ebbero a dire: "È morta una santa!". Il suo culto è andato diffondendosi in ogni Continente, suscitando ovunque ammirazione e sete di Dio. In Maria Goretti risplende la radicalità delle scelte evangeliche, non impedita, anzi avvalorata dagli inevitabili sacrifici richiesti dalla fedele appartenenza a Cristo.

Addito l'esempio di questa Santa specialmente ai giovani, che sono la speranza della Chiesa e dell'umanità. In prossimità, ormai, della XVII Giornata Mondiale della Gioventù, desidero ricordare loro quanto scrivevo nel Messaggio ad essi indirizzato in preparazione di questo tanto atteso evento ecclesiale: "Nel cuore della notte ci si può sentire intimoriti e insicuri; si attende allora con impazienza l'arrivo dell'aurora. Cari giovani, tocca a voi essere le sentinelle del mattino (cfr Is 21, 11-12), che annunciano l'avvento del sole, che è Cristo risorto!" (n. 3).

Camminare sulle orme del divino Maestro comporta sempre una decisa presa di posizione per Lui. Occorre impegnarsi a seguirlo dovunque Egli vada (cfr Ap 14, 4). In questo cammino, tuttavia, i giovani sanno di non essere soli. Santa Maria Goretti e i tanti adolescenti, che nel corso dei secoli hanno pagato con il martirio l'adesione al Vangelo, sono accanto ad essi per infondere nei loro animi la forza di restare saldi nella fedeltà. È così che potranno essere le sentinelle di un radioso mattino, illuminato dalla speranza. La Vergine Santissima, Regina dei Martiri, interceda per loro!

Nell'elevare questa preghiera, mi unisco spiritualmente a tutti coloro che prenderanno parte alle celebrazioni giubilari nel corso di quest'anno centenario ed invio a Lei, venerato Pastore diocesano, ai benemeriti Padri Passionisti impegnati nel Santuario di Nettuno, ai devoti di Santa Maria Goretti e in particolare ai giovani una speciale Benedizione Apostolica, auspicio di abbondanti favori celesti.

Dal Vaticano, 6 Luglio 2002 

IOANNES PAULUS II

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https://www.corrispondenzaromana.it/il-messaggio-al-nostro-tempo-di-santa-maria-goretti/

http://www.korazym.org/46177/p-rungi-maria-goretti-e-una-santa-per-i-nostri-tempi/

http://www.100libripernettuno.it/OPERE/SANTA%20MARIA%20GORETTI%20%20ICONOGRAFIA/pagine/cap%2004%20i.htm

https://lanuovabq.it/it/maria-goretti-una-santita-testimoniata-dai-fatti

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AMDG et DVM




"ECCO SAN GAETANO CHE PASSA"!

 2008


12 ottobre
XXVIII Domenica "per annum"
Piazza S. Pietro, ore 10.00


CAPPELLA PAPALE


Canonizzazione dei Beati:
- Gaetano Errico, sacerdote
- Maria Bernarda Bütler, vergine
- Alfonsa dell'Immacolata Concezione, vergine
- Narcisa de Jesús Martillo Morán, laica






SAN GAETANO ERRICO (1791 – 1860)


GAETANO ERRICO, fondatore dei Missionari dei Sacri Cuori, nasce il 19 ottobre 1791 a Secondigliano, antico casale a nord della città di Napoli. È il terzogenito di dieci figli di Pasquale e Maria Marseglia. Il papà gestisce un modesto laboratorio artigianale per la produzione dei maccheroni, la mamma tesse la felpa. 
Viene battezzato il giorno dopo la nascita nella chiesa parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano con i nomi di Gaetano, Cosma e Damiano. Frequenta la scuola comunale con due maestri sacerdoti, Tagliamonte e Vitagliano. A sette anni è ammesso alla prima comunione e ad undici al sacramento della confermazione. A quattordici anni chiede di entrare prima tra i Cappuccini e, poi, tra i Redentoristi, ma la domanda è respinta a causa dell’età.

A sedici anni chiede di essere ammesso al seminario arcivescovile di Napoli. Nel gennaio del 1808 indossa l’abito talare e poiché la famiglia non è in grado di sostenere i costi per il suo mantenimento
da interno, segue gli studi da esterno, raggiungendo a piedi il seminario. Ogni giorno, tra andata e ritorno, sono 8 chilometri, con il freddo, il caldo e la pioggia, attirando l’ammirazione delle persone,
che al vederlo passare esclamano: «Ecco San Gaetano che passa!». Nel tempo della sua formazione seminaristica segue con grande profitto la scuola, partecipa tutte le mattine alla Messa, riceve la comunione, aiuta in famiglia, visita ogni giovedì gli ammalati dell’ospedale «Incurabili» di Napoli, portando loro qualche regalo, frutto dei suoi risparmi settimanali, e la domenica va in giro per le strade con il crocefisso per raccogliere i fanciulli per il catechismo.

È ordinato sacerdote il 23 settembre del 1815 dal Card. Ruffo Scilla nella Cappella di Santa Restituta, nella Cattedrale di Napoli.
A don Gaetano, diventato sacerdote, viene subito assegnato il compito di maestro comunale, che esercita, per quasi vent’anni, con diligenza, vigilanza e zelo, preoccupandosi, con la cultura, di insegnare, soprattutto, i principi cristiani. Si dedica con amore al servizio pastorale nella chiesa parrocchiale dei Santi Cosma e Damiano.

Sviluppa la sua attività apostolica secondo quattro direzioni: annuncio della Parola, ministero della riconciliazione, assistenza materiale e spirituale ai malati, servizio della carità. Quattro modi distinti per dire agli uomini che Dio è Padre e li ama.
Ha una vita d’intensa preghiera e di rigorosa penitenza, da far dire alla mamma, che lava le sue camicie intrise di sangue: «Adesso mi fai sentire quel dolore che non intesi quando ti portai in seno e ti partorii».

Ogni anno, da sacerdote, si ritira a Pagani (Salerno), nella casa dei padri Redentoristi, per gli esercizi spirituali. Nell’anno 1818, mentre prega nel coro, avviene un fatto destinato a segnare ed a cambiare il corso della sua vita: gli appare Sant’Alfonso per comunicargli che Dio lo vuole fondatore di una Congregazione religiosa, dandogli come «segno» la costruzione in Secondigliano di una chiesa in onore della Vergine Addolorata. L’annuncio che è Dio a volere la costruzione di una chiesa in onore dell’Addolorata, in Secondigliano è accolto con entusiasmo dalla maggior parte del popolo, ma c’è anche chi si dimostra diffidente ed ostile. Gli avversari, pochi, ma molto agguerriti e combattivi, giurano che impediranno la costruzione della chiesa. Quando il progetto sembra definitivamente destinato a fallire, don Gaetano continua a credervi ed assicura la gente: «La chiesa si farà, perché è Dio a volerla». Il 9 dicembre del 1830 la chiesa è benedetta.

Terminata la costruzione, Gaetano Errico commissiona a Francesco Verzella, scultore napoletano, una statua in legno della Madonna Addolorata. La tradizione vuole che egli abbia fatto rifare più volte il volto, esclamando alla fine: «Così era». L’aveva vista in visione?

La statua fa il suo ingresso in Secondigliano nel maggio del 1835 e da allora continuano ininterrotti il pellegrinaggio e la devozione dei fedeli verso l’Addolorata di Gaetano Errico.

Negli anni seguenti, mentre don Gaetano prega nel medesimo coro di Pagani, davanti al Santissimo Sacramento, il Signore gli manifesta che la nuova Congregazione « dev’essere istituita in onore dei Sacri Cuori di Gesù e di Maria».

Da allora i Sacri Cuori diventano per Gaetano Errico il centro della sua azione apostolica e missionaria ed egli l’apostolo del loro amore misericordioso in tutto il Meridione d’Italia. L’amore dei Sacri Cuori lo spinge a cercare il fratello peccatore per portarlo al Padre, anche a costo della vita e a donarsi senza soste e misura, soprattutto, ai fratelli delle categorie meno protette: malati, operai, artigiani, contadini, analfabeti, ragazze senza dote e in pericolo, carcerati. Si propone di far sentire a tutti la presenza di un Padre amoroso, pronto al perdono e lento all’ira.

Terminata la chiesa, don Gaetano comincia a costruire in un luogo adiacente la casa che dovrà ospitare i futuri religiosi, i Missionari dei Sacri Cuori. Costruisce dapprima una piccola casa, dove nel 1833 si ritira ad abitare insieme ad un laico, che cura il servizio della chiesa.

Con il trasferimento dalla casa paterna, inizia « ufficialmente » la realizzazione dell’incarico più importante ricevuto da Dio: la fondazione della Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori.
 Ingrandita la casa, fonda il «Ritiro sacerdotale dei Sacri Cuori», per accogliere i sacerdoti disposti ad impegnarsi soprattutto nel lavoro delle missioni popolari.

Don Gaetano è un uomo di Dio, è un « santo». Come ha fatto a diventarlo?
Il primo segreto della sua santità è «consumare le ginocchia nella preghiera e... anche nel pavimento». Che don Gaetano sia un uomo di preghiera lo testimoniano le tante persone che l’hanno conosciuto e le due «fossette » nel pavimento della sua stanza, scavate dalle sue ginocchia.

La penitenza è il secondo segreto della sua « santità ». Nei venerdì e sabati limita i suoi pasti ad un solo piatto di minestra. Tutti i mercoledì ed in molte vigilie digiuna a pane ed acqua. Spesso dorme per terra. Porta «un cilicio che cinge la sua persona: petto, braccia e gambe». «Usa discipline di cordicella e di ferro di varie specie».

Don Gaetano nel 1833 inoltra al Re la domanda per il riconoscimento di un Ritiro, che è approvato insieme al regolamento il 14 marzo 1836. Il 1° ottobre 1836 apre il noviziato, ammettendovi nove giovani. Nel maggio 1838 chiede il riconoscimento pontificio della Congregazione ed il 30 giugno riceve dalla Sacra Congregazione dei Vescovi e Regolari il decreto di lode. Il 6 aprile del 1839, allo scopo di consolidare lo sviluppo della Congregazione, chiede il riconoscimento governativo, che il Re concede il 13 maggio, dichiarando « la Congregazione dei Missionari dei Sacri Cuori legittimamente esistente e capace di godere dei corrispondenti effetti civili e canonici».

Nell’aprile 1846 ritorna a Roma per chiedere la definitiva approvazione.
La Congregazione è cresciuta: è aumentato il numero dei congregati e sono state aperte diverse case. Il 7 agosto 1846 il Beato Papa Pio IX emette il decreto di approvazione ed il 15 settembre il Breve apostolico.

Gaetano Errico, dopo l’approvazione, è unanimemente eletto Superiore Generale. Fino alla morte lavora per lo sviluppo della Congregazione, curando in modo particolare la formazione dei soggetti.
S’impegna nell’attività missionaria, nella predicazione al popolo e degli esercizi spirituali in numerosi conventi di suore, nella direzione spirituale e, specialmente, nell’amministrazione del sacramento della riconciliazione.
Muore a Secondigliano, all’età di 69 anni, il 29 ottobre 1860, alle 10 del mattino.

«Amatevi scambievolmente e siate osservantissimi delle Regole».
È il testamento che lascia ai suoi congregati. «È morto un santo» è l’unanime commento di tutto il popolo. L’eco di questa espressione continua ancora. Per i secondiglianesi e per tutti i suoi devoti, Gaetano Errico, chiamato e conosciuto come «O Superiore», continua ad essere un « santo», cioè un esempio, un punto di riferimento, un intercessore, una freccia puntata che indica a tutti la strada di Dio, che i Sacri Cuori, per amore, hanno vissuto e tracciato.

Nel 1866 il Card. Riario Sforza introduce il processo ordinario diocesano. Nel dicembre 1884 il Papa Leone XIII lo dichiara Venerabile ed il 4 ottobre 1974 il Papa Paolo VI emette il decreto di eroicità delle virtù. Il 24 aprile 2001 Giovanni Paolo II firma il Decreto d’approvazione del miracolo ottenuto dal signor Salvatore Cacciappoli per intercessione di Gaetano Errico.

Il 14 aprile 2002 Giovanni Paolo II lo proclama Beato. Il 6 luglio 2007 Benedetto XVI firma il decreto di approvazione del miracolo per la canonizzazione e il 1° marzo 2008 nel corso del Concistoro decreta che il 12 ottobre 2008 il Beato Gaetano Errico sia iscritto nell’Albo dei Santi.




AMDG et DVM

LA MESSA VA VISSUTA ... PIU' CHE CAPITA

 UNA FINESTRA DEL PARADISO

L’Antico Rito della Messa è incomprensibile? Ti diciamo come rispondere a chi afferma questo

di Corrado Gnerre

Quando si parla dell’Antico Rito della Messa l’attenzione va senz’altro alla questione della lingua, cioè del latino. Tant’è che questo Rito è da tutti ricordato come “Messa in latino”.

Prima di tutto va detto che questa questione della lingua è secondaria e non primaria. La differenza tra Antico e Nuovo Rito non sta essenzialmente nella lingua ma in ben altro. Visto però che dobbiamo trattare questa questione, è bene che la capiamo nella maniera più corretta.

Diciamo subito che ci sono sei motivi che giustificano e legittimano l’uso della lingua latina nella celebrazione della Messa.

L’universalità

Il primo motivo è l’universalità. La Chiesa Cattolica è universale. I cattolici devono professare la stessa fede, devono riconoscersi nella stessa disciplina e devono anche riconoscersi in una stessa morale. Dunque, è più logico che all’unità della fede corrisponda l’unita della preghiera liturgica. Pio XII nella sua Mediator Dei scrive: “L’uso della lingua latina è un chiaro e nobile segno di unità (nda: fra i cattolici di tutto il mondo, siano essi italiani o tedeschi, bianchi o neri) e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina”.

Giovanni XXIII con la Veterum Sapientia del 22 febbraio 1962 chiedeva non solo di conservare l’uso del latino, ma di incrementarne e restaurarne l’utilizzo. Il documento riconosce che la Chiesa ha necessità di una sua lingua propria, non nazionale ma universale, sacra e non ordinaria, dal significato univoco e non mutevole nel tempo, per trasmettere la medesima dottrina: unica, per il suo governo, e sacra, per il suo rito. La Chiesa, ontologicamente immutabile, non può affidare alla variazione linguistica la trasmissione delle sue Verità.

Nessun’altra lingua al mondo possiede del latino le caratteristiche di universalità ed è così aliena dai nazionalismi. La massoneria internazionale, che ha sempre avuto come scopo la creazione di una società cosmopolita che parli un’unica lingua, creò di fatto l’esperanto e non ha mai pensato di utilizzare per questo fine il latino, in odio alla Chiesa.

Ricorda la Genesi che la divisione delle lingue è conseguenza del peccato degli uomini. Gli Apostoli necessariamente evangelizzarono in tutte le lingue, ma il giorno di Pentecoste lo Spirito riportò tutti alla comprensione unitaria delle lingue. Logico quindi che la Chiesa di Dio si serva di un’unica lingua per tutti.

Per meglio rappresentare il Mistero

Il secondo motivo è per meglio rappresentare il Mistero. Per significare lo straordinario occorre una lingua straordinaria. Un modo è come si parla agli amici, altro è come si parla ai superiori. Ciascun registro linguistico è legato ad una situazione precisa.

Dal momento che la Messa è il mistero della ri-attualizzazione del Sacrificio di Cristo sul Calvario, presenziando alla Messa si è oltre le categorie del tempo e dello spazio. Si respira l’infinito, si è dinanzi al Mistero, si ascolta l’inaudito, si osserva l’inimmaginabile. Ora –parliamoci chiaramente- tutto questo può essere significato da una lingua che è immediatamente comprensibile? Ecco che è molto più naturale che nella Messa si usi una lingua non ordinaria, perché ciò che avviene nella Messa non è affatto ordinario.

Per salvaguardare l’unicità del Tempo

Il terzo motivo è per salvaguardare l’unicità del Tempo. Proprio perché la lingua latina è una lingua “morta”, essa meglio si adatta ad esprimere verità dogmatiche che sono verità che non mutano.

Per salvaguardare l’unicità dello Spazio

Il quarto motivo è per salvaguardare l’unicità dello Spazio. Con l’uso del latino in tutti i posti della terra la liturgia è perfettamente uguale e quindi l’incomprensibilità delle parole diventa comprensibilità del Rito. Questo è un punto su cui ci si riflette poco. A quella che può sembrare un’incomprensibilità delle parole, si sostituisce una comprensibilità del Rito, il quale può essere in tutti i posti della terra facilmente riconosciuto.

Che paradosso! La Chiesa ha rinunciato alla sua lingua proprio quando l’avanzante mondializzazione e globalizzazione avrebbero richiesto un gesto in senso contrario. Si pensi all’attuale uso della lingua inglese, la cui conoscenza è diventata di fatto decisiva per poter competere nel campo del lavoro.

Per prefigurare la vita del Paradiso

Il quinto motivo è per prefigurare il Paradiso. C’è chi ha giustamente e suggestivamente detto che la Messa è una finestra del Paradiso”. Ora chiediamoci: in Paradiso le anime come comunicano? Risposta: nella luce e nell’amore di Dio, non certo attraverso le lingue locali. Non si tratta di una comunicazione verbale nel senso comune del termine, ma di una comunicazione universale in Dio. Ebbene, la liturgia è anche prefigurazione di ciò che ancora non è, ma sarà. E se è anche questo, essa (la liturgia) deve pur far capire che in Paradiso si parlerà un’unica “lingua”: quella dell’amore effetto della visione beatifica di Dio.

Per confermare la Tradizione

Il sesto motivo è per confermare la Tradizione. Il latino è la lingua dell’inizio della Chiesa. Come l’Eucaristia non può realizzarsi se non con il pane e il vino, cioè con ciò che Gesù utilizzò nell’Ultima Cena, così ha un significato ben preciso che la lingua della liturgia cattolica sia la lingua dell’inizio e del centro della Chiesa.

La lingua latina, ricorda Giovanni XXIII sempre nella Veterum Sapientiae, fu scelta dalla Provvidenza come lingua della Chiesa, portata ovunque dalle antiche vie consolari. L’unità linguistica resta un modello e un ideale. Nella predicazione è necessario utilizzare la lingua vernacola, il rito e la liturgia richiedono invece un’unica lingua sacra.

La Messa non va capita… va vissuta!

La liturgia non è uno spettacolo teatrale, nel quale si debba ascoltare e comprendere ogni singola parola. La liturgia serve a far penetrare, mediante il suo apparato di segni visibili, nelle realtà divine che in essa si celebrano. Per questo il sacerdote si spoglia dei suoi abiti quotidiani e si riveste dei paramenti sacri, per questo la celebrazione segue un rito codificato, per questo i cristiani si riuniscono in un luogo apposito e diverso da tutti gli altri, che è la chiesa.

La Messa non va capita, va vissuta. O meglio: va capita relativamente a ciò che avviene in essa, ma l’approccio non deve essere di tipo intellettuale, bensì cordiale, nel senso letterale del termine da cor-cordis che vuol dire “cuore”. Partecipare alla Messa è adesione al Mistero.

Il senso dell’actuosa partecipatio (partecipazione attiva), non è tanto nel capire e nel rispondere, ma nel condividere e nell’offrire. Giustamente si dice che il modello del vero fedele che partecipa alla Messa è l’Immacolata. Ella sotto la Croce non parlava: condivideva ed offriva.

E poi, diciamocela tutta: un tempo la gente non capiva le parole della Messa, però sapeva bene cosa fosse la Messa; oggi tutti capiscono le parole della Messa (sempre che non siano distratti… e molte volte la banalizzazione distrae più facilmente), ma pochi sanno cos’è la Messa. Basterebbe chiedere a tanti ragazzi non “lontani”, praticanti e di oratorio, per accertarsi quanti pochi oggi sappiano cosa sia davvero la Messa.

Certamente la parte istruttiva della Messa (letture, omelia, ecc…) deve essere capita e lì va bene la lingua nazionale, ma per il canone no. Paradossalmente per capire il canone, e cioè la grandezza e l’inimmaginabilità di ciò che accadde sul Calvario, occorre proprio una lingua che sia fuori del tempo e dello spazio, che meglio esprima il senso del mistero.

L’allora cardinale Ratzinger, futuro Benedetto XVI, scrisse nel suo Il Sale della terra. Cristianesimo e Chiesa cattolica nella svolta del terzo millennio“Nella nostra riforma liturgica c’è la tendenza, a parer mio sbagliata, di adattare completamente la liturgia al mondo moderno. Essa dovrebbe quindi diventare ancora più breve e da essa dovrebbe essere allontanato tutto ciò che si ritiene incomprensibile; alla fin fine essa dovrebbe essere tradotta in una lingua ancora più semplice, più ‘piatta’. In questo modo, però, l’essenza della liturgia e la stessa celebrazione liturgica vengono completamente fraintese. Perché in essa non si comprende solo in modo razionale, così come si capisce una conferenza, bensì in modo complesso, partecipando con tutti i sensi e lasciandosi compenetrare da una celebrazione che non è inventata da una qualsiasi commissione di esperti, ma che ci arriva dalla profondità dei millenni e, in definitiva, dall’eternità.”

E poi: se davvero la “Messa in latino” fosse così selettiva, verrebbe da chiedersi: come mai essa ha prodotto nei secoli frutti di santità non solo tra i colti, ma anche e soprattutto tra i semplici?

Dio è Verità, Bontà e Bellezza

Il Cammino dei Tre Sentieri


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