"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
martedì 27 ottobre 2020
Il Blog di Raffaella. Riflessioni e commenti fra gli Amici di Benedetto XVI: Interamente dedicato al ministero ecclesiastico il...
I sacerdoti custodi del corpo di Gesù
I SACERDOTI
Parole con cui il Signore mette in guardia la sua sposa, affinché
ella possa discernere la vera saggezza da quella falsa
I miei amici sono come degli scolari che hanno una coscienza e
un'intelligenza, la saggezza che non hanno appreso dagli uomini ma da
me, poiché io stesso l'insegno interiormente, dolcezze e gioie divine con
cui dominano il diavolo. Ma ora gli uomini imparano alla rovescia e
desiderano solo essere dotti per andarne orgogliosi ed essere ritenuti dei
buoni chierici, acquisire ricchezze per progredire sulla strada degli onori
e degli alti uffici. Per questo motivo quando entrano ed escono di scuola,
mi allontano da loro, perché essi imparano per insuperbirsi di ciò che
hanno appreso, mentre io ho insegnato loro l'umiltà. Vanno a scuola per
la cupidigia di possedere, mentre io non ho avuto nulla, nemmeno un
cuscino su cui appoggiare il capo. Vi si recano per ottenere cariche e
dignità, invidiando chi passa loro davanti, mentre io venivo giudicato da
Pilato ed ero lo zimbello di Erode. Dunque mi allontano da loro, perché
non apprendono la mia dottrina. Ciononostante, essendo buono e mite,
do quello che mi viene chiesto, perché chi mi domanda del pane l'avrà e
chi mi domanda un letto lo riceverà. Chi apprende la mia mirabile
saggezza, ossia come servirmi bene, viene servito dagli angeli buoni che
lo nutrono di una consolazione indicibile e di un lavoro delizioso. Ma gli
angeli cattivi assistono i saggi del mondo suggeriscono e suscitano in
loro desideri inutili, secondo la propria volontà, ispirando loro pensieri
tormentosi. In verità se si rivolgessero a me e si convertissero, potrei
dare loro il pane senza fatica. Il mondo ne fornisce loro ma essi non ne
sono mai sazi, poiché tramutano la dolcezza in amarezza». Libro I; 33
I sacerdoti custodi del corpo di Gesù
Il Figlio di Dio disse: «Sono simile al signore che, dopo aver combattuto
con fedeltà nel paese in cui si è recato in pellegrinaggio, torna con gioia
nella terra natale. Questo signore ha un tesoro molto prezioso, la cui
vista dà gioia agli occhi lacrimosi, consola gli infelici, rinvigorisce gli
infermi e resuscita i morti. Ma, affinché questo tesoro venga custodito
con onestà e determinazione, viene edificata una casa con magnificenza
e gloria, abbastanza alta e dotata di sette livelli attraverso i quali si
accede al tesoro stesso. Ora, Dio ha mostrato questo tesoro ai suoi
servitori e lo ha affidato loro affinché ne abbiano cura e lo custodiscano
con purezza, in modo che vengano apprezzate la carità del signore verso
i suoi servitori e la fedeltà dei suoi servitori nei confronti del signore. Ma
dopo qualche tempo il tesoro inizia ad essere disprezzato, la casa viene
frequentata di rado, le cure dei custodi diminuiscono e l'amore di Dio
viene trascurato... Io sono quel signore che è venuto al mondo per
umiltà come un pellegrino, sebbene fossi potente in terra e in cielo
secondo la divinità; perché in verità sulla terra ho dovuto sostenere una
lotta tale che tutti i nervi delle mie mani e dei miei piedi si sono rotti per
la salvezza delle anime. Salendo in cielo, da cui non mi sono mai
allontanato, ho lasciato al mondo un memoriale altamente degno, ossia il
mio corpo santissimo; infatti così come l'antica legge si gloriava
dell'arca, della manna, delle tavole del Testamento e di altre cerimonie,
allo stesso modo l'uomo nuovo si rallegra di una legge nuova, ossia il
mio corpo crocifisso, che era insito nella legge stessa. Affinché al mio
corpo fossero tributati gloria e onore, ho istituito la casa della Santa
Chiesa, dove esso sarebbe stato custodito e conservato. I sacerdoti sono
dei custodi particolari, in un certo senso più eminenti degli angeli, poiché
toccano con la bocca e le mani colui che gli angeli hanno paura di
sfiorare, dato il rispetto che provano nei suoi confronti. Ho reso ai
sacerdoti sette tipi di onore, corrispondenti a sette caratteristiche: i preti
devono portare il segno del sacerdozio e distinguersi come miei amici per
la purezza dello spirito e del corpo, perché la purezza è il primo livello
per avvicinarsi a Dio, al quale non si addice nulla di corrotto; ai ministri
della legge, che avevano il permesso di contrarre il matrimonio, non era
concesso fare dei sacrifici, ma ciò non deve stupire: essi avevano solo la
scorza e non il nocciolo. Ora, poiché questa figura è stata eliminata con
l'avvento della verità, è necessario che si consacrino tutti alla purezza; il
nocciolo, infatti, è più dolce della scorza... I chierici sono istituiti perché
siano degli uomini angelici dotati di ogni sorta di umiltà; è vero infatti
che con l'umiltà del corpo e dello spirito si entra in cielo e si vince la
superbia del diavolo; a questo livello i sacerdoti vengono nominati per
cacciare il diavolo, perché l'uomo umile è elevato al cielo da cui la
superbia ha fatto sprofondare il demonio. I preti vengono ordinati per
essere discepoli di Dio attraverso la continua lettura dei testi sacri; per
questo motivo la sacra Scrittura viene data ai sacerdoti come la spada al
soldato; essi, infatti, devono sapere come placare la collera di Dio con la
preghiera e la meditazione, affinché il popolo non muoia. I sacerdoti
sono designati custodi del tempio di Dio e studiosi delle anime; per
questo motivo il vescovo consegna loro le chiavi: essi devono prendersi
cura della salvezza delle anime dei loro fratelli, promuoverne il progresso
con la parola e l'esempio e incitare gli infermi alla perfezione assoluta. A
loro viene affidata la cura dell'altare, perché, servendo sull'altare, vivano
dell'altare stesso e non si occupino affatto delle cose mondane, se non
per ciò che attiene alla loro carica ecclesiastica. Vengono ordinati per
essere uomini apostolici, che predicano la verità evangelica e
conformano i loro costumi a ciò che predicano. Sono istituiti in modo da
mediare fra Dio e l'uomo attraverso il sacrificio del mio corpo. Per questo
motivo i sacerdoti sono in un certo modo superiori alla dignità degli
angeli. Ora, mi lamento perché queste caratteristiche sono gravemente
disattese, in quanto la superbia viene preferita all'umiltà, l'impudicizia
alla continenza; non ci si attiene più ai libri di Dio, ma a quelli del
mondo; gli altari vengono trascurati e la saggezza divina è reputata
follia. Non ci si preoccupa affatto della salvezza delle anime e, come se
non bastasse, si gettano via le mie vesti e si di-sprezzano le mie armi. E’
vero, sul monte Sinai ho mostrato a Mosè gli abiti che dovevano
indossare i sacerdoti; questo non perché nella celeste abitazione di Dio ci
fosse qualcosa di materiale, ma perché non si possono comprendere le
cose spirituali senza quelle materiali. Quindi mostro ciò che è spirituale
attraverso il mondo fisico: occorre sapere che a quanti detengono la
verità viene richiesta la purezza e non una pura apparenza. A che scopo,
dunque, avrei mostrato a Mosè un tale splendore di vesti materiali, se
non perché attraverso esse si comprendessero lo splendore e la bellezza
dell'anima?... Dall'oblazione dei ministri di Dio conseguono tre beni: la
mia pazienza che è lodata da tutte le schiere celesti, perché sono la
medesima Persona tra le mani di un prete buono e di uno cattivo; non
traggo senso dalla persona, infatti questo sacramento non dipende dai
meriti o demeriti di chi lo somministra, bensì dalle mie parole; tale
oblazione è utile per tutti, indipendentemente dal prete che l'offre,
inoltre giova anche a chi l'offre, sebbene cattivo; quando ho pronunciato
le parole Io sono, tutti i miei nemici sono caduti all'indietro; similmente,
all'udire le parole: Questo è il mio corpo, i diavoli fuggono via e cessano
di tentare le anime che fanno queste sante oblazioni, né oserebbero
tornare ad assediarle con rinnovata audacia se in esse non si insinuasse
una propensione a peccare. Per questo la mia misericordia perdona tutti
e li tollera, ma la mia giustizia grida vendetta: perciò io grido e quanti
siano quelli che mi rispondono, lo vedi da te. Ciononostante invierò
ancora la mia Parola: chi l'ascolterà, trascorrerà e terminerà i suoi giorni
con una gioia così grande che non è possibile dire, né pensare la dolcezza
della mia Parola senza farle torto...» Libro IV, 58
Il sacerdote deve avere un libro e l'olio
«Il sacerdote deve avere anche un libro e dell'olio:
un libro per istruire gli imperfetti; infatti così come nel libro è contenuta la dottrina del corpo e dello spirito, allo stesso modo il ministro di Dio deve avere la saggezza... La scienza spirituale serve a istruire gli ignoranti, a correggere le persone dissolute e a spronare quelle progredite.
Nell'olio sono la dolcezza della preghiera e i buoni esempi, poiché così come l'olio è più grasso del pane, allo stesso modo l'orazione d'amore e carità e gli esempi di una vita buona, sono più efficaci di qualsiasi altra cosa per attirare gli uomini a Dio e per placare Dio stesso. In verità ti dico, figliamia, che il nome del prete è grande, poiché egli è un angelo e un mediatore; ma più grande ancora è il suo ufficio, in quanto egli tocca Dio, che è incommensurabile e tiene nelle sue mani le cose sante».
Libro IV, 59
Il Signore ha rimesso il suo corpo nelle mani del sacerdote
«Io sono» dice la Saggezza eterna, «come un uomo che, dovendo
abbandonare il mondo, lascia ai suoi amici più cari ciò che ha di meglio;
io ho fatto lo stesso con i sacerdoti che ho scelto al di sopra degli angeli
e degli uomini: ho offerto loro il mio corpo preziosissimo quando ho
lasciato il mondo e ho affidato loro molti doni: la mia fede; due chiavi,
quella dell'inferno e quella del cielo; la possibilità di tramutare il nemico
in un angelo; di poter consacrare il mio corpo, cosa che non possono fare
gli angeli e infine di toccare con le mani il mio corpo preziosissimo e
purissimo. Ora, essi si comportano con me come gli ebrei, i quali
negavano che avevo resuscitato Lazzaro e compiuto altre meraviglie. Mi
accusavano sostenendo che volevo diventare re, che avevo vietato di
dare i tributi a Cesare e che avrei ricostruito il Tempio in tre giorni; simil-
mente i ministri di Dio non divulgano i miei prodigi né insegnano la mia
dottrina, ma diffondono in ogni dove l'amore del mondo e ovunque
predicano la loro volontà, poiché stimano meno di nulla tutto quello che
ho fatto per loro. In secondo luogo, hanno perduto la chiave con cui
dovevano aprire il cielo ai miserabili; amano e prediligono la chiave che
apre l'inferno e la tengono avvolta in un panno pulito. In terzo luogo,
fanno di un giusto un ingiusto, di un semplice un diavolo, di un sano un
malato, perché oggi chi si avvicina loro con tre malattie, se ne allontana
con una quarta in più; se qualcuno si reca da loro con quattro malattie,
se ne parte con cinque, perché il peccatore, vedendo l'esempio cattivo e
depravato dei sacerdoti, imbocca una nuova strada, si rafforza nel
peccato ed inizia a gloriarsi del peccato stesso di cui aveva vergogna...In
quarto luogo, quelli che mi dovevano santificare con la bocca, mi
vendono per cupidigia; sono peggio di Giuda, perché Giuda in un certo
senso ha riconosciuto il proprio peccato ed ha fatto penitenza, sebbene
inutilmente. Essi si definiscono e si reputano giusti. Giuda, invece, ha
riportato il frutto del suo peccato ai sommi sacerdoti e agli anziani, e
questi hanno messo la sua confessione al servizio del loro ingegno e del
loro uso. Giuda mi ha venduto prima che riscattassi il mondo, ma costoro
mi vendono dopo e non hanno compassione del mio sangue che grida
vendetta con maggior ragione che non il sangue di Abele. Giuda mi ha
venduto per trenta denari, ma costoro mi vendono con ogni sorta di
maldicenza, perché non si avvicinano mai a me se non per ricevere
qualche vantaggio. In quinto luogo, si comportano come gli ebrei. Ora,
cosa hanno fatto questi ultimi? Mi hanno posto sulle- gno della croce, ma
costoro mi mettono su un torchio e mi stringono con forza. Ti chiederai:
'Come può accadere ciò, se la mia divinità è inattaccabile dalla
sofferenza e Dio non è predisposto al dolore?' È vero, ma la volontà ostinata con
cui i sacerdoti perseverano nel peccato è tale che ciò mi risulta ancora
più duro e doloroso, proprio come se venissi posto su un torchio. Ora,
questi preti hanno due peccati: la lussuria e la cupidigia e mi mettono e
lasciano tra questi due vizi; tanto che, dopo aver fatto penitenza e aver
celebrato la messa, sono nuovamente animati dalla volontà di peccare e
di nuovo mi fanno sentire come se venissi stretto in una pressa...»
Libro IV, 132
Il modo in cui il Signore onora i sacerdoti
Ascoltate dunque, eserciti ed angeli miei! Ho scelto dei sacerdoti al di
sopra degli angeli e degli altri uomini e ho dato loro il potere di
consacrare il mio corpo e di toccarlo. Se avessi voluto, avrei potuto
affidare una funzione del genere agli angeli, ma amo a tal punto i
sacerdoti che li ho innalzati a un simile onore e li ho ordinati affinché
presenziassero davanti a me, disposti in sette livelli. Dovevano essere
pazienti come pecore, costanti come muri dalle fondamenta stabili, pieni
di vita e generosi come soldati, saggi come serpenti, pudichi come
vergini, puri come angeli, animati da un amore ardente come quello di
una sposa che si avvicina al talamo nuziale. Ora, si sono allontanati da
me con cattiveria, sono selvaggi come lupi che rapiscono le pecore,
imbattibili quanto a fame e avidità. Non onorano nessuno e non hanno
vergogna di chicchessia. In secondo luogo, sono incostanti come le pietre
di una muraglia in rovina, perché diffidano delle fondamenta, ossia del
loro Dio, come se egli non potesse soddisfare le loro esigenze o non
volesse nutrirli e sostentarli. In terzo luogo, sono sprofondati e sono stati
avvolti dalle tenebre, come dei ladroni che camminano nella cecità dei
propri vizi. Non hanno affatto il coraggio dei soldati, necessario per
combattere per l'onore e la gloria di Dio, né hanno la generosità che
occorre per compiere azioni eroiche. In quarto luogo, diventano pigri
come asini che tengono la testa bassa: similmente sono stolti e insensati
poiché pensano sempre alle cose mondane, senza rivolgere la mente al
cielo e alle cose future. In quinto luogo, sono impudenti come cortigiane:
mi camminano davanti con insolenza nei loro abiti im-pertinenti e tutte
le loro membra esprimono la loro lussuria. In sesto luogo, sono sudici
come la pece: tutti quelli che si avvicinano loro ne sono offuscati e
imbrattati. In settimo luogo, sono abominevoli… Solo certi preti si
accostano a me con dissimulazione, come se fossero dei traditori,
Tuttavia io, che sono Dio e Signore di tutte le creature in cielo come in
terra, vado loro incontro; dopo che il sacerdote ha pronunciato le
parole Questo è il mio corpo sull’altare, davanti a lui io sono vero Dio e
vero uomo. Mi affretto verso i miei ministri come uno sposo innamorato,
per provare e gustare assieme a loro i sacri piaceri della mia divinità;
ma, ahimè, non trovo posto nel loro cuore. Ascoltate ancora, amici miei,
quanta dignità conferisco ai sacerdoti al di sopra degli angeli e degli
uomini: ho dato loro il potere di fare cinque cose: legare e sciogliere in
terra e in cielo; trasformare i miei nemici in amici di Dio, e i demoni
peccatori in angeli virtuosi; predicare la mia parola; consacrare e
santificare il mio corpo, cosa che nessun angelo può fare; toccare il mio
corpo, cosa che nessuno di voi oserebbe fare».Libro IV, 133
Il Signore chiama i sacerdoti come uno sposo
«Io sono come lo sposo che conduce la sposa nella sua casa con mille
prove d'amore. Ho unito a tal punto i preti a me, tramite il mio corpo,
che erano in me ed io in loro; ma essi rispondono a quest'unione come
un'adultera che dice al marito: 'Le tue parole non mi piacciono; le tue
ricchezze sono vane; la tua voluttà è come un veleno. Ci sono altre cose
che voglio amare e seguire'. A queste parole lo sposo, dolce e mansueto,
risponderà: 'Mia sposa, ascoltami, abbi pazienza. Le tue parole devono
essere le mie, le mie ricchezze le tue; la mia volontà deve essere la tua,
la tua voluttà la mia contentezza... Attiro a me i preti come uno sposo la
sua sposa; faccio tutto quello che posso per loro; ma più li chiamo, più
fuggono da me. Le mie parole non piacciono loro; essi considerano un
peso le mie ricchezze; detestano la dolcezza delle mie parole come se
fosse veleno. Li inseguo avvertendoli come un padre colmo di pietà,
tollerandoli come un signore pieno di clemenza, attraendoli con doni
come un dolce sposo; ma più li chiamo, più si allontanano da me».
Libro IV, 135
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UFFICIO MARIANO. MARTEDI'
Inno
Salve, Arca foéderis, Virga frondes gérminis, Décuit Natum tam nobilem, Almam, quam elégerat, | Salve, Arca dell’alleanza, Albero adorno di fronde, Fu giusto che il tuo così nobile Figlio La forte Genitrice, |
Ant. Sicut lìlium inter spinas, sic amica mea inter filias Adae. | Ant. Come giglio tra le spine, così la mia diletta tra le figlie di Adamo. |
Salmo 1 – di clemenza e di misericordia.
Domina, venérunt Gentes in haereditatem Dei, | Vennero, o Signora, le Genti per ricevere l’eredità di Dio, |
Pulchrae sunt viae tuae, | Belle sono le tue vie, |
Ut subvènias invocantibus te. | Per aiutare quanti ti invocano. |
Et dilatata est super me clementia. | E la clemenza si è diffusa sopra di me. |
Et palpebrae tuae noverunt vias meas: | e le tue palpebre si aprirono sulle mie vie: |
Non avèrtas sacrum aspectum tuum, | Non distogliere il sacro tuo volto, |
Inclina vultum Dei super nos, | Fa’ che il volto di Dio si volga su di noi, |
Serénet corda nostra lux misericordiae tuae, | Rassereni i nostri cuori la luce della tua misericordia, |
Et récreet nos pacis tuae dulcedo. | E ci ristori la dolcezza della tua pace. |
Ut servetur conscientia nostra apud Altissimum. | Perché la nostra coscienza si mantenga pura presso l’Altissimo. |
Gloria Patri... | Gloria al Padre... |
Salmo 2 – di dolcezza e amore puro.
Salvum me fac, Mater pulchrae dilectionis, | Portami a salvezza, Madre del puro amore, |
Omnes sitientes, venite ad illam, | Voi tutti assetati, venite a lei, |
Quam magna est multitudo dulcédinis tuae, Domina! | Quanto è grande la molteplicità della tua dolcezza, o Signora! |
Stilla nobis, Domina, gratiam ùberum tuorum, | Distillaci, o Signora, la grazia del tuo seno, |
Stilla nobis guttam suavitatis tuae, | Donaci una goccia della tua soavità, |
Distilla mihi suavitatem gratiarum tuarum, | Distillami la soavità delle tue grazie, |
Spiritus enim tuus super mel dulcis, | Infatti il tuo spirito è dolce più che il miele, |
Esto refrigerium nostrum, gloriosa Mater Christi, | Sii nostro refrigerio, gloriosa Madre di Cristo, |
Gloria Patri... | Gloria al Padre... |
Salmo 3 – di richiesta di luce e protezione.
Laudate pueri Matrem Dei, | Lodate, fanciulli, la Madre di Dio, |
Benedicta sit Maria, Mater Christi, | Sia benedetta Maria, Madre di Cristo, |
Excelsus super Chérubim thronus ejus, | Eccelso sui Cherubini è il suo trono, |
Super humiles vultus ejus, | Sopra gli umili è il suo volto, |
Misericordia ejus super omnem carnem, | Su ogni uomo è la sua misericordia, |
Illumina splendore tuo celeritatem meam, | Purifica del tuo splendore la mia prontezza, |
Tu es Mater illuminationis cordis mei, | Tu sei Madre che illumini il mio cuore, |
Illumina me, Stella maris, | Donami luce, o Stella del mare, |
Miserere mei, Domina, miserere mei, | Abbi pietà di me, o Signora, pietà di me, |
Gloria Patri... | Gloria al Padre... |
V. Ego in altissimis habito. | V. Io dimoro nel più alto dei Cieli, |
R. Et thronus meus in columna nubis. | R. Ed il mio trono è sopra una colonna di nubi. |
L'INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI
L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI (15)
R. P. BARTHELEMY FROGET
[Maestro in Teologia dell’ordine dei fratelli Predicatori]
L’INABITAZIONE DELLO SPIRITO SANTO NELLE ANIME DEI GIUSTI SECONDO LA DOTTRINA DI SAN TOMMASO D’AQUINO
PARIS (VI°) P. LETHIELLEUX, LIBRAIRE-ÉDITEUR 10, RUE CASSETTE, 1929 Approbation de l’ordre: fr. MARIE-JOSEPH BELLON, des Fr. Pr. (Maitre en théologie). Imprimatur: Fr. Jos. Ambrosius LABORÉ, Ord. Præd. Prior Prov.Lugd. Imprimatur, Parisiis, die 14 Februarii, 1900. E. THOMAS, V. G.
QUARTA PARTE
SCOPO ED EFFETTI DELLA MISSIONE INVISIBILE DELLO SPIRITO-SANTO E DELLA SUA INABITAZIONE NELLE ANIME.
CAPITOLO VII
Ultimi effetti dell’inabitazione di Dio in noi: I FRUTTI DELLO SPIRITO SANTO E LE BEATITUDINI.
Conosciamo ora, se non in dettaglio, almeno con una veduta d’insieme, i principi di attività conferiti ai giusti dallo Spirito Santo, un magnifico e complesso organismo di santità che, secondo la bella espressione di un Padre della Chiesa, fa dell’uomo uno strumento musicale mirabilmente disposto a cantare la gloria e la potenza divina: Instrumentent musicum a Spiritu pulsatum, divinamque gloriam et potentiam canens (S. Greg. Naz., Orat. Ad Popul. XLIII, 67). E quando ha così preparato tutto, lo Spirito Santo, l’Artista incomparabile, si mette alla tastiera e, se non incontra resistenza, trae da questo strumento spirituale, meravigliosi accordi che deliziano il cuore di Dio e non tralasciano di piacere al mondo stesso, affascinato, malgrado tutto, da questa santa armonia. È la dolce e casta Agnese che canta sulla terra, per continuare in cielo, il canto delle vergini: « Io amo Cristo, di cui presto diventerò la sposa; il Cristo, di cui la Madre è vergine ed il Padre celeste genera senza corruzione….. Io sono fidanzata con Colui che è servito dagli Angeli e la cui bellezza è ammirata dal sole e dalla luna » (ex Offic. S. Agnetis).
– È il martire Ignazio, esposto nell’anfiteatro e che, sentendo il ruggito dei leoni, grida nella sua impazienza di soffrire: « Io sono il frumento di Cristo; sarò macinato dai denti delle bestie per diventare un pane veramente puro. » È il grande Apostolo Paolo, che lancia questa fiera sfida a tutte le potenze nemiche: « Chi mi separerà dall’amore di Cristo? La tribolazione? L’angoscia? La fame? La nudità? Il pericolo? La persecuzione? La spada?….. Sono sicuro che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le virtù, né qualsiasi altra creatura potrà mai separarmi dall’amore di Dio in Gesù Cristo, nostro Signore » (Rom. VIII, 35-39).
– È l’innumerevole moltitudine dei Santi sparsi in tutto il mondo e che formano un immenso concerto, dove ognuno fa la sua parte e canta in modo speciale il trionfo della grazia sulla natura: una deliziosa sinfonia, dove tutte le voci si uniscono e si fondono in una meravigliosa armonia. Voci di bambini e di anziani, di vergini e di adolescenti, di uomini e di donne, che salgono dalla terra al cielo. Voci di innocenze preservate o faticosamente riconquistate. Voce di misericordiosa carità che richiama, per bocca di Vincenzo de’ Paoli, a tutte le miserie per alleviarle. Voce di fede trionfante nella persona di Pietro di Verona colpito a morte dall’eresia, e che ancora trova la forza di tracciare con la porpora del suo sangue questa parola sublime: Io credo. Voce di umiltà pronunciata dall’organo di Giovanni della Croce, una delle parole più belle ed eroiche mai pronunciate da una bocca umana, quando, alla domanda di Cristo di quale ricompensa chiedesse per tanto lavoro, rispondeva: « Signore, soffrire ed essere disprezzato per Voi. »
– Che mirabile fioritura di virtù il soffio dello Spirito Santo fiorisce in anime docili alla sua azione! O piuttosto che frutti deliziosi e variegati fa loro produrre! Questi sono quelli di cui Nostro Signore ha parlato quando ha detto ai suoi Apostoli: « Io vi ho scelto e vi ho costituito perché andiate avanti senza sosta, perché portiate frutti e questi frutti rimangano: Ego elegi vos, et posui vos ut eatis, et fructum afferatis, et fructus vester maneat. » (Giov. XV, 16). Il giusto, in effetti, è paragonato, nei nostri Libri sacri, ad un albero piantato sul bordo delle acque e che dà i suoi frutti nel suo tempo (Ps. I, 3). Cosa sono questi frutti? L’Apostolo san Paolo ce li fa conoscere in questa bella enumerazione che leggiamo nel capitolo V della Lettera ai Galati: « I frutti dello Spirito Santo, dice, sono la carità, la gioia, la pace, la pazienza, la benignità, la bontà, la longanimità, la dolcezza, la fede, la modestia, la continenza e la castità . » (Gal. V, 22-23). – Cosa intendiamo con questi “frutti dello Spirito Santo”? Perché sono così chiamati? Come si differenziano dalle virtù e dai doni? Qual è il loro numero?
I.
E innanzitutto, cosa si intende per frutti dello Spirito Santo? Con questo intendiamo – dice san Tommaso – « tutti gli atti di virtù che hanno raggiunto una certa perfezione e in cui l’uomo si diletta: Sunt enim fructus quæcumque virtuosa opéra in quibus homo delectatur » (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2). Si chiamano frutti – dice sant’Ambrogio – perché riempiono l’anima di pura e santa delizia. – In senso naturale, il frutto è il prodotto finale e gustoso di una pianta o di un albero che ha raggiunto la perfezione, adattato alla sua specie (Ibid. ad 1); è il termine regolare della vegetazione, il risultato definitivo di questo meraviglioso lavorio in cui è impegnata la vita della pianta. Diversi in quanto diversi sono gli alberi da cui sono stati raccolti, i frutti hanno in comune il fatto che sono l’ultimo prodotto della pianta e che, una volta giunti a maturazione, hanno tutti un certo sapore, diverso a seconda della specie. Fructus sensibilis est id quod ultimum ex arbore expectatur, et cum quadam suavitate percipitur (S. Th., Ia IIæ, q. XI, a. 1). Quand’anche deliziassero la vista con la luminosità dei loro colori e deliziassero l’olfatto con la dolcezza e la finezza del loro profumo, né le foglie né i fiori meritano questo bel nome di frutto; perché non è da questi ciò che ci si aspetta definitivamente dall’albero: quod ultimum ex arbore expectatur.
– Il frutto non è solo l’ornamento e la perfezione dell’albero, è la sua ragion d’essere, il suo scopo, il suo fine; è il frutto che conferisce all’albero il suo pieno valore e compensa la cura dedicata alla sua coltivazione. Ecco perché, parlando nella parabola di un albero di fico che aveva smesso di dare frutti diversi anni prima, il Salvatore ha detto: « Tagliatelo; perché occupa inutilmente il posto? Succide ergo illam; ut quid etiam terram occupât ? » (S. Luc. XIII, 7). Una grande lezione per il Cristiano, che, sotto pena di essere tagliato come un ramo inutile e gettato nel fuoco, non deve lasciare inattive le energie divine che gli sono state conferite come germi destinati a fiorire sotto il soffio dello Spirito di Dio e a produrre quelle opere sante degne della vita eterna che la Scrittura chiama i frutti dello Spirito Santo. Infatti, per analogia, nell’ordine spirituale, questo nome di frutto è dato al prodotto finale della grazia nelle anime, cioè agli atti di virtù, se non a tutti indistintamente, almeno a quelli che possiedono un certo grado di perfezione e di sapore. I frutti dello Spirito Santo non sono dunque delle abitudini, delle qualità permanenti, ma degli atti; non possono quindi essere confusi con le virtù e con i doni, ma si distinguono da essi come l’effetto si distingue dalla sua causa, il torrente dalla sua sorgente.
– E sebbene l’Apostolo san Paolo elenchi tra questi frutti la carità, la pazienza, la dolcezza, ecc., non è da intendere con queste espressioni le virtù stesse, ma le loro operazioni; poiché, per quanto perfette possano essere le virtù, esse non possono essere considerate come l’ultimo prodotto della grazia, essendo esse stesse ordinate, come principii, a dei prodotti successivi, cioè ai loro atti.
– Tuttavia per meritare il nome di frutto, gli atti di virtù devono essere accompagnati da una certa soavità. All’inizio, questi atti si compiono solo con difficoltà, richiedono fatica, alcuni sono addirittura amari per natura come un frutto non ancora maturo. « Ma – osserva un pio autore – quando si è da tempo praticato con fervore nella pratica delle virtù, si acquisisce la possibilità di produrre i propri atti. Non proviamo più la ripugnanza che abbiamo provato all’inizio. Non dobbiamo più combattere o essere violenti. Siamo felici di fare quello che facevamo una volta con difficoltà. Poi succede alle virtù quello che succede agli alberi. Come questi frutti che, giunti a maturità, non hanno più l’acredine, ma sono dolci e di piacevole sapore; allo stesso modo, quando gli atti di virtù abbiano raggiunto una certa maturità, si fanno con piacere, e li si trova di un gusto delizioso » (Lallemant, Doctrine spirit.). Il mondo non capisce nulla di questo genere di delizie; perché – secondo l’osservazione di San Bernardo – vede la croce, ma non l’unzione: Crucem quidem vident, sed non etiam unctionem (Serm. 1 de Dedicat.); le afflizioni della carne, la mortificazione dei sensi, le fatiche della penitenza colpiscono il suo sguardo solo per il loro lato doloroso, e li ha in orrore, le consolazioni dello Spirito Santo sfuggono ad essa. Le anime sante, invece, dicono volentieri con la sposa del Cantico: « Mi sono seduto all’ombra di colui che avevo desiderato, e il suo frutto è dolce al mio palato » (Cant. II, 3). Sono numerosi i frutti dello Spirito Santo? San Paolo ne conta dodici, come abbiamo visto sopra. Perché questo numero di duodenario? Sembra che dovrebbero essere ammessi così tanti anche gli atti virtuosi. Questa è, infatti, la conclusione di san Tommaso: « I frutti – egli dice – sono tutti atti di virtù nei quali l’uomo trova piacere: Sunt fructus quæcumque virtuosa opera in quibus homo delectatur ». (S. Th., Ia IIæ, q. LXX, a. 2).
– L’Apostolo avrebbe potuto includerne un numero maggiore o minore nella sua enumerazione, perché non pretendeva di elencarli tutti. Se si è fermato al numero di dodici, è stato prima perché questo numero, nello stile della Scrittura, si riferisce all’universalità; poi, perché tutti gli atti di virtù possono essere opportunamente ridotti a quelli nominati dall’Apostolo, poiché abbracciano l’intera vita cristiana. (Ibid. a 3, ad 4).
– Noi parliamo di frutti; ma potremmo anche chiamarli fiori, se, invece di considerare le nostre buone opere come l’ultimo prodotto della grazia in questo mondo, le considerassimo in relazione alla vita eterna, di cui sono come l’annuncio e la promessa. Perché, così come si vede apparire il fiore, si concepisce la speranza di raccogliere un frutto, così il darsi alla pratica delle opere sante e meritorie ci dà la speranza di raggiungere la vita e la beatitudine eterna.
II.
Al culmine della vita spirituale, quindi al di sopra degli atti di virtù ordinaria, al di sopra dei frutti dello Spirito Santo, vi sono le beatitudini, il coronamento dell’opera divina in noi, l’ultimo e più sublime effetto della presenza di Colui che il Padre si è degnato di inviarci per la nostra santificazione, l’anticipazione della felicità celeste. Cosa intendiamo per beatitudini? Quante ce ne sono? Sono diversi da frutti, virtù e doni?
– Il nome “beatitudini” si riferisce ad alcuni atti della vita presente che, per la loro particolare perfezione, conducono direttamente e sicuramente alla beatitudine eterna. Sono chiamate così, beatitudini metonimiche, perché sono allo stesso tempo il pegno, la causa meritoria e, in una certa misura, i primi frutti della vera e perfetta beatitudine. La beatitudine propriamente detta, è essenzialmente una sola, e consiste nel possesso di Dio. È chiaro, infatti, che Dio, essendo il Bene sovrano, il Bene infinito, l’unico capace di soddisfare tutti i desideri, nessuno è felice se non nella misura in cui lo possiede. Da questo mondo, è vero, lo possediamo per grazia, ma imperfettamente; lo portiamo dentro di noi, ma nascosto alla vista; lo amiamo, lo godiamo, ma con il pericolo di perderlo. « Quindi, se parliamo di beatitudine qui sulla terra, possiamo solo intendere, naturalmente, una beatitudine imperfetta, una beatitudine desiderata e meritata, tutt’al più cominciata. » (Mgr. Gay: Sermons de l’Avent).
– Le beatitudini menzionate nel Santo Vangelo e di cui ci stiamo occupando attualmente non significano, quindi, felicità assoluta, felicità vera e propria. Non è manifesto che la povertà, le lacrime, la fame e la sete, foss’anche di giustizia, le persecuzioni subite per la causa di Dio, non possono costituire una vera e perfetta beatitudine? Ma Nostro Signore afferma che questi sono mezzi, dei gradi, delle salite per raggiungere la beatitudine assoluta: mezzi così potenti, così efficaci, così sicuri, che chiunque li usi con perseveranza può ripetere seguendo l’Apostolo: « Sono salvato nella speranza » (Rom. VIII, 24). Non si dice di qualcuno che è giunto alla fine dei suoi voti, quando ha una fondata speranza di ottenerli? Ma come non concepire la speranza di ottenere un fine determinato, quando ci si muove verso di esso in modo costante e regolare, quando ci si avvicina, quando soprattutto si comincia già a gustare la dolcezza del bene atteso? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 1.) Quando, dunque, un Cristiano, docile alle ispirazioni dello Spirito Santo, avanza quotidianamente nel cammino di bontà attraverso gli atti di virtù ed i doni, quando lo si vede realizzare gradualmente queste mirabili ascese di cui parla il Salmista (Ps LXXXIII, 6), ed avvicinarsi sempre di più al termine, come non sentire la fiducia che egli raggiungerà la perfezione del cammino e quella della patria, e non proclamarlo benedetto in anticipo? (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 2).
Ma quali sono questi mezzi che conducono così sicuramente al termine della salvezza eterna, questi atti così pieni di soavità che possiamo considerarli come l’inizio della beatitudine?
– Il Salvatore stesso ce li ha fatti conoscere in questo famoso sermone della montagna che apre il periodo della sua vita pubblica. « Beati – Egli dice – i poveri in spirito, perché il regno dei cieli è loro. Beati i miti, perché possederanno la terra. Beati coloro che piangono, perché saranno confortati….. Otto volte di fila ripete, con delle varianti, la stessa espressione « Beati », annunciando così al mondo stupito quelle che il linguaggio cristiano ha chiamato le otto beatitudini. Sono otto: la povertà di spirito, la mitezza, le lacrime, la fame e la sete di giustizia, la misericordia, la purezza di cuore, l’amore per la pace, le persecuzioni subite a causa di Dio; ma l’ottava è solo la conferma e la manifestazione delle altre (S. Th., Ia IIæ, q. LXIX, a. 3 ad 5.). Infatti, dal momento in cui l’uomo è rafforzato nella povertà spirituale, dalla mitezza e dalle altre beatitudini, la persecuzione non è più in grado di staccarlo da questi beni.
– Le beatitudini non sono né virtù né doni dello Spirito Santo, ma degli atti che queste abitudini ci portano a produrre (Ibid. a. 1). Tuttavia, per la loro eccellenza e perfezione, questi atti devono essere considerati più come un prodotto dei doni che come un’emanazione delle virtù. Infatti, la virtù della povertà può anche ispirare questo distacco che fa usare con moderazione dei beni terreni, ma è il dono del timore, che ne ispira il disprezzo. La virtù della mitezza dà all’uomo l’energia necessaria a superare l’impetuosità della rabbia e a stare entro i limiti della giusta ragione; ma è il dono della pietà che assicura la calma, la serenità dell’anima, il perfetto possesso di sé e la completa sottomissione alla volontà di Dio. La temperanza mette il freno alle passioni che tendono al piacere sensibile e le mantiene entro i limiti; il dono della scienza eleva l’anima più in alto, e illuminandola sulla fragilità, la vanità, la breve durata di questi piaceri, insegna a rifiutarli del tutto, se necessario, e ad abbracciare volontariamente il dolore e le lacrime. Le beatitudini si distinguono anche dai frutti dello Spirito Santo, perché, benché dilettando come questi, abbiano anche il vantaggio di perfezionare chi le possiede: sono, se volete, dei frutti, ma i più eccellenti, i più belli, i più squisiti; frutti giunti, con gli ultimi tocchi del Sole divino, ad una perfetta maturità; anch’esse contengono una dolcezza e perfezione tale da farci sentire e gustare in anticipo qualcosa della felicità celeste. Così è coronata da opere perfette, segni precursori della beatitudine di Dio e del suo pieno possesso, questa serie di meraviglie che lo Spirito Santo compie nelle anime dove ha stabilito la sua dimora.
III.
Prima di concludere questo già lungo studio, diamo un ultimo, rapido sguardo alle verità che ne sono state oggetto, così come, prima di varcare la soglia di un edificio che è stato visitato ed esaminato nel dettaglio, diamo uno sguardo per comprenderne le linee principali e ammirarne la sapiente armonia. Dio è ovunque, in ogni essere e in ogni luogo, come causa immediata di tutto ciò che esiste fuori di Lui; ma abita solo nel giusto, al quale si unisce in modo singolare, come oggetto di conoscenza e di amore. E non è solo con la sua immagine, la sua memoria, o i suoi doni, che Egli è così presente in essi; Egli stesso viene personalmente, inaugurando fin da quaggiù questa vita di unione e di godimento che deve essere consumata in cielo. Non appena una creatura che, fino ad allora era stata peccaminosa, ritorna in grazia al suo Creatore, Colui che è in Dio l’Amore sussistente, lo Spirito Santo, gli viene inviato a suggellare in qualche modo con la sua presenza il patto di riconciliazione, a lavorare alla grande opera di santificazione e a diventare in lui il principio efficace di una nuova vita, incomparabilmente superiore a quella della natura. Non è dunque una visita temporanea, per quanto preziosa, che si degna di fare, ma Egli viene a stabilirsi nell’anima con il Padre e il Figlio e per fissarvi la sua dimora. Quando vi entra, si dà Egli stesso, e questo è il suo grande dono. Si tratta quindi di abbellire e decorare il tempio vivente dove gli piace risiedere. A tal fine, c’è questa Grazia, di un valore infinito, chiamata santificante, che ha l’effetto di purificare da ogni sozzura, di cancellare il peccato, di giustificare, trasformare, divinizzare chi la riceve, farne un figlio di Dio e l’oggetto dei suoi piaceri, con diritto all’eredità celeste. Ma non è tutto, perché la grazia non va mai da sola; essa è sempre accompagnata da una moltitudine di virtù e di qualità sovraeminenti, che sono sia un ornamento per le nostre potenze, sia una fonte di attività soprannaturale. Queste sono le virtù teologali, la fede, la speranza e la carità; le virtù morali infuse e i doni dello Spirito Santo: essi sono i semi fecondi dei frutti che Dio vuole raccogliere in noi; le energie divine, fonte di quegli atti eccellenti che portano il nome di beatitudini perché sono la causa meritoria ed una sorta di anticipazione della felicità che speriamo.
– In questo modo possiamo andare avanti; e, per spostarci efficacemente e in sicurezza verso le sponde eterne, tutto ciò che dobbiamo fare è ricevere questo impulso dallo Spirito Santo che è la parte dei figli di Dio (Rom. VIII, 14). Essa non si farà attendere. Dal profondo dell’anima dove Esso risiede, questo Spirito divino illumina la nostra intelligenza, riscalda i nostri cuori, ci eccita e ci spinge al bene. Chi conterà tutti i santi pensieri che suscita, i buoni movimenti che provoca, le sane ispirazioni di cui è la fonte? Perché invece ci sono sventurate e troppo frequenti resistenze che vengono più o meno a paralizzare la sua azione benefica e ad ostacolarne gli effetti? Questo spiega perché tanti Cristiani, abitualmente in possesso della grazia e delle energie divine che la accompagnano, rimangono tuttavia così deboli e lassi al servizio di Dio, così poco zelanti per la loro perfezione, così inclini verso la terra, così dimentichi delle cose del cielo, così facili da portarsi al male. Pertanto, l’Apostolo ci esorta a « non contristare lo Spirito Santo » con la nostra infedeltà alla grazia: Nolite contristare Spiritum sanctum Dei (Ephes. IV, 30), e soprattutto “non spegnerlo nei nostri cuori: Spiritum nolite extinguere. » (1 Tessal. V, 19). C’è un’altra causa che cerca di spiegare perché una semenza di grazie così abbondante spesso produca solo un raccolto così scarso. Questo avviene perché, conoscendo solo molto imperfettamente il tesoro di cui sono custodi, molti hanno solo una bassa stima di Esso e si impegnano poco nel farlo fruttificare. Eppure, quale forza, quale generosità, rispetto di sé, quale vigilanza, ma anche quale consolazione e quale gioia non li ispirerebbero per questo pensiero costantemente nutrito e piamente meditato: lo Spirito Santo abita nel mio cuore. Esso è lì, potente protettore, sempre pronto a difendermi dai miei nemici, a sostenermi nelle mie battaglie, ad assicurarmene la vittoria. Amico fedele, è sempre pronto a darmi udienza, e, « lungi dall’essere fonte di amarezza e di noia, la sua conversazione porta allegria e gioia: Non enim habet amaritudinem conversatio illius, nec tædium convictus illius, sed lætitiam et gaudium. » (Sap.. VIII, 16).
– Egli è lì, veglia sempre sui miei sforzi e sacrifici, contando, per ricompensarli un giorno, ognuno dei miei passi, seguendo tutti i miei passi, senza dimenticare nulla di quello che faccio per il suo amore e la sua gloria.
– Lo Spirito Santo abita nel mio cuore! Io sono il suo tempio, il tempio della santità per essenza; devo quindi diventare io stesso santo, perché il primo carattere della casa di Dio è la santità. Domum tuam, Domine, Domine, decet sanctitudo (Ps XCII, 5). Dirò dunque con il Salmista, con la mia condotta più che con le mie parole: « O Signore, ho amato la bellezza della tua casa e del luogo dove abita la tua gloria: Domine, dilexi decorem domus tuæ, et locum habitationis gloriæ tuæ. » Cosa c’è di più efficace di queste riflessioni per determinarci a vivere, secondo la parola di san Paolo, « in modo degno di Dio, sforzandoci di piacergli in ogni cosa e di portare ogni sorta di frutti di buone opere? Ut ambuletis digne Deo per omnia placentes, in omni opera bono fructificantes » (Col. X, 10). Lavoriamo dunque per crescere nella scienza di Dio, crescentes in scientia Dei, applicandoci ogni giorno per conoscere meglio, per apprezzarli di più, i doni divini. Amiamo, onoriamo, invochiamo spesso lo Spirito Santo, siamo docili alle sue ispirazioni; e se un giorno vogliamo occupare il trono di gloria che ci è stato preparato in cielo, iniziamo glorificando qui sulla terra e nella nostra anima e nel nostro corpo questa Santissima Trinità di cui siamo dimora e tempio.
Glorificate et portate Deum in corpore vestro! (1 Cor. VI, 20).
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AMDG et DVM
Il rito romano in latino ha sempre detto pro multis e mai pro omnibus nella consacrazione del calice.
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