"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
lunedì 4 ottobre 2021
PREGHIERA DI GUARIGIONE: La croce di Dozulé — La cruz de Dozulé
LA GRAZIA
6 giugno 1943
Ore 4,30 antimeridiane
«Quest’oggi voglio parlarti della “grazia”. Vedrai che ha attinenza con gli altri argomenti anche se a tutta prima non ti pare. Sei un po’ stanca, povera Maria, ma scrivi lo stesso. Queste lezioni ti serviranno per i giorni di digiuno in cui Io, tuo Maestro, non ti parlerò.
Cosa è la grazia? L’hai studiato e spiegato molte volte. Ma Io te lo voglio spiegare a modo mio nella sua natura e nei suoi effetti.
La grazia è possedere in voi la luce, la forza, la sapienza di Dio. Ossia possedere la somiglianza intellettuale con Dio, il segno inconfondibile della vostra figliolanza in Dio.
Senza la grazia sareste semplicemente delle creature animali, arrivate ad un tale punto di evoluzione da essere provvedute di ragione, con un’anima, ma un’anima a livello di terra, capace di condursi nelle contingenze della vita terrena ma incapace di elevarsi nelle plaghe in cui si vive la vita dello spirito. Poco di più dei bruti, perciò, i quali si regolano soltanto per istinto e, in verità, vi superano molto spesso col loro modo di condursi.
La grazia è dunque un dono sublime, il più grande dono che Dio, mio Padre, vi poteva dare. E ve lo dà gratuitamente perché il suo amore di Padre, per voi, è infinito come infinito è Lui stesso. Volere dire tutti gli attributi della grazia vorrebbe dire scrivere una lunga lista di aggettivi e sostantivi, e non spiegherebbero ancora perfettamente cosa è questo dono.
Ricorda solo questo: la grazia è possedere il Padre, vivere nel Padre; la grazia è possedere il Figlio, godere dei meriti infiniti del Figlio; la grazia è possedere lo Spirito Santo, fruire dei suoi sette doni. La grazia, insomma, è possedere Noi, Dio Uno e Trino, ed avere intorno alla vostra persona mortale le schiere degli angeli che adorano Noi in voi.
Un’anima che perde la grazia perde tutto. Per lei inutilmente il Padre l’ha creata, per lei inutilmente il Figlio l’ha redenta, per lei inutilmente lo Spirito Santo l’ha infusa dei suoi doni, per lei inutilmente sono i Sacramenti. È morta. Ramo putrido che sotto l’azione corrosiva del peccato si stacca e cade dall’albero vitale e finisce di corrompersi nel fango. Se un’anima sapesse conservarsi come è dopo il Battesimo e dopo la Confermazione, ossia quando essa è imbibita letteralmente dalla grazia, quell’anima sarebbe di poco minore a Dio. E questo ti dica tutto.
Quando leggete i prodigi dei miei santi, voi strabiliate. Ma, mia cara, non c’è nulla da strabiliare. I miei santi erano creature che possedevano la grazia, erano dèi, perciò, perché la grazia vi deifica. Non l’ho forse detto[33] Io nel mio Vangelo che i miei faranno gli stessi prodigi che Io faccio? Ma per essere miei occorre vivere della mia Vita, ossia della vita della grazia.
Se voleste, potreste tutti essere capaci di prodigi, ossia di santità. Anzi Io vorrei che lo foste, perché allora vorrebbe dire che il mio Sacrificio è stato coronato da vittoria e che Io vi ho realmente strappati all’impero del Maligno, relegandolo nel suo Inferno, ribattendo sulla bocca di esso una pietra inamovibile e ponendo su essa il trono di mia Madre, che fu l’Unica che tenne il suo calcagno sul dragone[34], impotente di nuocerle.
Non tutte le anime in grazia possiedono la grazia nella stessa misura. Non perché Noi la si infonda in misura diversa, ma perché in diversa maniera voi la sapete conservare in voi. Il peccato mortale distrugge la grazia, il peccato veniale la sgretola, le imperfezioni la anemizzano. Vi sono anime, non del tutto cattive, che languono in una etisia spirituale perché, con la loro inerzia, che le spinge a compiere continue imperfezioni, sempre più assottigliano la grazia, rendendola un filo esilissimo, una fiammolina languente. Mentre dovrebbe essere un fuoco, un incendio vivo, bello, purificatore. Il mondo crolla perché crolla la grazia nella quasi totalità delle anime e nelle altre langue.
La grazia dà frutti diversi a seconda che più o meno è viva nel cuore vostro. Una terra è più fertile quanto più è ricca di elementi e beneficiata dal sole, dall’acqua, dalle correnti aeree. Vi sono terre sterili, magre, che inutilmente vengono irrorate dall’acqua, scaldate dal sole, corse dai venti. Lo stesso è delle anime. Vi sono anime che con ogni studio si caricano di elementi vitali e perciò riescono a fruire del cento per cento degli effetti della grazia.
Gli elementi vitali sono: vivere secondo la mia Legge, casti, misericordiosi, umili, amorosi di Dio e del prossimo; vivere di preghiera “viva”. Allora la grazia cresce, fiorisce, mette radici profonde e si eleva in albero di vita eterna. Allora lo Spirito Santo, come un sole, inonda dei suoi sette raggi, dei suoi sette doni; allora Io, Figlio, vi penetro della pioggia divina del mio Sangue; allora il Padre vi guarda con compiacenza vedendo in voi la sua somiglianza; allora Maria vi carezza stringendovi sul seno che ha portato Me come i suoi figliolini minori ma cari, cari al suo Cuore; allora i nove angelici cori fanno corona alla vostra anima, tempio di Dio, e cantano il “Gloria” sublime; allora la vostra morte è Vita e la vostra Vita è beatitudine nel mio Regno.»
L'ANGELO DEL GIORNO 4 di ottobre
L'ANGELO DEL GIORNO
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SAN FRANCESCO. PATRONO D'ITALIA.
Incomincia la vita
del beato Francesco
CAPITOLO I
Condotta di Francesco da secolare
1027 1. Vi fu, nella città di Assisi, un uomo di nome Francesco, la cui memoria è in benedizione,
perché Dio, nella Sua bontà, lo prevenne con benedizioni straordinarie e lo sottrasse, nella sua
clemenza, ai pericoli della vita presente e, nella sua generosità, lo colmò con i doni della
grazia celeste .
Nell'età giovanile, crebbe tra le vanità dei vani figli degli uomini.
Dopo un'istruzione sommaria, venne destinato alla lucrosa attività del commercio.
Assistito e protetto dall'alto, benché vivesse tra giovani lascivi e fosse incline ai piaceri,
non seguì gli istinti sfrenati dei sensi e, benché vivesse tra avari mercanti e fosse intento ai
guadagni, non ripose la sua speranza nel denaro e nei tesori.
1028 Dio, infatti, aveva infuso nell'animo del giovane Francesco un sentimento di generosa
compassione, che, crescendo con lui dall'infanzia, gli aveva riempito il cuore di bontà, tanto che
già allora, ascoltatore non sordo del Vangelo, si propose di dare a chiunque gli chiedesse,
soprattutto se chiedeva per amore di Dio.
Una volta, tutto indaffarato nel negozio, mandò via a mani vuote contro le sue
abitudini, un povero che gli chiedeva l'elemosina per amor di Dio. Ma subito, rientrato in se
stesso, gli corse dietro, gli diede una generosa elemosina e promise al Signore Iddio che,
d'allora in poi, quando ne aveva la possibilità, non avrebbe mai detto di no a chi gli avesse
chiesto per amor di Dio.
E osservò questo proposito fino alla morte, con pietà instancabile, meritandosi di
crescere abbondantemente nelI'amore di Dio e nella grazia.
Diceva, infatti, più tardi, quando si era ormai perfettamente rivestito dei sentimenti di
Cristo, che, già quando viveva da secolare, difficilmente riusciva a sentir nominare l'amore di
Dio, senza provare un intimo turbamento.
1029 La dolce mansuetudine unita alla raffinatezza dei costumi; la pazienza e l'affabilità più
che umane, la larghezza nel donare, superiore alle sue disponibilità che si vedevano fiorire in
quell'adolescente come indizi sicuri di un'indole buona, sembravano far presagire che la
benedizione divina si sarebbe riversata su di lui ancora più copiosamente nell'avvenire.
Un uomo di Assisi, molto semplice, certo per ispirazione divina, ogni volta che
incontrava Francesco per le strade della città, si toglieva il mantello e lo stendeva ai suoi piedi,
proclamando che Francesco era degno di ogni venerazione, perché di lì a poco avrebbe
compiuto grandi cose, per cui sarebbe stato onorato e glorificato da tutti i cristiani .
1030 2. Ma Francesco non conosceva ancora i piani di Dio sopra di lui: impegnato, per
volontà del padre nelle attività esteriori e trascinato verso il basso dalla nostra natura corrotta
fin dall'origine, non aveva ancora imparato a contemplare le realtà celesti né aveva fatto
l'abitudine a gustare le realtà divine.
E siccome lo spavento fa comprendere la lezione, venne sopra di lui la mano del Signore e
l'intervento della destra dell'Eccelso colpì il suo corpo con una lunga infermità, per rendere la
sua anima adatta a recepire l'illuminazione dello Spirito Santo.
Quand'ebbe riacquistate le forze fisiche, si procurò, com'era sua abitudine, vestiti
decorosi. Una volta incontrò un cavaliere, nobile ma povero e mal vestito e, commiserando
con affettuosa pietà la sua miseria, subito si spogliò e fece indossare i suoi vestiti all'altro.
Così, con un solo gesto, compì un duplice atto di pietà, poiché nascose la vergogna di un
nobile cavaliere e alleviò la miseria di un povero.
1031 3. La notte successiva mentre dormiva, la Bontà di Dio gli fece vedere un palazzo
grande e bello, pieno di armi contrassegnate con la croce di Cristo, per dimostrargli in forma
visiva come la misericordia da lui usata verso il cavaliere povero, per amore del sommo Re,
stava per essere ricambiata con una ricompensa impareggiabile.
Egli domandò a chi appartenessero quelle armi e una voce dal cielo gli assicurò che
erano tutte sue e dei suoi cavalieri.
Quando si destò, al mattino, credette di capire che quella insolita visione fosse per lui
un presagio di gloria. Difatti egli non sapeva ancora intuire la verità delle cose invisibili,
attraverso le apparenze visibili. Perciò, ignorando ancora i piani divini, decise di recarsi in
Puglia, al servizio di un nobile conte, con la speranza di acquistare in questo modo quel titolo
di cavaliere, che la visione gli aveva indicato.
1032 Di lì a poco si mise in viaggio; ma, appena giunto nella città più vicina, udì nella notte
il Signore, che in tono familiare gli diceva: “ Francesco, chi ti può giovare di più: il signore o il
servo, il ricco o il poverello? ”. “ Il signore e il ricco ”, rispose Francesco. E subito la voce
incalzò: “ E allora perché lasci il Signore per il servo; Dio così ricco, per l'uomo, così povero?
”.
Francesco, allora: “ Signore, che vuoi che io faccia? ”. “ Ritorna nella tua terra -rispose il
Signore - perché la visione, che tu hai avuto, raffigura una missione spirituale, che si deve
compiere in te, non per disposizione umana, ma per disposizione divina ”.
Venuto il mattino, egli ritorna in fretta alla volta di Assisi, lieto e sicuro. Divenuto ormai
modello di obbedienza, restava in attesa della volontà di Dio.
1033 4. Da allora, sottraendosi al chiasso del traffico e della gente, supplicava devotamente la
clemenza divina, che si degnasse mostrargli quanto doveva fare.
Intanto la pratica assidua della preghiera sviluppava sempre più forte in lui la fiamma
dei desideri celesti e l'amore della patria celeste gli faceva disprezzare come un nulla tutte le
cose terrene.
Sentiva di avere scoperto il tesoro nascosto e, da mercante saggio, si industriava di
comprare la perla preziosa, che aveva trovato, a prezzo di tutti i suoi beni.
Non sapeva ancora, però, in che modo realizzare ciò: un suggerimento interiore gli
faceva intendere soltanto che il commercio spirituale deve iniziare dal disprezzo del mondo e
che la milizia di Cristo deve iniziare dalla vittoria su se stessi.
1034 5. Un giorno, mentre andava a cavallo per la pianura che si stende ai piedi di Assisi, si
imbatté in un lebbroso. Quell'incontro inaspettato lo riempì di orrore. Ma, ripensando al
proposito di perfezione, già concepito nella sua mente, e riflettendo che, se voleva diventare
cavaliere di Cristo, doveva prima di tutto vincere se stesso, scese da cavallo e corse ad
abbracciare il lebbroso e, mentre questi stendeva la mano come per ricevere l'elemosina, gli
porse del denaro e lo baciò.
Subito risalì a cavallo; ma, per quanto si volgesse a guardare da ogni parte e sebbene
la campagna si stendesse libera tutt'intorno, non vide più in alcun modo quel lebbroso.
Perciò, colmo di meraviglia e di gioia, incominciò a cantare devotamente le lodi del
Signore, proponendosi, da allora in poi, di elevarsi a cose sempre maggiori.
Cercava luoghi solitari, amici al pianto; là, abbandonandosi a lunghe e insistenti preghiere,
fra gemiti inenarrabili, meritò di essere esaudito dal Signore.
1035 Mentre, un giorno, pregava, così isolato dal mondo, ed era tutto assorto in Dio,
nell'eccesso del suo fervore, gli apparve Cristo Gesù, come uno confitto in croce,
Al vederlo, si sentì sciogliere l'anima. Il ricordo della passione di Cristo si impresse
così vivamente nelle più intime viscere del suo cuore, che, da quel momento, quando gli
veniva alla mente la crocifissione di Cristo, a stento poteva trattenersi, anche esteriormente,
dalle lacrime e dai sospiri, come egli stesso riferì in confidenza più tardi, quando si stava
avvicinando alla morte. L'uomo di Dio comprese che, per mezzo di questa visione, Dio
rivolgeva a lui quella massima del Vangelo: Se vuoi venire dietro a me, rinnega te stesso, prendi la
tua croce e seguimi.
1036 6. Da allora si rivestì dello spirito di povertà, d'un intimo sentimento d'umiltà e di pietà
profonda. Mentre prima aborriva non solo la compagnia dei lebbrosi, ma perfino il vederli da
lontano, ora, a causa di Cristo crocifisso, che, secondo le parole del profeta, ha assunto
l'aspetto spregevole di un lebbroso, li serviva con umiltà e gentilezza, nell'intento di
raggiungere il pieno disprezzo di se stesso.
Visitava spesso le case dei lebbrosi; elargiva loro generosamente l'elemosina e con
grande compassione ed affetto baciava loro le mani e il volto.
Anche per i poveri mendicanti bramava spendere non solo i suoi beni, ma perfino se
stesso. Talvolta, per loro, si spogliava dei suoi vestiti, talvolta li faceva e pezzi, quando non
aveva altro da donare.
Soccorreva pure, con reverenza e pietà, i sacerdoti poveri, provvedendo specialmente
alla suppellettile dell'altare, per diventare, così, partecipe del culto divino, mentre sopperiva
al bisogno dei ministri del culto.
1037 Durante questo periodo, egli si recò a visitare, con religiosa devozione, la tomba
dell'apostolo Pietro. Fu in questa circostanza che, vedendo la grande moltitudine dei
mendicanti davanti alle porte di quella chiesa, spinto da una soave compassione, e, insieme,
allettato dall'amore per la povertà, donò le sue vesti al più bisognoso di loro e, ricoperto degli
stracci di costui, passò tutta la giornata in mezzo ai poveri, con insolita gioia di spirito.
Voleva, così, disprezzare la gloria del mondo e raggiungere gradualmente la vetta
della perfezione evangelica. Si applicava con maggior intensità alla mortificazione dei sensi,
in modo da portare attorno, anche esteriormente, nel proprio corpo, la croce di Cristo che
portava nel cuore.
Tutte queste cose faceva Francesco, uomo di l)io, quando, nell'abito e nella convivenza
quotidiana, non si era ancora segregato dal mondo.
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SALVE SANCTE PATER
PATRIAE LUX
MIELE E CANNELLA