martedì 7 aprile 2020

Introduzione / e Passione e Morte di Gesù.

DCI. Passione e Morte di Gesù. Introduzione

Venerdì Santo - Passione e Morte di Gesù

   PASSIONE E MORTE DI GESU'
 
   10 febbraio 1944
 1 Dice Gesù:
   «Ed ora vieni. Per quanto tu sia questa sera come uno prossimo a spirare, vieni, ché Io ti conduca verso le mie sofferenze. Lungo sarà il cammino che dovremo fare insieme, perché nessun dolore mi fu risparmiato. Non dolore della carne, non della mente, non del cuore, non dello spirito. Tutti li ho assaggiati, di tutti mi sono nutrito, di tutti dissetato, fino a morirne.
   Se tu appoggiassi sul mio labbro la tua bocca, sentiresti che essa ancora conserva l'amarezza di tanto dolore. Se tu potessi vedere la mia Umanità nella sua veste, ora fulgida, vedresti che quel fulgore emana dalle mille e mille ferite che coprirono con una veste di porpora viva le mie membra lacerate, dissanguate, percosse, trafitte per amore di voi.
   Ora è fulgida la mia Umanità. Ma fu un giorno che fu simile a quella d'un lebbroso, tanto era percossa ed umiliata. L'Uomo-Dio, che aveva in Sé la perfezione della bellezza fisica, perché Figlio di Dio e della Donna senza macchia, apparve allora, agli occhi di chi lo guardava con amore, con curiosità o con occhio sprezzante, brutto: un "verme", come dice Davide, l'obbrobrio degli uomini, il rifiuto della plebe.
   L'amore per il Padre e per le creature del Padre mio mi ha portato ad abbandonare il mio corpo a chi mi percoteva, ad offrire il mio volto a chi mi schiaffeggiava e sputacchiava, a chi credeva fare opera meritoria strappandomi le chiome, svellendomi la barba, trapassandomi la testa con le spine, rendendo complice anche la terra e i suoi frutti dei tormenti inflitti al suo Salvatore, slogandomi le membra, scoprendo le mie ossa, strappandomi le vesti e dando così alla mia purezza la più grande delle torture, configgendomi ad un legno e innalzandomi come agnello sgozzato sugli uncini di un beccaio, e abbaiando, intorno alla mia agonia, come torma di lupi famelici che l'odore del sangue fa ancora più feroci.
   Accusato, condannato, ucciso. Tradito, rinnegato, venduto. Abbandonato anche da Dio perché su Me erano i delitti che m'ero addossato. Reso più povero del mendico derubato da briganti, perché non mi fu lasciata neppur la veste per coprire la mia livida nudità di martire. Non risparmiato neppur oltre la morte dall'insulto di una ferita e dalle calunnie dei nemici. Sommerso sotto il fango di tutti i vostri peccati, precipitato sino in fondo al buio del dolore, senza più luce del Cielo che rispondesse al mio sguardo morente, né voce divina che rispondesse al mio invocare estremo.
 2 Isaia la dice la ragione di tanto dolore: "Veramente Egli ha preso su di Sé i nostri mali ed ha portato i nostri dolori".
   I nostri dolori! Sì, per voi li ho portati! Per sollevare i vostri, per addolcirli, per annullarli, se mi foste stati fedeli. Ma non avete voluto esserlo. E che ne ho avuto? Mi avete "guardato come un lebbroso, un percosso da Dio". Sì, era su Me la lebbra dei vostri peccati infiniti, era su Me come una veste di penitenza, come un cilicio; ma come non avete visto tralucere Dio, nella sua infinita carità, da quella veste indossata per voi sulla sua santità?
   "Piagato per le nostre iniquità, trafitto per le nostre scelleratezze" dice Isaia, che coi suoi occhi profetici vedeva il Figlio dell'uomo divenuto tutta una lividura per sanare quelle degli uomini. E fossero state unicamente ferite alla mia carne!
   Ma ciò che più m'avete ferito fu il sentimento e lo spirito. Dell'uno e dell'altro avete fatto zimbello e bersaglio; e mi avete colpito nell'amicizia, che avevo posto in voi, attraverso Giuda; nella fedeltà, che speravo da voi, attraverso Pietro che rinnega; nella riconoscenza per i miei benefici, attraverso coloro che mi gridavano: "Muori!", dopo che Io li avevo risorti da tante malattie; attraverso l'amore, per lo strazio inflitto a mia Madre; attraverso alla religione, dichiarandomi bestemmiatore di Dio, Io che per lo zelo della causa di Dio m'ero messo nelle mani dell'uomo incarnandomi, patendo per tutta la vita e abbandonandomi alla ferocia umana senza dire parola o lamento.
   Sarebbe bastato un volgere di occhi per incenerire accusatori, giudici e carnefici. Ma ero venuto volontariamente per compiere il sacrificio, e come agnello, perché ero l'Agnello di Dio e lo sono in eterno, mi sono lasciato condurre per essere spogliato e ucciso e per fare della mia Carne la vostra Vita.
   Quando fui innalzato ero già consumato da patimenti senza nome, con tutti i nomi. Ho cominciato a morire a Betlemme nel vedere la luce della Terra, così angosciosamente diversa per Me che ero il Vivente del Cielo. Ho continuato a morire nella povertà, nell'esilio, nella fuga, nel lavoro, nell'incomprensione, nella fatica, nel tradimento, negli affetti strappati, nelle torture, nelle menzogne, nelle bestemmie. Questo ha dato l'uomo a Me che venivo a riunirlo con Dio!
3 Maria, guarda il tuo Salvatore. Non è bianco nella veste e biondo nel capo. Non ha lo sguardo di zaffiro che tu gli conosci. Il suo vestito è rosso di sangue, è lacero e coperto di immondezze e di sputi. Il suo volto è tumefatto e stravolto, il suo sguardo velato dal sangue e dal pianto, e ti guarda attraverso la crosta di questi e della polvere che appesantiscono le palpebre. Le mie mani — lo vedi? — sono già tutte una piaga e attendono la piaga ultima.
   Guarda, piccolo Giovanni, come mi guardò tuo fratello Giovanni. Dietro il mio andare restano impronte sanguigne. Il sudore dilava il sangue che geme dalle lacerazioni dei flagelli, che ancor resta dall'agonia dell'Orto. La parola esce, nell'anelito dell'affanno di un cuore già morente per tortura d'ogni nome, dalle labbra arse e contuse.
   D'ora in poi mi vedrai sovente così. Sono il Re del Dolore e verrò a parlarti del dolore mio con la mia veste regale. Seguimi, nonostante la tua agonia. Saprò, poiché sono il Pietoso, mettere davanti alle tue labbra, attossicate dal mio dolore, anche il miele profumato di più serene contemplazioni. Ma devi ancor più preferire queste di sangue, perché per esse tu hai la Vita e con esse porterai altri alla Vita. Bacia la mia mano sanguinosa e vigila meditando su Me Redentore».
4 Vedo Gesù così come Egli si descrive. Questa sera, dalle 19 in poi (sono le 1,15 dell'11, ormai) sono proprio in agonia.
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5 Mi dice Gesù questa mattina, 11 febbraio, alle 7,30:
   «Ieri sera non ho voluto che parlarti di Me penante, perché ho iniziato la descrizione e visione dei miei dolori. Ieri sera è stata l'introduzione. Ed eri così sfinita, amica mia! Ma, prima che l'agonia torni, ti devo fare un dolce rimprovero.
   Ieri mattina sei stata egoista. Hai detto al Padre: "Speriamo che io duri, perché la mia fatica è la più grande". No. La sua è la più grande, perché è faticosa e non compensata dalla beatitudine del vedere e dall'avere Gesù presente, come tu hai, anche con la sua santa Umanità. Non essere mai egoista, neppure nelle cose minime. Una discepola, un piccolo Giovanni, deve essere umilissimo e caritatevolissimo come il suo Gesù.
   Ed ora vieni a stare con Me. "I fiori sono apparsi… il tempo di potare è venuto… si è sentita nelle campagne la voce della tortorella…". E sono i fiori nati nelle pozze del Sangue del tuo Cristo. E Colui che sarà reciso come ramo potato è il Redentore. E la voce della tortora, che chiama la sposa al suo convito di nozze dolorose e sante, è la mia che ti ama.
 Sorgi e vieni, come dice la Messa d'oggi. Vieni a contemplare ed a soffrire. È il dono che concedo ai prediletti
Magistero integrale Benedetto XVI Messaggi per la Quaresima ...

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602DCII. Verso il Getsemani con undici apostoli. L'agonia spirituale e la cattura.
X603DCIII. Riflessioni sull'agonia nel Getsemani e premessa agli altri dolori della Passione.
X604DCIV. I processi e il rinnegamento di Pietro. Considerazioni su Pilato.
X605DCV. Disperazione e suicidio di Giuda Iscariota. Avrebbe ancora potuto salvarsi se si fosse ...
X606DCVI. Gesù e Maria sono l'antitesi di Adamo ed Eva. Giuda Iscariota è il nuovo Caino. La vera ...
X607DCVII. Giovanni va a prendere la Madre.
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Gesù Volto.jpg

608DCVIII. La via dolorosa dal Pretorio al Calvario.:

CAPITOLO 608



DCVIII. La via dolorosa dal Pretorio al Calvario.

   26 marzo 1945.
 1 Passa qualche tempo così, non più di una mezz'ora, forse anche meno. Poi Longino, incaricato di presiedere all'esecuzione, dà i suoi ordini.
   Ma prima che Gesù sia condotto fuori, nella via, per ricevere la croce e mettersi in moto, Longino, che lo ha guardato due o tre volte, con una curiosità che si tinge già di compassione e con l'occhio pratico di chi non è nuovo a certe cose, si accosta a Gesù con un soldato e gli offre un ristoro: una coppa di vino, credo. Perché mesce da una vera borraccia militare un liquido di un biondo-roseo chiaro. «Ti farà bene. Devi avere sete. E fuori c'è sole. E lunga è la via».
   Ma Gesù risponde: «Dio ti compensi della tua pietà. Ma non te ne privare».
   «Ma io sono sano e forte… Tu… Non mi privo… E poi… volentieri lo farei, se fosse, per darti un conforto… Un sorso… per mostrarmi che non odi i pagani».
   Gesù non ricusa più e beve un sorso della bevanda. Ha le mani già slegate, come non ha più canna né clamide, e lo può fare da Sé. E poi rifiuta, nonostante la bevanda fresca e buona dovrebbe essere di un grande ristoro alla febbre che già si manifesta nelle striature rosse che si accendono sulle sue guance pallide e nelle labbra asciutte, screpolate.
   «Prendi, prendi. È acqua e miele. Sostiene. Disseta… Mi fai pietà… sì… pietà… Non eri Tu da uccidere fra gli ebrei… Mah!… Io non ti odio… e cercherò di farti soffrire solo il necessario».
  Ma Gesù non torna a bere… Ha veramente sete… La tremenda sete degli svenati e dei febbrili… Sa che non è bevanda narcotizzata e berrebbe volentieri. Ma non vuole soffrire meno. Ma io comprendo, come comprendo questo che dico per luce interna, che ancora più che l'acqua melata gli è di ristoro la pietà del romano.
   «Dio ti renda in benedizione questo sollievo», dice poi. E ha ancora un sorriso… uno straziante sorriso con la bocca enfiata, ferita, che si piega a fatica, anche perché fra il naso e lo zigomo destro sta enfiando fortemente la forte contusione della bastonata presa nel cortile interno dopo la flagellazione.

 2 Sopraggiungono i due ladroni, inquadrati da una decuria per uno di armati.
   È l'ora di andare. Longino dà gli ultimi ordini.
   Una centuria si dispone in due file distanti un tre metri l'una dall'altra ed esce così nella piazza, su cui un'altra centuria ha formato un quadrato per respingere la folla acciò non ostacoli il corteo. Sulla piazzetta sono già degli uomini a cavallo: una decuria di cavalleria con un giovane graduato che la comanda e con le insegne. Un soldato a piedi tiene per la briglia il morello del centurione. Longino monta in sella e va al suo posto, davanti un due metri dagli undici a cavallo.
   Portano le croci. Quelle dei due ladroni sono più corte. Quella di Gesù molto più lunga. Io dico che l'asta verticale non lo è meno di un quattro metri.
   Io la vedo portata già formata. Ho letto su questo, quando leggevo… ossia anni fa, che la croce fu composta sulla cima del Golgota e che lungo il cammino i condannati portavano solo i due pali a fascio sulle spalle. Tutto può essere. Ma io vedo una vera croce, ben contesta, solida, perfettamente incastrata nell'incrocio dei due bracci e ben rinforzata con chiodi e bulloni negli stessi. E infatti, se si pensa che era destinata a sostenere un peso non indifferente, quale è il corpo di un adulto, e sostenerlo anche nelle convulsioni finali, non indifferenti, si comprende che non poteva essere fabbricata lì per lì sulla stretta e scomoda cima del Calvario.
   Prima di dare la croce a Gesù, gli passano al collo la tavola con la scritta Gesù Nazzareno Re dei Giudei. E la fune che la sostiene si impiglia nella corona, che si sposta e sgraffia dove non è già sgraffiato e penetra in nuovi posti dando nuovo dolore e facendo sgorgare nuovo sangue. La gente ride di sadica gioia, insulta, bestemmia.
   Ora sono pronti. E Longino dà l'ordine di marcia. «Per primo il Nazzareno, dietro i due ladroni; una decuria intorno ad ognuno, le altre sette decurie a fare da ala e rinforzo, e sarà responsabile il soldato che fa ferire a morte i condannati».

 3 Gesù scende i tre scalini che dal vestibolo portano sulla piazza. E appare subito evidente che Gesù è in condizioni di forte debolezza. Vacilla nello scendere i tre scalini, impicciato dalla croce che preme sulla spalla tutta piagata, dalla tabella della scritta che ballonzola sul davanti e sega sul collo, dagli ondeggiamenti che imprime al corpo la lunga asta della croce, che sobbalza sugli scalini e sulle asperità del suolo.
   I giudei ridono, nel vederlo come ubbriaco tentennare, e gridano ai soldati: «Urtatelo. Fatelo cadere. Nella polvere il bestemmiatore!». Ma i soldati fanno soltanto ciò che devono, ossia ordinano al Condannato di mettersi in mezzo alla via e di camminare.
   Longino sprona il cavallo, e il corteo si mette in moto lentamente. E Longino vorrebbe anche fare presto, prendendo la via più breve per andare al Golgota, perché non è sicuro della resistenza del Condannato. Ma la teppa scatenata, e chiamarla teppa è ancora un onore, non vuole così. Quelli che sono stati più furbi sono già corsi in avanti, al bivio dove la strada si biforca per andare da una parte verso le mura, dall'altra verso la città, e tumultuano, urlando, quando vedono che Longino tenta pigliare quella delle mura. «Non devi! Non devi! È illegale! La Legge dice che i condannati devono essere visti dalla città dove peccarono!». I giudei in coda al corteo comprendono che là davanti si tenta defraudarli di un diritto e uniscono le loro urla a quelle dei colleghi.
   Per amor di pace, Longino piega per la via che va verso la città e ne fa un pezzo. Ma fa anche cenno ad un decurione di venirgli accosto (dico decurione perché è il graduato, ma forse è quello che noi diremmo il suo ufficiale di ordinanza) e gli dice qualche cosa piano. Costui torna indietro al trotto e, man mano che raggiunge ogni capo decuria, trasmette l'ordine. Poi ritorna presso Longino a riferire che è fatto. E infine raggiunge il posto di prima, nella fila dietro a Longino.

 4 Gesù procede ansando. Ogni buca della via è un tranello per il suo piede vacillante e una tortura per le sue spalle impiagate, per il suo capo coronato di spine su cui scende a perpendicolo un sole esageratamente caldo, che ogni tanto si nasconde dietro un tendone plumbeo di nubi. Ma che, anche se nascosto, non cessa di ardere. Gesù è congestionato dalla fatica, dalla febbre e dal caldo. Penso che anche la luce e gli urli gli debbano dare tormento. E, se non può tapparsi gli orecchi per non sentire quei gridi sgangherati, socchiude gli occhi per non vedere la strada abbacinante di sole… Ma li deve anche riaprire perché inciampa in sassi e buche, e ogni inciampone è dolore perché smuove bruscamente la croce che urta sulla corona, che si sposta sulla spalla piagata e allarga la piaga e accresce il dolore.
   I giudei non possono più colpirlo direttamente. Ma ancora qualche sasso arriva e qualche bastonata. Il primo, specie nelle piazzette piene di folla. Le seconde, invece, nelle svolte, per le stradette tutte a scalini che salgono e scendono, ora uno, ora tre, ora più, per i continui dislivelli della città. Lì, per forza, il corteo rallenta, e c'è sempre qualche volonteroso (!) che sfida le lance romane pur di dare un nuovo tocco al capolavoro di tortura che è ormai Gesù.
   I soldati lo difendono come possono. Ma anche per difenderlo lo colpiscono, perché le lunghe aste delle lance, brandite in così poco spazio, lo urtano e lo fanno incespicare. Ma, giunti ad un certo punto, i soldati fanno una manovra impeccabile e, nonostante gli urli e le minacce, il corteo devia bruscamente per una via che va diretta verso le mura, in discesa, una via che abbrevia molto l'andare verso il luogo del supplizio.
   Gesù ansa sempre più. Il sudore gli riga il volto insieme al sangue che gli geme dalle ferite della corona di spine. La polvere si appiccica a questo volto bagnato e lo fa maculato di macchie strane. Perché vi è anche vento, ora. Delle folate sincopate a lunghi intervalli, in cui ricade la polvere che la folata ha alzata in vortici, che portano detriti negli occhi e nelle fauci.
   Alla porta Giudiziaria sono già ammucchiate persone e persone. Quelli che, previdenti, si sono per tempo scelti un buon posto per vedere. Ma, poco prima di giungere ad essa, Gesù dà già segno di cadere. Solo il pronto intervento di un soldato, sul quale Egli quasi va a cadere, impedisce che Gesù vada per terra. La gentaglia ride e urla: «Lascialo! Diceva a tutti: "Sorgete". Sorga Lui, ora…».
   Oltre la porta è un torrentello e un ponticello. Nuova fatica per Gesù andare su quelle tavole sconnesse, sulle quali rimbalza ancor più fortemente la lunga asta della croce. E nuova miniera di proiettili per i giudei. Volano i sassi del torrente e colpiscono il povero Martire…


 5 Ha inizio la salita del Calvario. Una via nuda, senza un filo d'ombra, selciata a pietre sconnesse, che attacca direttamente la salita.
   Anche qui, quando leggevo, ho letto che il Calvario era alto pochi metri. Sarà. Non è certo un monte. Ma un colle lo è, e non certo più basso di quello che è, rispetto ai Lungarni, il monte alle Croci, là dove è la basilica di S. Miniato, a Firenze. Qualcuno dirà: «Oh! poca cosa!». Sì, per uno sano e forte è poca cosa. Ma basta avere il cuore debole per sentire se è poca o tanta!… Io so che, dopo che mi si ammalò il cuore, anche se ancora in forma benigna, non potevo più fare quella salita senza soffrirne molto e dovendo sostare ad ogni poco, e non avevo pesi sulle spalle. E Gesù credo che avesse il cuore molto male a posto dopo la flagellazione e il sudore sanguigno… e non contemplo altro che queste due cose.
   Gesù soffre perciò acutamente nel salire e col peso della croce che, così lunga come è, deve anche pesare molto.
   Trova una pietra sporgente e siccome, sfinito come è, alza ben poco il piede, inciampa e cade sul ginocchio destro, riuscendo però a sorreggersi con la mano sinistra. La gente urla di gioia… Si rialza. Procede. Sempre più curvo e ansante, congestionato, febbrile…
   Il cartello che gli ballonzola davanti gli ostacola la vista; la veste lunga che, ora che Lui va curvo, strascica per terra sul davanti, gli ostacola il passo. Inciampa di nuovo e cade sui due ginocchi, ferendosi di nuovo dove è già ferito; e la croce che gli sfugge di mano e cade, dopo averlo percosso fortemente sulla schiena, lo obbliga a chinarsi a rialzarla ed a faticare per porsela sulle spalle di nuovo. Mentre fa questo, appare nettamente visibile sulla spalla destra la piaga fatta dallo sfregamento della croce, che ha aperto le molte piaghe dei flagelli e le ha unificate in una sola che trasuda siero e sangue, di modo che la tunica bianca è in quel luogo tutta macchiata. La gente ha persino degli applausi per la gioia di vederlo cadere così male…
   Longino incita a spicciarsi, e i soldati, con colpi di piatto dati con le daghe, sollecitano il povero Gesù a procedere. Si riprende il cammino con una lentezza sempre maggiore, nonostante ogni sollecitazione.
   Gesù sembra tutt'affatto ebbro, tanto va barcollando, urtando or l'una or l'altra delle file dei soldati, tenendo tutta la via. E la gente lo nota e urla: «Gli è andata al capo la sua dottrina. Ve', ve' come traballa!». E altri, e non sono popolo questi, ma sacerdoti e scribi, sogghignano: «No. Sono i festini in casa di Lazzaro che ancora fanno fumo. Erano buoni? Ora mangia il nostro cibo…», e simili altre frasi.


 6 Longino, che si volta ogni tanto, ha pietà e ordina una sosta di qualche minuto. Ed è insultato tanto dalla plebaglia che il centurione ordina alle milizie di caricare. E la folla vile, davanti alle lance che luccicano e minacciano, si allontana urlando e gettandosi qua e là giù per il monte.
   È qui che rivedo, fra i pochi rimasti, emergere da dietro una maceria, forse di qualche muretto franato, il gruppetto dei pastori. Desolati, stravolti, polverosi, stracciati, essi chiamano a loro, con la forza degli sguardi, il loro Maestro. Ed Egli gira il capo, li vede… li fissa come fossero volti di angeli, pare dissetarsi e fortificarsi col loro pianto, e sorride… Viene ridato l'ordine di marcia e Gesù passa proprio davanti a loro e ne ode il pianto angoscioso. Torce a fatica il capo da sotto il giogo della croce e ha un nuovo sorriso… I suoi conforti… Dieci volti… una sosta sotto al cocente sole…
   E poi subito il dolore della terza completa caduta. E questa volta non è che inciampi. Ma è che cade per subita flessione delle forze, per sincope. Va lungo disteso, battendo il volto sulle pietre sconnesse, rimanendo nella polvere sotto la croce che gli si piega addosso. I soldati cercano rialzarlo. Ma, poiché pare morto, vanno a riferire al centurione. Mentre vanno e vengono, Gesù rinviene, e lentamente, con l'aiuto di due soldati, di cui uno rialza la croce e l'altro aiuta il Condannato a porsi in piedi, si rimette al suo posto. Ma è proprio sfinito.
   «Fate che non muoia che sulla croce!», urla la folla.
   «Se lo fate morire avanti, ne risponderete al Proconsole, ricordatelo. Il reo deve giungere vivo al supplizio», dicono i capi degli scribi ai soldati.
   Questi li fulminano con sguardi feroci, ma per disciplina non parlano.

 7 Longino, però, ha la stessa paura dei giudei che il Cristo muoia per via, e non vuole noie. Senza bisogno che nessuno glielo ricordi, sa quale è il suo dovere di preposto alla esecuzione, e provvede. Provvede disorientando i giudei che sono già corsi avanti per la via, raggiunta da tutte le parti del monte, sudando, graffiandosi per passare fra i rari e spinosi cespugli del monte brullo e arso, cadendo sulle macerie che lo ingombrano come fosse un luogo di sbratto per Gerusalemme, senza sentire altra pena fuorché quella di perdere un ansito del Martire, un suo sguardo di dolore, un atto anche involontario di sofferenza, e senza altra paura che non sia quella di non giungere ad avere un buon posto.
   Longino dà, dunque, ordine di prendere la via più lunga, che sale a spirale lungo il monte e che perciò è molto meno ripida. Sembra questa un sentiero che a forza di essere percorso si sia mutato in via abbastanza comoda.
   Questo incrocio di una via con l'altra avviene ad una metà circa del monte. Ma vedo che più su, per quattro volte, la strada diretta viene tagliata da questa, che va su con molto meno pendenza e molto più lunghezza in compenso. E su questa strada sono persone che salgono, ma che non partecipano all'indegna gazzarra degli ossessi che seguono Gesù per godere dei suoi tormenti. Donne, per la più parte, e piangenti e velate, e qualche gruppetto di uomini, molto sparuto in verità, che, più avanti di molto delle donne, sta per scomparire alla vista quando, nel proseguire, la strada gira il monte.
   Qui il Calvario ha una specie di punta nella sua bizzarra struttura, fatta a muso da una parte, mentre dall'altra scoscende. Cercherò dargliene un'idea del suo aspetto preso di profilo. Ma bisogna che volti il foglio, perché qui mi viene male per mancanza di spazio. 
   Gli uomini scompaiono dietro la punta sassosa e li perdo di vista.


 8 La gente che seguiva Gesù urla di rabbia. Era più bello, per essa, vederlo cadere. Con oscene imprecazioni al Condannato e a chi lo conduce, si dà in parte a seguire il corteo giudiziario e parte prosegue quasi di corsa su per la via ripida, per rifarsi, con un ottimo posto sulla vetta, della delusione avuta.
   Le donne che vanno piangendo, e sono al punto che segno con la lettera D, si volgono nel sentire gli urli e vedono che il corteo piega per quella parte. Si fermano, allora, addossandosi al monte, per tema di essere gettate giù dalla china dai violenti giudei. Calano ancor più i loro veli sul volto. E vi è chi è completamente velata come una mussulmana, lasciando liberi solo gli occhi nerissimi. Sono vestite molto riccamente ed hanno, a difesa, un vecchio robusto che, tutto ammantellato come è, non distinguo nel volto. Ne vedo solo la barba lunga, e più bianca che nera, sporgere dal mantellone scurissimo.
   Quando Gesù giunge alla loro altezza, esse hanno un pianto più alto e si curvano in profondo saluto. Poi si fanno risolutamente avanti. I soldati vorrebbero respingerle con le aste. Ma quella tutta coperta come una mussulmana scosta per un attimo il velo all'alfiere, sopraggiunto a cavallo per vedere che è questo nuovo intoppo, e questo dà ordine di farla passare. Non posso vedere né il volto, né il vestito, perché lo spostamento del velo è fatto con rapidità di lampo e l'abito è tutto nascosto in un mantello lungo fino a terra, pesante, chiuso completamente da una serie di fibbie. La mano, che per un attimo esce da là sotto per spostare il velo, è bianca e bella. Ed è, con gli occhi nerissimi, l'unica cosa che si veda di questa alta matrona, certo influente se è così ubbidita dall'aiutante di Longino.

 9 Si accostano a Gesù piangendo e si inginocchiano ai suoi piedi mentre Egli si ferma ansante… e pure sa ancora sorridere a quelle pietose e all'uomo che le scorta, che si scopre per mostrare che è Gionata. Ma questo le guardie non lo fanno passare. Solo le donne.
   Una è Giovanna di Cusa. Ed è più disfatta di quando era morente. Di rosso non ha che le righe del pianto, e poi è tutta una faccia di neve con i dolci occhi neri che, così offuscati come sono, sembrano divenuti di un viola scurissimo come certi fiori. Ha in mano un'anfora d'argento e l'offre a Gesù. Ma Egli ricusa. D'altronde, è tanto il suo affanno che non potrebbe neppur bere. Con la mano sinistra si asciuga il sudore e il sangue che gli cade negli occhi e che, scorrendo lungo le guance paonazze e il collo, dalle vene turgide nel battito affannoso del cuore, bagna tutta la veste sul petto.
   Un'altra donna, che ha presso una fanciulla servente con uno scrignetto fra le braccia, apre lo scrignetto, ne trae un lino finissimo, quadrato, e lo offre al Redentore. Questo lo accetta. E poiché non può con una mano sola fare da Sé, la pietosa lo aiuta, badando di non urtargli la corona, a posarselo sul volto. E Gesù preme il fresco lino sulla sua povera faccia e ve lo tiene, come ne trovasse un grande ristoro.
   Poi rende il lino e parla: «Grazie Giovanna, grazie Niche,… Sara,… Marcella,… Elisa,… Lidia,… Anna,… Valeria,… e tu… Ma… non piangete… su Me… figlie di… Gerusalemme… Ma sui peccati… vostri e su quelli… della vostra città… Benedici… Giovanna… di non avere… più figli… Vedi… è pietà di Dio… non… non avere figli… perché… soffrano di… questo. E anche… tu, Elisabetta… Meglio… come fu… che fra i deicidi… E voi… madri… piangete sui… figli vostri, perché… quest'ora non passerà… senza castigo… E che castigo, se così è per… l'Innocente… Piangerete allora… di avere concepito… allattato e di… avere ancora… i figli… Le madri… di allora… piangeranno perché… in verità vi dico… che sarà fortunato… chi allora… cadrà… sotto le macerie… per primo. Vi benedico… Andate… a casa… pregate… per Me. Addio, Gionata… conducile via…».
   E fra un alto clamore di pianto femminile e di imprecazioni giudee Gesù si rimette in moto.

 10Gesù è di nuovo tutto bagnato di sudore. Sudano anche i soldati e gli altri due condannati, perché il sole di questo giorno temporalesco è scottante come fiamma e il fianco del monte, arroventato di suo, aumenta il calore solare.
   Cosa deve essere questo sole sulla veste di lana di Gesù, posta sulle ferite dei flagelli, è facile pensare e inorridire… Ma Egli non ha mai un lamento. Soltanto, nonostante la via sia molto meno ripida e non abbia quelle pietre sconnesse dell'altra, così pericolose al suo piede che ormai è strascicante, Gesù barcolla sempre più forte, tornando ad urtare da una fila all'altra dei soldati e piegando sempre più verso terra.
   Pensano di risolvere la cosa in bene passandogli una fune alla cintura e tenendolo per due capi come fossero redini. Sì. Questo lo sostiene. Ma non lo solleva dal peso. Anzi la fune, urtando nella croce, la fa spostare continuamente sulla spalla e picchiare nella corona, che ormai ha fatto della fronte di Gesù un tatuaggio sanguinante. Inoltre, la fune sfrega alla cintura dove sono tante ferite, e certo le deve rompere di nuovo, tanto che la tunica bianca si colora alla vita di un rosso pallido. Per aiutarlo, lo fanno soffrire più ancora.


 11La strada prosegue. Gira il monte, torna quasi sul davanti, verso la strada erta. Qui, nel posto che segno con la lettera M, è Maria con Giovanni. Direi che Giovanni l'ha portata in quel posto ombroso, dietro la china del monte, per darle un poco di ristoro. È la parte più scoscesa del monte. Non vi è che quella via che la costeggia. Sopra e sotto la costa scoscende o si inerpica ripida, e perciò è trascurata dai crudeli. Lì è ombra, perché direi che è il settentrione, e Maria, addossata come è al monte, è riparata dal sole. Sta appoggiata al terriccio. In piedi, ma già esausta, Ella pure ansante, pallida come una morta nel suo abito blu scurissimo, quasi nero. Giovanni la guarda con pietà desolata. Anche egli ha perduto ogni traccia di colore ed è terreo, con due occhi stanchi e sbarrati, spettinato, dalle gote incavate come per malattia.
   Le altre donne — Maria e Marta di Lazzaro, Maria d'Alfeo e di Zebedeo, Susanna di Cana, la padrona di casa e altre ancora che non conosco — tutte sono in mezzo alla via e guardano se viene il Salvatore. E, visto giungere Longino, accorrono presso Maria a dare la notizia. E Maria, sorretta per un gomito da Giovanni, si stacca, maestosa nel suo dolore, dalla costa del monte e si pone risolutamente in mezzo alla strada, scansandosi solo per il sopraggiungere di Longino, che dall'alto del suo morello guarda la pallida Donna e il suo accompagnatore biondo, pallido, dai miti occhi di cielo come Lei. E crolla il capo, Longino, mentre la supera seguito dagli undici a cavallo.
   Maria cerca passare fra i soldati appiedati. Ma questi, che hanno caldo e fretta, cercano respingerla con le aste, molto più che dalla via selciata volano sassi per protesta contro tante pietà. Sono i giudei, che ancora imprecano per la sosta causata dalle pie donne e dicono: «Presto! Domani è Pasqua. Bisogna finire tutto entro sera! Complici! Derisori della nostra Legge! Op­pressori! A morte gli invasori e il loro Cristo! Lo amano! Veh! come lo amano! Ma prendetelo! Mettetelo nel vostro maledetto Urbe! Ve lo cediamo! Non lo vogliamo! Le carogne alle carogne! La lebbre ai lebbrosi!».

 12Longino si stanca e sprona il cavallo, seguito dai dieci lancieri, contro la canea insultante, che fugge una seconda volta. Ed è nel fare questo che vede fermo un carretto, certo salito lì dalle ortaglie che sono ai piedi del monte, e che attende col suo carico di insalate che la turba sia passata per scendere verso la città. Penso che un poco di curiosità nel Cireneo e nei suoi figli lo abbia fatto salire fin lì, perché non era proprio necessario per lui di farlo. I due figli, sdraiati sull'alto del mucchio verdolino delle verdure, guardano e ridono dietro i giudei fuggenti. L'uomo invece, un robustissimo uomo sui quaranta-cinquan­t'anni, ritto presso il ciuchino che spaventato cerca di rinculare, guarda attentamente verso il corteo.
   Longino lo squadra. Pensa gli possa far comodo e ordina: «Uomo, vieni qui».
   Il Cireneo finge di non sentire. Ma con Longino non si scherza. Ripete l'ordine in un modo tale che l'uomo getta la redine ad un figlio e viene vicino al centurione.
   «Vedi quell'uomo?», chiede. E nel dire così si volge per indicare Gesù e vede a sua volta Maria, che supplica i soldati di farla passare. Ne ha pietà e urla: «Fate passare la Donna». Poi torna a parlare al Cireneo: «Non può più procedere così carico. Tu sei forte. Prendi la sua croce e portala per Lui sino alla cima».
   «Non posso… Ho l'asino… è riottoso… i ragazzi non sanno tenerlo…».
 Ma Longino dice: «Vai, se non vuoi perdere l'asino e acquistare venti colpi di castigo».
 Il Cireneo non osa più reagire. Urla ai ragazzi: «Andate a casa e presto. E dite che vengo subito», e poi va da Gesù.
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 13Lo raggiunge proprio mentre Gesù si volge verso la Madre, che solo ora vede venire verso di Lui, perché procede così curvo e ad occhi quasi chiusi che è come fosse cieco, e grida: «Mam­ma!».
   È la prima parola, da quando è torturato, che esprima il suo soffrire. Perché in quel grido c'è la confessione di tutto e ogni suo tremendo dolore di spirito, di morale e di carne. È il grido straziato e straziante di un bambino che muore solo, fra aguzzini, fra le peggiori torture… e che giunge ad avere paura anche del suo proprio respiro. È il lamento di un fanciullo delirante che è straziato da visioni d'incubo… E vuole la mamma, la mamma, perché solo il suo bacio fresco calma l'ardore della febbre, la sua voce fuga i fantasmi, il suo abbraccio fa meno paurosa la morte…
   Maria si porta la mano al cuore, come ne avesse una pugnalata, e ha un lieve vacillamento. Ma si riprende, affretta il passo e, mentre va a braccia tese verso la sua Creatura straziata, grida: «Figlio!». Ma lo dice in maniera tale che chi non ha cuore di iena se lo sente fendere per quel dolore.
   Vedo che anche fra i romani vi è un moto di pietà… eppure sono uomini d'arme, non nuovi alle uccisioni, segnati da cicatrici… Ma la parola «Mamma!» e «Figlio!» sono sempre quelle, e per tutti coloro che, ripeto, non sono peggio delle iene, e sono dette e comprese dovunque, e dovunque sollevano onde di pie­tà…
   Il Cireneo ha questa pietà… E poiché vede che Maria non può abbracciare il suo Figlio per via della croce e, dopo avere teso le braccia, le lascia ricadere, persuasa di non poterlo fare — e lo guarda soltanto, volendo sorridere del suo martire sorriso per rincuorarlo, mentre le labbra tremanti bevono il pianto, e Lui, torcendo il capo da sotto il giogo della croce, cerca a sua volta di sorriderle e di inviarle un bacio con le povere labbra ferite e spaccate dalle percosse e dalla febbre — si affretta a levare la croce, e lo fa con delicatezza di padre, per non urtare la corona o strofinare sulle piaghe.
   Ma Maria non può baciare la sua Creatura… Anche il tocco più lieve sarebbe tortura sulle carni lacerate, e Maria se ne astiene, e poi… i sentimenti più santi hanno un pudore profondo. E vogliono rispetto o almeno compassione. Qui è curiosità e soprattutto scherno. Si baciano solo le due anime angosciate.

 14Il corteo, che si rimette in moto sotto la spinta delle ondate di popolo furente che preme dal fondo, li divide, respingendo la Madre contro il monte, allo scherno di tutto un popolo…
 Ora dietro a Gesù è il Cireneo con la croce. E Gesù, libero di quel peso, procede meglio. Ansa fortemente, si porta sovente la mano al cuore, come avesse un grande dolore, una ferita lì, alla regione sterno-cardiaca, e ora che può, non avendo più le mani legate, si respinge i capelli caduti in avanti, tutti collosi di sangue e sudore, fin dietro le orecchie, per sentire aria sul volto cianotico, si slaccia il cordone del collo, per la sofferenza del respiro… Ma può camminare meglio.
   Maria si è ritirata con le donne. Si accoda al corteo quando è passato e poi, per una scorciatoia, si dirige alla vetta del monte, sfidando gli improperi della plebe cannibalesca.
   Ora che Gesù è libero, si compie abbastanza presto l'ultimo anello del monte, e già si è prossimi alla cima tutta piena di popolo urlante.
   Longino si ferma e dà ordine che tutti, inesorabilmente, siano respinti più in basso, perché la cima, luogo di esecuzione, sia libera. E metà centuria eseguisce l'ordine, accorrendo sul posto e respingendo senza pietà chiunque là si trova, usando daghe e aste per questo. Sotto la grandine delle piattonate e delle bastonate, i giudei della cima fuggono. E vorrebbero collocarsi nella sottostante spianata. Ma quelli che già sono in essa non cedono, e fra la gente si accendono risse feroci. Sembrano tutti pazzi. 


 15Come le ho detto lo scorso anno, il Calvario, nella sua cima, ha la forma di un trapezio irregolare, lievemente più alto nel lato A, dopo il quale il monte scoscende ripido per oltre metà della sua altezza. Su questa piazzuola sono già pronti tre buchi profondi, tappezzati di mattoni o lavagne, costruiti apposta, insomma. Vicino ad essi sono pietre e terra pronte per rincalzare le croci. Altri buchi invece sono stati lasciati pieni di pietre. Si capisce che li svuotano di volta in volta per il numero che serve.
   Sotto la cima trapezoidale, dalla parte che il monte non scoscende, vi è una specie di piattaforma degradante dolcemente, che fa una seconda piazzuola. Da questa partono due larghi sentieri che costeggiano la cima, di modo che questa è isolata e sopraelevata di almeno due metri da tutti i lati.
   I soldati, che hanno respinto la folla dalla cima, domano, a colpi persuasivi di aste, le risse, e fanno largo perché il corteo possa sfilare senza ostacoli nell'ultimo pezzo di strada, e restano lì a fare ala mentre i tre condannati, inquadrati dai cavalieri e protetti dall'altra metà centuria alle spalle, giungono fino al punto dove vengono fatti fermare: ai piedi del naturale palco sopraelevato che è la cima del Golgota.


 16Mentre ciò avviene, scorgo le Marie al punto che segno con un M, e un poco dietro a loro sono Giovanna di Cusa con altre quattro delle dame di prima. Le altre si sono ritirate. E devono averlo fatto da sole, perché Gionata è là, dietro alla sua padrona. Non c'è più quella che noi diciamo Veronica e che Gesù ha detta Niche, e con lei manca la sua servente. E anche quella tutta velata, che fu obbedita dai soldati, non c'è più. Vedo Giovanna, la vecchia chiamata Elisa, Anna (è la padrona di quella casa dove Gesù va alla vendemmia del primo anno[34]) e due che non so identificare meglio.
   Dietro queste donne e le Marie vedo Giuseppe e Simone d'Alfeo, e Alfeo di Sara insieme al gruppo dei pastori. Hanno colluttato con chi li voleva respingere insultandoli, e la forza di questi uomini, che l'amore e il dolore moltiplicano, è stata così violenta[35] che hanno vinto, creando un semicerchio libero contro il quale i vilissimi giudei non osano che lanciare grida di morte e tendere i pugni. Ma non di più, perché i bastoni dei pastori sono nodosi e pesanti, e la forza e la mira non manca a questi prodi. E non dico male a dire così. Ci vuole un vero coraggio a stare in pochi, noti per galilei o seguaci del Galileo, contro tutta una popolazione ostile. L'unico punto di tutto il Calvario dove non si bestemmi il Cristo!
   Il monte, dai tre lati che scendono non ripidi a valle, è tutto un formicolaio di folla. La terra giallastra e nuda non si vede più. Sotto il sole che va e viene pare un prato fiorito di corolle di tutti i colori, tanto sono fitti i copricapi e i mantelli dei sadici che lo coprono. Oltre torrente, per la via, altra folla; oltre le mura, altra ancora. Sulle terrazze più vicine, altra ancora. Il resto della città nudo… vuoto… silenzioso. Tutto è qui. Tutto l'amore e tutto l'odio. Tutto il Silenzio che ama e perdona. Tutto il Clamore che odia e impreca.
 17Mentre gli uomini preposti all'esecuzione preparano i loro strumenti finendo di svuotare le buche, e i condannati aspettano al centro del loro quadrato, i giudei, rifugiati nell'angolo opposto alle Marie, le insultano. Anche la Madre insultano: «A morte i galilei. A morte! Galilei! Galilei! Maledetti! A morte il Bestemmiatore galileo. Inchiodate sulla croce anche il seno che lo ha portato! Via le vipere che partoriscono i demoni! A morte! Mondate Israele dalle femmine congiunte col capro!…».
   Longino, che è smontato da cavallo, si volta e vede la Madre… Ordina di far cessare quella gazzarra… La mezza centuria, che era alle spalle dei condannati, carica la marmaglia e sgombera del tutto la seconda piazzuola, mentre i giudei scappano per il monte pestandosi gli uni con gli altri. Smontano anche gli altri soldati, e uno prende gli undici cavalli, oltre quello del centurione, e li porta all'ombra, dietro il costolone B del monte.
   Il centurione si avvia verso la vetta. Giovanna di Cusa si fa avanti, lo ferma. Gli dà l'anfora e una borsa. E poi si ritira piangendo, andando contro lo spigolo del monte con le altre.
 18In alto è pronto tutto. Vengono fatti salire i condannati. E Gesù passa ancora una volta presso la Madre, che ha un gemito che Ella stessa cerca frenare portandosi il mantello sulla bocca.
   I giudei vedono e ridono e deridono. Giovanni, il mite Giovanni, che ha un braccio dietro le spalle di Maria per sorreggerla, si volge con uno sguardo feroce. Ha persino l'occhio fosforescente. Se non avesse da tutelare le donne, io credo che prenderebbe qualcuno dei vili per la gola.
   Non appena i condannati sono sul palco fatale, i soldati circondano la piazzuola da tre lati. Non resta vuoto che quello a strapiombo.
   Il centurione dà ordine al Cireneo di andarsene. E questi se ne va, a malincuore ora, e non direi per sadismo, ma per amore. Tanto che si ferma presso i galilei, dividendo con essi gli insulti che la folla elargisce a questi sparuti fedeli del Cristo.
   I due ladroni gettano al suolo le loro croci bestemmiando. Gesù tace.
   La via dolorosa è terminata.


Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto

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Il Vangelo di Matteo racconta oggi della condanna a morte e della ...

DCIX. La crocifissione, la morte e la deposizione dalla croce.

   27 marzo 1945.
 1 Quattro nerboruti uomini, che per l'aspetto mi paiono giudei, e giudei degni della croce più dei condannati, certo della stessa categoria dei flagellatori, saltano da un sentiero sul luogo del supplizio. Sono vestiti di tuniche corte e sbracciate ed hanno in mano chiodi, martelli e funi che mostrano con lazzi ai tre condannati. La folla si agita in un delirio crudele.
   Il centurione offre a Gesù l'anfora perché beva la mistura anestetica di vino mirrato. Ma Gesù la rifiuta. I due ladroni invece ne bevono molta. Poi l'anfora, dall'ampia bocca svasata, viene posta presso un grosso sasso, quasi sullo scrimolo della cima.

 2 Viene dato l'ordine ai condannati di spogliarsi. I due ladroni lo fanno senza nessun pudore. Anzi si divertono a fare atti osceni verso la folla e specie verso il gruppo sacerdotale, tutto candido nelle sue vesti di lino e che è piano piano tornato sulla piazzetta più bassa, usando della sua qualità per insinuarsi lì. Ai sacerdoti si sono uniti due o tre farisei e altri prepotenti personaggi, che l'odio fa amici. E vedo persone di conoscenza, come il fariseo Giocana e Ismaele, lo scriba Sadoch, Eli di Cafarnao…
   I carnefici offrono tre stracci ai condannati perché se li leghino all'inguine. E i ladroni li pigliano con più orrende bestemmie. Gesù, che si spoglia lentamente per lo spasimo delle ferite, lo ricusa. Forse pensa conservare le corte brache che ha tenute anche nella flagellazione. Ma, quando gli viene detto di levarsi anche le stesse, Egli tende la mano per mendicare lo straccio dei boia a difesa della sua nudità. È proprio l'Annichilito fino a dover chiedere uno straccio ai delinquenti.
   Ma Maria ha visto e si è sfilata il lungo e sottile telo bianco, che le vela il capo sotto al manto oscuro e nel quale Ella ha già versato tanto pianto. Se lo leva senza far cadere il manto, lo dà a Giovanni perché lo porga a Longino per il Figlio. Il centurione prende il velo senza fare ostacolo e, quando vede che Gesù sta per denudarsi del tutto, stando voltato non verso la folla ma verso la parte vuota di popolo, mostrando così la sua schiena rigata di lividi e di vesciche, sanguinante di ferite aperte o dalle croste oscure, gli porge il lino materno. E Gesù lo riconosce. Se ne avvolge a più riprese il bacino, assicurandoselo per bene perché non caschi… E sul lino, fino allora solo bagnato di pianto, cadono le prime gocce di sangue, perché molte delle ferite, appena coperte di coagulo, nel chinarsi per levarsi i sandali e deporre le vesti si sono riaperte e il sangue riprende a sgorgare.

 3 Ora Gesù si volge verso la folla. E si vede così che anche il petto, le braccia, le gambe sono tutte state colpite dai flagelli. All'altezza del fegato è un enorme livido, e sotto l'arco costale sinistro vi sono nette sette righe in rilievo, terminate da sette piccole lacerazioni sanguinanti fra un cerchio violaceo… un colpo feroce di flagello in quella zona tanto sensibile del diaframma. I ginocchi, contusi dalle ripetute cadute, iniziate subito dopo la cattura e terminate sul Calvario, sono neri di ematoma e aperti sulla rotula, specie il destro, in una vasta lacerazione sanguinante.
   La folla lo schernisce come in coro: «Oh! Bello! Il più bello dei figli degli uomini! Le figlie di Gerusalemme ti adorano…». E intona, con tono di salmo: «Il mio diletto è candido e rubicondo, distinto fra mille e mille. La sua testa è oro puro, i suoi capelli grappoli di palma, setosi come piuma di corvo. Gli occhi son come due colombe bagnantesi ai ruscelli non d'acqua ma di latte, nel latte della sua orbita. Le sue guance sono aiuole di aromi, le sue labbra porpurei gigli stillanti preziosa mirra. Le sue mani tornite come lavoro d'orafo terminate in rosei giacinti. Il suo tronco è avorio venato di zaffiri. Le sue gambe, perfette colonne di candido marmo su basi d'oro. La sua maestà è come quella del Libano; imponente egli è più dell'alto cedro. La sua lingua è intrisa di dolcezza ed egli è tutto delizia»; e ridono e urlano anche: «Il lebbroso! Il lebbroso! Hai dunque fornicato con un idolo se Dio ti ha così colpito? Hai mormorato contro i santi di Israele come Maria di Mosè, se sei stato così punito? Oh! Oh! il Perfetto! Sei il Figlio di Dio? Ma no! L'aborto di Satana sei! Almeno egli, Mammona, è potente e forte. Tu… sei uno straccio impotente e schifoso».

 4 I ladroni sono legati sulle croci e vengono portati al loro posto, uno a destra, uno a sinistra rispetto al posto destinato a Gesù. Urlano, imprecano, maledicono e, specie quando le croci vengono portate presso il buco e li sconquassano facendo segare i polsi dalle funi, le loro bestemmie a Dio, alla Legge, ai romani, ai giudei, sono infernali.
   È la volta di Gesù. Egli si stende mite sul legno. I due ladroni erano tanto ribelli che, non bastando a farlo i quattro boia, erano dovuti intervenire dei soldati a tenerli, perché a calci non respingessero gli aguzzini che li legavano per i polsi. Ma per Gesù non c'è bisogno di aiuto. Si corica e mette il capo dove gli dicono di metterlo. Apre le braccia come gli dicono di farlo, stende le gambe come gli ordinano. Si è solo preoccupato di accomodarsi per bene il suo velo. Ora il suo lungo corpo, snello e bianco, spicca sul legno oscuro e sul suolo giallo.

 5 Due carnefici gli si siedono sul petto per tenerlo fermo. E io penso che oppressione e che dolore deve aver provato sotto quel peso. Un terzo gli prende il braccio destro, tenendolo con una mano sulla prima porzione dell'avambraccio e l'altra al termine delle dita. Il quarto, che ha già in mano il lungo chiodo acuminato sulla punta quadrangolare nel fusto, terminato in una piastra rotonda e piatta, larga come un soldone dei tempi passati, guarda se il buco già fatto nel legno corrisponde alla giuntura radio-ulnare del polso. Va bene. Il boia appoggia la punta del chiodo al polso, alza il martello e dà il primo colpo.
   Gesù, che aveva gli occhi chiusi, all'acuto dolore ha un grido e una contrazione, e spalanca gli occhi nuotanti fra le lacrime. Deve essere un dolore atroce quello che prova… Il chiodo penetra spezzando muscoli, vene, nervi, frantumando ossa…
  Maria risponde al grido della sua Creatura torturata con un gemito che ha quasi del lamento di un agnello sgozzato, e si curva, come spezzata, tenendosi la testa fra le mani. Gesù, per non torturarla, non grida più. Ma i colpi ci sono, metodici, aspri, di ferro contro ferro… e si pensa che sotto è un membro vivo quello che li riceve.
 La mano destra è inchiodata. Si passa alla sinistra. Il foro non corrisponde al carpo. Allora prendono una fune, legano il polso sinistro e tirano fino a slogare la giuntura e a strappare tendini e muscoli, oltre che lacerare la pelle già segata dalle funi della cattura. Anche l'altra mano deve soffrire, perché è stirata per riflesso, e intorno al suo chiodo si allarga il buco. Ora si arriva appena all'inizio del metacarpo, presso il polso. Si rassegnano e inchiodano dove possono, ossia fra il pollice e le altre dita, proprio al centro del metacarpo. Qui il chiodo entra più facilmente ma con maggiore spasimo, perché deve recidere nervi importanti, tanto che le dita restano inerti, mentre le altre della destra hanno contrazioni e tremiti che denunciano la loro vitalità. Ma Gesù non grida più, ha solo un lamento roco dietro le labbra fortemente chiuse, e lacrime di spasimo cadono per terra dopo esser cadute sul legno.

 6 Ora è la volta dei piedi. A un due metri e più dal termine della croce è un piccolo cuneo, appena sufficiente ad un piede. Su questo vengono portati i piedi per vedere se va bene la misura. E dato che è un poco in basso e i piedi arrivano male, stiracchiano per i malleoli il povero Martire. Il legno scabro della croce sfrega così sulle ferite, smuove la corona che si sposta strappando nuovi capelli e minaccia di cadere. Un boia gliela ricalca sul capo con una manata…
   Ora, quelli che erano seduti sul petto di Gesù si alzano per spostarsi sui ginocchi, dato che Gesù ha un movimento involontario di ritirare le gambe, vedendo brillare al sole il lunghissimo chiodo, lungo il doppio e largo il doppio di quello usato per le mani. E pesano sui ginocchi scorticati, e premono sui poveri stinchi contusi, mentre gli altri due compiono l'operazione, molto più difficile, dell'inchiodatura di un piede sull'altro, cercando di combinare le due giunture dei tarsi insieme.
   Per quanto guardino e tengano fermi i piedi, al malleolo e alle dita, contro il cuneo, il piede sottoposto si sposta per la vibrazione del chiodo, e lo devono schiodare quasi, perché, dopo essere entrato nelle parti molli, il chiodo, già spuntato per avere perforato il piede destro, deve essere portato un poco più in centro. E picchiano, picchiano, picchiano… Non si sente che l'atroce rumore del martello sulla testa del chiodo, perché tutto il Calvario non è che occhi e orecchie tese, per raccogliere atto e rumore e gioirne…
   Sul suono aspro del ferro è un lamento in sordina di colomba: il gemere roco di Maria, che sempre più si curva, ad ogni colpo, come se il martello piagasse Lei, la Madre Martire. Ed ha ragione di parere prossima ad essere spezzata da quella tortura. La crocifissione è tremenda. Pari alla flagellazione in spasimo, più atroce a vedersi, perché si vede scomparire il chiodo fra le carni vive. Ma in compenso è più breve. Mentre la flagellazione spossa per la sua durata.
   Per me, l'agonia dell'Orto, la flagellazione e la crocifissione sono i momenti più atroci. Mi svelano tutta la tortura del Cristo. La morte mi solleva, perché dico: «È finito!». Ma queste non sono fine. Sono principio a nuove sofferenze.

 7 Ora la croce è strascinata presso il buco e rimbalza, scuotendo il povero Crocifisso, sul suolo ineguale. Viene issata la croce, che sfugge per due volte a coloro che la alzano e ricade una volta di schianto, un'altra sul braccio destro della stessa, dando un aspro tormento a Gesù, perché la scossa subita smuove gli arti feriti.
   Ma quando poi la croce viene lasciata cadere nel suo buco e, prima di essere assicurata con pietre e terriccio, ondeggia in tutti i sensi, imprimendo continui spostamenti al povero Corpo sospeso a tre chiodi, la sofferenza deve essere atroce. Tutto il peso del corpo si sposta in avanti e in basso, e i buchi si allargano, specie quello della mano sinistra, e si allarga il foro nei piedi mentre il sangue spiccia più forte. E se quello dei piedi goccia lungo le dita per terra e lungo il legno della croce, quello delle mani segue gli avambracci, perché sono più alti al polso che all'ascella per forza della posizione, e riga anche le coste scendendo dall'ascella verso la cintura. La corona, quando la croce ondeggia prima di essere fissata, si sposta, perché il capo ribatte all'indietro, conficcando nella nuca il grosso nodo di spini che termina la pungente corona, e poi torna ad adagiarsi sulla fronte e graffia, graffia senza pietà.
   Finalmente la croce è assicurata e non c'è che il tormento dell'essere appeso. Issano anche i ladroni, i quali, una volta messi verticalmente, urlano come fossero scotennati vivi per la tortura delle funi, che segano i polsi e fanno divenire nere le mani, con le vene gonfie come corde.
   Gesù tace. La folla non tace più, invece. Ma riprende il suo vocio infernale.
   Ora la cima del Golgota ha il suo trofeo e la sua guardia d'onore. Al limite più alto (lato A) la croce di Gesù. Al lato B e C le altre due. Mezza centuria di soldati, con le armi al piede, tutto intorno alla vetta; dentro a questo cerchio d'armati, i dieci appiedati, che giocano a dadi le vesti dei condannati. Ritto in piedi, fra la croce di Gesù e quella di destra, Longino. E pare monti la guardia d'onore al Re Martire. L'altra mezza centuria, in riposo, è agli ordini dell'aiutante di Longino sul sentiero di sinistra e sulla piazzuola più bassa, in attesa di essere adoperata se ce ne sarà bisogno. Nei soldati c'è l'indifferenza quasi totale. Solo qualcuno alza ogni tanto il volto ai crocifissi.

 8 Longino invece osserva tutto con curiosità e interesse, confronta e mentalmente giudica. Confronta i crocifissi, e specie il Cristo, e gli spettatori. Il suo occhio penetrante non perde un particolare. E per vedere meglio fa solecchio con la mano, perché il sole gli deve dare noia.
   È infatti un sole strano. Di un giallo rosso d'incendio. E poi pare che l'incendio si spenga di colpo per un nuvolone di pece che sorge da dietro le catene giudee e che corre veloce per il cielo, scomparendo dietro ad altri monti. E quando il sole ritorna fuori è così vivo che l'occhio non lo sopporta che male.
    Nel guardare vede Maria, proprio sotto il balzo, che tiene alzato verso il Figlio il suo volto straziato. Chiama uno dei soldati che giuocano a dadi e gli dice: «Se la Madre vuole salire col fi­glio che l'accompagna, venga. Scortala e aiutala».
   E Maria con Giovanni, creduto «figlio», sale per la scaletta incisa nella roccia tufacea, credo, e penetra oltre il cordone dei soldati andando ai piedi della croce, ma un poco scosta per essere vista e per vedere il suo Gesù.
   La folla le propina subito i più obbrobriosi insulti. Accomunandola nelle bestemmie al Figlio. Ma Ella, con le labbra tremanti e sbiancate, cerca solo di dargli conforto, con un sorriso straziato su cui si asciugano le lacrime che nessuna forza di volontà riesce a trattenere negli occhi.

 9 La gente, cominciando dai sacerdoti, scribi, farisei, sadducei, erodiani e simili, si procura lo spasso di fare come un carosello, salendo dalla strada erta, passando lungo il rialzo finale e scendendo per l'altra via, o viceversa. E mentre passano ai piedi della vetta, sulla seconda piazzuola, non mancano di offrire le loro parole blasfeme come omaggio al Morente. Tutta la turpitudine, la crudeltà, l'odio e l'insania di cui sono capaci gli uomini con la lingua, vengono ampiamente testificate da queste bocche d'inferno. I più accaniti sono i membri del Tempio, coi farisei per aiuto.
   «Ebbene? Tu, Salvatore dell'uman genere, perché non ti salvi? Ti ha abbandonato il tuo re Belzebù? Ti ha rinnegato?», urlano tre sacerdoti.
   E un branco di giudei: «Tu, che non più tardi di or sono cinque giorni, con l'aiuto del Demonio, facevi dire al Padre… ah! ah! ah! che ti avrebbe glorificato, come mai non gli ricordi di mantenere la sua promessa?».
   E tre farisei: «Bestemmiatore! Ha salvato gli altri, diceva, con l'aiuto di Dio! E non riesce a salvare Se stesso! Vuoi che ti si creda? E allora fai il miracolo. Non puoi più, eh? Ora hai le mani inchiodate, e sei nudo».
   E dei sadducei ed erodiani ai soldati: «Attenti alla malìa, voi che vi siete prese le sue vesti! Ha dentro il segno infernale!».
 Una folla in coro: «Scendi dalla croce e ti crederemo. Tu che distruggi il Tempio… Folle!… Guardalo là, il glorioso e santo Tempio d'Israele. È intoccabile, o profanatore! E Tu muori».
   Altri sacerdoti: «Blasfemo! Figlio di Dio, Tu? E scendi di lì, allora. Fulminaci, se sei Dio. Non ti temiamo e sputiamo verso Te».
   Altri che passano e scrollano il capo: «Non sa che piangere. Salvati, se è vero che sei l'Eletto!».
   I soldati: «E salvati, dunque! Incenerisci questa suburra della suburra! Sì! Suburra dell'Impero siete, giudei canaglie. Fàllo! Roma ti metterà in Campidoglio e ti adorerà come un nume!».
   I sacerdoti coi loro compari: «Erano più dolci le braccia delle femmine di quelle della croce, non è vero? Ma, guarda, sono già lì pronte a riceverti le tue… (e dicono un termine infame). Ci hai tutta Gerusalemme a farti da pronuba». E fischiano come carrettieri.
   Altri lanciando dei sassi: «Muta questi in pane, Tu, moltiplicatore dei pani».
   Altri, scimmiottando gli osanna della domenica delle palme, lanciano dei rami e gridano: «Maledetto colui che viene in nome del Demonio! Maledetto il suo regno! Gloria a Sionne che lo recide di fra i vivi!».
   Un fariseo si piazza di fronte alla croce, e mostra il pugno facendo le corna e dice: «"Ti affido al Dio del Sinai", Tu dicesti? Ora il Dio del Sinai ti prepara al fuoco eterno. Perché non chiami Giona a renderti il buon servizio?».
   Un altro: «Non rovinare la croce con i colpi della tua testa. Deve servire per i tuoi seguaci. Una intera legione ne morirà sul tuo legno, te lo giuro su Jeové. E per primo ci metterò Lazzaro. Vedremo se Tu lo levi di morte, ora».
 «Sì! Sì! Andiamo da Lazzaro. Inchiodiamolo dall'altro lato della croce», e pappagallescamente fanno la parlata lenta di Gesù dicendo: «Lazzaro, amico mio, vieni fuori! Slegatelo e lasciatelo andare!».
 «No! Diceva a Marta e Maria, le sue femmine: "Io sono la Risurrezione e la Vita". Ah! Ah! Ah! La Risurrezione non sa mandare indietro la morte, e la Vita muore!».

 10«Ecco là Maria con Marta. Chiediamo dove è Lazzaro e andiamolo a cercare». E si fanno avanti, verso le donne, chiedendo arrogantemente: «Dove è Lazzaro? Al palazzo?».
   E Maria Maddalena, mentre le altre terrorizzate fuggono dietro i pastori, si fa avanti, ritrovando nel suo dolore la antica baldanza dei tempi di peccato, e dice: «Andate. Troverete già in palazzo i soldati di Roma e cinquecento armati delle mie terre, che vi castreranno come vecchi caproni destinati al pasto degli schiavi alle macine».
   «Sfrontata! Così parli ai sacerdoti?».
   «Sacrileghi! Turpi! Maledetti! Volgetevi! Alle spalle avete, io le vedo, le lingue delle fiamme infernali».
   I vili si volgono, veramente terrorizzati, tanto è sicura l'affermazione di Maria; ma, se non hanno le fiamme alle spalle, hanno alle reni le ben pontute lance romane. Perché Longino ha dato un ordine e la mezza centuria che era in riposo è entrata in fazione e punge alle natiche i primi che trova. Questi fuggono urlando e la mezza centuria resta a chiudere gli imbocchi delle due strade e a fare baluardo alla piazzuola. I giudei imprecano, ma Roma è la più forte.
   La Maddalena riabbassa il suo velo — se lo era alzato per parlare agli insultatori — e torna al suo posto. Le altre si riuniscono a lei.

 11Ma il ladrone di sinistra continua gli insulti dalla sua croce. Pare si sia fatto il condensatore di tutte le bestemmie altrui e le snocciola tutte, terminando: «Salvati e salvaci, se vuoi che ti si creda. Il Cristo Tu? Un folle sei! Il mondo è dei furbi e Dio non c'è. Io ci sono. Questo è vero, e per me tutto è lecito. Dio?… Fola! Messa per tenerci quieti. Viva il nostro io! Lui solo è re e dio!».
   L'altro ladrone, che è a destra ed ha quasi ai piedi Maria, e la guarda quasi più che non guardi Cristo, e da qualche momento piange mormorando: «la madre», dice: «Taci. Non temi Dio neppure ora che soffri questa pena? Perché insulti chi è buono? È in un supplizio ancor più grande del nostro. E non ha fatto nulla di male».
 Ma il ladrone continua le sue imprecazioni.
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 12Gesù tace. Anelante per lo sforzo della posizione, per la febbre, per lo stato cardiaco e respiratorio, conseguenza della flagellazione subita in forma tanto violenta, e anche dell'angoscia profonda che gli aveva fatto sudar sangue, cerca trovare un sollievo, alleggerendo il peso che grava sui piedi, sospendendosi alle mani e facendo forza con le braccia. Forse lo fa anche per vincere un poco il crampo che già tormenta i piedi e che si tradisce con il tremito muscolare. Ma lo stesso tremore è nelle fibre delle braccia, che sono sforzate in quella posizione e devono essere gelate nelle loro estremità, perché poste più in alto e abbandonate dal sangue, che a fatica giunge ai polsi e poi ne geme dai buchi dei chiodi lasciando senza circolazione le dita. Specie quelle della sinistra sono già cadaveriche e stanno senza moto, ripiegate verso il palmo. Anche le dita dei piedi esprimono il loro tormento. Specie gli alluci, forse perché meno è leso il loro nervo, si alzano, si abbassano, si divaricano.
   Il tronco, poi, svela tutta la sua pena col suo movimento, che è veloce ma non profondo, ed affatica senza dare sollievo. Le coste, molto ampie e alte di loro, perché la struttura di questo Corpo è perfetta, sono ora dilatate oltre misura per la posizione assunta dal corpo e per l'edema polmonare che certo si è formato nell'interno. Eppure non servono ad alleggerire lo sforzo respiratorio, tanto che tutto l'addome aiuta col suo muoversi il diaframma, che sempre più si va paralizzando.
   E la congestione e l'asfissia aumentano di minuto in minuto, come lo indicano il colorito cianotico che sottolinea le labbra, di un rosso acceso dalla febbre, e le striature di un rosso violaceo, che spennellano il collo lungo le giugulari turgide e si allargano fino sulle guance, verso le orecchie e le tempie, mentre il naso è affilato e esangue, e gli occhi affondano in un cerchio che è livido dove è privo del sangue colato dalla corona.
   Sotto l'arco costale sinistro si vede l'urto propagato dalla punta cardiaca, irregolare, ma violento, e ogni tanto, per una convulsione interna, il diaframma ha un fremito profondo che si rivela da una distensione totale della pelle, per quanto può stendersi su quel povero Corpo ferito e morente.
   Il Volto ha già l'aspetto che vediamo nelle fotografie della Sindone, col naso deviato e gonfio da una parte; e anche il tenere l'occhio destro quasi chiuso, per il gonfiore che è da questo lato, aumenta la somiglianza. La bocca, invece, è aperta, con la sua ferita sul labbro superiore ormai ridotta ad una crosta.
   La sete, data dalla perdita di sangue, dalla febbre e dal sole, deve essere intensa, tanto che Egli, con mossa macchinale, beve le stille del suo sudore e del suo pianto, e anche quelle del sangue che scende dalla fronte fin sui baffi, e si bagna con queste la lingua…
   La corona di spine gli vieta di appoggiarsi al tronco della croce per aiutare la sospensione sulle braccia e alleggerire i piedi. Le reni e tutta la spina si arcua verso l'esterno, stando staccato dal tronco della croce dal bacino in su per forza di inerzia che fa pendere in avanti un corpo sospeso come era il suo.

 13I giudei, respinti oltre la piazzuola, non cessano di insultare, e il ladrone impenitente fa eco.
   L'altro, che ora guarda con sempre maggiore pietà la Madre e piange, lo rimbecca aspramente quando sente che nell'insulto è compresa anche Lei. «Taci. Ricordati che sei nato da una donna. E pensa che le nostre han pianto per causa dei figli. E furono lacrime di vergogna… perché noi siamo delinquenti. Le nostre madri sono morte… Io vorrei poterle chiedere perdono… Ma lo potrò? Era una santa… L'ho uccisa col dolore che le davo… Io sono un peccatore… Chi mi perdona? Madre, in nome del tuo Figlio morente, prega per me».
   La Madre alza per un momento il suo viso straziato e lo guarda, questo sciagurato che attraverso al ricordo di sua madre e alla contemplazione della Madre va verso il pentimento, e pare lo carezzi col suo sguardo di colomba.
   Disma piange più forte. Cosa che scatena ancora di più gli scherni della folla e del compagno. La prima urla: «Bravo! Pigliati questa per madre. Così ha due figli delinquenti!». E l'altro rincara: «Ti ama perché sei una copia minore del suo beneamato».
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 14Gesù parla per la prima volta: «Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno!».
   Questa preghiera vince ogni timore in Disma. Osa guardare il Cristo e dice: «Signore, ricordati di me quando sarai nel tuo Regno. Io è giusto che qui soffra. Ma dammi misericordia e pace oltre la vita. Una volta ti ho sentito parlare e, folle, ho respinto la tua parola. Ora me ne pento. E dei miei peccati me ne pento davanti a Te, Figlio dell'Altissimo. Io credo che Tu venga da Dio. Io credo nel tuo potere. Io credo nella tua misericordia. Cristo, perdonami in nome di tua Madre e del tuo Padre santissimo».
   Gesù si volge e lo guarda con profonda pietà, ed ha un sorriso ancora bellissimo sulla povera bocca torturata. Dice: «Io te lo dico: oggi tu sarai meco in Paradiso».
   Il ladrone pentito si mette calmo e, non sapendo più le preghiere imparate da bambino, ripete come una giaculatoria: «Gesù Nazareno, re dei giudei, pietà di me; Gesù Nazareno, re dei giudei, io spero in Te; Gesù Nazareno, re dei giudei, io credo nella tua Divinità».
   L'altro continua nelle sue bestemmie.

 15Il cielo si fa sempre più fosco. Ora difficilmente le nubi si aprono per fare passare il sole. Ma anzi si accavallano a più e più strati plumbei, bianchi, verdognoli, si sormontano, si dipanano secondo i giuochi di un vento freddo, che a intervalli scorre il cielo e poi scende sulla terra e poi tace di nuovo, ed è quasi più sinistra l'aria quando tace, afosa e morta, di quando fischia tagliente e veloce.
   La luce, prima viva fin oltre misura, si va facendo verdastra. E i volti prendono bizzarri aspetti. I soldati, sotto i loro elmi e nelle loro corazze, prima lucenti ed ora divenute come appannate nella luce verdastra e sotto il cielo di cenere, mostrano i duri profili come scalpellati. I giudei, per la maggioranza bruni di pelle e capelli e barba, paiono degli annegati, tanto il loro volto si fa terreo. Le donne sembrano statue di neve azzurrastra per il pallore esangue che la luce accentua.
   Gesù sembra illividire sinistramente come per inizio di decomposizione, quasi fosse già morto. La testa gli comincia a pendere sul petto. Le forze mancano rapidamente. Trema, nonostante la febbre che lo arde. E nella sua debolezza mormora il nome che prima ha solo detto nel fondo del cuore: «Mamma!», «Mamma!». Lo mormora piano, come in un sospiro, quasi fosse già in un lieve delirio che gli impedisca di trattenere quanto la volontà vorrebbe trattenere. E Maria, ogni volta, ha un atto infrenabile di tendere le braccia come per soccorrerlo.
   E la gente crudele ride di questi spasimi di chi muore e di chi spasima. Salgono da capo sino a dietro i pastori, che però sono sulla piazzetta bassa, i sacerdoti e gli scribi. E poiché i soldati vorrebbero respingerli, reagiscono dicendo: «Ci stanno questi galilei? Ci stiamo anche noi, che dobbiamo verificare che giustizia sia fatta fino in fondo. E da lontano, in questa luce strana, non possiamo vedere».
   Infatti molti cominciano a impressionarsi della luce che sta fasciando il mondo, e qualcuno ha paura. Anche i soldati accennano al cielo e ad una specie di cono, che pare di lavagna tanto è cupo e che si leva come un pino da dietro una vetta. Sembra una tromba marina. Si alza, si alza e pare che generi nubi sempre più nere, quasi fosse un vulcano eruttante fumo e lava.
   È in questa luce crepuscolare e paurosa che Gesù dà a Maria Giovanni e a Giovanni Maria. Curva il capo, poiché la Madre si è fatta più sotto alla croce per vederlo meglio, e dice: «Don­na, ecco tuo figlio. Figlio, ecco tua Madre».
   Maria ha il volto ancor più sconvolto dopo questa parola che è il testamento del suo Gesù, che non ha nulla da dare alla Madre se non un uomo, Egli che per amore dell'Uomo la priva del­l'Uomo-Dio, nato da Lei. Ma cerca, la povera Madre, di non piangere che mutamente, perché non può, non può non piangere… Le stille del pianto gemono nonostante ogni sforzo per trattenerle, anche se la bocca ha il suo straziato sorriso, fissato sulle labbra per Lui, per confortare Lui…
   Le sofferenze crescono sempre più. E la luce sempre più decresce.

 16È in questa luce di fondo marino che emergono, da dietro dei giudei, Nicodemo e Giuseppe, e dicono: «Scansatevi!».
   «Non si può. Che volete?», dicono i soldati.
   «Passare. Siamo amici del Cristo».
   Si voltano i capi dei sacerdoti. «Chi osa professarsi amico del ribelle?», dicono i sacerdoti sdegnati.
   E Giuseppe risoluto: «Io, nobile membro del Gran Consiglio, Giuseppe d'Arimatea, l'Anziano, e con me è Nicodemo, capo dei giudei».
   «Chi parteggia per il ribelle è ribelle».
   «E chi parteggia per gli assassini è assassino, Eleazaro di Anna. Ho vissuto da giusto. E ora vecchio sono e prossimo alla morte. Non voglio divenire ingiusto mentre già il Cielo su me discende e con esso il Giudice eterno».
   «E tu, Nicodemo! Mi meraviglio!».
   «Io pure. E di una cosa sola: che Israele sia tanto corrotto da non sapere più riconoscere Dio».
   «Mi fai ribrezzo».
   «Scansati, allora, e lasciami passare. Non chiedo che quello».
   «Per contaminarti più ancora?».
   «Se non mi sono contaminato a starvi presso, nulla più mi contamina. Soldato, a te la borsa e il segno di lasciapassare». E passa al decurione più vicino una borsa e una tavoletta cerata.
   Il decurione osserva e dice ai soldati: «Lasciate passare i due».
   E Giuseppe con Nicodemo si avvicinano ai pastori. Non so neppure se Gesù li veda in quella caligine sempre più fitta e con l'occhio che già si vela nell'agonia. Ma essi lo vedono e piangono senza rispetto umano, nonostante ora su di loro si avventino gli improperi sacerdotali.
 17Le sofferenze sono sempre più forti. Il corpo ha i primi inarcamenti propri della tetanìa e ogni clamore di folla li esaspera. La morte delle fibre e dei nervi si estende dalle estremità torturate al tronco, rendendo sempre più difficoltoso il moto respiratorio, debole la contrazione diaframmatica e disordinato il movimento cardiaco. Il volto di Cristo passa alternativamente da vampe di rossore intensissimo a pallori verdastri di morente per dissanguamento. La bocca si muove con maggiore fatica, perché i nervi sovraffaticati del collo e del capo stesso, che hanno per decine di volte fatto da leva al corpo tutto puntandosi sulla sbarra trasversa della croce, propagano il crampo anche alle mascelle. La gola, enfiata dalle carotidi ingorgate, deve dolere ed estendere il suo edema alla lingua, che appare ingrossata e lenta nei movimenti. La schiena, anche nei momenti che le contrazioni tetanizzanti non la curvano ad arco completo dalla nuca alle anche, appoggiate come punti estremi al tronco della croce, si arcua sempre più in avanti, perché le membra divengono sempre più pesanti del peso delle carni morte.
   La gente vede poco e male queste cose, perché la luce è ormai di un cenere cupo, e solo chi è ai piedi della croce può vedere bene.

 18Gesù si affloscia, un certo momento, tutto in avanti e in basso, come già morto; non ansa più, la testa gli pende inerte in avanti, il corpo dalle anche in su è tutto staccato facendo angolo con le braccia alla croce.

   Maria ha un grido: «È morto!». Un grido tragico che si propaga nell'aria nera. E Gesù appare realmente morto.
   Un altro grido femminile le risponde e nel gruppo delle donne vedo un tramestio. Poi una decina di persone si allontanano sostenendo qualche cosa. Ma non posso vedere chi si allontana così. È troppo poca la luce nebbiosa. Sembra di essere immersi in una nube di cenere vulcanica fittissima.
   «Non è possibile», urlano dei sacerdoti e dei giudei. «È una finta per farci andare via. Soldato, pungilo con la lancia. È una buona medicina per ridargli voce». E poiché i soldati non lo fanno, una scarica di pietre e di zolle di terra volano verso la croce, colpendo il Martire e ricadendo sulle corazze romane.
   Il farmaco, come ironicamente dicono i giudei, opera il prodigio. Certo qualche sasso ha colpito a segno, forse sulla ferita di una mano, o sul capo stesso, perché miravano in alto. Gesù ha un gemito pietoso e rinviene. Il torace torna a respirare con fatica e la testa a muoversi da destra a manca, cercando un luogo dove posarsi per soffrire meno, senza trovare altro che maggior pena.

 19A gran fatica, puntandosi una volta ancora sui piedi torturati, trovando forza nella sua volontà, unicamente in quella, Gesù si irrigidisce sulla croce, torna eretto come fosse un sano nella sua forza completa, alza il volto guardando con occhi bene aperti il mondo steso ai suoi piedi, la città lontana, che appena si intravvede come un biancore incerto nella foschia, e il cielo nero dal quale ogni azzurro ed ogni ricordo di luce sono scomparsi. E a questo cielo chiuso, compatto, basso, simile ad una enorme lastra di lavagna scura, Egli grida a gran voce, vincendo con la forza della volontà, col bisogno dell'anima, l'ostacolo delle mascelle irrigidite, della lingua ingrossata, della gola edematica:
«Eloi, Eloi, lamma scebacteni!» (io sento dire così). Deve sentirsi morire, e in un assoluto abbandono del Cielo, per confessare con tal voce l'abbandono paterno.
   La gente ride e lo scherza. Lo insulta: «Non sa che farne Dio di Te! I demoni sono maledetti da Dio!».
   Altri gridano: «Vediamo se Elia, che Egli chiama, viene a salvarlo».
   E altri: «Dategli un poco d'aceto, che si gargarizzi la gola. Fa bene alla voce! Elia o Dio, poiché è incerto ciò che il folle vuole, sono lontani… Ci vuol voce per farsi sentire!», e ridono come iene o come demoni.
   Ma nessun soldato dà l'aceto e nessuno viene dal Cielo per dare conforto. È l'agonia solitaria, totale, crudele, anche soprannaturalmente crudele, della Grande Vittima.
   Tornano le valanghe di dolore desolato che già l'avevano oppresso nel Getsemani. Tornano le onde dei peccati di tutto il mondo a percuotere il naufrago innocente, a sommergerlo nella loro amaritudine. Torna soprattutto la sensazione, più crocifiggente della croce stessa, più disperante di ogni tortura, che Dio ha abbandonato e che la preghiera non sale a Lui…
   Ed è il tormento finale. Quello che accelera la morte, perché spreme le ultime gocce di sangue dai pori, perché stritola le superstiti fibre del cuore, perché termina ciò che la prima cognizione di questo abbandono ha iniziato: la morte. Perché di questo per prima cosa è morto il mio Gesù, o Dio, che lo hai colpito per noi! Dopo il tuo abbandono, per il tuo abbandono, che diventa una creatura? O un folle, o un morto. Gesù non poteva divenire folle, perché la sua intelligenza era divina e, spirituale come è l'intelligenza, trionfava sopra il trauma totale del colpito da Dio. Divenne dunque un morto: il Morto, il santissimo Morto, l'innocentissimo Morto. Morto Lui che era la Vita. Ucciso dal tuo abbandono e dai nostri peccati.

 20L'oscurità si fa ancora più fitta. Gerusalemme scompare del tutto. Lo stesso Calvario pare annullarsi nelle sue falde. Solo la cima è visibile, quasi che le tenebre la tengano alta a raccogliere l'unica e l'ultima superstite luce, posandola come per una offerta, col suo trofeo divino, su uno stagno di onice liquida, perché sia vista dall'amore e dall'odio.
   E dalla luce non più luce viene la voce lamentosa di Gesù: «Ho sete!».
   Vi è infatti un vento che asseta anche i sani. Un vento continuo, ora, violento, pieno di polvere, freddo, pauroso. Penso quale spasimo avrà dato col suo soffio violento ai polmoni, al cuore, alle fauci di Gesù, alle sue membra gelate, intormentite, ferite. Ma proprio tutto si è messo a torturare il Martire.
   Un soldato va ad un vaso dove i satelliti del boia hanno messo dell'aceto col fiele, perché col suo amaro aumenti la salivazione nei suppliziati. Prende la spugna immersa nel liquido, la infila su una canna sottile eppure rigida, che è già pronta lì presso, e porge la spugna al Morente.
   Gesù si tende avido verso la spugna che viene. Pare un infante affamato che cerchi il capezzolo materno.
   Maria, che vede e certo pensa questa cosa, geme, appoggiandosi a Giovanni: «Oh! ed io neppure una stilla di pianto gli posso dare… Oh! seno mio, ché non gemi latte? Oh! Dio, perché, perché così ci abbandoni? Un miracolo per la mia Creatura! Chi mi solleva per dissetarlo del mio sangue, posto che latte non ho?…».
   Gesù, che ha succhiato avidamente l'aspra e amara bevanda, torce il capo, avvelenato dal disgusto di essa. Deve, oltretutto, essere come del corrosivo sulle labbra ferite e spaccate.

 21Si ritrae, si accascia, si abbandona. Tutto il peso del corpo piomba sui piedi e in avanti. Sono le estremità ferite quelle che soffrono la pena atroce dello slabbrarsi sotto il peso di un corpo che si abbandona. Non più un movimento per sollevare questo dolore. Dal bacino in su, tutto è staccato dal legno, e tale resta.
   La testa pende in avanti tanto pesantemente che il collo pare scavato in tre posti: al giugolo, completamente infossato, e di qua e di là dello sternocleidomastoideo. Il respiro è sempre più anelante, ma interciso. È già più un rantolo sincopato che un respiro. Ogni tanto un colpo di tosse penosa porta una schiuma lievemente rosata alle labbra. E le distanze fra una espirazione e l'altra diventano sempre più lunghe. L'addome è già fermo. Solo il torace ha ancora dei sollevamenti, ma faticosi, stentati… La paralisi polmonare si accentua sempre più.
   E sempre più fievole, tornando al lamento infantile del bambino, viene l'invocazione: «Mamma!». E la misera mormora: «Sì, tesoro, sono qui». E quando la vista che si vela gli fa dire: «Mamma, dove sei? Non ti vedo più. Anche tu mi abbandoni?», e non è neanche una parola,ma un mormorio che appena è udibile da chi più col cuore che con l'udito raccoglie ogni sospiro del Morente, Ella dice: «No, no, Figlio! Non ti abbandono io! Sentimi, caro… La Mamma è qui, qui è… e solo si tormenta di non poter venire dove Tu sei…».
   È uno strazio… E Giovanni piange liberamente. Gesù deve sentire quel pianto. Ma non dice niente. Penso che la morte imminente lo faccia parlare come in delirio e neppure sappia quanto dice e, purtroppo, neppure comprenda il conforto materno e l'amore del Prediletto.
   Longino — che inavvertitamente ha lasciato la sua posa di riposo, con le mani conserte sul petto e una gamba accavallata, ora una, ora l'altra, per dare sollievo alla lunga attesa in piedi, e ora invece è rigido sull'attenti, la mano sinistra sulla spada, la destra regolarmente tesa lungo il fianco, come fosse sui gradini del trono imperiale — non vuole commuoversi. Ma il suo volto si altera nello sforzo di vincere l'emozione, e gli occhi hanno un luccicore di pianto che solo la sua ferrea disciplina trattiene.
   Gli altri soldati, che giocavano a dadi, hanno smesso e si sono drizzati in piedi, rimettendosi gli elmi che avevano servito ad agitare i dadi, e stanno in gruppo presso la scaletta scavata nel tufo, silenziosi, attenti. Gli altri sono di servizio e non possono mutare posizione. Sembrano statue. Ma qualcuno dei più prossimi, e che sente le parole di Maria, mugola qualcosa fra le labbra e scrolla il capo.

 22Un silenzio. Poi, netta nell'oscurità totale, la parola: «Tutto è compiuto!», e poi l'ansito sempre più rantoloso, con pause di silenzio fra un rantolo e l'altro, sempre più vaste.

 Il tempo scorre su questo ritmo angoscioso. La vita torna quando l'aria è rotta dall'anelito aspro del Morente… La vita cessa quando questo suono penoso non si ode più. Si soffre a sentirlo… si soffre a non sentirlo… Si dice: «Basta di questa sofferenza!», e si dice: «Oh! Dio! che non sia l'ultimo respiro».
   Le Marie piangono tutte, col capo contro il rialzo terroso. E si sente bene il loro pianto, perché tutta la folla ora tace di nuovo per raccogliere i rantoli del Morente.

   Ancora un silenzio. Poi, pronunciata con infinita dolcezza, con ardente preghiera, la supplica: «Padre, nelle tue mani raccomando lo spirito mio!».
   Ancora un silenzio. Si fa lieve anche il rantolo. È appena un soffio limitato alle labbra e alla gola.
   Poi, ecco, l'ultimo spasimo di Gesù. Una convulsione atroce, che pare voglia svellere il corpo infisso, coi tre chiodi, dal legno, sale per tre volte dai piedi al capo, scorre per tutti i poveri nervi torturati; solleva tre volte l'addome in una maniera anormale, poi lo lascia dopo averlo dilatato come per sconvolgimento dei visceri, ed esso ricade e si infossa come svuotato; alza, gonfia e contrae tanto fortemente il torace, che la pelle si infossa fra coste e coste che si tendono, apparendo sotto l'epidermide e riaprendo le ferite dei flagelli; fa rovesciare violentemente indietro, una, due, tre volte il capo, che percuote contro il legno, duramente; contrae in uno spasimo tutti i muscoli del volto, accentuando la deviazione della bocca a destra, fa spalancare e dilatare le palpebre sotto cui si vede roteare il globo oculare e apparire la sclerotica. Il corpo si tende tutto; nell'ultima delle tre contrazioni è un arco teso, vibrante, tremendo a vedersi, e poi un grido potente, impensabile in quel corpo sfinito, si sprigiona, lacera l'aria, il «grande grido» di cui parlanoi Vangeli e che è la prima parte della parola «Mamma»… E più nulla…
   La testa ricade sul petto, il corpo in avanti, il fremito cessa, cessa il respiro. È spirato.

 23La Terra risponde al grido dell'Ucciso con un boato pauroso. Sembra che da mille buccine dei giganti traggano un unico suono e su questo tremendo accordo ecco le note isolate, laceranti dei fulmini che rigano il cielo in tutti i sensi, cadendo sulla città, sul Tempio, sulla folla… Credo che ci saranno stati dei fulminati, perché la folla è colpita direttamente. I fulmini sono l'unica luce saltuaria che permetta di vedere. E poi subito, e mentre durano ancora le scariche delle saette, la terra si scuote in un turbine di vento ciclonico. Il terremoto e l'aeromoto si fondono per dare un apocalittico castigo ai bestemmiatori. La vetta del Golgota ondeggia e balla come un piatto in mano di un pazzo, nelle scosse sussultorie e ondulatorie che scuotono talmente le tre croci che sembra le debbano ribaltare.
   Longino, Giovanni, i soldati si abbrancano dove possono, come possono, per non cadere. Ma Giovanni, mentre con un braccio afferra la croce, con l'altro sostiene Maria che, e per il dolore e per il traballio, gli si è abbandonata sul cuore. Gli altri soldati, e specie quelli del lato che scoscende, si sono dovuti rifugiare al centro per non essere gettati giù dai dirupi. I ladroni urlano di terrore, la folla urla ancora di più e vorrebbe scappare. Ma non può. Cadono le persone l'una sull'altra, si pestano, precipitano nelle spaccature del suolo, si feriscono, rotolano giù per la china, impazziti.
   Per tre volte si ripete il terremoto e l'aeromoto, e poi si fa l'immobilità assoluta di un mondo morto. Solo dei lampi, ma senza tuono, rigano ancora il cielo e illuminano la scena dei giudei fuggenti in ogni senso, con le mani fra i capelli, o tese in avanti, o alzate al cielo, schernito fino allora e di cui ora hanno paura. La oscurità si tempera di un barlume di luce che, aiutato dal lampeggio silenzioso e magnetico, permette di vedere che molti restano al suolo, morti o svenuti, non so. Una casa arde nell'interno delle mura e le fiamme si alzano dritte nell'aria ferma, mettendo un punto di rosso fuoco sul verde cenere dell'atmosfera.

 24Maria alza il capo dal petto di Giovanni e guarda il suo Gesù. Lo chiama, perché mal lo vede nella poca luce e coi suoi poveri occhi pieni di pianto. Tre volte lo chiama: «Gesù! Gesù! Gesù!». È la prima volta che lo chiama per nome da quando è sul Calvario. Infine, ad un lampo che fa come una corona sopra la vetta del Golgota, lo vede, immobile, tutto pendente in avanti, col capo talmente piegato in avanti, e a destra, da toccare con la guancia la spalla e col mento le coste, e comprende. Tende le mani che tremano nell'aria scura e grida: «Figlio mio! Figlio mio! Figlio mio!». Poi ascolta… Ha la bocca aperta, pare voglia ascoltare anche con quella, come ha dilatati gli occhi per vedere, per vedere… Non può credere che il suo Gesù non sia più…
   Giovanni, che anche lui ha guardato e ascoltato, ed ha compreso che tutto è finito, abbraccia Maria e cerca allontanarla dicendo: «Non soffre più».
   Ma, prima che l'apostolo termini la frase, Maria, che ha capito, si svincola, gira su se stessa, si curva ad arco verso il suolo, si porta le mani agli occhi e grida: «Non ho più Figlio!».
   E poi vacilla e cadrebbe se Giovanni non se la raccogliesse tutta sul cuore, e poi egli si siede, per terra, per sostenerla meglio sul suo petto, finché le Marie, non più trattenute dal cerchio superiore di armati — perché, ora che i giudei sono fuggiti, i romani si sono ammucchiati sulla piazzuola sottostante commentando l'accaduto — sostituiscono l'apostolo presso la Madre.
   La Maddalena si siede dove era Giovanni, e quasi si adagia Maria sui ginocchi, sostenendola fra le braccia e il suo petto, baciandola sul volto esangue, riverso sulla spalla pietosa. Marta e Susanna, con la spugna e un lino intrisi nell'aceto, le bagnano le tempie e le narici, mentre la cognata Maria le bacia le mani chiamandola con strazio, e appena Maria riapre gli occhi, e gira uno sguardo che il dolore rende come ebete, le dice: «Figlia, figlia diletta, ascolta… dimmi che mi vedi… Sono la tua Maria… Non mi guardare così!…». E poiché il primo singhiozzo apre la gola di Maria e le prime lacrime cadono, ella, la buona Maria d'Alfeo, dice: «Sì, sì, piangi… Qui con me, come da una mamma, povera, santa figlia mia»; e quando si sente dire: «Oh! Maria! Maria! hai visto?», ella geme: «Sì, sì,… ma… ma… figlia… oh! figlia!…». Non trova più altro e piange, l'anziana Maria. Un pianto desolato, a cui fanno eco tutte le altre, ossia Marta e Maria, la madre di Giovanni e Susanna.
   Le altre pie donne non ci sono più. Penso siano andate via, e con esse i pastori, quando si udì quel grido femminile…

 25I soldati parlottano fra di loro.
   «Hai visto i giudei? Ora avevano paura».
   «E si battevano il petto».
   «I più terrorizzati erano i sacerdoti!».
   «Che paura! Ho sentito altri terremoti. Ma come questo mai. Guarda: la terra è rimasta piena di fessure».
   «E lì è franato tutto un pezzo della via lunga».
   «E sotto ci sono dei corpi».
   «Lasciali! Tanti serpenti di meno».
   «Oh! un altro incendio! Nella campagna…».
   «Ma è morto proprio?».
   «E non vedi? Ne hai dubbi?».

 26Spuntano da dietro la roccia Giuseppe e Nicodemo. Certo si erano rifugiati lì, dietro il riparo del monte, per salvarsi dai fulmini. Vanno da Longino. «Vogliamo il Cadavere».
 «Solo il Proconsole lo concede. Andate, e presto, perché ho sentito che i giudei vogliono andare al Pretorio ed ottenere il crucifragio. Non vorrei facessero sfregio».
   «Come lo sai?».
   «Rapporto dell'alfiere. Andate. Io attendo».
   I due si precipitano giù per la strada ripida e scompaiono.

 27È qui che Longino si accosta a Giovanni e gli dice piano qualche parola che non afferro. Poi si fa dare da un soldato una lancia. Guarda le donne tutte intente a Maria, che riprende lentamente le forze. Esse hanno, tutte, le spalle alla croce.
   Longino si pone di fronte al Crocifisso, studia bene il colpo e poi lo vibra. La larga lancia penetra profondamente da sotto in su, da destra a sinistra.
   Giovanni, combattuto fra il desiderio di vedere e l'orrore di vedere, torce per un attimo il viso.
   «È fatto, amico», dice Longino e termina: «Meglio così. Come a un cavaliere. E senza spezzare ossa… Era veramente un Giusto!».
   Dalla ferita geme molt'acqua e un filino appena di sangue già tendente a raggrumarsi. Geme, ho detto. Non esce che filtrando dal taglio netto che rimane inerte, mentre, se vi fosse stato del respiro, si sarebbe aperto e chiuso nel moto toracico addominale…

 28…Mentre sul Calvario tutto resta in questo tragico aspetto, io raggiungo Giuseppe e Nicodemo che scendono per una scorciatoia per fare più presto.
   Sono quasi alla base quando si incontrano con Gamaliele. Un Gamaliele spettinato, senza copricapo, senza mantello, con la splendida veste sporca di terriccio e strappata dai rovi. Un Gamaliele che corre, salendo e ansando, con le mani nei capelli radi e molto brizzolati di uomo anziano. Si parlano senza fermarsi.
   «Gamaliele! Tu?».
   «Tu, Giuseppe? Lo lasci?».
   «Io no. Ma tu come qui? E così?…».
   «Cose tremende! Ero nel Tempio! Il segno! Il Tempio scardinato! Il velo di porpora e giacinto pende lacerato! Il Sancta San­torum è scoperto! Anatema è su noi!». Ha parlato continuando a correre verso la cima, reso pazzo dalla prova.
   I due lo guardano andare… si guardano… dicono insieme: «"Queste pietre fremeranno alle mie ultime parole!". Egli glielo aveva promesso!…».

 29Affrettano la corsa verso la città.
   Per la campagna, fra il monte e le mura, e oltre, vagano, nell'aria ancora fosca, persone con aspetto di ebeti… Urli, pianti, lamenti… Chi dice: «Il suo Sangue ha piovuto fuoco!». Chi: «Fra i fulmini Geové è apparso a maledire il Tempio!». Chi geme: «I sepolcri! I sepolcri!».
   Giuseppe afferra uno che dà di cozzo la testa contro la muraglia e lo chiama a nome, tirandoselo dietro mentre entra in città: «Simone! Ma che vai dicendo?».
   «Lasciami! Un morto anche tu! Tutti i morti! Tutti fuori! E mi maledicono».
   «È impazzito», dice Nicodemo.
   Lo lasciano e trottano verso il Pretorio.
   La città è in preda del terrore. Gente che vaga battendosi il petto. Gente che fa un salto indietro o si volge spaventata sentendo dietro una voce o un passo.
   In uno dei tanti archivolti oscuri, l'apparizione di Nicodemo, vestito di lana bianca — perché, per fare più presto, si è levato sul Golgota il manto oscuro — fa dare un urlo di terrore ad un fariseo fuggente. Poi si accorge che è Nicodemo e gli si attacca al collo con una espansione strana, urlando: «Non mi maledire! Mia madre m'è apparsa e mi ha detto: "Sii maledetto in eterno!"», e poi si accascia al suolo gemendo: «Ho paura! Ho paura!».
   «Ma sono tutti folli!», dicono i due.
   È raggiunto il Pretorio. E solo qui, mentre attendono di essere ricevuti dal Proconsole, Giuseppe e Nicodemo riescono a sapere il perché di tanti terrori. Molti sepolcri si erano aperti sotto la scossa tellurica, e c'era chi giurava averne visto uscire gli scheletri, che per un attimo si ricomponevano con parvenza umana e andavano accusando i colpevoli del deicidio e maledicendoli.
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 30Li lascio nell'atrio del Pretorio, dove i due amici di Gesù entrano senza tante storie di stupidi ribrezzi e paure di contaminazioni, e torno sul Calvario, raggiungendo Gamaliele che sale, ormai sfinito, gli ultimi metri. Procede battendosi il petto e, quando giunge sulla prima delle due piazzuole, si butta bocconi, lunghezza bianca sul suolo giallastro, e geme: «Il segno! Il segno! Dimmi che mi perdoni! Un gemito, anche un gemito solo, per dirmi che mi odi e perdoni».
   Comprendo che lo crede ancora vivo. Né si ricrede altro che quando un soldato, urtandolo con l'asta, dice: «Alzati e taci. Non serve! Dovevi pensarci prima. È morto. E io, pagano, te lo dico: Costui, che voi avete crocifisso, era realmente il Figlio di Dio!».
   «Morto? Morto sei? Oh!…». Gamaliele alza il volto terrorizzato, cerca vedere fin lassù in cima, nella luce crepuscolare. Poco vede, ma quel tanto da capire che Gesù è morto lo vede. E vede il gruppo pietoso che conforta Maria, e Giovanni ritto alla sinistra della croce che piange, e Longino ritto a destra, solenne nella sua rispettosa postura.
   Si pone in ginocchio, tende le braccia e piange: «Eri Tu! Eri Tu! Non possiamo più avere perdono. Abbiamo chiesto il tuo Sangue su noi. Ed Esso grida al Cielo, e il Cielo ci maledice… Oh! Ma Tu eri la Misericordia!… Io ti dico, io, l'annientato rabbi di Giuda: "Il tuo Sangue su noi, per pietà". Aspergici con Esso! Perché solo Esso può impetrarci perdono…», piange. E poi, più piano, confessa la sua segreta tortura: «Ho il segno richiesto… Ma secoli e secoli di cecità spirituale stanno sulla mia vista interiore, e contro il mio volere di ora si drizza la voce del mio superbo pensiero di ieri… Pietà di me! Luce del mondo, nelle tenebre che non ti hanno compreso fa' scendere un tuo raggio! Sono il vecchio giudeo fedele a ciò che credevo giustizia ed era errore. Adesso sono una landa brulla, senza più alcuno degli antichi alberi della Fede antica, senza alcun seme o stelo della Fede nuova. Sono un arido deserto. Opera Tu il miracolo di far sorgere un fiore che abbia il tuo nome in questo povero cuore di vecchio israelita pervicace. In questo mio povero pensiero, prigioniero delle formule, penetra Tu, Liberatore. Isaia lo dic: "… pagò per i peccatori e prese su Sé i peccati di molti". Oh! anche il mio, Gesù Nazareno…».
   Si alza. Guarda la croce che si fa sempre più nitida nella luce che rischiara e poi se ne va curvo, invecchiato, annichilito.
   E sul Calvario torna il silenzio, appena rotto dal pianto di Maria. I due ladroni, esausti dalla paura, non parlano più.

 
31Tornano in corsa Nicodemo e Giuseppe, dicendo che hanno il permesso di Pilato. Ma Longino, che non si fida troppo, manda un soldato a cavallo dal Proconsole per sapere come deve fare anche coi due ladroni. Il soldato va e torna al galoppo con l'ordine di consegnare Gesù e di compiere il crucifragio sugli altri, per volere dei giudei.
   Longino chiama i quattro boia, che sono vigliaccamente accoccolati sotto la rupe, ancora terrorizzati dell'accaduto, e ordina che i due ladroni siano finiti a colpi di clava. Cosa che avviene senza proteste per Disma, al quale il colpo di clava, sferrato al cuore dopo aver già percosso i ginocchi, spezza a metà fra le labbra, in un rantolo, il nome di Gesù. E con maledizioni orrende da parte dell'altro ladrone. Il loro rantolo è lugubre.

 
32I quattro carnefici vorrebbero anche occuparsi di Gesù, staccandolo dalla croce. Ma Giuseppe e Nicodemo non lo permettono. Anche Giuseppe si leva il mantello e dice a Giovanni di imitarlo e di tenere le scale mentre loro salgono con leve e tenaglie.
   Maria si alza tremante, sorretta dalle donne, e si accosta alla croce.
   Intanto i soldati, finito il loro compito, se ne vanno. E Longino, prima di scendere oltre la piazzuola inferiore, si volta dal­l'alto del suo morello a guardare Maria e il Crocifisso. Poi il rumore degli zoccoli suona sulle pietre e quello delle armi contro le corazze, e si allontana sempre più.
   Il palmo sinistro è schiodato. Il braccio cade lungo il Corpo, che ora pende semistaccato.
   Dicono a Giovanni di salire lui pure, lasciando le scale alle donne. E Giovanni, montato sulla scala dove prima era Nicodemo, si passa il braccio di Gesù intorno al collo e lo tiene così, tutto abbandonato sul suo òmero, abbracciato dal suo braccio alla vita e tenuto per la punta delle dita per non urtare l'orrendo squarcio della mano sinistra, che è quasi aperta. Quando i piedi sono schiodati, Giovanni fatica non poco a tenere e sostenere il Corpo del suo Maestro fra la croce e il suo corpo.
   Maria si pone già ai piedi della croce, seduta con le spalle alla stessa, pronta a ricevere il suo Gesù nel grembo.
   Ma schiodare il braccio destro è l'operazione più difficile. Nonostante ogni sforzo di Giovanni, il Corpo pende tutto in avanti e la testa del chiodo sprofonda nella carne. E, poiché non vorrebbero ferirlo di più, i due pietosi faticano molto. Finalmente il chiodo è afferrato dalla tenaglia e estratto piano piano.
   Giovanni tiene sempre Gesù per le ascelle, con la testa rovesciata sulla sua spalla, mentre Nicodemo e Giuseppe lo afferrano uno alle cosce, l'altro ai ginocchi, e cautamente scendono così dalle scale.

 
33Giunti a terra, vorrebbero adagiarlo sul lenzuolo che hanno steso sui loro mantelli. Ma Maria lo vuole. Si è aperta il manto, lasciandolo pendere da una parte, e sta con le ginocchia piuttosto aperte per fare cuna al suo Gesù.
   Mentre i discepoli girano per darle il Figlio, la testa coronata ricade all'indietro e le braccia pendono verso terra, e struscerebbero al suolo con le mani ferite se la pietà delle pie donne non le tenessero per impedirlo.
   Ora è in grembo alla Madre… E sembra uno stanco e grande bambino che dorma tutto raccolto sul seno materno. Maria lo tiene col braccio destro passato dietro le spalle del Figlio e il sinistro passato al disopra dell'addome per sorreggerlo alle anche.
   La testa è sulla spalla materna. E Lei lo chiama… lo chiama con voce di strazio. Poi se lo stacca dalla spalla e lo carezza con la sinistra, ne raccoglie e stende le mani e, prima di incrociarle sul grembo spento, le bacia, e piange sulle ferite. Poi carezza le guance, specie là dove è il livido e il gonfiore, bacia gli occhi infossati, la bocca rimasta lievemente storta a destra e socchiusa.
   Vorrebbe ravviargli i capelli, come gli ha ravviato la barba ingrommata di sangue. Ma nel farlo incontra le spine. Si punge per levare quella corona e non vuole farlo che Lei, con l'unica mano che ha libera, e respinge tutti dicendo: «No, no! Io! Io!», e pare abbia fra le dita il capo tenerello di un neonato, tanto va con delicatezza nel farlo. E quando può levare questa torturante corona, si curva a medicare tutti gli sgraffi delle spine con i baci.
   Con la mano tremante divide i capelli scomposti, li ravvia e piange, e parla piano piano, e asciuga con le dita le lacrime che cadono sulle povere carni gelide e sanguinose, e pensa di pulirle col pianto e col suo velo, che è ancora ai lombi di Gesù. E ne tira a sé una estremità, e con quella si dà a detergere ed asciugare le membra sante. E sempre torna in carezze sul volto, e poi sulle mani, e poi carezza le ginocchia contuse, e poi risale ad asciugare il Corpo, su cui cadono lacrime e lacrime.
   È nel fare questo che la sua mano incontra lo squarcio del costato. La piccola mano, coperta dal lino sottile, entra quasi tutta nell'ampia bocca della ferita. Maria si curva per vedere, nella semiluce che si è formata, e vede. Vede il petto aperto e il cuore di suo Figlio. Urla, allora. Sembra che una spada apra a Lei il cuore. Urla, e poi si rovescia sul Figlio e pare morta Lei pure.

 
34La soccorrono, la confortano. Le vogliono levare il Morto divino e, poiché Ella grida: «Dove, dove ti metterò, che sia sicuro e degno di Te?», Giuseppe, tutto curvo in un inchino riverente, la mano aperta appoggiata sul petto, dice: «Confortati, o Donna! Il mio sepolcro è nuovo e degno di un grande. Lo dono a Lui. E questo, Nicodemo, amico, già nel sepolcro ha portato gli aromi, ché egli questo vuole offrire di suo. Ma, te ne prego, poiché la sera si avvicina, lasciaci fare… È Parasceve. Sii buona, o Donna santa!».
   Anche Giovanni e le donne pregano in tal senso, e Maria si lascia levare dal grembo la sua Creatura, e si alza, affannosa, mentre lo avvolgono nel lenzuolo, pregando: «Oh! fate piano!».
   Nicodemo e Giovanni alle spalle, Giuseppe ai piedi, sollevano la Salma avvolta non solo nel lenzuolo, ma appoggiata anche sui mantelli che fanno da portantina, e si avviano giù per la via.
   Maria, sorretta dalla cognata e dalla Maddalena, seguita da Marta, Maria di Zebedeo e Susanna, che hanno raccolto i chiodi, le tenaglie, la corona, la spugna e la canna, scende verso il sepolcro.
   Sul Calvario restano le tre croci, di cui quella di centro è nuda e le due altre hanno il loro vivo trofeo che muore.
 
   35«Ed ora», dice Gesù, «fate bene attenzione. Ti risparmio la descrizione della sepoltura, che è fatta bene dallo scorso anno: 19 febbraio 1944. Userete perciò quella, e P. M. metterà al termine della stessa il lamento di Maria che ho dato a suo tempo: 4 ottobre 1944. Poi metterai quanto vedrai tu di nuovo. Sono parti nuove della Passione e vanno messe a posto molto bene, per non fare confusione o lasciare lacune».
610DCX. Angoscia di Maria al Sepolcro e unzione del Corpo di Gesù.



"Levavi oculos meos ad te, Mater Christi:
ut per te nostra peccata deleantur"


Almeno voi miei prediletti, restate con Me sotto la Croce

GUARDERANNO A COLUI CHE HANNO TRAFITTO – PHILOSOPHICA

GUARDERANNO A COLUI CHE HANNO TRAFITTO

una lancia gli colpì il fianco
e subito ne uscì sangue e acqua

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Capoliveri (Livorno), 14 aprile 1995. 
Venerdì Santo.
Lacrime e sangue.

«Guardate oggi a Colui che hanno trafitto.

Figli prediletti, vivete questo giorno con Me, Madre addolorata della Passione.
Quanto sangue hanno visto i miei occhi piangenti in questo giorno!
Mio figlio Gesù è ridotto dalla flagellazione tutto una piaga. I terribili flagelli romani hanno
inciso nel suo corpo ferite profonde, da cui esce in abbondanza il sangue che lo ricopre di un
manto purpureo.

La corona di spine trafigge il suo capo, da cui sgorgano rivoli di sangue, che scende, ricopre e
sfigura il suo volto. "Tanto era sfigurato per essere di uomo il suo aspetto". (Is. 52,13).
I chiodi gli trapassano mani e piedi ed il sangue esce a fiotti e scende sul legno della Croce.
Durante le tre ore di straziante agonia, con Giovanni e le pie donne, Io resto sotto la Croce ed
insieme veniamo bagnati dal suo sangue prezioso.
Poi, dopo avere emesso il suo ultimo respiro, il centurione romano gli trafigge con la lancia il
costato, da cui esce sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della vostra rinascita.
Da questa fonte nasce la Chiesa; nasce nella culla formata dal sangue del Figlio e dalle lacrime
della Madre.

Lacrime e sangue. Sono il prezzo del vostro riscatto; sono il segno di un immenso patire; sono
il dono della divina Misericordia che è scesa a rinnovare tutto il mondo.
Oggi voi vivete un nuovo venerdì santo.
E quanto sangue ancora scende dagli occhi piangenti della vostra Mamma Celeste!
È il sangue dei bambini uccisi nel seno delle loro madri; è il sangue versato da tutte le vittime
della violenza e dell'odio, delle lotte fratricide e delle guerre.
Ed ancora lacrime copiose scendono dai miei occhi materni di fronte ad una umanità che porta
in se stessa la ragione della sua condanna.

Lacrime e sangue. Io voglio aiutare questa povera umanità a ritornare al suo Signore, sulla
strada della conversione e della penitenza, e così dono ad essa segni evidenti del mio materno
dolore e della mia addolorata preoccupazione.
È per questo che da alcune mie Immagini faccio scendere lacrime di sangue.
Come può un figlio non commuoversi di fronte a sua madre che piange?
Come potete voi miei figli non commuovervi dinanzi alla vostra Mamma Celeste che piange
lacrime di sangue?

Eppure questi segni così gravi, che oggi vi dono, non sono accolti, né creduti, anzi vengono
apertamente ostacolati e rifiutati.
Così la mia estrema azione che compio, per condurvi alla salvezza, viene da voi impedita.
Allora, miei poveri figli, non mi è più concessa la possibilità di trattenere la mano della
giustizia di Dio che, col suo terribile castigo, purificherà questa umanità, che non può essere
soccorsa, a causa del suo ostinato rifiuto di accogliere tutti questi straordinari interventi
della vostra Mamma Celeste.

Ormai per la Chiesa e per l'umanità la prova dolorosa e sanguinosa è ormai giunta.
Io vedo le vostre strade cosparse di lacrime e di sangue. Così dalla divina Giustizia sarà
purificato questo mondo, che ha toccato il fondo della perversione e della ribellione al suo Dio
che, per la vostra salvezza, oggi si è immolato ed è stato ucciso sulla Croce.
Almeno voi miei prediletti, restate con Me sotto la Croce, assieme al vostro fratello Giovanni,
per dare conforto e consolazione alla vostra Madre addolorata, nuovamente trafitta dalla
spada di un così vasto rifiuto. Ed unite il vostro dolore al mio, per implorare ancora sul mondo
il miracolo della divina Misericordia».

"Benedicta sis, o sacrarium Christi:
prae cunctis mulieribus super terram"