domenica 19 gennaio 2020

Guarda mia Madre. Se l’Eucarestia è il cuore di Dio, Maria è il ciborio di quel Cuore.

"Io sono la Vergine dell'Eucaristia,
la Sorgente di Olio Santo della Perenne Unzione,
la Madre dell'Ulivo Benedetto Gesù
e vengo qui (Manduria)  per salvare l'Italia, il mondo"





QUADERNI DEL 1943 CAPITOLO 36


23 giugno 1943

   ore 9-10.
   Dice Gesù:
   «Nell’altro incontro eucaristico ti ho fatto vedere cosa è l’Eucarestia. Oggi ti mostrerò un’altra verità eucaristica. Se l’Eucarestia è il cuore di Dio1, Maria è il ciborio di quel Cuore. Guarda mia Madre, eterno ciborio vivo in cui scese il Pane che viene dal Cielo. Chi mi vuole trovare, ma trovare con la pienezza delle doti, deve cercare la mia Maestà e Potenza, la mia Divinità, nella dolcezza, nella purezza, nella carità di Maria. È Lei che del suo cuore fa il ciborio per il cuore del suo e vostro Dio. Il Corpo del Signore si è fatto corpo nel seno di Maria, ed è mia Madre che con un sorriso ve lo porge come se vi offrisse il suo amatissimo Pargolo deposto nella cuna del suo purissimo, materno cuore. È gioia di Maria, nel Cielo, darvi la sua Creatura e darvi il suo Signore. Con il Figlio vi dà il suo cuore senza macchia, quel cuore che ha amato e sofferto in misura infinita.

   È opinione diffusa che mia Madre non abbia sofferto altro che moralmente. No.

  La Madre dei mortali ha conosciuto ogni genere di dolore. Non perché lo avesse meritato. Era immacolata e l’eredità dolorifica di Adamo non era in Lei. Ma perché, essendo Corredentrice e Madre di tutto l’umano genere, doveva consumare il sacrificio fino al fondo e in tutte le forme.Perciò soffrì, come donna, le inevitabili sofferenze della donna che concepisce una creatura, soffrì stanchezze della carne appesantita del mio peso, soffrì nel darmi alla luce2, soffrì nell’affrettata fuga, soffrì mancanza di cibo, soffrì caldo, gelo, sete, fame, povertà, fatica. Perché non avrebbe dovuto soffrire se Io, il Figlio di Dio, soggiacqui alle sofferenze proprie dell’umanità?

   Essere santi non vuole dire essere esenti dalle miserie della materia. Essere redentori, poi, vuol dire essere particolarmente soggetti alle miserie della carne che ha sensibilità dolorifiche. La santità e la redenzione si esplicano e si raggiungono con tutti i modi, anche con dei mali di denti, per esempio. Basta che delle miserie carnali la creatura se ne faccia un’arma di merito e non di peccato.
   Io e Maria, delle miserie della natura umana abbiamo fatto tanti pesi di redenzione per voi. Anche ora soffre mia Madre quando vi vede così sordi alla grazia, ribelli a Me. Santità, lo ripeto, non vuole dire esclusione[86] del dolore, ma anzi vuol dire imposizione del dolore. .

   Ringrazia dunque Maria, che mi ti dà con un sorriso di madre, per tutto il dolore che l’esser mia Madre le ha portato. Non ci pensate mai a dire grazie a Maria nel cui seno divenni carne! Quella Carne che ora do a voi per nutrirvi alla vita eterna.
   Basta: contempla e adora Me raggiante nell’Eucarestia, nel trono vivo che è il petto di Maria, la purissima Madre mia e vostra.»

   Ora spiego io. Domenica, anzi no. Venerdì 18 mi pareva di vedere Gesù a fianco del letto, gliene ho accennato. Ma non faceva nulla. Domenica 20, prima che venisse lei3, mentre c’era lei e dopo la sua venuta per la Comunione, mi pareva di vedere Gesù, non più a fianco del letto, ma in fondo allo stesso, che mi dava Lui la particola. Ma non aveva pisside in mano: aveva il suo Cuore e mi dava come particola il suo Cuore levandoselo dal petto. Era di una maestà a di una dolcezza infinita. Mi spiegò poi il significato della visione. L’avrà trovato nel quaderno4 in data 20 giugno.

   Stamane vedo la Madonna. Pare seduta, sorridente con amore, e mestizia però.
   Ha il manto scuro che le scende dal capo, aperto sulla veste pure scura, sembra marrone. Alla vita ha una cintura scura. Sembrano tre toni di marrone. In testa, sotto al manto, deve avere un velo bianco perché ne intravedo un lieve filino.
   Sul mezzo del petto raggia un’Ostia grandissima e bellissima. E - quello che costituisce il mirabile della visione - pare che attraverso le Specie (che qui paiono come un quarzo bellissimo: sono pane, ma paiono cristallo brillante) appaia un bellissimo bimbo. Il Bimbo-Dio fatto carne.

   La Madonna, che ha le braccia aperte per tenere aperto il manto, guarda me e poi china il volto e lo sguardo adoranti sull’Ostia che sfavilla nel suo petto. Nel suo petto, non sopra al petto. È come se, per dei mistici raggi X, io potessi vedere nel petto di Maria, o meglio è come se dei raggi X facessero apparire al di fuori quello che è dentro a Maria. Quasi Questa fosse di un corpo senza opacità. Non so spiegare.

   Insomma io vedo questo e Gesù me lo spiega5. La Vergine non parla. Sorride solo. Ma il suo sorriso è eloquente come mille parole e più ancora.

   Come mi piacerebbe saper dipingere per fargliene copia e fargliela vedere. E soprattutto le vorrei fare vedere le diverse luminosità. Sono tre: una,di una pacata soavità, costituita dal corpo di Maria, è l’involucro esterno e protettore della seconda, raggiante e viva luminosità costituita dalla grande Ostia. Una luce vittoriosa, direi, per usare parola umana, la quale fa da involucro interno al Gioiello divino che splende come fuoco liquido di una bellezza che non si descrive e che è, nella sua infinita bellezza, infinitamente dolce, ed è il piccolo Gesù che sorride con tutte le sue carni tenerelle e innocenti per la natura sua di Dio e per la età sua di infante.

  È uno splendore, questo terzo, sotto i veli degli altri due splendori, che non c’è paragone a descriverlo. Bisogna pensare al sole, alla luna, alle stelle, prendere le luci diverse di tutti gli astri, farne un unico vortice di luce che è oro fuso, diamante fuso, e questo dà una pallida similitudine di quanto vede il mio cuore in quest’ora beata. Cosa sarà il Paradiso avvolto da quella luce?

   Ugualmente non c’è paragone atto a dire la dolcezza del sorriso di Maria. Regale, santo, casto, amoroso, mesto, invitante, confortevole... sono parole che dicono uno e dovrebbero dire mille per accostarsi a quello che è quel sorriso verginale, materno, celeste.

   1 Nei dettati del 4 giugno (pag. 13) e del 20 giugno (pag. 123). 

  
2 Da intendersi alla luce dei dettati del 7 settembre, del 15 settembre, del 27 novembre, dell’8 dicembre, del 18 

dicembre, del 25 dicembre, del 29 dicembre. Inoltre, nella monumentale opera sulla vita del Signore, che sarà scritta da 

Maria Valtorta, si legge che la divina maternità della Madonna non comportò in Lei alcun dolore fisico, che è frutto del peccato originale, dalla cui macchia Ella fu preservata; ma che la Madonna, essendo la Corredentrice, soffrì ogni sorta di dolore, procurato dalle circostanze e dagli uomini, anche a riguardo del suo concepimento e del suo parto verginali. 

  3 Padre Migliorini. 
   4 Nel quaderno n. 3.

AVE MARIA PURISSIMA

Le nozze di Cana - Tre giorni: tre epoche - Il primo miracolo

QUADERNI DAL 1945 AL 1950 CAPITOLO 590


19 gennaio 1947

   [Precede il capitolo 49 del LIBRO DI AZARIA]
 
   Dice Gesù:
   «Avrei potuto parlare prima per darti questa gemma, o mio piccolo Giovanni. Ma tale è la dignità del S. Sacrificio, troppo poco conosciuto per ciò che è da troppi cristiani cattolici, che ho dato la precedenza alla spiegazione di esso. Ed è questa la prima lezione che do a molti, parlando eccezionalmente in dì festivo e su un brano evangelico che ho già trattato secondo l'insegnamento consueto. Quando un sacerdote o una voce parla in nome di Dio e per ordine di Dio, quando si ubbidisce ad un precetto, Io, che sono il Signore, taccio perché grande è la dignità di un maestro che parla in mio nome e per ordine mio, e grande è la dignità di un rito, grandissima quella della S. Messa, rito dei riti così come l'Eucarestia è il Sacramento dei Sacramenti.

   Or dunque ascolta, o mio piccolo Giovanni. Ti ho detto molto tempo fa ­– eri al luogo di esilio e soffrivi come solo Io so quanto – che ogni brano ed episodio evangelico è una miniera di insegnamenti.
Ricordi? Ti avevo mostrato la seconda moltiplicazione dei pani1 e ti avevo detto che, come con pochi pesci e pochi pani avevo potuto sfamare le turbe, altrettanto i vostri spiriti possono essere sfamati all'infinito dai pochi brani che sono riportati dai 4 Vangeli. Infatti sono 20 secoli che di essi si sfama un numero incalcolabile di uomini. Ed Io, ora, attraverso il mio piccolo Giovanni ho dato aumento di episodi e parole perché veramente l'inedia sta per consumare gli spiriti e Io ne ho pietà. Ma anche da quei pochi episodi dei 4 Vangeli vengono, da 20 secoli, pane e pesci agli uomini perché ne siano saziati e ne avanzino ancora.

   Tutto ciò fa lo Spirito Santo, che è il Maestro docente sulla cattedra dell'insegnamento evangelico. 
"Quando sarà venuto2 il Paraclito, Egli vi ammaestrerà in ogni vero e vi insegnerà ogni cosa e vi rammenterà tutto quanto ho detto", insegnando lo spirito vero di ogni parola, di ogni lettera dell'episodio. Perché è lo spirito della parola, e non la parola in sé, che dà la vita allo spirito. La parola incompresa è suono vano. È incompresa quando è solo vocabolo, rumore, non "vita, seme di vita, scintilla, sorgente" che mette radici, accende, lava e nutre.

   Le nozze di Cana3. Ecco che da 20 secoli sono spunto ai maestri di spirito a predicare la santità del matrimonio compiuto con la grazia di Dio, a predicare la potenza delle preghiere di Maria, il suo insegnamento all'ubbidienza: "Fate ciò che Egli vi dirà", la potenza mia che muta l'acqua in vino, e così via. Nessuno di questi frutti colti dal brano evangelico sono errati. Ma non questi soli sono i frutti che l'episodio porta e che voi potete coglierne.
   Mia piccola innamorata, amante di Me, affamata di Me Eucarestia, questo è uno degli episodi della mia vita pubblica in cui è in germe il miracolo ultimo dell'Uomo-Dio: l'Eucarestia. La Risurrezione è già miracolo di Dio-Uomo, il primo di tutti i miracoli venuti da quando, dalla Vittima distrutta dal Sacrificio, emerse il glorificato Gesù Dio-Uomo, il Vittorioso. Prima era ancora nascosto il Dio nell'Uomo. La sua Natura trapelava per bagliori nella parola e nei miracoli, simile alle vampate che incoronano di tanto in tanto un monte e fanno dire: "Qui si cela il fuoco e questo monte, in apparenza simile a molti altri, è un vulcano che ha per sua anima l'elemento fuoco in luogo di essere unicamente strati su strati di terre e di rocce".
   Ma l'Umanità del Cristo che doveva patire e morire era in tutto si­mile a quella di ogni uomo, avendo una carne soggetta alla legge della materia, col bisogno di cibo, di sonno, di bevande, di vesti, e disagio di freddo o di calore, e stanchezze per molto lavoro o lungo cammino, e compattezze di carne, e – miseria per l'Onnipresente – e costrizione in un unico luogo. Tutto meno la colpa e gli appetiti alla stessa. Anzi, tutto, e soprattutto ciò che è il martirio dei giusti: il dover vivere fra i peccatori vedendo le offese fatte all'Eterno da es­si, e le discese dell'uomo nella fanghiglia dei bruti. L'Uomo – Io te lo dico, Maria – ha sofferto, col suo intelletto e col suo cuore di Giusto, più di questo che di ogni altra cosa. Il fetore del vizio e del peccato! La verminaia di tutte le concupiscenze! Io te lo dico: ho co­minciato ad espiarle da quando le ho avute vicine, tanto era il tor­mento che davano all'anima e all'intelletto mio. Gli angeli hanno numerato i colpi degli immateriali flagelli dei vizi dell'uomo sulla mia Umanità, numerosi quanto e dolorosi più di quelli del flagrum romano.
   Dopo il Sacrificio, il mio vero Corpo, pur restando vero Corpo, assunse la libera bellezza e potenza dei corpi glorificati, quella che sarà anche la vostra. Quella in cui la materia somiglierà allo spirito con il quale visse e lottò per farsi regina come esso re. E il Corpo fu glorioso come lo Spirito che in esso era divino, non più soggetto a tutto quello che prima lo mortificava, e lo spazio non fu più ostacolo, né ostacolo il muro, né ostacolo la lontananza, né ostacolo l'essere Io qui nel Cielo voi lì sulla Terra, perché Io fossi in Cielo e in Terra vero Dio e vero Uomo colla mia Divinità, con la mia Anima, col mio Corpo e col mio Sangue, infinito come alla mia Natura divina si conviene, contenuto in un frammento di Pane come il mio Amore volle, reale, onnipresente, amante, vero Dio, vero Uomo, vero Cibo all'uomo, sino alla consumazione dei secoli, e vero gaudio degli eletti per ciò che non è più secolo ma eternità.
   L'Eucarestia è il miracolo ultimo dell'Uomo Dio. La Risur­re­zio­ne, il miracolo primo del Dio Uomo che da Se stesso trasmuta il suo Cadavere in Vivente eterno. L'Eucarestia, trasformazione delle spe­cie del pane e del vino in Corpo e Sangue di Cristo, è al limite fra le due epoche come una stella, quella del mattino, fra i due tempi che han nome Notte e Giorno. E quando brilla la stella del mattino il viandante si dice: "Ora è giorno" benché ancora non sia giorno, per­ché sa che quella luce, ai limiti del cielo, è presagio d'alba. L'Euca­restia è la Stella del mattino del tempo nuovo. La sua luce di mira­colo d'amore è presagio d'alba, dell'alba del tempo di Grazia. Per questo sta, raggiante dei suoi fuochi, sospesa fra il tempo che si chiude e quello che s'apre, alla fine della mia predicazione, all'ini­zio della Redenzione.
   Se la stella dell'Epifania4 brillò per dire ai re che il Re universale era dato al mondo, la stella della mia Eucarestia brillò nella Cena pasquale per dire al mondo che il vero Agnello stava per essere immolato, che già si immolava, dandosi spontaneamente in perpetuo cibo agli uomini perché il Sangue suo non bagnasse soltanto gli stipiti e gli architravi, ma circolasse, tutt'uno con loro, a farli santi, e la Carne immacolata fortificasse la loro debolezza mentre l'Anima del Cristo e la Divinità del Verbo abitano in loro portando seco l'inscindibile Presenza del Padre e dell'Eterno Spirito. E fra l'annuncio della stella epifanica e l'annuncio della stella eucaristica, ecco brillare con i suoi simboli incompresi la luce del miracolo di Cana a dire al mondo ciò che avrebbe fatto, nel cuore di pietra degli uomini e con la povera acqua del loro pensiero, la Sapienza e Potenza incarnata.
   "Tre giorni dopo c'era un banchetto". Tre giorni: tre epoche, prima del convito di gioia. La prima, dalla creazione del mondo5 sino alla punizione del diluvio; la seconda, dal diluvio alla morte di Mosè. La terza, da Giosuè, mia figura, alla mia venuta. E ancora tre epoche, o tre giorni: i tre anni della mia predicazione prima del convito pasquale. E come avviene per un banchetto nuziale, che la preparazione ad esso è sempre più piena più si avvicina il momento del festino, così fu per il mio convito d'amore. Perciò sempre più chiare le voci del concerto profetico e le luci degli attendenti il vero Sposo che veniva a sposare Sé all'Umanità per farla regina.
   "E vi era la Madre di Gesù". La Madre! Può mancare la Madre se deve essere partorito l'uomo nuovo? Può non esservi Eva se deve essere d'ora in avanti la "Vita" dove era la Morte? E può mancare la Donna6 mentre si avvicina l'ora che il Serpente avrà oppresso il capo e limitata la sua libertà d'azione? Non può. E la Madre dei viventi, l'Eva senza macchia, la Donna dell' "Ave" e del "Si faccia", la Donna dal calcagno potente, la Corredentrice, è presente al convito con cui ha inizio lo sponsale dell'Umanità con la Grazia.
   Ma "venuto a mancare il vino" i convitati non avrebbero gioito per la presenza di Gesù. Oh! veramente quando venni per il mio convito di Grazia trovai che il vino mancava presto. Era troppo poco, e presto fu consumato, e gli uomini caddero in tristezza perché Io deludevo le loro speranze di inebbriarsi di umani succhi di potenza e vendetta.
 Che avevo trovato iniziando la mia missione? "Idrie di pietra preparate per le purificazioni dei Giudei". Ossia per le purificazioni materiali. Ecco. I cuori, dopo secoli e secoli di impura assimilazione della Sapienza, si erano mutati in idrie di pietra. E non già per purificare se stessi, ma per servire a purificare. Il rigorismo, l'esteriorità dei riti. Quel rigorismo che induriva senza servire a detergere neppure se stessi. Il solito peccato di superbia del credersi perfetti e di credere impuri gli altri. La durezza opaca della pietra opposta alla luce e alla duttilità della Sapienza che illumina a comprendere e aiuta ad amare. Cuori chiusi. Anche l'acqua che li empie non li fa morbidi. Serve a ghiacciarli. E nulla più. Gettata l'acqua, essi sono aridi, duri e senza profumo. Questo è l'esteriorità dei riti che colmano senza penetrare, senza trasformare, senza far dolci e profumati. Le idrie, i cuori, erano vuoti. Non contenevano neppure quel minimo di cosa utile che è l'acqua per purificare gli altri. Erano vuoti. Non avevano neppure pensato a colmarsi del minimo. Vuoti, arcigni, scabri, inutili, scuri nell'interno come un antro, bigi all'esterno per polvere e vecchiaia.
   "Empite d'acqua le idrie". Oh! quanta l'acqua viva che Io ho versato nei cuori di pietra degli ebrei perché almeno avessero un minimo per essere utili ad alcunché! Ma essi non si mutarono e nella quasi maggioranza respinsero l'acqua, restando vuoti, duri, oscuri, arcigni.
   "E ora attingete". Ecco. Nei cuori dove l'acqua fu accolta si mutò in vino eletto, tanto che il maestro di tavola disse: "Tutti dànno al principio il vino migliore e poscia il peggiore, mentre tu hai serbato il migliore alla fine". Ho infatti serbato il migliore alla fine, Io, sposo del gran convito. Nell'Ultima Cena, ultimo atto del Maestro, Io, Sposo, ho mutato non l'acqua in vino, ma il vino in Sangue mio per una nuova trasformazione che vi aiutasse, o uomini, ad essere felici della mia felicità che è santa ed eterna. Avevo per tre anni empito le idrie vuote dell'Acqua veniente dal Cielo. Ma ora l'acqua non bastava più. Veniva il tempo della lotta e del giubilo, e il vino è utile al lottatore e immancabile ai conviti. Ed Io vi ho dato l'Eucarestia, il mio Sangue, perché beveste la mia stessa forza, e forti foste, e la mia ilare volontà di servire Iddio, e diveniste eroi come il Maestro vostro, e la mia gioia fosse in voi.
   Né quel miracolo di trasformazione7 di una specie nell'altra ha più avuto fine. Le idrie del convito di Cana si vuotarono presto lasciando ebbri gli invitati alle nozze. La mia Eucarestia empie i calici e le pissidi di tutta la Terra da secoli. E sino alla fine dei secoli gli affamati, gli esausti, i sitibondi, gli stanchi, gli afflitti, i morenti e quelli che appena cominciano a vivere con ragione, i puri come i penitenti, i malati come i sani, i sacerdoti come i laici, gli uomini d'ogni razza e condizione, sulle vette e nelle pianure, fra le nevi polari e all'equatore, sulle acque e sulle terre, vengono a bere, a mangiare, a nutrirsi, a salvarsi, a vivere del mio Sangue e della mia Carne, di questo Vino dato alla fine del Convito, alle soglie della Redenzione, perché fosse il Convito perpetuo dello Sposo a chi lo ama e la Redenzione continua dei vostri languori e cadute.
   Le nozze di Cana. La trasformazione dell'acqua in vino. La Cena di Pasqua: la transustanziazione del pane e vino nel mio Corpo e nel mio Sangue. La prima, a segnare l'inizio della mia missione di trasformazione degli ebrei dell'antico tempo in discepoli del Cristo. La seconda, a segnare il principio della transustanziazione degli uomini in figli di Dio per la Grazia rivivente in loro. L'ultimo miracolo dell'Uomo Dio. Il primo e perpetuo miracolo dell'Amore umanizzato.
   Questa, mio piccolo Giovanni, una delle applicazioni – ed è la più alta – del miracolo delle nozze di Cana.
   Ed in te, e per sempre, il mio Corpo e il mio Sangue siano quelle Cose preziose e incorruttibili per le quali, come dice8 Simon Pietro, sei stata riscattata, affinché tu esalti le virtù di Colui che dalle tenebre ti chiamò all'ammirabile sua luce. La mia pace a te, piccola sposa, anelante all'Amore. La pace a te. La pace a te. La pace a te.»
   [Segue, in data 26 gennaio 1947, il capitolo 50 del LIBRO DI AZARIA. Con date del 21, 22 e 23 gennaio 1947 sono i capitoli 558, 559 e 560 dell'opera L'EVANGELO]
           

   la seconda moltiplicazione dei pani, nella "visione" e nel "dettato" di commento, scritti il 28 maggio 1944, forma 
il capitolo 353 dell'opera "L'Evangelo".

           
   2 Quando sarà venuto… è citazione da Giovanni 14, 26.

           
   3 Le nozze di Cana, episodio che si trova in Giovanni 2, 


1-11, è trattato nel capitolo 52 dell'opera "L'Evangelo".

           
   4 stella dell'Epifania, quella che guidò i Magi, in M

atteo 2, 2.7.9.10; nella Cena pasquale, nel passo di Matteo 26, 26-29Marco 14, 22-25Luca 22, 19-20; non bagnasse 

soltanto gli stipiti e gli architravi, come prescritto in Esodo 12, 7
.
           
   5 creazione del mondo, in Genesi 1; diluvio, in Genesi 6-8; morte di Mosè, in Deuteronomio 34; Giosuè, in Giosuè 1.

           
   6 la Donna, in Genesi 3, 15.
  
         
   7 trasformazione è termi
ne esatto per il miracolo di Cana, ma per il miracolo dell'Eucarestia deve parlarsi ditransustanziazione, come è detto nel 
capoverso che segue e in altri passi del presente "dettato".

           
   8 come dice, in 1 Pietro 2, 9.


AVE MARIA PURISSIMA!

Adorazione Eucaristica - Catalina Rivas - con sottotitoli in italiano






AVE MARIA 
VERGINE DELL'EUCARESTIA!

IL CASO


Libro sul celibato, il gran pasticcio di don Georg

Dopo il clamore suscitato dalle anticipazioni del libro a difesa del celibato ecclesiastico, firmato da Benedetto XVI e dal cardinale Robert Sarah, fa discutere il clamoroso dietrofront del segretario di Ratzinger, monsignor Georg Gänswein. Ha affermato l'estraneità del papa emerito al progetto del libro a quattro mani, ma è smentito dai fatti. E il cardinale Sarah conferma che tutto era chiaro e condiviso, e pubblica lettere di Benedetto XVI a lui indirizzate. E anche gli editori hanno ricevuto il "visto, si stampi" da Gänswein tanto che quello americano si è rifiutato di togliere la firma considerandolo un testo scritto da due autori. Forse, dopo i violenti attacchi, le menzogne e le minacce ricevute, il segretario ha voluto proteggere il papa emerito, ma otterrà il risultato opposto: separando il papa emerito dal cardinale Sarah ha reso solo più facile il lavoro ai loro nemici per eliminarli. Intanto il libro uscirà con la firma del cardinale Sarah, «con il contributo di Benedetto XVI». Ma il contenuto, che è la cosa che conta, resta lo stesso.
- ENGLISH II  ESPANOL
- OBBEDIENZA E VERITÀ, QUEL CHE IGNORANO I CORTIGIANI
di Luisella Scrosati   
- LA SFIDA DI BXVI  E SARAH ALLA "NUOVA CHIESA"di Riccardo Cascioli
- L'ANALISI: IL CELIBATO È MISTERO DI SALVEZZAdi Luisella Scrosati
SARAH, L'INTERVISTA DI LE FIGARO
English Español
Benedetto XVI e monsignor Ganswein
Cominciamo dai fatti certi. Il libro “Dal profondo del cuore”, di cui Le Figaro ha anticipato alcune pagine provocando un grande clamore, è stato veramente condiviso da Benedetto XVI e dal cardinale Robert Sarah. L’opera è composta da due saggi sul sacerdozio, con un focus particolare sul celibato, scritti rispettivamente da Benedetto XVI e dal cardinale Sarah. Poi ci sono una introduzione e una conclusione firmate da entrambi: queste sono state scritte dal cardinale Sarah ma viste e approvate da Ratzinger. E il “visto, si stampi” è arrivato direttamente dal segretario personale di Benedetto XVI, monsignor Georg Gänswein.
Da dove nasce allora tutto il caos di queste ore e il dietrofront di Gänswein? All’ANSA, il segretario di Ratzinger ha dichiarato: «Il Papa emerito sapeva che il cardinale stava preparando un libro e aveva inviato un suo testo sul sacerdozio autorizzandolo a farne l'uso che voleva. Ma non aveva approvato alcun progetto per un libro a doppia firma né aveva visto e autorizzato la copertina». In realtà gli editori sono in grado di dimostrare che monsignor Gänswein mente: egli sapeva benissimo che il libro sarebbe uscito con la doppia firma, e aveva dato l’ok benché fosse stato reso consapevole dell’enorme impatto che la pubblicazione avrebbe avuto. Inoltre dalla serata di lunedì 13 gennaio, non appena si sono diffuse notizie riguardo a una disputa sulle firme, il cardinale Sarah – parlando di «diffamazioni di una gravità eccezionale» - ha diffuso sui social le lettere scrittegli da Benedetto XVI in cui appare chiara la consapevolezza del papa emerito rispetto al progetto del libro.

E ancora, l’introduzione corrisponde a quella mezza pagina preparata dal cardinale Sarah che è oggetto della lettera inviata da Ratzinger il 25 novembre: «Cara Eminenza, di tutto il cuore vorrei dire Grazie per il testo aggiunto al mio contributo e per tutta l’elaborazione che Lei ha fatto. Mi ha toccato profondamente come Lei ha capito le mie ultime intenzioni: Avevo scritto in realtà 7 pagine di chiarimento metodologico del mio testo e sono realmente felice per dire che Lei ha saputo dire l’essenziale in una mezza pagina. Non vedo quindi la necessità di trasmetterLe le 7 pagine, dato che Lei ha espresso in una mezza pagina l’essenziale. Da parte mia il testo può essere pubblicato nella forma da Lei prevista».
Nella mattinata del 14 gennaio, il cardinale Sarah con un comunicato ufficiale ricostruisce ancora tutto l’iter che ha portato alla pubblicazione del libro: dal 5 settembre scorso, quando si è recato da Benedetto XVI a Mater Ecclesiae chiedendogli un «testo sul sacerdozio cattolico, con particolare attenzione riguardo al celibato», fino al 3 dicembre quando in un’analoga visita ha spiegato a Benedetto XVI che «il nostro libro sarebbe stato stampato durante le vacanze di Natale e che sarebbe apparso mercoledì 15 gennaio». In mezzo le date che hanno segnato i diversi passaggi, in gran parte già documentati con le lettere diffuse il 13 sera. Nella conclusione del comunicato il cardinale Sarah parla di «polemica abietta»: «Perdono sinceramente tutti coloro che mi calunniano o che vogliono oppormi a papa Francesco. Il mio attaccamento a Benedetto XVI rimane intatto e la mia obbedienza filiale a papa Francesco assoluta».
Il tema è allora sul perché monsignor Gänswein, a nome di Benedetto XVI, abbia voltato clamorosamente la faccia con il doppio, drammatico, risultato di aver messo in grave difficoltà il cardinale Sarah e aver distolto l’attenzione dai contenuti del libro che restano confermati e dirompenti. Peraltro le affermazioni sul celibato teologicamente più rilevanti, che negano assolutamente la possibilità di eccezioni motivate da esigenze sociali, si trovano proprio nel saggio di Ratzinger.
Di certo, la pubblicazione delle anticipazioni del libro ha provocato un terremoto in Vaticano: una vera e propria bomba mentre si attende l’esortazione post-sinodale con cui ci si aspetta che papa Francesco apra alle richieste contenute nelle conclusioni, proprio riguardo alle eccezioni al celibato ecclesiastico. Le reazioni dei “guardiani della rivoluzione” infatti non si sono fatte attendere: se da una parte il grande capo della comunicazione vaticana, Andrea Tornielli, scriveva su Vatican News un articolo “normalizzatore” che cercava di conciliare la posizione espressa da Ratzinger con quella di papa Francesco, dall’altra scatenava i “suoi” uomini con il duplice scopo di tappare la bocca al papa emerito e infangare il cardinale Sarah, che avrebbe circuito un papa emerito descritto come un povero vecchio rimbambito. Significativo al riguardo che il “delfino” di Tornielli, Domenico Agasso jr, abbia firmato il 14 gennaio l’articolo di apertura de La Stampa, dal titolo inequivocabile “Vaticano, il nodo del Papa emerito”. Sommario: “Cresce la richiesta di un testo che preveda limiti all’esercizio del magistero del pontefice dimissionario”. Chiaro no?
Si può immaginare che tipo di pressioni siano state esercitate su Benedetto XVI e monsignor Gänswein che, tra l’altro, è prefetto della Casa Pontificia, quindi in una posizione delicata tra Ratzinger e papa Francesco. Vista la violenza degli attacchi pubblici, possiamo facilmente intuire cosa sia accaduto in privato. Ciò non giustifica le giravolte di monsignor Gänswein, ma forse si può capire che, di fronte alle minacce e alle falsità messe in giro, abbia inteso proteggere Benedetto XVI. Il problema è che però otterrà il risultato opposto: separando il papa emerito dal cardinale Sarah ha reso solo più facile il lavoro ai loro nemici per eliminarli. E nello stesso tempo ha depotenziato il contributo che i saggi di Benedetto e Sarah intendono dare al dibattito sul celibato ecclesiastico, per fermare l'attacco all'identità della Chiesa. Ha scritto il cardinale Sarah su twitter: «Considerando le controversie che ha provocato la pubblicazione del libro “Dal profondo del nostro cuore”, si decide che l’autore del libro sarà per le pubblicazioni future: il card. Sarah, con il contributo di Benedetto XVI. Tuttavia il testo completo rimane assolutamente invariato».
***AGGIORNAMENTO ORE 19*** 
L'editore americano del libro di Sarah e Ratzinger in serata ha chiarito con un comunicato che la pubbliazione è da ritenersi a doppia firma: “Ignatius Press ha pubblicato il testo che abbiamo ricevuto dall'editore francese Fayard - si legge sul sito -. Fayard è l'editore con cui abbiamo collaborato ad altri tre titoli del cardinale Sarah. Il testo che abbiamo ricevuto indica che i due autori sono Benedetto XVI e il cardinale Sarah. Quel testo indica anche che Benedetto XVI ha co-firmato un'introduzione e una conclusione con il cardinale Sarah, così come il suo capitolo sul sacerdozio, in cui descrive come i suoi scambi con il cardinale Sarah gli abbiano dato la forza di completare ciò che sarebbe rimasto incompiuto
L'editore statunitense fa riferimento anche alla corrispondenza di Benedetto XVI e alla dichiarazione del cardinale Sarah: «I due hanno collaborato a questo libro per diversi mesi, nessuno dei saggi è apparso altrove. Si tratta - ha proseguito - di un'opera comune definita dal Chicago Manual of Style è un'opera preparata da due o più autori con l'intenzione di fondere il loro contributo in parti inseparabili o interdipendenti di un insieme unitario”. Ed è in virtù di questo che Ignatius Press considera “questa una pubblicazione scritta di fatto da due co-autori”, e come tale uscirà in libreria con entrambe le firme. Anche quella di Benedetto XVI.  
Sempre in serata su Le Figaro si è appreso che l’edizione italiana e le seguenti, come la seconda uscita dell’edizione francese, dovranno indicare per l’introduzione e la conclusione «redatto dal cardinal Sarah, letto ed approvato dal papa Benedetto XVI». Questa precisazione sarebbe stata decisa di comune accordo dal segretario di Benedetto XVI e dal cardinal Sarah, il quale l’ha twittata sul suo account. 
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La visione di Giovanni Paolo II

La visione di Giovanni Paolo II: «L'islam invaderà l'Europa»

«Vedo la Chiesa del terzo millennio afflitta da una piaga mortale, si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire dall’Occidente all’Oriente: dal Marocco alla Libia, dall’Egitto fino ai paesi orientali». Questa è la scioccante visione di San Giovanni Paolo II, mai pubblicata prima d’ora. Testimone della confessione è monsignor Mauro Longhi, della Prelatura dell’Opus Dei.
«Vedo la Chiesa del terzo millennio afflitta da una piaga mortale, si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire dall’Occidente all’Oriente: dal Marocco alla Libia, dall’Egitto fino ai paesi orientali». Questa è la scioccante visione di San Giovanni Paolo II, mai pubblicata prima d’ora. Testimone della confessione destinata a far rumore è monsignor Mauro Longhi, del presbiterio della Prelatura dell’Opus Dei, molto spesso a stretto contatto con il Papa polacco durante il suo lungo pontificato. Il monsignore triestino ha rivelato l’episodio nell’eremo “Santi Pietro e Paolo” di Bienno, in Val Camonica, in una conferenza organizzata in ricordo di Giovanni Paolo II lo scorso 22 ottobre, giorno in cui la Chiesa festeggia la memoria liturgica del santo.
Per fare la necessaria chiarezza e inquadrare la visione profetica di Karol Wojtyla così come riportata da un sacerdote al di sopra di ogni sospetto (monsignor Longhi ha goduto della stima personale non solo di Giovanni Paolo II ma anche di Benedetto XVI, tanto da essere chiamato nel ’97 al Dicastero vaticano della Congregazione del clero) sono necessari alcuni riferimenti geografici e temporali.

Dal 1985 al 1995 l’allora giovane economista bocconiano Mauro Longhi (sarà ordinato sacerdote nel ’95) ha accompagnato e ospitato Papa Wojtyla nelle sue proverbiali sciate e passeggiate in montagna. Regolarmente, quattro-cinque volte l’anno per dieci anni, e lo ha fatto in quella che oggi è la sede estiva del Seminario internazionale della prelatura dell’Opus Dei, ma che allora era una semplice casa di campagna per chi, nell’Opera, voleva prepararsi al sacerdozio e alla docenza di teologia. Siamo in provincia dell’Aquila, a circa 800 metri, in direzione della Piana delle Rocche, frazione di Ocre. «Il Santo Padre usciva con molta riservatezza da Roma, accompagnato su una modesta vettura dal suo segretario Mons. Stanislaw Dziwisz e da qualche amico polacco, e al casello autostradale – unico posto in cui qualcuno poteva riconoscerlo – era solito fingersi intento nella lettura e mettersi un giornale davanti alla faccia». Così mons. Longhi, inaugurando una sfilza infinita di aneddoti succosissimi (spesso accompagnati – da scrupoloso pastore qual è – da opportune spiegazioni teologiche).

Ma è senz’altro il Karol Wojtyla mistico quello su cui il monsignore ha intrattenuto i fortunati uditori saliti a Bienno; quello che pochissimi conoscono, quello segreto e misterioso, grande protagonista di uno dei pontificati più lunghi della Chiesa. È il Papa che monsignor Longhi incontrava di notte nella cappella della casa di montagna inginocchiato per ore sugli scomodi banchi di legno davanti al Tabernacolo. Ed è il Papa che, sempre di notte, chi abitava la casa abruzzese sentiva dialogare, a volte anche animatamente, con il Signore o con la sua amata madre, la Vergine Maria. 
Per indagare il mistico Karol Wojtyla (cosa che fece magistralmente Antonio Socci nel suo ben documentato “I segreti di Karol Wojtyla”, edito da Rizzoli nel 2008) monsignor Longhi ha raccontato quanto gli confidò Andrzej Deskur, cardinale polacco che di Giovanni Paolo II è stato compagno di seminario, quello clandestino di Cracovia. Deskur, per anni Presidente della Pontificia Commissione per le Comunicazioni sociali (1973-1984), può senz’altro considerarsi il più grande amico di Wojtyla, colui che per sostenere il pontificato dell’amico Lolek si era offerto come vittima – accogliendo la volontà divina dell’ictus e la conseguente paralisi – dentro quel mistero profondissimo che è la “sostituzione vicaria” (sarà proprio per andare a trovare in ospedale l’amico sofferente che la sera stessa dell’elezione Giovanni Paolo II farà la sua prima, incredibile e “clandestina” fuga dal Vaticano).

Così racconta Mons. Longhi: «“Lui ha il dono della visione”, mi confidò Andrzej Deskur. Al che gli chiesi cosa significasse. “Lui parla con Dio incarnato, Gesù, vede il suo volto e vede anche il volto di sua madre”. Da quando? “Dalla sua prima Messa, il 2 novembre 1946, durante l’elevazione dell’ostia. Era nella cripta di San Leonardo della cattedrale di Wawel, a Cracovia, è lì che ha celebrato la sua prima messa, offerta in suffragio dell’anima di suo padre». Monsignor Longhi aggiunge che il segreto svelatogli dal cardinal Deskur – quegli occhi di Dio che si fissano su Wojtyla ogni volta che questi eleva il calice e l’ostia – si può paradossalmente intuire leggendo l’ultima enciclica di Giovanni Paolo II, Ecclesia de Eucharistia. Qui, al numero 59 della “Conclusione”, proprio mentre il papa polacco ricorda il momento della sua prima messa, lui stesso finisce per svelare il mistero che lo ha accompagnato tutta la vita: «I miei occhi si sono raccolti sull'ostia e sul calice in cui il tempo e lo spazio si sono in qualche modo “contratti” e il dramma del Golgota si è ripresentato al vivo, svelando la sua misteriosa “contemporaneità”».
Tra i tanti raccontati, però, l’episodio che più ha colpito la platea dell’eremo di Bienno, e che si inserisce nella cornice di una delle tante passeggiate sul Massiccio del Gran Sasso, è senza dubbio quello che ha come fuochi l’islam e l’Europa. Monsignor Longhi fa precedere le parole del santo polacco – oggettivamente impressionanti – da un prologo molto umano, a tratti inaspettatamente ilare, fatto di battute, di panini scambiati, di rimproveri teatrali sulla pubblicazione anticipata di quel Catechismo della Chiesa Cattolica fortissimamente voluto da Wojtyla (il non attendere l’editio typica latina, infatti, innesterà errori a cui si dovrà rimediare con precipitose correzioni). In quell’occasione il Santo Padre e il monsignore, evidentemente più veloci degli altri, avevano staccato il gruppo, nel quale – come sempre quando il Papa usciva da Roma –  c’era il suo segretario particolare, quel fidatissimo Stanislao Dziwisz, che nel 2006 Benedetto XVI creerà cardinale e che oggi è arcivescovo emerito della Diocesi di Cracovia. Il passaggio di mons. Longhi (con le sue tappe di avvicinamento alla terribile visione mistica del Papa) va dunque riportato interamente (la conferenza è su YouTube, dal minuto 48 è possibile guardare il passaggio che stiamo raccontando).


I due sono appoggiati ad una roccia, l’uno di fronte all’altro, mangiando un panino e aspettando l’arrivo del gruppo. Questo il racconto testuale del monsignore: «Avevo posato lo sguardo su di lui pensando che poteva aver bisogno di qualcosa, lui però si accorge che io lo guardo, aveva il fremito nella mano, era l’inizio del Parkinson. “Caro Mauro, è la vecchiaia..”, ed io subito: “Ma no, Santità, lei è giovane!”. Quando lo si contraddiceva in certi colloqui familiari diventava una belva. “Non è vero! Dico che sono vecchio perché sono vecchio!”». A parere del monsignore è proprio lo scorrere del tempo insieme all’incedere della malattia a portare il Papa polacco a sentire la necessità impellente di trasmettergli quella visione mistica. «Ecco allora che Wojtyla cambia tono e voce – continua il monsignore – e facendomi partecipe di una delle sue visioni notturne, mi dice: “Ricordalo a coloro che tu incontrerai nella Chiesa del terzo millennio. Vedo la Chiesa afflitta da una piaga mortale. Più profonda, più dolorosa rispetto a quelle di questo millennio”, riferendosi a quelle del comunismo e del totalitarismo nazista. “Si chiama islamismo. Invaderanno l’Europa. Ho visto le orde provenire dall’Occidente all’Oriente”, e mi fa una ad una la descrizione dei paesi: dal Marocco alla Libia all’Egitto, e così via fino alla parte orientale. Il Santo Padre aggiunge: “Invaderanno l’Europa, l’Europa sarà una cantina, vecchi cimeli, penombra, ragnatele. Ricordi di famiglia. Voi, Chiesa del terzo millennio, dovrete contenere l’invasione. Ma non con le armi, le armi non basteranno, con la vostra fede vissuta con integrità”».
Questa la preziosa testimonianza di chi per anni è stato a stretto contatto con il Santo Padre, e con questi ha concelebrato molte volte. Inutile sottolineare poi come la confessione di Papa Wojtyla risalga al marzo del 1993, e 24 anni fa molto diversi erano sia il quadro sociale che i numeri della presenza islamica in Europa. Non è un caso, forse, che nell’ormai dimenticata esortazione apostolica del 2003, Ecclesia in Europa, Giovanni Paolo II parlasse chiaramente di un rapporto con l’islam che doveva essere «corretto», condotto con «prudenza, con chiarezza di idee circa le sue possibilità e i suoi limiti», avendo coscienza del «notevole divario tra la cultura europea, che ha profonde radici cristiane, e il pensiero musulmano» (n.57). Pur con il linguaggio proprio di un documento magisteriale, per sua natura trattenuto, sembrava che il santo Padre implorasse l’instaurarsi di una conoscenza dell’islam «obiettiva» (n.54). Un paradigma e una sensibilità, dunque, chiari e inequivocabili, specie se si considera un altro passaggio di Ecclesia in Europa, quello in cui in cui Papa Wojtyla – dopo aver stigmatizzato «la frustrazione dei cristiani che accolgono» e che invece in molti paesi islamici «si vedono interdire l'esercizio del culto cristiano» (n.57) – parlando dei flussi migratori arrivava addirittura ad auspicare una «ferma repressione degli abusi» (n.101).
C’è da prendere atto che siamo di fronte alla lettura polically uncorrect del fenomeno islam da parte di un Papa canonizzato dalla Chiesa cattolica; una lettura prima “profetica” e poi magisteriale (non è difficile ipotizzare che la scioccante visione profetica giovanpaolina abbia influenzato la sua scrittura di Ecclesia in Europa). «L’islam ci invaderà». Forse lo sta già facendo. Mentre, inesorabile, si va spegnendo la luce sull’Europa cristiana, ridotta a una cantina piena solo di vecchi cimeli e ragnatele. “Karol il Grande” ha parlato, ancor più oggi ci invita a resistere all'invasione con la fede vissuta integralmente.