martedì 27 ottobre 2020

Il Blog di Raffaella. Riflessioni e commenti fra gli Amici di Benedetto XVI: Interamente dedicato al ministero ecclesiastico il...

Il Blog di Raffaella. Riflessioni e commenti fra gli Amici di Benedetto XVI: Interamente dedicato al ministero ecclesiastico il...: Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo: In un volume dell’Opera Omnia tutto il pensiero di Ratzinger sul sacerdozio ...

I sacerdoti custodi del corpo di Gesù

 




I SACERDOTI

Parole con cui il Signore mette in guardia la sua sposa, affinché

ella possa discernere la vera saggezza da quella falsa


I miei amici sono come degli scolari che hanno una coscienza e

un'intelligenza, la saggezza che non hanno appreso dagli uomini ma da

me, poiché io stesso l'insegno interiormente, dolcezze e gioie divine con

cui dominano il diavolo. Ma ora gli uomini imparano alla rovescia e

desiderano solo essere dotti per andarne orgogliosi ed essere ritenuti dei

buoni chierici, acquisire ricchezze per progredire sulla strada degli onori

e degli alti uffici. Per questo motivo quando entrano ed escono di scuola,

mi allontano da loro, perché essi imparano per insuperbirsi di ciò che

hanno appreso, mentre io ho insegnato loro l'umiltà. Vanno a scuola per

la cupidigia di possedere, mentre io non ho avuto nulla, nemmeno un

cuscino su cui appoggiare il capo. Vi si recano per ottenere cariche e

dignità, invidiando chi passa loro davanti, mentre io venivo giudicato da

Pilato ed ero lo zimbello di Erode. Dunque mi allontano da loro, perché

non apprendono la mia dottrina. Ciononostante, essendo buono e mite,

do quello che mi viene chiesto, perché chi mi domanda del pane l'avrà e

chi mi domanda un letto lo riceverà. Chi apprende la mia mirabile

saggezza, ossia come servirmi bene, viene servito dagli angeli buoni che

lo nutrono di una consolazione indicibile e di un lavoro delizioso. Ma gli

angeli cattivi assistono i saggi del mondo suggeriscono e suscitano in

loro desideri inutili, secondo la propria volontà, ispirando loro pensieri

tormentosi. In verità se si rivolgessero a me e si convertissero, potrei

dare loro il pane senza fatica. Il mondo ne fornisce loro ma essi non ne

sono mai sazi, poiché tramutano la dolcezza in amarezza». Libro I; 33





I sacerdoti custodi del corpo di Gesù

Il Figlio di Dio disse: «Sono simile al signore che, dopo aver combattuto

con fedeltà nel paese in cui si è recato in pellegrinaggio, torna con gioia

nella terra natale. Questo signore ha un tesoro molto prezioso, la cui

vista dà gioia agli occhi lacrimosi, consola gli infelici, rinvigorisce gli

infermi e resuscita i morti. Ma, affinché questo tesoro venga custodito

con onestà e determinazione, viene edificata una casa con magnificenza 

e gloria, abbastanza alta e dotata di sette livelli attraverso i quali si

accede al tesoro stesso. Ora, Dio ha mostrato questo tesoro ai suoi

servitori e lo ha affidato loro affinché ne abbiano cura e lo custodiscano

con purezza, in modo che vengano apprezzate la carità del signore verso

i suoi servitori e la fedeltà dei suoi servitori nei confronti del signore. Ma

dopo qualche tempo il tesoro inizia ad essere disprezzato, la casa viene

frequentata di rado, le cure dei custodi diminuiscono e l'amore di Dio

viene trascurato... Io sono quel signore che è venuto al mondo per

umiltà come un pellegrino, sebbene fossi potente in terra e in cielo

secondo la divinità; perché in verità sulla terra ho dovuto sostenere una

lotta tale che tutti i nervi delle mie mani e dei miei piedi si sono rotti per

la salvezza delle anime. Salendo in cielo, da cui non mi sono mai

allontanato, ho lasciato al mondo un memoriale altamente degno, ossia il

mio corpo santissimo; infatti così come l'antica legge si gloriava

dell'arca, della manna, delle tavole del Testamento e di altre cerimonie,

allo stesso modo l'uomo nuovo si rallegra di una legge nuova, ossia il

mio corpo crocifisso, che era insito nella legge stessa. Affinché al mio

corpo fossero tributati gloria e onore, ho istituito la casa della Santa

Chiesa, dove esso sarebbe stato custodito e conservato. I sacerdoti sono

dei custodi particolari, in un certo senso più eminenti degli angeli, poiché

toccano con la bocca e le mani colui che gli angeli hanno paura di

sfiorare, dato il rispetto che provano nei suoi confronti. Ho reso ai

sacerdoti sette tipi di onore, corrispondenti a sette caratteristiche: i preti

devono portare il segno del sacerdozio e distinguersi come miei amici per

la purezza dello spirito e del corpo, perché la purezza è il primo livello

per avvicinarsi a Dio, al quale non si addice nulla di corrotto; ai ministri

della legge, che avevano il permesso di contrarre il matrimonio, non era

concesso fare dei sacrifici, ma ciò non deve stupire: essi avevano solo la

scorza e non il nocciolo. Ora, poiché questa figura è stata eliminata con

l'avvento della verità, è necessario che si consacrino tutti alla purezza; il

nocciolo, infatti, è più dolce della scorza... I chierici sono istituiti perché

siano degli uomini angelici dotati di ogni sorta di umiltà; è vero infatti

che con l'umiltà del corpo e dello spirito si entra in cielo e si vince la

superbia del diavolo; a questo livello i sacerdoti vengono nominati per

cacciare il diavolo, perché l'uomo umile è elevato al cielo da cui la

superbia ha fatto sprofondare il demonio. I preti vengono ordinati per

essere discepoli di Dio attraverso la continua lettura dei testi sacri; per

questo motivo la sacra Scrittura viene data ai sacerdoti come la spada al 

soldato; essi, infatti, devono sapere come placare la collera di Dio con la

preghiera e la meditazione, affinché il popolo non muoia. I sacerdoti

sono designati custodi del tempio di Dio e studiosi delle anime; per

questo motivo il vescovo consegna loro le chiavi: essi devono prendersi

cura della salvezza delle anime dei loro fratelli, promuoverne il progresso

con la parola e l'esempio e incitare gli infermi alla perfezione assoluta. A

loro viene affidata la cura dell'altare, perché, servendo sull'altare, vivano

dell'altare stesso e non si occupino affatto delle cose mondane, se non

per ciò che attiene alla loro carica ecclesiastica. Vengono ordinati per

essere uomini apostolici, che predicano la verità evangelica e

conformano i loro costumi a ciò che predicano. Sono istituiti in modo da

mediare fra Dio e l'uomo attraverso il sacrificio del mio corpo. Per questo

motivo i sacerdoti sono in un certo modo superiori alla dignità degli

angeli. Ora, mi lamento perché queste caratteristiche sono gravemente

disattese, in quanto la superbia viene preferita all'umiltà, l'impudicizia

alla continenza; non ci si attiene più ai libri di Dio, ma a quelli del

mondo; gli altari vengono trascurati e la saggezza divina è reputata

follia. Non ci si preoccupa affatto della salvezza delle anime e, come se

non bastasse, si gettano via le mie vesti e si di-sprezzano le mie armi. E’

vero, sul monte Sinai ho mostrato a Mosè gli abiti che dovevano

indossare i sacerdoti; questo non perché nella celeste abitazione di Dio ci

fosse qualcosa di materiale, ma perché non si possono comprendere le

cose spirituali senza quelle materiali. Quindi mostro ciò che è spirituale

attraverso il mondo fisico: occorre sapere che a quanti detengono la

verità viene richiesta la purezza e non una pura apparenza. A che scopo,

dunque, avrei mostrato a Mosè un tale splendore di vesti materiali, se

non perché attraverso esse si comprendessero lo splendore e la bellezza

dell'anima?... Dall'oblazione dei ministri di Dio conseguono tre beni: la

mia pazienza che è lodata da tutte le schiere celesti, perché sono la

medesima Persona tra le mani di un prete buono e di uno cattivo; non

traggo senso dalla persona, infatti questo sacramento non dipende dai

meriti o demeriti di chi lo somministra, bensì dalle mie parole; tale

oblazione è utile per tutti, indipendentemente dal prete che l'offre,

inoltre giova anche a chi l'offre, sebbene cattivo; quando ho pronunciato

le parole Io sono, tutti i miei nemici sono caduti all'indietro; similmente,

all'udire le parole: Questo è il mio corpo, i diavoli fuggono via e cessano

di tentare le anime che fanno queste sante oblazioni, né oserebbero

tornare ad assediarle con rinnovata audacia se in esse non si insinuasse 

una propensione a peccare. Per questo la mia misericordia perdona tutti

e li tollera, ma la mia giustizia grida vendetta: perciò io grido e quanti

siano quelli che mi rispondono, lo vedi da te. Ciononostante invierò

ancora la mia Parola: chi l'ascolterà, trascorrerà e terminerà i suoi giorni

con una gioia così grande che non è possibile dire, né pensare la dolcezza 

della mia Parola senza farle torto...» Libro IV, 58





Il sacerdote deve avere un libro e l'olio

«Il sacerdote deve avere anche un libro e dell'olio: 

un libro per istruire gli imperfetti; infatti così come nel libro è contenuta la dottrina del corpo e dello spirito, allo stesso modo il ministro di Dio deve avere la saggezza... La scienza spirituale serve a istruire gli ignoranti,  a correggere le persone dissolute e a spronare quelle progredite. 

Nell'olio sono la dolcezza della preghiera e i buoni esempi, poiché così come l'olio è più grasso del pane, allo stesso modo l'orazione d'amore e carità e gli esempi di una vita buona, sono più efficaci di qualsiasi altra cosa per attirare gli uomini a Dio e per placare Dio stesso. In verità ti dico, figliamia, che il nome del prete è grande, poiché egli è un angelo e un mediatore; ma più grande ancora è il suo ufficio, in quanto egli tocca Dio, che è incommensurabile e tiene nelle sue mani le cose sante». 

Libro IV, 59



Il Signore ha rimesso il suo corpo nelle mani del sacerdote

«Io sono» dice la Saggezza eterna, «come un uomo che, dovendo

abbandonare il mondo, lascia ai suoi amici più cari ciò che ha di meglio;

io ho fatto lo stesso con i sacerdoti che ho scelto al di sopra degli angeli

e degli uomini: ho offerto loro il mio corpo preziosissimo quando ho

lasciato il mondo e ho affidato loro molti doni: la mia fede; due chiavi,

quella dell'inferno e quella del cielo; la possibilità di tramutare il nemico

in un angelo; di poter consacrare il mio corpo, cosa che non possono fare

gli angeli e infine di toccare con le mani il mio corpo preziosissimo e

purissimo. Ora, essi si comportano con me come gli ebrei, i quali

negavano che avevo resuscitato Lazzaro e compiuto altre meraviglie. Mi

accusavano sostenendo che volevo diventare re, che avevo vietato di

dare i tributi a Cesare e che avrei ricostruito il Tempio in tre giorni; simil-

mente i ministri di Dio non divulgano i miei prodigi né insegnano la mia

dottrina, ma diffondono in ogni dove l'amore del mondo e ovunque

predicano la loro volontà, poiché stimano meno di nulla tutto quello che

ho fatto per loro. In secondo luogo, hanno perduto la chiave con cui

dovevano aprire il cielo ai miserabili; amano e prediligono la chiave che

apre l'inferno e la tengono avvolta in un panno pulito. In terzo luogo,

fanno di un giusto un ingiusto, di un semplice un diavolo, di un sano un

malato, perché oggi chi si avvicina loro con tre malattie, se ne allontana

con una quarta in più; se qualcuno si reca da loro con quattro malattie,

se ne parte con cinque, perché il peccatore, vedendo l'esempio cattivo e

depravato dei sacerdoti, imbocca una nuova strada, si rafforza nel

peccato ed inizia a gloriarsi del peccato stesso di cui aveva vergogna...In

quarto luogo, quelli che mi dovevano santificare con la bocca, mi

vendono per cupidigia; sono peggio di Giuda, perché Giuda in un certo

senso ha riconosciuto il proprio peccato ed ha fatto penitenza, sebbene

inutilmente. Essi si definiscono e si reputano giusti. Giuda, invece, ha

riportato il frutto del suo peccato ai sommi sacerdoti e agli anziani, e

questi hanno messo la sua confessione al servizio del loro ingegno e del

loro uso. Giuda mi ha venduto prima che riscattassi il mondo, ma costoro

mi vendono dopo e non hanno compassione del mio sangue che grida

vendetta con maggior ragione che non il sangue di Abele. Giuda mi ha

venduto per trenta denari, ma costoro mi vendono con ogni sorta di

maldicenza, perché non si avvicinano mai a me se non per ricevere

qualche vantaggio. In quinto luogo, si comportano come gli ebrei. Ora,

cosa hanno fatto questi ultimi? Mi hanno posto sulle- gno della croce, ma

costoro mi mettono su un torchio e mi stringono con forza. Ti chiederai:

'Come può accadere ciò, se la mia divinità è inattaccabile dalla 

sofferenza e Dio non è predisposto al dolore?' È vero, ma la volontà ostinata con

cui i sacerdoti perseverano nel peccato è tale che ciò mi risulta ancora

più duro e doloroso, proprio come se venissi posto su un torchio. Ora,

questi preti hanno due peccati: la lussuria e la cupidigia e mi mettono e

lasciano tra questi due vizi; tanto che, dopo aver fatto penitenza e aver

celebrato la messa, sono nuovamente animati dalla volontà di peccare e

di nuovo mi fanno sentire come se venissi stretto in una pressa...»

 Libro IV, 132




Il modo in cui il Signore onora i sacerdoti

Ascoltate dunque, eserciti ed angeli miei! Ho scelto dei sacerdoti al di

sopra degli angeli e degli altri uomini e ho dato loro il potere di

consacrare il mio corpo e di toccarlo. Se avessi voluto, avrei potuto

affidare una funzione del genere agli angeli, ma amo a tal punto i

sacerdoti che li ho innalzati a un simile onore e li ho ordinati affinché

presenziassero davanti a me, disposti in sette livelli. Dovevano essere

pazienti come pecore, costanti come muri dalle fondamenta stabili, pieni

di vita e generosi come soldati, saggi come serpenti, pudichi come

vergini, puri come angeli, animati da un amore ardente come quello di

una sposa che si avvicina al talamo nuziale. Ora, si sono allontanati da

me con cattiveria, sono selvaggi come lupi che rapiscono le pecore,

imbattibili quanto a fame e avidità. Non onorano nessuno e non hanno

vergogna di chicchessia. In secondo luogo, sono incostanti come le pietre

di una muraglia in rovina, perché diffidano delle fondamenta, ossia del

loro Dio, come se egli non potesse soddisfare le loro esigenze o non

volesse nutrirli e sostentarli. In terzo luogo, sono sprofondati e sono stati

avvolti dalle tenebre, come dei ladroni che camminano nella cecità dei

propri vizi. Non hanno affatto il coraggio dei soldati, necessario per

combattere per l'onore e la gloria di Dio, né hanno la generosità che

occorre per compiere azioni eroiche. In quarto luogo, diventano pigri

come asini che tengono la testa bassa: similmente sono stolti e insensati

poiché pensano sempre alle cose mondane, senza rivolgere la mente al

cielo e alle cose future. In quinto luogo, sono impudenti come cortigiane:

mi camminano davanti con insolenza nei loro abiti im-pertinenti e tutte

le loro membra esprimono la loro lussuria. In sesto luogo, sono sudici

come la pece: tutti quelli che si avvicinano loro ne sono offuscati e

imbrattati. In settimo luogo, sono abominevoli… Solo certi preti si

accostano a me con dissimulazione, come se fossero dei traditori,

Tuttavia io, che sono Dio e Signore di tutte le creature in cielo come in

terra, vado loro incontro; dopo che il sacerdote ha pronunciato le

parole Questo è il mio corpo sull’altare, davanti a lui io sono vero Dio e

vero uomo. Mi affretto verso i miei ministri come uno sposo innamorato,

per provare e gustare assieme a loro i sacri piaceri della mia divinità;

ma, ahimè, non trovo posto nel loro cuore. Ascoltate ancora, amici miei,

quanta dignità conferisco ai sacerdoti al di sopra degli angeli e degli 

uomini: ho dato loro il potere di fare cinque cose: legare e sciogliere in

terra e in cielo; trasformare i miei nemici in amici di Dio, e i demoni

peccatori in angeli virtuosi; predicare la mia parola; consacrare e

santificare il mio corpo, cosa che nessun angelo può fare; toccare il mio

corpo, cosa che nessuno di voi oserebbe fare».Libro IV, 133


Il Signore chiama i sacerdoti come uno sposo

«Io sono come lo sposo che conduce la sposa nella sua casa con mille

prove d'amore. Ho unito a tal punto i preti a me, tramite il mio corpo,

che erano in me ed io in loro; ma essi rispondono a quest'unione come

un'adultera che dice al marito: 'Le tue parole non mi piacciono; le tue

ricchezze sono vane; la tua voluttà è come un veleno. Ci sono altre cose

che voglio amare e seguire'. A queste parole lo sposo, dolce e mansueto,

risponderà: 'Mia sposa, ascoltami, abbi pazienza. Le tue parole devono

essere le mie, le mie ricchezze le tue; la mia volontà deve essere la tua,

la tua voluttà la mia contentezza... Attiro a me i preti come uno sposo la

sua sposa; faccio tutto quello che posso per loro; ma più li chiamo, più

fuggono da me. Le mie parole non piacciono loro; essi considerano un

peso le mie ricchezze; detestano la dolcezza delle mie parole come se

fosse veleno. Li inseguo avvertendoli come un padre colmo di pietà,

tollerandoli come un signore pieno di clemenza, attraendoli con doni

come un dolce sposo; ma più li chiamo, più si allontanano da me». 

Libro IV, 135

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UFFICIO MARIANO. MARTEDI'

 


Inno

Salve, Arca foéderis,
Thronus Salomonis,
Arcus pulcher aétheris,
Rubus visionis.

Virga frondes gérminis,
Vellus Gedeònis,
Porta clausa Nùminis,
Favusque Samsonis.

Décuit Natum tam nobilem,
Matri praecavére
Ab originali
Labe Matris Hevae.

Almam, quam elégerat,
Genitricem vero,
Nulli prorsus sinens
Culpae subjacére.

Salve, Arca dell’alleanza,
Trono di Salomone,
Arco splendido del Cielo,
Roveto della visione.

Albero adorno di fronde,
Vello di Gedeone,
Porta serrata del Signore,
Favo di Sansone.

Fu giusto che il tuo così nobile Figlio
Preservasse la Madre
Dalla colpa originale
Della Madre Eva.

La forte Genitrice,
che Egli aveva scelto,
Non poteva essere soggetta
Ad alcun peccato.

Ant. Sicut lìlium inter spinas, sic amica mea inter filias Adae.

Ant. Come giglio tra le spine, così la mia diletta tra le figlie di Adamo.



Salmo 1 – di clemenza e di misericordia.

Domina, venérunt Gentes in haereditatem Dei,
Quas tu meritis tuis Christo confoederasti.

Vennero, o Signora, le Genti per ricevere l’eredità di Dio,
Che tu hai ottenuto per loro per i meriti di Cristo.

Pulchrae sunt viae tuae,
Et sémitae tuae pacificae, gyrum terrae sola cìrcuis,

Belle sono le tue vie,
e di pace i tuoi sentieri. Tu sola percorri il giro della terra

Ut subvènias invocantibus te.
Copiosa facta est super me misericordia tua,

Per aiutare quanti ti invocano.
La tua misericordia è stata grande su di me,

Et dilatata est super me clementia.
Imperfectum meum aspexit oculus tuus,

E la clemenza si è diffusa sopra di me.
Il tuo sguardo hai diretto verso le mie imperfezioni,

Et palpebrae tuae noverunt vias meas:
Cognovisti ruinam et transgressionem meam.

e le tue palpebre si aprirono sulle mie vie:
Hai conosciuto la mia rovina e i miei peccati.

Non avèrtas sacrum aspectum tuum,
Neque abominéris me propter immunditiam meam.

Non distogliere il sacro tuo volto,
Non respingermi a causa della mia miseria.

Inclina vultum Dei super nos,
Coge illum peccatoribus miseréri.

Fa’ che il volto di Dio si volga su di noi,
Inducilo ad aver misericordia dei peccatori.

Serénet corda nostra lux misericordiae tuae,

Rassereni i nostri cuori la luce della tua misericordia,

Et récreet nos pacis tuae dulcedo.
Splendor vultus tui fulgeat super nos,

E ci ristori la dolcezza della tua pace.
Lo splendore del tuo volto rifulga sopra noi,

Ut servetur conscientia nostra apud Altissimum.

Perché la nostra coscienza si mantenga pura presso l’Altissimo.

Gloria Patri...

Gloria al Padre...

Salmo 2 – di dolcezza e amore puro.

Salvum me fac, Mater pulchrae dilectionis,
Fons clementiae, et dulcor pietatis.

Portami a salvezza, Madre del puro amore,
Fonte di clemenza e soavità di misericordia.

Omnes sitientes, venite ad illam,
De fonte suo gratanter vos potabit.

Voi tutti assetati, venite a lei,
Volentieri vi disseterà dalla sua fonte.

Quam magna est multitudo dulcédinis tuae, Domina!
Quam praeparasti diligentibus, et sperantibus in te.

Quanto è grande la molteplicità della tua dolcezza, o Signora!
L’hai preparata per quanti ti amano e sperano in te.

Stilla nobis, Domina, gratiam ùberum tuorum,
Ex manante lacte dulcèdinis tuae réfice viscera puerorum tuorum.

Distillaci, o Signora, la grazia del tuo seno,
Con il latte che scaturisce dalla tua dolcezza ristora le viscere dei tuoi figli.

Stilla nobis guttam suavitatis tuae,
Quia tu es pincérna gratiae dulcoris.

Donaci una goccia della tua soavità,
Perché tu sei dispensatrice della dolcezza della grazia.

Distilla mihi suavitatem gratiarum tuarum,
Et tuorum charìsmatum fragrantiam, et odorem.

Distillami la soavità delle tue grazie,
La fragranza e il profumo dei tuoi doni.

Spiritus enim tuus super mel dulcis,
Et haeréditas tua super mel et favum.

Infatti il tuo spirito è dolce più che il miele,
E la tua eredità supera il miele e il favo.

Esto refrigerium nostrum, gloriosa Mater Christi,
Quia tu es totìus Religionis firmamentum.

Sii nostro refrigerio, gloriosa Madre di Cristo,
Perché tu sei il sostegno delle verità della nostra Fede.

Gloria Patri...

Gloria al Padre...

Salmo 3 – di richiesta di luce e protezione.

Laudate pueri Matrem Dei,
Glorificate senes nomen ejus.

Lodate, fanciulli, la Madre di Dio,
Glorificate, anziani, il suo nome.

Benedicta sit Maria, Mater Christi,
Ipsa enim est via ad Patriam sanctitatis.

Sia benedetta Maria, Madre di Cristo,
Lei è infatti la via verso la Patria dei Santi.

Excelsus super Chérubim thronus ejus,
Et sedes ejus super cardines Coeli.

Eccelso sui Cherubini è il suo trono,
E la sua dimora sopra i cardini del Cielo.

Super humiles vultus ejus,
Et super confidentes in eam aspectus illius.

Sopra gli umili è il suo volto,
E il suo viso su quanti in lei confidano.

Misericordia ejus super omnem carnem,
Et eleemòsyna illius usque ad extremum terrae.

Su ogni uomo è la sua misericordia,
E la sua beneficenza fino agli estremi confini della terra.

Illumina splendore tuo celeritatem meam,
Dulcifica dulcore tuo contritionem meam.

Purifica del tuo splendore la mia prontezza,
Lenisci con la tua dolcezza la mia contrizione.

Tu es Mater illuminationis cordis mei,
Tu es nùtrix réfovens mentem meam.

Tu sei Madre che illumini il mio cuore,
Sei nutrice che rianima la mia mente.

Illumina me, Stella maris,
Clarifica me, Virgo clarissima.

Donami luce, o Stella del mare,
Illumina me, o valorosa Vergine.

Miserere mei, Domina, miserere mei,
Quia paratum est cor meum exquìrere voluntatem tuam.

Abbi pietà di me, o Signora, pietà di me,
Perché il mio cuore è pronto a ricercare la tua volontà.

Gloria Patri...

Gloria al Padre...

V. Ego in altissimis habito.

V. Io dimoro nel più alto dei Cieli,

R. Et thronus meus in columna nubis.

R. Ed il mio trono è sopra una colonna di nubi.

L'INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI

 


L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (15)

R. P. BARTHELEMY FROGET

[Maestro in Teologia dell’ordine dei fratelli Predicatori]

L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO

PARIS (VI°) P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929  Approbation de l’ordre:  fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie).  Imprimatur:  Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov.Lugd.  Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900. E. THOMAS, V. G.

QUARTA PARTE

SCOPO ED EFFETTI DELLA MISSIONE INVISIBILE DELLO SPIRITO-SANTO E DELLA SUA INABITAZIONE NELLE ANIME.

CAPITOLO VII

Ultimi effetti dell’inabitazione di Dio  in noi: I FRUTTI DELLO SPIRITO SANTO E LE BEATITUDINI.

Conosciamo ora, se non in dettaglio, almeno con una veduta d’insieme, i principi di attività conferiti ai giusti dallo Spirito Santo, un magnifico e complesso organismo di santità che, secondo la bella espressione di un Padre della Chiesa, fa dell’uomo uno strumento musicale mirabilmente disposto a cantare la gloria e la potenza divina: Instrumentent musicum a Spiritu pulsatum, divinamque gloriam et potentiam canens (S. Greg. Naz., Orat. Ad Popul. XLIII, 67). E quando ha così preparato tutto, lo Spirito Santo, l’Artista incomparabile, si mette alla tastiera e, se non incontra resistenza, trae da questo strumento spirituale, meravigliosi accordi che deliziano il cuore di Dio e non tralasciano di piacere al mondo stesso, affascinato, malgrado tutto, da questa santa armonia. È la dolce e casta Agnese che canta sulla terra, per continuare in cielo, il canto delle vergini: « Io amo Cristo, di cui presto diventerò la sposa; il Cristo, di cui la Madre è vergine ed il Padre celeste genera senza corruzione….. Io sono fidanzata con Colui che è servito dagli Angeli e la cui bellezza è ammirata dal sole e dalla luna » (ex Offic. S. Agnetis). 

– È il martire Ignazio, esposto nell’anfiteatro e che, sentendo il ruggito dei leoni, grida nella sua impazienza di soffrire: « Io sono il frumento di Cristo; sarò macinato dai denti delle bestie per diventare un pane veramente puro. » È il grande Apostolo Paolo, che lancia questa fiera sfida a tutte le potenze nemiche: « Chi mi separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione? L’angoscia? La fame? La nudità? Il pericolo? La persecuzione? La spada?….. Sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né qualsiasi altra creatura potrà mai separarmi dall’amore di Dio in Gesù Cristo, nostro Signore » (Rom. VIII, 35-39). 

– È l’innumerevole moltitudine dei Santi sparsi in tutto il mondo e che formano un immenso concerto, dove ognuno fa la sua parte e canta in modo speciale il trionfo della grazia sulla natura: una deliziosa sinfonia, dove tutte le voci si uniscono e si fondono in una meravigliosa armonia. Voci di bambini e di anziani, di vergini e di adolescenti, di uomini e di donne, che salgono dalla terra al cielo. Voci di innocenze preservate o faticosamente riconquistate. Voce di misericordiosa carità che richiama, per bocca di Vincenzo de’ Paoli, a tutte le miserie per alleviarle. Voce di fede trionfante nella persona di Pietro di Verona colpito a morte dall’eresia, e che ancora trova la forza di tracciare con la porpora del suo sangue questa parola sublime: Io credo. Voce di umiltà pronunciata dall’organo di Giovanni della Croce, una delle parole più belle ed eroiche mai pronunciate da una bocca umana, quando, alla domanda di Cristo di quale ricompensa chiedesse per tanto lavoro, rispondeva: « Signore, soffrire ed essere disprezzato per Voi. »  

– Che mirabile fioritura di virtù il soffio dello Spirito Santo fiorisce in anime docili alla sua azione! O piuttosto che frutti deliziosi e variegati fa loro produrre! Questi sono quelli di cui Nostro Signore ha parlato quando ha detto ai suoi Apostoli: « Io vi ho scelto e vi ho costituito perché andiate avanti senza sosta, perché portiate frutti e questi frutti rimangano: Ego elegi vos, et posui vos ut eatis, et fructum afferatis, et fructus vester maneat. » (Giov. XV, 16). Il giusto, in effetti, è paragonato, nei nostri Libri sacri, ad un albero piantato sul bordo delle acque e che dà i suoi frutti nel suo tempo (Ps. I, 3). Cosa sono questi frutti? L’Apostolo san Paolo ce li fa conoscere in questa bella enumerazione che leggiamo nel capitolo V della Lettera ai Galati: « I frutti dello Spirito Santo, dice, sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la dolcezza, la fede, la modestia, la continenza e la castità . » (Gal. V, 22-23). – Cosa intendiamo con questi “frutti dello Spirito Santo”? Perché sono così chiamati? Come si differenziano dalle virtù e dai doni? Qual è il loro numero?

I.

E innanzitutto, cosa si intende per frutti dello Spirito Santo? Con questo intendiamo – dice san Tommaso – « tutti gli atti di virtù che hanno raggiunto una certa perfezione e in cui l’uomo si diletta: Sunt enim fructus quæcumque virtuosa opéra in quibus homo delectatur » (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2). Si chiamano frutti – dice sant’Ambrogio – perché riempiono l’anima di pura e santa delizia. – In senso naturale, il frutto è il prodotto finale e gustoso di una pianta o di un albero che ha raggiunto la perfezione, adattato alla sua specie (Ibid. ad 1); è il termine regolare della vegetazione, il risultato definitivo di questo meraviglioso lavorio in cui è impegnata la vita della pianta. Diversi in quanto diversi sono gli alberi da cui sono stati raccolti, i frutti hanno in comune il fatto che sono l’ultimo prodotto della pianta e che, una volta giunti a maturazione, hanno tutti un certo sapore, diverso a seconda della specie. Fructus sensibilis est id quod ultimum ex arbore expectatur, et cum quadam suavitate percipitur (S. Th., Ia IIæ, q. XI, a. 1).  Quand’anche deliziassero la vista con la luminosità dei loro colori e deliziassero l’olfatto con la dolcezza e la finezza del loro profumo, né le foglie né i fiori meritano questo bel nome di frutto; perché non è da questi ciò che ci si aspetta definitivamente dall’albero: quod ultimum ex arbore expectatur

 – Il frutto non è solo l’ornamento e la perfezione dell’albero, è la sua ragion d’essere, il suo scopo, il suo fine; è il frutto che conferisce all’albero il suo pieno valore e compensa la cura dedicata alla sua coltivazione. Ecco perché, parlando nella parabola di un albero di fico che aveva smesso di dare frutti diversi anni prima, il Salvatore ha detto: « Tagliatelo; perché occupa inutilmente il posto? Succide ergo illam; ut quid etiam terram occupât ? » (S. Luc. XIII, 7). Una grande lezione per il Cristiano, che, sotto pena di essere tagliato come un ramo inutile e gettato nel fuoco, non deve lasciare inattive le energie divine che gli sono state conferite come germi destinati a fiorire sotto il soffio dello Spirito di Dio e a produrre quelle opere sante degne della vita eterna che la Scrittura chiama i frutti dello Spirito Santo. Infatti, per analogia, nell’ordine spirituale, questo nome di frutto è dato al prodotto finale della grazia nelle anime, cioè agli atti di virtù, se non a tutti indistintamente, almeno a quelli che possiedono un certo grado di perfezione e di sapore. I frutti dello Spirito Santo non sono dunque delle abitudini, delle qualità permanenti, ma degli atti; non possono quindi essere confusi con le virtù e con i doni, ma si distinguono da essi come l’effetto si distingue dalla sua causa, il torrente dalla sua sorgente. 

– E sebbene l’Apostolo san Paolo elenchi tra questi frutti la carità, la pazienza, la dolcezza, ecc., non è da intendere con queste espressioni le virtù stesse, ma le loro operazioni; poiché, per quanto perfette possano essere le virtù, esse non possono essere considerate come l’ultimo prodotto della grazia, essendo esse stesse ordinate, come principii, a dei prodotti successivi, cioè ai loro atti. 

 – Tuttavia per meritare il nome di frutto, gli atti di virtù devono essere accompagnati da una certa soavità. All’inizio, questi atti si compiono solo con difficoltà, richiedono fatica, alcuni sono addirittura amari per natura come un frutto non ancora maturo. « Ma – osserva un pio autore –  quando si è da tempo praticato con fervore nella pratica delle virtù, si acquisisce la possibilità di produrre i propri atti. Non proviamo più la ripugnanza che abbiamo provato all’inizio. Non dobbiamo più combattere o essere violenti. Siamo felici di fare quello che facevamo una volta con difficoltà. Poi succede alle virtù quello che succede agli alberi. Come questi frutti che, giunti a maturità, non hanno più l’acredine, ma sono dolci e di piacevole sapore; allo stesso modo, quando gli atti di virtù abbiano raggiunto una certa maturità, si fanno con piacere, e li si trova di un gusto delizioso » (Lallemant, Doctrine spirit.). Il mondo non capisce nulla di questo genere di delizie; perché – secondo l’osservazione di San Bernardo – vede la croce, ma non l’unzione: Crucem quidem vident, sed non etiam unctionem (Serm. 1 de Dedicat.); le afflizioni della carne, la mortificazione dei sensi, le fatiche della penitenza colpiscono il suo sguardo solo per il loro lato doloroso, e li ha in orrore, le consolazioni dello Spirito Santo sfuggono ad essa. Le anime sante, invece, dicono volentieri con la sposa del Cantico: « Mi sono seduto all’ombra di colui che avevo desiderato, e il suo frutto è dolce al mio palato » (Cant. II, 3). Sono numerosi i frutti dello Spirito Santo? San Paolo ne conta dodici, come abbiamo visto sopra. Perché questo numero di duodenario? Sembra che dovrebbero essere ammessi così tanti anche gli atti virtuosi. Questa è, infatti, la conclusione di san Tommaso: « I frutti – egli dice – sono tutti atti di virtù nei quali l’uomo trova piacere: Sunt fructus quæcumque virtuosa opera in quibus homo delectatur ». (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2). 

– L’Apostolo avrebbe potuto includerne un numero maggiore o minore nella sua enumerazione, perché non pretendeva di elencarli tutti. Se si è fermato al numero di dodici, è stato prima perché questo numero, nello stile della Scrittura, si riferisce all’universalità; poi, perché tutti gli atti di virtù possono essere opportunamente ridotti a quelli nominati dall’Apostolo, poiché abbracciano l’intera vita cristiana. (Ibid. a 3, ad 4). 

– Noi parliamo di frutti; ma potremmo anche chiamarli fiori, se, invece di considerare le nostre buone opere come l’ultimo prodotto della grazia in questo mondo, le considerassimo in relazione alla vita eterna, di cui sono come l’annuncio e la promessa. Perché, così come si vede apparire il fiore, si concepisce la speranza di raccogliere un frutto, così  il darsi alla pratica delle opere sante e meritorie ci dà la speranza di raggiungere la vita e la beatitudine eterna.

II.

Al culmine della vita spirituale, quindi al di sopra degli atti di virtù ordinaria, al di sopra dei frutti dello Spirito Santo, vi sono le beatitudini, il coronamento dell’opera divina in noi, l’ultimo e più sublime effetto della presenza di Colui che il Padre si è degnato di inviarci per la nostra santificazione, l’anticipazione della felicità celeste.  Cosa intendiamo per beatitudini? Quante ce ne sono? Sono diversi da frutti, virtù e doni? 

 – Il nome “beatitudini” si riferisce ad alcuni atti della vita presente che, per la loro particolare perfezione, conducono direttamente e sicuramente alla beatitudine eterna. Sono chiamate così, beatitudini metonimiche, perché sono allo stesso tempo il pegno, la causa meritoria e, in una certa misura, i primi frutti della vera e perfetta beatitudine. La beatitudine propriamente detta, è essenzialmente una sola, e consiste nel possesso di Dio. È chiaro, infatti, che Dio, essendo il Bene sovrano, il Bene infinito, l’unico capace di soddisfare tutti i desideri, nessuno è felice se non nella misura in cui lo possiede. Da questo mondo, è vero, lo possediamo per grazia, ma imperfettamente; lo portiamo dentro di noi, ma nascosto alla vista; lo amiamo, lo godiamo, ma con il pericolo di perderlo. « Quindi, se parliamo di beatitudine qui sulla terra, possiamo solo intendere, naturalmente, una beatitudine imperfetta, una beatitudine desiderata e meritata, tutt’al più cominciata. » (Mgr. Gay: Sermons de l’Avent). 

– Le beatitudini menzionate nel Santo Vangelo e di cui ci stiamo occupando attualmente non significano, quindi, felicità assoluta, felicità vera e propria. Non è manifesto che la povertà, le lacrime, la fame e la sete, foss’anche di giustizia, le persecuzioni subite per la causa di Dio, non possono costituire una vera e perfetta beatitudine? Ma Nostro Signore afferma che questi sono mezzi, dei gradi, delle salite per raggiungere la beatitudine assoluta: mezzi così potenti, così efficaci, così sicuri, che chiunque li usi con perseveranza può ripetere seguendo l’Apostolo: « Sono salvato nella speranza » (Rom. VIII, 24). Non si dice di qualcuno che è giunto alla fine dei suoi voti, quando ha una fondata speranza di ottenerli? Ma come non concepire la speranza di ottenere un fine determinato, quando ci si muove verso di esso in modo costante e regolare, quando ci si avvicina, quando soprattutto si comincia già a gustare la dolcezza del bene atteso? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 1.) Quando, dunque, un Cristiano, docile alle ispirazioni dello Spirito Santo, avanza quotidianamente nel cammino di bontà attraverso gli atti di virtù ed i doni, quando lo si vede realizzare gradualmente queste mirabili ascese di cui parla il Salmista (Ps LXXXIII, 6), ed avvicinarsi sempre di più al termine, come non sentire la fiducia che egli raggiungerà la perfezione del cammino e quella della patria, e non proclamarlo benedetto in anticipo? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 2). 

Ma quali sono questi mezzi che conducono così sicuramente al termine della salvezza eterna, questi atti così pieni di soavità che possiamo considerarli come l’inizio della beatitudine? 

– Il Salvatore stesso ce li ha fatti conoscere in questo famoso sermone della montagna che apre il periodo della sua vita pubblica. « Beati – Egli dice – i poveri in spirito, perché il regno dei cieli è loro. Beati i miti, perché possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché saranno confortati….. Otto volte di fila ripete, con delle varianti, la stessa espressione « Beati », annunciando così al mondo stupito quelle che il linguaggio cristiano ha chiamato le otto beatitudini. Sono otto: la povertà di spirito, la mitezza, le lacrime, la fame e la sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l’amore per la pace, le persecuzioni subite a causa di Dio; ma l’ottava è solo la conferma e la manifestazione delle altre (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 3 ad 5.). Infatti, dal momento in cui l’uomo è rafforzato nella povertà spirituale, dalla mitezza e dalle altre beatitudini, la persecuzione non è più in grado di staccarlo da questi beni. 

– Le beatitudini non sono né virtù né doni dello Spirito Santo, ma degli atti che queste abitudini ci portano a produrre (Ibid. a. 1). Tuttavia, per la loro eccellenza e perfezione, questi atti devono essere considerati più come un prodotto dei doni che come un’emanazione delle virtù. Infatti, la virtù della povertà può anche ispirare questo distacco che fa usare con moderazione dei beni terreni, ma è il dono del timore, che ne ispira il disprezzo. La virtù della mitezza dà all’uomo l’energia necessaria a superare l’impetuosità della rabbia e a stare entro i limiti della giusta ragione; ma è il dono della pietà che assicura la calma, la serenità dell’anima, il perfetto possesso di sé e la completa sottomissione alla volontà di Dio. La temperanza mette il freno alle passioni che tendono al piacere sensibile e le mantiene entro i limiti; il dono della scienza eleva l’anima più in alto, e illuminandola sulla fragilità, la vanità, la breve durata di questi piaceri, insegna a rifiutarli del tutto, se necessario, e ad abbracciare volontariamente il dolore e le lacrime. Le beatitudini si distinguono anche dai frutti dello Spirito Santo, perché, benché  dilettando come questi, abbiano anche il vantaggio di perfezionare chi le possiede: sono, se volete, dei frutti, ma i più eccellenti, i più belli, i più squisiti; frutti giunti, con gli ultimi tocchi del Sole divino, ad una perfetta maturità; anch’esse contengono una dolcezza e perfezione tale da farci sentire e gustare in anticipo qualcosa della felicità celeste. Così è coronata da opere perfette, segni precursori della beatitudine di Dio e del suo pieno possesso, questa serie di meraviglie che lo Spirito Santo compie nelle anime dove ha stabilito la sua dimora.

III.

Prima di concludere questo già lungo studio, diamo un ultimo, rapido sguardo alle verità che ne sono state oggetto, così come, prima di varcare la soglia di un edificio che è stato visitato ed esaminato nel dettaglio, diamo uno sguardo per comprenderne le linee principali e ammirarne la sapiente armonia. Dio è ovunque, in ogni essere e in ogni luogo, come causa immediata di tutto ciò che esiste fuori di Lui; ma abita solo nel giusto, al quale si unisce in modo singolare, come oggetto di conoscenza e di amore. E non è solo con la sua immagine, la sua memoria, o i suoi doni, che Egli è così presente in essi; Egli stesso viene personalmente, inaugurando fin da quaggiù questa vita di unione e di godimento che deve essere consumata in cielo. Non appena una creatura che, fino ad allora era stata peccaminosa, ritorna in grazia al suo Creatore, Colui che è in Dio l’Amore sussistente, lo Spirito Santo, gli viene inviato a suggellare in qualche modo con la sua presenza il patto di riconciliazione, a lavorare alla grande opera di santificazione e a diventare in lui il principio efficace di una nuova vita, incomparabilmente superiore a quella della natura. Non è dunque una visita temporanea, per quanto preziosa, che si degna di fare, ma Egli viene a stabilirsi nell’anima con il Padre e il Figlio e per fissarvi la sua dimora. Quando vi entra, si dà Egli stesso, e questo è il suo grande dono. Si tratta quindi di abbellire e decorare il tempio vivente dove gli piace risiedere. A tal fine, c’è questa Grazia, di un valore infinito, chiamata santificante, che ha l’effetto di purificare da ogni sozzura, di cancellare il peccato, di giustificare, trasformare, divinizzare chi la riceve, farne un figlio di Dio e l’oggetto dei suoi piaceri, con diritto all’eredità celeste. Ma non è tutto, perché la grazia non va mai da sola; essa è sempre accompagnata da una moltitudine di virtù e di qualità sovraeminenti, che sono sia un ornamento per le nostre potenze, sia una fonte di attività soprannaturale. Queste sono le virtù teologali, la fede, la speranza e la carità; le virtù morali infuse e i doni dello Spirito Santo: essi sono i semi fecondi dei frutti che Dio vuole raccogliere in noi; le energie divine, fonte di quegli atti eccellenti che portano il nome di beatitudini perché sono la causa meritoria ed una sorta di anticipazione della felicità che speriamo. 


– In questo modo possiamo andare avanti; e, per spostarci efficacemente e in sicurezza verso le sponde eterne, tutto ciò che dobbiamo fare è ricevere questo impulso dallo Spirito Santo che è la parte dei figli di Dio (Rom. VIII, 14). Essa non si farà attendere. Dal profondo dell’anima dove Esso risiede, questo Spirito divino illumina la nostra intelligenza, riscalda i nostri cuori, ci eccita e ci spinge al bene. Chi conterà tutti i santi pensieri che suscita, i buoni movimenti che provoca, le sane ispirazioni di cui è la fonte? Perché invece ci sono sventurate e troppo frequenti resistenze che vengono più o meno a paralizzare la sua azione benefica e ad ostacolarne gli effetti? Questo spiega perché tanti Cristiani, abitualmente in possesso della grazia e delle energie divine che la accompagnano, rimangono tuttavia così deboli e lassi al servizio di Dio, così poco zelanti per la loro perfezione, così inclini verso la terra, così dimentichi delle cose del cielo, così facili da portarsi al male. Pertanto, l’Apostolo ci esorta a « non contristare lo Spirito Santo » con la nostra infedeltà alla grazia: Nolite contristare Spiritum sanctum Dei (Ephes. IV, 30), e soprattutto “non spegnerlo nei nostri cuori: Spiritum nolite extinguere. » (1 Tessal. V, 19). C’è un’altra causa che cerca di spiegare perché una semenza di grazie così abbondante spesso produca solo un raccolto così scarso. Questo avviene perché, conoscendo solo molto imperfettamente il tesoro di cui sono custodi, molti hanno solo una bassa stima di Esso e si impegnano poco nel farlo fruttificare. Eppure, quale forza, quale generosità, rispetto di sé, quale vigilanza, ma anche quale consolazione e quale gioia non li ispirerebbero per questo pensiero costantemente nutrito e piamente meditato: lo Spirito Santo abita nel mio cuore. Esso è lì, potente protettore, sempre pronto a difendermi dai miei nemici, a sostenermi nelle mie battaglie, ad assicurarmene la vittoria. Amico fedele, è sempre pronto a darmi udienza, e, « lungi dall’essere fonte di amarezza e di noia, la sua conversazione porta allegria e gioia:  Non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec tædium convictus illius, sed lætitiam et gaudium. » (Sap.. VIII, 16). 


– Egli è lì, veglia sempre sui miei sforzi e sacrifici, contando, per ricompensarli un giorno, ognuno dei miei passi, seguendo tutti i miei passi, senza dimenticare nulla di quello che faccio per il suo amore e la sua gloria. 


– Lo Spirito Santo abita nel mio cuore! Io sono il suo tempio, il tempio della santità per essenza; devo quindi diventare io stesso santo, perché il primo carattere della casa di Dio è la santità. Domum tuam, Domine, Domine, decet sanctitudo (Ps XCII, 5). Dirò dunque con il Salmista, con la mia condotta più che con le mie parole: « O Signore, ho amato la bellezza della tua casa e del luogo dove abita la tua gloria: Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ. » Cosa c’è di più efficace di queste riflessioni per determinarci a vivere, secondo la parola di san Paolo, « in modo degno di Dio, sforzandoci di piacergli in ogni cosa e di portare ogni sorta di frutti di buone opere? Ut ambuletis digne Deo per omnia placentes, in omni opera bono fructificantes » (Col. X, 10). Lavoriamo dunque per crescere nella scienza di Dio, crescentes in scientia Dei, applicandoci ogni giorno per conoscere meglio, per apprezzarli di più, i doni divini. Amiamo, onoriamo, invochiamo spesso lo Spirito Santo, siamo docili alle sue ispirazioni; e se un giorno vogliamo occupare il trono di gloria che ci è stato preparato in cielo, iniziamo glorificando qui sulla terra e nella nostra anima e nel nostro corpo questa Santissima Trinità di cui siamo dimora e tempio. 

Glorificate et portate Deum in corpore vestro! (1 Cor. VI, 20).


http://www.exsurgatdeus.org/category/spirito-santo/


AMDG et DVM

Il rito romano in latino ha sempre detto pro multis e mai pro omnibus nella consacrazione del calice.

 



  

Il card. Arinze ai presidenti delle Conferenze episcopali: La traduzione "per tutti" va cambiata in "per molti"

Lettera della Congregazione per il Culto Divino sulla traduzione di "pro multis" nella Consacrazione del Calice

Congregatio de Cultu Divino et Disciplina Sacramentorum

Prot. N. 467/05/L
Roma, 17 Ottobre 2006

Eminenza / Eccellenza,
Nel mese di luglio del 2005 questa Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, d'accordo con la Congregazione per la Dottrina della Fede, ha scritto a tutti i presidenti delle conferenze episcopali per chiedere il loro parere autorizzato sulla traduzione nelle diverse lingue nazionali dell'espressione pro multis nella formula della consacrazione del prezioso Sangue durante la celebrazione della santa Messa (rif. Prot. N. 467/05/L del 9 luglio 2005).

Le risposte ricevute dalle conferenze episcopali sono state studiate dalle due Congregazioni e un rapporto è stato inviato al Santo Padre. Secondo le sue direttive, questa Congregazione scrive ora a Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza nei termini seguenti:

  1. Un testo corrispondente alle parole pro multis, tramandato dalla Chiesa, costituisce la formula che è stata in uso nel rito romano in latino fin dai primi secoli. Negli ultimi trent'anni, più o meno, alcuni testi approvati in lingua moderna hanno riportato la traduzione interpretativa "for all", "per tutti", o equivalente.
  2. Non vi è alcun dubbio sulla validità delle messe celebrate con l'uso di una formula debitamente approvata contenente una formula equivalente a "per tutti", come già ha dichiarato la Congregazione per la Dottrina della Fede (cfr. Sacra Congregatio pro Doctrina Fidei, Declaratio de sensu tribuendo adprobationi versionum formularum sacramentalium, 25 Ianuarii 1974, AAS 66 [1974], 661). Effettivamente, la formula "per tutti" corrisponderebbe indubbiamente a un'interpretazione corretta dell'intenzione del Signore espressa nel testo. È un dogma di fede che Cristo è morto sulla Croce per tutti gli uomini e le donne (cfr. Gv 11,52; 2Cor 5,14-15; Tit 2,11; 1Gv 2,2).
  3. Ci sono, tuttavia, molti argomenti a favore di una traduzione più precisa della formula tradizionale pro multis:
  1. I Vangeli Sinottici (Mt 26,28; Mc 14,24) fanno specifico riferimento ai "molti" (polloi) per i quali il Signore offre il sacrificio, e questa espressione è stata messa in risalto da alcuni esegeti in relazione alle parole del profeta Isaia (53,11-12). Sarebbe stato del tutto possibile nei testi evangelici dire "per tutti" (per esempio, cfr. Lc 12,41); invece, la formula data nel racconto dell'istituzione è "per molti", e queste parole sono state tradotte fedelmente così nella maggior parte delle versioni bibliche moderne.
  2. Il rito romano in latino ha sempre detto pro multis e mai pro omnibus nella consacrazione del calice.
  3. Le anafore dei vari riti orientali, in greco, in siriaco, in armeno, nelle lingue slave, ecc., contengono l'equivalente verbale del latino pro multis nelle loro rispettive lingue.
  4. "Per molti" è una traduzione fedele di pro multis, mentre "per tutti" è piuttosto una spiegazione del tipo che appartiene propriamente alla catechesi.
  5. L'espressione "per molti", pur restando aperta all'inclusione di ogni persona umana, riflette inoltre il fatto che questa salvezza non è determinata in modo meccanico, senza la volontà o la partecipazione dell’uomo. Il credente, invece, è invitato ad accettare nella fede il dono che gli è offerto e a ricevere la vita soprannaturale data a coloro che partecipano a questo mistero, vivendolo nella propria vita in modo da essere annoverato fra "i molti" cui il testo fa riferimento.
  6. In conformità con l’istruzione Liturgiam authenticam, dovrebbe essere fatto uno sforzo per essere più fedeli ai testi latini delle edizioni tipiche.
Le Conferenze episcopali di quei paesi in cui la formula "per tutti" o il relativo equivalente è attualmente in uso sono quindi invitate a intraprendere la catechesi necessaria ai fedeli su questa materia nei prossimi uno o due anni per prepararli all'introduzione di una traduzione precisa in lingua nazionale della formula pro multis (per esempio, "for many", "per molti", ecc.) nella prossima traduzione del Messale Romano che i vescovi e la Santa Sede approveranno per l’uso in quei paesi.

Con l'espressione della mia alta stima e rispetto, rimango della Vostra Eminenza / Vostra Eccellenza
devotissimo in Cristo

+ Card. Francis Arinze, Prefetto


AMDG et DVM