lunedì 6 aprile 2020

Comincia la sofferenza del Giovedì Santo. L’ultima Cena pasquale.

VOLUME IX CAPITOLO 600



DC. L’ultima Cena pasquale.

L' Ultima Cena di Gesù Cristo - IL SAPERE

   9 marzo 1945
 1 Comincia la sofferenza del Giovedì Santo.
   Gli apostoli, e sono dieci, si dànno un gran da fare a preparare il Cenacolo.
   Giuda, arrampicato sul tavolo, osserva se l'olio è in tutti i palloncini del grande lampadario, che pare una corolla di fucsia doppia, perché ha uno stelo circondato da cinque lumi in ampolle simili a petali, poi un secondo giro, più in basso, che è tutta una coroncina di fiammelle, poi ha, per ultimo, tre esili lampadine sospese a catenelle che sembrano i pistilli del luminoso fiore. Poi scende con un salto e aiuta Andrea a disporre con arte le stoviglie sulla tavola, su cui viene stesa una finissima tovaglia.
   Sento Andrea che dice: «Che splendido lino !».
   E l'Iscariota: «Uno dei migliori di Lazzaro. Marta l'ha voluta portare per forza».
   «E questi calici? e queste anfore, allora?», osserva Tommaso che ha messo il vino nelle anfore preziose e le rimira, specchiandosi nelle loro pance snelle, e ne carezza i manici a cesello con occhio d'intenditore.
   «Chissà che valore, eh?», chiede Giuda Iscariota.
   «È lavorato a martello. Mio padre ne andrebbe pazzo. L'argento e l'oro in foglia si piega, quando è caldo, con facilità. Ma trattato così... È un momento rovinare tutto. Basta un colpo mal dato. Ci vuole forza e leggerezza insieme. Vedi i manici? Tratti dal blocco. Non saldati. Cose da ricchi... Pensa che tutta la limatura e lo sbozzato si perdono. Non so se mi capisci».
   «Eh! se capisco! Insomma è come uno che fa scoltura».
   «Proprio così».
   Tutti ammirano. Poi tornano al loro lavoro. Chi dispone i sedili e chi fa pronte le credenze.
 2 Entrano insieme Pietro e Simone.
   «Oh! siete venuti finalmente! Dove siete andati di nuovo? Dopo essere giunti col Maestro e noi, siete da capo fuggiti», dice l'Iscariota.
   «Ancora un'incombenza prima dell'ora», risponde breve Simone.
   «Hai delle malinconie?».
   «Credo che, con quello che si è udito in questi giorni, e da quelle labbra che mai trovammo menzognere, ce ne sia ben ragione».
   «E con quel puzzo di... Bene, sta' zitto, Pietro», borbotta Pietro fra i denti.
   «Anche tu! ... Mi sembri folle da qualche giorno. Hai la faccia di un coniglio selvatico che si sente dietro lo sciacallo», risponde Giuda Iscariota.
   «E tu hai il muso della faina. Anche tu non sei molto bello da qualche giorno. Guardi in un modo... Hai persino l'occhio storto... Chi aspetti, o che speri vedere? Sembri sicuro, vuoi farlo parere, ma assomigli a chi ha paura», rimbecca Pietro.
   «Oh! Quanto a paura!... Non sei certo un eroe neppure tu!».
   «Nessuno lo siamo, Giuda. Tu porti il nome del Maccabeo, ma non lo sei. Io dico, col mio, "Dio fa grazie", ma ti giuro che ho in me il tremito di chi sa di portare disgrazia e di essere soprattutto in disgrazia di Dio. Simone di Giona, ribattezzato "la pietra", è ora molle come cera al fuoco. Non si agguanta più col suo volere. E sì che mai lo vidi pauroso nelle più fiere tempeste! Matteo, Bartolmai e Filippo sembrano sonnambuli. Mio fratello e Andrea non fanno che sospirare. I due cugini, in cui è il dolore del sangue con quello dell'amore al Maestro, guardali. Sembrano uomini già vecchi. Tommaso ha perduto la sua giocondità. E Simone sembra tornato il lebbroso sfinito di or sono tre anni, tanto è scavato da un dolore, direi corroso, livido, avvilito», gli risponde Giovanni. 
 3 «Sì. Ci ha suggestionati tutti con la sua melanconia», osserva l'Iscariota.
   «Mio cugino Gesù, il mio e vostro Maestro e Signore, è e non è melanconico. Se vuoi dire, con questo nome, che è triste per il troppo dolore che tutto Israele gli sta dando, e che noi vediamo, e per l'altro occulto dolore che Egli solo vede, ti dico: "Hai ragione". Ma se usi quel termine per dirlo folle, te lo proibisco», dice Giacomo di Alfeo.
   «E non è follia un'idea fissa di malinconia? Io ho studiato anche il profano. E so. Egli troppo ha dato di Sé.
Ora è uno stanco di mente».
   «Il che significa demente. Non è vero?», chiede l'altro cugino Giuda, in apparenza calmo.
   «Proprio così! Aveva visto bene tuo padre (in una sua invettiva contro Gesù al Vol 2 Cap 100 che l'Iscariota aveva accolto con perfidia alcune righe più avanti), giusto di santa memoria, al quale tanto tu somigli in giustizia e sapienza! Gesù, triste destino di una illustre casa troppo vecchia e colpita da senilità psichica, ha sempre avuto una tendenza a questa malattia. Dolce dapprima, poi sempre più aggressiva. Tu hai visto come ha attaccato farisei e scribi, sadducei ed erodiani. Si è resa impossibile la vita come un cammino sparso di schegge di quarzo. E da Sé se le è sparse. Noi... lo amammo tanto che l'amore ci fu velo. Ma quelli che l'amarono non idolatramente - tuo padre, tuo fratello Giuseppe, e Simone dapprima - videro giusto... Dovevamo aprire gli occhi alle loro parole. Invece siamo stati tutti sedotti dal suo dolce fascino di malato. Ed ora... Mah! ».
   Giuda Taddeo, che, alto come l'Iscariota, gli è proprio di fronte e pare udirlo con pace, ha uno scatto violento e, con un manrovescio potente, getta Giuda supino su uno dei sedili, e con una collera contenuta nella voce gli fischia, curvandosi sul volto del vigliacco, che non reagisce forse temendo che il Taddeo sia a conoscenza del suo crimine: «Questo per la demenza, rettile! E solo perché Egli è di là, ed è sera di Pasqua, non ti strozzo. Ma pensa, pensalo bene! Se gli avviene del male, e non c'è più Lui a fermare la mia forza, nessuno ti salva. È come tu già avessi il capestro al collo, e saranno queste mie mani oneste e forti, di artiere galileo e di discendente del frombolatore di Golia, che te lo faranno. Alzati, smidollato libertino! E regolati!».
   Giuda si alza, livido, senza la minima reazione. E, ciò che mi stupisce, nessuno ha una reazione al gesto nuovo del Taddeo. Anzi! ... È chiaro che tutti approvano.
 4 È appena ricomposto l'ambiente che entra Gesù. Si affaccia sulla soglia della porticina, dalla quale la sua alta persona appena passa, mette piede sul ballatoio di così poco spazio e col suo mite, mesto sorriso dice, aprendo le braccia: «La pace sia con voi». La sua voce è stanca, come quella di uno che languisce nel fisico o nel morale.
   Scende. Carezza sul capo biondo Giovanni che gli è corso vicino. Sorride, come ignaro, al cugino Giuda e dice all'altro cugino: «Tua madre ti prega di essere dolce con Giuseppe. Ha chiesto di Me e di te poco fa alle donne. Mi spiace non averlo salutato».
   «Lo farai domani».
   «Domani?... Ma avrò sempre tempo di vederlo... Oh! Pietro! Staremo un poco insieme, finalmente! Da ieri mi sembri un fuoco fatuo. Ti vedo, poi non ti vedo più. Oggi quasi posso dire che ti ho perso. Anche tu, Simone».
   «I nostri capelli più bianchi che neri ti possono fare sicuro che non fummo assenti per fame di carne», dice serio Simone.
   «Per quanto... a tutte le età si possa avere quella fame... I vecchi! Peggio dei giovani...», dice l'Iscariota offensivo.
   Simone lo guarda e sta per ribattere. Ma lo guarda anche Gesù e dice: «Ti duole un dente? Hai la guancia destra gonfia e rossa».
   «Sì. Ho male. Ma non merita occuparsene».
   Gli altri non dicono nulla e la cosa muore così.
 5 «Avete fatto tutto quanto era da fare? Tu, Matteo? Andrea? E tu, Giuda, hai pensato all'offerta al Tempio?».
   Tanto i due primi come l'Iscariota dicono: «Tutto fatto di quello che avevi detto da farsi per oggi. Sta' quieto».
   «Io ho portato le primizie di Lazzaro a Giovanna di Cusa. Per i bambini. Mi hanno detto: "Erano più buone quelle mele!". Avevano il sapore della fame, quelle! Ed erano le tue mele», dice sorridente e sognante Giovanni.
   Anche Gesù sorride ad un ricordo...
   «Io ho visto Nicodemo e Giuseppe», dice Tommaso.
   «Li hai visti? Hai parlato con loro?», chiede l'Iscariota con interesse esagerato.
   «Sì. Che c'è di strano? Giuseppe è un buon cliente del padre mio».
   «Non lo avevi detto prima... Mi sono stupito per questo!...». Giuda cerca rimediare all'impressione, data prima, di affanno per l'incontro di Giuseppe e Nicodemo con Tommaso.
   «Mi fa strano che non siano venuti qui a venerarti. Non loro, non Cusa, non Mannanen... Nessuno dei...».
   Ma l'Iscariota ride con una falsa risata, interrompendo Bartolomeo, e dice: «Il coccodrillo si rintana nell'ora buona».
   «Che vuoi dire? Che insinui?», interroga Simone, aggressivo quanto non fu mai.
   «Pace, pace! Ma che avete? È sera pasquale! Mai avemmo sì degno apparato alla consumazione dell'agnello.    Consumiamo dunque la cena con spirito di pace. Vedo che vi ho molto turbato con le mie istruzioni di queste ultime sere. Ma, vedete? Ho finito! Ora non vi turberò più. Non tutto è detto di quanto a Me si riferisce. Solo l'essenziale. Il resto... lo capirete poi. Vi sarà detto... Sì. Verrà Chi ve lo dirà. 
 6 Giovanni, vai con Giuda e qualche altro a prendere le coppe per la purificazione. E poi sediamo alla mensa». Gesù è di una dolcezza straziante.
   Giovanni con Andrea, Giuda Taddeo con Giacomo, portano l'ampia coppa, vi mescono acqua e offrono l'asciugamani a Gesù e ai compagni, i quali poi fanno lo stesso con loro. La coppa (che è un bacile di metallo) viene messa in un angolo.
   «Ed ora ai propri posti. Io qui, e qui (alla destra) Giovanni, e dall'altro lato il mio fedele Giacomo. I due primi discepoli.
   Dopo Giovanni la mia Pietra forte, e dopo Giacomo colui che è come l'aria. Non si avverte. Ma è sempre presente e dà conforto: Andrea. Vicino a lui, mio cugino Giacomo. Tu non ti rammarichi, dolce fratello, se do il primo posto ai primi? Sei il nipote del Giusto, il cui spirito palpita e aleggia su Me, in questa sera, più che mai. Abbi pace, padre della mia debolezza di fanciullino, quercia alla cui ombra ebbero ristoro la Madre e il Figlio! Abbi pace!... Dopo Pietro, Simone... Simone, vieni un momento qui. Voglio fissare il tuo volto leale. Dopo non ti vedrò che male, perché altri mi copriranno la tua onesta faccia. Grazie, Simone. Di tutto», e lo bacia.
   Simone, quando è lasciato, va al suo posto portandosi per un attimo le mani al volto con atto di afflizione.
   «Di fronte a Simone, il mio Bartolmai. Due onestà e due sapienze che si rispecchiano. Stanno bene insieme. E vicino, tu, Giuda, fratello mio. Così ti vedo,... e mi sembra di essere a Nazaret... quando qualche festa ci riuniva tutti ad una mensa... Anche a Cana... Ricordi? Eravamo insieme. Una festa... una festa di nozze... il primo miracolo... l'acqua mutata in vino... Anche oggi una festa... e anche oggi vi sarà un miracolo... il vino cambierà natura... e sarà... ». Gesù si immerge nel suo pensiero. A capo chino, è come isolato nel suo mondo segreto. Gli altri lo guardano e non parlano.
   Rialza il capo e fissa Giuda Iscariota, al quale dice: «Tu mi starai di fronte».
   «Tanto mi ami? Più di Simone, che mi vuoi avere sempre di fronte?».
   «Tanto. Lo hai detto».
   «Perché, Maestro?».
   «Perché tu sei quello che hai fatto più di tutti per quest'ora».
   Giuda guarda con un mutevolissimo sguardo il Maestro e i compagni. Il primo con un che di ironica compassione, gli altri con aria di trionfo.
   «E vicino a te, da una parte Matteo, dall'altra Tommaso». 
   «Allora Matteo alla mia sinistra e Toma a destra».
   «Come vuoi, come vuoi», dice Matteo. «Mi basta aver bene di fronte il mio Salvatore».
   «Ultimo, Filippo. Ecco, vedete? Chi non è al mio fianco nel lato d'onore, ha l'onore di essermi di fronte».
 7 Gesù, ritto al suo posto, mesce nell'ampio calice collocato a Lui davanti (tutti hanno alti calici, ma Lui ne ha uno molto più ampio, oltre quello che hanno tutti. Deve essere il calice di rito). Mesce in esso il vino. Lo alza, lo offre. Lo posa.
   Poi tutti insieme chiedono con tono di salmo: «Perché questa cerimonia?». Domanda formale, si capisce. Di rito.
   Alla quale Gesù, come capo famiglia, risponde: «Questo giorno ricorda la nostra liberazione dall'Egitto. Sia benedetto Geové che ha creato il frutto della vigna».
   Beve un sorso di questo vino offerto e passa il calice agli altri. Poi offre il pane, lo spezza, lo distribuisce, indi le erbe intinte nella salsa rossastra che è in quattro salsiere.
   Finita questa parte di pasto, cantano dei salmi, tutti in coro.
   Viene portato dalla credenza sulla mensa, e posto di fronte a Gesù, il capace vassoio dell'agnello arrostito.
   Pietro, che ha il ruolo di... prima parte, di coro, se più le piace, chiede: «Perché quest'agnello, così?».
   «A ricordo di quando Israele fu salvo per l'agnello immolato. Non morì primogenito dove il sangue splendeva sugli stipiti e l'architrave. E dopo, mentre tutto l'Egitto piangeva sui primogeniti maschi morti, dalla reggia ai tuguri, gli ebrei, capitanati da Mosè, si mossero verso la terra della liberazione e della promessa. Coi fianchi già cinti, i calzari al piede, in mano il bordone, fu sollecito il popolo di Abramo a porsi in marcia cantando gli inni della gioia».
   Tutti si alzano in piedi e intonano: «Quando Israele uscì dall'Egitto e la casa di Giacobbe di mezzo ad un popolo barbaro, la Giudea divenne il suo santuario», ecc. ecc. (se trovo giusto, è il salmo 114. Quello che viene detto subito dopo è il Salmo 113).
   Ora Gesù taglia l'agnello, mesce un nuovo calice, lo passa dopo averne bevuto. Poi cantano ancora: «Fanciulli, lodate il Signore, sia benedetto il nome dell'Eterno ora e sempre nei secoli. Dall'oriente all'occidente deve essere lodato», ecc.
   Gesù dà le parti, badando che ognuno sia bon servito, proprio come un padre di famiglia fra figli a lui tutti cari. È solenne, un po' triste, mentre dice: «Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua. È stato il mio desiderio dei desideri da quando, in eterno, Io fui "il Salvatore". Sapevo che quest'ora precede quella. E la gioia di darmi metteva in anticipo questo sollievo al mio patire... Ho ardentemente desiderato di mangiare con voi questa Pasqua, perché mai più gusterò del frutto della vite finché sia venuto il Regno di Dio. Allora mi assiderò nuovamente cogli eletti al Banchetto dell'Agnello, per le nozze dei viventi col Vivente. Ma ad esso verranno soltanto coloro che sono stati umili e mondi di cuore come Io sono».
 8 «Maestro, poco fa Tu hai detto che chi non ha l'onore del posto ha quello d'esserti di fronte. Come allora possiamo sapere chi è il primo fra noi?», chiede Bartolomeo.
   «Tutti e nessuno. Una volta... tornavamo stanchi... nauseati per l'astio farisaico. (Vol 5 Cap 352). Ma stanchi non eravate per disputare fra di voi chi fosse il più grande... Un bambino mi corse vicino... un mio piccolo amico... E la sua innocenza temperò il mio disgusto di tante cose. Non ultima la vostra umanità pervicace. Dove sei ora, piccolo Beniamino dalla sapiente risposta, a te venuta dal Cielo perché, angelo come eri, lo Spirito ti parlava? Io vi ho detto allora: "Se uno vuole essere il primo sia l'ultimo e servo di tutti". E vi ho dato ad esempio il fanciullo saggio. Ora vi dico: "I re delle nazioni le signoreggiano. E i popoli oppressi, pur odiandoli, li acclamano e i re vengono detti ‘Benefattori’, ‘Padri della Patria’. Ma l'odio cova sotto il bugiardo ossequio". Ma fra voi così non sia. Il maggiore sia come il minore, il capo come colui che serve. Chi infatti è più grande? Chi sta a mensa, o chi serve? È colui che sta a mensa. Eppure Io vi servo. E fra poco più vi servirò. Voi siete quelli che siete stati con Me nelle prove. Ed Io dispongo per voi un posto nel mio Regno, così come Io sarò in esso Re secondo il volere del Padre, acciocché mangiate e beviate alla mia mensa eterna e siate assisi sui troni giudicando le dodici tribù di Israele. Siete rimasti con Me nelle mie prove... Solo questo è quello che vi dà grandezza agli occhi del Padre».
   «E quelli che verranno? Non avranno posto nel Regno? Noi soli?».
   «Oh! quanti principi nella mia Casa! Tutti coloro che saranno stati fedeli al Cristo nelle prove della vita saranno principi nel Regno mio. Perché coloro che avranno perseverato sino alla fine nel martirio dell'esistenza saranno pari a voi, che con Me siete rimasti nelle mie prove. Io mi identifico nei miei credenti. Il Dolore che Io abbraccio per voi e per tutti gli uomini Io lo do come insegna ai più eletti. Chi nel Dolore mi sarà fedele sarà un mio beato pari a voi, o miei diletti».
 9 «Noi abbiamo perseverato fino alla fine».
   «Lo credi, Pietro? Ed Io ti dico che l'ora della prova ha ancora da venire. Simone, Simone di Giona, ecco che Satana ha chiesto di vagliarvi come il grano. Io ho pregato per te, perché la tua fede non vacilli. Tu, quando sarai ravveduto, conferma i tuoi fratelli».
   «Lo so di essere un peccatore. Ma fedele a Te lo sarò fino alla morte. Non ho questo peccato. Mai l'avrò».
   «Non essere superbo, Pietro mio. Quest'ora muterà infinite cose, che prima erano così ed ora saranno diverse. Quante! ... Esse portano e importano necessità nuove. Voi lo sapete. Io vi ho sempre detto, anche quando andavamo per luoghi remoti percorsi dai banditi: "Non temete. Nulla ci accadrà di male perché gli angeli del Signore sono con noi. Non preoccupatevi di nulla". Vi ricordate quando vi dicevo: "Non abbiate sollecitudini per ciò che dovete mangiare e per le vesti. Il Padre sa di che abbiamo bisogno"? Vi dicevo anche: "L'uomo è molto più di un passero e del fiore che oggi è erba e domani è fieno. Eppure il Padre ha cura anche del fiore e dell'uccellino. Potete allora dubitare che non abbia cura di voi?". Vi dicevo ancora: "Date a chiunque vi chiede, a chi vi offende presentate l'altra guancia". Vi dicevo: "Non abbiate borsa né bastone". Perché Io ho insegnato amore e fiducia. Ma ora... Ora non è più quel tempo. Ora Io vi dico: "Vi è mai mancato nulla fino ad ora? Foste mai offesi?"».
   «Nulla, Maestro. E solo Tu fosti offeso».
   «Vedete dunque che la mia parola era verità. Ma ora gli angeli sono tutti richiamati dal loro Signore. È ora di demoni... Con le ali d'oro essi, gli angeli del Signore, si coprono gli occhi, si fasciano e si dolgono che non siano ali di colore cruccioso, perché è ora di lutto, e lutto crudele, sacrilego... Non ci sono angeli sulla Terra questa sera. Sono presso il trono di Dio per coprire col loro canto le bestemmie del mondo deicida e il pianto dell'Innocente. E noi siamo soli... Io e voi: soli. E i demoni sono i padroni dell'ora. Perciò ora prenderemo le apparenze e le misure dei poveri uomini che diffidano e non amano. Ora, chi ha una borsa prenda anche una bisaccia, chi non ha spada venda il suo mantello e ne comperi una. Perché anche questo è detto di Me nella Scrittura e si deve compiere: (Isaia 53, 12) "Egli è stato annoverato fra i malfattori". In verità tutto ciò che mi riguarda ha il suo fine».
10 Simone, che si è alzato andando alla cassapanca dove ha deposto il suo ricco mantello - perché questa sera
sono tutti con gli abiti migliori e perciò hanno pugnali, damaschinati ma molto corti, più coltelli che pugnali, alle ricche cinture - prende due spade, due vere spade, lunghe, lievemente ricurve, e le porta a Gesù: «Io e Pietro ci siamo armati questa sera. Queste abbiamo. Ma gli altri non hanno che il corto pugnale».
   Gesù prende le spade, le osserva, ne snuda una e ne prova il taglio sull'unghia. È una strana vista e fa una ancora più strana impressione vedere quell'arnese feroce nelle mani di Gesù.
   «Chi ve le ha date?», chiede l'Iscariota mentre Gesù osserva e tace. E pare sulle spine Giuda...
   «Chi? Ti ricordo che mio padre era nobile e potente». 
   «Ma Pietro...».
   «Ebbene? Da quando devo rendere conto dei doni che voglio fare ai miei amici?».
   Gesù alza il capo dopo avere ringuainato l'arma. Le rende allo Zelote.
   «Va bene. Bastano. Hai fatto bene a prenderle.
11 "Ma ora, avanti la bevuta al terzo calice, attendete un momento. Vi ho detto che il più grande è pari al più piccolo e che Io ho veste di servo a questa tavola, e più vi servirò. Finora vi ho dato cibo. Servizio per il corpo. Ora vi voglio dare un cibo per lo spirito. Non è un piatto del rito antico. È del nuovo rito. Io mi sono voluto battezzare prima di essere il "Maestro". Per spargere la Parola bastava quel battesimo. Ora verrà sparso il Sangue. Ci vuole un altro lavacro anche su voi, che pure vi siete purificati dal Battista, a suo tempo, e anche oggi nel Tempio. Ma non basta ancora. Venite, che Io vi purifichi. Sospendete il pasto. Vi è qualcosa di più alto e necessario del cibo dato al ventre perché si empia, anche se è cibo santo come questo del rito pasquale. Ed è uno spirito puro, pronto a ricevere il dono del Cielo, che già scende per farsi trono in voi e darvi la Vita. Dare la Vita a chi è mondo».
   Gesù si alza in piedi, fa alzare Giovanni per uscire meglio dal suo posto, va ad una cassapanca e si leva la veste rossa deponendola piegata sul già piegato mantello, si cinge alla vita un ampio asciugamani, poi va ad un altro bacile, ancora vuoto e mondo. Vi versa dell'acqua, lo porta in mezzo alla stanza, presso la tavola, e lo mette su uno sgabello. Gli apostoli lo guardano stupefatti.
   «Non mi chiedete che faccio?».
   «Non sappiamo. Ti dico che siamo già purificati», risponde Pietro.
   «Ed Io ti ripeto che non importa. La mia purificazione servirà a chi è già puro ad essere più puro».
   Si inginocchia. Slaccia i sandali all'Iscariota ed uno per volta gli lava i piedi. È facile farlo, perché i letti-sedili sono fatti in modo che i piedi sono verso l'esterno. Giuda è sbalordito e non dice niente. Solo quando Gesù, prima di calzare il piede sinistro e alzarsi, fa l'atto di baciargli il piede destro già calzato, Giuda ritrae violentemente il piede e colpisce con la suola la bocca divina. Lo fa senza volere. Non è un colpo forte. Ma mi dà tanto dolore. Gesù sorride, e all'apostolo che gli chiede: «Ti ho fatto male? Non volevo... Perdona», dice: «No, amico. L'hai fatto senza malizia e non fa male». Giuda lo guarda... Uno sguardo turbato, sfuggente...
   Gesù passa a Tommaso, poi a Filippo... Gira il lato stretto della tavola e viene al cugino Giacomo. Lo lava e lo bacia, nell'alzarsi, in fronte. Passa ad Andrea, che è rosso di vergogna e fa sforzi per non piangere, lo lava, lo carezza come un bambino. Poi c'è Giacomo di Zebedeo, che non fa che mormorare: «Oh! Maestro! Maestro! Maestro! Annichilito, sublime Maestro mio!». Giovanni si è già slacciato i sandali e, mentre Gesù sta curvo ad asciugargli i piedi, si china e lo bacia sui capelli.
   Ma Pietro!... Non è facile persuaderlo a quel rito! «Tu lavare i piedi a me? Non te lo pensare! Sinché sono vivo, non te lo permetterò. Io sono il verme, Tu sei Dio. Ognuno a suo posto». 
   «Ciò che Io faccio tu non lo puoi comprendere per ora. Ma poi lo comprenderai. Lasciami fare».
   «Tutto quello che vuoi, Maestro. Vuoi tagliarmi il collo? Fàllo. Ma lavarmi i piedi non lo farai».
   «Oh! mio Simone! Tu non sai che, se non ti lavo, non avrai parte nel mio Regno? Simone, Simone! Tu hai bisogno di quest'acqua per la tua anima e per il tanto cammino che devi fare. Non vuoi venire con Me? Se non ti lavo, non vieni nel mio Regno».
   «Oh! Signor mio benedetto! Ma allora lavami tutto! Piedi, mani e capo!».
   «Chi ha fatto come voi un bagno non ha bisogno che di lavarsi i piedi, giacché è interamente puro. I piedi... L'uomo coi piedi va nelle lordure. E poco ancora sarebbe perché, ve l'ho detto, non è ciò che entra ed esce col cibo quello che sporca, e non è quello che si posa sui piedi per via ciò che contamina l'uomo. (Vedi Vol 5 Capp 300 e 301, e il capitolo 567). Ma è quanto incuba e matura nel suo cuore e di lì esce a contaminare le sue azioni e le sue membra. E i piedi dell'uomo dall'animo impuro vanno alle crapule, alle lussurie, agli illeciti commerci, ai delitti... Perciò sono, fra le membra del corpo, quelle che hanno molta parte da purificare... con gli occhi, con la bocca... Oh! uomo! uomo! Perfetta creatura un giorno: il primo! E poi così corrotto dal Seduttore! E non c'era in te malizia, o uomo, e non peccato!... Ed ora? Sei tutto malizia e peccato, e non c'è parte di te che non pecchi!».
   Gesù ha lavato i piedi a Pietro, li bacia, e Pietro piange e prende con le sue grosse mani le due mani di Gesù, se le passa sugli occhi e le bacia poi.
   Anche Simone si è levato i sandali e senza parola si lascia lavare. Ma poi, quando Gesù sta per passare da Bartolomeo, Simone si inginocchia e gli bacia i piedi dicendo: «Mondami dalla lebbra del peccato come mi mondasti dalla lebbra del corpo, acciocché io non sia confuso nell'ora del giudizio, mio Salvatore! ».
   «Non temere, Simone. Verrai nella Città celeste bianco come neve alpina».
   «Ed io, Signore? Al tuo vecchio Bartolmai che dici? Tu mi hai visto sotto l'ombra del fico e mi hai letto nel cuore.    Ed ora che vedi, e dove mi vedi? Rassicura un povero vecchio, che teme non avere forza e tempo per giungere a come Tu vuoi che si sia». Bartolomeo è molto commosso.
   «Anche tu non temere. Ho detto allora: "Ecco un vero israelita in cui non è frode". Ora dico: "Ecco un vero cristiano degno del Cristo". Dove ti vedo? Su un trono eterno, vestito di porpora. Io sarò sempre con te».
   È la volta di Giuda Taddeo. Questo, quando si vede ai piedi Gesù, non sa trattenersi, curva il capo sul braccio appoggiato sulla tavola e piange.
   «Non piangere, dolce fratello. Ora sei come uno che deve sopportare lo strappo di un nervo e ti pare di non poterlo sopportare. Ma sarà un breve dolore. Poi... oh! tu sarai felice, perché mi ami, tu. Ti chiami Giuda. E sei come il nostro grande Giuda: (cioè Giuda Maccabeo, celebrato in 1 Maccabei 3, 1-9) come un gigante. Sei colui che protegge. Le tue azioni sono da leone e lioncello che rugge. Tu scoverai gli empi che davanti a te indietreggeranno, e saranno atterriti gli iniqui. Io so. Sii forte. Un'eterna unione stringerà e renderà perfetta la nostra parentela in Cielo». Bacia anche lui sulla fronte come l'altro cugino.
   «Io sono peccatore, Maestro. Non a me...».
   «Tu eri peccatore, Matteo. Ora sei l'Apostolo. Sei una mia "voce". Ti benedico. Questi piedi quanta strada hanno fatto per venire sempre avanti, verso Dio... L'anima li spronava ed essi hanno lasciato ogni via che non fosse la mia via. Procedi. Sai dove finisce il sentiero? Sul seno del Padre mio e tuo».
   Gesù ha finito. Si leva il telo, si lava in acqua pulita le mani, si riveste, torna al suo posto e dice, mentre si siede al suo posto: «Ora siete puri, ma non tutti. Solo coloro che ebbero volontà di esserlo».
   Fissa Giuda di Keriot che mostra di non udire, intento a spiegare al compagno Matteo come suo padre si decise a mandarlo a Gerusalemme. Un discorso inutile, che ha l'unico scopo di dare un contegno a Giuda che, per quanto audace, si deve sentire a disagio.
12 Gesù mesce per la terza volta nel calice comune. Beve, fa bere. Poi intona, e gli altri fanno coro: «Amo perché il Signore ascolta la voce della mia preghiera, perché piega il suo orecchio verso di me. Io lo invocherò per tutta la vita. Mi avevano circondato dolori di morte», ecc. (Vengono recitati, nell'ordine: Salmo 116, Salmo 117, Salmo 118 [lungo inno], Salmo 119 [quello che non finisce mai]).
   Un attimo di sosta. Poi riprende a cantare: «Ebbi fede, per questo ho parlato. Ma ero fortemente umiliato. E dicevo nel mio smarrimento: "Ogni uomo è menzognero"». Guarda fisso Giuda.
   La voce, stanca questa sera, del mio Gesù riprende lena quando esclama: «È preziosa al cospetto di Dio la morte dei santi», e «Tu hai spezzato le mie catene. A Te sacrificherò ostia di lode invocando il nome del Signore», ecc. ecc.
   Un'altra breve sosta nel canto e poi riprende: «Lodate tutte il Signore, o nazioni, tutti i popoli lodatelo. Perché si è affermata su noi la sua misericordia e la verità del Signore dura in eterno».
   Altra breve sosta e poi un lungo inno: «Celebrate il Signore, perché Egli è buono, perché la sua misericordia dura in eterno...».
   Giuda di Keriot canta stonato tanto che per due volte Tommaso lo rimette in tono col suo potente vocione baritonale e lo guarda fisso. Anche altri lo guardano, perché generalmente è sempre ben intonato, e della sua voce ho capito che se ne tiene come del resto. Ma questa sera! Certe frasi lo turbano al punto che stecca, e così certi sguardi di Gesù che sottolineano le frasi. Una è: «Meglio confidare nel Signore che confidare nell'uomo». Un'altra è:    «Urtato, vacillavo e stavo per cadere. Ma il Signore mi ha sorretto». Un'altra è: «Io non morrò ma vivrò e narrerò le opere del Signore». E infine queste due, che dico ora, fanno strozzare la voce in gola al Traditore: «La pietra scartata dai costruttori è divenuta la pietra angolare», e «Benedetto colui che viene nel nome del Signore! ».
   Finito il salmo, mentre Gesù taglia e porge di nuovo dell'agnello, Matteo chiede a Giuda di Keriot: «Ma ti senti male?».
   «No. Lasciami stare. Non ti occupare di me».
   Matteo si stringe nelle spalle.
   Giovanni, che ha udito, dice: «Anche il Maestro non sta bene. Che hai, Gesù mio? La tua voce è fioca. Come di malato o di chi ha molto pianto», e lo abbraccia stando col capo sul petto di Gesù.
   «Non ha che molto parlato, come io non ho che molto camminato e preso fresco», dice Giuda nervoso.
   E Gesù, senza rispondere a lui, dice a Giovanni: «Tu mi conosci ormai... e sai cosa è che mi stanca...».
13 L'agnello è quasi consumato.
   Gesù, che ha mangiato pochissimo, bevendo solo un sorso di vino ad ogni calice e bevendo in compenso
molt'acqua come fosse febbrile, riprende a parlare: «Voglio che voi comprendiate il mio gesto di dianzi. Vi ho detto che il primo è come l'ultimo e che vi darò un cibo non corporale. Un cibo di umiltà vi ho dato. Per lo spirito vostro.    Voi chiamate Me: Maestro e Signore. Dite bene, perché tale Io sono. Se dunque Io ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete farvelo l'un l'altro. Io vi ho dato l'esempio affinché, come Io ho fatto, voi facciate. In verità vi dico: il servo non è da più del padrone, né l'apostolo è più di Colui che tale lo ha fatto. Cercate di comprendere queste cose. Se poi, comprendendole, le metterete in pratica, sarete beati. Ma non sarete tutti beati. Io vi conosco. So chi ho scelto. Non parlo di tutti ad un modo. Ma dico ciò che è vero. D'altra parte, deve compiersi ciò che è scritto a mio riguardo: (Salmo 41, 10) "Colui che mangia il pane con Me ha levato il suo calcagno su Me". Tutto Io vi dico prima che avvenga, perché non abbiate dubbi su Me. Quando tutto sarà compiuto, voi crederete ancor più che Io sono Io. Chi accoglie Me accoglie Colui che mi ha mandato: il Padre santo che è nei Cieli; e chi accoglierà coloro che Io manderò, accoglierà Me stesso. Perché Io sono col Padre e voi siete con Me... Ma ora compiamo il rito».
   Versa di nuovo vino nel calice comune e, prima di berne e di farne bere, si alza, e con Lui si alzano tutti, e canta di nuovo uno dei salmi di prima: «Ebbi fede e per questo parlai...», e poi uno che non finisce mai. Bello... ma eterno!    Credo di ritrovarlo per l'inizio e la lunghezza, nel salmo 119. Lo cantano così. Un pezzo tutti insieme. Poi, a turno, uno ne dice un distico e gli altri insieme un pezzo, e così via sino alla fine. Lo credo che alla fine abbiano sete!
14 Gesù si siede. Non si mette sdraiato. Resta seduto, come noi. E parla: «Ora che l'antico rito è compiuto, Io celebro il nuovo rito. Vi ho promesso un miracolo d'amore. È l'ora di farlo. Per questo ho desiderato questa Pasqua.    Da ora in poi questo è l'ostia che sarà consumata in perpetuo rito d'amore. Vi ho amato per tutta la vita della Terra, amici diletti. Vi ho amato per tutta l'eternità, figli miei. E amare vi voglio sino alla fine. Non vi è cosa più grande di questa. Ricordatevelo. Io me ne vado. Ma resteremo per sempre uniti mediante il miracolo che ora Io compio».
   Gesù prende un pane ancora intiero, lo pone sul calice colmo. Benedice e offre questo e quello, poi spezza il pane e ne prende tredici pezzi e ne dà uno per uno agli apostoli dicendo: «Prendete e mangiate. Questo è il mio Corpo.    Fate questo in memoria di Me che me ne vado». Dà il calice e dice: «Prendete e bevete. Questo è il mio Sangue.    Questo è il calice del nuovo patto nel Sangue e per il Sangue mio, che sarà sparso per voi per la remissione dei vostri peccati e per darvi la Vita. Fate questo in memoria di Me».
   Gesù è tristissimo. Ogni sorriso, ogni traccia di luce, di colore lo hanno abbandonato. Ha già un volto d'agonia. Gli apostoli lo guardano angosciati.
15 Gesù si alza dicendo: «Non vi muovete. Torno subito». Prende il tredicesimo pezzetto di pane, prende il calice ed esce dal Cenacolo.
   «Va dalla Madre», sussurra Giovanni.
   E Giuda Taddeo sospira: «Misera donna! ». 
   Pietro chiede in un soffio: «Credi che sappia?». 
   «Tutto sa. Tutto ha sempre saputo».
   Parlano tutti a voce bassissima, come davanti ad un morto. 
   «Ma credete che proprio...», chiede Tommaso che non vuole ancora credere.
   «E ne hai dubbi? È la sua ora», risponde Giacomo di Zebedeo.
   «Dio ci dia la forza di essere fedeli», dice lo Zelote.
   «Oh! io...» , sta per parlare Pietro.   
   Ma Giovanni, che è all'erta, dice: «Sss. È qui».
   Gesù rientra. Ha in mano il calice vuoto. Appena sul fondo vi è un'ombra di vino, e sotto la luce del lampadario pare proprio sangue.
   Giuda Iscariota, che ha davanti il calice, lo guarda come affascinato e poi ne torce lo sguardo.
   Gesù l'osserva ed ha un brivido che Giovanni, appoggiato come è al suo petto, sente. «Ma dillo! Tu tremi...», esclama.
   «No. Non tremo per febbre...
16 Io tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. Di più non potevo darvi. Me stesso vi ho dato». Ha il suo dolce gesto delle mani che, prima congiunte, ora si disgiungono e si allargano, mentre la testa si china come per dire: «Scusate se non posso di più. Così è».
   «Tutto vi ho detto e tutto vi ho dato. E ripeto. Il nuovo rito è compiuto. Fate questo in memoria di Me. Io vi ho lavato i piedi per insegnarvi ad essere umili e puri come il Maestro vostro. Perché in verità vi dico che, come è il Maestro, così devono essere i discepoli. Ricordatelo, ricordatelo. Anche quando sarete in alto, ricordatelo. Non vi è discepolo da più del Maestro. Come Io vi ho lavato, voi fatelo fra voi. Ossia amatevi come fratelli, aiutandovi l'un l'altro, venerandovi a vicenda, essendo l'un coll'altro d'esempio. E siate puri. Per essere degni di mangiare il Pane vivo disceso dal Cielo ed avere in voi e per Esso la forza d'essere i miei discepoli nel mondo nemico, che vi odierà per il mio Nome. Ma uno di voi non è puro. Uno di voi mi tradirà. Di questo sono fortemente conturbato nello spirito... La mano di colui che mi tradisce è meco su questa tavola, e non il mio amore, non il mio Corpo e il mio Sangue, non la mia parola lo ravvedono e lo fanno pentito. Io lo perdonerei, andando alla morte anche per lui».
   I discepoli si guardano esterrefatti. Si scrutano, in sospetto l'un dell'altro. Pietro fissa l'Iscariota in un risveglio di tutti i suoi dubbi. Giuda Taddeo scatta in piedi per guardare a sua volta l'Iscariota al disopra del corpo di Matteo.
   Ma l'Iscariota è così sicuro! A sua volta guarda fisso Matteo come sospettasse di lui. Poi fissa Gesù e sorride chiedendo: «Son forse io quello?». Pare il più sicuro della sua onestà e che dica così, tanto per non lasciare cadere la conversazione.
   Gesù ripete il suo gesto dicendo: «Tu lo dici, Giuda di Simone. Non Io. Tu lo dici. Io non ti ho nominato. Perché ti accusi? Interroga il tuo interno ammonitore, la tua coscienza di uomo, la coscienza che Dio Padre ti ha data per condurti da uomo, e senti se ti accusa. Tu lo saprai prima di tutti. Ma se essa ti rassicura, perché dici una parola e pensi un fatto che è anatema anche a dirlo o a pensarlo per gioco?».
   Gesù parla con calma. Sembra sostenga la tesi proposta come lo può fare un dotto alla sua scolaresca. Il subbuglio è forte. Ma la calma di Gesù lo placa.
17 Però Pietro, che è il più sospettoso di Giuda - forse lo è anche il Taddeo, ma lo pare meno, disarmato come è dalla disinvoltura dell'Iscariota - tira Giovanni per la manica e quando Giovanni, che si è tutto stretto a Gesù udendo parlare di tradimento, si volge, gli sussurra: «Chiedigli chi è».
   Giovanni riprende la sua posizione, solo alza lievemente il capo come per baciare Gesù, e intanto gli mormora all'orecchio: «Maestro, chi è?».
   E Gesù pianissimo, rendendogli il bacio fra i capelli: «Colui a cui darò un pezzo di pane intinto».
   E preso un pane ancora intero, non il resto di quello usato per l'Eucarestia, ne stacca un grosso boccone, lo intinge nel succo lasciato dall'agnello nel vassoio, allunga al disopra della tavola il braccio e dice: «Prendi, Giuda. Questo a te piace».
   «Grazie, Maestro. Mi piace, sì», e ignaro di ciò che è quel boccone se lo mangia, mentre Giovanni, inorridito, chiude persino gli occhi per non vedere l'orrido riso dell'Iscariota mentre coi denti forti morde il pane accusatore.
   «Bene. Ora che ti ho fatto felice, va'», dice Gesù a Giuda. «Tutto è compiuto qui (marca molto la parola). Quello che resta ancora da fare altrove fàllo presto, Giuda di Simone».
   «Ti ubbidisco subito, Maestro. Poi ti raggiungerò al Getsemani. Vai là, vero? Come sempre?».
   «Vado là... come sempre... sì».
   «Che ha da fare?», chiede Pietro. «Va solo?».
   «Non sono un pargolo», motteggia Giuda che si sta mettendo il mantello.
   «Lascialo andare. Io e lui sappiamo ciò che si deve fare», dice Gesù.
   «Sì, Maestro». Pietro tace. Forse pensa di avere peccato di sospetto verso il compagno. Con la mano sulla fronte, pensa. Gesù si stringe al cuore Giovanni e torna a sussurrargli fra i capelli: «Non dire nulla a Pietro, per ora. Sarebbe un inutile scandalo».
   «Addio, Maestro. Addio, amici». Giuda saluta. «Addio», dice Gesù.
   E Pietro: «Ti saluto, ragazzo».
   Giovanni, col capo quasi nel grembo di Gesù, mormora: «Satana! ». Solo Gesù l'ode e sospira.
   Qui mi cessa tutto, ma Gesù dice: «Sospendo per pietà di te.
   Ti darò la fine della Cena in altro momento».
18 (continua la Cena)
   Vi è qualche minuto di assoluto silenzio. Gesù sta a capo chino, carezzando macchinalmente i capelli biondi di Giovanni.
   Poi si scuote. Alza la testa, gira lo sguardo, ha un sorriso che conforta i discepoli. Dice: «Lasciamo la tavola. E sediamo tutti ben vicini, come tanti figli intorno al padre».
   Prendono i letti-sedili che erano dietro la tavola (quelli di Gesù, Giovanni, Giacomo, Pietro, Simone, Andrea
ed il cugino Giacomo) e li portano dall'altro lato.
   Gesù prende posto sul suo, sempre fra Giacomo e Giovanni. Ma, quando vede che Andrea sta per sedersi al posto lasciato dall'Iscariota, grida: «No, là no». Un grido impulsivo, che la sua somma prudenza non riesce a impedire. Poi modifica dicendo così: «Non occorre tanto spazio. Stando seduti, si può stare su questi soli. Bastano. Vi voglio molto vicini».
   Ora, rispetto alla tavola, sono messi in forma ad U con Gesù al centro e avendo di fronte la tavola, spoglia di vivande ormai, e il posto di Giuda.
   Giacomo di Zebedeo chiama Pietro: «Siediti qui. Io mi siedo su questo sgabelletto, ai piedi di Gesù».
   «Che Dio ti benedica, Giacomo! Ne avevo tanta voglia!», dice Pietro e si serra al suo Maestro, che è così fra la stretta di Giovanni e Pietro, avendo ai piedi Giacomo.
   Gesù sorride:
   «Vedo che comincia ad operare la parola detta prima. I buoni fratelli si amano. Anche Io ti dico, Giacomo: "Che Dio ti benedica". Anche questo tuo atto non sarà dimenticato dall'Eterno e lo troverai lassù.
19 "Tutto Io posso di quanto Io chiedo. Voi lo avete visto. È bastato un mio desiderio perché il Padre concedesse al Figlio di darsi in Cibo all'uomo. Con quanto è accaduto adesso è stato glorificato il Figlio dell'uomo, perché è testimonianza di potere il miracolo che non è che possibile agli amici di Dio. Più è grande il miracolo e più è sicura e profonda questa divina amicizia. Questo è un miracolo che, per la sua forma, durata e natura, per gli estremi di esso ed i limiti che tocca, più forte non ce ne può essere. Io ve lo dico: tanto è potente, soprannaturale, inconcepibile all'uomo superbo, che ben pochi lo comprenderanno come va compreso, e molti lo negheranno. Che dirò allora? Condanna per loro? No. Dirò: pietà!
   Ma più grande è il miracolo, più grande è la gloria che all'autore dello stesso viene. È Dio stesso che dice: "Ecco, questo mio diletto ciò che ha voluto ha avuto, ed Io l'ho concesso perché egli ha grande grazia agli occhi miei". E qui dice: "Ha una grazia senza limiti così come è infinito il miracolo da Lui compiuto". Parimenti alla gloria che si riversa sull'autore del miracolo da parte di Dio è la gloria che da esso autore si riversa sul Padre. Perché ogni gloria soprannaturale, essendo veniente da Dio, alla sua sorgente ritorna. E la gloria di Dio, per quanto già infinita, sempre più si aumenta e sfavilla perla gloria dei suoi santi. Onde Io dico: come è stato glorificato il Figlio dell'uomo da Dio, così Dio è stato glorificato dal Figlio dell'uomo. Io ho glorificato Dio in Me stesso. A sua volta, Dio glorificherà il suo Figlio in Lui. Ben presto lo glorificherà.
20 Esulta, Tu che torni alla tua Sede, o Essenza spirituale della Seconda Persona! Esulta, o Carne che torni ad ascendere dopo tanto esilio nel fango! E non già il Paradiso d'Adamo, ma l'eccelso Paradiso del Padre sta per esserti dato a dimora. Ché, se è stato detto che per lo stupore di un comando di Dio (Giosuè 10, 12-14), dato per bocca di un uomo, si arrestò il sole, che non avverrà negli astri quando vedranno il prodigio della Carne dell'Uomo ascendere e sedersi alla destra del Padre nella sua Perfezione di materia glorificata?
   Figliolini miei, per poco ancora Io resto con voi. E voi, dopo, mi cercherete come gli orfani cercano il morto genitore. E piangendo andrete parlando di Lui e picchierete invano al muto sepolcro, e poi ancora picchierete alle porte azzurre dei Cieli, con l'anima vostra lanciata in supplice ricerca d'amore, dicendo: "Dove il nostro Gesù? Lo vogliamo. Senza Lui non è più luce nel mondo, non letizia, né amore. O ce lo rendete, oppure lasciateci entrare. Noi vogliamo essere dove Egli è". Ma non potete per ora venire dove Io vado. L'ho detto anche ai giudei: (Vedi Vol 7 Cap 488) "Poi mi cercherete, ma dove Io vado voi non potete venire". Lo dico anche a voi.
21 Pensate alla Madre... Neppure Lei potrà venire dove Io vado. Eppure Io ho lasciato il Padre per venire a Lei e farmi Gesù nel suo seno senza macchia. Eppure dall'Inviolata Io sono venuto, nell'estasi luminosa del mio Natale. E del suo amore, divenuto latte, mi sono nutrito. Io sono fatto di purità e di amore perché Maria mi ha nutrito della sua verginità fecondata dall'Amore perfetto che vive in Cielo. Eppure per Lei Io sono cresciuto, costandole fatiche e lacrime... Eppure Io le chiedo un eroismo quale mai fu compito, e rispetto al quale quello di Giuditta e Giaele sono eroismi di povere femmine contrastanti colla rivale presso la fonte del paese. Eppure nessuno pari a Lei è nell'amarmi.    E, ciononostate, Io la lascio e vado dove Lei non verrà che fra molto tempo. Per Lei non è il comando che do a voi: "Santificatevi anno per anno, mese per mese, giorno per giorno, ora per ora, per potere venire a Me quando sarà la vostra ora". In Lei è ogni grazia e santità. È la creatura che ha tutto avuto e che tutto ha dato. Nulla vi è da aggiungere o da levare. È la santissima testimonianza di ciò che può Iddio.
22 Ma per essere certo che in voi sia capacità di potermi raggiungere e di dimenticare il dolore del lutto della separazione daI vostro Gesù, Io vi do un comandamento nuovo. Ed è che vi amiate gli uni con gli altri. Così come Io ho amato voi, ugualmente voi amatevi l'uno con l'altro. Da questo si conoscerà che siete miei discepoli. Quando un padre ha molti figli, da che si conosce che tali sono? Non tanto per l'aspetto fisico - perché vi sono uomini che sono in tutto simili ad un altro uomo, col quale non vi è nessun rapporto di sangue e neppure di nazione - quanto per il comune amore alla famiglia, al padre loro, e fra loro. Ed anche morto il padre non si disgrega la buona famiglia, perché il sangue è uno ed è sempre quello avuto dal seme del padre, e annoda legami che neppure la morte scioglie, perché più forte della morte è l'amore. Ora, se voi vi amerete anche dopo che Io vi avrò lasciati, tutti riconosceranno che voi siete miei figli, e perciò miei discepoli, e fra voi fratelli avendo avuto un unico padre».
23 «Signore Gesù, ma dove vai?», chiede Pietro.
   «Vado dove tu per ora non mi puoi seguire. Ma più tardi mi seguirai».
   «E perché non adesso? Ti ho seguito sempre da quando Tu mi hai detto: "Seguimi". Ho tutto lasciato senza rimpianto... Ora, andartene senza il tuo povero Simone, lasciandomi privo di Te, mio Tutto, dopo che per Te ho lasciato il mio poco bene di prima, non è giusto né bello da parte tua. Vai alla morte? Sta bene. Ma io pu-re vengo.    Andremo insieme nell'altro mondo. Ma prima ti avrò difeso. Io sono pronto a dare la vita per Te».
   «Tu darai la tua vita per Me? Ora? Ora no. In verità - oh! che in verità te lo dico - non avrà ancora cantato il gallo che tu mi avrai rinnegato tre volte. Ora è ancora la prima vigilia. Poi verrà la seconda... e poi la terza. Prima che scocchi il gallicinio, tu avrai per tre volte rinnegato il tuo Signore».
   «Impossibile, Maestro! Credo a tutto ciò che dici. Ma non a questo. Sono sicuro di me».
   «Ora, per ora sei sicuro. Ma perché ora hai ancora Me. Hai con te Iddio. Fra poco l'incarnato Iddio sarà preso e non l'avrete più. E Satana, dopo avervi già appesantiti - la tua stessa sicurezza è una astuzia di Satana, zavorra per appesantirti - vi spaurirà. Vi insinuerà: "Dio non è. Io sono". E siccome, per quanto ottusi dallo spavento, ancora ragionerete, voi capirete che quando è Satana il padrone dell'ora è morto il Bene ed è operante il Male, abbattuto lo spirito e trionfante l'umano. Allora resterete come guerrieri senza duce, inseguiti dal nemico, e nello sbigottimento dei vinti curverete le schiene al vincitore, e per non essere uccisi rinnegherete il caduto eroe.
24 Ma, ve ne prego. Il vostro cuore non si turbi. Credete in Dio. E credete anche in Me. Contro tutte le apparenze, credete in Me. Creda nella mia misericordia e in quella del Padre tanto colui che resta come colui che fugge. Tanto colui che tace come colui che aprirà la bocca per dire: "Io non lo conosco". Ugualmente credete nel mio perdono. E credete che, quali che siano in futuro le vostre azioni, nel Bene e nella mia Dottrina, nella mia Chiesa perciò, esse vi daranno un uguale posto in Cielo.
   Nella casa del Padre mio vi sono molte dimore. Se così non fosse, Io ve lo avrei detto. Perché Io vado avanti. A preparare un posto per voi. Non fanno forse così i buoni padri quando devono portare altrove la loro piccola prole?    Vanno avanti, preparano la casa, le suppellettili, le provviste. E poi tornano a prendere le loro creature più care.    Così fanno per amore. Perché ai piccoli nulla manchi, e non provino disagio nel nuovo paese. Ugualmente così Io faccio. E per lo stesso motivo. Ora vado. E quando avrò preparato ad ognuno il posto nella Gerusalemme celeste, verrò di nuovo, vi prenderò con Me perché siate con Me dove Io sono, dove non ci sarà più né morte, né lutti, né lacrime, né grida, né fame, né dolore, né tenebre, né arsione, ma solo luce, pace, beatitudine e canto.
   Oh! canto dei Cieli altissimi quando i dodici eletti saranno sui troni coi dodici patriarchi delle tribù d'Israele, e nell'ardenza del fuoco dell'amore spirituale canteranno, eretti sul mare della beatitudine, il cantico eterno che avrà ad arpeggio l'eterno alleluia dell'esercito angelico...
25 Io voglio che dove Io sarò voi siate. E voi sapete dove Io vado e ne conoscete la via».
   «Ma Signore! Noi non sappiamo nulla. Tu non ci dici dove vai. Come possiamo noi sapere la via da prendere per venire verso Te e abbreviare l'attesa?», chiede Tommaso.
   «Io sono la Via, la Verità, la Vita. Me lo avete sentito dire e spiegare più volte, ed in verità alcuni, che neppure sapevano esservi un Dio, si sono incamminati avanti, per la mia via, e sono già avanti di voi. Oh! dove sei tu, pecora spersa di Dio che Io ho ricondotta all'ovile? E dove tu, risorta d'anima?».
   «Chi? Di chi parli? Di Maria di Lazzaro? È di là, con tua Madre. La vuoi? O vuoi Giovanna? Certo è nel suo palazzo. Ma, se vuoi, te l'andiamo a chiamare...».
   «No. Non loro... Penso a quella che sarà disvelata solo in Cielo... e a Fotinai... (La samaritana, incontrata nei capitoli 143-144 e in 147 del Vol 2, e ricordata in 571 e in 572; l'altra è Aglae, incontrata la prima volta nel capitolo 77 del Vol 1). Esse mi hanno trovato. E non hanno più lasciato la mia via. Ad una ho indicato il Padre come Dio vero e lo spirito come levita in questa individuale adorazione. All'altra, che neppur sapeva di avere uno spirito, ho detto: "Il mio nome è Salvatore, salvo chi ha buona volontà di salvarsi. Io sono Colui che cerca i perduti, che dà la Vita, la Verità e la Purezza. Chi mi cerca mi trova". E ambedue hanno trovato Iddio... Vi benedico, deboli Eve divenute più forti di Giuditta... Vengo, dove voi siete vengo... Voi mi consolate... Siate benedette!... ».
26 «Mostraci il Padre, Signore, e saremo pari a queste», dice Filippo.
   «Da tanto tempo Io sono con voi, e tu, Filippo, non mi hai ancora conosciuto? Chi vede Me vede il Padre mio. Come puoi dunque dire: "Mostraci il Padre"? Non riesci a credere che Io sono nel Padre e il Padre è in Me? Le parole che Io vi dico non le dico da Me. Ma il Padre che dimora in Me compie ogni mia opera. E voi non credete che Io sono nel Padre e Lui è in Me? Che devo dire per farvi credere? Ma se non credete alle parole, credete almeno alle opere.
   Io vi dico, e ve lo dico con verità: chi crede in Me farà le opere che Io faccio, e ancor di maggiori ne farà, perché Io vado al Padre. E tutto quanto domanderete al Padre in mio nome Io lo farò, perché il Padre sia glorificato nel suo Figlio. E farò quanto mi domanderete in nome del mio Nome. Il mio Nome è noto, per quello che realmente è, a Me solo, al Padre che mi ha generato e allo Spirito che dal nostro amore procede. E per quel Nome tutto è possibile. Chi pensa al mio Nome con amore mi ama e ottiene.
   Ma non basta amare Me, occorre osservare i miei comandamenti per avere il vero amore. Sono le opere
quelle che testificano dei sentimenti. E per questo amore Io pregherò il Padre, ed Egli vi darà un altro Consolatore che resti per sempre con voi, Uno su cui Satana e il mondo non può infierire, lo Spirito di Verità che il mondo non può ricevere e non può colpire, perché non lo vede e non lo conosce. Lo deriderà. Ma Egli è tanto eccelso che lo scherno non lo potrà ferire, mentre, pietosissimo sopra ogni misura, sarà sempre con chi lo ama, anche se povero e debole. Voi lo conoscerete, perché già dimora con voi e presto sarà in voi.
27 Io non vi lascerò orfani. Già ve l'ho detto: "Ritornerò a voi". Ma, prima che sia l'ora di venirvi a prendere per andare nel mio Regno, Io verrò. A voi verrò. Fra poco il mondo non mi vedrà più. Ma voi mi vedete e mi vedrete.    Perché Io vivo e voi vivete. Perché Io vivrò e voi pure vivrete. In quel giorno voi conoscerete che Io sono nel Padre mio, e voi in Me ed Io in voi. Perché chi accoglie i miei precetti e li osserva, quello è colui che mi ama, e colui che mi ama sarà amato dal Padre mio e possederà Iddio, perché Dio è carità e chi ama ha in sé Dio. Ed Io lo amerò, perché in lui vedrò Iddio, e mi manifesterò a lui facendomi conoscere nei segreti del mio amore, della mia sapienza, della mia Divinità incarnata. Saranno i miei ritorni fra i figli dell'uomo, che Io amo nonostante siano deboli e anche nemici. Ma costoro saranno solo deboli. Ed Io li fortificherò; dirò loro: "Sorgi!", dirò: "Vieni fuori!", dirò: "Seguimi", dirò: "Odi", dirò: "Scrivi"... e voi siete fra questi».
   «Perché, Signore, Tu ti manifesti a noi e non al mondo?», chiede Giuda Taddeo.
   «Perché mi amate e osservate le mie parole. Chi così farà, sarà amato dal Padre e Noi verremo a lui e faremo dimora presso di lui, in lui. Mentre chi non mi ama non osserva le mie parole e fa secondo la carne e il mondo. Ora sappiate che ciò che Io vi ho detto non è parola di Gesù Nazareno ma parola del Padre, perché Io sono il Verbo del Padre che mi ha mandato. Io vi ho detto queste cose parlando così, con voi, perché voglio lo stesso prepararvi al possesso completo della Verità e Sapienza. Ma ancora non potete capire né ricordare. Però, quando verrà a voi il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà in mio Nome, allora voi potrete capire, ed Egli tutto vi insegnerà, e vi ricorderà quanto Io vi ho detto.
28 Io vi lascio la mia pace. Io vi do la mia pace. Ve la do non come la dà il mondo. E neppure come fino ad ora ve l'ho data: saluto benedetto del Benedetto ai benedetti. Più profonda è la pace che ora vi do. In questo addio. Io vi comunico Me stesso, il mio Spirito di pace, così come vi ho comunicato il mio Corpo e il mio Sangue, perché in voi resti una forza nella imminente battaglia. Satana e il mondo sferrano guerra al vostro Gesù. È la loro ora. Abbiate in voi la Pace, il mio Spirito che è spirito di pace, perché Io sono il Re della pace. Abbiatela per non essere troppo derelitti. Chi soffre con la pace di Dio in sé soffre, ma non bestemmia e dispera.
   Non piangete. Avete pure sentito che ho detto: "Vado al Padre e poi tornerò". Se mi amaste sopra la carne, vi rallegrereste, perché Io vado dal Padre dopo tanto esilio... Vado da Colui che è maggiore di Me e che mi ama. Io ve l'ho detto ora, prima che ciò si compia, così come vi ho detto tutte le sofferenze del Redentore prima di andare ad esse, affinché, quando tutto si compia, voi crediate sempre più in Me. Non turbatevi così! Non sgomentatevi. Il vostro cuore ha bisogno di equilibrio...
29 Poco più ho da parlarvi... e ancora tanto ho da dire! Giunto al termine di questa mia evangelizzazione, mi pare di non avere ancora nulla detto e che tanto, tanto, tanto ancora resti da fare. Il vostro stato aumenta questa mia sensazione. E che dirò allora? Che Io ho mancato al mio ufficio? O che voi siete così duri di cuore che a nulla esso è valso? Dubiterò? No. Mi affido a Dio, e a Lui affido voi, miei diletti. Egli compirà l'opera del suo Verbo. Non sono come un padre che muore e non ha altra luce che l'umana. Io spero in Dio. E pure sentendo in Me urgere tutti i consigli di cui vi vedo bisognosi e sentendo fuggire il tempo, vado tranquillo alla mia sorte. So che sui semi caduti in voi sta per scendere una rugiada che li farà tutti germogliare, e poi verrà il sole del Paraclito, ed essi diverranno albero potente.    Sta per venire il principe di questo mondo, colui col quale Io non ho nulla a che fare. E, se non fosse per fine di redenzione, non avrebbe potuto nulla su Me. Ma ciò avviene affinché il mondo conosca che Io amo il Padre e lo amo fino alla ubbidienza di morte, e perciò faccio ciò che mi ha ordinato.
30 È l'ora di andare. Alzatevi. E udite le ultime parole.
   Io sono la vera Vite. Il Padre ne è il Coltivatore. Ogni tralcio che non porta frutto Egli lo recide e quello che porta frutto lo pota perché ne porti più ancora. Voi siete già purificati per la mia parola. Rimanete in Me ed Io in voi per continuare ad essere tali. Il tralcio staccato dalla vite non può fare frutto. Così voi se non rimanete in Me. Io sono la Vite e voi i tralci. Colui che resta unito a Me porta abbondanti frutti. Ma se uno si stacca diviene ramo secco e viene buttato nel fuoco e là brucia. Perché, senza l'unione con Me, voi nulla potete fare. Rimanete dunque in Me e le mie parole restino in voi, poi domandate quanto volete e vi sarà fatto. Il Padre mio sarà sempre più glorificato quanto più voi porterete frutto e sarete miei discepoli.
31 Come il Padre mi ha amato, così Io con voi. Rimanete nel mio amore che salva. Amandomi sarete ubbidienti, e l'ubbidienza aumenta il reciproco amore. Non dite che Io mi ripeto. So la vostra debolezza. E voglio che vi salviate. Io vi dico queste cose perché la gioia che vi ho voluto dare sia in voi e sia completa. Amatevi, amatevi! Questo è il mio comandamento nuovo. Amatevi scambievolmente più di quanto ognuno ami se stesso. Non vi è maggior amore di quello di colui che dà la sua vita per i suoi amici. Voi siete i miei amici ed Io do la vita per voi. Fate ciò che Io vi insegno e comando.
   Non vi chiamo più servi. Perché il servo non sa ciò che fa il suo padrone, mentre voi sapete ciò che Io faccio. Tutto di Me sapete. Vi ho manifestato non solo Me stesso, ma anche il Padre ed il Paraclito e tutto quanto ho sentito da Dio.
   Non siete stati voi che vi siete scelti. Ma Io vi ho scelti e vi ho eletti, perché andiate fra i popoli, e facciate frutto in voi e nei cuori degli evangelizzati, e il vostro frutto rimanga e il Padre vi dia tutto ciò che gli chiederete in mio Nome.
32 Non dite: "E allora, se Tu ci hai scelti, perché hai scelto un traditore? Se tutto Tu sai, perché hai fatto questo?". Non chiedetevi neppure chi è costui. Non è un uomo. È Satana. L'ho detto all'amico fedele e l'ho lasciato dire dal figlio diletto. È Satana. Se Satana non si fosse incarnato, l'eterno scimmiottatore di Dio, in una carne mortale, questo posseduto non avrebbe potuto sfuggire al mio potere di Gesù. Ho detto: "posseduto". No. È molto di più: è un annullato in Satana».
   «Perché, Tu che hai cacciato i demoni, non lo hai liberato?», chiede Giacomo d'Alfeo.
   «Lo chiedi per amore di te, temendo essere tu quello? Non lo temere».
   «Io, allora?».
   «Io?».
   «Io?».
   «Tacete. Non dico quel nome. Uso misericordia e voi fate ugualmente».
   «Ma perché non lo hai vinto? Non potevi?».
   «Potevo. Ma, per impedire a Satana di incarnarsi per uccidermi, avrei dovuto sterminare la razza dell'uomo avanti la Redenzione. Che avrei allora redento?».
   «Dimmelo, Signore, dimmelo! ». Pietro è scivolato in ginocchio e scuote freneticamente Gesù come fosse in preda a delirio. «Sono io? Sono io? Mi esamino? Non mi pare. Ma Tu... Tu hai detto che ti rinnegherò... Ed io tremo... Oh! che orrore essere io!...».
   «No, Simone di Giona. Non tu».
   «Perché mi hai levato il mio nome di "Pietra"? Sono dunque tornato Simone? Lo vedi? Tu lo dici! ... Sono io! Ma come ho potuto? Ditelo... ditelo voi... Quando è che ho potuto divenire traditore?... Simone?... Giovanni?... Ma parlate!...».
   «Pietro, Pietro, Pietro! Ti chiamo Simone perché penso al primo incontro, quando eri Simone. E penso come sei sempre stato leale dal primo momento. Non sei tu. Lo dico Io: Verità».
   «Chi, allora?».
   «Ma è Giuda di Keriot! Non lo hai ancora capito?», urla il Taddeo che non riesce più a contenersi.
   «Perché non me lo hai detto prima? Perché?», urla anche Pietro.
   «Silenzio. È Satana. Non ha altro nome. Dove vai, Pietro?». 
   «A cercarlo».
   «Posa subito quel mantello e quell'arma. O ti devo scacciare e maledire?».
   «No, no! Oh! Signor mio! Ma io... ma io... Sono forse malato di delirio, io? Oh! Oh!». Pietro piange, gettato per terra ai piedi di Gesù.
33 «Io vi do comando di amarvi. E di perdonare. Avete capito? Se anche nel mondo è l'odio, in voi sia solo l'amore. Per tutti. Quanti traditori troverete sulla vostra via! Ma non li dovete odiare e rendere loro male per male. Altrimenti il Padre odierà voi. Prima di voi fui odiato e tradito Io. Eppure, voi lo vedete, Io non odio. Il mondo non può amare ciò che non è come esso. Perciò non vi amerà. Se foste suoi, vi amerebbe; ma non siete del mondo, avendovi Io presi da mezzo al mondo. E per questo siete odiati.
   Vi ho detto: il servo non è da più del padrone. Se hanno perseguitato Me, perseguiteranno voi pure. Se avranno ascoltato Me, ascolteranno pure voi. Ma tutto faranno per causa del mio Nome, perché non conoscono, non vogliono conoscere Colui che mi ha mandato. Se non fossi venuto e non avessi parlato, non sarebbero colpevoli.    Ma ora il loro peccato è senza scusa. Hanno visto le mie opere, udito le mie parole, eppure mi hanno odiato, e con Me il Padre. Perché Io e il Padre siamo una sola Unità con l'Amore. Ma era scritto: (Salmi 35, 19; 69, 5) "Mi odiasti senza ragione". Però, quando sarà venuto il Consolatore, lo Spirito di verità che dal Padre procede, sarà da Lui resa testimonianza di Me, e voi pure mi testimonierete, perché dal principio foste con Me.
   Questo vi dico perché, quando sarà l'ora, non rimaniate accasciati e scandalizzati. Sta per venire il tempo in cui vi cacceranno dalle sinagoghe e in cui chi vi ucciderà penserà di fare culto a Dio con ciò. Non hanno conosciuto né il Padre né Me. In ciò è la loro scusante. Non ve le ho dette così ampie prima di ora, queste cose, perché eravate come bambini pur mo' nati. Ma ora la madre vi lascia. Io vado. Dovete assuefarvi ad altro cibo. Voglio lo conosciate.
34 Nessuno più mi chiede: "Dove vai?". La tristezza vi fa muti. Eppure è bene anche per voi che Io me ne vada. Altrimenti non verrà il Consolatore. Io ve lo manderò. E quando sarà venuto, attraverso la sapienza e la parola, le opere e l'eroismo che infonderà in voi, convincerà il mondo del suo peccato deicida e di giustizia sulla mia santità. E il mondo sarà nettamente diviso nei reprobi, nemici di Dio, e nei credenti. Questi saranno più o meno santi, a seconda del loro volere. Ma il giudizio del principe del mondo e dei suoi servi sarà fatto. Di più non posso dirvi, perché ancora non potete intendere. Ma Egli, il divino Paraclito, vi darà la Verità intera, perché non parlerà di Se stesso. Ma dirà tutto quello che avrà udito dalla Mente di Dio e vi annunzierà il futuro. Prenderà ciò che da Me viene, ossia ciò che ancora è del Padre, e ve lo dirà.
   Ancora un poco da vedersi. Poi non mi vedrete più. E poi ancora un poco, e poi mi vedrete.
35 Voi mormorate fra voi ed in cuor vostro. Udite una parabola. L'ultima del vostro Maestro.
   Quando una donna ha concepito e giunge all'ora del parto, è in grande afflizione perché soffre e geme. Ma quando il piccolo figlio è dato alla luce ed ella lo stringe sul cuore, ogni pena cessa e la tristezza si muta in gioia, perché un uomo è venuto al mondo.
   Così voi. Voi piangerete e il mondo riderà di voi. Ma poi la vostra tristezza si muterà in gioia. Una gioia che il mondo mai conoscerà. Voi ora siete tristi. Ma, quando mi rivedrete, il vostro cuore diverrà pieno di un gaudio che nessuno avrà più potere di rapirvi. Una gioia così piena che vi offuscherà ogni bisogno di chiedere e per la mente e per il cuore e per la carne. Solo vi pascerete di rivedermi, dimenticando ogni altra cosa. Ma proprio da allora potrete tutto chiedere in mio Nome, e vi sarà dato dal Padre perché abbiate sempre più gioia. Domandate, domandate. E riceverete.
   Viene l'ora in cui potrò parlarvi apertamente del Padre. Sarà perché sarete stati fedeli nella prova e tutto sarà superato. Perfetto quindi il vostro amore, perché vi avrà dato forza nella prova. E quanto a voi mancherà Io ve lo aggiungerò prendendolo dal mio immenso tesoro e dicendo: "Padre, lo vedi. Essi mi hanno amato credendo che Io venni da Te". Sceso nel mondo, ora lo lascio e vado al Padre, e pregherò per voi».
36 «Oh! ora Tu ti spieghi. Ora sappiamo ciò che vuoi dire e che Tu sai tutto e rispondi senza che nessuno ti interroghi. Veramente Tu vieni da Dio! ».
   «Adesso credete? All'ultima ora? È tre anni che vi parlo! Ma già in voi opera il Pane che è Dio e il Vino che è Sangue non venuto da uomo, e vi dà il primo brivido di deificazione. Voi diverrete dèi se sarete perseveranti nel mio amore e nel mio possesso. Non come lo disse Satana ad Adamo ed Eva, ma come Io ve lo dico. È il vero frutto dell'albero del Bene e della Vita. Il Male è vinto in chi se ne pasce, ed è morta la Morte. Chi ne mangia vivrà in eterno e diverrà "dio" nel Regno di Dio. Voi sarete dèi se permarrete in Me. Eppure ecco... pur avendo in voi questo Pane e questo Sangue, poiché sta venendo l'ora in cui sarete dispersi, voi ve ne andrete per vostro conto e mi lascerete solo... Ma non sono solo. Ho il Padre con Me. Padre, Padre! Non mi abbandonare! Tutto vi ho detto... Per darvi pace. La mia pace. Ancora sarete oppressi. Ma abbiate fede. Io ho vinto il mondo».
37 Gesù si alza, apre le braccia in croce e dice con volto luminoso la sublime preghiera al Padre. Giovanni la riporta integralmente. (Nel suo Vangelo: Giovanni 17).
Gli apostoli lacrimano più o meno palesemente e rumorosamente. Per ultimo cantano un inno.
38 Gesù li benedice. Poi ordina: «Mettiamoci i mantelli, ora. E andiamo. Andrea, di' al capo di casa di lasciare tutto così, per mio volere. Domani... vi farà piacere rivedere questo luogo». Gesù lo guarda. Pare benedire le pareti, i mobili, tutto. Poi si ammantella e si avvia, seguito dai discepoli.
   Al suo fianco è Giovanni, al quale si appoggia. «Non saluti la Madre?», gli chiede il figlio di Zebedeo.
   «No. È tutto già fatto. Fate, anzi, piano».
   Simone, che ha acceso una torcia alla lumiera, illumina l'ampio corridoio che va alla porta. Pietro apre cauto il portone ed escono tutti nella via e poi, facendo giocare un ordigno, chiudono dal di fuori. E si pongono in cammino.
39 Dice Gesù:
   «Dall'episodio della Cena, oltre la considerazione della carità di un Dio che si fa Cibo agli uomini, risaltano quattro ammaestramenti principali.
   Primo: la necessità per tutti i figli di Dio di ubbidire alla Legge.
   La Legge diceva che si doveva per Pasqua consumare l'agnello secondo il rituale dato dall'Altissimo a Mosè, ed Io, Figlio vero del Dio vero, non mi sono riputato, per la mia qualità divina, esente dalla Legge. Ero sulla Terra: Uomo fra gli uomini e Maestro degli uomini. Dovevo perciò fare il mio dovere di uomo verso Dio come e meglio degli altri. I favori divini non esimono dall'ubbidienza e dallo sforzo verso una sempre maggiore santità. Se paragonate la santità più eccelsa alla perfezione divina, la trovate sempre piena di mende, e perciò obbligata a sforzare se stessa per eliminarle e raggiungere un grado di perfezione per quanto più è possibile simile a quello di Dio.
40 Secondo: la potenza della preghiera di Maria.
   Io ero Dio fatto Carne. Una Carne che, per essere senza macchia, possedeva la forza spirituale per signoreggiare la carne. Eppure non ricuso, anzi invoco l'aiuto della Piena di Grazia, la quale anche in quell'ora di espiazione avrebbe trovato, è vero, sul suo capo il Cielo chiuso, ma non tanto che non riuscisse a strapparne un angelo, Lei, Regina degli angeli, per il conforto del suo Figlio. Oh! non per Lei, povera Mamma! Anche Lei ha assaporato l'amaro dell'abbandono del Padre, ma per questo suo dolore offerto alla Redenzione m'ha ottenuto di potere superare l'angoscia dell'orto degli Ulivi e di portare a termine la Passione in tutta la sua multiforme asprezza, di cui ognuna era volta a lavare una forma e un mezzo di peccato.
41 Terzo: il dominio su se stessi e la sopportazione dell'offesa, carità sublime su tutte, la possono avere unicamente quelli che fanno vita della loro vita la legge di carità che Io avevo bandita. E non bandita solo, ma praticata realmente.
   Cosa sia stato per Me aver meco alla mia tavola il mio Traditore, il dovere darmi ad esso, il dovere umiliarmi ad esso, il dovere dividere con esso il calice di rito e posare le labbra là dove egli le aveva posate, e farle posare a mia Madre, voi non potete pensare. I vostri medici hanno discusso e discutono sulla mia rapida fine e le dànno origine in una lesione cardiaca dovuta alle percosse della flagellazione. Sì, anche per queste il mio cuore divenne malato. Ma lo era già dalla Cena. Spezzato, spezzato nello sforzo di dover subire al mio fianco il mio Traditore. Ho cominciato a morire allora, fisicamente. Il resto non è stato che aumento della già esistente agonia.
   Quanto ho potuto fare l'ho fatto perché ero uno con la Carità. Anche nell'ora in cui Dio-Carità si ritirava da Me, ho saputo esser carità, perché ero vissuto, nei miei trentatré anni, di carità. Non si può giungere ad una perfezione, quale si richiede per perdonare e sopportare il nostro offensore, se non si ha l'abito della carità. Io l'avevo, e ho potuto perdonare e sopportare questo capolavoro di Offensore che fu Giuda.
42 Quarto: il Sacramento opera quanto più uno è degno di riceverlo. Se ne è fatto degno con una costante volontà, che spezza la carne e fa signore lo spirito, vincendo le concupiscenze, piegando l'essere alle virtù, tendendolo come arco verso la perfezione delle virtù e soprattutto della carità.
   Perché, quando uno ama, tende a far lieto chi ama. Giovanni, che mi amava come nessuno e che era puro, ebbe dal Sacramento il massimo della trasformazione. Cominciò da quel momento ad essere l'aquila, a cui è familiare e facile l'altezza nel Cielo di Dio e l'affissare il Sole eterno. Ma guai a chi riceve il Sacramento senza esserne affatto degno, ma anzi avendo accresciuto la sua sempre umana indegnità con le colpe mortali. Allora esso diviene non germe di preservazione e di vita ma di corruzione e di morte. Morte dello spirito e putrefazione della carne, per cui essa "crepa", come dice Pietro di quella di Giuda. (Atti 1, 18). Non sparge il sangue, liquido sempre vitale e bello nella sua porpora, ma le sue interiora, nere di tutte le libidini, marciume che si riversa fuori dalla carne marcita come da carogna di animale immondo, oggetto di ribrezzo per i passanti.
   La morte del profanatore del Sacramento è sempre la morte di un disperato, e perciò non conosce il placido trapasso proprio di chi è in grazia, né l'eroico trapasso della vittima che soffre acutamente ma con lo sguardo fisso al Cielo e l'anima sicura della pace. La morte del disperato è atroce di contorsioni e di terrori, è una convulsione orrenda dell'anima già ghermita dalla mano di Satana, che la strozza per svellerla dalla carne e che la soffoca col suo nauseabondo fiato.
   Questa la differenza fra chi trapassa all'altra vita dopo essersi nutrito in essa di carità, fede, speranza e d'ogni altra virtù e dottrina celeste e del Pane angelico che l'accompagna coi suoi frutti - meglio se con la sua reale presenza - nel viaggio estremo, e chi trapassa dopo una vita di bruto con morte da bruto che la Grazia e il Sacramento non confortano. La prima è la serena fine del santo, a cui la morte apre il Regno eterno. La seconda è la spaventosa caduta del dannato, che si sente precipitare nella morte eterna e conosce in un attimo ciò che ha voluto perdere, né più può riparare. Per uno acquisto, per l'altro spogliamento. Per uno gioia, per l'altro terrore.
   Questo è quanto vi date a seconda del vostro credere ed amare, o non credere e deridere il dono mio. E questo è l'insegnamento di questa contemplazione».

domenica 5 aprile 2020

Tutta la vita di Gesù è stata orientata a questo supremo ed ineffabile momento: "Mangiare questa Pasqua con voi, prima del mio patire"

Don Stefano Gobbi | MSM
"GESU' MARIA AMORE
VENITE INSIEME NEL MIO CUORE"



Capoliveri (Livorno), 13 aprile 1995. Giovedì Santo.
Ho desiderato ardentemente.

«Figli prediletti, vivete nel Getsemani del mio Cuore Immacolato questo giorno del giovedì
santo.

È la vostra Pasqua.
È il giorno che ricorda la istituzione del nuovo Sacrificio e del nuovo Sacerdozio.
Voi eravate presenti nel disegno di amore del Cuore di Gesù, che stava per aprirsi alla sua
offerta più grande.
"Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima del mio patire" (Lc.
22,15).
Ho desiderato ardentemente. Tutta la vita di Gesù è stata orientata a questo supremo ed
ineffabile momento.
Dalla incarnazione nel mio seno verginale alla sua nascita, dalla infanzia insidiata alla
adolescenza, dalla giovinezza trascorsa nella povera casa di Nazareth alla sua vita pubblica,
ogni giorno Gesù era sempre proteso a questo momento.
Ho desiderato ardentemente. Quando Gesù era oppresso dalla stanchezza e dalla fatica;
quando era insidiato dai farisei e respinto dai grandi; quando percorreva le strade della Galilea
e della Giudea per annunciare la buona novella e guariva gli ammalati, perdonava i peccatori,
liberava gli ossessi, era atteso dai poveri, consolato dai piccoli, Gesù sempre desiderava
giungere al compimento di questa sua Pasqua.
"Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi, prima del mio patire" (Luc.
22,15).

È la Pasqua dell'amore. In questo giorno Gesù dona il suo Corpo come cibo ed il suo Sangue
come bevanda a coloro che sono da Lui redenti e salvati. Non vi è più grande amore di colui che
dona la vita per quelli che ama.
In questo suo dono si stabilisce la nuova ed eterna alleanza fra Dio e l'umanità e viene
istituito il rito della nuova Pasqua nel vero Agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo.
Figli prediletti, accogliete con riconoscenza questo grande dono di amore di Gesù, che vi ha
intimamente associati al suo sommo ed eterno Sacerdozio.

È la Pasqua del dolore. L'amore si prova col dolore.
Allora a questo suo estremo dono di amore risponde Giuda col tradimento, Pietro col
rinnegamento, gli Apostoli con l'abbandono, i servi del sommo sacerdote con l'oltraggio e gli
schiaffi.
Ho desiderato ardentemente. Il Cuore di Gesù brucia ormai per sempre di questo suo ardente
desiderio.
L'Amore misericordioso esce, con il sangue e con l'acqua, dalla ferita del suo costato trafitto.
E scende come celeste rugiada a lavare ogni macchia, a cancellare ogni peccato, a sanare ogni
malattia, a chiudere ogni ferita, a soccorrere ogni percosso, a sollevare ogni caduto, a liberare
ogni prigioniero, a salvare chi è perduto.

In questi vostri ultimi tempi è giunta l'ora da Gesù tanto desiderata. Perché il suo Amore
Misericordioso sta preparando il suo più grande trionfo.
Per questo oggi vi invito ad entrare tutti nel Getsemani del mio Cuore Immacolato.
Così sarete formati da Me, Madre della Misericordia, a diventare gli strumenti preziosi del
trionfo dell'Amore misericordioso di Gesù su tutta questa povera umanità, che ha estremo
bisogno di essere salvata.
Allora anche voi oggi desiderate ardentemente di mangiare questa Pasqua, prima del vostro
patire».
AMDG et DVM

PATER NOSTER / Sintesi conclusiva


Sintesi conclusiva del Pater noster

Volendo riassumere in breve quanto è stato detto sul Pater noster, bisogna rilevare che nella Preghiera del Signore sono contenute tutte le cose da desiderare e tutte quelle da fuggire.
Tra le cose da desiderare, si desidera di più quella che più si ama, cioè Dio.

Ecco perché chiediamo per prima cosa la gloria di Dio dicendo “sia santificato il tuo nome”.
A Dio vengono poi richiesti tre beni che riguardano te.

Il primo è quello di poter pervenire alla vita eterna, e tu glielo chiedi quando dici: “venga il tuo regno”.

Il secondo è che tu faccia la volontà e adempia la giustizia di Dio, e glielo chiedi quando dici: “sia fatta la tua volontà”.

Il terzo è che tu abbia le cose necessarie alla vita, e gliele chiedi quando dici: “dacci oggi il nostro pane quotidiano”.

A questi tre beni allude il Signore quando dice:
circa il primo “Cercate prima il regno di Dio”;
circa il secondo: “la sua giustizia”,
e circa il terzo: “e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta” (Mt 6,33).
Le cose invece da evitare e da fuggire sono quelle contrarie al bene.

E il bene che noi dobbiamo desiderare è quadruplice.

Il primo è la gloria di Dio. E ad essa nessun male è contrario perché risulta sia dal bene che dal male: dal male in quanto Dio lo punisce, dal bene perché lo premia. Perciò è detto: “Se pecchi, che gli fai?... Se tu sei giusto, che cosa gli dai?” (Gb 35,67).

Il secondo è la vita eterna, e ad essa è contrario il peccato, perché col peccato si perde.
Per rimuoverlo diciamo perciò: “rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori”.

Il terzo bene è costituito dalla giustizia e dalle opere buone, e a questo bene sono contrarie le tentazioni, perché esse ci impediscono di fare il bene. Per rimuovere questo male chiediamo: “non ci indurre in tentazione”.
Il quarto bene sono le cose necessarie alla vita, alle quali si oppongono le avversità e le tribolazioni. Per rimuoverle chiediamo: “liberaci dal male. Amen”.

Da: San Tommaso: Commento al Pater Noster

AMDG et DVM

ALBERTO MAGNO: VESCOVO, DOTTORE UNIVERSALE E SANTO


SANT'ALBERTO MAGNO, Vescovo e Dottore della Chiesa (1206-1280)
Sant'Alberto Magno/ Il 15 novembre si celebra il patrono degli ...

VOLERE CIO' CHE DIO VUOLE 
PER LA SUA GLORIA


L’università di Padova fu una delle prime a sorgere in Europa e già nel 1200 era fra le più famose e apprezzate. Attirava studenti un po’ da tutto il continente che qui si preparavano al futuro, studiando, riflettendo e divertendosi... in pure stile goliardico, molto creativo e spesso dissacrante. Venivano proposti loro anche dei momenti di formazione spirituale, come quando arrivò un rinomato predicatore, che era addirittura il numero due dell’Ordine dei Predicatori (Domenicani), fondati da poco da uno spagnolo, un certo Domenico di Guzman (Santo). Il suo nome era Giordano di Sassonia, ed era tedesco.


Forse non era molto convinto dell’utilità della sua predicazione, tuttavia predicò con tutto lo zelo di cui disponeva. Alla fine sospirò un po’ perplesso: gli sembrava di aver perso tempo, di aver gettato il seme della Parola di Dio su un “terreno sassoso” costituito da quella torma di allegri giovanotti. È questa la sensazione, peraltro non nuova, che gli (noi) insegnanti abbiamo davanti a certe classi di ragazzi di tutt’altro interessati fuorché alla scuola. Ma Giordano di Sassonia si sbagliava. In mezzo a quel terreno apparentemente impermeabile alle cose spirituali erano presenti anche piccole zone fertili, che avevano accolto quel seme della Parola con gioia. Infatti ben dieci universitari gli chiesero di entrare nell’ordine domenicano. Tra essi due figli di nobili tedeschi: uno si chiamava Alberto di Lauingen.

Quel giovanotto intelligente e di bell’aspetto, che amava molto i libri, rimase colpito dalle parole di Giordano di Sassonia: questi lo spedì nel convento a Colonia per il noviziato e per iniziare gli studi teologici. Nel 1228 divenne lettore di teologia, cominciando una prestigiosa carriera come insegnante: nei conventi di Hildesheim, di Friburgo, di Ratisbona, di Strasburgo. Poi nel 1243 fu inviato all’università di Parigi, dove nel 1245 divenne Magister theologiae cioè professore e tenne la cattedra di teologia per tre anni.

Finché nel 1248 i Domenicani diedero vita allo Studium generale di Colonia (una specie di università) e chiamarono a dirigerlo proprio Alberto che era a Parigi. Questi accettò l’incarico e prese una decisione di importanza straordinaria per la storia della cultura ecclesiastica (e non): portò con sé un suo allievo, il più brillante e il più intelligente: si trattava di un giovane domenicano italiano, di nome Tommaso d’Aquino. E il destino dei due si intrecciò vigorosamente per tanti anni con grande beneficio per la teologia e per la Chiesa intera.

Maestro ed esempio per Tommaso d’Aquino

A Colonia, Alberto, uomo sereno, oggettivo e aperto a tutte le verità da qualunque parte provenissero, ebbe modo di studiare (anche se su traduzioni imperfette) e approfondire la sua conoscenza di Aristotele, che stava ormai penetrando nel mondo accademico del tempo. C’era diffidenza in quegli anni in ambito cristiano verso il grande filosofo greco: lo si credeva (complice Averroè) nemico del cristianesimo, e non collimante con la visione tradizionale che si aveva allora e che era quella di Agostino.

In Alberto invece la filosofia di Aristotele trovò l’uomo in grado di dargli diritto di cittadinanza nell’insegnamento filosofico e teologico della Chiesa (la Scolastica latina). “Appare chiaro, con Alberto, che l’aristotelismo non solo non rende impossibile la ricerca scolastica, cioè la comprensione filosofica della verità rivelata, ma costituisce il fondamento sicuro di tale ricerca e offre il filo conduttore che consente di legare insieme le dottrine fondamentali della tradizione scolastica” (N. Abbagnano). Alberto ebbe questa grande intuizione, ma la realizzò solo in parte. In lui mancarono chiarezza, completezza, sistematicità e possiamo anche dire scientificità. Tutte caratteristiche che ebbe in grado eccelso il suo illustre discepolo e continuatore di questo connubio: il sommo Tommaso d’Aquino, Santo e Dottore della Chiesa.

Alberto con il suo esempio spronava tutti a non aver paura delle scienze umane, perché esse sono portatrici di verità che possono aiutare nella comprensione della fede. Dotato di una poderosa intelligenza sorretta da una formidabile memoria studiò anche la logica, la retorica, l’etica, e le varie scienze naturali come la matematica, l’astronomia, la fisica, la biologia. Tutto lo scibile di allora disponibile nel bacino mediterraneo. E, sollecitato dai confratelli, cominciò a scrivere anche un vasta enciclopedia proprio per loro. Comunque sia il giudizio dei critici, Alberto si è guadagnato degnamente alcune pagine nella storia della filosofia, oltre ad avere un posto nella storia della Chiesa come vescovo e dottore (gli è stato dato il titolo di Dottore Universale), e ciò che ancora più importante come santo.


È interessante notare che Alberto non era solo e tutto immerso nei libri: non era la figura dello studioso che vive solo di libri e per i libri. Era anche inserito bene nelle vicende politiche della città di Colonia. Si impegnò infatti personalmente per la pacificazione fra i suoi governanti e l’arcivescovo. Nel 1254, fu poi nominato anche responsabile spirituale dei Domenicani della vasta e importante provincia tedesca. In questo incarico si dimostrò non solo esperto di libri di filosofia e di scienza, ma anche uomo saggio e capace nell’arte del governo degli uomini (che è ben più difficile). Nel 1256, si recò a Roma e poi ad Anagni con Bonaventura di Bagnoreggio, francescano, presso la corte papale, dove difese con successo il diritto dei membri degli ordini mendicanti (Domenicani e Francescani) di potersi inserire nelle Università come insegnanti.

Alberto vescovo: scarpe grosse e cervello fino

Fu nel 1257 che il Capitolo Generale di Firenze lo sollevò dall’incarico e così Alberto, con gioia, tornò ai suoi studi nella città di Colonia. Credeva di potersi dedicare in tutta tranquillità ai suoi studi, ma si sbagliava. Gli arrivò, infatti, poco dopo, la nomina a vescovo di Ratisbona (oggi Regensburg, in Baviera). Il Papa Alessandro IV, che aveva conosciuto e apprezzato la scienza e la santità di Alberto, lo inviò in quella grande, famosa e prestigiosa diocesi, che in quel momento versava in difficoltà morali ed economiche. Alberto si piegò, anche se a malincuore, al volere del Papa di Roma e partì per il suo nuovo incarico. Vi arrivò vestito dell’umile abito dell’ordine domenicano con ai piedi un bel paio di scarponi, amici fidati dei lunghi viaggi.


La cosa non passò inosservata. I nobili della città, superficiali quanto orgogliosi delle gloriose tradizioni della loro città, si sentirono quasi insultati e umiliati da quel nuovo vescovo “dalle scarpe grosse” che si presentava in modo così umile (e non in pompa magna come i suoi predecessori). E naturalmente si lamentarono. Ma ben presto si accorsero che oltre alle scarpe grosse il nuovo vescovo aveva anche il cervello fine. Infatti, riuscì a portare la pace e la concordia in città, sistemò parrocchie e conventi, e tutte le organizzazioni caritative cittadine incominciarono a funzionare di nuovo e bene. Missione compiuta, si torna agli amati libri e agli studi a Colonia, pensò Alberto. E così fu. Ma non subito.


Dopo Ratisbona, ebbe dal Papa Urbano IV l’incarico di predicare la crociata nei paesi di lingua tedesca, e lo fece spingendosi, con lunghi viaggi, fino in Boemia, ma non ebbe molto successo. L’anno successivo fece un nuovo viaggio in Italia, arrivando fino a Viterbo dove c’era la curia papale e dove ebbe l’occasione di incontrare il suo carissimo amico e discepolo Tommaso d’Aquino. L’anno dopo (1263) fece ritorno in Germania, a Colonia e ai suoi amati studi. Ma Alberto non viveva solo di libri e di preghiera ma anche di impegno apostolico e sociale. In questo periodo infatti si adoperò, su richiesta degli interessati, a portare la pace e la concordia in varie città tedesche che si combattevano tra di loro (come del resto avveniva in Italia).


Nel 1274, eccolo di nuovo in viaggio verso Lione per partecipare al Concilio. Alberto era contento di questa esperienza, anche perché aveva la possibilità di rivedere il suo grande discepolo e amico italiano, cioè Tommaso. Ma aspettò invano, perché questi moriva proprio in quell’anno nell’abbazia di Fossanova. Alberto partecipò attivamente ai lavori del Concilio, con la sua scienza e la sua saggezza, con la sua esperienza e santità. Ma il ricordo di Tommaso che l’aveva preceduto nella casa del Padre, lo faceva sovente sospirare di nostalgia.


Tuttavia nel 1277, ormai carico di anni, di fama e di... acciacchi, si mise ancora in viaggio per Parigi per difendere il suo amico dall’accusa di eterodossia che gli aveva lanciato contro il Vescovo della città Stefano Tempier con la condanna di ben 19 tesi. Alberto con un vigoroso discorso all’Università difese Tommaso non solo dall’invidia dei suoi nemici ma anche dall’ignoranza e dal pericolo di far retrocedere gli studi e il pensiero cristiano, così mirabilmente portato avanti dall’amico.


La sua giornata terrena si concludeva nel 1280, dopo aver passato gli ultimi anni nella malattia, nella preghiera silenziosa, profonda e costante e nel continuo e amorevole ricordo di Tommaso che l’aveva preceduto in cielo.


Si racconta che ad un signore che era venuto alla porta del convento chiedendo se abitava lì il Maestro Alberto, lui rispose: “No, non abita più qui. Una volta era qui, ma non ricordo quando”. Solo umiltà o anche quello che oggi chiamiamo morbo di Alzheimer? Forse un po’ tutte e due le cose. Alberto ritornò a Dio il 15 dicembre 1280 lasciando le sue sostanze ai poveri e tutti i suoi libri al convento domenicano di Colonia. Fu santo e Dottore della Chiesa nel 1931, e nel 1941 dichiarato patrono dei cultori delle scienze naturali. 


                                                                            MARIO SCUDUsdb ***

METTITI ALL'ULTIMO POSTO

III. l’esortazione di Cristo a praticare sempre l’umiltà

13. “Quando sei invitato alle nozze, non metterti al primo posto, perché non ci sia un altro invitato più su di te, e colui che ha invitato te e lui venga a dirti: Cedigli il posto! allora dovrai con vergogna metterti all’ultimo posto” (Lc 14,8-9). E la Glossa commenta: Quando per la grazia della fede, chiamato dal predicatore, ti unisci ai membri della chiesa, non insuperbirti gloriandoti dei tuoi meriti, come tu fossi migliore degli altri.
Osserva che in questa terza parte il Signore tocca due argomenti: la superbia, quando dice: “Non metterti al primo posto”; l’umiltà quando aggiunge: “Mettiti all’ultimo posto”. È una grande superbia, nelle nozze, vale a dire nella chiesa di Gesù Cristo, volersi mettere al primo posto, cioè occupare le più alte cariche. Infatti il Signore ha detto: “Amano i primi seggi nelle sinagoghe” (Mt 23,6), essi che saranno privati dei secondi.
O sciagurata ambizione, che non sai ambire le cose veramente grandi! Qual tenace esploratore – dice Bernardo parlando dell’ambizioso superbo – si aggira arrampicandosi mani e piedi, per potersi infiltrare in qualche modo nel patrimonio del Crocifisso, e non sa, il miserabile, che quello è prezzo di sangue (cf. Mt 27,6). “Non mangerete carne con sangue”, dice la Genesi (Gn 9,4). Mangia carne con sangue chi, vivendo carnalmente, dissipa nei suoi eccessi il patrimonio del Crocifisso. E quindi sarà eliminato dal popolo di Dio (cf. Es 12,15). Non metterti dunque al primo posto perché, come dice il Signo­re: “Io detesto la superbia di Giacobbe e odio le sue case” (Am 6,8). Sulle alture si fanno sacrifici agli idoli (cf. 3Re 3,2-3). Il Signore è concepito a Nazaret, in un posto umile; invece viene crocifisso nel luogo più alto di Gerusalemme. “Non metterti, dunque, al primo posto”.
Dice Gregorio: “Non è certo in grado di coltivare l’umiltà quando è sulla vetta, chi non ha mai smesso di fare il superbo quando era nei posti più insignificanti. Tu che aspiri alle più alte cariche cerchi, così facendo, la rovina dell’anima tua, la perdita della tua buona riputa­zione, il pericolo per il tuo corpo, perché quanto più alta è la tua posizione, tanto più rovinosa sarà la caduta. È proprio il colmo della follia esporsi a sì grandi pericoli. “Non metterti dunque al primo posto”, perché poi dovrai con vergogna occupare l’ultimo posto, all’inferno.

14. E su tutto questo hai anche la concordanza nel primo libro dei Maccabei, dove si racconta che Àlcimo, avendo comperato con il denaro il sommo pontificato (cf. 1Mac 7,21), “ebbe un attacco apoplettico, la sua bocca restò impedita, rimase tutto paralizzato: non poté più dire una parola né dare disposizioni per la sua casa. E morì in quel tempo con grandi sofferenze” (1Mac 9,55-56).
Àlcimo s’interpreta “fermento di malvagio disegno”, ed è figura del simoniaco il quale, con il fermento del denaro – nel loro conciliabolo non entri l’anima mia (cf. Gn 49,6) perché il loro convegno è riunione di malvagi – corrompe lo spirito di quelli che vendono colombe. Il simoniaco, per il fatto che, senza essere chiamato da Dio come Aronne, vuole salire a dignità ecclesiastiche, dopo essere colpito da paralisi come Àlcimo, morirà senza confessione, senza testamento e in mezzo a grandi sofferenze, e con somma vergogna dovrà occupare l’ultimo e più immondo posto dell’inferno, lui che in questo mondo voleva comparire primo e circondato di gloria.
Fratello, “mettiti dunque all’ultimo posto”, così meriterai di sentirti dire: “Vieni più in su” (Lc 14,10). Dice il filosofo: Per non cadere, lìmitati alle piccole cose (Seneca), perché, dice anche Salomone, “chi costruisce la casa troppo alta, va in cerca di rovina” (Pro 17,16). Per questo, ci dice l’Apostolo, Abramo abitò nelle tende, insieme con Isacco (cf. Eb 11,9). “Mettiti dunque all’ul­timo posto”.
L’ultimo posto è il pensiero della morte, e chi sempre ci pensa non ha alcuna voglia di mettersi al primo posto. Dice Girolamo: Chi pensa abitualmente che dovrà morire, non ha alcuna difficoltà a disprezzare tutte le cose. In questo ultimo posto, o fratello, fissa la tua dimora; siediti lì, guardando e salutando da lontano la celeste Gerusalemme (cf. Eb 11,13), il cui architetto e costruttore è Dio stesso (cf. Eb 11,10), e sii convinto di essere su questa terra soltanto pellegrino e ospite (cf. Eb 11,13). E così mettiti all’ulti­mo posto, senza mai preferirti ad alcuno, reputandoti più indegno di tutti; allora ti senti­rai dire: “Amico, vieni più in su”. Ti riconosce come amico dalla tua umiltà, colui che ti manda indietro per la tua presunzione.
Amico è come dire animi custos, cioè custode dell’animo (dello spirito). L’umiltà è la custode delle virtù, e chi la pratica custodisce il suo animo perché non fugga da lui, nulla essendo più fugace dell’animo. “Con ogni cura custodisci il tuo cuore” (Pro 4,23), è detto nel libro dei Proverbi. Vuoi quindi essere amico di Dio? Custodisci il tuo cuore, ossia conserva il tuo animo, perché se esso ti fuggisse, lo pagheresti con la tua anima5.

15. A questo proposito, nel terzo libro dei Re si racconta che uno dei profeti “si rivolse al Re e gli disse: Il tuo servo era uscito per combattere. Essendosi un uomo dato alla fuga, un altro lo prese, lo condusse da me e mi disse: Custodisci quest’uomo perché se fugge di nuovo pagherai la sua vita con la tua, oppure pagherai un talento d’argento. Mentre io sconvolto mi voltavo di qua e di là, l’uomo improvvisamente scomparve. Il Re d’Israele disse: Tu stesso hai pronunciato la tua condanna!” (3Re 20,39-40).
Tutti noi che siamo entrati in una religione, siamo usciti a combattere contro gli spiriti maligni. In questo combattimento un uomo, cioè il nostro animo, fugge da noi; ma la grazia di Dio riporta in noi il nostro animo, facendoci ridiventare coraggiosi, e dicendo a ciascuno di noi: “Custodisci quest’uomo”, ecc. Custode viene da cura, e cura è come dire cor agitat, muove il cuore. Custodisci dunque quest’uo­mo, abbi cura di lui affinché l’uomo non si cambi in donna, e come una prostituta non fugga da te e corra dietro ai suoi amanti. “Se fuggirà da te, la tua anima, la tua vita risponderà della sua”. Ecco qual è la minaccia del Signore.
Si deve fare attenzione a quello che dice: “Se fuggirà”. Se ne va in un momento ciò che è stato conquistato in lungo tempo (Catone). Nel primo libro dei Re, Saul dice: “Ho visto che il popolo se ne è fuggito da me” (1Re 13,11). E Geremia: “La mia vita è caduta nella fossa” (Lam 3,53).
Ahimè, quante volte il mio animo, dal quale proviene la vita, fugge, cade nella fossa della miseria e nel fango della palude! (cf. Sal 39,3). La mia anima, cioè la mia vita, pagherà dunque per l’anima, oppure dovrò pagare per essa un talento d’argento? Ahimè, Signore Dio, io ho un’anima, ma non sono in grado di pagare un talento di argento, non ho cioè la purezza della vita da mettere sulla bilancia del tuo giudizio. Non farmi pagare dunque con la mia anima questa caduta. Certamente, Signore, i tuoi giudizi sono giusti, e io merito di essere condannato per non aver custodito il tuo deposito (cf. 2Tm 1,12.14), il mio cuore, la mia vita, e quindi merito di essere privato della vita.
“Mentre sconvolto mi voltavo di qua e di là, quell’uomo improvvisamente scomparve”. Ecco come l’animo scompare. Fa’ attenzione alle due parole: “sconvolto” e “mi voltavo”. Sconvolto, il testo latino dice turbatus, come a dire terrae mixtus, mescolato con terra. Non c’è da farsi meraviglia che il tuo animo scompaia, se tu sei sconvolto, cioè immischiato nelle cose della terra. Vuoi perciò conservare il tuo animo? Conserva la tranquillità della tua coscienza. Pensa quanto giustamente ha detto: “Mentre io mi voltavo di qua e di là”: quando tu ti volti di qua, cioè alla carne, o di là, cioè al mondo, perdi il tuo animo. Non devi perciò voltarti a destra o a sinistra, ma camminare diritto sulla via regia, per essere sempre presente a te stesso. E non giudicare mai la vita o le azioni di questo o di quello. Non mormorare mai di nessuno.
“All’improvviso, quello scomparve”. Ogni volta che tu ti volti, se non a Dio o a te stesso, immediatamente il tuo animo scompare. Quindi non voltarti, ma abbi sempre il volto rivolto verso Gerusalemme affinché essa sia nel tuo cuore; e se custodirai il tuo cuore, diverrai amico di Dio. Possa dunque il Signore dirti: “Vieni più in su”. Chi si trova all’ultimo posto, non può che salire più in su, “perché chi si umilia sarà esaltato” (Lc 14,11). “E allora ne avrà onore di fronte a tutti i commensali” (Lc 14,10). Infatti, dice sempre Luca: “Li farà accomodare a tavola e passerà a servirli” (Lc 12,37). È veramente un grande onore che il Signore, il Padrone serva il servo.

16. Con questa terza parte del vangelo concorda la terza parte dell’epistola: “Un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo. Un solo Dio, Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, agisce per mezzo di tutti ed è presente in tutti” (Ef 4,5-6). Se tu stai all’ultimo posto dell’umiltà, temi il Signore, mantieni la fede e conservi l’innocenza battesimale. Fa’ attenzione alle cinque parole elencate: Il Signore, Dio, Padre, la fede e il battesimo.
Perciò chi vuole sentirsi dire: “Amico, vieni più in su”, mediti sulla potenza del Signore, sulla sapienza di Dio, sulla misericordia del Padre, sull’eccellenza della fede e sul valore del battesimo. Mediti sulla potenza per averne timore, sulla sapienza per provarne il gusto, sulla misericordia per aver fiducia, sull’eccellenza della fede per disprezzare le cose temporali, sul valore del battesimo per combattere sempre valorosamente.
Fratelli carissimi, preghiamo dunque il Signore Gesù Cristo di farci sedere all’ul­timo posto, di custodire il nostro animo, e di farci poi salire fino a lui, che è la gloria, nel regno di coloro che siedono alla sua mensa.
Ce lo conceda egli stesso, che è al di sopra di tutti, che agisce in tutti, che è presente in tutti e che è Dio benedetto nei secoli eterni. E ogni anima umile risponda: Amen, alleluie!


AMDG et DVM