mercoledì 1 gennaio 2020

AVE MARIA MADRE DI DIO E NOSTRA: CI AFFIDIAMO A TE


Vangelo Lc 2, 16-21
Dal Vangelo secondo Luca
In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore.
I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.
Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo.
C: Parola del Signore.
A: Lode a Te o Cristo.

Maria Valtorta: 'L'Evangelo come mi è stato rivelato'
   Cap. XXX. L'annuncio ai pastori, che diventano i primi adoratori del Verbo fatto Uomo.
  7 giugno 1944. Vigilia del Corpus Domini
  1[…].
  Più tardi vedo una vasta estensione di campagna. La luna è allo zenit e veleggia placida in un cielo gremito di stelle. Sembrano tante borchie di diamante infisse in un enorme baldacchino di velluto celeste cupo, e la luna vi ride in mezzo col suo faccione bianchissimo, da cui scendono fiumi di luce lattea che fa bianca la terra. Gli alberi spogli sembrano più alti e neri sul suolo così imbiancato, mentre i muretti, che qua e là sorgono a confine, sembrano di latte, e una casina lontana pare un blocco di marmo di Carrara.
  Alla mia destra vedo un luogo cintato da una siepe di pruni su due lati e da un muro basso e scabro da altri due. Questo muro sorregge il tetto di una specie di tettoia larga e bassa, che nella parte interna del recinto è costruita parte in muratura e parte in legname, quasi che nell’estate le parti in legno debbano esser tolte e la tettoia mutarsi in porticato. Da questo chiuso esce, di tanto in tanto, un belare intermittente e breve. Devono essere pecorelle che sognano o che forse credono sia prossimo il giorno per il chiarore che dà la luna. Un chiarore persino eccessivo, tanto è intenso, e che cresce, quasi che il pianeta si avvicini alla terra o sfavilli per un misterioso incendio.
  2Un pastore si affaccia sulla porta e, portandosi un braccio sulla fronte per fare riparo agli occhi, guarda in alto. Pare impossibile che ci si debba riparare dal chiarore della luna. Ma questo è così vivo che abbacina, specie chi esce da un chiuso dove è tenebra. Tutto è calmo. Ma quella luce stupisce.
  Il pastore chiama i compagni. Si affacciano sulla porta tutti. Un mucchio d’uomini irsuti, di età diverse. Ve ne sono di appena adolescenti e di già canuti. Commentano il fatto strano e i più giovani hanno paura. Specie uno, un fanciullo sui dodici anni, che si mette a piangere attirandosi le baie dei più vecchi.
  «Di che temi, stolto?», gli dice il più vecchio. «Non vedi che aria quieta? Non hai mai visto splendere la luna? Sei sempre stato sotto le vesti della mamma come un pulcino sotto la chioccia, vero? Ma ne vedrai delle cose! Una volta io mi ero spinto verso i monti del Libano, oltre ancora. In alto. Ero giovane e non mi pesava l’andare. Ero anche ricco, allora… Una notte vidi una luce tale che pensai che fosse per tornare Elia sul suo carro di fuoco. Il cielo era tutto un incendio. Un vecchio — allora il vecchio era lui — mi disse: “Grande avventura sta per venire nel mondo”. E per noi fu sventura, perché vennero i soldati di Roma. Oh! ne vedrai, se campi!…».
  3Ma il pastorello non lo ascolta più. Pare non abbia neppur più paura, perché lascia la soglia e sguscia da dietro le spalle di un nerboruto mandriano, dietro il quale si era rifugiato, ed esce nello stazzo erboso che è davanti alla tettoia. Guarda in alto e cammina come un sonnambulo o come uno ipnotizzato da qualcosa che lo attira totalmente. Ad un certo punto grida: «Oh!» e resta come pietrificato, a braccia un poco aperte.
  Gli altri si guardano stupefatti.
  «Ma cosa ha quello stolto?», dice uno.
  «Domani lo rimando a sua madre. Non voglio pazzi a custodia delle pecore», dice un altro.
  E il vecchio che ha parlato poco prima dice: «Andiamo a vedere prima di giudicare. Chiamate anche gli altri che dormono e prendete i bastoni. Che non sia una bestia cattiva o dei malandrini…».
  Entrano, chiamando altri pastori, ed escono con torce e randelli. Raggiungono il fanciullo.
  «Là, là», egli mormora sorridendo. «Al di sopra dell’albero, guardate quella luce che viene. Pare cammini sul raggio della luna. Ecco che si avvicina. Come è bella!».
  «Io vedo solo un più vivo chiarore».
  «Io pure».
  «Anche io», dicono gli altri.
  «No. Io vedo come un corpo», dice uno in cui riconosco il pastore che ha dato il latte a Maria.
 «È un… è un angelo!», grida il bambino. «Eccolo che scende e si avvicina… Giù! In ginocchio davanti all’angelo di Dio!».
  Un «oh!» lungo e venerabondo si alza dal gruppo dei pastori, che cadono con il volto verso il suolo, e tanto più paiono schiacciati dall’apparizione fulgente quanto più sono anziani. I giovanetti sono in ginocchio, ma guardano l’angelo, che sempre più si avvicina e si ferma sospeso, ventilando le grandi ali, candore di perla nel candore di luna che lo circonda, al disopra del muro del recinto.
  «Non temete. Non porto sventura. Io vi reco l’annuncio di una grande allegrezza per il popolo d’Israele e per tutto il popolo della Terra». La voce angelica è un’armonia d’arpa su cui cantino gole d’usignoli.
  «Oggi, nella città di Davide, è nato il Salvatore». L’angelo, nel dire questo, apre più grandi le ali e le muove come per soprassalto di gioia, e una pioggia di faville d’oro e di pietre preziose pare ne sfugga. Un vero arcobaleno che fa un arco di trionfo sul povero stabbio.
  «…il Salvatore che è Cristo». L’angelo sfavilla di aumentata luce. Le sue due ali, ora ferme e tese a punta verso il cielo come due vele immobili sullo zaffiro del mare, sembrano due fiamme che salgano ardendo.
  «…Cristo, il Signore!». L’angelo raccoglie le sue due fulgide ali e se ne veste come di una sopraveste di diamante sull’abito di perla, si curva come adorasse, con le braccia conserte sul cuore e il volto che scompare, curvato come è sul petto, fra l’ombra dei sommi dell’ali piegate. Non si vede che una oblunga forma luminosa, immobile per lo spazio di un “Gloria”.
  Ma ecco che si muove. Riapre le ali, alza il volto in cui la luce si fonde al paradisiaco sorriso, e dice: «Lo riconoscerete da questi segni: in una povera stalla, dietro Betlemme, troverete un bambino nelle fasce in una mangiatoia di animali, ché per il Messia non vi fu un tetto nella città di David». L’angelo si fa serio nel dire questo, mesto anzi.
  4Ma dai Cieli vengono tanti — oh! quanti! — tanti angeli simili a lui, una scala d’angeli che scende esultando e annullando la luna col loro splendore paradisiaco, e si riuniscono intorno all’angelo nunziante in un agitar di ali, in uno sprigionare di profumi, in un arpeggiare di note, in cui tutte le voci più belle del creato trovano un ricordo, ma portato alla perfezione di suono. Se la pittura è lo sforzo della materia per divenire luce, qui la melodia è lo sforzo della musica per fare balenare agli uomini la bellezza di Dio, e udire questa melodia è conoscere il Paradiso, dove tutto è armonia di amore, che da Dio si sprigiona per far lieti i beati e che da questi va a Dio per dirgli: «Ti amiamo!».
  Il “Gloria” angelico si sparge in onde sempre più vaste per la campagna quieta, e la luce con esso. E gli uccelli uniscono un canto che è saluto a questa luce precoce, e le pecore i loro belati per questo anticipato sole. Ma io, come già nella grotta per il bue e l’asino, amo credere che siano gli animali che salutano il loro Creatore, venuto in mezzo ad essi per amarli come Uomo oltre che come Dio.
  Il canto si attenua e la luce pure, mentre gli angeli risalgono ai Cieli…
  5… I pastori tornano in loro.
  «Hai udito?».
  «Andiamo a vedere?».
  «E le bestie?».
  «Oh! non succederà loro nulla! Andiamo per ubbidire alla parola di Dio!…».
  «Ma dove andiamo?».
  «Ha detto che è nato oggi? e che non ha trovato alloggio in Betlemme?». È il pastore che ha dato il latte, questo che parla ora. «Venite, io so. Ho visto la Donna e mi ha fatto pena. Ho insegnato un luogo per Lei, perché pensavo non trovassero alloggio, e all’uomo ho dato del latte per Lei. È tanto giovane e bella, e deve esser buona come l’angelo che ci ha parlato. Venite, venite. Andiamo a prendere latte, formaggi, agnelli e pelli conciate. Devono esser poveri molto e… chissà che freddo ha Colui che non oso nominare! E pensare che io ho parlato alla Madre come ad una povera sposa!…».
  Vanno nella tettoia e ne escono poco dopo chi con delle fiaschette di latte, chi con delle reticelle di sparto intrecciato con dentro tondi formaggini, chi con delle ceste in cui vi è un agnellino belante, e chi con delle pelli di pecora conciate.
  «Io porto una pecora. Ha figliato da un mese. Il latte lo ha buono. Potrà loro servire se la Donna non ha latte. Mi pareva una bambina, e così bianca!… Un viso di gelsomino sotto la luna», dice il pastore del latte. E li guida.
  6Vanno alla luce della luna e delle torce dopo aver chiuso tettoia e recinto. Vanno per sentieri campestri, fra siepi di pruni spogliati dall’inverno.
  Girano dietro Betlemme. Raggiungono la stalla venendo non dalla parte da cui venne Maria, ma dall’opposta, di modo che non passano davanti alle stalle più belle, ma trovano questa per prima. Si accostano al pertugio.
  «Entra!».
  «Io non oso».
  «Entra tu».
  «No».
  «Guarda, almeno».
 «Tu, Levi, che hai visto l’angelo per primo, segno che sei buono più di noi, guarda». Veramente prima gli hanno dato del pazzo… ma ora fa loro comodo che egli osi ciò che loro non osano.
  Il fanciullo tituba, ma poi si decide. Si accosta al pertugio, scosta un pochino il mantello, guarda… e resta estatico.
  «Che vedi?», lo interrogano ansiosi a bassa voce.
  «Vedo una donna giovane e bella e un uomo curvi su una mangiatoia e sento…, sento piangere un piccolo bambino, e la donna gli parla con una voce… oh! che voce!».
  «Che dice?».
  «Dice: “Gesù, piccolino! Gesù, amore della tua Mamma! Non piangere, piccolo figlio!”. Dice: “Oh! potessi dirti: ‘Prendi il latte, piccolino!’. Ma non ce l’ho ancora!”. Dice: “Hai tanto freddo, amore mio! E ti punge il fieno. Che dolore per la tua Mamma sentirti piangere così e non poterti dare conforto!”. Dice: “Dormi, anima mia! ché mi si spacca il cuore a sentirti piangere e a vederti lacrimare!”, e lo bacia e gli scalda certo i piedini con le sue mani, perché sta curva con le braccia giù nella mangiatoia».
  «Chiama! Fàtti sentire!».
  «Io no. Tu, che ci hai condotti e la conosci».
  Il pastore apre la bocca e poi si limita a fare un mugolio.
  7Giuseppe si volge e viene alla porta. «Chi siete?».
  «Pastori. Vi portiamo cibo e lana. Veniamo ad adorare il Salvatore».
  «Entrate».
  Entrano e la stalla si fa più chiara per il lume delle torce. I vecchi spingono i bambini davanti a loro.
  Maria si volge e sorride. «Venite», dice. «Venite!» e li invita con la mano e col sorriso, e prende quello che ha visto l’angelo e lo attira a sé, fin contro la greppia. E il fanciullo guarda beato.
  Gli altri, invitati anche da Giuseppe, si avanzano coi loro doni e li mettono tutti, con brevi, commosse parole, ai piedi di Maria. E poi guardano il Bambinello, che piange piano, e sorridono commossi e beati.
  E uno, più ardito, dice: «Prendi, o Madre. È soffice e pulita. L’avevo preparata per il bambino che mi sta per nascere. Ma te la dono. Metti il Figlio tuo fra questa lana, sarà morbida e calda». E offre la pelle di una pecora, una bellissima pelle ricca di lana candida e lunga.
  Maria solleva Gesù e ve lo avvolge. E lo mostra ai pastori, che in ginocchio sul fieno del suolo lo guardano estatici.
  Si fanno più arditi e uno propone: «Bisognerebbe dargli un sorso di latte, meglio acqua e miele. Ma non abbiamo miele. Si dà ai piccolini. Ho sette figli e so…».
  «Qui c’è il latte. Prendi, o Donna».
  «Ma è freddo. Caldo ci vuole. Dove è Elia? Egli ha la pecora».
  Elia deve essere quello del latte. Ma non c’è. Si è fermato fuori e guarda dalla fessura, e nel buio della notte si perde.
  «Chi vi ha guidati?».
  «Un angelo ci ha detto di venire, e Elia ci ha guidati qui. Ma dove è ora?».
  La pecora lo denuncia con un belato.
  «Vieni avanti, ti si vuole».
  Entra con la sua pecora, vergognoso di esser il più notato.
  «Tu sei?», dice Giuseppe che lo riconosce, e Maria gli sorride dicendo: «Sei buono».
  Mungono la pecora e, con la punta di un lino intriso nel latte caldo e spumoso, Maria bagna le labbra del Bambinello, che succhia quel dolciore cremoso. Sorridono tutti e più ancora quando, con l’angolino di tela ancora fra le labbruzze, Gesù si addormenta nel caldo della lana.
  8«Ma qui non potete rimanere. Fa freddo e vi è umido. E poi… vi è troppo odore di bestie. Non fa bene… e… non sta bene per il Salvatore».
  «Lo so», dice Maria con un grande sospiro. «Ma non c’è posto per noi a Betlemme».
  «Fa’ cuore, o Donna. Noi ti cercheremo una casa».
  «Lo dirò alla padrona mia», dice quello del latte, Elia.
  «È buona. Vi accoglierà, dovesse cedervi la sua stanza. Appena è giorno glielo dico. Ha la casa piena di gente. Ma vi darà un posto».
  «Per il mio Bambino, almeno. Io e Giuseppe stiamo anche per terra. Ma per il Piccino…».
 «Non sospirare, Donna. Ci penso io. E lo diremo a molti ciò che ci è stato detto. Non mancherete di nulla. Per ora prendete ciò che la nostra povertà vi può dare. Siamo pastori…».
  «Siamo poveri noi pure. E non vi possiamo compensare», dice Giuseppe.
  «Oh! non vogliamo! Anche lo poteste, non vorremmo! Il Signore ce ne ha già compensato. La pace l’ha promessa a tutti. Gli angeli dicevano così: “Pace agli uomini di buona volontà”. Ma a noi ce l’ha già data, perché l’angelo ha detto che questo Bambino è il Salvatore, che è Cristo, il Signore. Siamo poveri e ignoranti, ma sappiamo che i profeti dicono che il Salvatore sarà il Principe della Pace. E a noi ci ha detto di andare ad adorarlo. Perciò ci ha dato la sua pace. Gloria a Dio nei Cieli altissimi e gloria a questo suo Cristo, e benedetta sia tu, Donna, che lo hai generato! Santa sei, perché hai meritato di portarlo! Comandaci come Regina, ché saremo contenti di servirti. Che possiamo fare per te?».
  «Amare il Figlio mio ed avere sempre in cuore i pensieri di ora».

  «Ma per te? Non desideri nulla? Non hai parenti ai quali far sapere che Egli è nato?».
  «Sì, li avrei. Ma non sono qui vicino. Sono a Ebron…».
  «Ci vado io», dice Elia. «Chi sono?».
  «Zaccaria il sacerdote ed Elisabetta mia cugina».
  «Zaccaria? Oh! lo conosco bene. Nell’estate vado su quei monti, perché i pascoli vi sono ricchi e belli, e sono amico del suo pastore. Quando ti so sistemata vado da Zaccaria».
  «Grazie, Elia».
  «Niente grazie. Grande onore per me, povero pastore, andare a parlare al sacerdote e dirgli: “È nato il Salvatore”».
  «No. Gli dirai: “Ha detto Maria di Nazareth, tua cugina, che Gesù è nato, e di venire a Betlemme”».
  «Così dirò».
  «Dio te ne compensi.
  9Mi ricorderò di te, di voi tutti…».
  «Dirai al tuo Bambino di noi?».
  «Lo dirò».
  «Io sono Elia».
  «E io Levi».
  «Ed io Samuele».
  «E io Giona».
  «Ed io Isacco».
  «Ed io Tobia».
  «Ed io Gionata».
  «Ed io Daniele».
  «E Simeone io».
  «E Giovanni mi chiamo io».
  «Io Giuseppe e mio fratello Beniamino, siamo gemelli».
  «Ricorderò i vostri nomi».
  «Dobbiamo andare… Ma torneremo… E ti porteremo altri ad adorare!…».
  «Come tornare all’ovile lasciando questo Bambino?».
  «Gloria a Dio che ce lo ha mostrato!».
  «Facci baciare la sua veste», dice Levi con un sorriso d’angelo.
  Maria alza piano Gesù e, seduta sul fieno, offre i piedini, avvolti nel lino, da baciare. E i pastori si chinano fino al suolo e baciano quei piedini minuscoli, velati di tela. Chi ha la barba se la forbisce prima e quasi tutti piangono e, quando devono andare, escono a ritroso, lasciando il cuore indietro…
  La visione mi cessa così, con Maria seduta sulla paglia col Bambino in grembo e Giuseppe che, appoggiato alla greppia con un gomito, guarda e adora.
 10Dice Gesù:
  «Oggi parlo Io. Sei molto stanca, ma abbi pazienza ancora un poco. È la vigilia del Corpus Domini. Potrei parlarti del­l’Eucarestia e dei santi che si fecero apostoli del suo culto, così come ti ho parlato dei santi che furono apostoli del Sacro Cuore. Ma voglio parlarti di un’altra cosa e di una categoria di adoratori del Corpo mio che sono i precursori del culto per Esso. E sono i pastori. I primi adoratori del mio Corpo di Verbo divenuto Uomo.
  Una volta ti dissi, e ciò è detto anche dalla mia Chiesa, che i santi Innocenti sono i protomartiri del Cristo. Ora ti dico che i pastori sono i primi adoratori del Corpo di Dio. E in loro vi sono tutti i requisiti richiesti per essere adoratori del Corpo mio, anime eucaristiche.
  Fede sicura: essi credono prontamente e ciecamente all’angelo.
  Generosità: essi dànno tutta la loro ricchezza al loro Signore.
  Umiltà: si accostano a dei più poveri, umanamente, di loro con modestia di atti che non avvilisce, e si professano servi loro.
  Desiderio: quanto non possono dare da loro, si industriano a procurare con apostolato e fatica.
  Prontezza di ubbidienza: Maria desidera sia avvertito Zaccaria, e Elia va subito. Non rimanda.
  Amore, infine: essi non sanno staccarsi di là, e tu dici: “lasciano là il loro cuore”. Dici bene.
  Ma non bisognerebbe fare così anche col mio Sacramento?
 11E un’altra cosa, tutta per te, questa: osserva a chi si svela per primo l’angelo e chi merita di sentire le effusioni di Maria. Levi: il fanciullo.
  A chi ha l’anima di fanciullo Dio si mostra e mostra i suoi misteri e permette che oda le parole divine e di Maria. E chi ha anima di fanciullo ha anche il santo ardimento di Levi e dice: “Fàmmi baciare la veste di Gesù”. Lo dice a Maria. Perché è sempre Maria quella che vi dà Gesù. È Lei la Portatrice dell’Eucarestia. È Lei la Pisside viva.
  Chi va a Maria trova Me. Chi mi chiede a Lei, da Lei mi riceve. Il sorriso di mia Madre, quando una creatura le dice: “Dàmmi il tuo Gesù, ché lo ami”, fa trascolorare i Cieli in un più vivo splendore di letizia, tanto è felice.
  Dille dunque: “Fàmmi baciare la veste di Gesù. Fàmmi baciare le sue piaghe”. E osa di più ancora. Di’ : “Fàmmi posare il capo sul Cuore del tuo Gesù, perché ne sia beata”.
  Vieni. E riposa. Come Gesù nella cuna, fra Gesù e Maria».
Ave Maria, Madre di Dio, Gesù e nostra, noi ci affidiamo a Te!
 

SALVE REGINA MATER MISERICORDIAE

1 gennaio 2020 del Terzo Millennio d. C.
SALVE REGINA





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lunedì 30 dicembre 2019

Vergine dell'Eucarestia - Meditazioni per l'oggi

Meditazioni per l’oggi _ Il tempo del laicato


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 La Madonna ha parlato con il Sangue del Figlio e le lacrime di Olio per invocare l’effusione di questa Seconda Pentecoste che deve venire perché è stata promessa e la Chiesa aspetta la sua “primavera”. I giovani, i laici e le famiglie attendono a mani aperte questo dono perché sarà il tempo del “laicato” vissuto con una consacrazione speciale.

La prima condizione che permette alla Madonna di guarirci è il nostro stato di “come” noi andiamo verso di Lei. Se non abbiamo voglia, possiamo restare nella nostra tomba. Dio non è che ci vuol resuscitare per forza. Se ci piace stare nella cloaca di impurità, dove stiamo, possiamo restarci. Ma la Madonna essendo Madre…  e no, Lei si muove, perché chi va in alto (come chi sale le montagne) meglio vede cosa c’è in basso. E più ti allontani, più le cose che sono giù sembrano piccole, piccole, talvolta insignificanti. Bene, per la Madonna non siamo insignificanti e neppure le cose che facciamo! A Fatima la Madonna si prenderà cura anche delle pecore e chiederà ai bambini se quel giorno il pascolo fosse stato felice. È una madre…la loro Mammala nostra Mamma (che ci è stata donata) ed è rimasta con noi….a patto che noi non La cacciamo come abbiamo fatto con il Figlio Suo Gesù, una volta nella Sua Santissima umanità e oggi nella Sua SS. Signoria e Divinità. Come? Rifiutando di amare il SS. Sacramento e semplicemente di accoglierLo. Di accoglierLo? Ma è Lui il Padrone! Siamo noi gli ospiti. Ecco come abbiamo ridotto in cenci il Signore!… A chiederci in punta di piedi, con la Sua immensa Misericordia: “Posso entrare nella Mia Reggia?” È possibile che la Madonna debba continuamente venire con una moltitudine di lacrime per ricordarci che Cristo è, era e sarà sempre?

Siamo noi quelli che a volte siamo un di più e con la nostra umana presunzione pensiamo di gestire la storia, di cambiarla. Come è successo purtroppo dopo il Concilio Vaticano II con questo “modernismo” a cui abbiamo aperto le porte e che ci ha convinti di spogliare la nostra fede di tutte le cose che facevano parte della pietà popolare, come l’Adorazione Eucaristica, che è pietà della Chiesa ma che è pietà del popolo. Lentamente si è perso il senso di Cristo, perché abbiamo cominciato ad allontanare da noi le immagini….Chi se le dimentica, a seguito del giansenismo, tutte quelle statue gettate dalle chiese della Francia che ancor oggi è possibile comprare nei mercatini vicino a Parigi? Causa questa dell’Apparizione a Lourdes, un periodo tristissimo che in Italia è stato conosciuto dopo il Concilio Vaticano II con “l’essenzialismo” pensando che aprendoci a tutto…  Invece ci ha ridotti ad essere scheletri, privi dello spirito interiore. Perché? Perché lentamente abbiamo incentrato tutto sulle pastorali… sulle pastorali sociali e ci siamo dimenticati che a patto di metterci in ginocchio non siamo esauditi dal Padrone perché è Lui che manda gli operai.

La Madonna dice che l’Italia sarà prostrata talmente a terra che questa bandiera tricolore si sarebbe trasformata in bandiera “rossa”…” Così è stato per tutto “questo” tempo, in cui siamo stati dominati da una perversa politica che, diciamo, non è “finita”, perché la politica che è entrata, è quella istrionica. Purtroppo la nostra Italia ha meritato tanti di questi castighi, perché ha scacciato l’Amore dal Trono. Guardate che di avere abbandonato il SS. Sacramento siamo “tutti” responsabili : preti, suore, laici. Non è da tanto che è iniziato qualche spiraglio di “ripresa”, in cui piccoli gruppi sono costretti, quasi elemosinando, a chiedere di tenere aperte cappelle e chiese per passare una sola ora insieme a Gesù. Tutto quello che compiamo nel corso della nostra giornata non vale quanto un attimo davanti al Signore. Prima don Stefano (che è anche molto malato ma che è venuto ad accompagnarmi) diceva: “Ciò che Dio vuole, può”. E quello che Dio vuole in quel momento di Adorazione ce lo fa ottenere, perché con Lui lo chiediamo al Padre. Diceva S. Teresa del Bambino Gesù: “Nel momento in cui noi parliamo a Dio, abbiamo maggiore certezza di essere esauditi che se parliamo “di Dio”. Parlare “a Dio” è più efficace.

Allegati: Bellissima conferenza:




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SAN VINCENZO DE' PAOLI: TUTTO CARITA'

San Vincenzo de' Paoli aiutò i poveri e i nobili impoveriti, fu consigliere
di sovrani e difese la Chiesa dalle eresie dell'epoca.
» Chi era Vincenzo
» Iniziano gli studi
» Studente e professore
» Missione segreta presso Enrico IV
» Predecessor dos filhos do Conde de Joigni
» Una parrocchia abbandonata
» Missioni in campagna
» Imitando Nostro Signore Gesù Cristo
» Istigatore del Compimento delle Regole
Dopo gli apostoli, forse non vi è uomo che abbia reso più servizi alla Chiesa cattolica e all'intera umanità. Per contribuire alla santificazione del clero e del popolo cristiano, istituì una congregazione di missionari che fu degna dell'autore, e che continua a propagare la fede in tutto il mondo.
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Per la santificazione dei sacerdoti e dei fedeli stabilì ritiri spirituali, la cui pratica si diffuse ovunque. Per la formazione di giovani ecclesiastici, per perfezionare loro la santità ed esaltare la loro vocazione, creò seminari che si sparsero in tutto il mondo cristiano.
Per i poveri malati istituì la congregazione delle Figlie della Carità, la cui ammirevole devozione ispirò la creazione di molte altre congregazioni simili.
Fondò un ospedale per preservare i bambini abbandonati per le strade dalla morte. Da questo suo esempio, oggi ospedali e altre case del genere sono disseminate in tutta la cristianità.
Fece ancora di più: ospedali per gli anziani, insani, incarcerati e mendicanti. Inviava missionari con l'obiettivo esclusivo di confortare gli schiavi cristiani. Provvedeva a volte per lunghi anni a intere province che erano state devastate dalle guerre, dalla fame o dalla peste, come la Lorena, la Champagne e la Picardia.
E chi era quest'uomo, questo Vincenzo de' Paoli, questo benemerito? Figlio di un contadino, pascolava il gregge del padre. Fattosi sacerdote fu catturato da corsari turchi e venduto come schiavo sulle coste africane.
Chi era Vincenzo
Vincenzo de' Paoli nacque un martedì di Pasqua, il 24 aprile 1575, nel paesino di Pouy, vicino a Dax, ai confini di Bordeaux, nei pressi dei Perinei. Il padre si chiamava Guglielmo de' Paoli, la madre Bertranda de Moras. Avevano una piccola cascina dove lavoravano e con cui provvedevano al pane di ogni giorno, per sé e per i sei figli, due bambine e quattro bambini.
Vincenzo, che era il terzo, lavorava come gli altri figli: pascolava il gregge come abbiamo già detto.
Fin da piccolo nutriva la compassione per i poveri. Quando tornava dal mulino con il sacco di farina sulle spalle, ne regalava loro un po' quando non aveva altro da dare.
» Torna in alto
Iniziano gli studi
Con questa bontà di cuore, mostrava una grande vivacità di spirito. Il padre allora decise di farlo studiare. Il costo sarebbe stato enorme, ma sperava un giorno di essere ricompensato. Così lo affidò ai francescani di Dax, con la spesa di sessanta libre all'anno, secondo l'usanza dell'epoca e del paese.
Vigeva allora l'anno di 1558. Il giovane Vincenzo conseguì così grandi successi che al termine di quattro anni, elogiato dal superiore del convento, il Signor de Commet, l'avvocato di Dax, finì per portarlo a casa sua affinché curasse l'istruzione dei suoi due figli.
Fu questo Signor de Commet che toccato dalla virtù di Vincenzo ed edificato, lo consigliò di abbracciare lo stato ecclesiastico. Vincenzo, che lo rispettava tantissimo, considerandolo un secondo padre, ricevette il consiglio con ardore.
Il padre per aiutarlo dovette vendere un paio di buoi, e Vincenzo partì per Tolosa, per iniziare gli studi di Teologia che lo impegnarono per sette anni. Durante il suo soggiorno a Tolosa il giovane si recava qualche volta a Saragozza per studiare.
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Studente e professore
Per non essere di peso alla famiglia, nonostante il padre avesse ordinato che alla sua morte gli dessero il necessario da vivere, si ritirò nel paesino di Buset durante le vacanze e lì si incaricò dell'istruzione di un numero considerevole di bambini, i cui genitori avevano soldi ed erano soddisfatti di poter affidare i figli ad un uomo le cui virtù e capacità erano pubblicamente note e diffuse. Persino a Tolosa gli mandavano bambini e bambine, come si può leggere in una lettera scritta alla madre.
Il Duca di Épernon, governatore della Guyana, parente prossimo di due bambini, desiderò fortemente conoscere Vincenzo, Monsieur Vincenzo come diceva rispettosamente, e finì per nutrire per lui una stima tutta particolare.
Vincenzo tornò a Tolosa da Buset con i pensionisti, finendo allora gli studi di teologia. Baccelliere, dicono di lui gli autori della Gallia Christiana: Era dottore in teologia. Tuttavia, la prova autentica di quella affermazione non fu trovata.
Durante gli studi di teologia a Tolosa Vincenzo ricevette il sottodiaconato il 19 settembre 1598, il diaconato tre mesi più tardi e, infine, l'ordinazione il 23 settembre 1600.
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Missione segreta presso Enrico IV
(...) A Roma,grazie all'aiuto che ricevette dal Vicelegato che lo ospitò e gli diede da fare, Vincenzo potè rimanere nella città fino al 1608.
Quando non si dava alla devozione, impiegava il tempo a ripassare gli studi di teologia fatti a Tolosa. Il Vicelegato lo presentò all'ambasciatore della Francia, il Cardinale d'Ossat e questi lo incaricò di un'importante missione, ma segreta, presso Enrico IV.
Vincenzo IV aveva visto e aveva parlato con Vincenzo de' Paoli, ma sembrava non conoscerlo. È che il Santo evitava, accuratamente, tutto ciò che potesse dargli aria di grandezza. Lo chiamavano Monsieur Paoli - nome di famiglia, e ciò gli suonava come se lui fosse di stirpe illustre, di modo che, arrivando a Parigi, si presentò e si fece semplicemente trattare per Monsieur Vincenzo, suo nome di battesimo.
Invece di usare il titolo di licenziato in teologia, lasciava capire che lui era soltanto un povero professore delle superiori. Tuttavia, quanto più si preoccupava di nascondere le sue virtù, tanto più esse finivano per essere scoperte. Un giorno fu presentato alla regina Margherita, prima moglie di Enrico IV, la quale allora faceva professione di pietà. Questa principessa voleva vederlo. E lo fece diventare il capo di una casa pia, con il titolo di cappellano ordinario.
Vincenzo si ritirò successivamente dai Preti dell'Oratorio, che il Padre de Bérulle aveva fondato, non per aggregarsi alla compagnia, ma per vivere in ritiro sotto la direzione del pio istitutore. Vi rimase per due anni. (...)
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Predecessor dos filhos do Conde de Joigni
(...) Dopo qualche tempo, correva l'anno 1613, ed egli lasciò il curato: è che il Padre de Bérulle lo aveva consigliato di accettare l'incarico di precettore dei figli di Filippo Emanuele de Gondi, conte di Joigny, Generale dei galeotti di Francia e di Francesca Margherita de Silly, moglie di eccellenti virtù.
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Il generale e sua moglie avevano tre figli: il più piccolo morì con dieci o dodici anni; il più grande fu duca e paria; il secondo diventò il famoso cardinale di Retz.
Vincenzo de' Paoli visse dodici anni presso il conte di Joigny. Quando la coppia si recava in campagna con i figli e lo portavano con loro, il più piacere maggiore del Santo era quello di percorrere i dintorni e catechizzare i poveretti istruendoli. Predicando alla gente, esortava tutti, amministrava i sacramenti, soprattutto quello della penitenza, confermava tutti nella fede con l'approvazione dei vescovi e il piacere dei curati. (...)
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Una parrocchia abbandonata
(...) Il Santo lasciò la casa de Gondi nel 1617, ritirandosi a Bresse, a Chatillon-les- Dombes. Lì c'era una parrocchia abbandonata.
Il luogo da circa quarant'anni si trovava in uno stato pietoso, senza niente; certi benficiari di Lione vi trafugavano i magri profitti. Così, dopo quasi mezzo secolo, quel paese sfortunato, composto da duemila anime, non aveva né un curato, né un pastore, neanche direttive spirituali. (...)
San Vincenzo de' Paoli arrivò a Chatillon-les-Dombes nel mese di agosto del 1617 in compagnia di un bravo prete che si chiamava Luigi Girard. Siccome la casa parrocchiale era in rovina, si ospitarono nella casa di un tale Beynier. Questo Beynier, calvinista, con il passare del tempo si convertì.
Il programma proposto da Vincenzo era rigido: si alvaza alle cinque; mezz'ora di preghiera; l'ufficio e la santa messa erano recitate in orari precisi, in modo che non si sprecava il tempo senza necessità.
Entrambi, Vincenzo e Luigi, curavano ognuno la parte della casa che gli era toccata: da soli mettevano a posto le stanze, facevano il letto. Vincenzo non voleva che la figliastra del padrone di casa avesse del lavoro in più rispetto a quello che già faceva nel resto della casa.
Il nuovo pastore visitava regolarmente, due volte al giorno, una parte del suo gregge. Il resto del tempo era impiegato nello studio e nel confessionale.
Il desiderio di essere utile sia ai piccoli sia agli adulti, gli fece studiare con perseveranza il dialetto usato in famiglia. Lo imparò in poco tempo e cominciò a parlarlo correttamente, con grande beneficio per il catechismo. L'ufficio era celebrato con la maggiore decenza possibile. Le danze furono abolite, così come certi scandalosi eccessi che disonoravano le feste, soprattutto quella dell'Ascensione di Nostro Signore.
C'erano sei vecchi preti nella parrocchia, che erano la negazione del buon esempio: Vincenzo si impegnò e riuscì ad esortarli a vivere in comunità, obbedendo alla regola.
Tutta la città, sorpresa ed edificata, seguiva i cambiamenti che si operavano lentamente, ma con efficacia. Tutto si trasformava, camminando verso la perfezione. I più saggi credevano che quell'uomo, che riusciva a riformare un clero come quello che avevano lì, in quel modo, senza difficoltà, era assai competente e sarebbe riuscito ad ottenere per Dio tutta la parrocchia in poco tempo.
Infatti quattro mesi più tardi chiunque vedesse Chatillon-les-Dombes, sarebbe rimasto sbalordito, tale era la differenza. I maggiori peccatori, in fila, contriti, comparivano al tribunale della penitenza, così che il santo era obbligato a passare un tempo enorme nel confessionale. Era così assorto nelle cose spirituali che si dimenticava delle più urgenti necessità della natura. (...)
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Missioni in campagna
(...) Dopo le missioni San Vincenzo de' Paoli stabilì confraternite di carità per il soccorso ai malati poveri. Ebbe immediatamente bisogno di qualcuno che fosse capace, che visitasse ogni tanto le diverse confraternite e ne assicurasse lo zelo della carità e dell'amore di Dio.
La Provvidenza gli fece comparire una vedova, una santa donna - Luisa de Marillac. (...)
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Vincenzo, ogni tanto, si riposava dal lavoro delle missioni in campagna visitando la capitale. Allora approfittava dell'occasione e percorreva le carceri. Parlava con i detenuti, li consolava, li esortava ad una vita futura onesta e costruttiva, li ascoltava in confessione. E lì trovava i più infelici, i carcerati che erano condennati alle galee. Generalmente li trovava in uno stato penoso. Erano rinchiusi in celle nelle quali rimanevano per molto tempo, mangiando schifezze, abbandonati, trattati con indifferenza, assolutamente trascurati nel corpo e nell'anima. (...)
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Imitando Nostro Signore Gesù Cristo
Quando il Conte de Gondi, Filippo Emanuele de Gondi, seppe della dedizione del santo nei confronti dei carcerati, di come instancabilmente lavorava per la loro salvezza, soprattutto dei più abbandonati e scoraggiati, pensò a tutti i galeotti del regno. Andò dal re e gli raccontò tutto ciò che faceva Vincenzo de' Paoli e come era grandiosa la sua opera.
Il Re Luigi XIII, in seguito ad una proposta del Generale dei galeotti, nominò il Santo Cappellano-Generale o Maggiore di tutti i galeotti del paese. Il diploma fu rilasciato l'8 febbraio 1619.
Monsieur Vincenzo de' Paoli accettò l'incarico con soddisfazione: ciò lo faceva somigliare di più al Salvatore del mondo, quel mondo che era un'immensa prigione piena di delinquenti e condannati alle galee veramente perenni. A lui, al mondo atroce, era venuto il Figlio di Dio. Si fece uguale a chiunque, prese tutti i crimini e tutte le pene per sé e liberò gli uomini. Vincenzo, padre dei poveri, nell'accezione più pura, desiderava imitare il Salvatore.
Nel 1622 visitò i galeotti di Marsiglia. Voleva vedere in quale stato si trovavano e se poteva fare lo stesso che aveva fatto con quelli della capitale. Arrivò senza far conoscere il suo titolo di Cappellano-Maggiore, sia per evitare gli onori che immancabilmente gli avrebbero reso, sia per poter agire meglio.
Andando per tutto il carcere, trovò un galeotto più infelice che colpevole, che si disperava per la condizione in cui si trovava, pensando alla sua povera moglie e ai suoi figli, certamente ridotti alla miseria.
Vincenzo si commosse così tanto, fu talmente grande la sua compassione che fece per il disgraziato ciò che Paolino di Nola aveva fatto per riscattare dalla schiavitù il figlio di una povera vedova: si offrì per soffrire per lui la sua pena per il resto della sua vita.
L'offerta fu accettata e Vincenzo portò per alcune settimane le catene di ferro dei galeotti finché si scoprì che si trattava del Cappellano-Maggiore della Francia. (...)
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Istigatore del Compimento delle Regole
Una delle ultime azioni di San Vincezo de' Paoli fu quella di distribuire esemplari della regola ai membri della propria comunità. Ricorda in modo succinto in quale maniera aveva cominciato l'opera delle missioni, il ritiro degli ordinati, le confraternite di carità, l'opera dei bambini trovatelli. E aggiunse:
San Vincenzo de' Paoli
Non so come si fece tutto ciò. Non riesco a dire come tutto ciò comparve, affermava Monsieur Portail.
Gli esercizi della comunità, come sorsero? Non avrei saputo dirlo. Le conferenze, per esempio (Oh! Ancora altre ne faremo insieme!) non le sognavamo neanche. La ripetizione della preghiera che una volta era disprezzata, e che ora si pratica con benedizioni in moltissime comunità, ci è mai venuta in mente? Non so nulla! Si fece poco a poco, senza che ce ne rendessimo conto. Le cose vennero così, diremmo, pian piano, una dopo l'altra. Fu Dio, unicamente Dio, chi ispirò tutto.
Quindi chiedeva soprattutto a Portail e Almerás che venissero a ricevere le regole da lui, perché gli era impossibile recarsi da loro, così come desiderava.
Vennero, e in ginocchio umilmente ricevettero le regole, baciando il libro, le mani di Monsieur Vincenzo. E Vincenzo, a ognuno di loro, diceva:
- Vieni, affinché Dio ti benedica.
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Preghiamo...
Finita la distribuzione, Almerás si inginocchiò e chiese al santo di benedire tutti, ugualmente in ginocchio. Vincenzo, anch'esso prostrato, pregò Dio:
O Signore, voi che siete la legge eterna e la ragione immutabile, voi che governate tutto l'universo attraverso la vostra infinita saggezza; voi da cui emana, come da una sorgente, tutta la condotta e le regole del vivere bene, benedite, per misericordia, coloro che qui ricevono le regole, come se fossero emanate da voi. Date loro, Signore, le grazie necessarie affinché le osservino sempre con inviolabile fedeltà fino alla morte. È con fiducia, pensando alla vostra infinita bontà, che io peccatore miserabile, pronuncio le parole di benedizione: "Che la benedizione di Nostro Signore Gesù Cristo scenda su di voi e in voi rimanga per sempre! In nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Così sia!
Il sant'uomo fece ancora circa trenta conferenze ai missionari sullo spirito e sulla pratica delle sue regole. Era per lui il testamento, il testamento di Elia alla Chiesa.
San Vincenzo de' Paoli morì il 27 settembre 1660.
(Vida dos Santos, Padre Rohrbacher, Volume XVII, p. 60 a 99)
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