lunedì 2 marzo 2020

Cantico dei cantici - 8

Cantico dei cantici - 8

12345678

1Chi ti darà a me, fratello mio, succhiante le mammelle della madre mia, ond'io fuori ti ritrovi, e ti baci, e nissuno più mi disprezzi? 2Io ti prenderò, e ti condurrò nella casa di mia madre; ivi tu sarai mio maestro, e io darotti bevanda di vino aromatico, e il mosto delle mie melagrane. 3La sinistra di lui sotto il mio capo,e la destra di lui mi abbraccerà. 4Io vi scongiuro, o figliuole di Gerusalemme, che non rompiate il sonno della Diletta, e non la facciate svegliare fino a tanto che ella il voglia. 5Chi è costei, che ascende dal deserto ricolma di delizie, appoggiata sopra del suo Diletto? 6Sotto l'arbore di melo io ti suscitai: ivi fu corrotta la madre tua: ivi fu violata la tua genitrice. 7Pommi come sigillo sopra il cuor tuo, come sigillo sopra il tuo braccio: perocché forte come la morte ell'è la dilezione, duro lo zelo quanto l'inferno: le lampadi sue sono lampadi di fuoco, e di fiamme. 8Le molte acque non poterono estinguere la carità, né le fiumane la soverchieranno: quando un uomo desse per la dilezione tutte le sostanze della sua casa, le disprezzerebbe come un niente. 9La nostra Sorella è piccola, e non è giunta a pubertà, che farem noi alla nostra Sorella in quel giorno, in cui dovrà farsi parola con lei? 10Se ella è una muraglia, edifichiam sopra di essa baluardi d'argento: se è una porta, fortifichiamola con tavole di cedro. 11Io muraglia, e il mio petto qual torre, fin da quando dinanzi a lui son io come quella, che ho trovata la pace. 12Il pacifico ebbe una vigna nella popolosa (città): la diede ai vignaiuoli: uomo porta del frutto di essa mille sicli d'argento. 13La mia vigna mi sta davanti. Mille (sicli son) tuoi, o pacifico, e dugento per quelli, che ne custodiscono i frutti. 14O tu, che abiti negli orti, gli amici ascoltano: fa, che oda io la tua voce. 15Fuggi, o mio Diletto: sii tu simile al cavriolo, e al cerbiatto sui monti degli aromati.

Note:
8,1:Chi ti darà a me, fratello mio, ec. Osservò Teodoreto come in questo ultimo capitolo si ha una conclusione, o sia perorazione di tutti i precedenti ragionamenti. Ed è piena di veementissimo affetto la maniera di parlare di questa Sposa: Chi ti darà a me, fratello mio, ec.; onde generalmente i Padri greci, e latini in queste tenerissime espressioni hanno ravvisate le brame dell'antica Chiesa di vedere nella carne umana quel Cristo, nella fede di cui ella vivea, e cui da tanto tempo aspettava. Quindi è, che queste parole hanno senso simile a quelle del principio di questo libro: mi baci egli col bacio della sua bocca; ma varie cose sono qui nuovamente spiegate, la considerazione delle quali serviva ad accendere i desiderii degli antichi Padri. 
Il Messia adunque avrà la natura stessa dell'uomo, e perciò la Sposa lo chiama suo fratello: Egli (dice Paolo) non assumerà gli Angeli, ma assumerà il senne di Abramo, Hebr. II. 16., assumerà la natura dell'uomo, e nascerà del seme di Abramo, del seme di Davidde. Per la qual cosa come un Bene appartenente più a lei, che ad altri chiede la Sposa, ch'ei venga a lei: Chi ti darà a me, fratello mio? Ma notisi come ella a lui parla, a lui espone i suoi desideri e il suo amore, quando ella non sa ancora quanto tempo egli debba tardare a venire. Ella adunque lo riconosce, e lo confessa vero Dio, che è ab eterno, nelle cui mani sta di farsi suo fratello, e suo fratello si farà, perchè egli per misericordia ha promesso di farsi. Ciò viene più chiaramente indicato in un'antica versione greca, la quale dice: Chi a me ti darà come fratello? (Aq.) perocchè come suo Dio ella già lo avea, e lo adorava. 
Questo Dio fatto uomo sarà concepito nel seno di Donna, e da lei sarà partorito bambino, e alle mammelle di lei sarà allattato. A questa Madre la Sposa dà assai convenientemente il nome di Madre sua: succhiante le mammelle della Madre mia, nelle quali parole dee ravvisarsi profetizzato quello che piu chiaramente fu predetto da Isaia: Ecco, che una Vergine concepirà, e partorirà un figliuolo, e il suo nome sarà Emmanuele, Isai. VII. 14. Or in un senso verissimo questa Vergine Madre del Cristo è detta Madre ancor della Chiesa, perocchè da lei i Fedeli di tutti i tempi riceverono l'Autore, ed il Principio di loro salute avendo ella partorito l'Emmanuele, per cui in figliuoli ed eredi di Dio furono adottati e quelli che in lui con fede vi credettero prima ch'ei fosse venuto, e quelli, che in lui credono, e crederanno dopo che egli nato di questa Vergine ha adempiute tutte le profezie, e tutti i misteri. Ma quando la Sposa dice, che il suo Cristo succhierà le mammelle della madre, ella viene a predire che di tutte le infermità, e miserie dell'uomo mortale sarà egli a parte: soffrirà gl'incomodi dell'età infantile, soffrirà le pene, e gli affanni della carne passibile; perocchè debbe egli essere in tutto simile a' fratelli, come dice l'Apostolo. 
Egli è adunque annunziato lo stesso mistero, che fu dipoi significato per Isaia: Un pargoletto è nato a noi, e il figlio è dato a uoi, ed ha sopra gli omeri suoi il Principato, ed ei si chiamerà per nome l'Emmanuele, il Consigliere, Dio, il Forte, il Padre del secolo futuro, il Principe della pace, IX. 6. Imperocchè seguita a spiegarsi anche più la Sposa intorno all'essere divino di questo pargoletto fratello dicendo: ond' io fuori ti ritrovi, vale a dire, fuori de' cieli dove cogli occhi della sua fede ella li vedea, fuori del seno del Padre, dov' ei si sta come suo Unigenito. Brama adunque, che egli squarci i cieli, e discenda (Isai. LXIV. I.) e si faccia vedere sopra la terra, affinchè possa ella baciarlo. Abbiamo altrove osservato come il bacio fu ancor segno di adorazione, onde nel Salmo II. 12. dove, secondo l'Ebreo, s. Girolamo tradusse: Adorate il figliuolo, una più antica versione greca (Aq.) legge: baciate il figliuolo. 
Brama adunque la Sposa di vedere sopra la terra questo suo Dio divenuto suo fratello per adorarlo, e a lui dimostrar la sua fede, e il suo amore, come da Davidde le fu ordinato. E non a caso tra tutte le espressioni, colle quali potea significare il culto, che a lui volea rendere, scelse questa, ond' io ti baci, nella quale il carattere della nuova alleanza viene indicato, che è l'amore; ed oltre a ciò dopo aver nel principio di questo cantico domandato il bacio di lui come principio della sua felicissima unione con esso, chiede adesso la venuta di lui, affinchè possa ella baciarlo, onde compiuto resti il suo sposalizio con lui. 
Allora (dice ella) nissuno ardirà più di disprezzarmi, come fanno adesso tanti increduli, i quali tutto giorno mi dicono: il Dio tuo dov'è (Ps. XLI. 1.I.), e dove sono le tue promesse? Perocchè emmi rimproverato, che da tanto tempo io aspetto uno Sposo, che mai non viene, desidero uno, ch'io non conosco; ed emmi ancora rimproverato, che la vera, e schietta virtù è si rara nel popol mio, che la fede di Abramo, la obbedienza d'Isacco, la pazienza di Giacobbe non hanno quasi più imitatori. Vieni adunque, o mio Dio, mio Sposo, e mio fratello, e da queste pietre fa' tu sorgere dei figli d'Abramo, affinchè nissuno per la mia sterilità mi disprezzi. 
Fu esaudita questa Sposa alla venuta del Cristo, e del numero dei suoi figliuoli furon gli Apostoli, e i Discepoli, da'quali furono fondate le chiese nella Giudea, e ad essi (dopo il rifiuto del maggior numero degli Ebrei) si unirono i Gentili degni per la loro fede del nome d'Israele, e figliuoli di Abramo non secondo la carne, ma secondo lo spirito, Rom. IX. 6. 7. Tutto questo in termini chiarissimi fu dipoi predetto da Isaia: Queste cose dice il Signore: come quando in un grappolo si trova un granello, e si dice: nol mandar nale, perchè è una benedizione; così farò io per amore de' miei servi, e di Giacobbe trarrò semenza, e da Giuda chi avrà de' miei monti il dominio, e Gerusalemme sarà eredità de' miei eletti, e vi abiteranno i miei servi, e le campagne saranno ovili di greggi..., di que', che hanno cercato di me, Isai. LXV. 8. 9.10.
8,2:Io ti prenderò, e ti condurrò ec. Quand'io per mia gran ventura ti avrò trovato, io ti prenderò, e ti condurrò per tutto il paese d'Israelle, ti condurrò nel Tempio, ti condurrò nelle Sinagoghe, dove parlano Mosè, e i Profeti: perocchè tutti questi luoghi appartengono alla nazione Ebrea; e siccome de' soli credenti Ebrei era composta l'antica Chiesa, quindi è, che a questa nazione ella dà il titolo di Madre sua. Fuori di metafora vuol qui intendersi come tutta la Giudea e la Galilea udirà la predicazione di Cristo, ed egli da turbe grandi di popolo sarà ascoltato. 
Ma la Sposa toglie qui ella stessa ogni velo dicendo: Ivi tu sarai mio maestro: e ciò molto a proposito per far intendere una volta apertamente, come quello, che con tanti simboli, e figure diverse ella ha voluto adombrare, non ha che far nulla colla carne, e col sangue, ma è cosa tutta spirituale, e dal solo spirito può essere intesa e spiegata: Ivi tu sarai mio mae stro, m' insegnerai la tua nuova legge, legge di perfezione, e di amore, la insegnerai a me, cioè al mio popolo, perchè tu se' mandato primariamente alle pecorelle disperse della casa d'Israelle, e tu sarai per tutto il tempo della tua predicazione il mio maestro, perchè io so, come in te sono ascosi tutti i tesori della sapienza, e della scienza. Io poi non sarò ingrata alla tua carità, nè senza frutto saranno le fatiche sofferte da te nell'istruire la casa d'Israele. Io darotti bevanda di vino aromatico, e il nosto delle mie melagrane: Ti darò un numero di eletti uomini, che saranno fatti da te tuoi Apostoli,tuoi Discepoli, de' quali l'amore fervido, e forte, e la pienezza di tutte le virtù formeranno bevanda così grata al tuo gusto, quanto può essere altrui un nappo di vino generoso condito con aromi, e quanto il mosto dolcissimo delle melagrane.
Non debbo tacere, come in questi due versetti sono ancora ravvisate da vari Interpreti le voci, e le preghie re de' Giusti, i quali nel seno di Abramo aspettavano, e sospiravano la venuta del Salvatore. Questi nel loro carcere non solo bramavano, ch'ei discendesse dal cielo sopra la terra a istruire la nazione, alla quale era stato promesso, e di cui dovea nascere secondo la carne, ma bramavano ancora, che compiuta l'opera della redenzione, partendo dalla terra si lasciasse vedere ad essi, onde avesser la sorte, e la consolazione di adorarlo come loro liberatore, e dalla presenza di lui fossero ripieni di letizia, e di gaudio. Furono esauditi i loro voti, quando Cristo dopo la sua morte discese all'inferno, e illuminò i dormienti, che speravano nel Signore, come era stato predetto, Eccli. XXIV. 45. E dipoi dopo ch'ei fu risorto lo corteggiarono quasi trofeo, e pompa nobile del suo trionfo, e quand'egli salì al cielo lo accompagnarono, e lo introdussero dentro le porte della Madre comune di tutti i santi, la celeste Gerusalemme. Vedi Ps. LXVII. 19. Ephes. IV. 8., I. Pet. III. 19.
8,3:La sinistra di lui ec. Intorno a questo versetto va di quello, che si è detto cap. II. 6.
8,4:Io vi scongiuro, ec. Vedi cap. II. 7.
8,5:Chi è costei, che ascende ec. Vedi cap. III. 6.  * Nel primo, e nel secondo versetto di questo capitolo la Sposa in un trasporto d'amore avea domandate cose grandi, e grandi cose avea promesso di fare, quando fossero state esaudite le sue preghiere; ella adesso quasi correggendosi, e riconoscendo la sua piccolezza, e come ella non è da tanto di poter prendere lo Sposo, e introdurlo nella casa di sua madre, viene a meglio spiegarsi, e dice: anzi egli mi prenda, e mi conduca, e colla sinistra, e colla destra sua egli sia mio sostegno: perocchè non in me stessa, nè in alcun potere, che io mi abbia è riposta la mia fidanza, ma in lui. Or io so, che egli è buono, e benigno, e sarà per me più ancora di quello, che io ardisca di chiedere, o di bramare (vers. 3.).
Vedesi infatti (vers. 4.) che ella ottiene quello, che non ardiva apertamente di domandare; vedesi, che appoggiato il capo sulla sinistra dello Sposo, sostenuta dalla destra di lui ella è presa da dolcissimo sonno, onde si ode lo Sposo stesso, che proibisce alle figlie di Gerusalemme di risvegliarla, donde ancora apparisce, che questo sonno è a lui molto gradito: Io vi scongiuro, ec. Questo misterioso sonno non è un interrompimento delle operazioni dell'anima, ma un'elevazione di lei, allorchè libera da ogni o interiore, od esterior turbamento, in Dio solo ella si occupa, e nella sublimissima cognizione de' suoi misteri si pasce, onde un ardente amore in essa si accende, per cui intimamente al suo bene si unisce. 
Gli effetti ammirabili di questo riposo (che non è ordinariamente conce duto se non alla Sposa, cioè alle anime amate singolar mente dallo Sposo), sono indicati in termini generali, ma con molta enfasi in queste parole: Chi è costei, che ascende dal deserto ec. La Sposa adunque, la quale piena di amore, e di zelo della gloria del suo Diletto, ogni suo studio pose nel farlo conoscere a molte anime, la Sposa fatta degna, mediante il mistico sonno, di conoscere sempre più il suo bene, e di crescere formisura nell'amore di lui, dallo stesso amore è sollevata sopra sè stessa, e con ammirazione degli Angeli stessi, dal deserto di questo mondo s'innalza ricolma di tutte le spirituali delizie, e s'innalza non sola, ma appoggiata al suo Diletto, il quale si sta con lei per operare con essa, per innalzarla, per ingrandirla, e per condurla fino alla terra de' viventi, fino alla Gerusalemme del cielo. 
Secondo la comune sposizione dei Padri, sono qui descritti i progressi stupendi della primitiva Chiesa ingrandita in brevissimo tempo coll'aggregazione delle genti, sopra le quali si vide diffusa con istraordinaria pienezza la grazia dello Spirito santo, onde apparve la Chiesa ridondante di tutte le delizie e di tutti i doni del medesimo Spirito, contenendo ella nel suo seno un popolo di credenti ripieni delle virtù evangeliche, e preparati a dare allo Sposo la massima testimonianza del loro amore col soffrire volentieri per lui la persecuzione e la morte. Per la qual cosa a' Corinti diceva Paolo: Rendo grazie al mio Dio continuamente per voi per la grazia di Dio, che è stata a voi data in Cristo Gesù, per ché in tutte le cose siete divenuti ricchi in lui di ogni dono di parola e di scienza,.. di modo che nulla manchi di grazia alcuna a voi, che aspettate la manifestazione del Signor nostro Gesù Cristo, I. Cor. I. 4.

Sotto l'arbore di melo ec. Notisi in primo luogo, che il melo è posto per qualunque pianta che porta frutto.
In secondo luogo quantunque gli Ebrei, e qualcheduno ancora de' nostri Interpreti, dieno queste parole alla Sposa, i Padri però tutti quanti, e quasi tutti gl'Interpreti cattolici le attribuiscono allo Sposo, e veramente sembra, che così richiegga la serie del ragionamento. 
Lo Sposo, ch'è ancora l'unico Maestro della Sposa (Matth. XXIII.10 ) nel tempo della maggior gloria di lei sia per tenerla nella umiltà, sia ancora per vieppiù accendere il suo amore, le rammenta quello, ch'ella fu per la sua prima origine. Abbiam già detto, che nella pianta di melo i Padri videro figurata la croce di Gesù Cristo (Cant. II. 2.), e così pure la stessa croce è qui indicata per la medesima pianta, ma paragonata a quell'altra pianta del Paradiso terrestre, della quale fu proibito a' nostri progenitori di gustare il frutto. Eva, madre di Caino e suoi discendenti [così detti figli degli uomini], disobbedì al comando di Dio, e sotto quell'arbore rimase violata e corrotta per la sua colpa, e nella stessa corruzione fe' cadere il marito, donde la corruzione passò alla loro infelice posterità. Dalla donna [ossia la femmina Eva / da non confondersi con la donna Eva la madre di Abele e dei figli di Dio/] ebbe principio il peccato, e per lei moriamo tutti, Eccli. XXV. 33. / Doppia fu la corruzione in cui cadde allora la "madre" o matrigna di tutti i viventi, e i viventi tutti con essa, la corruzione della colpa e la corruzione della pena, o sia la morte dell'anima e la morte del corpo. /
Ma la divina bontà ordinò e dispose, che sotto un altro arbore (sotto la croce) la figlia, cioè la Chiesa trovasse la sua liberazione, la sua risurrezione dalla morte del peccato, e la speranza della beata immortalità. questo adunque è il mistero ch'è posto dinanzi agli occhi della Sposa in queste parole: Sotto l'arbore della mia croce a te io diedi vita e salute, a te, la cui madre sotto un altro arbore trovò la corruzione e la morte. Io presi il chirografo del decreto, ch'era contro di te, e lo tolsi di mezzo affiggendolo alla mia croce, Coloss. II., 14. Così tu fosti liberata e salvata. 
Mira l'una e l'altra pianta, e rifletti, che sotto l'una la disobbedienza della madre tua ti rendette infelice, odiosa al tuo Creatore e degna di eterna morte; sotto l'altra per la obbedienza mia fino alla morte tu se' fatta amica e figlia di Dio, ed innalzata alla dignità di mia Sposa. Sii tu grata alla mia carità, e lo sarai se alla considerazione di quello, che tu sei per mio favore, tu congiungerai la memoria di quello che fosti. Da tutto questo apparisce con quanta ragione dicesse Paolo: La parola della croce è stoltezza per quei, che si perdono; per quelli poi, che sono salvati ella è la virtù di Dio,,. Noi predichiamo Cristo crocifisso scandalo pei Giudei, stoltezza pe'Gentili, per quelli poi che sono chiamati e Giudei e Gentili, Cristo virtù di Dio, e sapienza di Dio, I. Cor. I. 18. 23. 24.
8,6:Pommi come sigillo sopra il cuor tuo, ec. Continua lo Sposo a istruire come amante maestro la Sposa, e le insegna le leggi del vero e perfetto amore. Quel precetto grande della carità verso Dio (Deut, VI. 5. Matt. XXII.37 ): Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, e con tutta la mente tua, e con tutte le forze tue, questo precetto è raccomandato, e spiegato con questa bella metafora: Pommi come sigillo sopra il tuo cuore, come sigillo sopra il tuo braccio; perocchè nel nome di cuore, la mente, e l'anima resta compresa: il braccio poi è posto a significare le forze dell'uomo. 
Lo Sposo adunque, che suscitò la Sposa sotto l'arbore della Croce, chiede in corrispondenza da lei, che col sigillo dello Sposo ella si contrassegni, e dentro nell'anima, e al di fuori nel corpo, o sia nelle operazioni esteriori, talmente che e ne' pensieri, e negli affetti, e nelle parole, e in tutte le azioni sue ella porti l'impronta del medesimo Sposo. A questa impronta ella debb'essere riconosciuta come fida Sposa, e leale non solo dinanzi a Dio, ma anche dinanzi agli uomini. Da vari luoghi delle Scritture veggiamo l'antichissimo uso tra gli orientali d'imprimersi o sul braccio, o sulla fronte, od anche sul petto il nome, ovver qualche simbolo delle divinità da essi adorate, e simile uso tenevasi riguardo alle persone più care ed amate,per averle così in qualche modo presenti. Vedi Isai. XLIV. 5. Apocal. XXIII. 16. VII. 2. 
Avrà adunque la Sposa e sul cuore e sul suo braccio il sigillo di Gesù crocifisso, e in tal guisa darà a conoscere, com'ella è tutta del suo Sposo, e lui solo ama con tutto il cuor suo, e a lui solo serve coll'adempiere in tutto la sua volontà, perocchè ella ben sa, che non possono servirsi e amarsi insieme due padroni, Matth. v. 24. Porterà impresse nel suo cuore le parole di lui, gli esempi, la eccedente carità, affine d'imitarla; porterà ancora nel proprio corpo la mortificazione di lui. 
La Sposa, che si ricorda come sotto la Croce fu per sua gran ventura suscitata da Cristo, allora quando portava la immagine del primo Adamo, e non era degna se non dell'ira, conosce perciò la necessità di portare l'immagine del nuovo celeste Adamo: Abbiam portato l'immagine del terreno (Adamo), portiamo anche l'immagine del celeste. Il primo uomo dalla terra (fu) terrestre, il secondo Uomo dal cielo, celeste. Perocchè la carne e il sangue non possono ereditàre il regno di Dio, nè la corruzione ereditare l'incorruttibilità. I. Cor. XV. 47. 48. 49. 50. Per la qual cosa non conoscerà più la Sposa se non Gesù, e Gesù crocifisso, nè si glorierà se non nella croce di Gesù crocifisso. Perocchè forte come la morte ella è la dilezione. 
Come se dicesse lo Sposo, la legge, la condizione, la natura del vero amore è questa, ch'ei sia forte, come la morte, e lo zelo dell'amore sia duro come l'inferno. Per questo io ti ho detto, che tu mi ponga come sigillo sopra il tuo cuore, come sigillo sopra il tuo braccio. Zelo dicesi quell'affetto veemente dell'amore, che sente pena e indegnazione de' torti, che soffre la persona che si ama, e si muove con gran risoluzione a cercare di ripararli. Tal era lo zelo dell'onore di Dio in Mosè, in Phinees, in Elia, in Paolo, ec. Tale, anzi infinitamente più grande fu lo zelo di Cristo per la gloria del Padre suo, e pel bene della sua Sposa, onde egli disse: Lo zelo della tua casa mi divorò, e gl'insulti di coloro che t'insultavano son ricaduti sopra di me, Ps. LXVIII. 10. 
Propone adunque lo Sposo il gran d'esempio della sua carità, la quale fe' sì, ch'egli si vestisse di carne passibile e mortale, patisse, e morisse per la sua Sposa. Così la morte, e l'orror della morte non ebbe in lui potere di fargli abbandonare l'opra intrapresa pell'amore, che lo indusse a far tutto, e tutto patire per la Sposa. Per tal esempio ella è invitata, ed esortata a mantenersi fedele a lui anche in faccia alla morte, qualunque volta si dia l'occasione di dover dare a lui questo certissimo segno di corrispondenza, e di amore. Non ti scordare del beneficio fatto a te dal tuo Mallevadore [garante], perchè Egli ha esposta per te la sua vita, dice lo Spirito santo, Eccl. XXIX. 20. Questo nostro mallevadore fu il Verbo del Padre, il quale, fatto uomo, si aggravò de' nostri debiti, e li pagò col prezzo grande del sangue suo e della sua vita, la quale egli diede per essi in mezzo alle ignominie, e a' più terribili tormenti. Per la qual cosa dimostrò egli ancora col fatto, come il suo zelo della casa di Dio, ch'è la Chiesa, lo zelo della liberazione di questa sua Sposa, era in lui più forte e inflessibile dell'inferno. 
I dolori acerbissimi sofferti da Cristo sono paragonati da lui medesimo a'dolori dell'inferno anche presso il reale Profeta dov'egli dice: Dolori d'inferno mi circondarono, Ps. XXVII. 6.; perocchè oltre all'essere la morte di croce per sè stessa acerbissima e al sommo ignominiosa, per molte altre ragioni ancora i dolori di Cristo superarono tutti i dolori di questa vita, come ben dimostra s. Tommaso 3. quaest 46. 6.; ed egli in andando a patire si dichiarò, che davasi in balia delle potestà delle tenebre, Luc. XXII. 53. 
     Or ecco in qual modo, secondo s. Agostino, dalla Sposa venga a imitarsi questo fortissimo e invitto amore dello Sposo: La dilezione è forte come la morte; perocchè chi resiste alla morte? Si resiste all'acqua, al fuoco, al ferro, alle potestà, a' regi; ma alla sola morte, chi è che resista? Per questo alla fortezza di essa è paragonata la carità, perchè anche la carità uccide quello, che noi già fummo, affinchè diventiamo quello che non eravamo. La dilezione fa in noi una specie di morte, e di questa morte era già morto colui, che diceva: il mondo è crocifisso per me, ed io pel mondo; e quegli erano morti, a'quali diceva: Voi siete morti, e la vostra vita è ascosa con Cristo in Dio. Ella è adunque forte come la morte la carità, perchè come la morte naturale distacca l'anima dal corpo e da' sensi, così la carità distacca l'anima dall'amore delle cose sensibili, dalle concupiscenze della carne.           Lo zelo poi della carità è forte e duro e inflessibile come l'inferno, perchè la vera carità qualunque cosa, e lo stesso inferno soffrir vorrebbe piuttosto, che l'offesa di Dio e il peccato. Tale fu lo zelo dei Martiri, i quali a somiglianza del santo vecchio Eleazaro erano disposti ad essere prima gettati nell'inferno, che rinunziare a Cristo, e rinnegar la sua fede. Vedi 2. Machab. VI. 13.
Le lampadi sue sono ec. L'Ebreo può tradursi. I suoi carboni sono carboni di fuoco e di fiamma divina, dov'è da notare, che fiamma divina vuol dire fiamma grandissima, come in altri luoghi si legge cedri di Dio, monti di Dio, per significare cedri grandissimi, monti grandissimi. Si paragona la carità nuovamente al fuoco, al fuoco, ch'è fortissimo tra gli elementi, e di grandissimo uso per moltissimi bisogni, ed opere e lavori degli uomini.      Iddio nelle Scritture è paragonato più volte al fuoco: il nostro Dio è un fuoco, Deuter. IV. 24. XXXV. 2. ec., particolarmente perchè egli alle anime comunica la sua luce, il suo splendore, il suo calore, come fa il fuoco materiale riguardo alle cose a cui si appressa. Quindi lo stesso Cristo disse sè esser venuto a portar fuoco sopra la terra, il qual fuoco bramava che si accendesse, e si dilatasse per ogni parte, Luc. XII. 49., ed egli pure sotto la figura di accesa face è rappresentato da Isaia: Per amore di Sionne, io non tacerò, e per amore di Gerusalemme io non mi darò posa fino a tanto, che il suo Giusto nasca come luce del dì, e il suo Salvatore qual face ardente risplenda, Isai. LXII. 1         Fu adunque Cristo accesa face a portare, e dilatare sopra la terra il fuoco divino della carità,perchè le infinite cose ch'ei fece, e patì per gli uomini con tanto amore, un simile amore dovean risvegliare, ed accendere in tutte le anime; onde tutti i benefizi di lui, e tutt'i misteri sono come tante faci, o carboni ardenti di fiamma divina, cioè potentissima ad infiammare tutt'i cuori. 
Quindi chiaramente apparisce la relazione di queste parole con quelle che precedono: Pommi come sigillo sopra il tuo braccio, ec. Perocchè dice lo Sposo: la dilezione mia non solo fu forte come la morte, e il mio zelo inflessibile come l'inferno, ma le lampadi della mia carità sono lampadi di fuoco e di fiamma; conciossiachè tutto quello che io feci per te dalla mangiatoia, in cui nacqui, fino alla croce, sulla quale rendei lo spirito, fu indirizzato ad accendere nel tuo cuore il fuoco del santo amore, e tu ogni volta che attentamente lo mediti, sentirai in te crescere questo fuoco, e insieme il desiderio di corrispondere alla mia carità, coll'imitare i miei esempi, onde mi porrai come sigillo sopra il tuo cuore, come sigillo sopra il tuo braccio. Perocchè tu dirai: La carità di Cristo ci strigne, considerando noi questo, che se uno è morto per tutti, adunque tutti sono morti. E per tutti Cristo morì, onde quelli che vivono, già non vivono per loro stessi, ma per colui, che per essi morì, e risuscitò, II. Cor. v. 14. 15.
8,7:  Le molte acque non poterono estinguere la carità, ec. Le grosse acque, e le impetuose fiumane sono ne' nostri libri santi frequentemente simbolo delle tribolazioni; onde e lo stesso Cristo pel suo Profeta dice: Salvami, o Dio, o perocchè le acque son penetrate fino all'anima mia... son venuto in alto mare, e la tempesta mi ha sommerso, e Psalm. LXVIII. 1. 3. Ma la mole e l'impeto di queste e acque, e la violenza delle fiumane poteron forse o estinguere, o raffreddare la carità dello Sposo, che pativa per e la carità? Prega sulla croce pe' suoi carnefici e crocifissori, e gli scusa; converte un ladrone, che prima lo bestemmiava, e gli promette per quel giorno stesso il paradiso. Possiamo ancor ragionare nella stessa guisa riguardo e a tutto quello che Cristo soffre dagl'increduli, e da' mali cristiani nel sacramento dell'amore, nella divina Eucaristia, e riflettere come tutta la quasi immensa mole delle ingiurie e de' cattivi trattamenti degli uomini non ha potuto estinguere, nè soverchiare la carità dello Sposo.
La Sposa ancora, a somiglianza di lui, fu soggetta a lunghe, e gravissime tribolazioni e persecuzioni, dalle quali uscì vittoriosa; perchè come dice l'Apostolo, la carità non iscade giammai, 1. Cor. XXIII. 8. Ed ha anche la Sposa in queste parole medesime dello Sposo una stabile dolcissima promessa per tutti i tempi avvenire. Le acque, ne' le fiumane non poteron giammai soverchiare la Chiesa fondata nella carità, e sostenuta dalla mano potente di lui, che mai non l'abbandona, e le acque e le fiumane non potranno in futuro giammai quello che non poterono nei tempi che precedettero. Consolazione simile a proporzione è data ai giusti, i quali stando nella carità, stanno in Dio, e Dio sta in loro, I. Joan. IV. 16; per la qual cosa l'Apostolo s. Giovanni promette loro la vittoria di tutt' i nemici, perchè Dio, che sta in essi, è più potente di tutt' i loro nemici, 1. Joan. IV. 4.


Quando uomo desse per la ec. Un uomo, un dilezione che sa e conosce il pregio infinito della carità, se per acquistarla, o dovesse per conservarla dare tutto il bene della sua casa, con tal facilità e prontezza d'animo lo dara, come se si trattasse di dare un niente. L'uomo che diede veramente tutte le sostanze della sua casa per la dilezione, egli e il Cristo, il quale diede tutto se stesso, e tutta la gloria, tutti gli onori e tutto quello che avrebbe potuto avere sopra la terra disprezzò e rifiutò; e visse nella povertà, nella umiltà, negli affanni, e morì sopra una croce per liberare la Sposa, riscattandola non col prezzo di cose corruttibili, ma col suo sangue prezioso come di agnello immacolato e incontaminato, 1. Petr. 1. 18. 19.


Con tal esempio pertanto è raccomandato alla Sposa e a tutt'i figli di lei, che per acquistare e conservare la carità sieno sempre pronti a perdere tutte le cose del mondo, e la vita istessa, perocchè saranno sempre piu ricchi senza paragone avendo Dio, il quale è carità, che se perduta questa, ottener potessero tutte le cose della terra. Ella è (dice s. Agostino) quella perla preziosa, mercatante [commerciante] vende tutto per la quale il saggio quello che ha, e la compra. Perocchè senza di questa nulla ti gioverebbe tutto quello che tu avessi, e avendo questa sola essa ti basta, onde volentieri impiegar deesi per averla, tutto quello che uno ha, Tract. v. in epist. Joan. si dà ancora in queste parole un documento utilissimo di umiltà, ed è, che quando l'uomo avrà fatto tutto quello, che mai far possa per la carità, non dee credere di aver fatta qualche gran cosa, ma dee dar lode alla divina bontà, la quale ha disposto, che con si poco, anzi con un niente, possa egli comprarsi un bene sì grande, e inestimabile, onde diceva l'Apostolo: Ho giudicato un discapito tutte le cose, e le stimo come spazzatura per fare acquisto di Cristo, Philipp. III. 8.       E i veri discepoli di Cristo impararon da lui, che quando abbian fatto tutto quello che mai potevano per la carità, debbon sempre pensare, e confessare, ch'ei son servi inutili, e quello che dovevano fare, hanno fatto, Luc. XXVII. 10.
8,8:La nostra Sorella è piccola, ec. Sono qui divisi gl'interpreti riguardo alla persona, cui debbano attribuirsi queste parole. Sembrami però assai semplice e naturale il supporre, che continui a parlare lo Sposo, come credettero Cassiodoro, Beda, s. Gregorio, e molti altri. Lo Sposo adunque, il quale finora insegnò alla Sposa la perfezione dell'amore, viene adesso con una nuova parabola a istruirla riguardo a quella massima opera della carità, la quale consiste nel partorire de' figliuoli spirituali a Cristo, e nell'allevarli nutrendoli col latte della buona dottrina, nel pascere il gregge, avendo cura particolare delle pecorelle più deboli e inferme. 

S'introduce adunque Cristo, che parla o agli Angeli custodi della vigna, ovvero (come credettero Cassiodoro, s. Gregorio ed altri) parla a' Padri dell'antica Chiesa, e parla come grandemente sollecito del bene della sua novella Sposa. Questa è anche sua sorella per la partecipazione della stessa natura umana, ed anche pel consorzio, ch'ella ha colla natura divina, avendo ella per padre lo stesso Padre del Cristo, che l'adottò in figliuola. Parla egli adunque della Chiesa, quale ella era ne'suoi principi, e quando non era ancor venuto sopra di lei lo Spirito Santo. Questa nostra sorella (dic'egli) è piccola e pel numero, e riguardo alla virtù e alle forze dello Spirito, e non è ancora in istato di essere sposata, nè di avere, e allevare de' figli spirituali; ella cioè non ha tal capi e maestri, che sieno atti a nudrire i piccoli col latte della divina parola, nè che abbiano la piena intelligenza delle Scritture sante, nelle quali è il latte pe'piccoli, e il solido cibo per gli adulti ritrovasi. Chiama adunque sorella piccola quella, cui diede altrove il titolo di piccolo gregge, Luc. XII. 32. 
Ma mentre ei dice, ch'ella è piccola, e non è in stato di essere fatta sposa, dimostra, com'ei desidera, e vuole che ella diventi grande e di tal perfezione, qual si conviene ad una, che di lui stesso debb'essere sposa. Ma a chi in quello stato l'avesse considerata, sarebb'egli mai caduto in pensiero ch'ella divenir potesse qual diventò, e divenirlo quasi repentinamente? Chiunque considererà la debolezza, la timidita, la rozzezza di quelli, ch'erano i pri mi nel piccolo gregge, e leggera dipoi negli atti degli Apostoli quel ch'essi divennero, potrà egli comprendere, come e donde un cambiamento si prodigioso avvenisse? Che farem noi adunque a questa piccola Sorella nel giorno in cui si dovrà far parola con lei?Sembra con questa maniera di parlare che lo Sposo consulti; e dicasi pur ch'ei consulta e interroga, come una volta interrogò uno de' suoi discepoli, dicendo: donde compreremo pane, perchè mangino costoro? Joan. VI. 5., lo che egli diceva per far prova di lui, perocchè egli sapeva quello ch'era per fare. 

Nella stessa guisa parla egli adesso come Principe dei Pastori, dimostrando l'amorosa sollecitudine, che ha del suo gregge, e domanda quello, che sia da farsi in quel giorno, nel quale si parlerà con questa Sorella per fermare il suo sposalizio; ma insieme nelle stesse parole accenna quello, che si farà. Questo giorno egli è quello, nel quale lo Spirito santo scendera sopra gli Apostoli e sopra la Chiesa nascente, giorno, in cui lo stesso spirito le parlerà. Conciossiachè quelle lingue di fuoco furono segno non solo del dono delle lingue, che dovea servire a fare intendere alle varie nazioni la predicazione della parola, ma indicavano ancora, come lo Spirito santo avrebbe parlato al cuore della Sposa, e l'avrebbe ripiena della scienza e sapienza di Dio, l'avrebbe ripiena di luce e di ardore; e di piccola l'avrebbe fatta grande, e di sterile l'avrebbe fatta feconda: tanto è potente ed efficace la virtù e la parola di questo Spirito. 
Ecco che io (dice s. Gregorio) aperti gli occhi della fede osservo Davidde, Amos, Daniele, Pietro, Paolo, Matteo, e voglio considerare quale artefice sia questo Spirito, ma nella stessa mia considerazione mi perdo. Perocchè empie egli di sè un giovinetto suonatore di arpa, e ne fa un Salmista, empie un pastore di armenti, e ne fa un Profeta, empie un fanciullo temperante, e ne fa un Giudice de' seniori, empie un pescatore, e ne fa un Apostolo, empie un per secutore, e ne fa un Dottor delle genti, empie un pubblicano, e ne fa un predicatore della Fede, ed Evangelista. Qual mai artefice è questo, il quale tosto che illustra le anime, le trasforma?
Per questo giorno, in cui dovea farsi parola colla piccola Sorella, alcuni Interpreti credono indicate le occasioni, nelle quali dalle potesta e da' giudici della terra nimici della Fede sarebbono interrogati e i predicatori di essa, e i semplici fedeli intorno alla stessa Fede. Cristo avea promesso di dar loro lingua e sapienza, cui non potesser resistere gli avversari, e che lo Spirito santo abitante in essi avrebbe per essi parlato, Matth. X. 20. Se condo questa sposizione la risposta sarebbe tutta nel versetto, che segue; la prima però mi sembra più semplice e più piana.
8,9:Se ella è una muraglia, edifichiam ec. La particella se in molti luoghi delle Scritture vale lo stesso che la causale perchè, giacchè, ec., e nello stesso senso è usata anche nella nostra volgare favella. In questo versetto adunque alla sua Sposa, piccola pell'avanti e timida e di poche forze, promette Cristo in primo luogo, ch'ella sara come forte e ben fondata muraglia, e di più che questa muraglia sarà con maravigliosa arte fortificata e abbellita da lui; e tale ella si fe' conoscere, allorchè rivestita di virtù dall'alto, divenne quasi muraglia di bronzo a' principi di Giuda, a' sacerdoti e al popolo della terra, i quali le fecer guerra, ma non la vinsero, Jerem. I. 18. 

I baluardi d'argento, onde questa muraglia sarà ornata e fortificata, sono (come dice s. Gregorio) gli stupendi miracoli, dai quali fu accompagnata e sostenuta la predicazione della parola, e dei quali è parlato negli Atti. In secondo luogo questa Chiesa sarà la porta per entrare nel regno di Dio; similitudine amata da Cristo, ed a se stesso applicata da lui più volte: Io sono la porta, chi per me passerà, sarà salvo, ed entrerà, e uscirà, e troverà pascoli, Joan. X. 9., e altrove: Io sono porta alle pecorelle. 
Or egli è porta per entrare nell'ovile, perchè la sola grazia di lui in esso introduce le pecorelle; e la Chiesa è porta, perchè per mezzo di essa sono condotte le pecorelle alla cognizione dell'unico ovile e dell'unico Pastore. Per la qual cosa viene a significarsi con questa similitudine, che la Chiesa avrà affluenza grande di popolo, che per essa entrerà ad unirsi all'ovile di Cristo, ovile piccolo da principio, ma accresciuto in breve tempo quasi all'infinito. 
Questa porta, che dee esser chiusa agl'increduli, e a quelli che Cristo chiamò ladroni e assassini delle pecorelle, e dee essere aperta ai credenti, sarà ornata e fortificata con tavole di legno prezioso, incorruttibile, odoroso qual è il cedro, simbolo delle belle virtù e de' doni dello Spirito santo, pe' quali saranno tratte soavemente le genti ad unirsi alla Chiesa. Or noi dopo tali promesse di Cristo possiamo dir col profeta: Gloriose cose sono state dette di te, o città di Dio, o Sposa di Cristo, Psalm. LXXXVI. 2. Imperocchè essendo egli la muraglia e il fondamento e l'unica porta, per cui si entra nel suo regno, ha voluto comunicar questa gloria istessa alla Chiesa renduta da lui tanto bella e splendida, e forte, che non può essere nè ottenebrata dall'errore, nè vinta dagli sforzi della empietà, nè soverchiata dalle porte d'inferno.
8,10:Io muraglia, e il mio petto ec. Confessa con umil riconoscenza la Sposa, ch'ella è muraglia fondata nella fermezza e stabilita della Fede sopra la pietra ch'è Cristo, muraglia elevata per l'altezza di sua speranza, muraglia ben compaginata mediante il vincolo della carità; muraglia di preziose pietre costrutta, come si legge Apocal. XXII. 18. 19. ec. 
Confessa ancora la Sposa, ch'ella è porta, mentre dice: È il mio petto come torre, alludendo alla maniera di fortificare con simili torri le porte della citta. Vedi 2. Reg. XVIII. 33. Non è contro la umilta il cono scere in sè i doni di Dio, purchè di essi la gloria nel donatore si rifonda, e perciò dice la Sposa, che di tanto bene ella è debitrice allo Sposo, il quale la elesse, e dinanzi al quale trovò pace, grazia e favore. Se io sono muraglia, e se il mio petto è qual torre, se io sono ricca, e forte, e invincibile, tutto questo mi viene dalla carità di lui, che mi fe' sua Diletta dopo ch'egli fissò sopra di me gli occhi di sua misericordia, e mi diede il bacio di pace, di riconciliazione e di amore. 

Tutto ciò fu adempito perfettamente a favor della Chiesa nel giorno, in cui lo Spirito santo fu mandato da Cristo a parlare a lei, ad essere suo Maestro, e a riempirla de' doni suoi. Da quel tempo in poi ella divenne muraglia, e torre a se stessa, non avendo bisogno di altra difesa, perchè ha seco lo stesso Spirito, che è (secondo la frase di Zaccaria) muro di fuoco, che la circonda, II. 4, e per sua muraglia avendo anche lo stesso Sposo, onde di lei pure fu scritto: Nostra città forte è Sionne: sua muraglia, e suo para petto sarà il Salvatore, Isai. XXVI. I.
8,11:Il Pacifico ebbe una vigna nella popolosa (città) ec. nell'Ebreo e ne' LXX leggesi: il Pacifico ebbe una vigna in Baal-Hamon, come nome proprio di luogo, ovvero di città; e una città di questo nome è rammentata I. Pa ral. VI. 75. Alcuni traducono nella pianura popolata, nella pianura di moltitudine. Ciò basti intorno alla lettera. Nella sposizione di questa bella parabola mi attengo al comun sentimento de' Padri e degl'Interpreti, i quali suppongono, che di una sola vigna si parli, e non di due, com'è paruto ad alcuni: certamente dicendosi, che questa vigna dal Pacifico fu piantata nella città (ovvero nella regione) dei popoli, sembra apertamente indicata la nuova Chiesa composta di Ebrei e di tutti i popoli del Gentilesimo, differente perciò dalla Sinagoga, ch'ebbe un solo popolo. Nè dee fare specie, come diremo, che quella vigna istessa, la quale è detta vigna del Pacifico nel versetto II, sia detta dalla Sposa mia vigna nel versetto seguente. 

Alla nuova Chiesa fino dal giorno, in cui fu mandato a lei lo Spirito santo, furono invitate tutte le genti mentre fu comunicato agli Apostoli il dono di tutte le lingue, e la loro predicazione fu udita da uomini di diversissimi linguaggi, Parti, Medi, Elamiti, ec. i quali si trovarono allora in Gerusalemme. È adunque significata in queste parole la elezione della nuova Chiesa piantata dal nostro Re di pace in regione spaziosa e piena di popolo, perchè sino agli ultimi confini del mondo, e in mezzo a tutte le genti dovea stendersi e propagarsi la Chiesa. Questa vigna adunque fu data in custodia ad uomini eletti amici dello Sposo, e questi s'intende, che doveano non solo custodirla, ma ancor coltivarla, affinchè producesse i suoi frutti. Ma la Sposa, che ben sa come non è qualche cosa nè quegli che pianta, nè quegli che innaffia, ma Dio, che dà il crescere, 1. Cor. III. 7, la Sposa, che sa come lo stesso Padre dello Sposo è il coltivatore di questa vigna, Joan. XV. I, la Sposa perciò li chiama solamente custodi, affinchè si ricordino come non sono le loro fatiche e i loro sudori quelli, chefanno pro sperare la vigna, ma la grazia di lui, senza del quale la vigna sarebbe sterile, e sarebbe infruttuosa la fatica de' vignaiuoli. 

Per la qual cosa di sè e degli altri Apostoli dice Paolo: Noi siamo cooperatori di Dio, cultori di Dio siete voi, voi edificio di Dio, 1. Cor. III. 9. Ed è grande la bontà del Padre di famiglia e del Padrone della vigna nel prendere per suoi cooperatori degli uomini ad opera sì grande, quale è quella della santificazione delle anime e della salvazione degli eletti di Dio. Questi custodi adunque sono i ministri della Chiesa chiamati all'ufficio di custodire la vigna e d'impiegarsi nella cultura di essa, de' quali dicesi: L'uomo porta del frutto di essa mille sicli di argento. La voce uomo veramente in molti luoghi delle Scritture si mette per qualunque uomo; ma in molti altri ancora ella significa uomo forte, egregio e quasi divino, e tale è il senso ch'ella ha in questo luogo: perocchè a questi custodi conviensi di avere animo, e petto virile per la custodia e cultura di questa vigna, affinchè possano presentare al Pacifico i mille sicli di argento, che sono il pieno frutto di essa, cioè tutto il bene che hanno fatto nelle anime, richiamandole dalle vie dell'errore e del peccato, e conducendole nella perfezione evangelica. In queste parole ancora vien dimostrata una differenza grande tra questi eletti custodi della vigna, e quelli ch'ebbe negli ultimi suoi tempi l'antica Chiesa, la Sinagoga, gli Scribi, i Sacerdoti e i Capi di quella nazione. 
Perocchè di questi si legge (Matth. XXI), che quando il Padrone della vigna mandò i suoi servi, e ultima mente il suo istesso Figliuolo a chiedere i frutti, maltrattarono ed uccisero i servi, e non rispettarono nemmeno il Figliuolo, cui diedero la morte. Qui noi veggiamo de' servi buoni e fedeli, de' quali ciascuno non solo si affatica perchè dia buon frutto la vigna, ma il frutto stesso di essa intieramente e volontariamente al Padrone offeriscono.
8,12:La mia vigna mi sta davanti, ec. Ella è sempre la Sposa, che parla, cioè la Chiesa in persona de' ministri e custodi della mistica vigna, ed ella viene a dimostrare l'affettuosa sollecitudine ch'ella ha per tutte le parti della vigna, perchè questa è porzione, eredità e bene dello Sposo; come s'ella dicesse: la vigna del Pacifico è tutto, e il solo mio pensiero, ed io l'ho sempre dinanzi agli occhi, e non la perdo di vista giammai, che tale so essere l'obbligazione de' buoni e leali custodi, a' quali è stato detto: Abbi esatta conoscenza delle tue pecorelle, e bada attentamente al tuo gregge, Proverb. XXVII. 23. 
Queste pecorelle che sono mie, perchè alla mia custodia affidate, sono tue pecorelle, e tuo è tutto il gregge, come tua è la vigna: io ho davanti eziandio il frutto, che deb bo renderne a te, i mille sicli di argento, o mio Re di pace, e mi studio e mi affatico per rimetterti questo frutto, la qual cosa facendo, quello ch'è tuo io ti rimetto; perocchè e il fondo e il frutto del fondo, tutto è cosa tua, perchè tuo dono è anche qualunque merito nostro. Ma tu con generosità degna di te rimuneri le fatiche de' custodi e degli operai, rimuneri la loro vigilanza e fedeltà, e dai loro il premio abbondante promesso da te. Osservano varii Interpreti, che non il centuplo, ma il centuplo duplicato è qui promesso a' custodi della vigna, i quali se stessi serbano puri e irreprensibili dinanzi a Dio, e a lui guadagnano le anime; ed è certo che ne' dugento sicli un premio soprabbondante viene significato. Nello stesso senso disse l'Apostolo: I sacerdoti, i quali ben governano debbon riputarsi meritevoli di doppio onore, cioè di doppia mercede, 1. Tim. V. 17.

Osservisi finalmente come in quelle parole: La mia vigna mi sta davanti, si contiene un gravissimo ed importantissimo documento per ogni uomo in qualunque stato di vita, ch'ei si trovi, affinchè la propria vigna, il proprio stato e il proprio ministero, gli obblighi della sua vocazione, in una parola, l'anima propria abbia sempre davanti; perocchè questa è la particolare sua vigna datagli da coltivare, e di cui dee rendere a Cristo i frutti, che sono le buone opere.
8,13:O tu, che abiti negli orti, ec. Questo e il seguente versetto contengono l'ultimo colloquio, o sia dialogo dello Sposo, e della Sposa che noi potremmo anche dire l'ultimo cantico. Avea egli gia lodata altre volte la voce della Diletta, e mostrato grandesiderio di ascoltarla, Cant. II. 14.; alla fine adesso rinnovella con affetto maggiore la stessa esortazione e lo stesso invito, perchè di grande importanza egli è per lo vantaggio della Sposa e di ciascun'anima. O tu, che abiti negli orti. Fa sua di madre ai suoi dimora la Chiesa cattolica come in mezzo figli, fa sua dimora nelle Chiese particolari, che sono come tanti orti e giardini dello Sposo, coltivati e fecondati da lui colla celeste sua grazia. Vedi cap. VI. I. 
 Chiesa adunque in generale, ed anche ad ognuna delle particolari società e Chiese del mondo cattolico, dice lo Sposo: fa' ch'io ascolti la tua voce. Ma quando? ma in quai circostanze? Ciò dallo Sposo non è spiegato, e per altissima ragione non è spiegato; perocchè in ogni tempo brama egli di udir questa voce, perchè questa voce ella è in primo luogo la voce dell'orazione, ed egli stesso ripete sovente quell'insegnamento: Bisogna orar sempre, e non istancarsi giammai: vegliate ed orate. 

Questa orazione è di molte maniere, e di molte maniere ella è della Sposa la voce. È nella Chiesa la voce di gemito, e di dolore dei peccati commessi, pe' quali a Dio si offeriscono i singulti del cuore contrito e umiliato; è nella Chiesa la voce d'invocazione degli aiuti divini, senza de' quali ella sa, che non può sostenersi nelle tentazioni, nè combattere fruttuosamente nella buona milizia; havvi la voce di esultazione e di rendimento di grazie pegli antichi e nuovi benefizi, i quali ella dal suo Sposo riceve; havvi finalmente la voce di laude, con cui le grandezze di Dio si celebrano, e soprattutto i misteri altissimi della carità di Cristo, che sono l'obbietto più dolce e piu frequente delle solennità e de' festivi cantici della Chiesa. 

Tutte queste voci sono gratissime alle orecchie dello Sposo, e tutte egli desidera di ascoltare: fa', che oda io la tua voce. Quindi se null'altra cosa in tutte le Scritture fosse stata detta in commendazione della orazione, non potrebbe forse bastare questa sola esortazione dello Sposo a farla amare ardentemente da tutte le anime, che alcun poco lo Sposo stesso e il proprio loro bene conoscano? 
     In ispecial maniera però è qui insinuata e raccomandata da Cristo la pubblica orazione, la cui efficacia, e il gradimento con cui è udita da Dio, apparisce da quelle parole di Cristo: "Dove sono due, o tre congregati nel nome mio, ivi son io in mezzo ad essi."

Ma siccome in questo altissimo libro l'esortazioni tutte e li documenti, benchè utili per tutte le anime e per tutti i particolari membri del corpo di Cristo, sono nulladimeno piu specialmente indiritti a quelli, i quali nella Chiesa tengono l'ufficio di maestri e pastori del gregge, non dobbiamo perciò lasciar di accennare un'altra voce, ch'è nella Chiesa, voce, che lo Sposo desidera di ascoltar sempre, ed è la voce d'istruzione, di esortazione, di predicazione. 

      Questa voce si necessaria alla edificazione del popolo di Dio, questa voce, mediante la quale tutti i figli della Chiesa debbono essere istruiti e coltivati con pazienza e dottrina in tutto quello che appartiene alla Fede, e in tutte le salutari massime del Vangelo, questa voce, la quale non può tacere nella Chiesa senza gravissimo danno del gregge e senza certissimo pericolo delle anime dei pastori, questa voce ancora desidera, e quasi prega lo Sposo, che nelle orecchie di lui risuoni continuamente: Fa', che oda io la tua voce.

Gli amici ascoltano. 

Questi amici sono in primo luogo gli Angeli ed i santi, che regnano già con Cristo. 

Quanto agli Angeli del Signore, sono essi amici dello Sposo e della Sposa, essendo essi, come dice Paolo: Spiriti amministratori, che sono mandati al ministero in grazia di quelli, che acquisteranno l'eredità della salute, Heb. I.14. Ed essi perciò assistono alle orazioni della Chiesa e de' figli di lei, e le orazioni stesse presentano dinanzi al trono di Dio, e con molto piacere ascoltano le voci de' pastori della Chiesa, e gli aiutano nel loro ministero. I santi poi già glorificati nel cielo, amanti di Cristo, amanti della Sposa di Cristo, di cui sono membra gloriose, questi pure le voci di lei ascoltano con gran piacere, quand'ella con essi si unisce a cantare le lodi di Dio. Imperocchè una medesima Chiesa è quella, di cui una parte trionfa nel cielo, l'altra sulla terra combatte; l'una è tuttora in mezzo al mare, l'altra è tranquilla, e salva e beata nel porto e quella ch'è lassu continuamente dice a noi: Esaltate meco il Signore, ed esaltiamo insieme il nome di lui, Psalm. XXXIII. 3.

In secondo luogo questi amici sono anche i buoni figli della Chiesa medesima, che lei amano, perchè amano lo Sposo; e questi pure molto volentieri ascoltan la voce di essa, e con lei si uniscono quando ella a Dio parla nella orazione, e volentieri l'ascoltano quando ella parla per istruirli e confortarli nel bene. 

La Chiesa ha veramente degli altri figli, figli disamorati, i quali poco, o nulla amano la voce di lei; ma per questi ancora ella alza a Dio la materna sua voce, e ne domanda il ravvedimento, e sovente alla carità di lei è conceduta la loro emendazione.

8,14: Fuggi, o mio Diletto: ec. Si potrebbe invece di fuggi, tradurre affrettati, ovvero corri con fretta, e con quella celerità, colla quale i caprioli e i cerbiatti corron saltando su' monti degli aromati, o sia monti di Bether cap. n. 7. 
E si usa il verbo fuggire in tal senso, perchè chi fugge, corre con massima celerità. Così non solo alcuni dei nostri Interpreti, ma anche taluno de' più dotti rabbini. Per la qual cosa secondo questa versione varii Interpreti suppongono che sia qui lo stesso senso già veduto e spiegato cap. II. 7., dove la Sposa dice: Ritorna: sii tu simile, o mio Diletto, al capriolo e al cerbiatto su' monti di Bether, e che perciò chiegga similmente adesso la Sposa il frequente ritorno di lui a darle consolazione, ed aiuto nella opportunità, nella tribolazione; e che questo aiuto a lei rechi con quella celerità, colla quale corrono i caprioli e i cerbiatti su' monti di Bether.

Ma i Padri generalmente, e dietro a questi i più dotti Interpreti combinando queste parole con quello che dallo Sposo fu detto qui innanzi, vider qui annunziato il mistero dell'Ascensione gloriosa di Cristo al Cielo. Ecco come questo senso fu espresso nella più volte citata parafrasi Caldea, l'autore della quale, come dicemmo, riportando quello ch'è detto negli altri capitoli alla Sinagoga e alla storia del popolo Ebreo,suppone che in questo capitolo, del Messia e de' suoi misteri si parli:
 

    Vattene, Diletto mio, Dominatore de' secoli, da questa immonda terra, e abiti la tua maestà negli altissimi cieli, e nel tempo della tribolazione, quando t'invocheremo, tu sarai simile al capriolo, il quale, in dormendo, un occhio tiene chiuso e uno aperto; e al cerbiatto, il quale mentre fugge, riguarda indietro. Si è adunque veduto, come lo Sposo avea renduta la vita alla Sposa sotto la Croce, dove le avea dimostrata una dilezione forte come la morte, e uno zelo inflessibile come l'inferno: le avea insegnato il modo di esser grata ad amore sì grande: Pommi come sigillo sopra il tuo cuore, come sigillo sopra il tuo braccio
Avea detto dipoi com'egli volea e ornarla, e fortificarla, e renderla superiore a tutt'i nemici, coi quali ella avea da combattere, e le avea insegnato a tenere con lui un perpetuo dolcissimo commercio mediante la orazione: Fa', che oda io la tua voce. 

Tutto ciò con viva, e cordiale riconoscenza avea udito la Sposa, e sentendosi incapace di lodare e benedire lo Sposo, e rendergli grazie per la sopraeminente sua carità, desiderosa di vederlo glorificato quanto egli merita per tutto quello, ch'egli ha fatto e patito per lei, trasportata da ardentissimo affetto gli dice: Fuggi, affrettati, corri velocemente colà, dove altri lodatori tu troverai più degni di te. Ascendi corteggiato dagli Angeli sopra de' cieli, e dopo di esser disceso con tanta bontà al mio picciolo orto, all'areola degli aromi (Cant. VI. I.), compiuta ormai l'opra grande, per cui scendesti, ritorna ai monti eccelsi della Gerusalemme celeste, monti degli aromati, dove il cantico nuovo, e l'o doroso sacrifizio delle loro laudi a te offriranno gli Angeli santi, e le anime glorificate condotte teco nel tuo trionfo. E cantino questi, che più di me ne son degni, le glorie dell'Agnello, e incessantemente ripetano; è degno l'Agnello, ch'è stato ucciso, di ricevere la virtù, e la divinità, e la sapienza, e la fortezza, e la gloria, e l'onore, e la benedizione, Apocal. v. 22. 

     Fuggi adunque, o mio Diletto, corri velocemente ad occupare il posto di onore meritato da te alla destra del Padre tuo, il quale, perchè tu se'stato obbediente fino alla morte, ti ha esaltato, e ti ha dato un nome ch'è sopra ogni nome, onde nel nome tuo ogni ginocchio si pieghi in cielo, in terra e nell'inferno. Tu di lassù manderai a me il tuo Spirito, il quale mi consoli di tua assenza, m'insegni tutto quello che io debbo fare per te e per la tua gloria, e mi aiuti per farlo: per me egli stesso preghi coi suoi gemiti inenarrabili, per bocca mia egli parli mentre io annunzierò la tua Fede a tutte le genti, e con me sia egli sempre fino a quel giorno grande, nel quale tolti di mezzo tutt' i nemici del tuo regno, tolta di mezzo la morte, io sia riunita interamente, ed eternamente con te nella tua stessa celeste Gerusalemme, e con tutt' i miei figli riscattati e glorificati nel Sangue tuo, io canti l'eterno Alleluje!.
---------------
Per il peccato dei progenitori cfr: http://www.donguidobortoluzzi.com/lopera-di-don-guido-bortoluzzi/




AMDG et DVM

NOVENA A SAN FRANCESCO SAVERIO

GRAZIA impossibile PROMESSA DA SAN FRANCESCO SAVERIO

Quanto segue è tratto da noi fedelmente da un opuscoletto del 1896, vi abbiamo aggiunto solo le immagini e la Nota (1).  Cliccare qui per scaricare in formato pdf.

A chiunque praticherà la seguente Novena detta “della Grazia”, alla quale si dà principio il 4 marzo e termine al 12° giorno consacrato alla solenne Canonizzazione di san Francesco Saverio, Apostolo del Nuovo Mondo (1)
I sommi Pontefici Alessandro VII e Clemente X concessero indulgenza plenaria per chiunque celebrerà questa Novena in una chiesa della Compagnia. Trovandosi però alcuno legittimamente impedito, potrà farla anche in tali giorni con atti particolari di pietà e con divoti esercizii, in altro loco. E’ concesso altresì che questa pia divozione, possa essere fatta in qualsiasi altro tempo dell’anno, specialmente durante la gravità di malattie ed incidenti, salvo pensando ispecialmente al bene delle anime e per la loro conversione, con sguardo benigno e solerte ai moribondi.
Sul finire dell’anno 1633, mentre il P. Marcello Mastrilli della Compagnia di Gesù si tratteneva nella sua chiesa in Napoli per regolare una festa che ivi si celebrava, cadde dalle mani di un apparatore un martello del peso di due libbre, e sgraziatamente lo colpi nella testa, e lo gittò a terra tutto intriso nel proprio sangue, e quasi morto. La gagliarda febbre successiva, l’ ammaccamento del cervello, le contrazioni dei nervi, il continuo vomito, ed altri sintomi fecero giudicare la ferita mortale; e però gli furono amministrati gli ultimi Sacramenti, attendendo ogni momento il suo spirare.
Intanto l’infermo col permesso del suo superiore aveva fatto voto a S. Francesco Saverio, di cui era sommamente divoto, che se gli ridonava la vita, egli l’avrebbe impiegata nella missione delle Indie e del Giappone; e tenendo l’immagine del Santo vicina al suo letto, con gran fiducia a lui si raccomandava. Inoltrandosi sempre più il male, si pose in istato di perfetta agonia. Ma non soffrì l’amoroso cuore del Saverio di vedere un suo divoto in sì deplorabile situazione senza soccorrerlo.
Ecco però che nella notte istessa visibilmente gli appare in abito di pellegrino con bordone in mano, e tutto risplendente di celeste luce: e salutato con soavità di paradiso l’infermo : Sta allegro, Marcello, gli disse, io ho accettato il voto da te fatto, e son venuto per consolarti. Poi gli soggiunse: Che cosa vorresti tu dal Paradiso? sappi che lassù io posso qualche cosa…
E dopo di avergli dati alcuni insegnamenti assai utili alla sua perfezione, lo assicurò — che tutti coloro, i quali incominciando dal 4 marzo fino al 12, avessero fatta una novena in suo onore, e, confessati e comunicati in uno di detti giorni, avessero implorato la sua intercessione presso Dio, avrebbero ottenuta la grazia richiesta, purché fosse conforme alla divina volontà. — Finalmente con piacevolissimo volto dicendogli: Alzati, che sei sano ; disparve.
Tutta questa visione la godè solo il P. Mastrilli, perchè gli altri, che erano presenti, vedevano bensì i gesti del moribondo, e ne udivano le parole, ma niente più intendevano; anzi alcuni immaginarono che fosse un devoto delirio. Ma ben presto si avvidero del prodigio; poiché il P. Marcello d’improvviso guardandosi intorno come venisse da un altro mondo, e tutto in un tempo alzandosi sul letto disse: — Io sono guarito: S. Francesco Saverio mi ha fatta la grazia.
Non è qui luogo da raccontare il giubilo dei religiosi della Compagnia, di tutta la città, e specialmente dei suoi parenti che erano della più cospicua nobiltà del regno. Benché di notte inoltrata, pure ne giunse loro l’avviso, e tutti corsero a vederlo, a rallegrarsi con lui, a dar lodi a Dio ed a S. Francesco Saverio. E tra le altre cose con grandissima consolazione e meraviglia sentirono raccontarsi la promessa del Santo per chiunque avesse fatto la surriferita novena.
Questa infatti s’incominciò a praticare subito in Napoli, ed i favori singolari, che furono ricevuti in quei giorni la resero ben presto si famosa, che si estese in ogni parte col frutto di stupende conversioni, di miracolose guarigioni e di grazie in ogni genere segnalatissime. E fu tanta la premura di praticarla in ogni ceto di persone, che in qualche città in pochi giorni nel 1826 vennero fatte e vendute tre assai copiose edizioni della medesima novena.
Da un tanto fatto chiaramente appare quanto sia grande lo zelo del Saverio per la salute delle anime, che anche dopo morte ha voluto impegnarsi a farci ogni sorta di bene, affin di rendere utile a tutto il mondo la gran potenza, che egli gode presso Dio.
Or qui dopo di aver accennato l’origine di questa novena (tratta dalle opere spirituali del P. Giovanni Croiset della Compagnia di Gesù) conviene avvertire, che per ottener la protezione dei Santi, e riportarne le grazie bramate, dobbiamo prima di tutto mondare l’ anima nostra dal maledetto peccato.
Devesi poi accendere il cuore di vero fervore unito ad una somma fiducia di conseguir quanto bramiamo; ma il principale oggetto delle nostre dimande sia: Che Dio venga conosciuto e ubbidito, e salvata l’anima nostra. — Se poi non ci vediamo esauditi tutte le volte in quelle particolari grazie di beni temporali che chiediamo, è segno manifesto che sarebbero a noi di grave nocumento: ed in tal caso Iddio per somma bontà ce le nega, dandone a noi delle più vantaggiose, e più confacenti ai nostri spirituali bisogni.
Per ottenere in fine le grazie che bramiamo  è assai giovevole imitare quel Santo, per cui mezzo le chiediamo a Dio, in quella virtù che più spiccò in esso: qual è certamente nel Saverio — La CARITÀ DEL PROSSIMO. — Imitate dunque questa sua carità in tutto quello che potrete, e specialmente nel recitare spesso la prodigiosa Orazione che compose il Santo e comincia come alla pag. 13: Eterno Iddio, creatore, ecc., unendovi con tanti altri a pregare il Santo Apostolo, qual Protettore delle Missioni, per la conversione di tutti i popoli infedeli, affinchè, congiunti nell’unità della Cattolica fede, formino un solo ovile e un solo Pastore.
Incominciamo dunque tale novena al 4 di marzo, e terminiamola al 12, giorno in cui solennemente il S. Apostolo fu dal papa Gregorio XV canonizzato e quindi esposto alla pubblica venerazione, con viva speranza di ottenere la grazia che chiederemo, od altra più preziosa, secondo che ce ne assicurano i Santi Agostino e Bernardo con altri molti, che il Signore ci darà quello che chiederemo, od altro favore a noi più utile.Aut dabit quod petimus, aut  quod noverit melius.
<<NOVENA DELLA GRAZIA. Da dirsi per nove giorni consecutivi, noi consigliamo sia detta sempre, fino all’esaudimento della istessa.
  • Amabilissimo ed amatissimo Santo, con voi riverentemente adoro la Divina Maestà; e perchè sommamente mi compiaccio degli specialissimi doni di grazia, che vi ha compartiti nel tempo di vostra vita, e di gloria dopo la vostra morte, le rendo affettuosissime grazie, e vi supplico con tutto il cuore ad impetrarmi con la vostra potentissima intercessione la grazia importantissima di vivere e morire santamente: vi supplico ad impetrarmi pure (qui chiederete quelle grazie spirituali e temporali che bramate); e se ciò che domando non è secondo la gloria di Dio e il bene maggiore dell’anima mia, voi impetratemi ciò che all’una e all’altra è più conforme. Così sia.
  • – Reciterete tre Pater, tre Ave e dieci Gloria Patri.>>
ORAZIONE composta e recitata dal Santo.
  • Eterno Iddio, creatore di tutte le cose, ricordatevi che voi solo creaste le anime degli infedeli e peccatori, e le faceste ad immagine e similitudine vostra. Mirate, o Signore, come si riempie di quelle l’inferno, e ricordatevi che il vostro Figliuolo Gesù Cristo sparse tutto il suo Sangue, e tanto patì per esse. Non permettete che il vostro Figliuolo e Signore nostro sia più lungamente sprezzato dagl’ infedeli e peccatori, ma anzi, placato dalle orazioni degli eletti e della Chiesa sposa del benedetto vostro Figliuolo, muovetevi a pietà, e dimenticando la loro idolatria, infedeltà e malizia, fate che conoscano anch’eglino Gesù Cristo, e di cuore l’amino, il quale è vita e resurrezione nostra; e per cui abbiamo libertà e ogni bene, e gliene sia lode per sempre. Amen.
  • Ora pro nobis, Sancte Francisce.
  • Ut digni efficiamur promissionibus Christi.
OREMUS.
Deus, qui beatum Franciscum Xaverium, Indiarum Apostolum, ut nomen tuum coram gentibus regibus que portaret, vas electionis efficere voluisti concede ut quem propagatorem gloriae tuae mirificum veneramur in terris, intercessorem salutis nostrae benefìcum mereamur in coelis. Per Christum Dominum nostri.
________________
Note
1) La Festa del Santo è al 3 dicembre quando il Santo morì nel 1552 dopo aver più volte ripetuto: “Gesù, figlio di Davide, abbi pietà di me! 0 Vergine, Madre di Dio, ricordati di me!“. Il Pontefice Paolo V beatificò il Saverio il 21-10-1619 e Gregorio XV lo canonizzò il 12-3-1622. Si calcola che il Santo missionario abbia conferito il battesimo a circa 30.000 pagani.
. Vogliamo ricordare anche la potente Novena a san Giuda Taddeo, cliccare qui.
                  AMDG et DVM

venerdì 28 febbraio 2020

Vita nei romitori


Collazione III - Della religiosa abitazione nei romitorj. 

Quelli che vogliono stare religiosamente nei romitorj, sieno tre o quattro al più. 

Due di essi facciano da madri, ed abbiano due figliuoli o almeno uno. 
Quei due tengano la vita di Marta, e gli altri due la vita di Maria Maddalena. 

Ma quelli che fanno la vita di Maria, abbiano un chiostro, e ciascuno abbia il suo luogo in guisa, che né dimorino, né dormano insieme. 

Dicano sempre Compietà di giorno, quando il sole tramonta. 
Abbian cura di osservare il silenzio e dicano le Ore loro. 

Si alzino a Mattutino, e cerchino in primo luogo il regno di Dio, e la sua giustizia (Mt 6,33)

Ad ora conveniente dicano Prima e Terza; e dopo Terza cessino il silenzio, e possano parlare, e andare alle loro madri, e quando lor piacerà, possano chiedere ad esse la limosina per amore del Signore Iddio, come poveri più bisognosi. 

Di poi dicano Sesta, Nona e Vespro al dovuto tempo. 

Nel chiostro, dove dimorano, non permettano che persona alcuna v'entri, neppure che alcuno vi mangi. 
Quei Frati, che fanno da madri, procurino di star lontani da ogni persona, affinchè niuno possa loro parlare. 
E cotesti figliuoli non parlino, con persona veruna, eccetto  che colle loro madri, e col lor Custode, quando a lui piacerà di visitargli colla benedizione di Dio. 

I figliuoli poi assumano talvolta l'officio di madri, come giudicheranno di dover disporre vicendevolmente secondo il tempo. Eglino pure si studino di osservare con diligenza e sollecitudine tutte le cose sopraddette.



MENTRE ABBIAMO TEMPO
OPERIAMO IL BENE
Dum tempus habemus operemur bonum 
(Galati 6, 10)

Cantico dei cantici - 7


Cantico dei cantici - 7

12345678

      
Ct 7
1Che è quello, che tu vedrai nella Sulamitide se non cori militari? Quanto belli sono i tuoi passi ne' (tuoi) calzari, o figlia di Principe! Le punture de' tuoi fianchi (son) come monili lavorati per mano d'artefice. 
2Le tue viscere (sono) un nappo fatto al torno, che non manca mai di bevanda. Il tuo ventre come un monte di frumento circondato da' gigli. 
3Le due tue mammelle come due teneri cavrioli gemelli. 
4Il tuo collo come torre d'avorio. Gli occhi tuoi come le peschiere di Hesebon, che sono alla porta di questa figlia popolosa. Il tuo naso come la torre del Libano, che guarda contro Damasco. 
5Il tuo capo come il Carmelo, e le chiome del tuo capo come la porpora del re legata nei canali. 
6Quanto bella se' tu, e quanto splendida nelle (tue) delizie, o carissima! 
7La tua statura è somigliante alla palma; e le tue mammelle ai grappoli. 
8Io dissi: Salirò sopra la palma, e coglierò i suoi frutti, e le tue mammelle saranno come grappoli della vite, e l'odore della tua bocca come l'odore di mele. 
9Le tue fauci come ottimo vino degno di esser bevuto dal mio Diletto, e delle labbra, e dei denti di lui per ruminarlo. 
10Io (sono) del mio Diletto, ed egli verso di me è rivolto. 
11Vieni, o mio Diletto, andiammo fuora alla campagna: facciam nostra dimora per le ville. 
12Al mattino alziamoci (per andare) alle vigne: veggiamo se la vigna è fiorita; se i fiori van partorendo i frutti: se i melagrani sono in fiore: ivi darò a te le mie mammelle. 
13Le mandragore spirano odore: nelle nostre porte (son) tutti i pomi: e i nuovi, e i vecchi a te, o mio Diletto, gli ho serbati.

Note:
7,1:Che è quello, che tu vedrai nella Sulamitide, se non cori militari? Queste parole nell'Ebreo vanno unite al capo precedente, onde continuano, e finiscono il ragionamento ivi incominciato; e contengono un elogio della convertita Sinagoga, nella quale dice lo Sposo, che non si vedranno se non cori di lieta gente, ma armata, cori di uomini, e di donne, che canteranno le lodi di Cristo, e sarannopreparati a combattere per lui. Questa Sulamitide, la quale prima odiava, e bestemmiava il nome di Gesù Cristo, odiava, e bestemmiava la sua Fede, amerà talmente il Cristo, amerà talmente la Fede abbracciata, che non saprà saziarsi di celebrare la carità di Cristo, e di tutto cuore bramerà di dare il sangue, e la vita per lui, e per la Fede.

Ma seguendo ancora la unione fatta nella nostra Volgata col nuovo ragionamento di questo capitolo, noi possiam dire, che Sulamitide sia chiamata quella non piccola porzione del Giudaismo, la quale fin da principio alla predicazione degli Apostoli si convertì, e formò la Chiesa di Gerusalemme madre di tutte le altre, e molte altre ancora nella Samaria, nella Galilea ec. Che era ella questa Sulamitide poco tempo innanzi? Serraglio di lioni, di tori, di unicorni, che circondarono il Cristo per isbranarlo, come dice egli stesso, Psalm. XXI. 13. ec. Ma abbracciata la Fede, uniti questi Ebrei cogli Apostoli, e coi discepoli del Salvatore, formarono tanti cori di gente, che altro quasi non facea, se non cantare inni di lode, e di ringraziamento al Salvatore, e combattere per la sua Fede, e patire le persecuzioni, ed ogni sorta di mali trattamenti dagl'increduli, e furiosi loro fratelli, come e dagli atti degli Apostoli, e dalla lettera agli Ebrei apparisce. Vedi Atti VIII. I., XXIII. 50. ec. Heb. X. e 32. ec., I. Thessal. II. 14. 15.

Quanto belli sono i tuoi passi ec. Per li passi intendonsi i piedi, ovver l'andatura della Sposa: perocchè secondo la parola dello Spirito santo la maniera di camminare annunzia l'essere dell'uomo, Eccl. XIX. 27. Onde ella è qui detta figlia di principe, cui si conviene colla modestia il decoro, e la gravità. Queste parole pertanto da' Padri generalmente s'intendono della Chiesa degli Apostoli, e de' Discepoli di Cristo, de' quali disse già Isaia secondo la versione dell'Apostolo; quanto sono belli i piedi di quelli, che evangelizzano novella di pace, novella di felicità! Rom. X. 15., Isai. LII. 7. 

Nahum, I. 15. Di questi profeticamente è qui pur celebrata dallo Spirito Santo la bella andatura, e i piedi ornati di bei cal zari. Figlia di Re è detta la Chiesa di Cristo anche in quel salmo, che è, come già dicemmo, quasi lo sbozzo del quadro, e il modello dell'edificio finito, e compiuto da Salomone in questo suo libro: perocchè ivi pure furon celebrate da Davidde le nozze di questa medesima Sposa detta figlia di Re e di Principe, perchè del Re dei Regi ella è non solamente sposa, ma anche figlia. Vedi Psalm. XLIV. 13. 

L'andatura, e i passi di questa sposa sono qui lodati altamente, perchè per essi sono significati i movimenti della carità, e dello zelo per la gloria di Cristo, e per la salute delle anime, zelo dimostrato dagli Apostoli, e da' Discepoli del Signore nel correre per ogni parte a istruire, a esortare, a correggere, a convertire le anime. Questi passi adunque, e questa costante andatura della Sposa piacciono grandemente allo Sposo, amante sì tenero delle anime, e perciò dicesi, che i piedi, strumento di questi passi sono adorni di be' calzari. 
Di questi calzari fa menzione anche Paolo, Ephes. VI. 15., dove dice: calzati i piedi in preparazione al Vangelo di pace, e, vuol significare, che ottima preparazione a predicare il vangelo si è l'avere ben composti gli affetti, e ornati, e difesi mediante la umiltà, e la povertà di spirito, per cui quelli, che annunziano agli uomini la pace di Dio, pace abbiano in loro stessi, avendo mortificata la carne, e resa obbediente allo spirito, come lo spirito a Dio. Tali sono i calzari di questa figlia di Re.

Le giunture de' tuoi fianchi (son) come monili ec. Con vien osservare, che si ha in queste parole una tacita allusione alla lotta di Giacobbe coll'Angelo, allorchè questi vedendo, che non potea superare Giacobbe, toccò il nerbo del fianco di lui, ed egli zoppicava del piede, Gen. XXXII. 25..31 Fu questo un fatto profetico significante quello, che dovea avvenire ai posteri di Giacobbe, i quali avrebbono zoppicato nel culto del vero Dio, e doveano meritare perciò l'aspro rimprovero di Elia: fino a quando zoppicate voi da due lati? Se il Signore è Dio tenete da lui. Se poi lo è Baal, seguite lui, 3. Reg. XVIII. 21. Vedi anche S. Agostino Serm. LXXX. de Temp. Ma qui della Chiesa si dice: non solo i tuoi passi sono belli, o figlia di principe, ma anche i nervi che servono a camminare sono forti, e le giunture dei nervi, e delle ossa de' tuoi fianchi sono talmente stabili, che non è timore, che tu venghi giammai a zoppicare nella buona dottrina, e nelle purissime regole de' costumi. Conciossiachè queste giunture dei fianchi tuoi sono come bel monile di vari pezzi formato, uniti, e connessi con molta arte per mano di peritissimo artefice. Per la qual cosa è qui encomiata la robustezza de' fianchi, come quella, che serve alla Sposa per camminare dirittamente, serbando intiera la fede, e immacolata la vita. S. Girolamo nella lettera XXII. ad Eustoch. accenna un'altra sposizione tenuta anche da alcuni de' nostri Interpreti, secondo la quale verrebbe qui indicata la mirabile fecondità della Chiesa di Cristo, fecondità, ond'ella è ornata quasi di prezioso monile fatto per mano d'insigne artefice, perchè questa fecondità è dono di lui, il quale alla sterile diè moltissimi figli, e la sterile fa, che abiti nella casa, lieta madre di figli, Psalmn. CXII. 8.

7,2:Le tue viscere (sono) un nappo ec. La voce latina umbilicus è usata nel senso, secondo il quale l'abbiam tradotta, Proverb. III. 8., e la voce Ebrea corrispondente ha lo stesso preciso significato. La fecondità della Sposa accennata forse (come dicemmo) qui innanzi, è adombrata adesso colla similitudine del nappo, che non manca mai di bevanda; perocchè con simil figura la propagazione de' figliuoli anche in altri luoghi delle Scritture è significata, Prov. v. 15. 16., IX. 17., Eccl. XXVI. 5. 

Onde dove la nostra Volgata dice, che questo nappo non manca mai di bevanda, una versione Latina assai celebre porta: non è mai senza fecondità. E la stessa fecondità congiunta colla candidissima purità è significata nel monte di frumento circondato da' gigli. Il nappo adunque fatto al tornio, nel quale perciò nulla di superfluo, nulla che sia fuor di regola può osservarsi, dinota la parola di verità, la parola dell'Evangelio, alla quale nulla può aggiungersi, nè levarsi, per la quale la Sposa generò e genererà sino alla fine de' secoli de' figli spirituali al suo sposo: donde quelle parole di Paolo: in Cristo Gesù per mezzo dell'Evangelio io vi generai, 1. Cor. IV. 15.; e altrove: ci generò per la parola di verità, affinchè siamo quai primizie delle sue creature, Jacob, 1. 18. Ad esprimere questa grande fecondità della Sposa si aggiunge che il seno di lei è un monte di frumento, d'innumerabili granelli composto, i quali formano insieme un tutto assai grande. 

Quindi nelle Scritture la stessa Chiesa è rappresentata talora come madre di moltitudine grande di figli, talora poi si dice, che partorisce un solo figlio ma schio (Isai. LXVI. 7., Apocal. XII. 2. 5.), e con questo è significata la unione di tutti i figli della Chiesa in un medesimo corpo. Ma questo nonte di frumento è circondato dai gigli, e con ciò ogni idea di carnale generazio ne si esclude, e il candore, e la fragranza di questo fiore preso dallo Sposo per suo proprio simbolo (Cant. II. I.) ci dipinge ancora la perfetta continenza de' ministri evangelici, degli amici, e cooperatori dello Sposo, i quali quanto più da ogni pensiero, e da ogni cura terrena son liberi, tanto più sono idonei a propagare il regno di Cristo. 
Questa prodigiosa fecondità della Chiesa, specialmente della Chiesa de' primi tempi fu con sensi di altissimo stupore predetta ne' Profeti che venner dappoi, come è profetizzata in questo luogo da Salomone; ed è la Chiesa delle nazioni, ella è la nuova Sionne quella, di cui si annunzia la incredibile, e quasi istantanea propa gazione. Non sarà egli detto riguardo a Sionne: uomini, e uomini in lei sono nati, e lo stesso Altissimo è quegli, che l'ha fondata? Psalm. LXXXVI. 5. 

Ecco come dopo Davidde ne parla Isaia: rallegrati, o sterile, che non partorisci, canta inni di laude, e di gioia tu, che non eri feconda: perocchè molti più sono i figliuoli dell'abban donata, che di colei, che avea marito. Prendi più am pio sito per le tue tende, e dilata senza risparmio le pelli de' tuoi padiglioni; perocchè tu ti farai largo a destra e a sinistra, Isai. Liv. 1. 2. 3. E con quanta celerità moltiplicassero i figli di lei, ecco come lo esprime con vivissimi colori lo stesso Profeta: prima d'aver le doglie ella ha partorito, prima del tempo di partorire ella ha partorito un maschio. 

Chi udi mai cosa tale? E chi vide cosa simile a questa o La terra partorisce ella in un giorno ovvero è egli partorito un popolo tutto insieme? Ma Sionne si senti gravida, e partori i suoi figli, Isai. LXV.7.8. Quindi la Chiesa delle nazioni non sarà più detta la ripudiata, e la terra di lei non sarà detta la desolata, ma ella sara detta l'amata da Dio, e la sua terra sarà detta la popolata, e come il gaudio dello Sposo e della Sposa, così ella sarà il gaudio del suo Dio, Isai. LXII. 4.5 

Ho voluto riunire almeno in parte i grandiosi oracoli d'Isaia su tal proposito, affinchè veggasi come lo spirito del Signore unico insieme, e multiforme (Sap. VII. 22), gli stessi misteri in diverse guise per le diverse bocche annunzia, e conferma. Questa fecondità della Sposa non fu un dono passeggero, ma stabile, e permanente, e sino alla fine de' secoli ella non cesserà giammai di ampliare il regno di Cristo. La Sinagoga cadde nella sterilità, le sette, che si divisero dalla vera Chiesa, crebbero un tempo, e periron di poi, e appena ne resta il nome; e lo stesso avverrà di quelle, le quali negli ultimi tempi strapparon dal seno di lei molti e molti figli. Ella però non solamente sussiste, ma le perdite fatte in una parte del mondo ripara cogli acquisti continui, che fa in altre parti, dove per lei il nome di Cristo risuona, e trionfa la Fede.

7,3:Le due tue mammelle come due teneri caprioli gemelli. Vedi cap. IV. 5.

7,4:Il tuo collo come torre d'avorio. Vedi cap. IV. 4.

Gli occhi tuoi come le peschiere di Hesebon, che sono alla porta di questa figlia popolosa. Quelle parole della Volgata filiae multitudinis ho creduto doversi riferire piuttosto alla città di Hesebon, che alla porta di essa città. Ella è poi cosa frequente nel linguaggio degli Ebrei il dare il none di figlie alle città; così figlia di Gerusalemme vale Gerusalemme, e figlia popolosa di Hesebon vale Hesebon la popolosa, piena di gente: che tale dovea essere in que' tempi. Non abbiam verun lume nelle Scritture intorno a queste peschiere di Hesebon, e solamente leggiamo nell'Ecclesiaste, che Salomone dice di sè: mi formai delle peschiere di acque per annaffiare la selva de' giovani arboscelli, Eccl. II. 6. Ma non possiam dire, se ne facesse in Hesebon, città una volta dei Moabiti, parecchie miglia di là dal Giordano. Ma da questo luogo sufficientemente s'intende, che doveano essere molto celebri queste peschiere. 

Dice adunque lo Sposo: io paragono la chiarezza, e vivacità degli occhi tuoi, o mia Diletta, alle cristalline limpidissime acque delle peschiere, che sono in Hesebon presso alla porta di quella popolosa città. Si è altrove accennato come nell'Ebreo una stessa voce significa l'occhio, e la fonte; le acque poi nelle scritture sono sovente simbolo della vera sapienza, di quella sapienza, che viene da Dio, e della scienza speculativa e pratica della salute. Sono adunque lodati gli occhi della Sposa, come quelli, a' quali è stata data perspicacia, e acutezza grande per penetrare nella cognizione de' misteri divini, e nella cognizione della celeste dottrina, di cui ella è piena, come le peschiere di Hesebon sono ripiene delle loro salubri chiarissime acque. Per la qual cosa come queste servivano a dissetare, e refocillare il numeroso popolo di quella città; così le mistiche acque, delle quali per dono del suo Sposo è ricca la Chiesa, saranno per l'immenso stuolo de' figli di lei come fonte di acqua viva, che in essi zampillerà fino alla vita eterna, Joan. IV. 14. 
     La perspicacia degli occhi, e la chiara, e distinta intelligenza di tutto quello che è vero, di tutto quello che è santo, di tutto quello, che è utile per la salute, rende sicura da ogni errore la Chiesa ne' suoi giudizi qualunque volta si tratti o de' principi della Fede, ovver delle regole de' costumi cristiani. Perocchè gli occhi di lei nè da nebbia d'ignoranza, nè da torbida, e caliginosa passione potranno essere appannati giammai, e le sue determinazioni avranno sempre il sigillo di quello spirito di sapienza, e di verità, il quale secondo la promessa di Cristo con lei si sta, la unzione del quale di tutte le cose la istruisce, Joan. II. 27.
     Il Caldeo, e molti ancora de' nostri interpreti applicano queste parole a' Prelati, e Pastori della Chiesa, i quali sono come gli occhi di lei, ed i quali a somiglianza delle peschiere di Hesebon, debbono essere ripieni delle acque pure della scienza di Dio attinta dalla fonte inesausta delle divine Scritture, affinchè possano abbeverarne le pecorelle, e come eletti da Dio a essere luce degli altri, colla dottrina glorifichino il Signore, Isai. XXIV. 15.
Il tuo naso come la torre del Libano, ec. Questa torre dovea essere stata fabbricata (forse da Salomone) in quelluogo, per quindi scoprire i movimenti de' Soriani soliti a fare delle scorrerie nella Giudea per bottinare: perocchè il Libano, monte altissimo, era confine della Giudea dalla parte di Damasco. Ciò supposto vedesi quello, che voglia significarsi quando a questa torre paragonasi il naso della Sposa: vuole cioè esaltarsi l'altissima sua prudenza, e discrezione. A questa virtù tralle cardinali si dà il primato, come quella, che alle altre prescrive i mezzi, e i confini, fuori de' quali non sarebbon virtù. Così adunque la Sposa per mezzo della prudenza quasi da luogo elevato mira tutte le cose, che sono da farsi, e da fuggirsi, e veglia a discoprire le trame, e le insidie dei suoi nemici; perocchè, come notò s. Gregorio, alla prudenza de' giusti si applica quello, che del cavallo sta scritto in Giobbe: sente da lungi l'odore della battaglia, Job, XXXIX.25 
Due parti principalissime della prudenza sono qui specialmente indicate, voglio dire la previdenza, con cui gl'imminenti mali da lungi prevedonsi per ischivarli, e la discrezione, per cui la virtù dal vizio, la ispirazione di Dio dalle suggestioni del demonio, lo spirito di carità dallo spirito di amor proprio distinguesi. 
Per ragione di questi doni conferiti alla Sposa da Cristo, il naso, cioè la prudenza di lei è paragonata a quella torre, che guardava dal Libano contro Damasco, ed era la quiete e la sicurezza della Giudea. Questa virtù è necessarissima a tutti quelli, i quali sono posti come sentinelle a custodia della casa di Dio, e del popolo del Signore, a' quali si appartiene di vegliare, e avvertire, e alzar la voce ne' pericoli, affinchè non abbiano essi a render conto de' mali, che soffrir potrebbe lo stesso popolo per la loro disattenzione e negligenza. Vedi Ezech. XXIII. 2. 3. 4. ec.

7,5:Il tuo capo come il Carmelo. Il capo della Chiesa è Cristo, come si è detto altre volte secondo la parola di Paolo, che dice, che il padre costitui lui capo sopra tutta la Chiesa, che è il corpo di lui, e il complemento di lui, Ephes. I. 22. Questo capo è molto bene paragonato al Carmelo, monte eccelso, amenissimo, feracissimo, onde una terra ripiena di ogni bene è significata nelle Scritture col dire, ch'ella è un Carmelo. V'introdussi nella terra del Carmelo, affinchè mangiaste i frutti di essa, e le sue delizie, Jerem. II. 7.; e in Isaia: il Carmelo diventerà un bosco: per dire, che la Giudea, paese tanto privilegiato da Dio pell'avanti, diverrebbe un paese orrido, secco, e privo d'ogni buon frutto, XXIX. 27. 

E non è necessario certamente dopo quello, che in altri luoghi si è veduto, di dimostrare come in questo mistico Carmelo, in questo capo divino più eccelso de' cieli istessi si riuniscono tutte le grandezze, tutte le grazie, e tutti i doni, de' quali egli è fonte perenne, e de' quali con gran liberalità arricchisce egli la Sposa. Le chiome del tuo capo come la porpora del Re legata nei canali. Nella traduzione di questo luogo ho seguito il senso, che mi è paruto il più naturale secondo la nostra Volgata, il qual senso è stato ancora tenuto in una versione Latina rammentata altre volte. 

La porpora era il colore dei re, come è notissimo. Ma dicendosi come la porpora legata ne' canali (de' tintori), sembra volersi in tendere un color porporino vivissimo, quale è quel della porpora non ancor portata, ma tenuta per del tempo ne' canali de' tintori, dove se le davano fino a due tinte, e allora chiamavasi dibapha. Si è detto altrove (iv. 1.), che i capelli, e le chiome del capo della Sposa sono i fedeli, i quali cingono questo capo divino, e questi sono tinti del Sangue di Cristo loro Re, del qual sangue la virtù è ad essi comunicata ne' Sacramenti della Chiesa, e particolarmente nel santo battesimo, dov' ei gli stessi fedeli lava, e monda da' loro peccati nel sangue suo, come dice l'Apostolo. Alcuni Interpreti per questi capelli rassomigliati alla porpora reale più bella, e splendida, e di vivacissimo colore, inteser significati gli Apostoli, i Discepoli di Cristo, e i cristiani della primitiva Chiesa, ne' quali fugran demente acceso il fervore della carità; e di poi tutti quegli uomini perfetti, i quali imitando gli Apostoli sì nel distaccamento dalle cose terrene, e sì ancora nel procurare con vero zelo la salute delle anime, una strettissima, e fortissima unione conservano con questo loro capo, onde più da vicino lo seguono, e a lui si assomigliano.

7,6:Quanto bella se' tu, ec. Quanto bella se' tu, o mia Sposa diletta, e quanto splendida nelle virtù, e nelle operazioni sante, le quali sono la tua delizia! Con questa esclamazione concludesi l'elogio tessuto fin qui delle membra della Sposa; ed è veramente questo un nuovo grandioso elogio di lei quando si dice, che ella non solo è bella, e splendida grandemente per le virtù, di cui è ripiena, ma che queste virtù ancora sono sua delizia, e suo gaudio, come sono la sua gloria. Egli è certamente vero che non si dà, nè può aversi sopra la terra delizia, e dilettazione maggiore, nè più soave di quella della buona coscienza, e di avere cercato in tutte le cose di piacere allo Sposo delle anime; dilettazione, la quale altrove da Salomone istesso fu paragonata alla letizia di perpetuo convito, Prov. XV.15 in questa sola poneva il suo vanto l'Apostolo dicendo: Questo è il nostro vanto, la testimonianza della nostra coscienza, dell'esserci noi diportati con semplicità di cuore, e colla sincerità di Dio, e non colla saviezza della carne, ma colla grazia di Dio in questo mondo, II. Cor. I. 12. Nè queste delizie sono tolte alla Sposa dalle afflizioni, e tribolazioni, per cui dee passare nel tempo di questa vita; che anzi delle tribolazioni stesse si gloria, e lungi dal contristarsene conformandosi alla volontà, e agli esempi dello Sposo, e sa pendo quali sieno i preziosi frutti della pazienza, ha come argomento di vero gaudio le varie tentazioni, colle quali è provata, ed esercitata a suo gran pro; e dall'altro canto ella conosce, come sa lo Sposo e temperare il fervore della tentazione, e aspergere colle spirituali con solazioni i patimenti sofferti per amore di lui.

7,7:La tua statura è somigliante alla palma. È proprietà della palma il crescere a grande altezza, dirittamente, e di dilatarsi nella cima quanto più si alza, senza però ingrossarsi nel tronco, o fusto, più di quello, che era da principio. Rassomigliandosi adunque la statura della Sposa alla palma, viene a indicarsi il suo progresso nella virtù fino alla più sublime perfezione. Possiamo perciò con s. Gregorio Nisseno intendere predetto in queste parole il meraviglioso avanzamento di lei dopo la venuta dello Spirito santo sopra gli Apostoli, e sopra tutta la schiera de' Discepoli del Salvatore, nel qual tempo la Chiesa ricevette la pienezza delle grazie celesti, e giunse al supremo grado della perfezione Evangelica, perfezione, di cui abbiamo il bel ritratto negli atti Apostolici. 

Da indi in poi questa bellissima palma non crebbe nella grossezza del tronco, perocchè nissuna santità fu in appresso maggiore di quella degli Apostoli, e degli uomini apostolici, ma crebbe nella estensione, e ampliazione de' suoi rami, e de' suoi frutti; conciossiachè dilatata con progressi continui, e grandi tralle nazioni, ebbe in ogni parte grandissimo numero di uomini insigni per la loro virtù, che imitarono, ma non sorpassarono gli Apostoli.

E le tue mammelle a' grappoli. Qualche Rabbino segui tato da alcuni de' nostri Interpreti credette, che questi grappoli fossero le picce de' dattili, o sia quegl'involti, ne' quali sono contenuti i dattili, ed i quali hanno somiglianza co'grappoli dell'uva. Ma la opinione più comune, e più vera si è d'intendere veri grappoli della vite, e parmi, che il versetto seguente ne sia una prova indubitata; e si arroge, che come tra noi agli olmi, a' pioppi, ec., così nella Palestina alle palme si legano, e (secondo l'usata maniera di favellare) si maritano le viti, don de viene a intendersi per qual motivo e relazione si uni scano in questo luogo alla palma i grappoli dell'uva. Ma venendo al nostro testo la particella congiuntiva può qui pure prendersi per causale, e siccome dicemmo altrove, che le mammelle della Sposa sono la doppia carità, quindi è, che il senso viene ad esser questo: la tua statura è simile a quella di una bellissima, e altissima palma; tu se' pervenuta all'altezza somma della perfezione, perchè il tuo petto simile a' grappoli della vite è pieno del vino di soavissima, e perfettissima carità. Imperocchè, come fu detto più volte da s. Agostino, la misura della virtù ella è la misura della carità.

7,8:Io dissi: salirò sopra la palma, ec. Due sensi ponno avere queste parole, prese sempre come parole dello Sposo. In primo luogo nella stessa guisa, che vedemmo lo Sposo (cap. v. 2.) scendere nel suo orto a raccoglierne i frutti, e di questi pascersi, e deliziarsi, perchè egli de' beni, e delle virtùdi delle anime grandemente dilettasi; così in questo luogo dice, che sopra la palma (cui paragonò la Diletta) ascenderà egli, portandole colla sua visita nuovo augumento di grazia, e di virtù, e ne coglierà i frutti, e ne farà crescere de' nuovi; perocchè tale è il fine delle visite di lui. 

Quindi ne avverrà, che la doppia carità sia nel petto di lei, come il sugo dolce, ed esilarante dell'uve, e il suo parlare sarà odoroso, cioè edificante, salubre ai prossimi, e di gloria a Dio, perchè il cuore avendo pieno d'amore, dell'abbondanza di esso parlerà la sua lingua, come chi avendo mangiato mele odorose, spira col fiato lo stesso odore. Ma secondo il comune sentimento de' Padri la palma in questo versetto è figura della croce di Cristo: e vaglia per tutti s. Cipriano, che dice: Salisti tu, o Signore, sopra la palma, perchè quel legno della tua Croce presagiva, che tu avresti trionfato del demonio, e de' principati, e delle potestà, e delle spirituali nequizie. 

Dove adunque nel precedente versetto la palma figurava la somma perfezione della Sposa, in questo luogo ella viene a significare il principio, e la sorgente della stessa perfezione di lei, e di ogni suo bene, cioè la croce di Cristo. Con molta grazia lo Sposo dopo aver celebrata la statura della sua Diletta, comparandola a un'altissima palma, la invita a ricordarsi di quell'altra palma, sulla quale egli salì per gran bene della medesima Sposa: io dissi: io mi determinai secondo li eterni decreti del Padre mio di salire sopra la Croce per cogliere i frutti di essa. Di questi il primo si fu la vittoria contro il comune nemico,vittoria predetta da lui quando disse: Adesso si fa giudizio del mondo, adesso il principe di questo mondo sarà cacciato fuora, Jo. XII. 30. il secondo fu pur predetto da lui medesimo, allorchè disse: quand' io sarò levato da terra trarrò tutto a me, Joan. XII. 32.; e più apertamente era stato già annunziato da Isaia, che disse: se egli darà l'anima sua ostia per lo peccato, vedrà una discendenza di lunga durata...,, darò a lui per sua porzione una gran moltitudine, Isai. LIII.10.12. 

Finalmente questi frutti sono tutti i beni spirituali, de' quali è debitrice a Gesù crocifisso la Sposa, quali sono la remissione de' peccati, le benedizioni celesti, e particolarmente la carità di Dio difusa ne' cuori de' Fedeli per lo Spirito santo, che ad essi fu dato. Questi frutti egli colse, e ne arricchì la sua sposa, onde il petto di lei fu come i grappoli della vite ripieno di soavissimo liquore, cioè di zelo della gloria dello Sposo, e della salute delle anime, e soave fragranza spirò la bocca di lei nelle parole di vita per l'edificazio ne della Fede, e per confortare le anime nella vera pietà. Vedi Ephes. v. 29.

7,9:Le tue fauci come ottimo vino ec. La voce guttur è posta più volte nelle Scritture come strumento dell'orazione, che a Dio si fa colla voce, Ps. CXLIX. 6. Pro. VIII. 7. Ma la orazione, che si fa colla voce non è per fetta, se non è accompagnata dalla orazione della mente, e del cuore; e tale qui si dimostra essere la orazione della Sposa. Imperocchè di essa dicesi, che è ottimo vino, il quale colla sua gagliardia, odore, e sapore esilara, conforta, nutrisce tutto l'uomo interiore, lo conferma nel bene, e accende in lui sempre più il desiderio delle cose celesti.

Degno di esser bevuto dal mio Diletto, ec. Diletto, e amico dello Sposo è ogni giusto; perocchè suppongo col la massima parte degl'Interpreti, che queste ancora sieno parole dello Sposo, quantunque siavi chi ha voluto darle alla Sposa, e (per quanto mi sembra) con poca ragione. Ma amici carissimi dello Sposo sono i giusti, i quali a lui, e al suo mistico Corpo stanno uniti, mediante la fede viva operante per la carità. Per questi è fatto il vino ottimo della buona e perfetta orazione, onde ad essi ure fu detto: bevete, e inebriatevi, o carissimi, cap. V.1. erocchè essi sanno in qual maniera debba beversi questo vino, affin di gustarne la meravigliosa soavità, e goderne i grandissimi effetti: sanno che questo vino è fatto non tanto per beversi, quanto per gustarsi, e assaporarsi col le labbra, e per ruminarsi eziandio, e quasi masticarsi co' denti. Imperocchè se è vero che è necessario di orar sempre, egli è anche vero esser necessario, che sia sempre nel cospetto di Dio la meditazione del nostro cuore, Ps. XVIII. 15. 
Vuole adunque insegnare lo Sposo e quale sia per l'anima la virtù e la forza della orazione, e come perchè ella sia veramente utile fa di mestieri, che e nell'orazione medesima, e dopo di essa posatamente si considerino le verità, che alla mente si presentarono, affine di ben ruminarle, e trarne nuovo gusto, e nuovo sapore, e nuovi lumi per avanzare nelle vie dello spirito. Tale sia la maniera di orare di tutti i fedeli: sia tale particolarmente la pratica di que' ministri della Chiesa, i quali per la condizione, e obbligazione dello stato loro son destinati ad essere quasi le fauci, e la bocca di lei nella pubblica orazione; sia la loro orazione ottimo vino degno dell'approvazione dello Sposo, e utile a confortare e nudrirè la loro pietà, e quella ancora del popolo.

7,10:Io (sono) del mio Diletto, ed egli ec. Anche in questo luogo la particella di congiunzione si suppone posta per la causale, onde può tradursi: io sono del mio Diletto, perchè egli verso di me è rivolto. Imperocchè la Sposa umile, e riconoscente a tutte le lodi datele dal suo Diletto risponde col protestare, che ella è tutta del suo Sposo, opera di lui, fattura di lui, creatura di lui, perchè egli a lei rivolse benignamente i suoi sguardi, e la fece quello, che ella è. Si rivolse il Diletto verso questa sua Sposa, allorchè assunta l'umana carne per lei diede tutto se stesso: e che non diede egli a lei quando diede tutto se stesso?
Si rivolse ancora a lei quando prima d'andare alla morte, istituì il Sacramento del Corpo, e del Sangue suo, nel qual Sacramento si dette, per così dire, in potesta della Sposa, talmente che obbedendo egli alla voce di lei, dal cielo venga a nascondersi sotto le specie del pane, e del vino, in qualunque parte della terra da' legittimi Ministri della Chiesa si celebrino i Sacrosanti Misteri: la sciando alla stessa Chiesa l'autorita di offerire ogni giorno al Padre lui stesso in sacrifizio di espiazione, e di rendi mento di grazie.
Rivolgesi continuamente verso la stessa Sposa ad esaudire le sue preghiere, a consolarla nelle afflizioni, a soccorrerla ne' pericoli; perocchè l'amore, che egli ha per lei fa sì, che non solo alle voci di lei prontamente risponda, ma i desiderii stessi di lei prevenga, aiutatore fedele nelle opportunità, nelle tribolazioni.

7,11-12:Vieni, o mio Diletto, ec. Avea detto la Sposa, che ella è tutta del suo Diletto. Or ella dà quiuna bella prova dell'amore, che ha per lui, dice Teodoreto, mentre non vuole essere ella sola a godere di sì gran bene, e per questo gli dice: Vieni... andianne ec. Ma osservisi, che quest' invito fa ella allo Sposo dopo che dallo Sposo stesso fu invitata: Sorgi, affrettati amica mia ec. cap. II.10 Imperocchè l'onore di servire Dio nella santificazione dell'anime nissuno da se stesso sel prende, ma chi è chiamato da Dio, Heb. v. 4. Tu (dice la Sposa) mi ordinasti di venire, e di uscir fuora; ma vieni tu meco, perchè quegli se' tu, che dai la parola a coloro, che annunziano con virtù grande la buona novella, Ps. LXVII. 12. 
Vieni adunque, andianne fuora alla campagna, perocchè quantunque difficile, pericoloso, terribile sia il ministero, io non temerò di mia debolezza mentre sii tu con me, tu che allo stanco dai gagliardia, e a que' che non sono dai fortezza, e valore, Isai. XL. 29. La campagna dove ella brama di andare collo Sposo elta è il mondo, Matt. XXIII. 32; ed ella sa come è volere dello Sposo, che in tutta questa campagna la divina parola sia seminata. Andate pel mondo tutto predicando il Vangelo, Marc. XVI. 16.: vale a dire, andate per la incolta steril campagna piena di bronchi, e di spine, e di fiere piena ancora, e di dragoni, anzi che di uomini. 
Ma lo Sposo promise, e disse per Isaia: Daranno gloria a me le be stie salvatiche, i dragoni, e gli struzzoli, perchè ho fatto scaturire acqua nel deserto, e fiumi nella terra disabitata. Isai. XLIII.20. Brama adunque la Sposa, che tutti gli uomini in qualunque parte della terra odano la voce della predicazione, obbediscano alla Fede ed abbiano salute: Facciamo nostra dimora per le ville. A questo parlare della Sposa ben riconoscesi lo spirito del suo Sposo e maestro, il quale ebbe per segno caratteristico di sua missione la predilezione verso de' poveri, e la cura particolare d'istruirli: Mandommi lo Spirito del Signore, ad annunziare il Vangelo a' poveri, Isai. LXI. 1. A' poveri si annunzia il Vangelo, Matt. X. 15. 
Vuole adunque la Sposa a imitazione di lui occuparsi a istruire per le ville la gente rozza, e incolta, ignorante insieme e semplice. Esempio grande pe' ministri di Cristo,e della Sposa, affinchè dovunque la divina vocazione li guidi, distinzione non facciano tra anima, ed anima; ma sapendo, che il piccolo e il grande sono fattura di Dio, e che ciascuna di queste anime lo stesso prezzo costò a Cristo, con sincerità, come nel cospetto di Dio, cerchino il bene di tutte, e non la propria loro gloria.

Al mattino alziamoci (per andare) ec. Al mattino, alla punta del giorno noi visiteremo le vigne, cioè le anime, ovver le Chiese particolari coltivate da noi, e vedremo se questa e quella vigna fiorisce, per ajutarla al bisogno a fiorire. Or egli è qui dimostrato come la sollecitudine del pastore delle anime non è ristretta al solo fine di ridurle dallo stato del peccato allo stato di grazia, ma si estende ancora a procurare, che fioriscano nelle virtù; e molto bene dice la Sposa: Se la vigna nostra fiorisce, quantunque veramente la vigna sia dello Sposo, perchè i veri ministri di Cristo fanno proprio loro bene il bene delle anime, e la gloria dello Sposo. Egli è pur da notare come sono con molta grazia, ed eleganza notati li tra gradi, o ordini di persone, delle quali ad ogni vignaiuolo spirituale è commessa la cura. Perocchè dicendo: se la vigna è in fiore, indicò lo stato di quelli, che a battere le vie di Dio incominciano, onde in essi i fiori appariscono, che sono i buoni desideri, e i piccoli atti di virtù, i quali e danno buono odore, e speranza di frutto migliore. I fiori, che allegano, e partoriscono frutti rappresentano le anime, che si avanzano nella virtù, e non senza stento, e fatica portano sodi frutti, riducendo ad effetto i buoni desideri; e finalmente quando del fiorire de' melagrani si parla, vuolsi additare lo stato de' perfetti: perocchè pel fiore delle melagrane intendesi quella quasi corona, che hanno in cima a guisa di fiore; per la qual cosa un'antica versione Greca traduce: Se le melagrane si sono aperte, lo che succede quando sono mature, e nella loro pienezza. Abbiam poi veduto altre volte come la melagrana è simbolo de' frutti della vita perfetta, nella quale tutte le virtù con bell'ordine sono disposte, e sotto dura corteccia una dolcezza nascondesi sommamente grata allo Sposo. La vigna, e i melagrani, che son già in fiore, tolta qualche esterna cagion contra ria, danno costantemente i loro frutti; ma la mistica vigna, cioè l'uomo, benchè prevenuta dalla grazia e colti vata con ogni attenzione dalla carità del vignaiuolo, per effetto del proprio libero arbitrio inclinato al male, puo non sol rimanere senza buon frutto, ma ancora produr delle spine in vece di fiori, e lambrusche in vece di buo ne uve; e questo timore tien sospeso, e in pena il vignaiuolo, e questo timore è ben dipinto con questa maniera di parlare: vediamo se la vigna è fiorita, se i for van partorendo i frutti ec.
Ivi darò a te le mie mammelle. Ivi le mie mammelle piene di tua celeste dottrina porgerò a' tuoi piccoli, servendo te in essi, perchè tu hai detto: Ogni volta che avete fatto qualche cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatta per me, Matth. XXV. 40. Così la Sposa il tenero materno suo affetto dimostra verso le anime, e invita i ministri suoi e dello Sposo, e quasi al loro cuore fa forza, perchè imitino la sua carità.

7,13:Le mandragore respirano odore: ec. Ho ritenuto la interpunzione della nostra Volgata, nella quale questo versetto ha tre membri. Vari antichi Padri ne fanno due soli, leggendo in tal guisa: Le mandrago respirano odore alle nostre porte: Tutti i pomi nuovi, e vecchi ho serbati a te, o mio Diletto. Di queste mandragore è parlato nella Genesi cap. XXX. 14., dal qual luogo apparisce, che questo frutto dovea essere piuttosto raro nella Mesopotamia, perocchè se fosse stato comune, e facile a ritrovarsi, non avrebbe Rachele domandato con tanta pre mura alla sorella Lia, che le facesse parte delle mandragore trovate da Ruben. Da questo luogo però possiamo argomentare, che ne avesse copia la Palestina. 

Questo frutto per testimonianza di s. Agostino (Cont. Faust. XXII. 36.) è bello, e di odore soave: dicesi buono a conciliare il sonno fino a togliere il senso di ogni percossa, o ferita, come narra Teodoreto, e finalmente che sia utile a dare fecondità: ciò viene attestato da vari scrittori antichi, e moderni. Per tutte queste ragioni le mandragore sono qui poste per segno di perfetta virtù; onde queste parole legano colle precedenti, nelle quali fu parlato dell'opera di esimia carità, quale è quella di occuparsi nella conversione, e santificazione delle anime. Viene adunque a dire la Sposa: Io porgerò a'tuoi piccoli le miemammelle, tua mercè, già ripiene della tua celestiale sapienza, perchè tu mi hai ornata di salda virtù, la cui fragranza si farà sentire, per ogni parte; perchè tu mi hai dato di essere quasi stupida a tutti gli affetti carnali, e quasi morta a tutto il sensibile, onde le tribolazioni stesse, che io dovrò soffrire per la giustizia, non sentirò, od anzi le riputerò mia gloria, e mio gaudio: perchè finalmente tu dandomi tutto questo, mi hai renduta capace di partorirti continuamente nuovi figli secondo lo spirito. La Sposa ben sa, come il suo Diletto ami una tal carità, ed ella perciò si esibisce pronta a secondare i suoi desideri, e col Profeta a lui dice: Eccomi, manda me.


Nelle nostre porte....tutti i pomi. La voce porta vale qui lo stesso, che casa, come in moltissimi luoghi delle Scritture; e la voce pomi significa ogni specie di buone frutta, per le quali in questo luogo (come anche qui in nanzi 1v. 13.) sono indicate le virtù, e qui specialmente quelle, che al ministero sono più utili, e più necessarie. Queste dice la sposa che le ha nella casa spirituale, cioè nell'animo, pronte, e preparate a servire lo Sposo nel guadagnare le anime a lui. Perocchè non è ella simile a quelle vergini stolte, le quali aspettano a cercare l'olio per le loro lampane quando sarebbe tempo di accenderle per andare incontro allo Sposo, onde mentre vanno a provvederne, lo Sposo viene, ed elle dalla sala delle nozze restano fuora.


I nuovi, e i vecchi a te, o mio Diletto, gli ho serbati. Pe' vecchi frutti sono significati i doni naturali, per li nuovi sono intesi i doni di grazia; e questi di grazia come senza paragone più nobili, ed anche come più direttamente utili pel ministero sono nominati i primi, preferendosi l'ordine di dignità all'ordine di tempo. Ecco adunque la Sposa simile al buon Padre di famiglia, il quale mette fuora dalla sua dispensa robe nuove, e vecchie, Matth. XXIII. 52.; e tutto offerisce al servigio dello Sposo, perchè tutto ebbe da lui, e tutto serba per lui, nè per altri vuole impiegarlo. Tutto quello, che nella mia casa può trovarsi di buono, di utile, di pregevole, io lo serbo per te, o mio Diletto: nulla io ritengo per me stessa: non la mia satisfazione io cerco, ma la tua volontà, non la mia gloria, ma la tua; e se io desidero di andar teco alla campagna, di esercitarmi nel servigio delle anime, ella è la tua carità quella che mi muove, e mi pressa, perch'io so fino a qual segno tu ami che sieno amate le anime. Del rimanente secondo il tuo beneplacito io farò uso de' doni tuoi; secondo il tuo beneplacito farò parte agli altri di quello, che hai dato a me: così predicherò non me stessa, ma te, o mio Diletto: Noi non predichiamo noi stessi, ma Gesù Cristo Signor nostro; noi poi servi vostri per Gesù, 2 Cor. IV. 5.



AMDG et DVM

giovedì 27 febbraio 2020

Dall’età fanciulla ad età più completa




"Ti ho già detto che quanto è detto negli antichi libri ha un riferimento nel presente. È come se una serie di specchi ripetesse, portandolo sempre più avanti, uno spettacolo visto più addietro. Il mondo ripete se stesso negli errori e nei ravvedimenti, con questa differenza però: che gli errori si sono sempre più perfezionati con l’evoluzione della razza verso la cosiddetta civiltà, mentre i ravvedimenti sono divenuti sempre più embrionali. Perché?

Perché, col passare del mondo dall’età fanciulla ad età più completa, sono cresciute la malizia e la superbia del mondo. Ora siete nel culmine dell’età del mondo e avete raggiunto anche il culmine della malizia e della superbia. Non pensare però che avete ancora tanto da vivere quanto siete vissuti. Siete al culmine, e ciò dovrebbe dire: avete altrettanto da vivere. Ma non sarà.


La parabola discendente del mondo verso la fine non sarà lunga come quella ascendente. Sarà un precipitare nella fine. [La fine dei tempi, la fine del tempo delle nazioni; poi verrà il Regno di Dio sulla Terra, un’unica Nazione, un unico popolo, un’ unica Fede]. 


Vi fanno precipitare appunto malizia e superbia. Due pesi che vi trascinano nel baratro della fine, al tremendo giudizio. 

Superbia e malizia, oltreché trascinarvi nella parabola discendente, vi ottundono talmente lo spirito da rendervi sempre più incapaci di fermare, col ravvedimento sincero, la discesa".

"I Quaderni del 1943", pagg. 226 - 227


AMDG et DVM