lunedì 25 ottobre 2021

IL SANTO GRAAL? UN MISTERO SVELATO!

 Cos’è il Santo Graal? Un mistero svelato!

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COS’È IL SANTO GRAAL? UN MISTERO SVELATO!

L’atavica ricerca dell’immortalità

La ricerca di quest’oggetto leggendario dai poteri straordinari fin dal Medioevo ha scatenato la fantasia popolare, incendiando i cuori di molti scrittori che ne hanno narrato il suo mito attraverso saghe e poemi cavallereschi. È stato cercato in ogni dove, anche perché i suoi poteri, secondo la leggenda, donerebbero vita eterna e conoscenza. Tuttavia non tutti i mortali saranno in grado di raggiungere il Graal, ma solamente coloro che sono puri di cuore. Nel corso del tempo ha assunto diverse forme, lo ritroviamo spesso sotto forma di calice per poi divenire una coppa e infine un libro. Ma cos’è veramente il Santo Graal? In questo articolo ci ripromettiamo di svelare il mistero.

Il Santo Graal
Templari e Graal… un disegno che si riferisce alla prova del Graal nel film “Indiana Jones e l’ultima crociata
Ma che cos’è davvero il Graal? È un oggetto materiale o in realtà rappresenta qualcos’altro di più spirituale? Il calice di Cristo… e se fosse di mithril?”, scrive Alessandro Pacifico in uno dei suoi articoli più noti dedicati al Graal. Eh sì, perché forse la mistica ci fornisce alcuni indizzi sulla natura del Graal in quanto oggetto realmente esistito.

Un oggetto realmente esistito?

Poi prese il calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse: “Questo è il mio sangue, il sangue dell’alleanza versato per molti. In verità vi dico che io non berrò più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo nel regno di Dio.” ~ Marco 14, 23-24
La reliquia più sacra di sempre, il calice di Cristo, noto nella tradizione medievale come “Graal“, è in assoluto l’oggetto che più ha dato origine a suggestioni letterarie e cinematografiche, ispirando cult della storia del cinema quali “Indiana Jones e l’Ultima crociata” o della letteratura come “Gli assassini del Graal” di Paul Doherty. Così ci riporta Alessandro Pacifico, alias Alex Pac-Man, riguardo cultura pop, narrativa e cinema. Ma domandiamoci: per quanto al centro di numerose leggende e racconti fantastici, esiste la possibilità che il calice di Cristo sia stato davvero un manufatto fuori dal comune? Dando per assodato che sia esistito così come è esistito Cristo nel momento dell’ultima cena, non resta che chiedersi di cosa fosse fatto. Quali lo sono le fattezze del Calice di Cristo?
Il Santo Graal
Edwin Austin Abbey, Sir Galahad scopre il Santo Graal, 1895

Un metallo misterioso

O almeno cosi riporta 
la testimonianza di un certo Arnolfo
, un vescovo franco che intraprese un viaggio in Palestina, secondo cui la leggendaria coppa si trovò per un certo periodo in Terra Santa in una chiesa tra la basilica del Golgota e il luogo del Martirio.
Il calice è d’argento, ha la dimensione di una pinta gallica e ha due maniglie lavorate su ciascun lato…
Fin qui niente da eccepire, era un calice “d’argento” di medie dimensioni.

Ma, arrivando al dunque, si trattava di semplice metallo?

Un’altra descrizione del calice di Cristo ci è fornita dalla Beata Anna Katharina Emmerick, nota mistica cattolica del XVIII secolo che ebbe in dono delle visioni sulla vita di Gesù Cristo, tra cui una descrizione del famoso calice:
Beata Anna Katharina Emmerick: “I due Apostoli (Pietro e Giovanni) ricevettero da Serafia, una pia donna amica della sacra Famiglia, tra altri doni, anche il calice che sarebbe stato servito al Redentore per l’istituzione dell’Eucaristia. Era un calice meraviglioso e formato di un metallo misterioso. Era rimasto, per molto tempo, tra gli arredi preziosi del Tempio. Non lo si era mai potuto fondere, perché di un metallo sconosciuto. Venduto dai sacerdoti a un antiquario, era stato da lui rivenduto a Serafia. Era già servito molte volte al Redentore per la celebrazione delle feste, ma dacché fu ceduto ai due Apostoli per Lui, esso rimase sempre in possesso della Comunità cristiana. Il calice conteneva un vasetto ed era ricoperto da un piattino rotondo. La parte inferiore del vasetto era di oro puro; vi si ammiravano artistici fregi, tra i quali una serpe e un grappolo di uva; su di esso erano incastonate inoltre pietre preziose. Il calice era stato di Melchisedec (misterioso personaggio dell’Antico Testameno, che in Genesi 14, 18 presenta come re e sacerdote dell’Altissimo) e di Abramo; era rimasto dentro l’arca di Noè.”
Partiamo dalla premessa che non possono prendersi alla lettera, e quindi sostituirsi alla parola di Dio, le rivelazioni private (naturalmente, approvate dalla Chiesa!) riguardanti le vicende del vangelo. Del resto se così non fosse, tali rivelazioni avrebbero lo stesso valore dei vangeli canonici. È sostanzialmente lo stesso per le opere d’arte sacre: immagini ispirate, ma condizionate dalla forma mentis dell’autore. Tuttavia, diciamolo, non è nemmeno lecito o saggio ridimensionarle a semplici “romanzi” sul vangelo, più o meno ispirati. A dimostrazione di ciò c’è la storia del ritrovamento della Casa di Maria, che fu riportata alla luce proprio grazie alle visioni della Emmerick.

Le origini del mito

GraalLa versione classica del Graal che tutti abbiamo in mente è quella della coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue dal costato del Cristo crocifisso. Ma questa versione del Graal risale al 1202, quando Robert De Boron la inserisce nel poema “Joseph d’Arimathie”, fondendola con il mito celtico del calderone. Il calderone, infatti, nelle leggende celtiche come quello del dio Dagda era simbolo dell’abbondanza che dispensa cibo inesauribile e conoscenza infinita, ma anche simbolo di resurrezione nel quale si gettano i morti perché resuscitino il giorno seguente. Il calderone dunque nutre i guerrieri celtici così come il sangue contenuto nel calice nutre la fede dei cristiani e li rigenera a una vita nuova… Da allora in avanti la leggenda del Graal si legherà indissolubilmente con il calice di Cristo, divenendo un simbolo cristiano. Dunque il mito del Graal ha radici molto più arcaiche del Cristianesimo e nasce, appunto, dalla fusione di antiche leggende presenti in numerose culture. L’origine del termine “Graal” infatti si fa risalire al termine latino Gradalis, che significa scodella o vaso, questi oggetti nella mitologia classica rappresentavano la potenza benefica delle forze superiori, basta pensare alla Cornucopia dei Greci e dei Romani. Intorno al 1210 il tedesco Wolfram Von Eschembach, nel poema “Parzifal”, parte del ciclo arturiano, fornisce una nuova interpretazione sulla natura del Santo Graal. Non è più una coppa ma una pietra purissima, chiamata Lapis exillis, questa pietra dai poteri miracolosi donerebbe perfino l’immortalità. Il termine lapis “exillis” è stato interpretato come “lapis ex coelis”. Ovvero “pietra caduta dal cielo”.

Il Santo Graal
Parsifal, recuperando il Graal, in questa immagine posto nella stessa linea prospettica della croce in alto, permetterà la redenzione dell’intero reame

La pietra caduta dal cielo

Alcuni hanno accostato la lapis exillis alla Lia Fàil o ”pietra del destino” che secondo un’antica leggenda irlandese un popolo di semidei, detti Thuata di Danan, avrebbero portata con sé dalla loro prima dimora, il cielo. Eschembach appunto sostiene che la pietra era uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e portato a terra dagli angeli rimasti neutrali durante la ribellione. Gli Angeli proclamarono Tirutel signore del Regno del Graal e posero la pietra nelle mani di una donna sua figlia Schoysiane, poiché il Graal poteva essere toccato solo da una vergine. Il figlio di Tirutel Amfortas, divenuto nuovo re, venne sedotto dalla strega Kundry e cadde con lei nel peccato rimanendo 
. La sua menomazione si riversò anche sul suo regno trasformandolo in una terra arida e desolata. Sarà il giovane e puro Parzifal, anch’esso discendente del vecchio re Tirutel, e cavaliere della tavola rotonda, a guarire la menomazione di Amfortas e salvare e redimere l’intero regno divenendo nuovo re del Graal.

Nel romanzo di Wolfram Von Eschenbach il Graal diviene simbolo eucaristico e i suoi guardiani, i Templari, vivono nutrendosi unicamente della sua energia; solo chi conosce una totale purezza morale può portarla con sé e, durante il Venerdì Santo, una colomba posa sulla pietra un’ostia consacrata, quell’ostia conferisce al Graal il suo immenso potere. Verso il XIII secolo, la sua concezione cambia e il Graal viene addirittura associato a un libro che scrisse Gesù stesso e che poteva essere letto solamente da chi era in grazia di Dio.

GraalCome confermato dalle visioni di Anna Katharina Emmerick, il Graal era costituito di una materia sconosciuta caduto dalla fronte di Lucifero dopo la ribellione celeste, e perso da Adamo dopo il peccato originale, per poi essere recuperato dal figlio Seth e perso nuovamente, salvato da Noè durante il diluvio e successivamente utilizzato da Melchisedec per benedire Abramo e Sara. Fu poi posseduto da Mosè prima di scomparire di nuovo.

Riapparve sulla terra quando un angelo portò l’oggetto sacro a San Gioacchino prima del concepimento di Maria, ma il sacerdote del tempio vendette il sacro oggetto a un antiquario. Venne recuperato dalla Veronica per essere adoperato da Gesù nell’ultima Cena.

Ma la pietra caduta dal cielo è riconducibile anche alla pietra nera custodita nella Ka’ba della Mecca, che secondo la tradizione islamica fu fatta calare da Allah dal paradiso sulla terra. La pietra durante il diluvio universale fu messa in salvo da Noè per poi essere recuperata da Abramo nei pressi del luogo dove sarebbe sorta la Mecca.

Il più antico tesoro

Si tratta in ogni caso di un qualcosa che fu perduta in seguito alla fine di un’età d’oro, un oggetto reale o simbolico che rimanda a uno splendore passato. Possiede caratteristiche simili al Graal, quindi capaci di mantenere in vita, dare conoscenza e di risanare la natura umana, un altro oggetto leggendario: la Pietra filosofale, che ritroviamo in parte con le sue peculiarità nella saga di “Harry Potter” e nel manga/anime “Fullmetal Alchemist“, simbolo dell’alchimia per la sua capacità di poter trasmutare in oro i 
. L’oro era l’unico metallo conosciuto in grado di restare inalterabile nel tempo. Dunque “sostanza primigenia” che rappresenterebbe la condizione immortale e primordiale perduta. Non a caso è una caratteristica di gran parte dei metalli leggendari, dall’oricalco all’adamantio, di cui il Mithril della Terra di Mezzo – leggero ma indistruttibile – è la sintesi migliore. Sacro Graal o Pietra filosofale, in ambedue i casi è un mezzo per risanare l’uomo e riportarlo all’immortalità o alla condizione idilliaca adamitica, una nostalgia dei primi tempi che non soltanto testimonia un disagio reale, quello della miseria umana, ma che quasi è in grado di comprovare che la storia dell’umanità fu segnata da un momento di perdita o rottura ancestrale.

In “Harry Potter e la Pietra filosofale” Albus Silente nasconde la Pietra dentro lo Specchio delle Brame. In questo modo solo una persona che desidera la Pietra per non usarla avrebbe potuto ottenerla. Non a caso, lo stesso specchio verrà usato dal mago come test per determinare chi non è puro di cuore

Che cosa rende l’uomo immortale?

Nella tradizione cristiana la pietra dell’immortalità non è altro che Gesù Cristo stesso, ossia la pietra angolare su cui è stata costruita la Chiesa di Dio. E sopra di Lui ci sono altre “pietre vive”, che rappresentano tutti i credenti uniti tra loro per innalzare il tempio santo del Signore: 
Efesini 2, 20-22
1 Pietro 2, 4-5
 Ancora, per San Paolo la pietra spirituale che seguiva e abbeverava gli ebrei nel passaggio nel deserto era l’immagine di Cristo (
1 Cor 10, 1-4
).

È giusto dunque dire che il Santo Graal assume sia un carattere spirituale che materiale. Esso infatti rappresenta il più grande dono che Dio fa all’uomo: ovvero il suo Spirito. Lo Spirito Santo che attraverso il sacrificio di quel Cristo disceso sulla terra mandato dal Padre, discende sull’uomo e solo per mezzo dell’Eucarestia ci rigenera in un corpo e un’anima nuovi, permettendoci di tornare in contatto con Dio.

Inoltre, lo Spirito Santo che discende sull’uomo costituisce l’effetto della Redenzione, che con il corpo e il sangue di Cristo ci restituisce lo stato perduto nella caduta. L’uomo che diviene figlio di Dio è relazione con Dio. Questo lo rende immortale, a immagine e somiglianza di Dio. Gesù è la pietra che fu perduta dopo il peccato originale, il leggendario Graal, che come in “Harry Potter e la Pietra filosofale” e come in “Indiana Jones e l’ultima crociata” può essere raggiunto non da chi brama il potere e la conoscenza o teme la morte, ma soltanto da coloro che sinceramente desiderano il bene: stabilire una relazione filiale con Colui che è il principio e la fine di ogni cosa.
Gesù: “Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me. Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l’avrei detto. Io vado a prepararvi un posto; quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.” (Giovanni 14, 1-4)


Conclusione

Alla luce della Rivelazione che Dio ha donato a don Guido Bortolizzi possiamo offrire un ulteriore analisi sul Santo Graal. Esso è senz’altro l’Eucaristiama solo se presa con fede, consapevoli che Gesù ci offre il Suo Sangue e il Suo Corpo perché, come in una trasfusione, noi 
figli degli uomini
 possiamo per mezzo del Perfetto Sacrificio iniziare un cammino che ci trasformerà in Figli di Dio, cancellando per sempre le tare eretirarie del peccato di Adamo. Da prima solo “adottivi” per mezzo del battesimo, ma infine “figli effettivi” quando l’umanità, pienamente consapevole, metterà fine alla sua spasmodica ricerca orizzontale dell’immortalità, vedendo nel Santissimo l’unico mezzo per la resurrezione univiersale – che avrà già luogo proprio qui, nell’immanente –, come promesso da Gesù Cristo:
Gesù: “Ecco, io faccio nuove tutte le cose […] Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco sono compiute! Io sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio.” (Apocalisse 21, 5-7)
AVE MARIA PURISSIMA!
AMDG et DVM


CARATTERE FIERO DI PAOLO

SAULO


CAPO PRIMO

VIRTU’ E RAPPORTI DI PAOLO VERSO DIO

Prima dote e virtù

Singolare elezione e vocazione di Dio; sua umilissima conoscenza;

ringraziamento ed ammirazione.

I Profeti atterriscono, gli Apostoli persuadono

 l. I. Paolo, per grazia singolare di Dio, fu predestinato fin dall’eternità,

non solo alla fede ed alla santità, ma anche all’apostolato, e ad un

apostolato esimio, affinché, a differenza degli altri Apostoli, diventasse un

ammirabile predicatore del Vangelo, e dottore delle genti di qualsiasi

paese.

 Così egli, parlando della predestinazione di Cristo instauratore di ogni

cosa, dice (Efesini l, 11 s.): «Nel quale siamo stati anche noi chiamati a

sorte secondo il piano di colui che tutto fa secondo il consiglio del suo

volere, affinché riusciamo a sua lode e gloria, noi che da principio

abbiamo sperato in Cristo». E, Dio dice ad Anania di Paolo: «Egli è un

Vaso di elezione da me eletto (eletto da tutta l’eternità, e segregato fra tanti

milioni di uomini) per portare il mio nome davanti ai Gentili, ai re ed ai

figli d’Israele» (Atti 9, 15). Qui si avvera quel detto: «Non dipende da chi

vuole, né da chi corre, ma da Dio che ha misericordia» (Romani 9; 16).

 Gli Apostoli scossero il mondo con l’amore, i Profeti invece col terrore. I

PROFETI ATTERRISCONO, GLI APOSTOLI PERSUADONO. «Dio

infatti usa ora la verga, ora il flagello: la verga per correggere; il flagello

per persuadere. Ora direttamente, ora indirettamente arriva il comando che

flagella, come lenta sferzata, la coscienza del peccatore. Altri sono i terrori

profetici, altre le apostoliche persuasioni: in ambedue però vi è la

disciplina di una parola sola», scrive sant’Ambrogio (22). Lo stesso Santo

dice (23): «Li mandò a seminare la fede, non perché facessero violenza,

ma perché insegnassero; né perché esercitassero la forza del comando, ma

perché innalzassero la dottrina dell’umiltà».

Duplice vocazione di Paolo

 2. II. Paolo, per la stessa grazia di Dio, venne da lui chiamato nel tempo

alla grazia ed all’apostolato, nel medesimo istante. Questa grazia fu

esimia, sia di per sé, sia per il fatto che venne chiamato mentre era

nell’ardore della persecuzione; mentre appunto era spirante minacce e

stragi contro i cristiani. Allora in un baleno, circonfuso di luce divina, da

lupo venne cambiato in agnello, da Saulo venne mutato in Paolo, da

persecutore in predicatore (24). Anzi, appena convertito, subito dopo

l’uccisione e la lapidazione di Stefano, gli successe nella predicazione:

«Quando tacque la voce di Stefano, suonò la tromba di Paolo», dice San G.

Crisostomo (25). Questa fu la sua antecedente vocazione all’apostolato e,

diciamo così, in atto primo; la vocazione conseguente e quasi in atto

secondo l’ebbe quando, ad Antiochia, fu consacrato vescovo e subito fu

inviato ad evangelizzare i gentili, dietro il comando dello Spirito Santo

(Atti 13, 2): «Segregatemi Saulo e Barnaba per l’opera alla quale li ho

assunti». Aggiungasi che Paolo ricevette più abbondante grazia degli altri

Apostoli, perché Dio volle dimostrare che ciò che dà è suo, non dell’uomo;

come un medico dimostra l’eccellenza della sua arte in un malato

disperato, dice sant’Agostino (26). Così che gli altri Apostoli Cristo li

chiamò con parole, dice ancora sant’Agostino (27), Paolo invece lo sforzò

a credere atterrandolo ed accecandolo.

Carattere fiero di Paolo

 3. III. Paolo a questa chiamata di Dio obbedì all’istante, apertamente e

pienamente, dicendo: «Signore, che vuoi ch’io faccia?» (Atti 9, 6). E dopo

battezzato: «subito si mise a predicare Gesù nelle sinagoghe, affermando

che Egli è Figlio di Dio» (Atti 9, 20). «Ma quando a Colui che mi segregò

fin dal seno di mia madre, e mi chiamò per sua grazia, piacque di rivelare

in me il suo Figliolo... io subito, senza dar retta alla carne e al sangue,

ecc.» (Galati l, 15 s.).

 Perciò, subito, si espose per Cristo al pericolo della vita, opponendosi anzi

con l’evangelizzazione, ai giudei che digrignavano contro di lui i denti,

come se fosse un apostata.

 Paolo fu di forte ingegno, di indole ardente, di natura bruciante come

appare dagli Atti degli Apostoli (Atti 9, l). In seguito, venendo la grazia di

Dio ad informare la natura, divenne lo strumento eletto di Dio, efficace ed

esimio; tanto che san Bernardo (28) dice: «Paolo, convertito, divenne

ministro di conversione per tutto il mondo, ecc.; e neppure ora ha cessato

di convertire gli uomini: intendo dire col suo esempio, con la sua

preghiera, con la sua dottrina».

 4. IV. Paolo dappertutto ammira la grazia di Dio in sé, e con ammirevole

umiltà, la esalta e la predica con gratitudine e con gioia. Quasi sempre

inizia le sue lettere così: «Paolo, eletto Apostolo non dagli uomini, né per

mezzo di uomo, ma da Gesù Cristo» (Galati l, 1). E: «A me, dice, il minimo

di tutti i santi, è stata concessa questa grazia di evangelizzare tra i Gentili

le investigabili ricchezze di Cristo, e di illuminare tutti riguardo

all’attuazione del mistero ascoso da secoli in Dio, il quale ha creato ogni

cosa» (Efesini 3, 8 s.).

Se Paolo non avesse predicato, avrebbe gravemente peccato

 5. V. Paolo comprendendo che con tale divina vocazione gli veniva

affidata la predicazione del Vangelo, si stimò a ciò obbligato; tanto da

credere di commettere un grave peccato nel caso che l’avesse omessa. E

ciò lo dice (I Corinti 9, 16): «Infatti l’annunziare il Vangelo non è per me

una gloria, perché ne pesa su me l’obbligo, e guai a me se non avrò

evangelizzato». E: «Dio ha messo in noi la parola della riconciliazione. E’

dunque per Cristo che noi facciamo le veci di ambasciatori, come se Dio

esortasse per mezzo nostro. Per amor di Cristo vi scongiuriamo:

riconciliatevi con Dio» (2 Corinti 5, 19 s.).

 Imitino Paolo coloro che si sentono chiamati da Dio allo stato apostolico,

di modo che obbediscano alacremente e strenuamente cooperino a Dio che

li chiama. Infatti, dice san Basilio (29): «Se non persevereremo sul

fondamento degli Apostoli, edificando cose preziose e degne di onore,

precipiteremo come se fossimo senza appoggio di fondamento, e la nostra

rovina non sarà lieve».

Seconda dote e virtù

La legittima missione

 6. l. Paolo venne istruito immediatamente da Cristo per rivelazione, ed

imparò così il Vangelo, come lui stesso espressamente asserisce (Galati l,

12). Da ciò, alcuni gnostici presero lo spunto per insegnare che, di tutti gli

Apostoli, solo Paolo conobbe la verità, perché per rivelazione, a lui venne

manifestato il mistero: asserzione confutata da Ireneo (30).

Rapimento al terzo cielo; quando avvenne?

 7. Il. Paolo, in procinto di partire per evangelizzare i gentili, venne rapito

al terzo cielo, nell’anno 44 di Cristo, nono dalla sua conversione. Quivi udì

arcane parole, che non è lecito all’uomo pronunziare (2 Corinti 12, 2).

Sembra un novello Mosè mandato da Dio, ed un dottore celeste delle genti

uscito dal cielo.

 S. Bernardo (31): «Tommaso, dice, nel costato, Giovanni sul petto, Pietro

nel seno del Padre, Paolo al terzo cielo, ottennero la grazia di questo

segreto. Tommaso nella sodezza della fede, Giovanni nell’ampiezza della

carità, Paolo nell’intimo della sapienza, Pietro nella luce della verità».

 E sant’Ambrogio (32) scrive: «Osserva che Paolo mentre perseguitava la

Chiesa di Dio era il versante del settentrione (latus Aquilonis). Osserva

che, quando adesso è letto nella Chiesa, è il monte d’osservazione (Sion),

dal quale conosciamo e vediamo la gloria di Cristo».

Conferisce sulla sua dottrina con san Pietro

 8. III. Ciò non ostante, per una mozione di Dio, conferì sul suo Vangelo e

sulla sua dottrina con san Pietro e cogli altri Apostoli, affinché

l’approvassero e gli concedessero una testimonianza della verità di fronte

ai fedeli: «Conferii, scrisse, con loro sul Vangelo che io predico tra i

Gentili, ecc.; per non rischiare di correre o di aver corso invano» (Galati

2, 2). Ed ancora: «Riconosciuta la grazia a me conceduta, Giacomo, Cefa

e Giovanni, che sono riputati le colonne, porsero a me... le destre in segno

di società, perché andassimo tra i Gentili, mentre essi restavano tra i

circoncisi» (Galati 2, 9).

 9. IV. Paolo, sebbene fosse stato eletto Apostolo da Dio, tuttavia ricevette

l’autorità, dalla Chiesa. E’ per comando dello Spirito Santo che venne

consacrato Vescovo dai maggiorenti della Chiesa, e da essi mandato a

predicare ai Gentili (Cfr.: Atti 13, 2). L’ordine gerarchico, istituito da Dio,

esige che gli uomini inferiori siano retti e mandati dagli uomini superiori,

onde non possa subentrare frode o dolo. Così i falsi profeti e gli eretici

mentono, quando asseriscono di essere mandati da Dio, essendo invece

mandati dal demonio. Per tanto rigettano ogni missione e direzione dei

Pontefici della Chiesa; e di essi giustamente si lamenta il Signore per

bocca di Geremia (Geremia 23, 21), dicendo: «Io non mandavo questi

profeti ed essi correvano; io non parlavo loro, ed essi profetavano».

Consulta gli Apostoli

 10. V. Paolo, nei dubbi e nelle controversie delle prescrizioni legali, va da

san Pietro e dagli Apostoli, e seguendo la loro sentenza, la propose a tutta

la Chiesa antiochena, affinché l’accettassero e l’osservassero (Cfr. Atti 15).

 Così san Girolamo (33), sebbene fosse dottore della Chiesa, scrive a

Damaso Pontefice, per chiedergli la decisione della questione: «Se in Dio

vi siano tre ipostasi, od una sola». «Dal pastore, disse, chiedo, io pecorella,

con istanza, la tutela. Parlo col successore del pescatore e col discepolo

della croce. Io, non seguendo nessuno prima di te, se non Cristo, mi unisco

in comunione alla beatitudine tua, ossia alla cattedra di Pietro. So che la

Chiesa è edificata su tale pietra, ecc. Chiunque non raccoglie teco,

disperde; ossia chi non è di Cristo, è dell’Anticristo».


Terza dote e virtù

Fede eccellente e potente, anche per operare miracoli

 11. 1. Paolo eccellente nella fede. Infatti, come dottore la predicò

ovunque, e la difese contro i giudei, i filosofi, gli Oratori, i maghi, i re, i

tiranni. Ottimamente san G. Crisostomo (34), spiegando il detto: «Quelli

però gridavano sempre più forte», scrive: «Tale è la natura della fede, che

più si vuol reprimere, più divampa. La virtù della fede è sicura tra i

pericoli, nella sicurezza pericolo. Che cosa infatti rilassa il vigore della

fede più di una prolungata tranquillità?».

 Lo stesso Santo (35) soggiunge: «Lampada è la fede; come la lampada

illumina la casa, così la fede l’anima». E, spiegando quell’articolo del

Credo: Credo in Dio (36): «La fede, dice, è lume dell’anima, porta della

vita, fondamento dell’eterna salvezza».

La fede vede ed è vista

 12. II. Paolo, rapito al terzo cielo, vide quei misteri che crediamo per fede

(Cfr. 2Corinti 12, 2). Anzi sant’Agostino (37) insegna che la nostra fede, a

suo modo, vede ed è vista, cioè nelle sue opere ed effetti. Così nuovamente

Paolo, dimostrò a tutto il mondo la cospicua ed ingente sua fede, con delle

opere eroiche.

 Sapientemente san Bernardo (38) dice: «La morte della fede è la

separazione della carità. Credi in Cristo? Fa le opere di Cristo, perché viva

la tua fede. L’amore animi la tua fede, l’azione la provi, Nessun’opera

terrena incurvi colui che la fede delle cose divine innalzò». E

sant’Ambrogio (39): «La fede cristiana, dice, a somiglianza del granello di

senapa, sembra a prima vista cosa piccola, vile, tenue, non ostentante la

sua potenza; quando poi diverse tentazioni hanno cominciato a colpirla,

allora manifesta il suo vigore ed esterna la sua forza, spira fervida

credenza nel Signore, ed è agitata da tanto ardore di fuoco divino, da

ardere essa stessa, e da costringere ad ardere ciò che ha con essa

attinenza».

 13. III. Paolo ricorda qua e là la fede sua, quella degli Apostoli e dei

Profeti (Cfr.: Ebrei c. 11). «La fede, scrive, è sostanza di cose da sperare,

e convinzione di cose che non si vedono» (Ebrei 11, 1). Si leggano pure le

altre cose che seguono.

Forza della fede in Paolo e nei Martiri

 14. IV. Paolo costantemente sopportò per la fede enormi fatiche, viaggi,

pericoli, battiture, carceri, ed infine la morte ed il martirio. Sant’Agostino

(40) esalta la fede del buon ladrone, poiché confessò, dalla croce, Cristo:

«Solamente è testimonio della maestà, dice, chi è riconosciuto compagno

di dolore».

 Maggiore fu la fede di Paolo, il quale non solamente soffrì con Cristo, ma

per Cristo tanti e così grandi dolori patì. Egregiamente scrive san Cipriano

(41): «La fede ed il timor di Dio ti devono disporre a qualsiasi cosa. Venga

pure la perdita delle cose familiari, venga pure l’assidua e cruenta

vessazione delle membra per opera di malattie infestanti, la triste

separazione dalla moglie e dai figli: non ti debbono tali cose essere di

scandalo, ma occasione di lotta; non debbono queste sventure indebolire

od abbattere la fede del cristiano, ma piuttosto devono farne risaltare, nella

lotta, la virtù; ogni ingiuria dei mali presenti si deve disprezzare, per la

speranza nei beni futuri. Se non precede la lotta non vi può essere la

vittoria; quando, sopportata la lotta, segue la vittoria, allora si concede ai

vincitori la corona. Il pilota dà prova di sé nelle tempeste, il soldato, nella

battaglia. L’albero di profonde radici non viene smosso ancorché i venti lo

investano. Così l’apostolo Paolo, dopo i naufragi; dopo le flagellazioni,

dopo molti e gravi tormenti della carne e del corpo, dice di non essere

abbattuto, ma di essere migliorato dalle avversità: poiché quanto più

gravemente è tormentato, altrettanto è più veracemente provato».

 Lo stesso Santo (42) scrive: «Il Signore volle che noi godessimo ed

esultassimo nelle persecuzioni, poiché, quando vi sono persecuzioni, si

danno corone alla fede, si riconoscono i militi di Dio, allora si aprono i

cieli ai martiri». E, più avanti (43), continua: «La forza della virtù e della

fede consiste nel credere e sapere che Dio può liberarci dalla morte

presente, e tuttavia non temere la morte, né cedere, onde la fede possa

avere una prova più forte». Ed ancora (44): «La forza della fede deve, o

fratello carissimo, rimanere presso di noi, immobile; ed una virtù stabile ed

inconcussa, contro ogni attacco ed ogni impeto dei rumorosi flutti, deve

resistere come scoglio che oppone la sua mole e la sua forza».

 15. V. Paolo ebbe la fede dei miracoli, che operò numerosissimi sulle

forze della natura, su ogni forza creata degli angeli e dei demoni, e

risuscitò i morti, come scrive Luca (Atti 19, 12): «Si portava ai malati i

fazzoletti ed i grembiuli stati sul corpo di lui, e da essi partivano le

malattie ed uscivano gli spiriti maligni».

Sant’Agostino (45) insegna che gli Apostoli ricevettero in tre maniere lo

Spirito Santo. La prima, come fedeli, per la grazia santificante; la seconda,

come Vescovi, Per conferire ad altri lo Spirito Santo nel Sacramento della

Confermazione e dell’Ordine; la terza come taumaturghi «per fare segni e

miracoli, ad incremento della fede. I miracoli, difatti, operati dagli

Apostoli, sono semi di fede».

AVE MARIA PURISSIMA!

Vita e spiritualità di san Giovanni della Croce

 


San Giovanni della Croce

Biografia

Giovanni della Croce (Juan de Yepes Álvarez) nasce a Fontiveros (Avila) nel 1542. Ha due fratelli: Francesco e Luigi. Suo padre Gonzalo muore quando Giovanni è molto piccolo. I parenti toledani hanno diseredato Gonzalo a motivo del matrimonio con Catalina, di un ceto sociale inferiore.

È per questo che sono poveri, e lo diventeranno ancor di più alla morte del padre.

Catalina parte verso le terre toledane per chiedere aiuto ai familiari di Gonzalo: va a Torrijos, ma senza esito; prosegue fino a Gálvez, dove il medico del paese accoglie Francesco. Catalina ritorna a Fontiveros con Giovanni. Dopo un anno va a Gálvez e ritorna a casa con Francesco e Giovanni perché le cose non erano andate bene. Si trasferiscono ad Arevalo, ma ritornano probabilmente a Fontiveros per partire verso Medina del Campo. Data la povertà, Catalina può far entrare il piccolo Giovanni nel Collegio della Dottrina. Viene anche ammesso come infermiere nell’Ospedale della Concezione o “de las Bubas” (dei tumori), ed è pure alunno esterno del Collegio dei Gesuiti dal 1559 al 1563.

Nel 1563 entra nell’Ordine del Carmelo di Sant’Anna a Medina come novizio e professa l’anno seguente. Subito passa a studiare nell’Università di Salamanca: tre anni di filosofia come alunno ordinario e uno di teologia (1567-1568). Quest’ultimo, dopo l’incontro con Santa Teresa a Medina durante le vacanze del 1567.

La Santa lo distoglie dall’idea di farsi certosino. Accetta la richiesta della Madre perché entri nella nuova famiglia carmelitana che sta organizzando, però le pone la condizione che la faccenda non vada per le lunghe.

Ritornato a Salamanca nel 1568, continua a dialogare con santa Teresa sulla nuova vita carmelitana. L’accompagna nella fondazione del monastero di Valladolid e si informa accuratamente di tutto. Terminato quel particolare noviziato, Giovanni va a Duruelo (Avila) per adattare la casetta, donata alla Santa, come primo convento dei frati.

L’inaugurazione ufficiale è il 28 novembre 1568. La Santa visita la comunità durante la Quaresima del 1569.

Giovanni della Croce è nominato maestro dei novizi a Duruelo e con quest’incarico passa a Mancera, dove i frati traslocano definitivamente nel 1570. Nello stesso anno, è chiamato a riorganizzare il noviziato di Pastrana (Guadalajara). Ritorna a Mancera. Nell’aprile del 1571 una nuova destinazione: Rettore del Collegio di Alcalà de Henares. L’anno seguente, probabilmente in maggio, è richiesto da santa Teresa come confessore del grande monastero dell’Incarnazione, ad Avila, di cui ella è priora.

Ad Avila trascorre cinque anni, si rende famoso come esorcista per il suo potere contro gli spiriti maligni e come insigne direttore spirituale. Da Avila è preso a forza dai carmelitani calzati che lo imprigionano nel convento di Toledo. Dopo nove mesi di carcere fugge nell’agosto del 1578.

Nel 1578 ad Almodovar del Campo (Ciudad Real) partecipa al capitolo degli Scalzi, dove viene nominato superiore del convento del Calvario (Jaen). Parte per il nuovo convento in Andalusia e da lì, nel 1579, fonda il convento-collegio dell’Ordine nella città universitaria di Baeza, ove sarà Rettore.

 

Nel gennaio del 1582 è trasferito a Granada. In essa, nel convento dei Santi Martiri è nominato per tre volte priore. Nel 1585 è Vicario Provinciale dell’Andalusia. Da Baeza partecipa al Capitolo di Alcala de Henares che sancisce la separazione della Provincia degli Scalzi (1581). Partecipa ai successivi Capitoli: Almodovar 1583, Lisbona-Pastrana 1585, Valladolid 1587, Madrid 1588, 1590, 1591. Nel Capitolo del 1588 è la seconda autorità dell’Ordine e come tale si trasferisce a Segovia come membro del nuovo Governo della Consulta, presiedendo le sessioni quando è assente il Vicario Generale Nicola Doria. Costruisce un nuovo convento a Segovia. Parte da Segovia per la Peñuela nell’agosto del 1591. Si ammala e il 28 settembre è trasferito a Ubeda. Soffre non poco a causa del priore del convento e per l’infame persecuzione di Diego Evangelista. Muore ad Ubeda il 14 dicembre del 1591. Il suo corpo è traslato a Segovia nel 1593.

Opera

A Giovanni piaceva più parlare che scrivere su argomenti spirituali; la sua vocazione più profonda è il magistero orale. Ha scritto spontaneamente i Detti di luce e amore, le Lettere, le Cautele e poco altro, mentre i grandi trattati: Salita-Notte, Cantico e Fiamma li ha composti dietro richiesta di frati, monache e laici.

Per farsi un’idea della produzione letteraria di san Giovanni della Croce basta prendere una delle buone edizioni che circolano attualmente. Normalmente si dividono tra Opere maggiori e Scritti brevi.

Le Opere minori si chiamano anche Scritti brevi, ma ciò non significa che siano meno importanti o abbiano un contenuto inferiore agli altri scritti; si chiamano così solo per la minore quantità di pagine.

Se tra gli Scritti brevi inseriamo le Poesie e in particolare i poemi che sono la base delle grandi opere e il loro commento, comprenderemo meglio il valore delle Opere minori.

Sulla vecchia questione da dove convenga cominciare a leggere san Giovanni della Croce, è più semplice ed efficace cominciare dagli Scritti brevi, che dal punto di vista cronologico precedono generalmente i grandi trattati.

Dalla lettura attenta e amorosa dei grandi poemi nascerà nel lettore il desiderio di conoscere il loro significato, il contenuto di tutto il mondo meraviglioso delle poesie, e sarà spinto a leggere i commenti in prosa.

Spiritualità

La spiritualità di San Giovanni della Croce è eminentemente teologale. Lo schema teologale che il santo fissa in 2S (Secondo libro della Salita al Monte Carmelo) cap. 6, illumina e organizza perfettamente tutto il suo magistero. Da questo capitolo fino al termine della Salita, si delinea una chiara dottrina teologale, imbevuta della Parola di Dio, di cui Giovanni della Croce è innamorato; in questa stessa chiave presenta i misteri della fede (le “lampade di fuoco” degli attributi divini), il mondo dell’innamoramento reciproco tra Gesù Cristo e la persona, quale appare nei dittici Salita-Notte e Cantico-Fiamma. Con esattezza si è scritto del magistero sangiovanneo: “La vita teologale è attualizzazione e formazione degli atteggiamenti e dei comportamenti della persona attraverso le tre virtù teologali. Queste integrano, orientano, danno impulso e trasformano la persona e la vita, proiettandola totalmente verso Dio. Vita di fede, speranza e carità con tutto ciò che comporta di esigenze divine e rinunce umane, spirituali e terrene” (Isaia Rodríguez, “La vida teologal según el Vaticano II y San Juan de la Cruz”, in Revista de Espiritualidad 27 (1968), 477).

È utile riportare una lettera di Edith Stein scritta il 30 marzo del 1940, che si riferisce ad un aspetto molto importante della spiritualità di San Giovanni della Croce. Edith Stein riceve una lettera da Agnella Stadtmüller, religiosa domenicana, dottore in filosofia e sua amica, che le domanda che cosa intende san Giovanni della Croce per “amore puro”. Edith risponde con queste parole: “Per amore puro, San Giovanni della Croce intende l’amore di Dio per Dio stesso; è l’amore di un cuore libero da ogni attaccamento a ogni cosa creata: a se stesso e al resto delle creature, ma anche ad ogni consolazione e cose simili che Dio può concedere all’anima o ad ogni forma di devozione speciale, ecc. È l’amore di un cuore che non desidera altro che si compia la volontà di Dio, che si lasci guidare da Lui senza resistenza. Ciò che la persona può fare per arrivare fino a quest’amore è ampliamente trattato nell’opera Salita al monte Carmelo. Come Dio purifica l’anima, nel libro della Notte oscura. Il risultato si trova nella Fiamma di amor viva e nel Cantico spirituale. Fondamentalmente, si trova tutto il cammino in ciascuna delle opere; in particolare, in ognuna di esse si accentua un aspetto sugli altri. Però se si desidera apprendere l’essenziale, esposto in modo breve, allora si leggano gli Scritti brevi”.

Luoghi

“La vita di Giovanni della Croce si svolge in Spagna; trascorre solo alcuni giorni in Portogallo. Il luogo più settentrionale della penisola iberica da lui toccato è Valladolid, dove accompagna Teresa nel 1568; vi ritorna nel 1574 per deporre dinanzi all’Inquisizione a riguardo della posseduta di Avila, Maria de Olivare Guillamas, e ancora nel 1587 per il Capitolo della nuova Provincia degli Scalzi. Il punto più lontano, toccato varie volte, è la città di Malaga; ad ovest, si reca a Lisbona nel 1585, mentre il limite orientale è la città di Caravaca, visitata più volte dal santo. In questo ridotto spazio geografico, percorre 27000 km circa, camminando quasi sempre a piedi o sul dorso di un umile asinello” (José Vicente Rodríguez, San Juan de la Cruz, La biografía, Ed. San Pablo, Madrid 2012, 61).

Geografia sangiovannea:

Fontiveros: dove nasce e riceve il battesimo.

Medina del Campo: frequenta il Collegio della Dottrina, presta servizio agli infermi dell’Ospedale, studia dai Gesuiti, ed entra nell’Ordine dei Carmelitani, dove professa nel 1565.

Salamanca: studente di Filosofia e Teologia nell’Università. Vive nel collegio carmelitano di sant’Andrea. Ordinato sacerdote nel 1667. Nel 1567 e 1568 si incontra con santa Teresa a Medina. Accompagna la Santa a Valladolid, rimanendo nella nuova fondazione per oltre un mese.

Duruelo-Mancera. A Duruelo adatta la casa per ricavarne un conventino, il primo dove s’inaugurerà la rinnovata vita carmelitana nel novembre del 1568. A Duruelo e Mancera è nominato Maestro dei novizi.

Avila: cinque anni (1572-1577).

Toledo, dopo nove mesi di carcere fugge rischiando la vita.

El Calvario: Priore del convento.

Baeza: nel 1580 fonda il collegio in questa città universitaria. È nominato Rettore del convento.

Granada: arriva nel gennaio del 1582 e vi rimane fino all’estate del 1588.

Segovia: 1588-1591.

La Peñuela: Agosto-settembre1591.

Úbeda: dove muore. I suoi resti riposano a Segovia dal 1593.

AMDG et DVM

domenica 24 ottobre 2021

IL DOMENICO DI QUESTI TEMPI NELLA PROPAGAZIONE DEL R O S A R I O

 C A P Í T U L O X V I I I

De algunas cosas notables que me han dado a conocer Dios y la

Santísima Virgen María



674. 1855. El día 12 de julio de 1855, a las 5 1/2 de la tarde, en que concluí la Carta

pastoral de la Inmaculada Concepción, me arrodillé delante de la imagen de María para

darle gracias de haberme ayudado en escribir aquella carta, y de repente y de sorpresa oí

una voz clara y distinta desde la imagen que me dijo: Bene scripsisti. Dichas palabras me

hicieron una muy profunda impresión, con deseos muy grandes de ser perfecto.

675. 1857. El día 15 de enero, a las 5 de la tarde, del año 1857, estando

contemplando a Jesús, dije: ¿Qué queréis que haga, Señor? Y Jesús me dijo: Ya

trabajarás, Antonio; no es hora todavía.

De algunos días a esta parte, tengo muchos consuelos espirituales, singularmente

en la Misa y en la Meditación.

676. 1857. El día 8 de octubre, a las 12 1/2, del año 1857, me dijo la Santísima

Virgen María lo que había de hacer para ser muy bueno... Ya lo sabes: arrepentirte de las

faltas de la vida pasada y vigilancia en lo venidero... ¿Oyes, Antonio?, me repitió; vigilancia

en lo venidero. Sí, sí, yo te lo digo.

677. El día 9 del mismo mes, a las cuatro de la madrugada, la Santísima Virgen

María me repitió lo que ya me tenía dicho otras veces: que yo había de ser el Domingo de

estos tiempos en la propagación del Rosario. 

678. En el día 21 de diciembre del mismo año se me dieron cuatro avisos: 1.° Más

oración. 2.° Escribir libros. 3.° Dirigir almas. 4.° Más tranquilidad en estar en Madrid. Dios

así lo ha dispuesto.

679. En el día 25, Dios me infundió amor a las persecuciones y calumnias. El Señor

me favoreció aún con un sueño en la noche siguiente. Soñé que me hallaba preso por una

cosa de la que era inocente. Yo no dije nada, pensando que era un regalo que me hacía el

cielo, que me trataba como a Jesús, y así me callé, como Jesús. Todos los amigos me

abandonaron, como a Jesús. Y a uno que me quería defender, como San Pedro, que quería

defender a Jesús, yo le dije: ¿Tú no quieres que yo beba el cáliz que me ha enviado mi

Padre?.

680. 1859. En el día 6 de enero del año 1859, el Señor me dio a conocer que yo soy

como la tierra; en efecto, tierra soy. La tierra es pisada y calla: yo debo ser pisado y debo

callar. La tierra sufre el cultivo: yo debo sufrir la mortificación. La tierra, finalmente, necesita

agua para producir: yo necesito la gracia para hacer obras buenas.

681. En el día 21 de marzo, en la Meditación de la Samaritana sobre aquellas

palabras: Ego sum qui loquor tecum, entendí grandes y muy grandes cosas. A la

Samaritana le comunicó fe, con que creyó; le dio dolor de sus pecados, con que se

arrepintió; le dio gracia, con que predicó a Jesús; Así, a mí, fe, dolor y misión de predicar.

682. A Moisés le dijo: Ego sum, y le envió a Egipto. Jesús [dijo] a los Apóstoles que

se hallan en la mar: Ego sum, y se animaron. Jesús dijo: Ego sum a Saulo, y se convirtió y

fue grande predicador: ita... [así...].

683. En el día 27 de abril me prometió el divino amor y me llamó Antoñito mío.

684. En el día 4 de septiembre, a las 4 y 25 m. de la madrugada, me dijo Jesucristo:

La mortificación has de enseñar a los Misioneros, Antonio. A los pocos minutos me dijo la

Santísima Virgen: Así harás fruto, Antonio.

685. En el día 23 de septiembre, a las 7 1/2 de la mañana, me dijo el Señor: Volarás

por medio de la tierra o andarás con grande velocidad y predicarás los grandes castigos

que se acercan. El Señor me dio a conocer grandes cosas sobre aquellas palabras del

Apoc 8,13: Et vidi et audivi vocem unius aquilae, que volaba por medio del cielo y decía con

grande y esforzada voz: ¡ay!, ¡ay!, ¡ay! de los habitantes de la tierra a causa de los tres

castigos que van a venir; estos castigos son:

1.° El protestantismo, comunismo...

2.° Los cuatro archidemonios, que promoverán de un modo espantoso el amor a los

placeres —el amor al dinero —la independencia de la razón —la independencia de la

voluntad.

3.° Las grandes guerras y sus consecuencias.

686. En el día 24 de septiembre, día de Na. Sa. de la Merced, a las 11 1/2 del día, el

Señor me hizo entender aquello del Apoc X, v.1. Ví también otro ángel valeroso bajar del

cielo revestido de una nube, y sobre su cabeza el arco iris, y su cara era como el sol, y sus

pies como columnas de fuego. El cual tenía en su mano un libro abierto, y puso su pie

derecho sobre el mar, y el izquierdo sobre la tierra (primero en su diócesis en la Isla de

Cuba y después en las demás diócesis). Y dio un grande grito, a manera de un león cuando

ruge. Y después que hubo gritado, siete truenos articularon sus voces. Aquí vienen los hijos

de la Congregación del Inmaculado Corazón de María; dice siete, el número es indefinido;

aquí quiere decir todos. Los llama truenos porque como truenos gritarán y harán oír sus

voces; también por su amor y celo, como Santiago y San Juan, que fueron llamados hijos

del trueno. Y el Señor quiere que yo y mis compañeros imitemos a los apóstoles Santiago y

San Juan en el celo, en la castidad y en el amor a Jesús y a María.

687. El Señor me dijo a mí y a todos estos Misioneros compañeros míos: Non vos

estis qui loquimini sed Spiritus Patris vestri, et Matris vestrae qui loquitur in vobis. Por 

manera que cada uno de nosotros podrá decir: Spiritus Domini super me, propter quod unxit

me, evangelizare pauperibus misit me, sanare contritos corde.

688. En el día 15 de octubre de 1859, día de Santa Teresa, había de ser asesinado.

El asesino entró en la Iglesia de San José, de Madrid, calle de Alcalá, y para pasar el

tiempo y con mala intención entró en la Iglesia, y se convirtió por intercesión de San José,

como el Señor me lo dio a conocer. El asesino me vino a hablar y me dijo que era uno de

las logias secretas, y mantenido por ellas, y que le había caído la suerte de haberme de

asesinar, y que, si no me asesinaba dentro de cuarenta días, él sería asesinado, como él

mismo había asesinado a otros que no habían cumplido. El que me había de asesinar lloró,

me abrazó, lloró y me besó y se fue a esconderse para que no le matasen a él por no haber

cumplido su encargo.

689. He pasado por grandes penas, calumnias y persecuciones; todo el infierno se

ha conjurado contra mí.

690. 1860. En el día 7 de junio, a las 11 1/2, del año 1860, día del Corpus, después

de la Misa en Santa María antes de la procesión que yo debía presidir, estando en oración

delante del Santísimo Sacramento con mucho fervor y devoción, y de repente y como de

sorpresa me dijo Jesús: Está bien y me gusta el libro que has escrito. Este libro es el primer

tomo del Colegial o Seminarista, que el día anterior había concluido, y conocí claramente

que me hablaba de este libro. Cuando concluí el segundo tomo, también se dignó

aprobarlo.

691. En el día 22 de Noviembre de 1860 me hallaba muy agobiado al ver que había

de cargar con todo lo de El Escorial. Esta pena no me dejaba descansar de día ni dormir de

noche; viendo que no podía dormir, me levanté, me vestí y me puse en oración, y haciendo

presente a Dios mis penas, oí con voz espiritual muy clara e inteligible que el Señor me

decía: Animo, no te desalientes, y yo te ayudaré.

692. 1861. En el día 2 de marzo de 1861, Jesucristo se dignó aprobarme la hoja que

había escrito de la pasión.

693. En el día 6 de abril de 1861 fui avisado de no apurarme; que hiciera cada cosa

como si no tuviera que hacer otra cosa más que aquella que tengo entre manos, sin perder

la mansedumbre.

En el día 15 de junio de 1861 me dijo Jesús: Toma paciencia; ya trabajarás.

694. En el día 26 de agosto de 1861, hallándome en oración en la Iglesia del

Rosario, en La Granja, a las 7 de la tarde, el Señor me concedió la gracia grande de la

conservación de las especies sacramentales y tener siempre, día y noche, el Santísimo

Sacramento en el pecho; por lo mismo, yo siempre debo estar muy recogido y devoto

interiormente; y además debo orar y hacer frente a todos los males de España, como así

me lo ha dicho el Señor. Al efecto me ha traído a la memoria una porción de cosas: cómo

sin mérito, sin talento, sin empeño de personas, me ha subido de lo más bajo de la plebe al

puesto más encumbrado, al lado de los reyes de la tierra; y ahora al lado del Rey del cielo...

Glorificate et portate Deum in corpore vestro. 1 Cor VI.20.

695. En el día 27 de agosto de 1861, en la misma Iglesia, durante la bendición del

Santísimo Sacramento que di después de la Misa, el Señor me hizo conocer los tres

grandes males que amenazan la España, y son: el Protestantismo, mejor dicho, la

descatolización; la república y el Comunismo. Para atajar a estos tres males me dio a

conocer que se había de aplicar tres devociones: el Trisagio, el Santísimo Sacramento y el

Rosario.

696. El Trisagio, rezándolo cada día. El Santísimo Sacramento, oyendo la Misa,

recibiéndole con frecuencia y devoción sacramental y espiritualmente. El Rosario, rezando

las tres partes cada día, o a lo menos una; meditando los misterios, aplicándolos a las

costumbres propias. 

697. En la conversión de San Pedro, el Señor me hizo conocer lo que allí pasó:

Pedro faltó, negó a Jesús. El gallo cantó, pero Pedro no se convierte. El gallo cantó otra

vez, y entonces se convierte Pedro, porque Jesús le miró; Jesús, que es aquel Señor que

mira la tierra y la hace estremecer, qui respicit terram et facit eam tremere. Conocí que yo

había de predicar una y segunda vez, y al propio tiempo orar a fin de que el Señor se digne

mirar con ojos de piedad y clemencia a los hombres terrenos y los haga temblar, y

estremecer, y convertir.

698. 1862. En el día 11 de mayo de 1862, hallándome en la Capilla de Palacio de

Aranjuez, a las 6 1/2 de la tarde, en la reserva del Santísimo Sacramento, me ofrecí a Jesús

y a María para predicar, exhortar y a pasar trabajos, y a la muerte misma, y el Señor se

dignó aceptarme.

699. Me siento llamado a escoger, entre dos cosas de igual gloria de Dios, lo más

pobre, lo más humillante y lo más doloroso y lo más humillante.

700. En el día 16 de mayo de 1862, a las 4 1/4, estando en oración se me ocurrió lo

que en el día anterior había copiado aquí respecto del Santísimo Sacramento del día 26 de

agosto del año pasado. Yo ayer pensaba borrarlo, y hoy también; la Santísima Virgen me

ha dicho que no lo borrase; y después en la Misa me ha dicho Jesucristo que me había

concedido esta gracia de permanecer en mi interior sacramentalmente. 

da:  http://www.latinamericanstudies.org/religion/claret.pdf

AMDG et DVM