CANTICO DEI CANTICI - 5
1Venga il mio Diletto nel suo giardino, e il frutto mangi de' pomi suoi. Son venuto nel mio giardino, sorella mia Sposa: io ho raccolta la mia mirra co' miei aromati: ho mangiato il favo col mio miele: ho bevuto il mio vino col latte mio. Mangiate amici, e bevete, e inebriatevi, o carissimi. 2Io dormo, e veglia il mio cuore: la voce del mio Diletto che picchia: Aprimi, sorella mia, amica mia, mia colomba, mia immacolata: perocché il mio capo è pieno di rugiada, e i miei capelli dell'umido della notte. 3Mi spogliai della mia tonaca, come farò a rivestirmene? Lavai i miei piedi, come tornerò io ad imbrattarli? 4Il mio Diletto passò la sua mano e per l'apertura dell uscio, e in quel, ch'ei lo toccava, le mie viscere si commossero. 5Mi alzai per aprire al mio Diletto, che mani mie stillarono mirra, e le mia dita furon piene di squisitissima mirra. 6Apersi del mio uscio il serrarne al mio Diletto; ma egli si era ritirato, ed era passato avanti. L'anima mia si liquefece tosto ch'egli ebbe parlato: lo cercai, e noi trovai, chiamai, e non mi rispose. 7Mi trovaron i custodi, che vanno attorno per la città: mi batterono, e mi ferirono: mi tolsero il mio pallio i custodi delle mura. 8Figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro, che se troverete il mio Diletto, voi gli diciate, ch'io d'amore languisco. 9Qual è il tuo Diletto più che Diletto, o bellissima tralle donne? Qual è il tuo Diletto più che Diletto, che tu cosi ci scongiuri? 10Il mio Diletto candido, e rubicondo, eletto tralle migliaia. 11Il capo di lui oro ottimo: le chiome del suo capo come l'involto de' fiori delle palme, nere come il corvo. 12Gli occhi di lui come colombe lungo ai ruscelli delle acque, le quali son lavate col latte, e si posano presso alle copiose correnti. 13Le sue guance (son) come le areole di aromi piantate dai compositori di unguenti. Le sue labbra come gigli stillanti mirra perfetta. 14Le sue mani fatte al tornio auree piene di giacinti. Il suo ventre d'avorio smaltato di zaffiri. 15Le sue gambe colonne di marmo fondate sopra basi d'oro. Egli a vedersi è come il Libano, eletto come i cedri. 16Soavissime sono le sue fauci, ed egli è tutto desiderabile: tale è il mio Diletto, ed egli è l'amico mio, o figlie di Gerusalemme. 17Dove andonne il tuo Diletto, o bellissima tralle donne? dove volse i suoi passi il tuo Diletto? e teco lo cercheremo.
Note:
5,1:Venqa il mio Diletto ec. Stando la Sposa nella comparazione del giardino prorompe in questa bella affettuosa preghiera: Venga il mio Diletto nel suo giardino; ed è come se dicesse: venga a me, mi visiti come sua eredità, e cosa di suo dominio; perocchè tutto quello, che io sono, per lui, e per dono di lui io lo sono, e nissuna cosa io bramo, e desidero fuori di lui: venga, e giacchè egli ama, e trova dolci i frutti, che egli di me fece nascere colla sua grazia, di essi egli mangi. Dove è da osservare, come la Sposa dopo aver udito le tante lodi date a lei dallo Sposo nel capo precedente non s' invanisce per tutto questo, ma anzi divien più umile, e la sua umiltà dimostra colla maniera onde prega:Venga il mio Diletto ec., e sì ancora col riconoscere, e confessare, che ed il giardino, e i suoi frutti son dello Sposo, e da lui hanno l'essere, e tutto quello, che hanno di bontà. Così ella viene a dire con Davidde: Signore, tue sono tutte le cose, e quello, che dalla mano tua io ricevei, rendo a te. I. Paralip. XXX. 14. I LXX accostandosi più al mistero tradussero: Discenda in luogo di venga; lo che spiega più e la grandezza divina dello Sposo, e la umiltà di lei, che parla. Debbo notare, che dove noi colla Volgata abbiam detto il frutto de' pomi suoi, l'Ebreo, che è lo stesso del vers. 13., si può tradurre le frutta di dolcezza, le frutta delicate.
Ma un altro documento ancora molto importante da la Sposa in queste parole alle anime, le quali molto han ricevuto dallo Sposo, ed è di non fermarsi su' doni di lui, ma di posar in lui solo, onde le virtù stesse coltivino non per soddisfare a se stesse, ma per piacere al Diletto. Perocchè si osservi come la Sposa tutto dà a lui, ma mentre tutto dà a lui, il meglio, e il tutto riserba per se medesima, serbandosi la umiltà, e la gratitudine, e per conseguenza caparrandosi sempre più l'amore dello Sposo.
Questi frutti sono, come già vedemmo, le virtù, e tutte le opere di virtù, e queste allo Sposo ella offerisce per cui furono fatte, bramosa ch'ei le accetti, e le custodisca per fino a quel giorno, in cui verrà egli a darne la sua mercede. Di questi frutti perchè si cibi volentieri lo Sposo, non dice ella: Mangi i miei frutti; ma dice: mangi i suoi frutti: perocchè le opere buone dell'uomo dell'approvazione di Dio sono degne, e degne di ricompensa non in quanto sono opere dell'uomo, e del suo libero arbitrio, ma in quanto dalla grazia di Cristo procedono.
Questi frutti sono, come già vedemmo, le virtù, e tutte le opere di virtù, e queste allo Sposo ella offerisce per cui furono fatte, bramosa ch'ei le accetti, e le custodisca per fino a quel giorno, in cui verrà egli a darne la sua mercede. Di questi frutti perchè si cibi volentieri lo Sposo, non dice ella: Mangi i miei frutti; ma dice: mangi i suoi frutti: perocchè le opere buone dell'uomo dell'approvazione di Dio sono degne, e degne di ricompensa non in quanto sono opere dell'uomo, e del suo libero arbitrio, ma in quanto dalla grazia di Cristo procedono.
Son venuto nel mio giardino...., ho raccolta ec. La umile, e affettuosa preghiera è subito esaudita; anzi lo Sposo previene i desideri della sua Sposa; perocchè al primo invito di lei risponde, ch'egli è già venuto, ed ha gia raccolti de' frutti del suo giardino, la mirra, e gli aromi, vale a dire ha raccolte le opere di mortificazione della carne, di annegazione di se stesso, d'imitazione di Cristo paziente, le quali opere in lei trovò. Questa mirra dice di aver raccolta lo Sposo, e non sola, perchè con essa gli altri aromi ha raccolti, che sono gli atti delle altre virtù, delle quali è quasi radice, e inseparabil compagna la mortificazione, e l'annegazione di se stesso. Quando lo Sposo dice: ho raccolta la mia mirra ec., è come se dicesse: Ti ho fatto raccogliere la mirra ec. E nella stessa maniera disse Paolo, che lo Spirito santo sollecita per noi con gemiti inenarrabili, Rom. VIII. 26. Lo che vuol dire: sveglia in noi colla sua ispirazione gli ardenti desideri, ed affetti, co' quali preghiamo. Or con tali espressioni dimostra lo Sposo gli effetti mirabili della visita, ch'ei fa alla sua Sposa. Perocchè s' ei non fosse venuto, se colla sua presenza, e colla sua grazia non l'aiutasse, non potrebbe trovarsi in lei tanto bene.
Ho mangiato il favo col mio miele: ho bevuto ec. Quando dice: il favo col mio miele, vuol dire: il favo pieno del mio miele; perocchè il favo, cioè la cera non è cibo. I LXX lessero: ho mangiato il mio pane col mio miele, e nello stesso modo l'antica Italica, e molti Padri Latini.
Quella studiata repetizione: Mia mirra, miei aromi, mio miele, mio vino, mio latte è segno anch' essa del grande affetto, con cui lo Sposo di tali cose si pasce, come quelle, che servono a perfezionare e render compiuta la santità della Sposa. Or si ha qui descritto una specie di convito, nel quale non egli solo, ma anche i pil cari amici di lui mangiano lo stesso cibo, ed hanno la stessa bevanda. Mangiate amici, e bevete ec.
Dopo aver detto, che avea raccolta co' suoi aromi la mirra, che è amara, aggiungendo adesso, che ha mangiato il favo pieno di miele, vuol dimostrare, come allor chè egli visita l'anima, le amarezze tutte della vita mortificata, e penitente sono cangiate da lui in grande dolcezza, come sperimentava l'Apostolo, quando diceva: sono ripieno di consolazione, sono inondato di gaudio in mezzo a tutte le nostre tribolazioni, II. Cor. VII. 4.; e come i martiri erano lieti, e rendevano grazie a Dio in mezzo a' loro tormenti. Perocchè come dicemmo di sopra, che quelle parole: Ho raccolto la mirra, hanno anche questo senso: ti ho fatto raccogliere, così adesso ho mangiato il favo col mio miele ec. vuol dire: ti ho fatto mangiare ec. Ma egli è anche vero, che secondo la maniera di parlare dello Sposo medesimo, suo spirituale dolcissimo cibo sono gli atti di virtù prodotti dall'anima. Quindi di se diceva: Mio cibo si è il fare la volontà di lui, che mi ha mandato, Joan. IV.; e più chiaramente in altro luogo spiega di questo cibo la qualità: Procacciatevi non quel cibo, che passa, ma quello, che dura fino alla vita eterna, il quale sarà dato a voi dal Figliuolo dell'uomo, Joan. VI. 27. E segnatamente le opere di misericordia e spirituali, e corporali sono quel cibo, ch'ei trova, ed ama ne' suoi eletti, onde come osservarono vari Padri elle sono qui intese principalmente, e ad essi nel giudizio dirà: Ebbi fame, e mi deste da mangiare: ebbi sete, e mi deste da bere. Ogni volta, che avete fatto qual che cosa per uno dei più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatto a me, Matth. XXV. 35.
Cristo adunque ne' poveri, e ne' piccoli bisognosi di assistenza o per lo spirito, o per il corpo, mangia il miele suo, e beve il suo vino, e il suo latte, e in essi si ristora, e si delizia egli stesso di tutto quello, che per essi opera la carità, la qual carità è pur dono di lui, e per questo ancora dice, mio miele, mio vino ec. Il miele pertanto significa la dolcezza della carità, e misericordia verso de' prossimi. Il vino poi rappresenta il fervore dello spirito; nel latte finalmente è figurato il candore della innocenza scevra di ogni fraude, e malizia.
Cristo adunque ne' poveri, e ne' piccoli bisognosi di assistenza o per lo spirito, o per il corpo, mangia il miele suo, e beve il suo vino, e il suo latte, e in essi si ristora, e si delizia egli stesso di tutto quello, che per essi opera la carità, la qual carità è pur dono di lui, e per questo ancora dice, mio miele, mio vino ec. Il miele pertanto significa la dolcezza della carità, e misericordia verso de' prossimi. Il vino poi rappresenta il fervore dello spirito; nel latte finalmente è figurato il candore della innocenza scevra di ogni fraude, e malizia.
Mangiate, amici, e bevete, ec. Qualche antico Interprete gli amici, che sono qui invitati al convito, credette essere que' giusti, i quali non hanno cura se non della propria perfezione, e salute; i carissimi poi sieno gli uomini perfetti, i quali sono chiamati a procurare la santificazione dei prossimi, a' quali perciò si dice inebriatevi, vale a dire siate ripieni a sazietà di quel miele, e vino, e latte, di cui dovete ispirare il desiderio, e l'amore a' vostri fratelli.
Non lasciam di riflettere finalmente qual forte stimolo si dia qui alla Sposa, e ad ogni anima fedele per amare, e praticare le virtù col far vedere in qual modo queste piacciano, e sieno gradite allo Sposo celeste, che ne fa suo delizioso cibo, e bevanda, e coll'invitarle a parteci pare delle stesse delizie.
5,2: Io dormo, e veglia il mio cuore. Un dotto maestro della Sinagoga supponendo che queste parole sieno della Sposa, vuole, che ella le dica parte per se, parte pel suo Diletto in tal senso: Io dormo: e il mio Sposo, che è il cuor mio, veglia per me; e questa interpretazione piacque a non pochi de' nostri moderni Interpreti. - Il più vero però si è d'intendere con tutti i Padri, che di se stessa parli sempre la Sposa. Riconosciamo adunque con s. Agostino, e con molti altri Padri, e Interpreti, che in questo sonno ci vien descritta dalla Sposa la vita quieta, libera, e sciolta da' negozi esteriori, ancorchè leciti, e buoni, da'quali l'anima si allontana per applicarsi interamente allo studio della celeste Sapienza: ella è (dice il s. Dottore) più sicura cosa l'ascoltare la verità, che il predicarla, perchè ascoltandola si conserva la umiltà, laddove chi la predica a mala pena può salvarsi da qualche poco di giattanza..., per la qual cosa in quelli, che sanno udir volentieri, e umilmente, e la quieta lor vita passano nel dolce, e salutevole studio della verità, si delizia la Chiesa santa, e dice: Io dormo, e veglia il mio cuore; vale a dire, io talmente riposo, che sto ascoltando, e la mia quiete la impiego non a nudrire la pigrizia, ma ad apparare la sapienza; perocchè (come sta scritto) la sapienza si acquista nel tempo di libertà dagli affari, e chi ha poco da agire, l'acquisterà (Eccli. XXXVIII. 25.). Io dormo, ma veglia il mio cuore, riposo dalle azioni laboriose, pena l'animo mio alle affezioni spirituali, e divine è inteso. - Un'altra specie di sonno non molto dissimile è qui indicata secondo il Nisseno, che dice: il sonno è immagine della morte... perocchè egli porta seco totale dimenticanza delle sollecitudini, e delle cure, che sono nell'uomo, calma le ire, e i timori, e fino a tanto che egli tiene legato il corpo, toglie il senso di tutti i mali .,, Ella è adunque divenuta maggior di se stessa colei, che dice: Io dormo, e veglia il mio cuore. È veramente quando l'anima vive in se sola, e non è turbata da' sensi, allora è come legata da sonno la natura corporea, ed ella può veracemente dire, che in lei dorme la vista, dorme l'udito ec., e si occupa l'anima nelle cose, che son superiori alla umana ragione. Questa dottrina l'apprese il Nisseno da Paolo, il quale ai novelli cristiani diceva: Abbiate pensiero delle cose di lassù, non di quelle della terra: perocchè voi siete morti, e la vostra vita è ascosa con Cristo in Dio, Coloss. III. I. E altrove: Cristo è morto per noi, affinchè sia che vegliamo, sia che dormiamo, viviamo con lui, I. Thessal. v. 10.
Osservano ancora i Padri, che in queste parole si da special documento a' pastori della Chiesa, che sono come il cuore di lei, perchè da essi la vita dipende de' popoli; e ad essi dallo Spirito santo vien raccomandata la vigilanza, come fu raccomandata poi dallo Sposo medesimo, quando al vescovo della Chiesa di Sardi disse: Sii vigilante, e ristora il resto, che stavano per morire, Apocal. III. 2.
Voce del mio Diletto, che picchia: aprimi, ec. La sollecitudine ammirabile dello Sposo per tutto quello che riguarda il bene della sua Chiesa, e delle anime è in questo luogo con vivissimi colori dipinta. La Sposa, che veglia anche quando al suo misterioso sonno si abbandona, ode, e riconosce la voce di lui, che non è mai lontano da lei, voce, che le dice di aprire, e alla voce si aggiungono e il picchiar ch'ei fa alla porta, e le ragioni, che adduce, perchè siagli aperto. In tutto questo si manifesta il carattere di quel Diletto, di quel tenerissimo amante delle anime, il quale in un altro luego dice di se: Io sto alla porta, e picchio: chi udirà la mia voce, e aprirammi la porta, entrerò da lui, Apocal. III.20. Parla lo Sposo, e picchia alla porta del cuore, ogni volta che colla sua grazia visita, e tocca i cuori, afflin di muovergli o alla emendazione della vita, o all'avanzamento nella virtù, o finalmente al servizio di carità da rendersi allo Sposo stesso nella persona dei fratelli. Perocchè tutte tre queste chiamate si ravvisano in questo luogo da' Padri, e dagli Interpreti, e di tutte tre diremo con brevità.
Ed è certamente in primo luogo insigne la bontà dello Sposo, il quale potendo abbandonare il peccatore nel suo profondo letargo, tanto si affatica, e s'industria (per così dire) affine di risvegliarlo, e convertirlo. Voce del mio Diletto: veramente il Diletto per eccellenza, cioè degno della dilezione di tutti i cuori egli è questo Sposo, il quale dovea esser pregato, e supplicato dal peccatore, che entrasse da lui, ed è egli sempre il primo a pregare, e a picchiare, e a sollecitare il peccatore, perchè gli apra. Imperocchè noi sappiamo, che questi nè ascoltare la voce, nè aprir il suo cuore non potrebbe giammai, se dalla grazia dello Sposo medesimo prevenuto non fosse, onde sta scritto: Convertici, o Signore, e noi ci convertiremo. E a vincere la durezza dell'anima le rammenta con gran tenerezza i titoli e le ragioni, che egli ha sopra di lei, chiamandola Sorella, amica, colomba, immacolata. Perocchè egli vuol dire: Apri a me, che mia sorella ti feci, allorchè per tuo amore mi feci uomo: apri a me, che a Dio ti riconciliai, e nella sua amicizia ti ritornai co' miei patimenti, e colla mia morte: apri a me, che ti feci mia colomba, mandando sopra di te lo Spirito santo; e immacolata mia ti feci, mediante la partecipazione de' Sacramenti, e di tutti i doni, e grazie celesti, che nella mia Chiesa si dispensano. Viene così ad un tempo a rimettere dinanzi agli occhi del peccatore e quello ch'ei fu per misericordia di lui, e quel ch'ei perdè per la sua ingratitudine.
Ma ecco nuovo e stupendo argomento non so s'io dica della eccessiva carità dello Sposo, o della ostinazione del cuore umano, o piuttosto dell'una, e dell'altra. Lo Sposo e chiama, e picchia, e tenta colle più dolci, e efficaci maniere il cuore dell'uomo; e vi trova resistenza ad aprire, nè per questo si parte, nè per questo si ritira, ma continua a chiamare, a picchiare, ad aspettare: Aspetta il Signore per usarvi pietà, Isai. XXX. 18. Or quest'ammirabile pazienza, e carità dello Sposo è descritta quando egli dice, che pel lungo tempo speso da lui nell'aspettare, che il peccatore gli aprisse nella lunga notte, in cui questi dorme sopra la sua propria morte, Psal. XII. il suo capo si è coperto di rugiada, e di umidità della notte. E insieme con questa figura rammenta e quel ch'ei patì per la salute de' peccatori, e quel che patisce ogni dì per la loro durezza, e per le loro ripulse.
Ma ecco nuovo e stupendo argomento non so s'io dica della eccessiva carità dello Sposo, o della ostinazione del cuore umano, o piuttosto dell'una, e dell'altra. Lo Sposo e chiama, e picchia, e tenta colle più dolci, e efficaci maniere il cuore dell'uomo; e vi trova resistenza ad aprire, nè per questo si parte, nè per questo si ritira, ma continua a chiamare, a picchiare, ad aspettare: Aspetta il Signore per usarvi pietà, Isai. XXX. 18. Or quest'ammirabile pazienza, e carità dello Sposo è descritta quando egli dice, che pel lungo tempo speso da lui nell'aspettare, che il peccatore gli aprisse nella lunga notte, in cui questi dorme sopra la sua propria morte, Psal. XII. il suo capo si è coperto di rugiada, e di umidità della notte. E insieme con questa figura rammenta e quel ch'ei patì per la salute de' peccatori, e quel che patisce ogni dì per la loro durezza, e per le loro ripulse.
In secondo luogo chiama Cristo i giusti, e picchia al cuore di essi, affinchè seguendo le sue ispirazioni vadano sempre innanzi nelle vie della virtù, e crescano nella cognizione e nell'amore di lui. Perocchè come dice s. Leone: La giustizia de' perfetti sta in questo, che non mai presuman di esser perfetti, affinchè non avvenga, che arrestandosi nella corsa non ancor terminata, ivi trovino il risico di dar indietro, dove depongono il desiderio di andare avanti, Serm. 2. Quadrag. E s. Agostino aggiunge, che dove l'anima dice, basta, ivi ella inciampa.
E molto a proposito osserva il Nisseno, che in que' titoli, co' quali lo Sposo sollecita la Sposa ad aprire, sono indicati i mezzi, per cui ella può soddisfacendo alle brame dello Sposo accostarsi ogni dì più a lui, e ricopiarlo in se stessa.
Egli adunque le dice: tu sarai mia sorella facendo in tutto la volontà del Padre mio, che è ne'cieli; tu sarai mia amica conversando meco familiarmente nella continua fervente orazione; tu sarai mia colomba, mediante la purità d'intenzione in tutte le opere tue; sarai la mia immacolata guardandoti e purificandoti ogni dì più da' difetti, e dalle imperfezioni anche leggiere.Or la vocazione stessa dello Sposo a tal perfezione, e santità di vita ella è una caparra, ed un pegno dell'aiuto, e delle forze, che egli darà per conseguirla.
Egli adunque le dice: tu sarai mia sorella facendo in tutto la volontà del Padre mio, che è ne'cieli; tu sarai mia amica conversando meco familiarmente nella continua fervente orazione; tu sarai mia colomba, mediante la purità d'intenzione in tutte le opere tue; sarai la mia immacolata guardandoti e purificandoti ogni dì più da' difetti, e dalle imperfezioni anche leggiere.Or la vocazione stessa dello Sposo a tal perfezione, e santità di vita ella è una caparra, ed un pegno dell'aiuto, e delle forze, che egli darà per conseguirla.
La rugiada, e l'umido della notte sofferta dallo Sposo nel tempo ch'ei chiama, ed aspetta, e sollecita, rappresentano il disgusto, e la pena dello Sposo nel sopportare un'anima nella sua tiepidezza, e sonnolenza; sopra di che vedi quello che è detto ad una di queste anime nell'Apocalisse cap. III. 14. 15. ec.
In terzo luogo diremo con s. Agostino, che mentre nella quiete, e nella contemplazione della verità riposa tranquillamente, e soavemente la Chiesa, ecco che il Diletto parla, e picchia, e dice: in pieno giorno dite quel, ch'io vi ho detto all'oscuro, e predicate su' tetti quel, che vi è stato detto all'orecchio, Matth. X. 27. Picchia egli adunque, e dice: Aprimi, cioè annunzia la mia parola apparata pienamente da te nella tua quiete. Imperocchè come entrerò io ne'cuori degl'infedeli, e de' peccatori, che sono a me chiusi finora, se alcuno a me non gli apre? E questi come sentirann' eglino parlar di me senza chi predichi? Così s. Agostino Tract. 57. in Joann.
I titoli poi di sorella, di amica, ec. sono di gran forza a muovere la Sposa, e i ministri di lei a servire a Cristo nell'aprire a lui, e alla parola di verità i cuori degli uomini. Imperocchè rammentando alla Sposa la fratellanza, ch'egli contrasse con essa, e i tanti legami di carità, che ad esso la uniscono, e i doni ond'ei l'arricchì, pe' quali la fe' sua colomba, e finalmente la separazione, che fece di lei, perchè fosse santa, e immacolata nella carità. Viene a dirle,che come sua sorella, e amica dee zelare l'onore di lui; come sua colomba è destinata a moltiplicare colla sua fecondità la famiglia di Dio; come santa, e immacolata ha per ispecial sua obbligazione di procurare l'altrui salute per quella carità, che è vincolo della perfezione come dice l'Apostolo. Nello stesso tempo però sono in queste stesse parole indicati i requisiti, e le doti, onde debbon essere ornati quegli uomini, che a tal ministero sono mandati. - Ad eccitare lo zelo della Sposa, e de' ministri di essa servono grandemente quelle parole: il mio capo è pieno di rugiada, ec. nelle quali come notò s. Agostino, si rappresenta il danno de' prossimi, il raffreddamento della carità, e le cadute di molti per la negligenza di quelli, ai quali è detto: Siate vigilanti, e ristorate que', che stavano per morire. Vedi s. Agostino Tract. 57. in Joan. Imperocchè Cristo come capo, e pastore della Chiesa fa suoi propri i beni, e i mali tutti delle sue pecorelle.
5,3: Mi spogliai della mia tonaca, ec. in questa risposta la Sposa va adducendo le scuse, per cui alla chiamata dello Sposo non corrisponde: l'ora è importuna, io sono al mio riposo, mi sono spogliata, non so risolvermi a imbrattarmi i piedi, dopo essermeli lavati all'entrar nel mio letto. E queste scuse, benchè in maniera alquanto diversa, possono applicarsi a que' tre diversi ordini di persone, ai quali la chiamata dello Sposo fu indiritta, come vedemmo. Perocchè in primo luogo il peccatore, che volontariamente si spogliò della veste di grazia, e di carità, difficilmente si induce a sperare di poter ripigliarla superando i mali abiti e la infelice propensione al peccato, ed è ritenuto ancora da mille umani rispetti, e teme di scapitare nel concetto degli uomini dandosi alla vita mortificata, e penitente. Così nella sua nudità si rimane.
Applicando poi a' giusti questa risposta, la tonaca, di cui si parla, ella è quella dell'uomo vecchio, di cui dice l'Apostolo: Spogliandovi dell'uomo vecchio con tutte le opere di lui, e rivestendovi del nuovo ec., Coloss. III. 9. E la lavanda de' piedi significa il purificarsi, che fa il giusto dalle cattive inclinazioni dell'amor proprio, e da' quotidiani mancamenti per mezzo della penitenza secondo quella parola di Cristo: Chi è stato lavato non ha bisogno di lavarsi se non i piedi, Joan. XXIII. 10
Or l'anima tiepida di queste scuse si vale a rigettare la ispirazione dello Sposo, il quale ad una vita più santa, e più perfetta la chiama; e come si legge nell'Apocalisse, ella dice: io son ricca, e doviziosa, e non mi manca niente, III. 17. Ho spogliato l'uomo vecchio, e carnale, nè mai sarà vero, ch'io torni a rivestirmi delle sue affezioni: ho lavati i miei piedi, e certamente non tornerò a imbrattarli, e questo mi basta. Così ella è contenta di se medesima, e della sua virtù, perchè dalle cose gravi, per quanto a lei pare, assai attentamente si guarda, e la sua virtù paragona non col Vangelo, nè coll'esempio de' Santi, ma con quelli, che a lei sembrano inferiori, e alla chiamata dello Sposo non risponde, se non per rigettarla.
Un' altra specie poi di giusti vi ha, a' quali la piccolezza di cuore toglie il merito di obbedir prontamente alla voce dello Sposo, e sono quelli, i quali invitati da lui a servirlo nella cultura, e santiticazione delle anime si ritirano indietro per apprensione de' pericoli, che in tal ministero s' incontrano, e per timore di non cadere nelle colpe, dalle quali hanno procurato di purificarsi spogliandosi dei pensieri della terra, e di ogni cura mondana, e tenendosi lontani da tutto quello, che può essere per essi occasione d'imbrattarsi. Ma se questi uomini amano Dio veracemente, conosceranno alla fine, che tutta la lor sicurezza, tutta la speranza di conservare i doni di Dio, di conservare la purità dei costumi, e di salvare l'anima propria sta non nella loro industria, nè in questa, o in quella maniera di vita, ma nella protezione di Dio, e questa protezione agli obbedienti è promessa, ed a quelli principalmente, i quali essendo chiamati da Dio, e forniti perciò delle doti necessarie, il laborioso gravissimo ufficio di carità intraprendono per vero zelo della gloria di Cristo, e per amor delle anime da lui amate sì altamente.
5,4: Il mio Diletto passò la sua mano ec. Mentre la Sposa tarda ad aprire allo Sposo, e perde il tempo nello scusarsi, il Diletto, che vuol pur vincere le ritrosie, e le difficoltà di lei, passa la mano per l'apertura, ovver piccola finestra dell'uscio, e appena sente ella toccato l'uscio dalla mano dello Sposo, si turba, si commove, s' alza.
Quest'apertura dell'uscio secondo un antico Interprete era un piccol finestrino, per cui messa la mano si poteva aprire la porta, tirandone il chiavistello. Quelle parole della nostra Volgata: ad tactum eius non sono nell'originale, nè nella versione de' LXX, nè nell'antica Italica, e sono state aggiunte da s. Girolamo per ischiarimento del testo. - Ma venghiamo al significato di queste misteriose parole. La mano del Diletto è mano potente; mano, che tutto può anche su' cuori degli uomini. Quando adunque si dice, ch'egli passa la sua mano per l'apertura dell'uscio affine di aprirlo, s'intende che egli con ispirazione più forte, e più efficace togliendo la durezza del cuore, la pigrizia, le ritrosie, che si oppongono nella Sposa all'adempimento di quel che egli vuole, muove, e determina la Sposa a obbedire, ad alzarsi, e correre ad aprire senza altro riguardo, o ritegno allo Sposo. Ed ella è l'istessa mano dello Sposo quella, che vince ne' peccatori la ostinata durezza, ne' giusti tiepidi la negligenza e la sonnolenza, negli altri la eccessiva timidità, per cui era impedita o la mutazione totale de' costumi, o l'avanzamento nel bene, o finalmente la somma delle dimostrazioni d'amore verso lo Sposo, la quale si è di impiegarsi nel procurare la salute de' prossimi. Sono diversi i modi, de' quali si serve lo Sposo delle anime per togliere ciò, che in esse si oppone alla sua volontà, e ridurle alla obbedienza, che a lui debbono, e gli esempi son frequentissimi ne' libri santi, ma non è questo il luogo di diffondersi a ragionarne.
5,5: Mi alzai per aprire al mio Diletto. Vedesi in queste parole l'effetto di quella grazia, senza di cui nulla può l'uomo, conciossiachè voce dello Sposo ella è questa: Senza di me non potete far nulla, Joan. XV. 5., e per cui noi talmente operiamo mediante la facolta del nostro libero arbitrio, che opera egli stesso insieme con noi, donde quelle parole di Paolo: Ho travagliato più di tutti; non io però, ma la grazia di Dio con me, 1. Cor. XV. Commossa adunque la Sposa si alza, corrisponde alla chiamata dello Sposo, e va ad aprire.
La mirra, come si è veduto più volte, è simbolo della mortificazione dell'amor proprio, e della propria volontà e delle passioni, e degli affetti terreni, la quale con altro nome è detta da Cristo annegazione di se stesso. Quindi l'Apostolo Paolo; mortificate le vostre membra, che sono sopra la terra, Coloss. 3. 5. dove egli rappresenta l'uomo vecchio come un corpo composto di varie membra, che sono le passioni, e gli affetti, che alla divina legge, e alla obbedienza dovuta a Dio fanno contrasto. Per impulso adunque dello Sposo medesimo, che la chiamò, andando la Sposa ad aprire a lui, si provvede di mirra in gran copia, e di mirra eccellente, finissima, e di questa mirra ella ha inzuppate le mani, e non una sola, ma ambe le mani, affinchè in tutte le opere di lei questa mortificazione risplenda, e nelle piccole cose ancora si manifesti, lo che vuol ella significare dicendo, che anche tutte le dita di questa mirra erano piene. Or tutto questo ella fa affine di poter aprire allo Sposo, per accoglierlo, e averlo, seco, e andar, e stare con lui. Imperocchè il fine della mortificazione o interna, od esterna che ella sia, altro non è se non di togliere gl'impedimenti, pei quali non può egli entrare nell'anima, o per ritrarla dalle vie del peccato al sentiero della virtù o per farla avanzare nella perfezione, o,finalmente per farla suo strumento di elezione ad operare la santificazione dei fratelli. Per la qual cosa sta scritto: A chi comunicherà egli la scienza, a chi darà egli l'intelligenza? A quelli, che son divezzati dal latte, a quei, che sono staccati dalle mammelle, Isai. XXVIII. 9.
5,6: Apersi del mio uscio il serrame ec. Apre la Sposa al Diletto, e quegli, che tanto desiderio mostrò di entrare, e colle parole, e cogli atti cercò di essere ammesso, allorchè ella è tutta disposta a riceverlo, si ritira, e si allontana. Ma noi abbiam veduta altra volta questa Sposa diletta dolersi dell'assenza del suo Diletto, e cercarlo senza aver la consolazione di ritrovarlo, se non dopo qualche tempo di ansiosa ricerca, e di affanno, Cant. 1.4 ec. Questa assenza dello Sposo può venire da diverse ragioni, le quali da tutto questo racconto possono rilevarsi.
In primo luogo lo Sposo giustamente esige tale obbedienza, che neppur un momento si differisca di fare quel ch'ei comanda, onde, come osserva il Grisostomo, a quel giovine chiamato da lui non permise Cristo di andare a seppellire il proprio padre, Hom. 14. in Matth. È punita adunque la tardanza della Sposa nell'aprire al suo Diletto, benchè colorita con iscuse in apparenza ragionevoli, e le è insegnato, che nissuna cosa è da preferirsi alla pronta, e leale obbedienza.
Si assenta in secondo luogo talora lo Sposo anche quando la Sposa non è in colpa, ed anche quando è preparata a ben accoglierlo, affinchè la consolazione delle sue visite non ascriva ella a' propri suoi meriti, ma dalla sola bontà di lui le riconosca, e conservando la umiltà, sia poi degna di essere visitata nel tempo del beneplacito.
Si assenta finalmente lo Sposo affine di accender vie più le brame della Sposa, affinchè ella più ardentemente lo cerchi, quando ne avrà provato per un tempo la lontananza, e come ella si rimane, secondo la parola di Davidde, quasi terra senza acqua. Così secondo la parola di Paolo tutto è fatto per gli eletti, perch'ei conseguiscano la salute. Vedremo come ciò si verifichi nella Sposa.
L'anima mia si liquefece tosto che ec. L'Ebreo, cui è simile la versione de' LXX, e l'antica Italica, legge: l'anima mia alla parola di lui uscì fuor di ec. Ma qui nasce una non piccola difficoltà; perocchè sembra, che le parole di cui ella parla, sieno quelle, che son riferite qui innanzi: Aprimi sorella ec. Or se queste parole fecer tanta impressione in lei, come avvenne di poi, che ella non si levò, si scusò, tardò ad aprire? Ma si risponde in primo luogo, che il fatto stesso dello Sposo nel passar, che ei fece la mano per l'apertura dell'uscio, fu una parola, fu un avvertimento, e una riprensione, che penetrò profondamente il cuor della Sposa, e la ferì, e di tanta afflizione la riempiè, che quasi cera al fuoco si liquefece, afflizione, e tristezza saluberrima, come quella, che è secondo Dio, e produce penitenza stabile per la salute, II. Cor. VII. 10.
In secondo luogo ove vogliasi, che parli la Sposa di quelle parole dettele dal suo Diletto: Aprimi sorella ec., confessa ella adesso, e con dolore confessa, che all'udir quelle parole piene di benignità e soavità, l'anima sua si liquefece pell'ardentissimo fuoco di carità, che in lei si accese, e ciò ella racconta, affinchè si comprenda quanto estremo sia il suo dolore in veggendo come lo Sposo se n'è andato, e s'intenda con quanta ansietà si porti a cercarlo.
Lo cercai, e nol trovai, chiamai, ec. in quello, che qui, e ne' seguenti versetti leggiamo, si manifesta nella Sposa un amor grande, e sollecito, e ci si manifesta ancora nello Sposo una segreta disposizione della sua carità per cui egli, che disse, cercate e troverete, egli che si fa trovare da quei, che nol cercano, come dice Isaia, si fa cercar dalla Sposa sua, nè si lascia trovare, si fa chiamare, e non le risponde; le quali cose non sono ordinate da lui, se non a provare la costanza, e la fermezza invincibile della Sposa nel ricercarlo.
5,7: Mi trovaron i custodi, ec. Dove la nostra Volgata porta, il mio pallio, la voce Ebrea propriamente significa quel velo grande, col quale si cuoprivano quasi interamente le donne orientali, e così l'intesero i LXX. A chi legge sì fatto racconto non sembra egli, che possa la Sposa, usando le parole del s. Giobbe, dire allo Sposo: Alzo a te le mie grida, e tu non mi ascolti: Sto (a te davanti) e non volgi a me uno sguardo. Ti se'cambiato in crudele per me, e colla dura tua mano mi tratti come nemico, Job. XXX. 21. Imperocchè quantunque alcuni per questi custodi della città,e delle mura intendano gli uni i buoni Angeli, gli altri i prelati della Chiesa, onde in senso mistico spiegano quelle parole: mi batterono, e mi ferirono ec., sembrami però assai migliore l'interpretazione di Teodoreto accennata anche da s. Girolamo epist. ad Laetam, epist. ad Eustach. da s. Ambrogio, e da altri, i quali suppongono, che questi custodi sieno diversi dalle sentinelle, di cui si parla cap. III. 3., perocchè questi battono, e feriscono la Sposa, e le tolgono il pallio; quelle poi l'aiutarono, e la consolarono, onde (soggiunge Teodoreto) quegli erano custodi della Santa spirituale Gerusalemme, cioè della Chiesa; questi erano custodi della città terrena. --- Permette adunque lo Sposo, che la sua Diletta mentre con grandissimo affetto lo va cercando, s'imbatta in uomini nemici, e crudeli, che la maltrattano, e la straziano senza aver pietà del suo stato. E dicendosi, che costoro erano custodi della città, e delle mura, necessaria cosa ella è d'intendere, le potestà o secolari, od ecclesiastiche: Imperocchè non sol da' principi idolatri avversi alla Fede ebbe molto da soffrire or in questa, ora in quella parte la Chiesa, ma anche da molti dei suoi ministri, i quali di pastori, che dovean essere del gregge di Cristo, si cambiarono in lupi rapaci, quali furono, per esempio, ne'tempi del dominante Arianismo, i Vescovi infetti di quella eresia, e in altri tempi molti altri, i quali invece di vegliare al bene interiore della mistica città, e guardar le sue mura dagli esterni nemici, invece di essere la consolazione, la difesa, e la gloria della Chiesa, furono dolor massimo, e acerbissima tribolazione della Sposa di Cristo, e non solo la spogliarono della sua gloria, ma coi pessimi esempi, e cogli scandali della lor vita, e talor colle prave dottrine gravemente danneggiarono, e ferirono le anime semplici, che cercavano Cristo.
5,8: Figlie di Gerusalemme, io vi scongiuro, ec. L'Ebreo e i LXX: Figlie di Gerusalemme io vi ho scongiurato.... se troverete il mio Diletto, che mai li direte o ch'io son ferita d'amore. Maniera di parlare più enfatica. È cosa grande, e degna di ammirazione, che nè di tanti mali trattamenti sofferti si duole la Sposa, nè dello stesso Diletto si lamenta, nè si raffredda nelle sue ricerche, ma ogni altra cosa lasciando da parte, la sola assenza di lui piange, e di questo solo si lamenta. Or in queste poche parole si manifesta e l'amor grande, e fervido della Sposa, e la sua invincibil pazienza, e la fiducia nella carità dello Sposo, cui solo vuole, che si ridica fino a qual segno lo ami; perocchè questo solo ella confida, che basterà, perchè egli non l'abbandoni ne'suoi affanni; si manifesta ancora la sua rassegnazione a' voleri di lui, onde nè chiede ch'ei torni presto, nè che si lasci trovare, purchè egli sappia, e sia certificato, e sicuro, che ella lo ama sempre, e non altro brama, che di piacergli. Le figlie di Gerusalemme, che ella invoca, e prega di essere sue ambasciatrici presso lo Sposo, sono li spiriti beati, e le anime glorificate, che veggono lo Sposo a faccia a faccia, onde (per dirlo sol di passaggio) si ha anche in questo luogo, come in tanti altri delle Scritture autenticato contro gli Eretici il domma cattolico della invocazione de'Santi. Vedi Job, v. I. XI. 19. XXXIII. 23. Apocal. v. 8. VIII. 3. ec. - Ma che vuol ella significare, quando dice: se troverete il mio Diletto, mentre le anime beate sono sempre dinanzi a lui? Parla così la umile Sposa, perchè ben sa, che Dio talora non permette, che i Santi lo preghino per questa, o per quella persona, onde a Geremia fu detto: Non pregare per questo popolo, perch'io non ti esaudirò, Jerem. VII. 16., ed ella memore di sua passata negligenza, e sempre timorosa secondo l'avvertimento dello Spirito santo, Prov. XVIII. 24., prega in tal guisa confidando nella carità dello Sposo, ma temendo, che forse pe' suoi demeriti non voglia sì presto esaudirla. - Ma aggiungiamo ancora, che non mal conviene alla Sposa di volgersi a pregare le anime pie, che sono ancora sopra la terra, perchè come amiche carissime dello Sposo a lui rappresentino i suoi desideri. Abbiamo nelle Scritture del Vecchio Testamento, attestato da Dio medesimo, il conto, ch'ei fa delle preghiere di questi suoi servi fedeli. Vedi Gen. XX. 7., Job, XLII. 8. Abbiamo l'esempio de' San ti, e tra questi di Paolo in più luoghi delle sue lettere, e particolarmente in quella a' Romani, dove egli dice: Vi scongiuro, o fratelli, pel Signore nostro Gesù Cristo, e per la carità dello Spirito santo, che mi aiutiate colle vostre orazioni per me dinanzi a Dio, XV. 30. Per la qual cosa e a'giusti beati nel cielo, e a quelli, che tuttora militano sopra la terra possono intendersi rivolte le preghiere della Sposa. -
5,9: Qual è il tuo Diletto più ec. Nella traduzione di quelle parole, Dilectus ex Dilecto ho seguitato il senso del testo originale. Il Nisseno (e con esso qualche altro Interprete) credette, che debba tradursi: Qual è il tuo Diletto (che viene) dal Diletto? E in tal guisa si avrebbe indicata la generazione eterna di Cristo dal Padre, il qual Padre è l'obbietto dell'amor della Sposa non men che il Figlio, con cui, e collo Spirito Santo è un solo Dio. E siccome viene Cristo dal Padre anche secondo l'umanità, che egli assunse, perciò due volte ripetesi: Qual è il tuo Diletto, ( che viene) dal Diletto.
Se per le figlie di Gerusalemme intendiamo i Santi del Cielo, questa richiesta è molto adattata allo Spirito di carità, che gli anima, e gli riempie; perocchè non altro vogliono essi, che dare occasione alla Sposa di celebrare, e di far conoscere in qual concetto ella abbia il suo Diletto, onde ed ella quel più nell'amore di lui si accenda, e del suo fuoco medesimo infervori i prossimi ad amarlo e a cercarlo. Perocchè i Santi amando sempre, e celebrando le laudi dello Sposo godono grandemente, che tutti gli uomini della terra si uniscan con essi a lodarlo, e a benedirlo continuamente.
Se poi li giusti della terra intenderemo significarsi per queste figlie di Gerusalemme, noi avremo nella loro risposta un esempio della pia, e santa sollecitudine, e avidità, che debbe essere in un'anima veramente fedele, d'imparare a conoscere sempre più lo Sposo, a conoscere i suoi misteri, le sue perfezioni divine, e sopra tutto quella, che ogni scienza sorpassa, sovrumana sua carità. E questa scienza dalla sola Sposa può essere ad altri comunicata, perchè ella è la bellissima tralle donne, l'unica colomba, l'unica amica, cui lo Sposo tutto insegnò quello, che udi dal Padre, Joam. XV. 15. Vedi Cant. 1. 7. Domandano adunque, e per due volte domandano queste figlie qual sia questo Diletto, o sia questo amore, amato sopra ogni altro amore, amato, e più che amato, e ne domandano non perchè ne sieno all'oscuro, ma perchè amano di sentirne parlare, e vogliono indur la Sposa a parlarne.
5,10: Il mio Diletto candido ec. Ed ecco, che la Sposa si mette a dipingere questo suo Diletto, e in primo luogo dice, che egli è candido, e rubicondo. In vece di candido si potrebbe tradurre splendente, come sta in un'antica versione (Symm.);e questo si dice di Cristo principalmente secondo quella natura, nella quale egli è detto da Paolo: Splendor della gloria, e figura della sostanza del Padre, Heb. I. 3. E altrove: Candore di luce eterna, specchio senza macchia, Sap. VII. 26.
Rubicondo poi è detto lo Sposo secondo la umana natura, nella quale egli è il nuovo, il secondo Adamo, il quale Adamo (dice Teodoreto) ebbe questo nome, perchè formato di terra rossa. Quindi con ragione soggiunge la Sposa, che egli è eletto tralle migliaia, ovvero, come porta l'Ebreo, e la versione de' LXX, eletto tralle diecine di migliaia; nè tra tutti gli uomini, nè tra tutti gli Angeli vi ha chi a lui possa paragonarsi. Può ancora dirsi candido, e rubicondo lo Sposo in quanto uomo. Candido perchè egli è santo, innocente, immacolato, segregato da' peccatori, e sublimato sopra de' cieli, Heb. VII. 26. Rubicondo, perchè tinto del sangue, che egli sparse per abolire il peccato. Combinazione ammirabile, e tanto più difficile a intendersi prima che fosse avvenuta; perocchè se egli è candido, cioè innocente, anzi lo stesso candore, e la stessa innocenza, come avvien'egli, ch'ei sia ridotto ad essere tutto rosso del sangue sparso, egli, che non ebbe peccato, e fraude nella sua bocca non fu? I. Petr. II. 22. Combinazione perciò ammirata già dal Profeta dove dice: Chi è questi, che viene di Edom, e di Bosra?... Io sono, che parlo giustizia, e sono il Protettore, che do salute. Ma e perchè rossa è la tua roba, e le tue vesti quasi di chi preme le uve nello strettoio? Isai. LXIII. I. 2. Con ragione perciò dice la Sposa, che egli è eletto tralle migliaia questo Gesù, questo unico Salvatore, il quale premette il torchio egli solo, e senza che uomo gli desse aiuto combattè, e vinse i nostri nemici.
5,11: Il capo di lui..., le chiome del suo capo come l'involto de fiori ec. Fanno non mediocre difficoltà nella nostra Volgata quelle due voci Elatae Palmarum; perocchè nè nell'Ebreo, nè presso i LXX, nè in veruna antica versione è in questo luogo nominata la palma, e nel greco è appunto la voce Elatae, la quale sembra essere trasportata nel nostro testo; onde qualche dotto cattolico Interprete (Titelman) credette, che la voce Palmarum sia stata intrusa in questo luogo da qualche copista, che non sapeva quel che fosser le Elate, e prese questa voce per un aggettivo significante elevate, estese. Il vero però si è, che l'Elata è una pianta aromatica descritta da Plinio, lib. XII. 28, la quale com'egli dice, avea luogo nella composizione degli unguenti, nasceva in luoghi aridi, era fragrante, di lacrima assai densa, ed a questa pianta verrebbe paragonata la chioma dello Sposo secondo i LXX. Non volendo contuttociò distaccarmi dalla Volgata, abbraccio volentieri il sentimento di vari Interpreti assistiti da lumi, che abbiamo da altri Naturalisti, i quali Interpreti dicono, che le Elate sono ancora l'involto de' nascenti dattili, dal quale involto allorchè sboccia, scappa fuori come un globo di fila infinite, a cui stanno appesi i fiori, da' quali escono i dattili (così Prospero Alpino presso Cornelio a Lapide). Ecco quanto può giustificare la traduzione: venghiamo alla sposizione del testo.
Il capo dello Sposo è oro ottimo finissimo, perchè questo capo è la divinità, come altrove si disse, secondo quella parola di Paolo: Capo di Cristo è Dio, I. Cor. II. 5. Il Nisseno, ed altri applicano queste parole a Cristo anche in quanto egli è uomo; perocchè se oro nelle Scritture è la sapienza, Prov. II. 4., se oro è la carità, Apocal. III. 18., Cristo (dice l'Apostolo) fu fatto per noi Sapienza da Dio, e santificazione, e redenzione, 1. Cor. I.30. Ed egli è capo della Chiesa, la quale è il corpo di lui, è il complemento di lui, Ephes. I. 23.; onde ha ben ragione questa Sposa di encomiare questo Capo divino, le cui prerogative, e grandezze sono la gloria di lei, e de' pregi del quale ella pur si abbellisce, e s'indora. Così noi veggiamo nel Tabernacolo di Mosè l'Arca (figura della Chiesa) fatta di legno di Setim, e coperta di lame d'oro; ma il propiziatorio era tutto di oro finissimo, perchè figura del nostro propiziatore, dalla pienezza del quale e la Chiesa, e i santi tutti ricevono tutto quello, che hanno di ornamento, e di pregio. Le chiome del suo capo come ec. A questo capo divino sta unita tutta la schiera grande de' santi, i quali secondo la interpretazione della maggior parte de' Padri sono figurati nelle chiome dello Sposo, e la bellezza di questi, la quale tutta dal Capo stesso procede, è di grandissimo ornamento allo Sposo, come quel globo di fila innumerabili, da cui pende il fior della palma, orna quella pianta, e la fecondità ne dimostra. Queste chiome son nere, com'è nero il corvo, nel qual colore è significato il vigore della virtù, e per così dire, la perfetta costante virilità de' santi, i quali imitando il loro capo e condottiere vinsero il mondo, e tutti gli amori, e terrori del mondo, e copiosi frutti portarono nella pazienza.
5,12: Gli occhi di lui come colombe ec. Dove la nostra Volgata disse: presso alle copiose correnti, l'Ebreo porta nelle (loro) plenitudini, cioè nelle loro cavità, le quali cavità essi riempiono, riferendo ciò agli occhi dello Sposo, e non alle colombe, e di questi occhi, dicendo, ch'ei riempiono quasi due preziosissime pietre le loro cavità. Si ha una simil maniera di parlare nell'Ebreo, Exod. XXVIII. 17. - Ma la versione de' LXX, e l'antica Italica si accostano visibilmente alla nostra Volgata. - Gli occhi dello Sposo sono simbolo della sua vigilanza, e dell'amorosa provvidenza, con cui governa la Chiesa, e questi occhi per la loro bellezza, e dolcezza, e semplicità, e candore sono come due colombe candidissime (perocchè sono lavate col latte), le quali volentieri si stanno presso a' ruscelli di acque vive, e si posano lungo le correnti copiose.
Questa frase lavate col latte esprime la mondezza, e la purità somma di queste colombe; ma applicando tutto ciò agli occhi dello Sposo, cioè alla sua provvidenza nel governare la Chiesa, noteremo, che s. Giovanni vide l'Agnello di Dio, che avea sette occhi, Apocal. v.6., e lo stesso Giovanni spiegò quel che fossero i sette occhi, dicendo, chei sono i sette spiriti di Dio mandati per tutta la terra; lo che s' intende o dei sette Angeli primari mandati al ministero per amore di quelli, che acquistano l'eredità della salute, come dice Paolo, ovvero de' sette doni dello Spirito Santo mandato da Cristo sopra i credenti a insegnare ad essi le vie della salute. Paragonando adunque la Sposa gli occhi dello Sposo alle colombe bianchissime, viene a celebrare la dolcezza, e soavità, e mansuetudine, con cui lo Sposo governa il suo regno, e le anime guida all'acquisto della salute; onde quasi amorosa colomba i figli suoi nudrisce con sollecitudine di buona e tenera madre. Dicesi ancora, che queste colombe posano lungo a' ruscelli delle acque, e presso le copiose acque correnti; perocchè tale è l'istituto delle colombe; e per queste acque s'intende la sapienza, e la grazia, di cui è fonte perenne inesausta lo stesso Sposo; perocchè tanto la Sapienza celeste, come anche la grazia di Cristo è significata per le acque, Eccl. XV. 3. Joan. IV. 10. 13. 14., Isai. IV. 1.
E su tal proposito osservò già qualche Interprete, che nell'Ebreo la stessa voce significa l'occhio, e la fonte, onde viene tacitamente a significarsi quello, che altrove sta scritto: fonte di sapienza il Verbo di Dio nelle altezze. Ma di ciò altrove si parlerà Cant. VII. 4.
Molti Padri applicano queste parole a' mistici occhi dello Sposo, e della Sposa, cioè agli Apostoli, e a' loro successori nel ministero, per mezzo de' quali tutto il corpo della Chiesa è istruito, e guidato, e governato secondo la istituzione di Cristo. Ad essi conviene tutto quello, che di queste colombe, e delle loro proprietà si dice, onde debbon risplendere per la sincerità della fede, per la semplicità e purità d'intenzione, per la mansuetudine, e umiltà, e soprattutto (dice il Nisseno) se la dignità di esser occhi di Cristo, se il primo grado di vera gloria desiderano di conservare, amar debbono come le colombe di stare presso alle acque della divina Sapienza, vale a dire di occuparsi costantemente nella meditazione delle sacre lettere, nelle quali troveranno salubre e sincera bevanda, troveranno onde lavarsi dalle macchie, che nelle esteriori occupazioni contraggonsi, e umor rinfrescante a temperare, e reprimere gli ardori delle concupiscenze, e saranno finalmente queste acque quasi lucido specchio, in cui vedere, e distinguere i loro nemici per fuggirli, ed evitarne le insidie, come le colombe si dice, che stanno presso le acque, perchè sempre timide di lor natura si assicurano dagli uccelli di rapina, mentre della venuta di questi dalle acque stesse sono avvertite.
5,13: Le sue guance (son) come le arèole ec. Le guance le quali nella florida età giovanile sono vestite di bella lanugine, sono con similitudine molto propria paragonate alle arèole di piante rare aromatiche fragrantissime, quali ne' lor giardini le van formando con vago ordine i compositori di unguenti, i quali dalle stesse piante traggono le lacrime, e le quintessenze, e i sughi, onde manipolare gli stessi unguenti. Le guance adunque dello Sposo dinotano tutta l'esterna compostezza dell'uomo esteriore, la modestia, la verecondia, la gravità, la dolcezza, e lo splendore eziandio, e la maestà, donde non solo la interior santità, ma anche la divinità ascosa trapelava al di fuori. Spirava adunque da queste arèole, o sia dalle guance di Cristo la fragranza delle interne virtù, e per la esteriore ammirabil disposizione la interiore sovrumana bellezza veniva in qualche modo a intendersi secondo quella parola dello Spirito Santo: l'uomo si riconosce dall'aspetto, e da quel, che apparisce sul volto, si conosce l'uomo assennato, Eccl. XIX. 26. Imperocchè la costante esterior compostezza, e (per così dire) la sempre uguale aria del volto non può aversi se non regnano nel cuore tutte le virtù, che reprimano tutti i movimenti delle passioni, e all'uomo interiore dieno la tranquillità, e lo spirito dolce, e modesto, di cui parla l'Apostolo. Per la qual cosa molto bene fu detto essere il volto un tacito interprete del cuore. Tra queste virtù però, che risplenderono in Cristo, due sono da lui stesso accennate, per le quali egli si fe' distinguere principalmente, voglio dire la mansuetudine, e la umiltà, e di queste specialmente si diede Egli a'suoi discepoli e figli per maestro, dicendo: imparate da me, che sono mansueto e umile di cuore; e di queste continui furono gli esempi, che Egli ci diede nel conversare cogli uomini; e per esse Egli veramente meritò di esser chiamato il Diletto sopra ogni Diletto. Perocchè l'essere con tutti mansueto, ed umile, affabile, e dolce, pronto a dimenticare le ingiurie, e a far del bene a' nemici, disposto a prendere sopra di sè le altrui miserie per compassione verso de' prossimi, violenta per così dire i cuori anche più duri ad amare. Tale fu il costante carattere di questo Sposo, onde infinitamente amabile anche per questo lato si rende a chiunque Il conosca.
Le sue labbra come gigli stillanti ec. La somiglianza delle labbra dello Sposo co' gigli sta nella grata amabil fragranza, ed anche nel colore, in quanto la sua candidezza è simbolo della pura, e schietta dottrina. Il primo de' Greci poeti celebrando la facondia di certi ambasciadori disse, che avevano mangiato de' gigli. Sono adunque simili a' gigli le labbra dello Sposo, perchè tutte le sue parole spiravano incredibile soavità; onde que' medesimi, che erano stati mandati da'suoi nemici per prenderlo, postisi ad ascoltarlo, dovetter dire: nissun uomo ha parlato mai come quest'uomo, Joan. VII. 46.
Ed erano le parole di lui quali le descrisse il Profeta, parole caste, argento passato pel fuoco, provato nel grogiuolo di terra, affinato sette volte, Psalm. XI. 6. Ella è però cosa mirabile il dirsi dalla Sposa, che queste labbra stillino non miele, ma mirra, e mirra la più perfetta. Ma questo stesso distingue lo Sposo da tutti gli altri maestri, che ebbe il mondo, da' filosofi, da' falsi profeti, da' seminatori di errori, e di eresie. Perocchè la dottrina di lui casta, pura, odorosa come la mirra, questa dottrina, che spira per ogni parte la mortificazione della carne, e l'abnegazione dell'uomo vecchio, questa dottrina è dolce, ed amabile per le anime, che cercano di vero cuore la loro salute, ed è amara come la mirra schietta agli uomini carnali, i quali aman piuttosto le labbra della cattiva donna (la voluttà), che stillano miele, e le sue parole più molli dell'olio, ma alla fine ella si trova più amara dell'assenzio, e trinciante come spada a due tagli, Prov. v. 4.
Le anime fedeli sono simili agli Apostoli, i quali (lungi dall'essere tentati dall'esempio di certi discepoli, che si ritiraron da Cristo per aver udite delle cose, che dure parvero alla corta loro intelligenza) a lui dissero per bocca di Pietro: Signore, da chi anderemo noi? Tu hai parole di vita eterna, Joan. v. 69. La sola gloria d'imitare lo Sposo è bastevole per un'anima fedele a renderle dolci tutte le amarezze della mortificazione e dell'annegazione di se stesso; perocchè egli patì per noi, lasciandoci esempio di seguitare le sue vestigie, 1. Petr. II. 21. Osservarono i Padri come in queste parole è insinuato a' predicatori del Vangelo, che pel vano desiderio di piacere, e di esser grati agli uomini, non separino dalla dolcezza delle parole la severità santa della legge, che predichino non loro stessi cercando gli applausi della moltitudine, ma Cristo, e il bene delle anime come dice l'Apostolo, con sincerità, come da parte di Dio parlino dinanzi a Dio in Cristo, II. Cor. II. 17.
5,14: Le sue mani fatte al tornio ec. Le mani dello Sposo, come notò Teodoreto, e molti altri Interpreti, significano le opere fatte da lui; e in tal senso sono più volte poste nella Scrittura le mani. Lodando adunque le mani, loda la Sposa le opere esimie senza numero del Verbo di Dio fatto carne. Or ella dice, che queste mani son fatte al tornio, cioè sono lavorate con gran perfezione, nel qual senso proverbialmente anche tra noi si usa questa frase: sono di oro, cioè di pregio infinito, e tutte effetto della inesplicabile sua carità simboleggiata nell'oro; e le dita sono piene di anella di oro, nelle quali anella splen dono preziosi giacinti.
Perocchè la voce giacinto, come apparisce dall'Ebreo e dal Greco, significa in questo luogo, come in altri delle Scritture, la pietra preziosa di questo nome, che è di colore celeste. Si nota ancora nelle opere fatte al tornio oltre la perfezione, la celerità e facilità, con cui si fanno, a differenza di quelle, che con altri strumenti volessero farsi. Così Cristo con maravigliosa facilità, e prontezza, e perfezione fece le stupende opere, che si leggono ne' santi Vangeli, illuminando i ciechi, risuscitando i morti, sanando tutte le malattie, cangiando le leggi della natura con una parola. Tra tutti però i prodigi della sua maravigliosa possanza e della sua carità, i più ammirabili sono quelli, nei quali dimostrò l'impero, che avea sopra i cuori degli uomini per cangiarli, e trarli a se con una sola parola, come trasse Matteo dal suo banco, ed altri dalla pesca, e dalle reti all'onore di suoi Apostoli. Queste opere sì grandi, e perfette eseguite con tanta facilità erano quelle, colle quali dovea farsi conoscere da tutti la divinità di lui: le opere, ch'io fo, queste parlano in favor mio, Joan. X. 25., v. 35. Perocchè la cognizione, e la fede della divinità di Cristo era sommamente necessaria alla salute degli uomini,e perciò sovente cercò egli di far intendere a' Giudei, che le opere vedute, e ammirate da essi erano opere di Dio, perchè opere di lui, che era Dio insieme, ed uomo. Quindi al Padre le attribuiva dicendo: il Padre, che sta in me, egli fa le opere, Joan. XIV. Io, ma insieme diceva: io, e il Padre siamo una stessa cosa, Joan. X. 30.
Auree perciò sono dette le opere dello Sposo, perchè opere di Dio, conciossiachè l'oro è anche simbolo della divinità, come in altri luoghi dicemmo; ma egli è anche simbolo della carità, come si è detto, e noi sappiamo, che tutte le opere di Cristo ebbero per principio l'amore di lui verso del Padre e l'amore verso degli uomini. I preziosi giacinti, onde sono ornate le dita dello Sposo vengono a indicare (come osservò un antico Interprete) i fini, e i consigli tutti celesti, e divini, per cui ogni opera esteriore da lui fu fatta.
Il suo ventre d'avorio ec. Può a prima vista recar maraviglia, che la Sposa celebri nel suo Diletto una parte del corpo la più debole, come quella, che è priva di ossa, onde il solo suo nome suona un non so che d'imperfetto; ma appunto in questo noi dovrem riconoscere la sublimissima cognizione data a lei del carattere del suo Sposo. Imperocchè pel ventre di lui certamente s'intende quello, che nel Verbo fatto carne apparve agli occhi degli uomini più debole e infermo; ma, come dice l'Apostolo, quella, che è debolezza di Dio, è più robusta degli uomini, 1. Cor. 1.25
E ciò viene significato allorchè si dice, che il ventre di Cristo è di avorio, cioè tutto di osso, di osso forte, e candidissimo; onde nelle stesse infermità della carne mortale assunta da lui e unita alla natura divina, una incomprensibil fortezza, ed una maravigliosa possanza si ascose, per cui e la morte, e l'inferno stesso fu vinto. Nel candido colore dell'avorio si manifesta la purezza, e mondezza impareggiabile dello Sposo, in cui questa purezza è per di più ornata del cor teggio di tutte le virtù significate per li zaffiri, de' quali questo avorio è smaltato. Fu adunque in Cristo la carne stessa fragile, e mortale rivestita d'insuperabil fortezza, rivestita di candore più che angelico, rivestita di tutte quelle virtù, le quali della stessa purezza sono ornamento, e custodia. Onde riguardo a questa si potè dire, che in lui il corruttibile rivestito fosse della incorruttibilità, e il mortale della immortalità, I. Cor. XV. 53. il zaffiro più stimato nell'antichità era quello punteggiato di piccole macchie di color d'oro, onde rappresentava il cielo quand'è sereno colle sue stelle. Vedi Exod. XXIV.
5,15: Le sue gambe colonne di marmo fondate sopra basi d'oro. Il marmo, di cui qui si parla, egli è un marmo prezioso, e (come portano due antiche versioni Greche) marmo di Paros, marmo bianchissimo, e finissimo celebrato da tutta l'antichità. Quella statua veduta in sogno dal Re di Babilonia, perchè era un'immagine della gloria mondana, avea il capo d'oro, ma i piedi parte di ferro, parte di terra cotta, Dan. II. 32. Ma nel Diletto non solo la testa è di oro, ma d'oro son anche le piante dei piedi, sopra de' quali posano le gambe di lui, che sono di bellissimo, e fortissimo marmo. Celebrò anche Isaia i piedi di quelli, i quali doveano scorrere il mondo ad annunziare la pace agli uomini, ad annunziare i beni, e la salute recata loro da Cristo; ma quanto più sono da ammirarsi i piedi dell'Autore della pace, dell'Autore, e Consumatore della Fede, il quale scorse le città, e i castelli della Giudea predicando il regno di Dio, facendo miracoli, patendo persecuzioni, e non istancandosi giammai nell'istruire, nell'illuminare, e beneficare tutti gli uomini. Egli è veramente quello Sposo, di cui fu scritto, che spuntò fuora qual gigante a correre sua carriera: venne dal sommo cielo, e' sua carriera fornì con incredibile amore e fortezza morendo per l'uomo. In questi passi, e in tutti i viaggi di Cristo per tutto il tempo della sua vita mortale risplendè ammirabil candore, e purezza d'intenzione, perchè egli non cercò la sua gloria, ma la gloria del Padre, e il bene de' prossimi; risplendè una fortezza, e costanza divina insuperabile a tutte le ingratitudini, e persecuzioni degli uomini; e perciò le sue gambe sono dette colonne di marmo, e si aggiunge, che sono fondate sopra basi d'oro, perchè stabilite sopra la doppia carità, la carità con cui egli amò il Padre, e affine di far conoscere com' ei l'amava, andò volentieri alla morte; la carità con cui amò i fratelli, e per essi diede se stesso a'patimenti, e alla croce.
Egli a vedersi è come il Libano, ec. La maniera, onde si è tradotta la nostra Volgata combina e con essa, e coll'Ebreo, e co' LXX; perocchè prende qui la Sposa a celebrare quel tutto, di cui avea descritte, ed encomiate le parti; e vuol dire: tutto quello, che nel mio Sposo si può vedere cogli occhi e del corpo, e dell'animo, tutto questo forma un'immagine sommamente grande, eccelsa, speciosa, amabile, gratissima a vedersi, quale è il Libano, monta altissimo, ricco di altissime, e bellissime piante, ricco di arbori aromatici, ricco di erbe e di fiori pregiati; perocchè tutta la gloria del Libano nel mio Diletto eminentemente ritrovasi.
E non è che la Sposa non sappia come a tutto questo è superiore in ogni modo il suo Diletto, ma ella non potè trovare sopra la terra nulla di più grande da farne paragone con esso. Conciossiachè colla figura del Libano, in cui tante rare cose comprendonsi, ella volle significare come nel suo Diletto si riunisce tutto quello, che di virtuoso, e di grande si vide, e si vedrà sopra la terra dal giusto Abele fino all'ultimo degli eletti; che in lui sono tutte le virtù, tutte le grazie, tutti i doni, i quali con misura determinata furon distribuiti a tutti, e a ciascuno de' Santi, ma senza misura furono versati in lui, che dovea essere lo Specioso in bellezza sopra tutti i figliuoli degli uomini. E oltre a ciò, siccome il Libano dà l'essere, e il nudrimento a tutte le piante, a tutte gli aromi, a' fiori, all'erbe, che l'adornano, così da Cristo hanno l'essere, e la vita spirituale, e la loro perfezione tutti i Santi, i quali dalla pienezza di lui ricevono, ed i quali tutta formano la bellezza, e la gloria della sua Sposa, la Chiesa. Questa Chiesa, dice l'Apostolo, ella è il corpo di lui, e il complemento di lui, ed egli è il capo, da cui tutto il corpo compaginato, e connesso per via di tutte le giunture di comunicazione, in virtù della proporzionata operazione sopra di ciascun membro, l'augumento prende proprio del corpo per sua perfezione, mediante la carità, Eph. 1. 23., IV. 15 16.
Eletto come i cedri. La Sposa non contenta della comparazione fatta da lei del suo Sposo col Libano, monte il più alto, e celebrato, che si conoscesse dagli Ebrei, paragona adesso lo Sposo istesso alle piante più alte, e più famose, che abbia lo stesso Libano, quali sono i cedri, dei quali è parlato tante volte nelle Scritture. Egli adunque è eletto sublime come i cedri, perchè di lui sta scritto, che il Padre lo coronò di gloria, e di onore, e lo costitui sopra le opere delle sue mani, Psalm. VIII. 5. 6. Ecco in qual modo di questo Diletto colla stessa figura si parli da Ezechielle: queste cose dice il Signore Dio: io prenderò della midolla del cedro, del cedro sublime, e la porrò; e taglierò dalla vetta de' suoi rami un tenero ramoscello, e pianterollo sul monte alto ed eminente; sul monte sublime d'Israelle lo pianterò, e spunterà in arboscello, e fruttificherà, e diverrà un gran cedro, e sotto di lui avranno albergo tutti gli augelli, e tutte le specie di volatili all'ombra di lui faranno il loro nido,Ezech.XXVII. 22. 23.
Questo tenero ramoscello tolto dalla midolla del cedro, e dalla vetta de' rami del cedro, egli è il Cristo nato di una Vergine della stirpe reale di David. Egli piantato da Dio nella Chiesa sarà cedro tanto sublime, che sarà protezione di tutti i credenti, i quali all'ombra di lui viveranno, e produrranno frutti di buone opere. Vedi quello che si è detto in questo luogo. Egli è però da osservarsi, che non ad uno de' cedri del Libano è paragonato dalla Sposa il Diletto, ma si a' cedri del Libano; perocchè tutto in lui è grande, tutto è sublime, le azioni, le parole, i patimenti istessi, e le umiliazioni, alle quali per amor nostro si soggettò.
5,16: Soavissime sono le sue fauci. Celebra nuovamente la Sposa il dolce soavissimo favellare dello Sposo; perocchè di questo ella vuol parlare, parlando delle fauci, per cui passa la voce. Ella adunque previene l'Evangelista, che scrisse: tutti ammiravano le parole di grazia, che uscivano dalla sua bocca, Luc. IV. 22. Quando nel versetto 13. La Sposa lodò le labbra dello Sposo, ella disse, che elle stillavano mirra squisita, e per conseguenza amarissima; ora poi ella aggiunge, che le parole di lui sono sempre soavissime anche quando o corregge, o riprende, o predica la mortificazione di se stesso, come quando colle sue consolazioni, e colle dolcissime promesse conforta le anime. l'Ebreo propriamente dice: le fauci di lui (sono) dolcezze.
Ed egli è tutto desiderabile. L'Ebreo nello stesso senso, ma con più enfasi: egli è tutto desiderii. Tutto quello che è in lui fa sì, che egli sia il desiderio, e l'amore ardentissimo di tutte le anime, che hanno la sorte di conoscerlo. Imperocchè qual mai obbietto più degno degli affetti di tutti i cuori, che quel Verbo di Dio, mistero grande della pietà (come dice l'Apostolo), il quale si è manifestato nella carne, è stato giustificato mediante lo spirito, è stato conosciuto dagli Angeli, è stato predica to alle genti, è stato assunto nella gloria? 1. Tim. III. 16. Quindi egli stesso Sapienza del Padre avea detto di se: quelli, che di me mangiano, hanno sempre fame, e quelli, che di me beono, hanno sempre sete di me, Eccl. XXIV. 29. Ma Cristo non è meno agmabile, e desiderabile quando è flagellato, coronato di spine, pendente sopra la croce tra due ladroni, satollato di obbrobri, divenuto finalmente l'uomo de' dolori, l'intimo degli uomini. perocchè secondo la verissima parola di s. Bernardo, quanto egli fu più umiliato per amor della Sposa, tanto più fu utile a lei, e più caro debbe essere a lei.
Tale è il mio Diletto, ec. Così finisce la sua pittura la Sposa, dicendo alle figlie di Gerusalemme, ecco che io nel miglior modo che seppi, e potei, vi ho descritto qual sia il mio Diletto, l'amore dell'anima mia; giudicate voi se io ho ragione di amarlo, e di cercarlo con tanta ansietà. Io non dubito, che voi pure cominciando a conoscerlo, lo cercherete, lo amerete, e sarete amate da lui.
5,17:Dove andonne il tuo Diletto, ec. Se la Sposa col delineare a parte a parte questo ritratto si propose (come dicemmo) di accendere ne' cuori delle figlie di Gerusalemme un vivo, e ardente desiderio di trovare questo Diletto, ella ha motivo di congratularsi seco stessa dell'effetto di sue parole. Perocchè ecco che queste anime con tenerissimo affetto la pregano di dir loro dove sia andato il suo Sposo, bramose di cercarlo insieme con lei: teco lo cercheremo. Or in queste parole vien dimostrata la regola, che dee tenere nel cercare di Cristo un'anima, che veramente ami la propria salute, voglio dire dee domandare alla Chiesa, e apparare dalla Chiesa i mezzi, e le vie di trovarlo; imperocchè privilegio costante dell'unica Sposa si è l'avere avuto, ed aver tuttora per suo maestro Gesù Cristo, e il suo spirito; ma i semplici fedeli da lei debbon essere istruiti, e guidati, affinchè non accada, che seguendo il proprio parere, perdano Cristo, mentre credono di cercarlo, ed anche di averlo trovato.
E in ciò sono degni non so se più di compassione, o di biasimo gli ultimi Eretici, i quali scossa l'autorità sì antica, fondatissima, venerabile della Chiesa, mentre vogliono, che nel fatto della religione, ciascun uomo sia guida a se stesso, che altro fecero, se non dare un cieco per condottiere a un cieco? Nè stieno a dire, che la guida di ciascun uomo debbe essere la divina parola; perocchè tolta che hanno una volta di mezzo quella autorità, che dee giudicare del vero senso delle Scritture, delle quali la Sposa stessa ricevette da Cristo l'intelligenza, che rimane egli più da aspettarsi, se non che ogni uomo in particolare secondo i suoi pregiudizi, secondo la sua capacità, secondo il proprio capriccio interpretandole, una religione, o piuttosto un mostro di religione si formi a suo talento; onde alle acefale società di tutti questi Eretici rimproverare si possa quello, che agli Arriani fu rimproverato da s. Atanasio: Gli Arriani non hanno una fede, ma molte. E ciò pur troppo è avvenuto, riguardo a questi ultimi Eretici, discordanti e ne' sentimenti, e nella pratica tra lor medesimi quasi non meno di quel, che discordino dalla cattolica Chiesa.
Cerchiamo noi Cristo nelle Scritture, ma cerchiamolo colla Chiesa, perchè con essa egli è secondo la sua promessa, ed ella è, e sarà in ogni tempo colonna, e base di verità.
MATER AMABILIS, MATER ADMIRABILIS,
VIRGO FIDELIS, ORA PRO NOBIS