martedì 22 ottobre 2019

IL PURGATORIO VISTO DAI SANTI

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IL PURGATORIO VISTO DAI SANTI
di P Antonio Maria di Monda – 
Studi apologetici Joseph oboedientissinmus
Presentazione
Con grande gioia ed onore presento l'ultimo testo del compianto e venerato p. Antonio M. Di Monda, Il Purgatorio visto dai santi. Dopo il successo della pubblicazione L'inferno visto dai santi nel 2006, il carissimo padre ha lavorato per un intero anno alla realizzazione di questa opera che è riuscito a portare a termine solo qualche giorno prima della sua morte. Il fatto che questo testo sia pubblicato costituisce un vero e proprio "miracolo" compiuto da p. Antonio. La sua è stata una corsa contro il tempo: sapeva che gli rimaneva poco tempo da vivere, a causa di una grave malattia, ed ha impiegato ogni suo sforzo per donare ai lettori uno scritto che trattasse il tema del Purgatorio, sulla scorta di quanto i santi hanno trasmesso nelle loro testimonianze. Il lavoro di ricerca è stato molto laborioso e la stesura è stata resa difficile dall'incedere della malattia. Tuttavia p. Antonio, con la sua proverbiale forza di volontà, è riuscito a concludere il prezioso lavoro, lasciando, in questo modo, un'ultima prova della sua sapienza e soprattutto del suo immenso amore per il Signore e per la Chiesa.
Ringrazio il professore e amico Corrado Gnerre per aver reso possibile la pubblicazione. Egli ha rivisto il testo di P. Antonio ed ha approntato quelle correzioni e precisazioni metodologiche che l'autore non è riuscito ad apportare a causa della sopravvenuta morte.
Ringrazio l'amico Carlo Sorrentino per aver aiutato p. Antonio nella fase preliminare di raccolta dei testi utili alla elaborazione di questo libro, visitando biblioteche ed archivi, sostenendolo in un lavoro divenuto per lui impossibile.
Ringrazio anche i tanti amici di P. Antonio che hanno contribuito alle spese necessarie per la stampa e la divulgazione dell'opera.
Ringrazio soprattutto Dio per il dono di P. Antonio M. Di Monda che, anche attraverso le parole di questo libro, continua ad essere un maestro di vita di spirituale e di sapienza, un testimone autentico dell'amore di Cristo.
Dal Convento di San Francesco Benevento,
1 settembre 2007
p. Raffaele Di Muro OFMConv

Questo libro è stato davvero l'ultima fatica di padre Antonio: l'ha scritto poco prima di morire. Doveva rifinirlo, precisare le note ... ma non ne ha avuto il tempo. Padre Raffaele Di Muro, superiore del convento dove padre Antonio risiedeva, ha pensato di affidarlo a me, affinché potessi "riordinarlo". Devo dire che non è stato necessario. Ormai il libro era completato e ho ritenuto opportuno non toccarlo più di tanto. È vero che manca la precisazione delle citazioni, ma è pur vero che essendo il libro (già nelle intenzioni dell'autore) indirizzato ad un grande pubblico, forse, questa mancanza, spaventa meno il lettore e rende il libro più fruibile e "leggero" nella lettura.
D'altronde padre Antonio, pur essendo un sacerdote di grande cultura (un teologo di fama), amava scrivere semplicemente e per tutti. Considerando poi l'argomento che riguarda il destino di ogni uomo, a maggior ragione voleva che libri del genere fossero letti e compresi da tutti. Mi disse dopo aver scritto L'Inferno visto dai santi e mentre stava preparando questo libro: "Corrado, questi argomenti devono essere conosciuti dal maggior numero di persone. Ah, se la gente sapesse... "
È per me una grande gioia poter consegnare un nuovo libro di padre Antonio. Il Signore mi ha dato la grazia di conoscerlo e di poter essere da lui guidato; e so bene quanto sia stata e continui ad essere preziosa la sua vita tra noi... e per noi.
Corrado Gnerre
Presidente degli
Studi apologetici Joseph oboedientissimus

Introduzione
I santi e il Purgatorio. Cosa hanno a che fare i santi con il Purgatorio? Diciamo prima di tutto che i santi di cui parliamo sono quelli che, prima ancora di morire e di essere canonizzati, hanno avuto visioni o rapporti con le anime purganti e ne hanno scritto e parlato.
Per santi intendiamo pure le stesse anime purganti, che, possedendo la Grazia, sono cari a Dio e santi, anche se bisognosi ancora di purificazione. I rapporti, permessi da Dio, tra i santi e le anime purganti sono una prova oltre che dell'esistenza del Purgatorio anche della comunione dei santi, sempre professata dalla Chiesa cattolica.
In questo libro si eviteranno problematiche complesse che oggi si discutono tra i teologi; ci si atterrà piuttosto alla linea tradizionale, confortati anche dalla Lettera della Congregazione della Fede sui novissimi del 1979.
Sorvoleremo pure sulle tante questioni attinenti a questo argomento (le controversie oggi in voga riguardano il nome, la pena del fuoco, il luogo o lo stato...), attenendoci a quei dati essenziali, che sono più facilmente recepiti dal popolo.
Sappiamo bene che la pietà popolare si spinge spesso troppo oltre... e questo avviene anche per il Purgatorio. Se però bisogna deplorare quanto non è assolutamente fondato, non si può però buttare a mare quanto ci viene dalla pietà popolare stessa. Si sa bene che, nella storia del dogma cattolico, più volte la pietà popolare ha intuito, precorso e preparato l'avvento di dogmi proclamati dal Magistero infallibile della Chiesa. Esempio classico è il culto a Maria Santissima come Immacolata.
In tema di Purgatorio, siamo nel mistero dell'altra vita. E allora chiediamoci: in che cosa consiste l'altra vita?
La Chiesa Cattolica parla di Paradiso ed Inferno eterni, e parla pure di una realtà intermedia che serve a preparare e a rendere degni del Paradiso. Nelle pagine che seguono ci occuperemo appunto di questa realtà, attingendo prima di tutto dalla Rivelazione, base e fondamento di ogni ricerca teologica; ma troveremo conferme anche nella storia e nella vita dei santi e nell'esperienza sicura di tante anime.
Vogliamo pure far notare che sul Purgatorio esiste una produzione letteraria enorme che comprende alta speculazione e anche zavorra, leggende e modi di pensare popolari. A noi, naturalmente, interessano soprattutto, dopo la Sacra Scrittura e i Santi Padri, le opere di teologi in comunione con la Chiesa Cattolica. È su questa solidissima base che tentiamo di appoggiare e spiegare le tante visioni dei santi e le loro discese nel Purgatorio.
Da dire però subito che, su quanto verremo dicendo, c'è certezza dogmatica solo per quelle verità che ci vengono insegnate come verità di fede dalla Chiesa cattolica. Su altre affermazioni si va dalla quasi certezza alla probabilità o a opinioni, più o meno valide, a seconda della solidità delle argomentazioni addotte.


Capitolo I
Episodi impressionanti
Gli episodi che qui riportiamo -ce ne sarebbero tantissimi- vogliono semplicemente introdurre al discorso sul Purgatorio. Discorso rivolto a tutti ma specialmente a coloro che con estrema leggerezza negano o mettono in dubbio l'esistenza dell'aldilà e, anche, a quei teologi schizzinosi, per i quali nulla è veramente dimostrato con certezza e perciò sono sempre pronti a minimizzare certe verità di fede.
Queste apparizioni, questi interventi inattesi, questi misteriosi rapporti con gli uomini, queste "scie" o segni lasciati in questa vita da anime defunte, devono prendersi in blocco come frutti di fantasie malate o come coincidenze inspiegabili dall'umana ragione?
Questi eventi, a volte veramente sconcertanti, dovrebbero piuttosto far riflettere seriamente su quanto essi potrebbero significare, confermare o illustrare.


Anime che rivelano il loro stato attuale nell'aldilà
Nel Diario di santa Faustina Kowalska (1905-1938) leggiamo che una volta, di notte, venne a trovarla una consorella, morta due mesi prima. Era in uno stato spaventoso, tutta avvolta da fiamme, con la faccia dolorosamente stravolta. L'apparizione durò solo un breve momento, ma l'anima di Suor Faustina fu trapassata. Pur non sapendo dove soffrisse, se in Purgatorio o all'Inferno, ella raddoppiò le preghiere per lei. La consorella ritornò la notte seguente, in uno stato ancora più spaventoso, tra fiamme più fitte, aveva sul volto i segni della disperazione. Sorpresa di vederla così dopo tutte le preghiere fatte, suor Faustina le chiese: "Non le hanno giovato per nulla le mie preghiere?". La consorella rispose che non erano servite a nulla e che niente poteva aiutarla. E le preghiere -insistette suor Faustina- fatte per lei da tutta la Congregazione, anche quelle non le hanno giovato a niente? ". "Niente. Quelle preghiere sono andate a profitto di altre anime". E allora disse Suor Faustina: "Se le mie preghiere non le giovano per niente, la prego di non venire da me". Al che ella scomparve immediatamente. Tuttavia si continuò a pregare per lei. Dopo qualche tempo, di notte, ritornò di nuovo, ma in uno stato del tutto diverso. Non era tra le fiamme come prima e il suo volto era raggiante, gli occhi le brillavano di gioia... esortò a non cessare di pregare per le anime purganti, e disse pure che non sarebbe rimasta a lungo in Purgatorio. I giudizi di Dio sono veramente misteriosi!
Padre Stanislao Chascoa pregava per i defunti quando vide un'anima completamente avvolta dalle fiamme. Il Padre, terrorizzato, chiese se quelle fiamme fossero più brucianti di quella della terra. "Ahimé -rispose il defunto- tutto il fuoco della terra paragonato a quello de Purgatorio è simile ad un soffio di aria fresca". Il religioso chiese come ciò fosse possibile. Il defunto allora lo invitò a provare quel fuoco. Padre Stanislao toccò quello che sembrava essere sudore e che cadeva dalla fronte del defunto; immediatamente lanciò un urlo e cadde a terra tramortito per il dolore e lo spavento. Accorsero i confratelli a soccorrerlo come potevano. Quando rinvenne, raccontò la terribile esperienza dicendo alla fine: "Oh, fratelli miei se solo ciascuno di noi sapesse quanto è severa la divina giustizia, non peccheremmo più!".
Il fatto che adesso raccontiamo è ricordato come l'episodio delle mani bruciate di Perugia. Sentite. Madre Maria Teresa era stata eletta abadessa il 18 agosto 1918 ed aveva mantenuto la carica di sagrestana, quindi era suo il compito di rispondere alle chiamate del campanello della sagrestia. Il 2 settembre del 1918, alle 7,30 del mattino, sentito suonare il campanello, andò a rispondere. Al rituale saluto "Siano lodati Gesù e Maria", rispose una voce velata e triste: "Devo lasciar qui questa elemosina". Era una banconota da dieci lire. La suora chiese: "Devo far dire delle preghiere, far celebrare delle Messe o altro?" "Senza nessun obbligo." Rispose l'offerente. La suora chiese: "Se è lecito, chi è lei?" E lui: "Non occorre saperlo.. Il suono del campanello si ripeté il 5 settembre, il 31 ottobre, il 29 novembre e il 9 dicembre dello stesso anno, con lo stesso dialogo e la stessa elemosina elargita. Alla richiesta dell'abadessa se dovevano fare preghiere, lui rispose: "La preghiera è sempre buona." La cosa era molto strana e tutto il monastero cominciò ad avere un certo turbamento. Al suono del campanello accorrevano tutte le suore, là dove c'era la ruota e il campanello, ma non vedevano niente. Domandavano se era l'uomo delle dieci lire, e l'abadessa mostrava loro la banconota offerta. Forse qualcuno che, pentito, riportava in Chiesa del denaro rubato? Nel corso di quattordici mesi le visite furono ben ventotto e l'ammontare delle oblazioni raggiunse la somma di 300 lire, grande somma per quei tempi! Aumentava la curiosità di sapere chi fosse il generoso benefattore, quando, il 14 marzo 1919, si verificò un fatto nuovo. Dopo l'esame di coscienza della sera, le suore lasciarono la chiesa, sicurissime che non ci fosse nessuno. Ma verso le 8, con grande stupore di tutte, si ripeté il suono del campanello. L'abadessa trovò sulla "ruota" la solita offerta di dieci lire. Si andò ad ispezionare la Chiesa e il parlatorio: non c'era nessuno. Si cominciò allora a pensare che quanto avveniva fosse un fenomeno del tutto fuori della norma. L' l1 aprile, mentre le suore facevano la meditazione e l'abadessa era al parlatorio con due anziane, squillò il campanello. Andata alla ruota, l'abadessa ascoltò la solita voce che disse: "Lascio questa elemosina per preghiere per un defunto". Era la prima volta che l'offerente chiedeva preghiere. Da notare che le suore mai potettero sentirne la voce, pur vedendo girare la "ruota" con dentro l'offerta. Un giorno l'abadessa volle fare una prova: al suono del campanello, non andò lei ma la portinaia. Ma al saluto di questa "Sia lodato Gesù... " non rispose nessuno né fu lasciato il denaro. Lo si trovò invece al mattino seguente sulla "ruota". Dopo la richiesta di preghiere, le suore intensificarono più che mai le preghiere per suffragare quell'anima che ormai era loro cara. La sera del 16 settembre del 1919, verso le 9,15, l'abadessa, dopo aver personalmente chiuso il dormitorio, sentì suonare il campanello. Andò a rispondere con un'altra suora, ma non intese alcuna voce, vi erano tuttavia le dieci lire che non prese. Poi, essendole parso di sentire suonare nuovamente il campanello, ritornò giù e l'anima, con voce compassionevole, le offrì le dieci lire dicendo: "Le prenda, è per soddisfare la divina giustizia". L'abadessa, allora, per accertarsi che non si trattava di forze malefiche, disse la giaculatoria: "Sia benedetta la Santa, Purissima ed Immacolata Concezione della Beatissima Vergine Maria"... e la voce misteriosa, appena percettibile, la ripeté fedelmente. L'abadessa era però combattuta tra il desiderio di assecondare la richiesta dell'anima e il dubbio che si trattasse di manifestazioni diaboliche, perché c'era di mezzo il denaro di cui non si sapeva la provenienza. Una notte, mentre stava nella sua camera, posta nell'ala più distante del convento dove era impossibile percepire il suono del campanello, fu svegliata da un leggero tocco alla porta, con le nocche delle dita. Sentì una voce che l'avvertiva che avevano suonato il campanello della sagrestia. La mattina seguente ella chiese alle suore se qualcuno avesse bussato alla sua porta, alla risposta negativa capì che si trattava sempre della stessa misteriosa persona che portava l'obolo.
Il segreto di tutta la faccenda fu svelato il 3 ottobre 1919, quando l'abadessa, ricusando l'elemosina col dire che glielo aveva proibito il confessore per timore che si trattasse di cosa diabolica, sentì la voce rispondere: "No, sono un'anima purgante, sono quarant'anni che mi trovo in Purgatorio per aver dissipati beni ecclesiastici". La Madre fece celebrare una Messa in suffragio. Quando la Messa terminò, sentì suonare il campanello. E la solita voce disse: "Lascio questa elemosina e grazie tante". Lo stesso avvenne il 10 ottobre. Anche quella mattina venne celebrata una Messa in suffragio. L'abadessa chiese allora al misterioso visitatore: "Per ordine del confessore, mi dica il nome e cognome per lasciarlo per memoria." Ma l'anima, invece di risponde alla domanda, disse: "Il giudizio di Dio è giusto e retto". La Madre allora: "Ma come! Le ho fatto dire Messe e se una sola basta per liberare un'anima, come mai lei non è ancora libera?". Rispose: "Io ne ricevo la minima parte", e lasciò sulla ruota venti lire disposte a forma di croce. Importante quanto avvenne il 30 ottobre 1919. Alle 2,45 dopo la mezzanotte l'abadessa fu svegliata dal leggero tocco delle dita alla porta della stanza e la voce fuori sussurrò: "E suonato il campanello della sagrestia". La suora andò a rispondere, al solito saluto l'anima rispose: "Amen", poi subito: "Lascio qui questa elemosina". Ma l'abadessa soggiunse: Io per ordine del confessore non posso prenderla. In nome di Dio e per ordine del confessore mi dica chi è, è sacerdote?". "Sì." La suora: "Erano di questo monastero i beni che ha dissipati?". "No, ma ho il permesso di portarli qui". "E dove li prende?". "Il giudizio di Dio è giusto". "Ma io ci credo poco che sia un'anima, penso sempre che sia qualcuno che scherza". "Vuole un segno?". "No, ho paura...". "Grazie, adesso entro a far parte delle preghiere" e si allontanò mormorando: "Benedictus Deus qui... " seguirono parole incomprensibili, ma con una voce dolce da rasserenare il cuore. Il 9 novembre del 1919, ventottesima ed ultima visita, alle 4,15 circa, dal dormitorio l'abadessa sentì suonare il campanello. Scese. Al saluto: "Lodato Gesù e Maria", la solita voce, che la colpì per il tono gioioso, addirittura felice, disse: "Sia lodato in eterno! Ringrazio lei e la religiosa comunità; sono fuori da ogni pena". In quel momento La badessa, con il cuore traboccante di gioia, in uno stato di mistica esaltazione, ebbe l'impressione di trovarsi in un prato sfavillante di luce con gran tripudio di colori e vide l'anima del visitatore salire al Cielo lucente come un raggio di sole. Questi fatti furono autenticati con giuramento dai testimoni in un vero e proprio processo.
Quest'altro episodio riguarda il venerabile Bartolomeo Agricola (1560-1621) che stava celebrando la Messa nella Cappella dell'Udienza, a Trani, per l'anima di D.Giovanni morto a Napoli. Vi assistevano Donna Zenobia e altri di casa. Al memento dei morti il Venerabile scoppiò in un pianto dirotto della durata di un quarto d'ora. La cosa non sfuggì a nessuno. Finita la Messa, Donna Zenobia gli chiese in disparte il motivo di quel pianto e Bartolomeo Agricola le confidò che aveva visto D.Giovanni che, dal fondo del Purgatorio, lo aveva chiamato dicendogli: "Padre, Padre, aiutami!". Intenerito per questo, aveva pianto così lungamente. Il mattino dopo celebrò nella stessa cappella una seconda Messa per l'anima di D.Giovanni. Dopo -disse in segreto a Donna Zenobia- vide l'anima di D.Giovanni sollevata come fosse stata sopra una loggia e che pativa pochissimo. Il mattino dopo celebrò ancora una terza Messa, finita la quale confidò a Donna Zenobia di aver visto l'anima di D.Giovanni andare in Paradiso tutto bianco vestito, con grande gioia nel cuore.

Anime che chiedono aiuto
La ragione per cui le anime purganti chiedono aiuti e suffragi è perché non possono più meritare per sé. Dice santa Caterina da Genova (1447­-1510): "Se le anime del Purgatorio potessero purgarsi per contrizione, in un istante pagherebbero tutto il loro debito; tanto affòcato impeto di contrizione verrebbe loro; e questo per il chiaro lume che hanno dell'importanza di quell'impedimento, il quale non le lascia congiungere con il loro fine e Amore Dio".
Un giorno del luglio 1941, dopo la Santa Comunione, Edvige Carboni (1880-1952) si sentì toccare la spalla e una voce triste le disse: "Sono morta da poche ore sotto le macerie. soffro nel Purgatorio; mi sembra un secolo! Dio è severo, Dio è giusto, Dio punisce! Prega per me e fa' pregare... (…) Pregate, pregate, liberatemi da tante pene".
A suor Maria Giuseppa Menendez (1890-1923) si presentarono tante anime di defunti a chiederle preghiere, sacrifici, suffragi per ottenere la liberazione. "Sono qui -le disse un'anima- per l'infinita bontà di Dio, perché un orgoglio eccessivo mi aveva portata sull'orlo dell'inferno. Tenevo sotto i piedi molte persone, ora mi precipiterei ai piedi dell'ultimo dei poveri! Abbi compassione di me, fa' degli atti di umiltà per riparare il mio orgoglio. Così potrai liberarmi da questo abisso".
Un'altra anima le confessò: "Ho passato sette anni in peccato mortale e sono stata tre anni ammalata. Ho sempre rifiutato di confessarmi. Mi ero preparato l'Inferno e ci sarei caduta se le tue sofferenze non mi avessero ottenuto la forza di rientrare in grazia. Sono ora in Purgatorio e ti supplico, poiché hai potuto salvarmi: liberami da questa prigione tanto triste!".
Numerosi sono nella vita di san Pio da Pietrelcina (1887-1968) le apparizioni di defunti che gli chiedevano di essere liberati attraverso la celebrazione della Messa o che lo ringraziavano per l'ottenuta liberazione. Un giorno, a tarda sera, quando ormai chiesa e convento erano chiusi, si sentirono voci all'ingresso del convento che dicevano: "Viva Padre Pio!" Qualcuno andò a controllare: tutte le porte erano sbarrate. Si cercò di controllare meglio: niente di niente. Il mistero fu svelato da Padre Pio stesso che, interrogato in merito dal superiore, rispose che erano soldati defunti venuti a ringraziarlo per aver ottenuto, grazie ai suoi suffragi, la liberazione dal Purgatorio.
Capitolo II
Che cos'è il Purgatorio
La parola "purgatorio"(da "purgare", "purificare") non è un termine biblico: fu coniato da una delle correnti teologiche latine per designare la fase di purificazione delle anime dei trapassati, perché nulla di impuro può essere ammesso alla presenza di Dio (cfr.Apoc 21,22-27; 1 Cor 3,13­15).
Il Purgatorio è qualcosa che appartiene all'aldilà, diverso non solo dal Paradiso ma anche dall'Inferno. Vediamo in che senso.
Siamo nell'aldilà
Scrive Piolanti nel suo La comunione dei santi e la vita eterna. "Secondo la fede cattolica il Purgatorio è lo stato ultraterreno, che durerà fino al giorno del giudizio, ove le anime di coloro che sono morti in grazia ma con imperfezioni e pene temporali da scontare per i peccati gravi perdonati, espiano e si purifìcano prima di salire in Paradiso". Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, al n.20, dice che il Purgatorio è: "Lo stato di quanti muoiono nell'amicizia di Dio, ma, benché sicuri della loro salvezza eterna, hanno ancora bisogno di purificazione, per entrare nella beatitudine celeste". Cioè le anime si "purgano" venendo purificate da tutto ciò che impedisce loro di avere la visione beatifica di Dio e di godere l'eterna felicità. L'espiazione, la riparazione serve a riportare l'anima allo stato in cui fu creata da Dio: bella e perfetta. In pratica, nel Purgatorio le anime riparano i guasti, i disordini causati dai loro comportamenti peccaminosi sulla terra.
Si parla di "stato", cioè di una condizione di vita inerente allo stesso interessato. Ciò significa che la purificazione può farsi ovunque, non dipendendo necessariamente da un luogo. Papa Giovanni Paolo II, in un discorso fatto nell'agosto 1999, disse che il Purgatorio "non indica un luogo, ma una condizione di vita. Coloro che dopo la morte vivono in uno stato di purificazione, sono già nell'amore di Dio, il quale li solleva dai residui dell'imperfézione". E tuttavia, anche se si parla di "stato", nulla vieta che possa essere anche un "luogo" (luogo tra virgolette) dove si purificherebbero normalmente coloro che ne hanno bisogno. Si vedrà dagli episodi che apporteremo che tanti di questi parlano del Purgatorio come un "luogo determinato" o, per lo meno, lo si deduce con molta probabilità.
Nel Purgatorio si espia e si ripara
Nel Purgatorio si espia. Ma -chiediamoci- cos'è l'espiazione? Nel Purgatorio sono centrali l'espiazione e la riparazione. San Pier Damiani dice: "Non ti illudere se per un peccato grave commesso ti venga imposta una penitenza leggera da uno che non sappia o che nasconda tale gravità; perché dovrai completare nel fuoco purificatore ciò che avrai tralasciato di qua. Lasciato quindi il mondo, e acquistato un nuovo modo di vita, entra nella terza regione, che è la regione dell'espiazione. Ivi il Padre buono prova i figli macchiati di ruggine, come si prova l'argento, e li conduce attraverso il fuoco e l'acqua, onde portarli al riposo... Quelli che hanno peccato mortalmente, ma si sono pentiti in fin di vita senza far penitenza, non essendo degni di entrare subito nella gloria, né meritando di bruciare eternamente, devono andare in questo luogo di purificazione, dove sono tormentati, ma non per la loro inutile stoltezza, ma perché, così provati, siano portati nel Regno".
L'espiazione, dunque, serve a liberare l'anima dalla ruggine del peccato, che le impedisce di unirsi a Dio. Scrive santa Caterina da Genova: "L'impedimento è la ruggine del peccato: il fuoco (dell'Amore divino) va consumando la ruggine e così l'anima si apre sempre più all'influsso di Dio. È come un oggetto coperto davanti al sole, che non può ricevere i suoi raggi, non per una imperfezione del sole che splende di continuo ma a causa della sua copertura. quando si elimina questa copertura, l'oggetto si apre al sole, la sua capacità di rifletterne (i raggi) aumenta quanto più si va assottigliando ciò che lo copre. Allo stesso modo la ruggine del peccato, che ricopre le anime nel Purgatorio, si va consumando per il fuoco (dell'amore Divino) e quanto più si distrugge tanto più cresce la corrispondenza col vero sole che è Dio. Perciò quanto più diminuisce la ruggine, tanto più cresce la gioia e l'anima si apre all'influsso divino; così questa cresce e l'altra diminuisce finché non sia tutto compiuto. Non che venga meno la pena, va solo diminuendo il tempo di stare in quella pena „.
È una purificazione che, in definitiva, viene da Dio stesso. Ancora santa Caterina da Genova: "Vedo anche procedere da quel Divino Amore verso l'anima alcuni raggi e vampe infuocate, così penetranti e potenti come se dovessero annientare non solo il corpo ma anche l'anima, se ciò fosse possibile. Questi raggi compiono due effetti nell'anima, cioè prima la purificano, poi l'annientano. Pensa all'oro che più lo fondi e più diventa puro e quanto più lo puoi fondere tanto più togli in esso ogni impurità: è il fuoco che produce questo effetto nelle cose materiali. Ora l'anima non può annullarsi in Dio ma soltanto in se stessa e quanto più viene purificata, tanto più si annienta in se stessa, ma resta in Dio purificata. Come l'oro puro a ventiquattro carati non si consuma ulteriormente, per quanto tu cerchi di aumentare la fiamma che a quel punto può bruciare soltanto residue imperfezioni, così il fuoco divino agisce nell'anima: Dio la tiene immersa nella fiamma che cancella ogni imperfezione finché raggiunga i ventiquattro carati, ciascuna anima secondo il suo grado".
Il reato di colpa e il reato di pena
In Purgatorio, dunque, le anime espiano, riparano e si purificano. Per comprendere meglio ciò, è necessario rifarsi al reato di colpa e al reato di pena.
Chi pecca, trasgredendo la legge di Dio, si carica di un reato-colpa, che però è assolto per perdono ricevuto o per pentimento. Ma, cancellato il reato di colpa, può sussistere il reato di pena, e cioè il debito della riparazione. Chi, per esempio, incendia la casa altrui, può essere perdonato, ma gli resta l'obbligo di riparare i danni. E cioè viene assolto dal reato di colpa, ma gli resta l'obbligo di ricostruire la casa (il reato di pena).
Al reato di colpa e al reato di pena accenna già san Cipriano (200-­258) dicendo che il reato di pena è da scontarsi se non si è fatta adeguata penitenza. Pena che, se non si è scontata sulla terra, richiede un'espiazione dopo la morte. "Un conto -egli dice nell'Epistola 55- è ottenere il perdono, altro invece è pervenire alla gloria; un conto è stare in carcere per scontare il debito fino all'ultimo centesimo, altro è ricevere subito la mercede della fede e della virtù; un conto essere emendato e purificato a lungo col fuoco per una colpa commessa, altro invece è essere subito coronato dal Signore."
La distinzione tra reato di colpa e reato di pena è chiaramente affermata dal Concilio di Trento contro i protestanti. È scritto: "E’ scomunicato chi afferma che all'uomo, una volta ricevuta la grazia della giustificazione, non resta nessun reato di pena sicché non deve scontare niente né qui sulla terra né nell'aldilà prima di entrare in cielo. "
È in questa distinzione (reato di colpa e reato di pena) che sta il fondamento teologico del concetto e della realtà del Purgatorio.

Capitofo III
L'esistenza del Purgatorio
Esiste veramente il Purgatorio?
La sua esistenza, se è ammessa dalla Chiesa Cattolica, è decisamente negata da altri. La verità possiamo attingerla con certezza solo dalle fonti della Rivelazione: la Sacra Scrittura e la Tradizione.
I negatori
Negano, ovviamente, l'esistenza del Purgatorio tutti coloro che non credono all'esistenza di una vita ultraterrena; ma negatori del Purgatorio sono anche i protestanti per la loro teoria sulla giustificazione solo esteriore e giuridica. Solo esteriore perché, per i protestanti, la giustificazione non cambia nulla nell'interno dell'uomo che resta peccatore; e solo giuridica o forense, trattandosi di semplice dichiarazione. Un esempio di giustificazione forense o giuridica: un uomo che ha ucciso, pur dichiarato innocente dal giudice, resta omicida. Giuridicamente (quindi esternamente) egli è immune dal delitto imputatogli, nella realtà però è colpevole per davvero per aver commesso realmente l'omicidio.
La giustificazione vera non è altro che l'applicazione dei meriti di Cristo per cui il peccatore è allo stesso tempo giusto (per l'applicazione dei meriti di Cristo) e peccatore per il suo stato reale di essere tutto peccato. Questa applicazione dei meriti di Cristo esclude ogni debito anche di pena. In merito all'esistenza del Purgatorio c'è poi da ricordare la controversia tra Chiesa Romana e Chiesa Ortodossa al Concilio di Firenze (1439-1445). L'opposizione alla tesi romana si ridusse a due punti fondamentali, e cioè al rifiuto del termine ‘purgatorio’ e alla negazione decisa del fuoco purificatore.
Ritornando ai negatori del Purgatorio, va detto che non mancano anche teologi moderni che, in pratica, negano tutto, affogando il vero concetto di Purgatorio in un mare di parole, non sappiamo fino a che punto sensate.
Cosa dicono la Sacra Scrittura e la Tradizione
Ci limiteremo ad alcuni testi sia della Sacra Scrittura sia della Tradizione.
Dalla Sacra Scrittura
Giuda Maccabeo, avendo scoperto sui soldati, caduti in battaglia, amuleti idolatrici, fa una colletta per far celebrare un sacrificio espiatorio. "Agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione. Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti. Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato" (2 Maccabei 12,40-45). "Questo testo -scrive Piolanti- almeno indirettamente, afferma che ai morti ‘cum pieta’ è anche se macchiati da qualche colpa, e concesso da Dio il perdono dei propri peccati mercé le preghiere dei superstiti". Lo studioso Candido Pozo, nel commentare il testo, annota che l'autore ispirato loda non solo l'azione, ma anche la convinzione di Giuda Maccabeo ("agendo molto bene e pensando nobilmente della risurrezione"), cosa che l'autore non potrebbe fare se il modo di pensare di Giuda Maccabeo fosse falso. Modo di pensare che comprende due elementi essenziali: e cioè sia che quei defunti non sono morti in uno stato di condanna e d'inimicizia con Dio ("pensando che coloro che erano morti piamente "); e sia che, tuttavia, restava loro qualcosa da cui dovevano essere liberati ("perché fossero liberati dal loro peccato").
Un altro riferimento al Purgatorio. Il Vangelo di san Matteo dice: "Qualunque peccato o qualunque bestemmia sarà perdonata agli uomini, ma la bestemmia contro lo Spirito Santo non sarà perdonata. E chi avrà parlato contro lo Spirito Santo non sarà perdonato né in questa né nell'altra vita" (12,31-32). Dunque, almeno come interpretano alcuni esegeti, ci sono peccati che possono essere rimessi anche nell'altra vita. Un'interpretazione che non è da scartare, anche se alcuni moderni preferiscono vedere in questa frase enfatica unicamente la esclusione di qualunque perdono per il peccato contro lo Spirito Santo".
Altro testo biblico: "Secondo la grazia di Dio a me concessa, quale sapiente architetto, io posi il fondamento e altri vi fabbrica sopra. Ognuno però badi a come fabbrica sopra. Infatti altro fondamento nessuno può porre oltre quello che è stato posto, che è Gesù Cristo. E se uno innalza su questo fondamento usando oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia, l'opera di ciascuno si renderà manifesta; infatti il giorno (del Signore) lo mostrerà, poiché nel fuoco si manifesta e l'opera di ciascuno, qual è, il fuoco la saggerà. Se l'opera, che qualcuno avrà innalzato sopra, resterà, egli ne avrà la ricompensa; ma se l'opera di uno brucerà, ne patirà danno, egli però sarà salvo, ma come attraverso il fuoco" (1 Con 3,10-17). Commenta Piolanti: "L'Apostolo, alludendo all'uso di adoperare oro argento, pietre preziose per la costruzione dei templi e delle regge, applica questi nomi alla dottrine vere e proficue, mentre riserva i termini "legno, fieno, paglia" alla dottrine false, frivole e mondane, inadatte all'edificazione spirituale dei fedeli. L'opera di ogni predicatore sarà messa alla prova del fuoco ( ..) nel giorno del Signore (..). S. Tommaso d'Aquino (In 1 Cor,c.3, lect.2) interpreta il fuoco nel senso più esteso, e cioè come complesso dei giudizi e delle prove (fuoco metaforico) a cui Cristo sottopone l'opera di coloro che hanno lavorato nella sua Chiesa: pertanto egli ritiene che "il giorno del Signore" (..) siano tutti i momenti, in cui Dio manifesta il suo giudizio sull'opera dei costruttori del Regno (tribolazioni della vita presente, giudizio particolare, giudizio finale). In ognuno di questi momenti la Provvidenza mostra il valore delle opere: chi avrà costruito con materiale buono (oro, argento, pietre preziose), vedrà la consistenza del suo lavoro e ne avrà una ricompensa (ultraterrena); chi avrà edificato con materiale cattivo (legno, fieno, stoppa), constaterà la fragilità del proprio lavoro ed egli stesso ne subirà danno (ossia ne avrà un castigo), ma sarà salvo, non senza dolore e angoscia, come colui che fuggendo tra le fiamme ne prova spavento e ne riporta scottature. In questa prospettiva è implicita l'idea del Purgatorio. Infatti le prove, a cui saranno sottoposti gli architetti del Regno, non possono ritenersi soltanto terrene (tutto il contesto riguarda principalmente la vita futura), né possono restringersi solo a quelle del giudizio finale, perché in quel giudizio si avranno solo eletti o dannati, mentre nel testo si parla di un patimento (un danno...) transeunte, che si concluderà con la salvezza definitiva di colui che ha fabbricato sul fondamento vero, ma con materiale di scarto. Il concetto di una prova ultraterrena, ma non eterna, corrisponde alla dottrina cattolica del Purgatorio. Questa interpretazione è sostanzialmente comune a numerosi esegeti cattolici".
Dalla Tradizione
Le testimonianze tratte dalla Tradizione sono molto più dettagliate. Abbiamo prima di tutto gli Atti dei Martiri e le iscrizioni delle catacombe che testimoniano il valore della preghiera, delle opere buone e soprattutto del Sacrificio Eucaristico per i fedeli defunti.
I Padri, poi, della Chiesa d'Oriente e d'Occidente parlano di suffragi, di purificazione, di espiazione. Eccone qualche saggio.
Abercio, vescovo di Gerapoli in Asia Minore, compose nel II secolo il suo epitaffio sepolcrale, ove si legge: "Queste cose dettai direttamente io, Abercio, quando avevo precisamente settantadue anni di età. Vedendole e comprendendole, preghi per Abercio". Dunque la Chiesa primitiva credeva nel Purgatorio, dal momento che credeva nella necessità di pregare per i morti.
Origene fu il primo esplicito assertore della dottrina cattolica del Purgatorio. Egli distingue nettamente tra peccati gravi "ad mortem" e peccati degli imperfetti. Anche i buoni sono imperfetti e pertanto tutti i giusti saranno provati col fuoco cui accenna 1 Cor 3,13. "Se egli scrive ­in questa vita trascuriamo le parole ammonitrici della Sacra Scrittura e non ci vogliamo curare ed emendare in base ai suoi richiami, è certo che ci attende quel fuoco che è stato preparato per i peccatori, e ci accosteremo a quel fuoco nel quale le opere di ognuno esperimenteranno di che razza di fuoco si tratta. E, a mio avviso, noi tutti necessariamente passeremo per quel fuoco".
Sant'Agostino, a sua volta, è colui che ci ha dato sul Purgatorio la sintesi più completa e ordinata. Egli afferma -come dice Piolanti- "con chiarezza inequivocabile che le pene purificatrici devono aver luogo tra il giudizio particolare (subito dopo la morte) e quello finale, dopo il quale non ci sarà più che l'Inferno e il Paradiso." Sant'Agostino scrive nel De Civitate Dei, al capitolo 21: "Alcuni soffriranno pene temporali solo in questa vita, altri le soffriranno dopo la morte; alcuni ancora le soffriranno in questa vita e nell'altra, però prima dell'ultimo e severissimo giudizio.
Dal Magistero
La Chiesa ha formulato dogmaticamente i dati della Scrittura e della Tradizione.
Il Concilio di Lione (1274) afferma che "le anime sono purificate dopo la morte con pene che lavano".
Il Concilio di Firenze (1439) è il primo a presentare il Purgatorio come verità di fede.
Il Concilio di Trento (1553), soprattutto col celebre decreto De Purgatorio, ribadisce che "il purgatorio esiste e che le anime ivi trattenute possono essere aiutate dai suffragi dei fedeli".
Il Magistero della Chiesa però non ha definito nulla circa le pene del senso, e in particolare del fuoco, pene che si aggiungerebbero alla pena della differita visione di Dio. E tuttavia al fuoco accennano, per esempio, Innocenzo IV e Clemente VI.
Anche papa Paolo VI ha detto che le anime di coloro che muoiono in Grazia sono sia quelle che devono espiare col fuoco del Purgatorio, sia quelle che vanno subito in Paradiso.
L'esistenza del Purgatorio fa parte dunque delle verità da credere, essendo dogma di fede definita. Ma cosa significa dogma di fede definita? A scanso di equivoci va detto che ogni verità contenuta nella Rivelazione è verità di fede e cioè deve essere accettata e creduta incondizionatamente. Ma, quando i testi rivelati non sono del tutto chiari oppure quando una determinata verità viene contestata o messa in dubbio, la Chiesa, dopo accurato esame e approfondimento, può affermare che quella determinata verità è contenuta formalmente nella Sacra Scrittura e nella Tradizione, e quindi, come tale, deve accettarsi definitivamente; e affermazioni contrarie, da parte di chiunque -si trattasse di teologi o di intellettuali, di semplici o di mentalità corrente- vanno decisamente messe da parte come eretiche e contrarie alla fede.


Capitolo IV
La teologia e la pietà popolare
La teologia, che è approfondimento e sviluppo del dato rivelato, è, nei suoi più grandi maestri, unanime nell'ammettere l'esistenza del Purgatorio, oltre poi a svilupparne pure tutti i suoi elementi e a trarne conclusioni teoriche e pratiche.
I grandi Maestri della Scolastica
Tutti i grandi Maestri della Scolastica medievale (Pietro Lombardo, sant'Alberto Magno, Alessandro d'Hales, ecc.) hanno ammesso l'esistenza del Purgatorio. Non solo, ma sulle tracce di sant'Agostino, ne accettano quasi tutte le posizioni (la pena del danno e il fuoco reale). Qui ricorderemo solo san Tommaso d'Aquino. Egli dice "(...) se tolta la colpa con la contrizione, non viene tolto pure il reato della pena e non vengono tolti i peccati veniali, la giustizia di Dio esige che l'ordine intaccato dal peccato sia restaurato a mezzo della pena. E perciò è necessario che chi, ricevuto l'assoluzione del peccato, muore senza aver fatta la debita soddisfazione, sia punito dopo questa vita. Coloro perciò che negano il purgatorio, parlano contro la giustizia di Dio, e ciò è erroneo e contro la fede (...)."
Ci dice Piolanti: "Nel secolo XIII i grandi scolastici, chiosando il testo di Pietro Lombardo, costruirono una sintesi più consistente. Essi, pur discutendo su alcuni punti secondari (remissibilità del peccato veniale, la gravità e la durata della pena, il luogo del Purgatorio), tennero come dottrina di fede l'esistenza del Purgatorio, la temporaneità della pena e furono concordi nel ritenere reale il fuoco".
La pietà popolare
Prova della veridicità del Purgatorio è anche, in qualche modo, la pietà del popolo cristiano che sempre ha coltivato il culto dei defunti con suffragi, acquisto di indulgenze, ecc. E il sensus fidelium, il sentire dei fedeli che ha il suo peso, rivelandosi espressione di una tradizione costante e mai smentita dalla Chiesa stessa. Ora, il popolo cristiano a cominciare dai primi secoli della Chiesa non solo ha sempre creduto nell'esistenza del Purgatorio, ma ha pure sempre suffragato e pregato per i defunti. Anche nel nostro tempo scristianizzato, dove è frequentemente diffuso un simbolismo di tipo magico, non è venuto meno il culto "cattolico" dei defunti. Scrivono Vittorio Messori e Aldo Cazzullo nel loro Il mistero di Torino: "A Milano c'è il Cimitero Monumentale e a Torino il Cimitero Generale. E benché a quest'ultimo ci vada tanto poca gente, tuttavia, sia nei sepolcri sotto le arcate sia nelle cappelle all'aperto, si sprecano i triangoli, i pentacoli, le squadre, le fronde di acacia, ma l'imponenza stessa delle costruzioni, la cura con cui sono tenute (...) mostrano che l'abbandono della fede nell'Aldilà cattolico non ha scalfito il culto dei defunti che la contrassegna."
D'altronde la Chiesa stessa ha cercato di spogliare la morte inculcando in tutti i modi la speranza della salvezza, attuata da Cristo Redentore col suo Sangue. Così l'uso di porre sulle tombe la croce, l'emblema di vincere la morte con la certezza della risurrezione finale del corpo. I luoghi dei seppellimenti, invece di chiamarli "necropoli" (terra dei morti) li ha chiamati "cimiteri" e cioè, secondo la traduzione greca della parola, "dormitori". II seppellimento lo ha chiamato "deposizione", più che "donazione" definitiva, per intendere un affidamento solo temporaneo che si concluderà con la restituzione (la risurrezione della carne).
I santi e il purgatorio
Ma sono soprattutto i santi che ci parlano del Purgatorio: queste pagine vogliono esserne dimostrazione e conferma.
Certo non tutti i santi hanno avuto visioni di anime purganti o sono scesi in Purgatorio o hanno avuto visite di anime purganti. E però quasi impossibile che ci siano santi che non si siano interessati profondamente alle anime purganti, suffragandole e invitando a suffragarle. Il che è un apporto all'insegnamento della Chiesa tutt'altro che disprezzabile. Si tratta ancora una volta del sensus fidei espresso dalla parte migliore della Chiesa.
I teologi, spesso, non prendono quasi in nessuna considerazione la pietà popolare e i fenomeni mistici relativi. È un bene? Certamente la teologia, in quanto scienza, deve mantenersi sempre all'altezza della sua dignità, vagliando tutto con serietà e rigore; ma deve anche tener presente che la stessa pietà popolare ha una sua dignità!
Il Magistero della Chiesa ha più volte richiamato l'attenzione dei teologi a non disprezzare tale pietà, piuttosto a guidarla, a purificarla da elementi e fanatismi.
Certamente molti di questi fenomeni non possono essere ritenuti prove convincenti; ma è pur vero che spesso essi si presentano con tale cruda realtà (si pensi, per esempio, alle mani bruciate che lasciano l'impronta sulla porta) da doverli ritenere, per lo meno, indizi di una realtà che supera ragione umana e le nostre convinzioni razionali.
Da aggiungere poi che quanto affermato, oltre al prezioso contributo dogmatico, induce ad una conclusione: il Purgatorio si rivela come una esigenza dell'anima umana. Come già si dice per altro, si potrebbe anche in questo caso affermare: se il Purgatorio non esistesse, bisognerebbe inventarlo. Poche cose sono così spontanee, umane, universalmente diffuse -in ogni tempo e in ogni cultura- della preghiera per i propri cari defunti. Ciò è tanto vero che molti protestanti, che pure negano l'esistenza del Purgatorio, nella pratica vi sono ritornati e trovano anche delle argomentazioni teologiche degne di attenzione per darne un fondamento. Pregare per i propri cari è un moto troppo spontaneo per soffocarlo; è una testimonianza bellissima di solidarietà, di amore, di aiuto che va al di là delle barriere della morte.


Capitolo V
In che consiste il Purgatorio
La purgazione o purificazione da subire in Purgatorio è estremamente penosa. Da quanto detto e da quanto si dirà in seguito le anime purganti soffrono spaventosamente.
I loro tormenti sono tanti e di incredibile gravità. I testi biblici, che accennano al fuoco, al carcere, ecc... a molti esegeti non sembrano essere così decisivi, potendo essi spiegarsi anche in altro modo. Qui allora apparizioni e visioni dei santi appaiono decisive: e queste ci dicono che le anime purganti soffrono terribilmente.
C'è allora da chiedersi: perché queste pene e quali sono quelle principali che fanno soffrire le anime?
Il perché della pena
La pena nel Purgatorio si origina dal fatto che l'anima vede che Dio l'attira prepotentemente per puro amore e ne viene come distolta o impedita dall'impedimento del peccato.
Le pene sono varie e di vario genere. La prima e più importante è la pena del danno.
La pena del danno
La pena del danno consiste nella privazione della visione di Dio. È la pena principale che fa soffrire indicibilmente l'anima purgante. Questa, non avendo più i legami e i condizionamenti della carne, tende a Dio con una forza irresistibile, ma ne è come respinta. Santa Caterina da Genova tenta così di descriverla: 'Poniamo che nel mondo esista un solo pane che debba sfamare tutte le creature e che esse possano saziarsi solo vedendolo. Ora la creatura, cioè l'uomo, quando è sano, sente l'istinto naturale di mangiare e se non lo fa, qualora non si ammali o non muoia, la fame crescerà sempre proprio perché quello stimolo non viene meno: è contento perché sa che quel pane soltanto la può saziare, ma non avendolo egli resta affamato. Questo è l'inferno che provano quanti hanno una grande fame: quanto più l'uomo si avvicina a quel pane senza poterlo vedere, tanto più acceso diventa il suo desiderio che, per istinto naturale, è completamente rivolto verso quel pane, nel quale risiede tutta la (sua) felicità. Nel momento in cui avesse la certezza di non poter mai vedere quel pane, si inizierebbe per lui l'esatto inferno: questo preciso inferno provano le anime dannate perché prive completamente della speranza di contemplare il pane vero che è Dio salvatore".. Santa Caterina da Genova sembra confermare una tale interpretazione "La ruggine del peccato, -ella dice- che ricopre le anime nel purgatorio, si va consumando per il fuoco (dell'amore divino) e quanto più si distrugge tanto più cresce la corrispondenza col vero sole che è Dio ".
Ma si tratta anche di un fuoco come pena vera e propria. E perché? Perché, oltre alla pena del danno che già di per sé sviluppa un insopportabile "fuoco" (cioè il "fuoco" di un amore non appagato), anche la pena di un fuoco materiale? La ragione potrebbe trovarsi nel fatto che il peccato, oltre ad essere un'offesa a Dio, è nello stesso tempo un amore disordinato alle creature. È logico allora che l'anima peccatrice venga punita tanto da Dio quanto dalle creature stesse. "Le anime, dopo la morte, -dice sant'Agostino- ­sono penetrate da un fuoco ardentissimo che mente umana non può concepire". E aggiunge: "Benché questo fuoco sia destinato a purificare l'animo, è più doloroso di qualunque cosa si possa sopportare sulla terra".
Le pene peculiari
Oltre al fuoco, ci sono anche pene particolari per ciascun vizio. Ne parla santa Maria Maddalena de Pazzi (1566-1607) che vide e descrisse le pene tremende riservate agli ipocriti, ai disobbedienti, agli impazienti, ai bugiardi, agli avari, agli immondi e impuri, ai superbi, agli ambiziosi, agli ingrati. E pene particolari anche per anime religiose, che Dio aveva eletto ad amarlo più delle altre, e che non hanno corrisposto in pieno alla vocazione ricevuta.
Scrive santa Faustina Kowalska (1905-1938) nel suo Diario: "Ho saputo che c'è un luogo in purgatorio, dove le anime espiano di fronte a Dio per colpe di questo genere. Questa fra le varie pene è la più dura. L'anima segnata in modo particolare da Dio si distinguerà ovunque, in paradiso, in purgatorio e all'inferno. In paradiso si distingue dalle altre anime per una gloria maggiore, per lo splendore e per una più profonda conoscenza di Dio. In purgatorio per una sofferenza più acuta, poiché conosce più a fondo e desidera più violentemente Dio. All'inferno soffrirà più delle altre anime perché conosce meglio Colui che ha perduto. Il sigillo dell'amore esclusivo di Dio che è in lei non si cancella".
Un'anima di una religiosa defunta confida alla Menendez: "Da un anno e tre mesi sono in purgatorio. Senza i tuoi piccoli atti dovrei starvi per lunghi anni ancora! Una persona del mondo ha meno responsabilità di una religiosa. Quante grazie riceve questa e quale responsabilità se non ne profitta. Quante anime religiose si rendono poco conto del come si espiano qui le loro colpe! La lingua orribilmente tormentata espia le mancanze al silenzio... la gola riarsa espia le colpe contro la carità ...e l'angustia di questa prigione, le ripugnanze ad obbedire ...e qui occorre espiare la piccola immortificazione!... Frenare gli sguardi per non cedere alla curiosità può costare un grande sforzo, ma qui... Quale tormento soffrono gli occhi impediti di vedere Dio!"
La gravità delle pene del Purgatorio
Sono gravi le pene del Purgatorio?
Interrogato un giorno san Pio da Pietrelcina su cosa pensasse delle pene del Purgatorio (1887-1968), rispose: "Se il Signore dovesse permettere all'anima di passare da quel fuoco a quello più bruciante di questa terra, sarebbe come passare dall'acqua bollente all'acqua fresca".
Per san Tommaso d'Aquino (1225-1274) "Ogni minima pena del Purgatorio è più grave della massima pena del mondo. Tanto differisce la pena del fuoco del Purgatorio dal nostro fuoco, quanto il nostro fuoco differisce da quello dipinto".
San Roberto Bellarmino (1542-1621) parla di "pene acerbissime" e santa Caterina da Siena (1347-1380) parla di "pene infinite", infinite ovviamente non nel tempo ma nella gravità.
La beata Anna Schaefer (stimmatizzata tedesca nata nel 1882 e morta nel 1925) sognò il 25 luglio 1920 una donna che aveva conosciuta ed era morta già da molti anni. Era ancora in Purgatorio e soffriva in maniera indicibile. Vedendola così, la Santa le disse: "Per quanto io abbia soffèrto moltissimo fino ad ora, il mio patire non è niente in confronto al tuo. è come fresca rugiada!". La donna raccomandò di pregare molto per lei.
Un giorno il Signore fece vedere a suor Maria Dionisia un'anima in Purgatorio: era l'anima di un potente principe ucciso in duello. Dio gli aveva concesso, prima dell'ultimo suo respiro, di fare un atto di contrizione e salvarsi. Le ordinò di pregare per lui specialmente. Ella obbedì continuando per nove anni e tre mesi, ed offrì anche la sua vita per quell'anima. Ma con tutto ciò questa non fu liberata. Ella ne era, per questo, così oppressa che la superiora s'accorse che le era accaduto qualcosa di straordinario. La Suora raccontò la visione e aggiunse: "Sì, cara Madre, ho veduto quell'anima in purgatorio; ma ohimè chi la libererà? Forse non ne uscirà fino al giorno del giudizio. Oh madre mia, continuò piangendo; quanto è buono Iddio nella sua giustizia! Questo principe seguì lo spirito del mondo ed i dettami della carne! Si curò poco della sua anima, ed ebbe pochissima devozione nell'uso dei sacramenti!" E disse pure: "Sono commossa non tanto per il lacrimevole stato di patimento dell'anima, quanto sono compresa di meraviglia per il santo momento di grazia che effèttuò la salvezza. L'onnipotenza divina si lasciò smuovere da qualche anima buona. Ah! mia cara Madre, d'ora in poi dobbiamo insegnare a tutti a chiedere a Dio, alla Beata Vergine ed ai Santi quell'istante finale di grazia e di misericordia". Ma poiché la superiora faceva tante obiezioni a questi pensieri, la suora così rispose: "Mia cara madre! Il principe non aveva perduto la fede, era come una miccia pronta a prendere fuoco; perciò quando la scintilla misericordiosa della grazia toccò il cuore della sua anima cristiana, vi si accese il fuoco della carità e produsse un atto di salvezza". Impossibile descrivere i patimenti d'anima e del corpo che suor Maria Dionisia si assunse per suffragare quell'anima. Dopo un lungo martirio di questo genere, il Signore le fece vedere che l'anima penante del principe si era lievemente elevata dal fondo dell'ardente abisso e che le erano state accorciate le sue pene di poche ore. Stupore della madre e replica di suor Maria Dionisia: "Ah! Madre mia, è già gran cosa che la divina misericordia abbia cominciato a cedere; il tempo nell'altra vita non ha la stessa misura che ha in questa; anni di tristezza, di stanchezza, di povertà e di severe infermità in questo mondo non hanno paragone con un'ora sola di patimento delle povere anime del Purgatorio." Suor Maria Dionisia alla fine offrì la sua vita per un semplice alleviamento, non per la liberazione, di quell'anima, e l'offerta fu accettata. Poco prima della sua morte, la Superiora le esprimeva il parere che quell'anima era ormai libera. Ma Suor Maria Dionisia con grande veemenza disse: "Oh, madre, si richiedono ancora molti anni e molti suffragi". E infine morì, ma senza far parola che l'anima del principe fosse ormai liberata. Pene così acerbe possono durare tantissimo.
Ad un professore che raccomandava a san Pio da Pietrelcina uno scrittore suo amico, il frate stimmatizzato rispose: "Ha amato troppo le creature!" E chiedendogli quanto tempo sarebbe rimasto in Purgatorio, ricevette questa risposta: "Almeno cento anni". Bisogna inoltre sapere che in Purgatorio il tempo non si misura come da noi.
Tanti teologi cercano di spiegare diversamente le pene del Purgatorio dal momento che la Scrittura non ne fa aperto e sicuro cenno. Per esempio, per Panteghini il fuoco purificatore sarebbe Dio stesso. L'anima, staccandosi dal corpo e vedendo Dio, si vedrebbe alla luce dell'Assoluto, in tutta la sua miseria e imperfezione e così sarebbe purificata.
Ma in che modo Dio purificherebbe l'anima? Facendola soffrire e come? In un istante o in una prolungata agonia?... Mi sembra molto più chiara e accettabile l'opinione di santa Caterina da Genova che così si esprime: "L'anima, una volta alla presenza della divina maestà, si vede come in uno specchio tersissimo, sicché essa stessa, vedendosi o del tutto senza macchie o morta in peccato o ancora imperfetta e macchiata, si lancia in paradiso o nell'inferno o in purgatorio ".

Il perché delle pene
Adesso chiediamoci: perché la pene dopo l'aver ricevuto il perdono completo delle proprie colpe? Si tenga presente, ancora una volta, il reato di colpa e il reato di pena. Dice santa Caterina da Genova: "Dio ha creato l'anima pura e semplice, priva di ogni imperfezione e dotata di un certo istinto beatifico verso di Lui; da questo istinto la allontana il peccato originale. Quando ad esso si aggiunge il peccato attuale, l'allontana di più e quanto più si allontana tanto più cresce la malvagità dell'anima, perché corrisponde meno con Dio. (...) Perciò, quando si trova un'anima che sta tornando perfetta e pura come quando fu creata, quell'istinto beatifico (verso Dio) si libera e divampa con grande impeto e forza per il fuoco della carità che la spinge talmente verso il suo fine ultimo (Dio) tanto che all'anima sembra insopportabile essere ostacolata; e quanto più scorge distintamente quel fine divino, tanto maggiore e più acuto è il suo tormento". La Santa dice, in sostanza, questo: l'anima creata da Dio pura e bella e con un istinto o tendenza beatifica, per il peccato originale e più ancora per il peccato attuale, si allontana da questo istinto, divenendo sempre più perversa. Quando perciò un'anima si accosta alla sua prima creazione pura e bella -e tale è appunto l'anima purgante liberata dal peccato- quell'istinto beatifico la va discoprendo e la fa crescere con tale ardore di carità, che le pare insopportabile di essere impedita dall'andare all'ultimo fine. E quanto più vede, tanto più soffre.
E la santa chiarisce dicendo ancora: "Le anime che si trovano in Purgatorio, dato che sono senza peccato, non hanno barriere tra Dio e loro, salvo quella pena che le ha fatte attardare a realizzare quell'istinto che non ha potuto trovare ancora la sua realizzazione. (...) Le anime purganti ... hanno solo la pena; ma dato che sono senza colpa perché questa fu cancellata con il pentimento, la pena è temporanea e va scemando col passare del tempo".
Parlando delle pene delle anime purganti, non si dimentichi che esse soffrono soprattutto per aver offeso Dio. Ancora santa Caterina da Genova: "E parmi vedere la pena delle anime del Purgatorio esser più, per veder di avere in sé cosa che dispiaccia a Dio, e averla fatta volontariamente contro tanta bontà, che di niuna altra pena che sentano in esso Purgatorio. Questo è perché essendo in grazia, vedono la verità e l'importanza dell'impedimento, il quale non le lascia avvicinare a Dio".
Il fondamento del purgatorio
L'espiazione, la riparazione con la conseguente purificazione sono i fondamenti stessi del Purgatorio.
Da aggiungere che il Purgatorio, pur essendo essenzialmente uno stato, è anche un "luogo". Da innumerevoli episodi si deduce che a volte le anime scontano la pena nei luoghi nei quali peccarono. Nella vita di san Pio da Pietrelcina si trovano tanti episodi che tendono ad attestare ciò. Insomma, il Signore disporrebbe che tante anime facciano il loro purgatorio in terra e fra noi, e permetta pure che esse possano uscire dal "luogo" in cui stanno e apparire agli uomini e ciò sia per istruzione dei vivi e sia a suffragio dei defunti, come dice anche san Tommaso d'Aquino.


Capitolo VI
Le gioie delle anime del Purgatorio
Le gioie delle anime purganti
L'acerbità delle pene potrebbe indurre a pensare che il Purgatorio sia quasi un doppione dell'Inferno e che Signore sia troppo severo con poveri esseri che hanno costituzionalmente, potremmo dire, la debolezza stessa. Non è così, anche se san Pio da Pietrelcina, per esempio, facendo eco ad altri santi, ha affermato qualche volta che "in certi posti (del Purgatorio), (il Purgatorio) è come l'inferno."
È questo un altro punto che ci viene magnificamente illustrato da alcune visioni di santi. Il Purgatorio, dunque, non è un doppione dell'Inferno, perché le pene sono amate e volute dalle stesse anime purganti. Se, infatti, ci si chiede chi è che sottopone alle pene, la risposta più ovvia sembra questa: è la divina giustizia che ha le sue imprescindibili esigenze. Senza dubbio è così, ma bisogna aggiungere pure che, prescindendo per il momento da dette esigenze della giustizia divina, le anime purganti, a quanto rivela santa Caterina da Genova, vanno alla purgazione di propria volontà. Ella dice: "Lo spirito purificato non trova pace in nessun luogo se non in Dio, essendo stato creato per questo fine. Ugualmente le anime in peccato possono stare solo all'inferno, perché Dio ha predisposto per loro questo luogo, perciò nel preciso istante in cui lo spirito si separa dal corpo, l'anima va verso il posto che le si addice, senza altra guida che quella contenuta nella natura del peccato. Questo, naturalmente, se l'anima parte dal corpo in peccato mortale. E dico ancora: se una tale anima non trovasse in quel passaggio l'ordine che Dio ha stabilito secondo la sua giustizia, rimarrebbe in una condizione ancora peggiore dell'inferno, perché chi è fuori da quell'ordine non può godere della divina misericordia che alle anime concede una pena minore di quanto meritano. Per questo, non trovando un luogo più adatto e meno doloroso, perché Dio ha voluto così, esse si gettano immediatamente là dentro come luogo che appartiene a loro. Riguardo al Purgatorio abbiamo qualcosa di simile: l'anima separata dal corpo, che non si trova in quella purezza in cui fu creata, constatando questo impedimento che può essere rimosso solo per mezzo del Purgatorio, volentieri e senza indugio vi si butta dentro. E se non trovasse questo ordine predisposto per eliminare quell'impedimento, nel medesimo istante sorgerebbe in lei un inferno peggiore del Purgatorio perché l'anima si vedrebbe separata da Dio, che è tanto importante da non preoccuparla ".
Dicevamo il Purgatorio non è un doppione dell'Inferno, dal quale differirebbe solo perché questo è eterno e senza speranza mentre il Purgatorio avrà fine.
Piuttosto va detto che, insieme a pene acerbissime, ci sono gioie non meno grandi ed esaltanti.
Tre motivi principali di gioia
Per santa Caterina da Genova ci sarebbero tre motivi principali che ci permettono di parlare di gioie delle anime purganti: l. la considerazione della misericordia di Dio; 2. la certezza della salvezza; 3. il conforto dell'amore di Dio.
Per quanto riguarda la considerazione della misericordia di Dio, santa Caterina da Genova scrive: "Io vedo ancora quelle anime, immerse tra le pene del Purgatorio, ricevere due effetti dell'azione divina. Il primo è che esse volentieri soffrono quelle sofferenze, convinte che Dio abbia compiuto un grande gesto di misericordia rispetto a quello che meritavano e rendendosi conto della sua maestà. Infatti se la sua bontà non mitigasse con la misericordia la giustizia, che si soddisfa con il sangue di Gesù Cristo, anche un solo peccato meriterebbe una pena eterna corrispondente a mille inferni. Nel vedere, invece, la grande misericordia loro concessa, esse accettano volentieri la pena ricevuta e non la diminuirebbero di un solo carato, sapendo di meritarla giustamente secondo la perfetta disposizione divina; e non si lamentano di Dio essendo la loro volontà come se vivessero già nella vita eterna. Il secondo effètto è che sentono una certa gioia nel vedere la divina disposizione con la quale Dio opera con l'amore e la misericordia verso le anime. Dio imprime nella loro mente queste due visioni in un solo istante, di modo che, essendo esse in grazia, le comprendono in maniera autentica secondo la capacità personale. Così non viene mai a mancare la gioia che ne deriva e che, anzi, cresce avvicinandosi sempre più a Dio. Le anime non vedono queste cose dentro se stesse né per merito loro, ma le vedono in Dio, al quale rivolgono maggiore attenzione piuttosto che alle pene che patiscono, poiché lo ritengono più importante. Questo perché la visione di Dio, per quanto possa essere limitata, supera ogni pena e gioia che l'uomo possa provare; ma anche se le supera, non toglie loro nemmeno una scintilla di pena o di felicità".
Veniamo alla seconda gioia delle anime purganti: la certezza della salvezza.
È una gioia incomparabile. L'anima salva non teme più nulla, né i tranelli di satana né le occasioni di peccato; non avrà più ansie e timori di perdersi. L'anima è salva e salva per sempre. Questa certezza procura all'anima una gioia senza fine che alleggerisce tutte le pene. In lei vi è solo l'attesa di vedere attuata la beata speranza. Il Purgatorio potrà durare pure fino alla fine dell'umanità, ma questo non indurrà mai alla disperazione dalla quale è attanagliata l'anima dannata. Vi è poi la gioia di vedersi sempre più purificata. La gioia cioè dell'anima purgante cresce sempre più, mano mano che si libera dalla ruggine funesta del peccato. E questo vedersi sempre più purificata significa sia un avvicinarsi a Dio con tutto l'essere e sia scoprire sempre più la propria bellezza originaria, mai potuta intravedere con le proprie forze. Se santa Teresa d'Avila (1515-1582), al vedere la bellezza di un'anima in Grazia, l'avrebbe adorata sembrandole quasi Dio stesso, si può appena immaginare quanto faccia felice un'anima che si scopre sempre più bella, sempre più simile al suo Dio. Le anime purganti sono anche nella gioia perché vivono di fede, di speranza, di amore, tutte fonti inesauribili di gioia. L'anima "vive la fede al massimo grado, -dice santa Caterina da Genova- non essendo ancora giunta alla visione immediata di Dio, che squarcia ogni nebbia e la fa vivere nella luce eterna. Lo stesso vale per la speranza, che può dirsi la virtù propria del Purgatorio, perché l'anima, non conoscendo i termini e i limiti della sua pena, pur desidera ardentemente Dio, con un'intensità d'amore, del quale non possiamo formarci nessuna idea. Anche l'amore che i più grandi santi hanno avuto in terra verso Dio, è piccola cosa in confronto alla carità di un'anima in Purgatorio. Per questo tanti Santi, prima di ascendere al Cielo sono passati per il Purgatorio, anche per poco, come risulta da tante loro manifestazioni ad anime buone. L'anima santa epura ha bisogno di un ultimo slancio di amore che la spinga verso Dio, e questo può averlo solo in Purgatorio". E la Santa ne dà la ragione: "L'anima santa è attratta potentemente da Dio che l'ama infinitamente, e mente umana non può misurare la forza di questa attrazione, diremmo quasi magnete infinito che attira il piccolo atomo di ferro. L'anima santa attratta così, è per poco nel Purgatorio, non nelle fiamme della purificazione ma nelle fiamme di un immenso amore, che è come lo scoppio che la spinge definitivamente a Dio che l'attrae. È allora che l'anima compie la sua piena unione alla Volontà di Dio". "Se potessero purificarsi con il pentimento, pagherebbero in un solo istante tutto il loro debito, tanto profondo sarebbe l'impeto di contrizione suscitato dalla chiara visione del peso di quell'impedimento che le ostacola. Ma di quel debito non viene condonata nemmeno una scintilla, perché la divina giustizia ha stabilito così". Sono gioie di una intensità inimmaginabile. "Non credo esista -afferma santa Caterina da Genova- una gioia paragonabile a quella di un'anima in Purgatorio, eccetto quella dei santi del Paradiso. E questa gioia cresce di giorno in giorno per l'influsso di Dio in quelle anime, perché ciò consuma sempre più quanto impedisce (l'accoglienza) di quell'influsso. L'impedimento è la ruggine del peccato: il fuoco (dell'Amore divino) va consumando la ruggine e così l'anima si apre sempre più all'influsso di Dio. È come un oggetto coperto davanti al sole, che non può ricevere i suoi raggi, non per una imperfezione del sole che splende di continuo ma a causa della sua copertura: quando si elimina questa copertura, l'oggetto si apre al sole, la sua capacità di rifletterne (i raggi) aumenta quanto più si va assottigliando ciò che lo copre. Allo stesso modo la ruggine del peccato, che ricopre le anime del Purgatorio, si va consumando per il fuoco (dell'amore divino) e quanto più si distrugge tanto più cresce la corrispondenza col vero sole che è Dio. Perciò quanto più diminuisce la ruggine, tanto più cresce la gioia e l'anima si apre all'influsso divino; così questa cresce e l'altra diminuisce finché non sia tutto compiuto. Non che venga meno la pena, va solo diminuendo il tempo di stare in quella pena". Ancora santa Caterina da Genova: "L'amore di Dio che trabocca nell'anima le dona una gioia inesprimibile, ma alle anime che sono nel Purgatorio questa felicità non toglie nemmeno una scintilla di sofferenza. Infatti l'amore che provano ma che viene frenato costituisce la loro pena, tanto più grande quanto è la perfezione di quel sentimento di cui Dio le ha rese capaci. Di conseguenza le anime nel Purgatorio provano una gioia grandissima e una sofferenza grandissima, senza che l'una escluda l'altra".
Dunque, queste anime uniscono due cose in apparenza irriducibili: una gioia somma e nello stesso tempo innumerevoli tormenti. Come ciò possa avvenire, solo il Signore lo sa, anche se nell'esperienza umana possono trovarsi situazioni nelle quali gioie e dolori si trovano insieme.
Veniamo adesso alla terza gioia, cioè al conforto dell'amore di Dio. Scrive santa Caterina da Genova: "La terza gioia delle anime purganti è il conforto dell'amore, perché l'amore rende facile ogni cosa. Le anime purganti sono in un mare di amore".

Le anime purganti vivono di fede, di speranza, di amore
Nel Purgatorio -come nel Paradiso e nell'Inferno- le anime vanno, quindi, anche di propria volontà. E non solo ci vanno volentieri ma vogliono pure scontare tutto: "Se un'anima -continua santa Caterina da Genova­ - venisse presentata al cospetto di Dio con un'ora ancora da purgare, le si farebbe offesa cagionandole una sofferenza più grande di dieci Purgatori, perché la somma giustizia e la pura bontà divina non potrebbero sopportare quella vista che, di fronte a Dio, sarebbe sconveniente. Sarebbe anche intollerabile per l'anima accorgersi che Dio non è pienamente soddisfatto di lei, anche se le mancasse da scontare un solo batter di ciglia, e per togliersi ogni macchia si getterebbe subito in mille inferni, se fosse possibile, piuttosto che rimanere ancora non del tutto purificata al cospetto di Dio ".
Ciò ci fa pure capire che il Purgatorio, anche come luogo, non è da immaginarsi come un carcere chiuso nel quale le anime vi siano rinserrate da una forza costrittiva superiore per liberarsi dal reato di pena. Certo, le anime non possono liberarsene se non a purgazione finita; resta però che il Purgatorio non è un carcere dove ci si è cacciati con la forza; non è un carcere chiuso dove non ci sono porte. Mettiamoci ancora alla scuola di santa Caterina da Genova: "Per disposizione di Dio il Paradiso non ha alcuna porta e se qualcuno vuole entrare può farlo, perché è somma misericordia ed è rivolto verso di noi con le braccia aperte per accoglierci nella sua gloria. Ma vedo pure che quella divina essenza è di tanta purezza e candore, molto più di quanto l'uomo possa immaginare, che l'anima con una minima imperfezione come un granello di sabbia preferirebbe gettarsi in uno o anche mille inferni, piuttosto che trovarsi davanti a Dio con quella piccolissima macchia. Vedendo che il Purgatorio... è stato predisposto per mondare quella macchia, vi si getta dentro e le sembra di usufruire di una grande misericordia per eliminare ogni impedimento". Lo stesso san Tommaso d'Aquino sembra esprimere questi concetti. Come si vede Inferno e Purgatorio sono due realtà essenzialmente diverse. L'Inferno si fonda sull'odio e sulla disperazione, il Purgatorio si fonda invece sull'amore e sulla speranza.
Se è impossibile farsi un'idea delle gioie delle anime purganti, nessuna mente umana può immaginare o descrivere l'esultanza di quell'ora beata nella quale l'anima, purificata dall'espiazione, se ne vola al Paradiso, pura come quando Dio la creò e felice di sentirsi per sempre unita al Sommo suo Bene, in un oceano di felicità e di pace." (...) L'anima, dunque, -è sempre santa Caterina da Genova a parlare- che è in perenne e tormentosa attesa della felicità, con un amore verso Dio che cresce si intensifica a misura che essa è purificata, giunta al termine della purificazione, all'invito amoroso di Dio, si slancia in Lui, ed è tutta un canto di riconoscenza, per le medesime pene che ha subite, più che non abbia riconoscenza l'infermo risanato, per le pene inflittegli dal chirurgo. "



Capitolo VII
Il Purgatorio opera di infinita misericordia di Dio
Nonostante le pene e le sofferenze di ogni genere, il Purgatorio deve essere giudicato come una grande opera della misericordia voluta dall'infinita bontà di Dio. Vediamone il perché.
Il ritrovato della misericordia
Si ricordi quanto detto a proposito del reato di colpa e del reato di pena. Il peccato è un grande mistero ed ha conseguenze inimmaginabili. Essendo offesa infinita a Dio, solo Dio può ripararla appieno. Ecco perché se non ci fosse la Redenzione di Cristo, l'uomo non potrebbe riparare neanche il minimo peccato veniale. È in base ai meriti di Cristo che l'uomo può riparare tanto facilmente ai suoi trascorsi. Le tante indulgenze concesse dalla Chiesa, le innumerevoli facilitazioni offerte per far penitenza e acquistare meriti e riparare i peccati, tutto ha come base e giustificazione la Redenzione del Cristo. Ogni offesa fatta a Dio, anche la più piccola, è offesa infinita. E per ripararla si esige una riparazione infinita.
Purtroppo la riluttanza con cui generalmente l'uomo accetta di espiare, e la noncuranza per risorse così preziose, fanno capire quanto facilmente anche l'uomo ritenuto più retto si presenti al tribunale di Dio con debiti non indifferenti, e perciò è obbligato all'espiazione in Purgatorio. Causa dunque del Purgatorio è solo il peccato, come solo il peccato è causa della dannazione eterna. Si può affermare che, almeno in qualche modo, come il peccato ha creato l'Inferno così ha creato pure il Purgatorio, pur ritenendo quest'ultimo una realtà d'immensa misericordia di Dio.
Senza il Purgatorio andrebbero tutti all'Inferno
In Paradiso non può entrare nulla d'imperfetto. I testi biblici lo ripetono in tutti i toni. L'inferno è soprattutto per quelli "che vanno dietro alla carne, nell'immonda concupiscenza, e disprezzano l'autorità" (2 Pietro 2,9-10). "Non illudetevi! Né i fornicatoci, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti (...) erediteranno il Regno di Dio!" (1 Corinzi 6,10) L'inferno è per "i vili e gli increduli, gli abietti e gli omicidi, gli immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori" (Apocalisse 21,8).
Davanti alla Maestà di Dio l'uomo non può che adorare togliendosi i calzari. Dio ferma Mosè che avanza verso il roveto ardente e il Signore gli dice: "Non avvicinarti! Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è una terra santa " (Esodo 3,5). Il profeta Isaia vede Dio proclamato dai serafini nella sua maestà: "Santo, santo, santo è il Signore degli eserciti", si ritiene perduto se non fosse stato purificato dall'angelo (cfr.Isaia 6,1-7). E il salmista confessa: "Se consideri le colpe, Signore chi potrà sussistere?"(Salmo 130,3).
Se l'uomo è immerso nel peccato, una volta morto dove andrebbe a finire? Tutti dannati per fuggire lo sguardo di Dio? E tuttavia sarebbe proprio giusto condannare alla separazione eterna da Dio anime che sono vissute nella Sua Grazia e, pur con tutte le debolezze, hanno cercato di amarlo sopra ogni cosa?
Si vede così tutta la provvidenzialità di un "luogo" di purificazione dove si afferma la misericordia e si soddisfa la giustizia. Senza questa possibilità di purificazione, eccetto pochissimi santi, quasi tutti gli uomini si dannerebbero. Chi mai, infatti, si troverebbe senza alcun difetto davanti a quel Dio che trova macchie anche negli angeli e cioè tra le creature più perfette? Nel Libro di Giobbe è scritto: "Ai suoi angeli imputa difetti." (4,18)
Le iniziative divine in aiuto alle anime purganti
Parlando di gioie delle anime purganti, non si può non tener presente quanto Dio stesso opera in loro favore per lenire le pene e aumentare le gioie. Tutte le visioni e le apparizioni, finalizzate a chiedere suffragi e preghiere, sono tutte permissioni misericordiose di Dio e fonti di gioia e di speranza.
Spinte misteriose ad anime sante a pregare, a volte, soprattutto per sconosciuti. San Pio da Pietrelcina, scrivendo al suo direttore spirituale, afferma: "Nell'orazione mi accade di dimenticarmi di pregare per chi a me si raccomanda (non per tutti però) ovvero per chi avrei intenzione di pregare (..). Altre volte, invece, mi sento mosso, stando in orazione, a pregare in pro di chi mai ebbi intenzione di pregare e, quello che è più meraviglioso, in pro di chi mai conobbi, né vidi, né udii e né mai mi si raccomandò nemmeno a mezzo di altri. E presto o tardi il Signore esaudisce sempre queste preghiere".
Da tener presente soprattutto gli interventi consolatori della Madonna e dei Santi che visitano frequentemente il Purgatorio. Tali visite sono come splendide luci che si accendono nella notte buia e come squarci di cielo azzurro nell'infuriare di una tempesta che opprime di paura e di tristezza. Il Purgatorio si rivela, quindi, come il ritrovato della divina misericordia, in pienissima armonia con le esigenze della giustizia. Un luogo di misericordia fatto oggetto, oltre tutto, di tutte le attenzioni di un amore infinito. Gesù dice a santa Caterina da Siena: " E se ti volgi al Purgatorio troverai ivi la mia dolce e inestimabile Provvidenza verso quelle anime tapinelle che stoltamente perderono il tempo, ed essendo ora separate dal corpo non hanno più il tempo per poter meritare. A loro io ho provveduto per mezzo vostro, di voi che siete ancora nella vita mortale e avete il tempo per loro e, mediante le elemosine e l'Ufficio divino che fate dire dai miei ministri, insieme ai digiuni e alle orazioni fatte in stato di grazia, potete abbreviare loro il tempo della pena, confìdando nella mia misericordia"
Scrive santa Caterina da Genova: "Io vedo ancora quelle anime, immerse nelle pene del purgatorio, ricevere due effetti dell'azione divina. Il primo è che esse volentieri soffrono quelle soffèrenze, convinte che Dio abbia compiuto un grande gesto di misericordia rispetto a quello che meritavano e rendendosi conto della sua maestà. Infatti se la sua bontà non mitigasse con la misericordia la giustizia, che si soddisfa con il sangue di Gesù Cristo, anche un solo peccato meriterebbe una pena eterna corrispondente a mille inferni. Nel vedere, invece, la grande misericordia loro concessa, esse accettano volentieri la pena ricevuta e non la diminuirebbero di un solo carato, sapendo di meritarla giustamente secondo la perfetta disposizione divina; e non si lamentano di Dio essendo la loro volontà come se vivessero già nella vita eterna. Il secondo effetto è che sentono una certa gioia nel vedere la divina disposizione con la quale Dio opera con l'amore e la misericordia verso le anime. Dio imprime nella loro mente queste due visioni in un solo istante, di modo che, essendo esse in grazia, le comprendono in maniera autentica secondo la capacità personale. Così non viene mai a mancare la gioia che ne deriva e che anzi, cresce avvicinandosi sempre più a Dio. Le anime non vedono queste cose dentro se stesse né per merito loro, ma le vedono in Dio, al quale rivolgono maggiore attenzione piuttosto che alle pene che patiscono, poiché lo ritengono più importante. Questo perché la visione di Dio, per quanto possa essere limitata, supera ogni pena e gioia che l'uomo possa provare; ma anche se le supera, non toglie loro nemmeno una scintilla di pena o di felicità".
Il Faber parla pure della bellezza del Purgatorio: "(...) vi è quella strana, quasi inconcepibile Chiesa di anime penanti, opera dell'arte divina, creazione di un amore che non sbaglia mai nei mezzi conducenti ai suoi fini, […]. In quello strano vivere d'ardente penare e di certo amore, trovansi sparsi ed intrecciati in uguale intensità i fascini della Sacra Umanità (di Gesù). Nessun altra tenebra è più soave, nessun'altra ombra è più bella come nella regione del Purgatorio. Pochi sono quei redenti ai quali la topografia di quella valle d'aspettazione non deve un giorno diventare familiare. E’ "per mezzo della Sacra Umanità, che noi vi troviamo adito. Gesù è nostro giudice come uomo e non come Verbo; ed è per suo ordine prevenuto quasi dal nostro amore della perfetta purità, che noi vi entriamo. La Sua sentenza è la porta per cui giungiamo a quel fuoco dei predestinati, cara porta di una regione di pene, perché comprende una sentenza di felicità immortale. […] La comunione dei santi viene consumata nella Sacra Umanità di nostro Signore quale Capo della creazione; ed è per mezzo di tale comunione che gli aiuti trovano la via per giungere alle anime colà imprigionate, gli schiavi di una speranza pazientemente ansiosa.
Dunque, il Purgatorio è già di per sé opera di misericordia, ma il Signore va oltre: moltiplica le iniziative a beneficio di quelle anime sofferenti. Assieme a tanti suoi misericordiosi interventi, Egli si serve della Sua Mamma Santissima, invia angeli e suscita anime sante che si sacrificano per quelle povere anime. Eccone qualche saggio. Gesù dice a suor Faustina Kowalska: "Entra spesso in purgatorio, poiché là hanno bisogno di te. " Risponde suor Faustina: "O mio Gesù, comprendo il significato di queste parole che mi rivolgi, ma permettimi prima di entrare nel tesoro della Tua misericordia. " Dice Gesù: "Figlia mia, scrivi che per un'anima pentita sono la Misericordia stessa. La più grande miseria di un'anima non accende la mia ira, ma il mio Cuore nei suoi confronti prova una grande misericordia ".
Dio mette in contatto suor Josefa Menendez per aiutare le anime purganti. È nella Quaresima dell'anno 1922 che Dio la mette in contatto con questo abisso di dolori che è il Purgatorio. Molte anime vengono ad implorare i suoi suffragi e i suoi sacrifici. L'anima di un sacerdote defunto le dice: "Quanto infinita è la bontà e la misericordia divine che si degna di servirsi delle sofferenze e dei sacrifici di altre anime per riparare le nostre grandi infedeltà. Quale alto grado di gloria avrei potuto conquistare se la mia vita fosse stata diversa!"
La principessa tedesca Eugenia von der Leyen (morta nel 1929) lasciò un Diario in cui si narrano le visioni e i dialoghi da lei avuti con le anime purganti in apparizioni avute in un periodo di circa otto anni (1921-1929). L' 11 luglio 1925 ella vede sedici volte una certa Isabella. La principessa le chiede: "Da dove vieni?" Isabella risponde: "Dal tormento". La principessa: "Eri una mia parente?". Isabella: "No". La principessa: "Dove sei sepolta?". Isabella: "A Parigi". La principessa: "Perché non riesci a trovar pace?". Isabella: "Io non ho mai pensato alla mia anima". La principessa: "Come ti posso aiutare?". Isabella: "Una santa Messa". Successivamente si presenta ad Eugenia un'anima in forma di uomo anziano. La guardò e le disse: "Aiutami!". La principessa: "Volentieri, ma chi sei?". "Io sono la colpa non espiata!". Ancora la principessa: "Che cosa devi espiare?". Lui: "Sono un diffamatore!". La principessa: "Posso fare qualcosa per te?". Lui: "La mia parola sta nello scritto e vi continua a vivere, e così la menzogna non muore!". Tornato il 28 agosto, la principessa gli chiese: "Ti va meglio? Ti sei accorto che ho offerto per te la santa Comunione?". Lui: "Sì, così tu espii i peccati di lingua". La principessa: "Non puoi dirmi chi sei?". Lui: "Il mio nome non dev'essere più fatto". (...) Ritornò dopo giorni, sorrideva. La principessa: "Oggi mi piaci". Lui: "Vado nello splendore". La principessa: "Non dimenticarti di me!" Lui: "I vivi pensano e dimenticano, i morti non possono dimenticare che cosa ha dato loro l'Amore".
Eugenia ebbe un'altra visione il 24 aprile e nei giorni seguenti dell'anno 1926. Per oltre quattordici giorni veniva da lei un uomo assai triste e miserevole. Il 30 aprile egli irruppe in pieno giorno nella stanza come fosse stato inseguito, aveva la testa e le mani insanguinate. La principessa gli chiese: "Chi sei?". Lui: "Mi devi pur conoscere! ... Io sono sepolto nell'abisso! Sì, io sono dimenticato nell'abisso" e se ne andò piangendo. Tornando disse: "Tu mi liberi". La principessa: "Tu sei salvo". Lui: "Salvato, ma nell'abisso! Dall'abisso io grido verso di te". La principessa: "Devi ancora espiare tanto?" Lui: "Tutta la mia vita fu senza un contenuto, un valore! Quanto sono povero! Prega per me!" La principessa: "Così ho fatto a lungo. Io stessa non so come lo possa fare". Egli si tranquillizzò e la guardò con infinita gratitudine. La principessa: "Perché non preghi tu .stesso?". Lui: "L'anima è soggiogata quando conosce la grandezza di Dio!" Io: "Me la puoi descrivere?". Lui: "No! Lo straziante desiderio di rivederlo è il nostro tormento".
Ad un altro defunto, Niccolò, apparsole nei giorni di luglio 1926, ella chiede: "Perché non hai pace?". Lui: "Io fui un oppressore dei poveri, ed essi mi hanno maledetto". La principessa: "In che modo ti posso aiutare?". Lui: "Col sacrificio". La principessa: "Che cosa intendi per sacrificio?" Lui: "Offrimi tutto quello che più ti pesa!". Apparsole di nuovo il 29 luglio, la principessa gli disse: "Hai una faccia così contenta, puoi andare dal buon Dio?" Niccolò: "La tua sofferenza mi ha liberato".
Il monaco Wetti, gravemente ammalato, vede avvicinarsi al suo letto satana dal volto repellente, con in mano strumenti di tortura, accompagnato dai suoi demoni. Ma Dio misericordioso permette che i suoi angeli accorrano in suo soccorso. Un angelo l'accompagna in un viaggio nell'aldilà, dove il monaco può vedere le sofferenze dei dannati e la montagna dove si purificano le anime salvate. In paradiso Wetti incontra Cristo Signore. All'intercessione dell'angelo e dei santi perché Wetti si salvi, Cristo risponde: "Avrebbe dovuto avere una condotta esemplare e non l'ha avuta. Tuttavia per l'intercessione degli angeli e dei santi vien data opportunità a Wetti di salvarsi, se, tornato in vita, offre buon esempio con le opere e la dottrina."
In questa continua elargizione di misericordia è da sottolineare soprattutto il ruolo di Maria Santissima, la Madre di tutti, che si rivolge con compassione e dedizione soprattutto ai suoi figli più bisognosi e derelitti. Una deduzione logica dedotta dalla Maternità universale di Maria. San Bernardino da Siena (1380-1444) afferma: "La Vergine visita e soccorre le anime del Purgatorio, mitigando le loro pene. Ella ottiene grazie e benedizioni per i devoti di queste anime, specie se tali fedeli recitano in suffragio dei defunti la preghiera del Rosario".
Santa Brigida di Svezia (1302-1373) afferma che la stessa Vergine le rivelò che le anime del Purgatorio si sentono sostenute al solo udire il nome di Maria.
Ecco un episodio accaduto alla Menendez. La Madonna le dice un giorno: "Soffri per salvare una mia cara figliuola... Gesù la voleva per sé, ma non corrispose alla divina chiamata, domani deve morire; che consolazione per il mio cuore materno se non cadrà nell'inferno!" Josefa pregò tutta la notte, e il giorno dopo fu terrorizzata da rumori infernali. Colpita e spaventata, si rifugiò presso la statua della Madonna. D'un tratto tutto si calmò, la Madonna sorridendo pose la mano sulla testa di Josefa: "Ha già reso conto della sua vita, poverina, quale lotta ha dovuto sostenere! Quando il demonio ha visto che quell'anima gli sfuggiva, ha cercato di toglierle la pace e quanto l'ha fatta soffrire! Era furioso contro di te, perché mi aiutavi a strappargliela. È morta molto pentita e la sua fine è stata serena, ora è in purgatorio." La notte seguente Josefa fu svegliata da gemiti e udì una voce: "Sono l'anima che la Madonna ti ha chiesto di salvare, sono anni che soffro orribilmente, abbi compassione di me!" "Sei in purgatorio solo da un giorno e due notti -replicò Josefa- quale devozione alla Madonna hai serbato per ottenere la sua protezione?". "Da quando mi sono abbandonata al peccato la mia unica devozione è stata di recitare ogni sabato una Salve Regina". Tre giorni dopo quell'anima saliva in cielo grazie ai suffragi di Josefa e prima di salire andava a ringraziare la sua benefattrice.
Un altro commovente episodio di un'anima salvata per intercessione ce lo racconta sant'Alfonso Maria de Liguori (1696-1787). Nella sua vita si narra di una santa religiosa che pregava molto per le anime purganti. Nella città in cui viveva la suora c'era pure una donna di pessimi costumi, di nome Maria. Quando questa donna morì, tutti pensarono che si fosse dannata e non ci si preoccupò di pregare per lei. Trascorsero quattro anni, e un giorno la pia suora vide in visione un'anima del Purgatorio che le disse: "Suor Caterina, tu hai la pia abitudine di pregare per i defunti. Noi ti ringraziamo. Non fare eccezione per me". "E tu chi sei? " le chiese la suora. "Sono la povera Maria, morta abbandonata da tutti e poi dimenticata". "Ma che cosa dici? Ma allora sei salva?". "Si sono stata salvata per intercessione della Madonna. Mi sono accorta che stavo per morire da sola e senza aiuto, così mi sono rivolta a Lei, dicendole: ‘O mia Regina! Rifugio dei peccatori e degli abbandonati. Guarda al mio stato di completo abbandono in questo momento e porgimi il Tuo aiuto!’ La Santissima Vergine udì la mia preghiera e venne in mio soccorso, ottenendomi la grazia di una perfetta contrizione, sicché mi salvai sul letto di morte. Ma la pietà della divina Madre non si limitò a questo. Quando mi trovai davanti al Giudice, ottenne da suo Figlio la grazia di
ridurre sensibilmente il tempo di passare nel Purgatorio. Ma siccome la Giustizia divina non può essere in conflitto con i suoi diritti, soffro più intensamente, ma per un periodo più breve, per scontare il mio debito. Ora io ho solo bisogno di alcune Messe. Appena saranno celebrate, io sarò liberata da queste sofferenze. Abbi dunque pietà di me, e falle celebrare per questa intenzione. Prometto che non cesserò di pregare Dio e la Santa Vergine per te." Suor Caterina fece celebrare le Messe ed alcuni giorni dopo vide Maria salire al cielo, mentre la ringraziava della sua carità.
Ma, pur ammettendo che quasi tutti gli uomini passeranno per il Purgatorio, ci sono certamente di quelli -anche se forse molto pochi- lo sfiorano appena. Ne abbiamo conferma in un episodio della vita di san Luigi Gonzaga (1568-1591). Otto sere dopo la morte del suo carissimo amico Corbinelli, questi gli apparve per tre volte in sogno, comunicandogli il passaggio definitivo al Signore. E san Luigi chiese al suo confessore, san Roberto Bellarmino (1542-1621): "Ha soltanto sfiorato il Purgatorio ... E possibile che un'anima entri in cielo senza toccare il Purgatorio?". "Sì -rispose il Bellarmino- Anzi io credo che voi sarete uno di questi che andrete diritto in cielo, senza toccare il Purgatorio; perché avendovi il Signore Iddio fatto per sua misericordia tante grazie, e concesso tanti doni soprannaturali e in particolare di non averlo offeso mai mortalmente, tengo per fermo che vi farà quest'altra grazia ancora, che difilato ve ne voliate al cielo".
Anche san Pio da Pietrelcina (1887-1968), alla notizia della morte di un suo amico, ebbe ad esclamare: "E’ benedetto. È salito alle vette del cielo, varcando appena la soglia del purgatorio!".



Capitolo VIII
Chi va in purgatorio
In concreto chi va in Purgatorio? Lo deduciamo da principi dogmatici che sono sempre alla base di tutte le rivelazioni autentiche.
In Purgatorio vanno quelli che muoiono in grazia di Dio In Purgatorio vanno coloro che muoiono in grazia, ma sono gravati e contaminati da peccati veniali o ancora in debito per non aver riparato gli stessi peccati mortali perdonati.
Sant'Agostino, ponendosi la questione del fuoco, afferma nel De Civitate Dei: "Non è impossibile che questo fuoco vi sia anche dopo la morte; e ci si può chiedere se sia proprio così, come pure ci si può credere se in un fuoco purificatore non si trovino immersi diversi fedeli, i quali ne saranno liberati più o meno presto a seconda che amarono i beni caduchi con minore o maggiore intensità ... Per il tempo che va dalla morte di ogni uomo alla resurrezione finale, le anime restano in ricettacoli nascosti a seconda che esse sono degne di riposo o di dolore, per quello che hanno meritato mentre erano in vita... Ma non si deve negare che le anime dei defunti siano alleviate dalla pietà dei vivi, quando viene offerto per essi il sacrificio del Mediatore, o si fanno elemosine nella Chiesa. Ma tutte queste cose giovano a coloro, che, mentre erano in vita, meritarono che esse avessero poi a giovare loro. Non vi può essere condotta di vita così buona che non abbia bisogno di queste cose dopo la morte, né così cattiva che queste cose non le possano giovare dopo la morte. C'è poi chi è tanto buono, da non aver bisogno di queste cose, e chi invece è così cattivo, che, quando sarà morto, non potrà essere aiutato neppure da queste cose ".
I peccati che mandano in Purgatorio
Qualunque peccato mortale, dunque, non espiato e qualunque infrazione alla legge e ai doveri del proprio stato manda l'anima in Purgatorio, dove si estingue del tutto il reato di pena. In pratica, perciò, sono soprattutto i peccati veniali che mandano in Purgatorio.
Una certa elencazione dei peccati mortali e veniali ce la dà san Cesario di Arles (470-542) nel suo sermone 104: "Quantunque l'Apostolo abbia ricordato molti peccati mortali, noi, tuttavia, per non dar l'impressione di voler indurre alla disperazione, li elenchiamo brevemente: il sacrilegio, l'omicidio, l'adulterio, la falsa testimonianza, il furto, la rapina, la superbia, l'invidia, l'avarizia, l'ira prolungata, l'ubriachezza ripetuta, si trovano tutti tra questi peccati mortali. Chi s'è trovato in dominio di qualcuno di questi peccati, se non se ne sarà corretto com'è d'obbligo, e, avendone avuto il tempo, non ne abbia fatto prolungata penitenza e non abbia distribuito larghe elemosine -astenendosi da quei peccati- non potrà esser purifìcato da quel fuoco di breve durata, di cui parla l'Apostolo, ma brucerà senza speranza nel fuoco eterno. Benché siano noti a tutti, pure è necessario che, non potendo rifèrirli tutti, nominiamo qualcuno di quelli che sono i peccati veniali. Ogni volta che uno prende più cibo o più bevanda di quanto non gli sia necessario, sappia che ha commesso un peccato veniale. Quando uno parla più di quel che deve, o tace più del necessario... Noi non crediamo che questi peccati uccidano l'anima, ma la rendono come piena di piaghe e di ripugnante scabbia e così deforme, da non permettere, se non a stento o con grande confusione, di giungere all'abbraccio dello Sposo celeste ... Se non benediremo Dio nelle tribolazioni e se con buone opere non sconteremo i nostri peccati, resteremo nel purgatorio per tutto il tempo necessario affinché i suddetti peccati veniali siano bruciati come legna, come fieno, come stoppa." E san Cesario ne ha anche per chi afferma di non temere il Purgatorio basta che si sia scongiurato l'Inferno. Egli continua: "Ma qualcuno può dire: A me non importa di aspettare, purché arrivi alla vita eterna. Nessuno parli così, fratelli carissimi, perché quel fuoco purificatore sarà più insopportabile di tutte le pene che si possono pensare, vedere, provare in questo mondo".
Un bell'esempio e conferma di quanto è stato affermato, ci è offerto da santa Margherita Maria Alaquoque (1647-1690). Mentre ella, un giorno, era davanti al Santissimo Sacramento, le si presentò d'improvviso una persona tutta avvolta da un fuoco, i cui ardori -racconta- la penetrarono così forte, che le parve di bruciare insieme a questo. Le condizioni pietose di quella persona le fecero capire che questa si trovava in Purgatorio e la Santa non poté fare a meno di versare molte lacrime. Le disse che era un benedettino e che un giorno aveva ricevuto la confessione proprio di santa Margherita e che le aveva ordinato di fare la santa Comunione (Ricordiamo che in quei tempi non era possibile ricevere frequentemente la Comunione), in virtù della quale, dopo la morte, Dio gli aveva permesso di rivolgersi a lei per trovare sollievo alle sue pene. Le chiese di offrirgli tutto ciò che avesse potuto fare e soffrire per tre mesi e la Santa glielo accordò subito, dopo aver ottenuto il permesso dalla sua superiora. Quell'anima le disse ancora che il motivo delle sue così grandi sofferenze era aver preferito il suo interesse alla gloria di Dio, attaccandosi troppo alla propria reputazione. Il secondo motivo era la mancanza di carità nei confronti dei suoi fratelli; e il terzo l'eccessivo affetto naturale che aveva nutrito per le creature durante gli incontri spirituali, cosa che a Dio dispiaceva molto. Santa Margherita Maria Alacoque concluse: —Mi sarebbe assai difficile esprimere quanto dovetti soffrire in quei tre mesi. Lui non si allontanava mai e dalla sua parte era come se bruciassi anch'io, con dolori così vivi da gemere e piangere quasi continuamente. (..) In capo a tre mesi, vidi il benedettino in tutt'altro modo, perché, ricolmo di gioia e di gloria, andava a godersi la felicità eterna."
Padre Faber ha chiamato il Purgatorio "i santi ospedali" dove si risanano e si guariscono tutte le malattie contratte dall'uomo per la sua cattiveria, per la sua debolezza e fragilità. È qui che si ricompongono tutti i disordini e le anime, rese deformi e doloranti da tante malattie, e ritrovano appieno la loro sanità e bellezza, e quindi sono rese idonee alla visione beatifica di Dio e alla felicità eterna.



Capitolo IX
Le relazioni delle anime purganti con il Cielo e la terra
A questo punto ci si potrebbe chiedere: sono possibili (e in che modo) rapporti o relazioni tra l'aldilà e gli uomini di questa terra? Tra l'aldilà -sia esso Inferno, Purgatorio o Paradiso- e questo mondo degli uomini, non c'è un abisso invalicabile, come disse Abramo nella parabola del ricco Epulone?
E tuttavia, in tutto quello che è stato detto fin qui, si parla enormemente di tali rapporti. Rapporti strettissimi e, spesso, consolanti al massimo. Sono veri? ...E come spiegare questo "commercio" di amore tra Purgatorio e Chiesa trionfante e militante?
La morte non spezza i vincoli di sangue, di parentela e di cultura
I vincoli di sangue, di amicizia, di cultura, ecc:, esistenti o creati sulla terra tra gli uomini, non si dissolvono con la morte. L'anima che, con la morte sopravvive al corpo disfatto, porta con sé tutto il suo carico di bene e di male: "Poi udii una voce dal cielo che diceva: `Scrivi: Beati d'ora in poi i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono " (Apocalisse 14,13).
Sopravvivono quindi le opere e anche, logicamente, i rapporti determinati da tali opere. San Tommaso d'Aquino (1225-1274) insegna nella Summa che la beatitudine in Cielo consiste essenzialmente nella visione e nel possesso di Dio: con Dio non si ha più bisogno di niente. Però non disdice ed è conveniente ad una più piena beatitudine almeno esterna, che ci sia anche la comunione e la compagnia di parenti ed amici, cioè i vincoli di sangue, di cultura, ecc.
La morte, in effetti, distrugge solo quello che è peccato e che, quindi, non ha per autore Dio in nessun modo. E noi lo abbiamo constatato in più di qualche episodio riportato. Questi "vincoli" che persistono anche dopo la morte potrebbero spiegare già molte cose. Comunque è un presupposto importante perché la Grazia perfeziona (e non annulla!) la natura. Ma nel mondo cristiano si ha ben altro per spiegare il persistere dei rapporti tra Cielo e terra, tra beati, anime purganti e uomini: c'è la comunione dei santi.
La comunione dei santi
L'universo, ci dicono gli scienziati, è attraversato e come avviluppato da onde magnetiche di ogni tipo. Sono queste onde che rendono possibile il contatto e la comunicazione con ogni essere. Radio, telefonia, televisione sono le espressioni più chiare e convincenti di questa rete meravigliosa che avviluppa il mondo, rendendolo un tutt'uno e nel quale, perciò, si possono avere tutti i contatti e rapporti possibili.
Il mondo soprannaturale, reso unito soprattutto dalla carità soprannaturale, è ancora più meraviglioso e più capace di creare rapporti. L'unità qui si fonda sul Sangue di Cristo che ha redento e unite tutte le anime al suo Corpo. E cioè le anime redente dal Sangue di Cristo, che vivono in grazia -tutte sante perché hanno la grazia santificante, sia quelle che sono già nella felicità del Paradiso, sia quelle che sono in Purgatorio e quelle che sono ancora pellegrine su questa terra-, formano un solo corpo, il Corpo mistico di Gesù. Un corpo misterioso di cui è capo lo stesso Gesù Cristo e del quale fanno parte tutti i redenti. In questo corpo mistico vi circolano e uniscono le onde della carità, mettendo in qualche modo tutto in comune, la gloria e i meriti e le intercessioni dei santi; le sofferenze e le preghiere delle anime purganti; e le opere buone e i meriti degli uomini in cammino verso l'eternità. Si avvera così e si vive quella comunione dei santi che si professa nella recita del Credo.
Nel corpo mistico avviene un po' quello che avviene nel corpo fisico. Il sangue circola e raggiunge tutte le parti del corpo, apportando vita. Anche nel corpo mistico c'è come un interscambio: gloria dei beati e preghiere sono come comuni e partecipate da tutti. I santi intercedono e attendono che i loro fratelli e sorelle arrivino in Paradiso. Le anime del Purgatorio esaltano Dio per la gloria dei santi e non potendo più meritare per sé, possono pregare e intercedere e, col permesso di Dio, aiutare e proteggere gli uomini della terra. Questi, a loro volta, onorano Dio nei santi, l'invocano e pregano per le anime del Purgatorio. "Nessuno di noi vive per se stesso e nessuno muore per se stesso." (Romani 14,7). Se un membro soffre, tutte le membra soffrono; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui: "Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte" (1 Corinzi 12,26-27).
In merito vale la pena narrare un significativo episodio che tocca la vita di san Giovanni Bosco (1815-1888). Viveva a Torino un uomo sui trentacinque anni, vedovo, padre di due figli. Questi menava una vita indegna: era infatti un irreligioso, un bestemmiatore. Avvicinandosi il 2 novembre, giorno della commemorazione dei defunti, la mamma lo esortò a ricordarsi di suo padre nella preghiera, morto già da vari anni. Il figlio le rispose stizzito: "Perché pregare? Se è all'inferno o in paradiso non ha più bisogno delle nostre preghiere; se è in purgatorio, a suo tempo uscirà". La mamma, amareggiata, non replicò. Ma la notte seguente le sembrò di udire nella camera del figlio degli strani rumori. Al mattino chiese al figlio se non avesse passato una brutta notte, avendo, appunto, sentito dei rumori fastidiosi. "Che rumori? Voi donne siete piene di superstizioni di cui vi riempiono la testa i preti". Ciò detto, se ne uscì di casa. Arrivata la sera, egli si ritirò in camera. I rumori li aveva sentiti per davvero. Prima di mettersi a letto, guardò per ogni angolo della casa per assicurarsi che nulla potesse produrre lo strano fenomeno. E si coricò. Davanti alla finestra, all'esterno, correva un ballatoio che dava accesso ad altre camere. Il letto era posto di fronte alla finestra. Ad un tratto udì qualche passo strascicato che gli fece pensare a quello di suo padre quando passeggiava per casa in pantofole. Ed ecco al di là della finestra passar l'ombra di suo padre: proprio lui, il suo vestito, la sua statura, il suo modo di camminare. Andò oltre e poi ripassò dinanzi alla finestra ritornando indietro. Quindi l'ombra entrò nella stanza pur essendo chiusa la finestra e si mise a passeggiare su e giù ai piedi del letto. In preda all'ansia, l'uomo ebbe il coraggio di domandare: "Papà, avete bisogno di qualche cosa da me?" Nessuna risposta. Il figlio ripeté la domanda: "Papà, avete bisogno di preghiere? Ditemelo!" Il padre, con voce fioca, gli dice. "Io non ho bisogno di niente". Il figlio replicò: "Ma allora perché siete venuto?" "Sono venuto per dirti che è tempo di finirla con gli scandali che dai ai tuoi, figli, quelle anime semplici che tu avresti dovuto conservare innocenti. Quei poveretti imparano da te la bestemmia, l'irreligione, il disprezzo della Chiesa e dei suoi ministri, la condotta scostumata. Sono venuto per dirti che Dio è disgustato e tanto offeso, e che se tu non ti emendi saprai fra poco quanto pesino i suoi castighi. No, non pregare per me; a suo tempo, come dici tu, uscirò dal purgatorio. Pensa alla tua situazione!".
"Papà...". L'ombra che stava per andarsene verso la finestra, si volse e disse: "Cambia vita!" e scomparve. Al mattino dopo, la mamma lo conduceva da Don Bosco. Si confessò e pianse.
Alla luce dunque della comunione dei santi si comprendono i suffragi che i fedeli della Chiesa peregrinante moltiplicano a favore delle anime purganti: "Santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti da peccati " (2 Maccabei 12,45).
E se delle volte i suffragi non arrivano -e ne abbiamo data qualche esemplificazione- è perché nei disegni di Dio, essi sono dirottati ad altre anime.


Interscambi tra Cielo e terra

I santi del Cielo vengono in soccorso delle anime purganti e degli uomini con le loro preghiere. Si sa come i santi intervengono nelle cose umane con le innumerevoli grazie da essi ottenute a favore degli uomini. Intervengono a liberare le anime del Purgatorio con le loro preghiere di intercessione, con i loro interventi presso gli uomini che possano e vogliano aiutare le anime purganti.
Le anime del Purgatorio non solo lodano e glorificano il Signore; ma pregano pure e intercedono e vengono in soccorso degli uomini. E qui le testimonianze di aiuti avuti dalle anime purganti sono senza fine. Sono tanti i santi che attestano di aver invocato le anime purganti ricevendone benefici e aiuti (per esempio il beato Angelo d'Acri, santa Caterina da Bologna, san Leonardo da Porto Maurizio, santa Teresa d'Avila, ecc...).
È meraviglioso pensare a questi scambi e rapporti tra le anime purganti e i redenti del Cielo e della terra. Col Purgatorio aperto al Cielo e alla terra, si deve dedurre che la Chiesa è veramente come un corpo o come una famiglia dove ci sono membri sani e ammalati, e dove le membra ammalate sono amate e curate dalle membra sane fino a quando non si arriverà alla salute perfetta per tutti. E allora, assieme alla gioia e alla felicità di tutti, sarà pure il trionfo della vita piena, della pienezza che glorifica al massimo il Signore.



Capitolo X
Il Purgatorio visto dai Santi
Ma è tempo di vedere come i santi hanno visto il Purgatorio. Dopo i dati della Rivelazione, dei Santi Padri e teologi, non è senza interesse considerare il Purgatorio come è apparso ai santi, che, per permissione di Dio, hanno potuto vedere il Purgatorio o scendervi di persona.
Molti dati, derivati da tali apparizioni o visioni, li abbiamo già presentati, ma sarà utile averne un'idea d'insieme e più organica.
Non sono pochi i santi o i candidati alla santità che hanno "visto" il Purgatorio. Ne presentiamo solo alcuni.
La Venerabile Maria Rosa Carafa della Spina
La Venerabile Maria Rosa Carafa della Spina (1782-1890), napoletana, si distinse per una grande devozione al Preziosissimo Sangue di Cristo e alle anime del Purgatorio.
Una volta, nel giorno dei Defunti, Gesù le mostrò in visione il Purgatorio. Un mare di fiamme apparve al suo sguardo atterrito. Gesù le disse: "Figlia mia, hai un gran mezzo nelle tue mani per spegnere quelle fiamme. Prendi il Sangue del mio Cuore e versalo su di esse". Ella così fece e vide le anime sante salire al cielo come stelle luminose. Allora la Venerabile pregò Gesù: "Signore, voglio liberare tutte queste Anime!" e Gesù le rispose: "Se gli uomini pensassero al tesoro che hanno nelle mani, potrebbero liberare a migliaia le Anime che qui penano".
Abbiamo qui la rivelazione e la conferma che a liberare le anime dal Purgatorio è soprattutto il gran mezzo del Sangue di Cristo.
Edvige Carboni
Edvige Carboni nacque a Pozzomaggiore, in provincia di Sassari, il 2 maggio del 1880 e morì a Roma il 17 febbraio del 1952.
La Carboni, pare, non abbia vissuto l'esperienza di "andare" in Purgatorio, bensì di ricevere la visione del fratello Giorgino, che, consumato dalle sofferenze, le disse di non spaventarsi. Era stato condannato dal Tribunale Celeste a otto anni di Purgatorio, e perciò era venuto a sollecitarle di pregare fervidamente per la propria liberazione. Poi la salutò e, stringendole la mano, Edvige la trovò talmente calda da scottarsi. I segni di questa ustione si conservarono visibili fino alla morte.


Santa Faustina Kowalska

Santa Faustina Kowalska nacque il 25 marzo 1905 a Glogowiec, in Polonia, e morì a trentatrè anni, il 5 ottobre del 1938. Santa Faustina è famosa per aver ricevuto le visioni legate alla devozione della Divina Misericordia.
Ella scrive nel suo celebre Diario: "In quel tempo domandai al Signore Gesù: "Per chi ancora devo pregare?" Gesù mi rispose che la notte seguente mi avrebbe fatto conoscere per chi dovevo pregare. Vidi l'Angelo Custode che mi ordinò di seguirlo. In un momento mi trovai in un luogo nebbioso, invaso dal fuoco e, in esso, una folla enorme di anime sofferenti. Queste anime pregavano con grande fervore, ma senza efficacia per loro stesse: soltanto noi le possiamo aiutare. Le fiamme che bruciavano loro, non mi toccavano. Il mio Angelo Custode non mi abbandonò un solo istante. E chiesi a quelle anime quale fosse il loro maggior tormento. Ed unanimamente mi risposero che il loro maggior tormento era l'ardente desiderio di Dio. Scorsi la Madonna che visitava le anime del Purgatorio. Le anime chiamavano Maria "Stella del Mare" . Ella recava loro refrigerio. Avrei voluto parlare più a lungo con loro, ma il mio Angelo Custode mi fece cenno di uscire. Ed uscimmo dalla porta di quella prigione di dolore. Udii nel mio intimo una voce che disse: "La mia misericordia non vuole questo, ma lo esige la giustizia". Leggiamo ancora dal suo Diario: "Una volta venni citata al giudizio di Dio. Stetti davanti al Signore faccia a faccia. (...) Vidi immediatamente tutto lo stato della mia anima, così come la vede Dio. Vidi chiaramente tutto quello che a Dio non piace. Non sapevo che bisogna rendere conto al Signore anche di ombre tanto piccole. Che momento! Chi potrà descriverlo? Trovarsi di fronte al tre volte Santo! Gesù mi domandò: "Chi sei?" Risposi: "Io sono una tua serva, Signore". "Devi scontare un giorno di fuoco nel Purgatorio". Avrei voluto gettarmi immediatamente fra le fiamme del Purgatorio, ma Gesù mi trattenne e disse: "Che cosa preferisci: soffrire adesso per un giorno oppure per un giorno oppure per un breve tempo sulla terra?" Risposi: "Gesù, voglio soffrire in Purgatorio e voglio soffrire sulla terra sia pure i più grandi tormenti fino alla fine del mondo". Gesù disse: "È sufficiente una cosa sola. Scenderai in terra e soffrirai molto, ma non per molto tempo ed eseguirai la mia volontà ed i miei desideri ed un mio servo fedele ti aiuterà ad eseguirla. Ora posa il capo sul mio petto, sul mio Cuore ed attingivi forza e vigore per tutte le sofferenze, dato che altrove non troverai sollievo, né aiuto, né conforto. Sappi che avrai molto, molto da soffrire, ma questo non ti spaventi. Io sono con te ".
Abbiamo qui la descrizione del Purgatorio: un luogo nebbioso, invaso dal fuoco e, in esso, una folla enorme, di anime sofferenti. E le anime purganti ad affermare che il loro maggior tormento è l'ardente desiderio di Dio. Un grande refrigerio è loro arrecato dalle visite della Madonna.


Santa Francesca Romana
Santa Francesca Romana nacque a Roma all'inizio del 1384 e morì il 9 marzo 1440. Fondò le Oblate della Congregazione Benedettina di Monte Oliveto. La sua vita fu un tessuto di visioni, di rivelazioni e di estasi.
Ella vide il Purgatorio diviso in tre parti distinte. Nella regione superiore le anime che soffrivano la sola pena del danno (cioè la privazione della visione di Dio) o qualche pena mite e di poca durata, per renderle degne della visione e del godimento di Dio. Nella regione media vide che soffrivano le anime che avevano commesso in vita colpe leggere o che dovevano liberarsi dalle pene dei peccati mortali perdonati quanto alla colpa. In fondo all'abisso e in vicinanza dell'inferno vide la terza regione, ossia il Purgatorio inferiore, tutto pieno di un fuoco chiaro e penetrante, diverso da quello dell'inferno, oscuro e tenebroso.
Questa terza regione la vide divisa in tre scompartimenti, dove le pene andavano gradatamente aumentando a seconda della responsabilità delle anime del grado di gloria e di felicità alla quale dovevano giungere. Il primo lo vide riservato ai secolari, il secondo ai chierici non ordinati, il terzo ai sacerdoti e ai vescovi. Questo terzo scompartimento lo vide come un luogo più infimo, riservato ai religiosi e alle religiose, che, avendo avuto maggiori mezzi di santificazione e maggiori lumi da Dio, avrebbero una più grande responsabilità nelle loro colpe e, quindi, un più grande bisogno di espiazione.


Santa Maria Maddalena de' Pazzi
Santa Maria Maddalena de' Pazzi nacque nel 1566 e morì nel 1607. Un lunedì ella si sentiva molto triste e angosciata. Sospirava spesso, chiamando Gesù, e le sue parole si riferivano quasi tutte alla grandezza delle pene del Purgatorio. Verso la sera, stando a lavorare con le altre suore, cominciò a piangere amaramente. Dopo aver pianto circa un quarto d'ora, si quietò e rimase rapita in spirito. Il Signore volle mostrarle di nuovo l'atrocità delle pene del Purgatorio. Ella fremeva in se stessa ed emetteva grandi sospiri e pareva che si consumasse. Parlava con Dio dicendogli che, con tale vista, non aveva più il coraggio di vivere in terra e conversare con le creature. E il Signore le mitigò la visione, mostrandole anche la gloria che seguiva a queste pene. Ella allora, piena di gioia, alzò gli occhi al cielo ed esclamò: "Non voglio chiamare atroci le pene del Purgatorio, ma piuttosto gloriose perché conducono a tanta gloria". C'è un altro significativo episodio nella vita di santa Maria Maddalena de' Pazzi. Un "viaggio" svoltosi nell'orto, e che le altre Suore poterono seguire in qualche modo, notandone i vari atteggiamenti che la Santa assumeva ad ogni dettaglio che vedeva. Si racconta che, entrando in questo viaggio, dopo aver fatto due o tre passi, la Santa cominciò a tremare, battendo le mani, col volto sconvolto e le carni divenute pallide e terree. Andava curva e rannicchiata come chi ha una grande paura. E in questo inizio camminava un po' e poi tornava indietro, dando segni di tale spavento e timore che a vederla "gettava grandissimo terrore". Atteggiamenti e gesti che, al ritorno in sé, la Santa spiegò. In sostanza ella vide il Purgatorio, le tante anime che soffrivano grandemente, e ripeteva: "Pietà, pietà, misericordia. O Sangue, discendi e libera queste anime. Poverine, voi patite pur tanto e state sì contente". Vide nei vari settori le pene dei vizi particolari, assieme alla gran quantità di fuoco. Ella diceva di non saper trovare parole adatte a spiegare quelle pene. Ad un certo punto del suo "viaggio", chiese a Gesù un altro aiuto oltre al suo angelo custode, tanto grandi erano le pene e tanto orribile la vista dei demoni. E il Signore le diede santa Caterina da Siena che Lei amava tanto. Al vederla esclamò: "O Caterina, vieni, vieni, aiutami a chiedere misericordia per queste povere anime e offrire il Sangue del tuo e mio Sposo per loro". Vedeva con terrore demoni di estrema bruttezza. Le fu poi domandato dalle sue consorelle se le anime del Purgatorio siano tormentate dai demoni.
Ella rispose di no: queste anime hanno una grandissima pena per l'orrenda e spaventosa loro vista. Ma qualche volta Dio permette, a maggior merito, che qualche anima venga tormentata dai demoni. Ad un bel momento cominciò a chiedere a Gesù un nuovo aiuto, e il Signore le dette il martire carmelitano sant'Angelo, di cui la Santa era devota. E le suore videro santa Caterina e sant'Angelo prenderla per mano per farle proseguire il "viaggio".
Vide gli ignoranti e quelli morti in piccola età: soffrivano poco a confronto degli altri, erano solo nel fuoco senza altre pene. Accanto ad ognuna di tali anime c'era l'angelo custode dal quale ricevevano refrigerio e conforto. Quel luogo era tenebroso e oscurissimo, ma vi era una certa luce provocata dalla presenza e splendore degli angeli. Proseguendo il suo "viaggio", diede segni di grande stupore e meraviglia per la scena orribile sia dei demoni sia delle pene che vedeva. Appressandosi, cominciò a dire: "Oh! Che luogo orrendo è questo, pieno di demoni sì spaventosi e brutti, le pene sì crudeli e intollerabili? Chi sono questi che sono tormentati sì aspramente?". E vedeva che, oltre alle altre pene, i tormentati erano passati con ferri da un parte all'altra e infilzati. E poi erano trebbiati e sminuzzati con coltelli molto crudeli e aspri. Chi erano? ... Gli ipocriti che erano molto vicino all'inferno. La Santa affermò pure che quelli che sono più vicini all'inferno partecipano agli strepiti e ai rumori, allo stridor di denti e alla confusione delle anime dannate. Proseguendo nel suo "viaggio", si fermò nel luogo dei disobbedienti: li vide gravati da un peso insopportabile e anche lapidati, attriti e trebbiati come gli ipocriti. Passò quindi agli impazienti: erano presi da un continuo consumarsi, finendo e tornando poi a vivere di nuovo. Erano torti e avvolti come quando si spreme qualche cosa per cavarne il succo, e tutti pativano la pena del fuoco. E qui cominciò di nuovo a chiedere aiuto e invocava sant'Agostino, di cui era devotissima, e anche questi venne in sua compagnia. Arrivò al settore dei bugiardi, appressandosi ai quali cominciò a dire forte: anche costoro sono vicini all'inferno e sono grandemente tormentati nella bocca. Vide che si versava loro in gola del piombo liquefatto e continuamente ardevano e tremavano. Anche quelli che hanno peccato per fragilità sono nel fuoco. Gli avari erano saziati di tutte le pene e tormenti, perché sulla terra non erano mai sazi delle cose materiali. Gli immondi e gli impuri erano in un luogo sozzo e immondo. Si cavavano loro gli occhi e soffrivano enormemente. In un altro luogo oscuro c'erano i superbi e gli ambiziosi. Erano circondati, serviti e onorati da demoni, per aver tanto cercato l'onore e la gloria in questo mondo. Essi venivano pure battuti e percossi crudelmente. Gli ingrati erano in un grandissimo e profondissimo caos, sommersi e annegati in un lago di piombo liquefatto, di pece e simili.
Volendo un giorno dire la grandezza delle pene, santa Maria Maddalena de' Pazzi affermò: "Tutte le pene che hanno patito tutti i martiri sono come un ameno giardino a confronto delle pene del Purgatorio. "

Beata Anna Schaffer
La beata Anna Schaffer (1882-1925) vide il Purgatorio in vari sogni. Vide le povere anime soffrire spaventosamente per la comprensione di tutto il male fatto e di non aver amato in pienezza il Signore.
Disse che la separazione dall'Infinito Bene per propria colpa è il massimo dei dolori di queste povere anime. Esse soffrono un lacerante fuoco di nostalgia verso l'Eterno Amore.
La Schaffer disse anche che in Purgatorio ci sono anime "dimenticate", perché si pensa che siano già in Cielo, e nessuno fa più, per loro, delle preghiere di suffragio. Purtroppo molti credono che il Purgatorio sia un semplice passaggio quasi indolore, ma la nostalgia di quel Dio intravisto nell'attimo del giudizio non può non far bruciare. Dio è santissimo e solo se l'anima è santissima può stare davanti a Lui. E poiché Dio è anche giustissimo, ogni debito deve essere pagato "fino all'ultimo centesimo" (Matteo 18,34)
Dalle 4 alle 6 del venerdì 19 aprile del 1918 Anna Schaffer sogna di trovarsi in chiesa: inginocchiata davanti all'altare maggiore, in adorazione di Gesù Eucaristia pregando a lungo. Improvvisamente s'illuminò tutto e vide il Cuore di Gesù avvolto in uno splendore indicibile, dal quale uscivano dei raggi di fuoco. Continuò a pregare per raccomandare a Gesù molte anime. Ogni volta che pregava per un'anima (sia conosciuta che sconosciuta), usciva dal Sacro Cuore un raggio che raggiungeva proprio quell'anima, che anch'ella in quel momento poteva vedere. Nel sogno pregava dicendo: "Gesù mio, misericordia!" D'un tratto si trovò circondata da tante anime; sembravano tutte abbandonate e le dicevano: "Anche per me!" ed erano molte, talmente tante che non riusciva a vederle tutte e provò una grande angoscia e continuava a ripetere: "Gesù mio, misericordia!" Ogni volta usciva dal tabernacolo un torrente di luce che sembrava illuminare tutta la terra; poi si svegliò.
Un altro sogno è del 22 luglio 1918. Le sembrò di andare a far visita ad una donna molto ammalata. Questa le disse che dalla sua stanza doveva attraversare altre sei stanze e poi fermarsi a lungo nella settima. Lo fece. Attraversò sei stanze e, quando giunse alla settima, si trovò davanti ad una porta di vetro attraverso la quale vide che al di là c'erano molte persone. "Certamente -pensò- queste sono delle povere anime". Senza esitare, aprì la porta e gridò: "Mio Gesù, misericordia per tutte voi" e tutte la ringraziarono con molta riconoscenza. Tra queste una ragazza che cominciò a parlare. Sul suo capo e sulle sue guance c'era una luminosità viva e chiara. Le disse che da viva era appartenuta alla nobiltà e che stava ancora espiando i suoi peccati, particolarmente quelli della lingua e della vanità (era orgogliosa della sua bellezza). Poi le prese la mano destra e la tenne davanti alla sua bocca per farle sentire quale calore doveva sopportare per quei peccati: dai suoi denti ne usciva talmente che, nel sogno, la Schaffer credette si fossero bruciate anche le ossa della mano. Ebbe paura e continuò a recitare delle giaculatorie che, a detta della ragazza, apportavano alle anime un gran conforto e sollievo. Poi la ragazza la prese per mano e la condusse alla finestra e disse: "Vedi, qui fuori c'è il mondo, e il mondo cieco non pensa quanto duramente dovrà essere tutto espiato ". La ragazza si mise poi a scrivere su di un foglio, nel cui primo rigo si leggeva: "Ho bisogno di una Messa".


Jakov e Vicka, due veggenti di Medjugorje
Jakov e Vicka -due veggenti di Medjugorje- portati dalla Madonna, arrivano a vedere il Paradiso, il Purgatorio e l'Inferno.
Il Purgatorio è da loro così descritto: "È un luogo molto scuro e noi non potevamo vedere quasi niente perché c'era come un fumo grigio, molto spesso del colore della cenere. Sentivamo che c'era una quantità di gente ma non potevamo vedere i volti per via di questo fumo. Potevamo però sentire i gemiti e le grida. Sono molto numerosi e soffrono molto. Sentivamo anche delle specie di urti, come se persone si scontrassero. La Gospa (la Madonna) ci diceva: "Vedete come queste persone soffrono! Aspettano le vostre preghiere per poter andare in Cielo". In seguito la Madonna ci ha parlato ancora del Purgatorio. Quello che mi ha stupito è stato di scoprire che là c'erano persone consacrate a Dio, suore e preti. Ho chiesto alla Gospa (=la Madonna) come fosse possibile che persone consacrate si ritrovassero in Purgatorio; mi ha risposto: "Queste persone si erano consacrate a Dio, ma nella loro vita non c'era amore. Ecco perché ora sono in Purgatorio". Prima di lasciare il Purgatorio, la Gospa ci ha molto raccomandato di pregare ogni giorno per queste anime".


Capitolo XI
Considerazioni teologiche
Qui arrivati, si impone qualche considerazione teologica, chiedendoci pure che senso e valore bisogna dare alle rivelazioni dei santi.
Il valore delle apparizioni
C'è da ritenere, prima di tutto, che queste visioni non sono frutto di fantasia o di patologia. Una conferma chiarissima che esse hanno altra origine dalla patologia -almeno quelle che non sono state ufficialmente disdette dalla Chiesa- l'abbiamo proprio, per esempio, nella lotta che la Menendez dovette sopportare col diavolo. Il 15 aprile 1922, sabato santo, verso le quattro del pomeriggio, ella avvertì dei rumori che preannunciavano l'arrivo di demoni. Avvenne una vera e propria battaglia, il demonio atterrò la Religiosa. Ma poco dopo ella rinvenne. Il suo viso disfatto lasciò intuire ciò che aveva visto e sofferto. Ad un tratto, portando la mano al petto, gridò: "Chi mi brucia?" Ma lì non vi era nessun fuoco e l'abito religioso era intatto. Si spogliò rapidamente, un odore di fumo acre e fetido si diffuse nella cella e si vide bruciarle addosso la camicia e la maglia! Una larga ustione restò "vicino al cuore". Dieci volte Josefa sarà bruciata: questo fuoco lascerà tracce non solo sugli abiti, ma ancor più sulle sue membra. Piaghe vive, lente a chiudersi, imprimeranno sul suo corpo cicatrici che ella porterà con sé nella tomba. Vari oggetti di biancheria bruciata si conservano ancora e attestano la realtà della rabbia infernale e il coraggio eroico con cui sostenne quegli assalti per rimanere fedele all'opera dell'Amore.
Molte delle citate apparizioni, o discese in Purgatorio, sono state approvate dalla Chiesa almeno indirettamente. I processi canonici cioè hanno assodato che detti fenomeni mistici non sono espressioni di tare patologiche o di cervelli squilibrati o comunque affetti da psicosi o altro. Naturalmente, trattandosi di rivelazioni private, si è liberi di accettarle o meno, con motivazioni secondo la prudenza e il buon senso.
Considerazioni teologiche
La prima cosa che va detta è che, nei dati essenziali, queste visioni e fenomeni appaiono in perfetto accordo con i dati rivelati. E si sa che il primo criterio di un discernimento serio è appunto la consonanza totale con la Rivelazione.
Altra considerazione. Queste visioni -pur non del tutto necessarie ­costituiscono una conferma preziosa di verità di fede professate. Ed è esperienza comune che esse sono spesso come delle illuminazioni o folgorazioni che gettano in ginocchio e portano ad un cambiamento radicale di vita. Anime che, pur credendo all'Inferno e al Purgatorio, ne hanno sentito tutto il peso e la gravità.
Altro dato da rilevare: queste visioni forniscono dettagli importanti su realtà di fede che mai avremmo saputo con certezza. I dati rivelati, infatti, ci sono rivelati nella loro essenzialità, sobri e scarni per lo più. Avere dettagli più ampi non dispiace a nessuno, rispondendo essi, oltre tutto, ad un innato senso di legittima curiosità, specialmente se si tratta di problemi vitali quanto alla salvezza.
Dettagli preziosi, dunque, che il Signore offre alla povera natura umana che, pur assentendo per fede, è sempre alla ricerca di nuovi dati e approfondimenti.
Il perché di queste visioni
Questi fenomeni incidono sullo sviluppo e la crescita spirituale dell'anima. Essi infatti sono, oltre tutto, esortazioni e incitamenti; sono un invito a dare più importanza a realtà che potrebbero apparire, a prima vista, quasi insignificanti (per esempio le piccole infrazioni, piccoli cedimenti alle mode correnti e ritenuti del tutto innocenti, ecc...). Le visioni dei santi fanno capire di più, oltre tutto, anche cosa significhi infinita misericordia e infinita giustizia di Dio, che non sono in contrasto tra loro, ma si armonizzano mirabilmente senza togliere nulla né alla misericordia né alla giustizia. "Come mi sembra di capire, -scrive santa Caterina da Genova- l'amore di Dio che trabocca nell'anima le dona una gioia inesprimibile, ma alle anime che sono in Purgatorio questa felicità non toglie nemmeno una scintilla di sofferenza. Infatti l'amore che provano ma che viene frenato costituisce la loro pena, tanto più grande quanto è la perfezione di quel sentimento di cui Dio le ha rese capaci. Di conseguenza le anime nel Purgatorio provano una gioia grandissima e una sofferenza grandissima, senza che l'una escluda l'altra". Ancora santa Caterina da Genova: "Ora, vedendo chiaramente queste cose alla luce divina, avrei voglia di fare un grido così forte che riuscisse a spaventare tutti gli uomini di questo mondo e dire loro: O miseri, che vi lasciate accecare da questo mondo e non vi preoccupate affatto di una cosa importante e inevitabile a cui andate incontro! Ve ne state tutti tranquilli sotto la speranza della misericordia di Dio, dicendo che essa è davvero grande: ma non capite che tanta bontà divina sarà una testimonianza contro di voi, proprio perché avete agito contro la sua volontà? La bontà divina ci deve stimolare a compiere la sua volontà e non a sperare di fare il male impunemente! Non manca, infatti, anche la sua giustizia che, in qualche modo, si deve realizzare pienamente. Non ti fidare, pensando: "Mi confesserò, poi prenderò l'indulgenza plenaria e così sarò purificato da tutti i miei peccati!'. Rifletti: la confessione e la contrizione necessarie per ottenere l'indulgenza plenaria, sono così difficili da conquistare, che se te ne rendessi conto tremeresti di paura e perderesti la tua sicurezza di riuscire ad ottenerla".
La richiesta di preghiere, di suffragi è condanna di tutti coloro che ne negano il valore e la legittimità. Preghiere e suffragi e soprattutto richiesta di celebrazioni di Sante Messe, pongono più che mai in rilievo l'infinito valore del Sangue di Cristo Redentore.
Le visioni o descrizioni offerteci dai santi costituiscono pure preziosi insegnamenti che vengono dalle anime purganti. Una di queste anime diceva alla Menendez: "Se le anime religiose sapessero come bisogna scontare qui le piccole carezze prodigate alla natura..."! Quanta permissione alla rilassatezza del corpo, ai desideri che si affollano nell'intimo, alle aspirazioni, per cui tanto spesso si vive ai limiti del peccato mortale, incuranti della vera realtà. Un'altra anima le diceva: "Come si vedono diversamente le cose terrene, quando si passa all'eternità! Le cariche importanti non sono niente agli occhi di Dio: solo conta la purità d'intenzione con cui vengono adempiute, anche nelle più piccole azioni. La terra e tutto ciò che contiene sono poca cosa... tuttavia quanto è amata! ... Ah, la vita, per lunga che sia, è nulla in paragone all'eternità! Se si sapesse ciò che è un istante solo passato in purgatorio e come l'anima si strugge e si consuma per il desiderio di vedere Nostro Signore!"
Ecco: è il senso del realismo che le anime purganti inculcano. La realtà, per lo più, non è quella voluta e immaginata dall'io sempre interessato a quanto gli possa procurare piacere. Si pensi alla situazione morale di oggi, nella quale impazzano il relativismo più crudo, il pensiero debole, il nichilismo. E l'uomo avulso dalla realtà e dalla ragione non può che andare verso il fallimento più tragico.
I messaggi dei santi sulle anime purganti richiamano alla realtà, al buon senso. Non è l'uomo che crea il reale, ovunque esso sia, piuttosto al reale l'uomo deve adeguare la propria vita e la propria azione.
In particolare queste visioni invitano ad avere un profondo senso del peccato. Una delle grandi disgrazie di oggi è appunto la perdita completa del senso del peccato. Tutto è niente, tutto è permesso, e se non si è giunti alle posizioni pazze del De Sade, poco ci manca. Stesso per molti fedeli il peccato sarebbe solo uccidere o rubare. Parlare di esame di coscienza per trovare i tanti peccati e debolezze nelle quali si incorre tutti i giorni, è come parlare ostrogoto! E quello che più sconcerta, è che una mentalità del genere è accettata, se non incoraggiata da tanti sacerdoti, pastori di anime!
In quasi tutte le visioni e apparizioni appare il fuoco come terribile pena per tutte le anime purganti: una conferma anche di tutta la tradizione patristica e teologica. Come si fa a metterne in dubbio la realtà?
Le visioni -e soprattutto le impronte lasciate da anime purganti- ci dicono che si tratta di vero fuoco. Per cui non ci sembra accettabile quanto detto -sia pure a mo' di ipotesi- da Pozo: "Forse nel caso del Purgatorio, non è impossibile un'interpretazione metaforica che spieghi l'espressione "fuoco " come la stessa sofferenza che proviene dal differimento della visione di Dio ". E se si trattasse di un duplice fuoco purificatore?
Il Purgatorio è presentato pure come un luogo, un luogo nebbioso, secondo alcune visioni, invaso dal fuoco. Se non si vuol pensare che il luogo è solo una necessità per far capire una realtà molto lontana dai sensi, nulla vieta però che il Purgatorio, oltre che essenzialmente "stato", possa essere, almeno per alcune anime, anche un luogo dove attuare la purificazione. Luogo che però non toglie nulla alle pene e a tutto ciò che abbiamo indicato come purificazione.
Le anime purganti sono in numero enorme. Ciò ci fa capire sia la misericordia di Dio che salva quanto più è possibile, e sia i difetti e le carenze anche delle anime più perfette. Alla luce di queste "rivelazioni", appaiono del tutto ridicole e senza senso le accuse di fondamentalismo, di esagerazione ecc., rivolte a chi predica o cerca di attuare una vita il più osservante possibile e conforme al Vangelo.
Tutte le apparizioni ci dicono che la massima pena del Purgatorio è la privazione della visione di Dio (la pena del danno). Se si pensa a tutti i deprecabili sforzi di un laicismo assurdo di impostare la vita come se Dio non ci fosse, si comprende quanto colpevole e contrario al proprio bene siano detti sforzi.
Visioni e apparizioni mettono pure in grande rilievo il ruolo della SS. Madre di Dio, Maria. Quante anime sono salve ed aiutate da Lei! Una implicita condanna a tutti coloro che ritengono la devozione alla Madonna da rigettarsi o da non enfatizzare troppo. Ancora una volta la realtà umilia e condanna l'intelligenza orgogliosa.
Preziosi anche alcuni dettagli. Il Purgatorio diviso in tre settori o regioni: la regione superiore dove le anime vi soffrono solo la pena del danno senza pene o con pene molto miti e di poca durata; la regione media, dove si purificano le anime che commisero colpe leggere o che debbono liberarsi dalle pene di peccati mortali perdonati quanto alla colpa. La regione inferiore, in vicinanza dell'inferno, tutta piena di fuoco chiaro e penetrante, diverso da quello dell'inferno che è oscuro e tenebroso. Questa terza regione santa Francesca Romana la vide divisa in tre scompartimenti dove le pene vanno gradatamente aumentando a seconda della responsabilità delle anime e del grado di gloria a cui devono giungere. Il primo è riservato ai secolari, il secondo ai chierici non ordinati, il terzo ai sacerdoti e ai vescovi. Deve ritenersi che questo scompartimento abbia un luogo più infimo ancora, riservato a religiosi e religiose che avendo ricevuto di più quanto a mezzi di perfezione, hanno avuto maggiore responsabilità nelle loro colpe, e perciò maggior bisogno di espiazione.
Le anime purganti hanno figura luminosa
Le pene del Purgatorio sono grandi, atroci, impossibili ad esprimersi con parole umane. Tutte le pene sofferte dai martiri, in confronto sono come un ameno giardino, dice santa Maria Maddalena dà Pazzi.
Oltre alle pene sofferte da tutte le anime purganti, ci sono anche pene particolari riservate ad ogni vizio specifico. Di tutto si dovrà rendere conto alla divina giustizia: un altro motivo di profonda riflessione!
Almeno alcune anime purganti, pur senza essere tormentate da demoni, soffrono però al vederli. Ma alcune, per permissione di Dio, sono tormentate da essi. La presenza di demoni in Purgatorio, un dato assolutamente nuovo che traiamo da queste rivelazioni.
E, qui dopo dette considerazioni e altre che se ne potrebbero fare, si possono capire almeno alcuni motivi delle "visioni" dei santi.
Esse servono non solo ad aiutare le anime sofferenti, ma a rinvigorire la coscienza della gravità del peccato e ad impostare una vita cristiana molto più seria e impegnata. E quindi anche la necessità di parlare molto del Purgatorio. Purtroppo, assieme ai novissimi, anche il tema del Purgatorio è quasi scomparso dalla predicazione e dall'insegnamento di molti teologi. La ragione o una delle ragioni è costituita dal fatto che oggi tutti ci crediamo talmente buoni da non poter meritare altro che il Paradiso! Qui c'è certamente la responsabilità della cultura contemporanea che tende a negare il concetto stesso di peccato, cioè proprio di quella realtà che la fede lega all'Inferno e al Purgatorio. Ma nel silenzio sul Purgatorio c'è anche qualche altra responsabilità: la protestantizzazione del Cattolicesimo.
Le "visioni" possono essere sommamente utili alle anime. Già il pensiero della morte può guarire dall'orgoglio e dall'accidia.


Capitolo XII
Purgatorio e vita cristiana
Tutto quanto è stato detto fin qui porta ad una conclusione pratica di grande rilievo: il pensiero del Purgatorio deve entrare come punto fermo nella vita cristiana per realizzare la perfezione.
Il pensiero del rendiconto finale
Non si può prendere alla leggera quanto i dati rivelati e i santi ci rivelano su quello che sarà il giudizio e il rendiconto di ogni anima a Dio. La perdita del senso del peccato, oggi, ha portato l'uomo a dare enorme importanza alle cose materiali. Si parla di opere d'arte, di realizzazioni tecnologiche perfette, di costruzioni materiali sempre più all'altezza dei migliori canoni di estetica e di utilità pratica. Si ignora quasi del tutto o, addirittura, si misconosce la perfezione dell'anima, l'armonia di una condotta in regola con tutte le virtù. E invece -almeno per chi ammette l'esistenza dell'anima e dell'aldilà- ogni gesto, ogni comportamento, ogni pensiero; in una parola: ogni realtà può essere perfetta o disordinata, essendone l'uomo responsabile. Di tutto ciò l'uomo dovrà rispondere a Dio. Il metro che commisura tutto è la legge naturale e la legge divina del Vangelo.
Tutti i grandi santi e anche coloro che avevano e hanno un minimo di chiaroveggenza spirituale, consapevoli di questo, erano e sono attenti a tutto perché ogni cosa sia fatta nel mondo più perfetto e in armonia con la legge di Dio.
Certo, anche qui, dovrebbe essere l'amore a operare in maniera equilibrata, a curare ogni dettaglio alla luce di un Dio amato che vuole anche noi perfetti. Ma la debolezza umana e le attrattive, che trascinano fuori strada e fuori regola, sono senza fine. E allora può aiutare a camminare diritto anche un santo timore: la paura del fuoco e delle pene, il terribile tormento di rimanere privi, sia pure per qualche tempo solamente, di Dio, unica attrattiva e unica sorgente di gioia e di felicità. Capire che la legge dell'amore è dovere fondamentale verso le anime purganti.
Strano a dirsi, ma la superficialità dell'uomo porta a tener conto quasi solo di quello che si vede con i propri occhi. La visione di milioni di bambini che nel mondo muoiono per la fame, addolora, scuote le viscere della misericordia e spinge a generose opere di soccorso e di assistenza. E va bene: in questo campo non si fa mai abbastanza. Ma il dolore e la miseria non possono ridursi solo a quello che si vede. Ci hanno detto i santi che la minima pena del Purgatorio è più atroce della massima sofferenza di questo mondo. Dovrebbe essere ovvio, allora, che il massimo della pietà e dei soccorsi sarebbero da rivolgersi alle anime purganti, essendo queste le più bisognose e le più incapaci ad aiutare loro stesse, non potendo meritare per sé. La carità ha un ordine che va rispettato!
Legittimità del cultoe della devozione per le anime purganti
Si comprende allora che la devozione e il culto del popolo verso le anime del Purgatorio non solo è da accettarsi come cosa salutare, ma addirittura da incrementare sempre più. Anche se è sempre da correggere, guidare, evitando fanatismi, superstizioni e ogni tipo di esagerazione. Non credendo al Purgatorio i protestanti, tra l'altro, non hanno nessuna cura dei cimiteri. Si vada a vedere un cimitero calvinista. Calvino, a Ginevra, faceva fustigare in piazza quelli che erano scoperti a pregare sulle tombe dei loro morti, o anche solo a deporre un fiore.
Le anime purganti sono consolate soprattutto con la celebrazione eucaristica e le elemosine. Perché? Perché i suffragi più efficaci sono quelli che tendono a comunicare l'amore. Il sacramento dell'Eucaristia è per eccellenza il sacramento dell'amore, essendo il Sacramento dell'unione ecclesiale, come autorevolmente attesta san Tommaso d'Aquino nella sua Summa.
Si sa da tante visioni che mentre si celebra la Santa Messa per un defunto, questi non soffre o per lo meno è grandemente refrigerato. Nessuna creatura della terra è adoratrice eucaristica come un'anima purgante che partecipa ad una Messa celebrata per lei, o che si unisce per il suffragio all'adorazione della Chiesa per il Santissimo Sacramento.
Un esempio bellissimo nella vita di santa Geltrude (1256-1302). Un giorno le apparve una suora morta giovane, devotissima dell'Eucaristia. La vide sfolgorante di luce celeste inginocchiata davanti al Divin Maestro, dalle cui cinque piaghe gloriose partivano cinque raggi infiammati che andavano a toccare dolcemente i cinque sensi della pia suora. Eppure la suora sembrava triste. Santa Gertrude, meravigliata, chiese al Signore come mai la suora, così favorita dai suoi favori celesti, sembrava non essere del tutto nella gioia. Gesù le rispose: "Fino ad ora quest'anima è stata giudicata degna di contemplare solamente la mia umanità glorificata e le mie cinque piaghe grazie alla sua devozione verso il mistero Eucaristico, ma non può essere ammessa alla visione beatifica a cagione di alcune macchie leggerissime da lei contratte nella pratica della Regola". Poiché la Santa intercedeva per lei, Gesù le fece conoscere che, senza numerosi suffragi, quell'anima non avrebbe potuto terminare la sua pena. La stessa defunta fece capire a Santa Geltrude di non voler essere liberata se non prima di essersi completamente purificata, poiché l'amore che aveva per Dio le faceva desiderare di comparirgli tutta pura.
Non esageravano i santi nel sottolineare tutta l'efficacia della Santa Messa. Ha ragione san Roberto Bellarmino ad affermare che niente è più efficace per il suffragio e la liberazione delle anime dal fuoco del Purgatorio dell'offerta a Dio per esse del sacrificio della Messa.
Sarà bene qui ricordare l'origine delle cosiddette Messe gregoriane. Nel monastero benedettino al Celio, a Roma, era abate san Gregorio (540-604), qui era gravemente ammalato il monaco Giusto, esperto in medicina. Prima di morire, egli confidò al confratello Copioso di aver tenuto nascosto tra i medicinali tre monete d'oro. Questi avvertì san Gregorio che prese severissimi provvedimenti contro Giusto. Da quel momento Giusto fu abbandonato a sé stesso, senza visite né altro conforto. Nell'abbandono e nella sofferenza dell'agonia, egli si pentì del suo peccato e "la sua anima abbandonò il corpo nella stessa tristezza". Morto, il suo corpo fu buttato in un letamaio con le tre monete d'oro, mentre i monaci esclamarono: "Che il tuo denaro sia con te per la tua perdizione". Pur convinto che Giusto fosse all'Inferno, Gregorio diede incarico al Priore del Monastero: "Trai dunque e da oggi stesso per trenta giorni di seguito fai in modo di offrire per lui il sacrificio, affinché non sia assolutamente tralasciato alcun giorno, nel quale non sia offerta per la sua assoluzione l'Ostia salutare". Dopo i trenta giorni, Giusto apparve al fratello Copioso per comunicargli che ormai era libero da ogni pena.
Non esagera san Leonardo da Porto Maurizio (1676-1751) quando afferma: "la devozione delle anime purganti è la migliore scuola di vita cristiana: ci spinge alle opere di misericordia, ci insegna la preghiera, ci fa ascoltare la santa Messa, abitua alla meditazione e alla penitenza, sprona a compiere buone opere ed a fare l'elemosina, fa evitare il peccato i mortale e temere il peccato veniale, causa unica della permanenza delle anime nel Purgatorio."
E san Girolamo (347-420) è tutt'altro che fantasioso quando afferma: "Durante la celebrazione della Santa Messa quante anime vengono liberate dal Purgatorio! Quelle per cui si celebra non soffrono, accelerano la loro espiazione o volano subito in cielo, perché la Santa Messa è la chiave che apre due porte. quella del Purgatorio per uscirne, quella del Paradiso per entrarvi per sempre."
Un giorno san Pio da Pietrelcina (1887-1968) disse riferendosi alla cittadina di San Giovanni Rotondo: "Su questa montagna salgono più anime purganti che uomini viventi ad assistere alle mie Messe e a cercare le mie preghiere".
Non ha esagerato Francesco Faà di Bruno (1825-1888) a dedicare il suo santuario a Nostra Signora del Suffragio; e le sue Suore hanno per carisma primario proprio la preghiera per le anime del Purgatorio.
Conclusione
Ci piace concludere ricordando ancora alcune parole di santa Caterina da Genova: "Vienmi voglia di gridar un sì forte grido, che spaventasse tutti gli uomini che sono sopra la terra, e dir loro: O miseri, perché vi lasciate così accecare da questo mondo, che a una tanta e così importante necessità, come troverete al punto della morte, non date provvisione alcuna? Tutti state coperti sotto la speranza della misericordia di Dio, la quale dite essere tanto grande; ma non vedete che tanta bontà di Dio vi sarà in giudizio, per aver fatto contro la volontà di un tanto buon Signore? La sua bontà vi dovrebbe costringere a far tutta la sua volontà, e non darvi speranza di far male; perciocché la sua giustizia non ne può ancora mancare, ma bisogna che in alcun modo sia soddisfatta appieno. Non ti confidare dicendo: Io mi confesserò, e poi prenderò l'Indulgenza Plenaria, e sarò in quel punto purgato di tutti i miei peccati, e così sarò salvo."

 AVE AVE AVE MARIA

Jesùs en Vos confio

Imagen de Jesus Misericordioso con
promesas

Ecco un'intervista che durò 5 ore. Di Oriana F.

Giulio Andreotti

Da Intervista con la storia, 1974

Roma, marzo 1974

Lui parlava con la sua voce lenta, educata, da confessore che ti impartisce la penitenza di cinque Pater, cinque Salve Regina, dieci Requiem Aeternam, e io avvertivo un disagio cui non riuscivo a dar nome. Poi, d’un tratto, compresi che non era disagio. Era paura. Quest’uomo mi faceva paura. Ma perché? Mi aveva ricevuto con gentilezza squisita: cordiale. Mi aveva fatto ridere a gola spiegata: arguto, e il suo aspetto non era certo minaccioso. Quelle spalle strette quanto le spalle di un bimbo, e curve. Quella mancanza quasi commovente di collo. Quel volto liscio su cui non riesci a immaginare la barba. Quelle mani delicate, dalle dita lunghe e bianche come candele. Quell’atteggiamento di perpetua difesa. Se ne stava tutto inghiottito in se stesso, con la testa affogata dentro la camicia, e sembrava un malatino che si protegge da uno scroscio di pioggia rannicchiandosi sotto l’ombrello, o una tartaruga che si affaccia timidamente dal guscio. A chi fa paura un malatino, a chi fa paura una tartaruga? A chi fanno male? Solo più tardi, molto tardi, realizzai che la paura mi veniva proprio da queste cose: dalla forza che si nascondeva dietro queste cose. Il vero potere non ha bisogno di tracotanza, barba lunga, vocione che abbaia. Il vero potere ti strozza con nastri di seta, garbo, intelligenza.
L’intelligenza, perbacco se ne aveva. Al punto di potersi permettere il lusso di non esibirla. A ogni domanda sgusciava via come un pesce, si arrotolava in mille giravolte, spirali, quindi tornava per offrirti un discorso modesto e pieno di concretezza. Il suo humour era sottile, perfido come bucature di spillo. Lì per lì non le sentivi le bucature ma dopo zampillavano sangue e ti facevano male. Lo fissai con rabbia. Sedeva a una scrivania sepolta sotto i fogli e dietro, sulla parete di velluto nocciola, teneva una Madonna con Bambin Gesù. La destra della Madonna scendeva verso il suo capo a benedirlo. No, nessuno lo avrebbe mai distrutto. Sarebbe stato sempre lui a distruggere gli altri. Con la calma, col tempo, con la sicurezza delle sue convinzioni. O dei suoi dogmi? Crede al paradiso e all’inferno. All’alba va a messa e la serve meglio di un chierichetto. Frequenta i papi con la disinvoltura di un segretario di Stato e guai, scommetto, a svegliare la sua ira silenziosa. Quando lo provocai con una domanda maleducata, il suo corpo non si mosse e il suo volto rimase di marmo. Però i suoi occhi s’accesero in un lampo di ghiaccio che ancora oggi mi intirizzisce. Dice che a scuola aveva dieci in condotta. Ma sotto il banco, scommetto tirava pedate che lasciavano lividi blu.
Ci sarebbe da comporre un saggio su Giulio Andreotti. Un saggio affascinante e inquietante perché tutto ciò che egli è va ben oltre il caso di un individuo. Rappresenta un’Italia. L’Italia cattolica, democristiana, conservatrice, contro cui tiri pugni che feriscono le tue nocche e basta. L’Italia di Roma col suo Vaticano, il suo scetticismo, la sua saggezza, la sua capacità di sopravvivere, sempre, di cavarsela, sempre, sia che vengano i barbari sia che vengano i marziani: tanto li porti tutti in San Pietro, a pregare. Alla politica non giunse di proposito: ignorava d’averne il talento. Al potere non giunse attraverso la lotta e il rischio: non aveva combattuto i fascisti. All’una e all’altro approdò per destino, vi rimase per volontà. La straordinaria invidiabile volontà che hanno gli sgobboni capaci di svegliarsi col buio: per lavorare. Ci comanda da circa trent’anni, cioè da quando ne aveva venticinque. Continuerà a comandarci in un modo o nell’altro, fino al giorno in cui gli impartiranno l’estrema unzione. Intimo di De Gasperi, membro della Consulta, deputato alla Costituente, alla Camera senza interruzioni, sei volte sottosegretario alla presidenza, segretario del Consiglio dei ministri, capogruppo parlamentare, ministro degli Interni, del Tesoro, due volte ministro delle Finanze e dell’Industria, sette volte alla Difesa, tre volte capo del governo. Lo sanno anche i bambini insieme alle storie che costruiscono il suo personaggio e che gli procurano tonnellate di voti: dai ricchi, dai poveri, dai giovani, dai vecchi, dai colti, dagli analfabeti. Ama il gioco del calcio, adora le corse dei cavalli, gli piace Rischiatutto, colleziona campanelli, ignora i vizi, è marito devoto e felice di una professoressa di lettere che gli ha dato quattro figli belli, buoni, studiosi. Ha un debole per l’America, per le corse dei cavalli, per le bionde esangui e brillanti come la buonanima di Carole Lombard. Quest’ultime platonicamente, s’intende. Possiede grandi qualità di scrittore e, giustamente, i suoi libri non passano mai inosservati. Peccato che scriva solo di cose da cui si leva un profumo d’incenso.
Ecco l’intervista. Avvenne nel suo ufficio del centro studi, si svolse in tre fasi, durò cinque ore. E per cinque ore, io che fumo disperatamente, accesi un’unica sigaretta. Da ultimo. Non osai farlo prima. Non sopporta il fumo. Nessun genere di fumo, figuriamoci poi il fumo del fuoco che brucia il vecchio per costruire il nuovo. Lo combatte con una candela, il fumo e il nuovo, neanche fosse Satana.

Gli Articoli - Oriana Fallaci

ORIANA FALLACI. Lei è il primo democristiano che affronto, onorevole, e sono un po’ preoccupata perché... Ecco, mettiamola così, perché non vi ho mai capito, voi democristiani. Siete un mondo così nebuloso per me, così gelatinoso. Un mondo che non riesco ad afferrare.
GIULIO ANDREOTTI. Lei mi ricorda un discorso di Giannini alla Camera quando disse: «Io mi rendo conto che rappresentate una forza politica ma, se dovessi dire d’aver capito la DC, mentirei». Poi raccontò la storia della badessa che aveva due cardellini, e sperava di metterli insieme per fargli far coppia, ma i due cardellini non facevan mai coppia, e la povera badessa non riusciva a capire se ciò avvenisse perché i due cardellini erano dello stesso sesso. Peggio, non riusciva a capire a quale sesso appartenessero i due cardellini, se erano dello stesso sesso. E un giorno esclamò esasperata: «Alla faccia del somaro! Con lui si vede subito se è maschio o femmina!». Raccontò proprio questa storia, Giannini, e conteneva una buona dose di verità. Perché vede, all’inizio era abbastanza chiaro cosa significasse essere democristiani: una linea di sociologia cristiana su una indiscutibile piattaforma democratica. Insomma, la linea di don Sturzo. Ma oggi non si può dire che le posizioni della DC siano altrettanto chiare e, forse perché i problemi si aggrovigliano e cambiano, forse perché un partito non può viver di rendita... Che c’è? Desidera qualcosa?

No, no. È che sono abituata a fumare ma so che lei non sopporta chi ha questo vizio e...
Una volta un papa ciociaro, Leone XIII, offrì a un cardinale del tabacco da annusare. E il cardinale disse: «Grazie, non ho questo vizio». E il papa rispose: «Se fosse un vizio, lei lo avrebbe».

E chi sarebbe il cardinale? Io o lei?
Dobbiamo rielaborare un programma della DC, dicevo. Magari partendo dalla piattaforma iniziale e cioè dalla relazione Gonella del 1946 che fu per noi una specie di Magna Charta. Dobbiamo vedere quel che è stato fatto o non fatto, esaminare i problemi sopravvenuti, e poi, sulla nuova piattaforma, costruire una linea politica con un orientamento preciso. Altrimenti si finisce per lasciare l’iniziativa agli altri e subire i gol di contropiede. Un po’ il problema dei socialisti italiani: la mancanza di chiarezza rappresenta un motivo di grossa crisi anche per loro. Come loro, bisogna far marcia indietro sulle correnti, il frazionismo, gli agglomerati di carattere personale...

Senta, Andreotti: nell’attesa di scoprire il sesso degli angeli, anzi dei cardellini, anzi dei democristiani, io vorrei dipingere il suo personaggio. Così, a ruota libera. Per esempio, e a parte il fatto che lei sia un gran bacchettone, mi piacerebbe sapere...
Bacchettone? Io, quella del bacchettone, ecco: è vero che, quando posso, vado alla messa. È vero che, quando posso, mangio di magro il venerdì. Ma che c’entra? Ho sempre fatto a quel modo, sono nato in una famiglia che faceva a quel modo. Non ho mai avuto ripensamenti, d’accordo. Non ho mai avuto voglia di comportarmi diversamente. Però non capisco. Se un arabo non beve alcoolici e non mangia carne di maiale, tutti dicono: che bravo musulmano! Se un cattolico vive come me, tutti dicono: che bacchettone! Non religioso. Bacchettone.

E va bene: religioso. A parte il fatto che lei sia tanto religioso, mi piacerebbe sapere perché divenne democristiano.
Per via di De Gasperi, direi. Non ero ancora democristiano quando conobbi De Gasperi nella biblioteca della Santa Sede dov’ero andato per fare una ricerca sulla Marina vaticana e De Gasperi mi disse: «Ma lei non ha nulla di meglio da fare? ». Non ero niente, non mi ero mai posto il problema di una scelta politica. Avevo diciannove anni. Ma l’incontro con quell’uomo, De Gasperi, fu una specie di scintilla. Aveva un tale fascino, una tale capacità di convinzione. E la scintilla mi rivelò cose in cui credevo senza che mi rendessi conto di crederci, mi condusse quasi naturalmente alla scelta. Voglio dire: non mi sorse mai il dubbio di poter fare un’altra scelta: entrare nel partito socialista, ad esempio, o nel partito liberale. Per carità, mai avuto tentazioni del genere. Quanto ai comunisti, già allora ero certo della non conciliabilità tra comunismo e democrazia. C’è una lettera a Franco Rodano, 16 ottobre 1943, che lo dimostra. Rodano apparteneva al gruppo dei comunisti cattolici: gente di cui ero amico e a cui volevo bene. E il papa, Pio XII, era piuttosto allarmato da quei comunisti cattolici. Così, quando all’inizio del’43 furono arrestati, mi preoccupai subito che egli non li sconfessasse in un certo discorso che doveva tenere agli operai nel mese di giugno. Oltretutto ciò avrebbe portato acqua al mulino di chi lo accusava di collusione coi fascisti. E mi recai subito da lui ma non lo trovai e gli lasciai un bigliettino. «Santo Padre, ero venuto a farLe visita perché ci sono questi ragazzi in prigione e vorrei pregarLa di non toccare quel tema...».

Un momento. E lei andava dal papa così, come io vo dal tabaccaio? Gli lasciava bigliettini così, come io li lascio alla mia segretaria?
Ma certo. Ero presidente della FUCI, andavo spesso dal papa. I grandi rami dell’Azione cattolica avevano un’udienza fissa col papa ogni due mesi e, in quel periodo, lo vedevo ancora più spesso. Era molto gentile con me, mi trattava con grande calore. Naturalmente non dimenticavo mai che lui era il papa e io uno studente di ventiquattr’anni, però... Insomma gli lasciai questo bigliettino e lui mi ascoltò. Nel suo discorso agli operai non fece allusione al gruppo dei comunisti cattolici e, due settimane dopo, quando tornai in Vaticano per accompagnare alcuni nostri dirigenti che venivano ricevuti in udienza generale, mi disse: «Sei contento?». Nessuno capì cosa intendeva dire ma io capii e risposi: «Molto contento ». Ah, Pio XII era un sant’uomo. Era un grande papa, il più grande di tutti. Solo a stargli accanto, a guardarlo, intuivi che era diverso: più illuminato, più ispirato, più eletto...

C’è chi dice il contrario. E poi sembra che picchiasse i cardinali.
Io non lo so. Se lo faceva, significa che lo meritavano.

Già. Però mi sorprende che preferisca Pio XII a Giovanni XXIII.
Ecco, sì. Perché vede... insomma... il tipo di comunicativa che aveva Giovanni XXIII lo costringeva a scendere dal piedistallo. Una volta portai da lui i miei bambini e, per metterli a loro agio, dopo averli fatti accomodare, gli disse: «Vedete quest’armadio? Prima era tutto aperto e io ci ho messo gli sportelli perché mi sembrava una cappelliera». Giovanni creava subito un clima familiare, si comportava con molta semplicità. Però credo che fosse una semplicità molto intelligente, cioè molto finalizzata... Per esempio: ricordo il giorno in cui a Roma, al Tuscolano, quartiere popolare, si fece dare un microfono per parlare alla gente in piazza. Non era previsto che parlasse, e gli portarono il microfono e ne venne fuori un discorso così: «Vedete, Roma è una città difficile perché è una città dove i meriti non vengono riconosciuti. Oppure dove si regalano meriti che le persone non hanno. Per esempio di me si dice che sono umile perché non voglio andare in sedia gestatoria. Ma non è che io non ci vada perché sono umile: non ci vado perché sono grasso e, sulla sedia gestatoria, ho sempre l’impressione di cadere». La risata che scoppiò! Ce l’ho ancora negli orecchi. E poi disse: «Sentite, giovani. Io vi prego d’esser gentili. E d’esser gentili con le vecchie perché con le giovani lo siete anche troppo». Mi spiego?! Queste due cose dette così, da un papa. Dopo fece anche dieci minuti di predicuccia come la fa un parroco di cappa e spada, intendiamoci. Però prima, la gente, l’aveva fatta ridere.

Ha conosciuto bene anche lui?
Oh, sì! Benissimo. Per ragioni di famiglia. Da giovane egli era stato amico intimo di uno zio di mia moglie, cioè il fratello di mia suocera, che era sacerdote archeologo qui a Roma. Eran rimasti molto legati e, per esempio, quando mio zio si ammalò, papa Giovanni venne a trovarlo. Poi, quando mio zio morì, andò a veder la sua tomba e... insomma lo incontravo spesso.

Perbacco! Conosce bene anche Paolo VI?
Oh, sì, certo! Benissimo. Era assistente della nostra organizzazione universitaria cattolica. Però lui da qualche tempo lo vedo poco. L’ultima volta, si figuri, l’ho visto il 2 gennaio scorso in udienza generale, accompagnando un gruppo di ciociari per il settimo centenario di San Tommaso d’Aquino. In genere evito di recarmi da lui. Sa, per non confondere il sacro col profano. Per ragioni politiche, mi spiego? Direi che in Vaticano ci andavo di più prima. Del resto, anche allora ci andavo con parsimonia. Oh, i nostri contatti col Vaticano sono minori di quanto la gente creda. Voglio dire: nelle grandi cose... negli interessi comuni come il Concordato... si capisce che... Ma per il resto... Pensi, in tutto il periodo di Pio XII, De Gasperi è stato in udienza solo due volte. Le altre volte ci è andato per partecipare a qualche manifestazione. Ad esempio per L’Annonce faite à Marie di Claudel. No, col Vaticano non abbiamo tutti i rapporti che crede.

Ah! Su questo mi permetta d’essere incredula. Specialmente nel suo caso. Lo sanno anche i bambini che se in Italia v’è un uomo legato agli ambienti ecclesiastici, questi è Andreotti. Papi a parte.
Rapporti personali, sì. Legami, sì. Ma la maggior parte di questa gente io la conosco da tempi in cui pensavo a tutto fuorché alla politica. E, comunque, il mio non è un rapporto clericale. Tanto per dirne una: le scuole religiose son piene di figli di persone che si considerano nemici irriducibili della Chiesa e a me, invece, non è mai venuto in mente di mandare i miei figli a studiare in una scuola religiosa. Il fatto d’essere un cattolico convinto non mi condiziona, ecco. Semmai mi permette di rimuovere ostacoli. Non è un mistero che per tanti anni, qui a Roma, non si riuscisse a fare una moschea perché ciò turbava-il-carattere-sacro-della-città. Poi, durante i pochi mesi del mio governo, venne re Feisal. Quello delle aranciate. Voglio dire quello che non beve alcoolici senza che nessuno gli dia del bacchettone. E mi parlò della faccenda, e mi sembrò talmente giusta che subito ottenni il permesso di costruire una moschea pei musulmani.

Senta, Andreotti: ha mai pensato di farsi prete?
È difficile dirlo. Forse avrei potuto, non so. Se ciò può darle un’idea, da ragazzo passavo sempre le vacanze insieme a due coetanei e uno di questi, ora, è nunzio apostolico: l’altro è arcivescovo a Chieti. Però mi son sempre trovato benissimo nella mia locazione di marito e padre di famiglia, mi è piaciuta sempre di più e non ho mai avuto rimpianti. Forse perché sono stato fortunato e ho avuto un’ottima moglie, ragazzi normali e studiosi... Comunque non posso dire d’aver mancato alla vocazione di prete. La mia sola vocazione mancata è quella di medico. Oh, fare il medico mi sarebbe piaciuto moltissimo. Ma non potevo permettermi sei anni di medicina. Non ero ricco. Mio padre, un maestro elementare, era morto quando ero appena nato: appena iscritto all’università, dovetti mettermi a lavorare. Mi iscrissi a legge, mi laureai con l’idea di fare il penalista. Con enorme rimpianto, però. Sì, enorme. Infatti ce l’ho ancora. Pazienza, ormai è andata. Il bello è che nessuno dei miei figli ha voluto studiar medicina. Uno si è laureato in filosofia, uno si laurea adesso in ingegneria, il terzo in legge, e la quarta fa il secondo anno di archeologia.

Bè, se avesse fatto il medico, oggi non sarebbe uno degli uomini più potenti d’Italia. Non vorrà negare infatti che, nel suo caso, la politica è sinonimo di potere.
Io direi di no. Nel mio caso non assocerei affatto la parola politica con la parola potere perché guardi: io, quando scrivo o partecipo a una discussione, mi sento più entusiasta politicamente di quando ho responsabilità di potere formale e concreto. La cosa che mi ha dato più soddisfazione in questi venticinque anni è stata fare il capogruppo alla Camera. Certo, bisogna stabilire la definizione di potere. Per la stampa, ad esempio, il potere è quello che si vede nel suo aspetto esterno. Se uno è ministro delle farfalle e dice che oggi è venerdì, subito riportano le sue parole con ossequio: «Il ministro delle farfalle ha dichiarato che oggi è venerdì». Se invece elabora una teoria o esprime un’idea, ha difficoltà a metterla in circolazione. In altre parole, se per potere si intende avere un dato peso e far valere certe idee, indurre gli altri a tenerne conto, allora mi sento abbastanza uomo di potere. Anche se a volte mancano gli strumenti del comando...

A chi? A lei?!? Lei che ha tanta influenza sulla polizia, sull’esercito, perfino sulla magistratura? Lei che è stato amico di tre papi, che fa di mestiere il ministro e possiede i dossier di tutti i politici italiani?!?
Queste sono leggende assolute. Se vuole consultare il mio archivio, glielo faccio vedere. È a sua disposizione, veramente. Certo, quando uno è stato per anni ministro della Difesa, conosce molta gente. E io conosco molta gente: non v’è dubbio. Ma non ho mai ritenuto che il potere consistesse nel farsi i fascicoli per ricattare. Non ho cifrari segreti. Ho solo un diario che scrivo ogni sera che Dio manda in terra: mai meno di una cartellina. Se per caso una sera ho mal di testa e non scrivo, il giorno dopo riempio subito il vuoto. Così, se devo fare un articolo su qualcosa che accadde venti anni fa, consulto il mio diario e trovo cose che non troverei certo sui giornali. Certo, lo tengo in modo tale che nessuno può capirlo all’infuori di me e son cose che tengo solo per me. Quello nessuno deve leggerlo all’infuori di me. È proprio segreto, e spero che i miei figli lo brucino il giorno in cui morrò. Ma i miei fascicoli, creda, consistono solo in ritagli di giornale. Se vuole consultarne uno glielo do. Avanti, dica un nome. Lo dica.

Fanfani. Detto anche il padrone d’Italia. Non è il suo grande nemico, Fanfani? Non è forse vero che può ringraziare Andreotti per non essere diventato presidente della Repubblica?
No, non è vero. I voti del nostro gruppo li ebbe, salvo piccolissimi margini. La Democrazia cristiana i voti glieli dette. Ma da sola, si sa, la Democrazia cristiana non può eleggere il presidente della Repubblica e quel che mancò a Fanfani fu l’appoggio dell’opposizione. L’ostilità, che poi fu l’inizio della crisi del centro-sinistra, venne dai socialisti. Fecero il patto d’unità d’azione coi comunisti e... Avrebbero appoggiato Moro ma Fanfani non vollero sostenerlo in maniera assoluta. Quanto a definirlo padrone d’Italia, non so se sia un complimento: visto che le cose vanno come vanno... Fanfani è il segretario del partito più grande d’Italia ma da qui a definirlo come dice lei... Soprattutto in una fase di anarchia polverizzata come quella che stiamo vivendo... Ogni tanto i giornali gli attribuiscono ora un indirizzo e ora un altro ma io non ho motivo di credere che...

Insomma, siete o non siete nemici?
Io, guardi, credo che le possibilità di coagulo in seno alla Democrazia cristiana siano molto complesse perché ognuno ha le sue vedute, le sue grandi o piccole congreghe, i suoi interessi anche legittimi... Non parlo soltanto di ambizioni ingiuste o smodate... Fanfani oggi si trova in una posizione abbastanza favorevole rispetto agli altri perché ha una decina d’anni più di noi e ciò gli consente programmazioni che in fondo non disturbano nessuno... Inoltre ha dimostrato grandissime doti di recupero, una grossa volitività... Sotto questo aspetto rappresenta veramente un elemento di forza e... sarebbe assurdo non valorizzare i punti di forza per far prevalere altre considerazioni. Cosa vuol che le dica? Ho lavorato alcune volte con Fanfani però mai molto e mai a lungo... sicché non posso affermare d’aver avuto troppe occasioni per collaborare con lui e... Specie in attività di partito non ho esperienze di questo genere... Guardi, a me la situazione odierna appare tale che mi importa solo rimettere il carro sulla pista. Che ce lo rimetta l’uno o l’altro, per me è secondario. Chiunque può dare una mano è benvenuto.

Non mi riesce farla arrabbiare. Ma lei è sempre così controllato, così imperturbabile, così marmoreo?
Sì perché non vale la pena dar soddisfazione a chi ti fa arrabbiare. A che serve fare il cerino che s’accende e salta su? Del resto la gente che alza la voce e addirittura dice brutte parole mi dà un tale fastidio! Secondo me, è indice di scarse convinzioni. Se uno è convinto di qualcosa non ha mica bisogno di battere i pugni sul tavolo, sudare, eccitarsi! Sono ridicoli quelli che si arrabbiano e magari offendono. Poi devono far mille storie per scusarsi, eccedono nell’altro senso, si umiliano... In Italia c’è una tradizione di polemica clamorosa, gridata. Ma io sono romano e preferisco non drammatizzare oltre il necessario: esser romano aiuta molto a ridimensionare i problemi ed è un vero peccato che Roma non sia quasi mai riuscita ad essere governata da romani. Se pensa che prima di me non c’era mai stato un presidente del Consiglio romano, che erano stati sempre sudisti o nordisti... Il che include i toscani perché per noi la Toscana è già nord... Comunque guardi: anche quando vado alle partite di calcio, che mi divertono tanto, io resto calmo. E così quando vado alle corse dei cavalli. Sì, le corse dei cavalli mi piacciono ancora di più. Il movimento delle persone, il gioco dei colori, la suspense, la scommessa... Che vinca o che perda, nessuno si accorge se sono eccitato o nervoso. A parte il fatto che vinco quasi sempre perché son fortunato. Gioco poco, scommetto poco, ma in genere vinco.

Parla dei cavalli o della politica?
Non che i cavalli siano la mia sola evasione. Io mi diverto anche al cinematografo, o a guardar Rischiatutto, o a scrivere libri. Scrivere mi scarica, mi disintossica, mi fa dimenticare i decreti legge e gli ordini del giorno. Comunque tutti questi piaceri hanno un denominatore comune: calmarmi e aiutarmi a rinsaldar l’equilibrio. Sa, a me piace molto stare con gente che non si occupa di politica. Le racconto una cosa. Io per tanti anni ho fatto la cura a Montecatini. La prima volta che ci andai ero sottosegretario alla presidenza e il direttore delle terme venne a prendermi dicendo: «La accompagno allo stabilimento per mostrarle dove mettiamo i deputati e i senatori». E io risposi: «Bravo, mi ci porti subito, me lo indichi con grande esattezza, così io vado in un altro stabilimento». E così feci. Non per evitare i miei colleghi ma per non alimentare una specie di congregazione. La politica è una cosa che arrugginisce e guai a restarne anchilosati: si finisce per non vedere più nulla al di fuori di quella e con l’essere pessimi interpreti di chi ci elegge.

È questa la sua definizione della politica?
Io... guardi... io darei molto per definirla come gliel’hanno definita i miei colleghi: la politica è cultura, è morale, è missione, è storia dell’arte eccetera. Ma non ci riesco. D’altronde è come se chiedesse a un pesciolino di definire l’acqua in cui sta. Un pesce non sa definire l’acqua in cui sta, sa solo che la sua vita è quella. Le ho già detto, credo, che se m’avessero vaticinato la carriera politica quand’ero al liceo, io mi sarei messo a ridere. E, ancora oggi, essa non mi ha schematizzato. Infatti non appartengo al genere di coloro che si perdono in astrazioni e ad esempio dicono «il lavoratore non vuole la proprietà della casa, vuole il diritto di superficie ». Cosa significa? Perché parlano così? Hanno forse paura di non sembrare colti? Oppure hanno idee così poco chiare che non sanno esprimersi? Spesso sono quelli che dicono noi-che-siamo-vicini-ai-lavoratori: espressione stupenda perché sono sempre vicini e non lavorano mai. Oh, ha ragione mia madre quando afferma che, a sentirli parlare alla televisione, non si capisce nemmeno la metà di ciò che dicono. A me il vocabolario politico dà una noia mortale. D’accordo: la teoria deve esistere sennò si lavora sulla sabbia, però bisogna tener conto della gente che non trova il sale e lo zucchero e non vuole essere aggredita quando va a riscuotere la pensione... che c’è? Desidera qualcosa?

No, no. Cercavo automaticamente una sigaretta senza ricordare la storia di Leone XIII e del cardinale.
Mah! Se vuole proprio fumare, fumi. Guardi, accendo la candela. Vede, ho una candela apposta, speciale. Depura l’aria e mi evita il mal di testa. Non è ch’io non sopporti chi fuma: non sopporto il fumo. Alimenta il mio mal di testa e io soffro di mal di testa feroci, che mi mettono fuorigioco per tre o quattro ore. Non ho mai capito da cosa vengano. Forse, da un’eredità strutturale. Ne soffriva mio padre, e anche mia madre. O forse sono di natura reumatica. Però si manifestano anche quando sono stanco, quando mi sento teso, quando prendo umidità. Ma se proprio vuol fumare, fumi.

Dopo quel che mi ha detto? No, no. Continui, la prego.
Si parlava della politica vista come concretezza. Ebbene, da noi c’è sempre stato un disprezzo per chi dà peso alle cose di ordinaria amministrazione ma una delle cose che mi hanno soddisfatto di più nella mia vita è successa proprio in tema di ordinaria amministrazione, quand’ero ministro delle Finanze. C’era un enorme contrabbando di petrolio e io, invece di piagnucolare, feci una commissione.  Poi chiamai un comandante delle guardie di Finanza e gli dissi: «Voglio un giovane capace, sveglio». E lui mi dette un capitano che ora è colonnello. Il capitano si fece assumere come operaio in una raffineria e gli ci vollero appena sei mesi per scoprire la verità. Intorno a ogni raffineria c’è una grande apparecchiatura per portare l’acqua in caso di incendio. E loro, invece di portare dentro l’acqua, portavano fuori il petrolio. A un chilometro fuori del cancello non c’era più la Finanza, non c’era più controllo, così potevano caricare il petrolio sulle autocisterne e via. Feci un decreto legge con cui stabilivo che nessuno può portare la benzina su un’autocisterna se non ha un pezzo di carta che dica dove l’ha caricata e dove la scarica e... sa che quell’anno incassammo ventotto miliardi in più di imposta? Ah, se perdessimo meno tempo a farci lotta nei congressi, nei precongressi, nelle sezioni, nelle correnti, e ci occupassimo di più delle cose essenziali!

Scusi, Andreotti: ma se lei capisce queste cose, come mai ha combinato tanti guai col suo governo? Il crollo della lira, l’aumento dei prezzi...
A me sembra molto ingiusto dire quello che lei dice. Un governo è sempre figlio del governo che lo precede, padre del governo che lo segue, e il mio governo nacque perché era fallito il centro-sinistra. Era una vita quasi impossibile: avevamo margini così piccoli. Al Senato, per esempio, bisognava rifare i conti ogni giorno e questo ostacolava anche un minimo di programmazione. Dentro il governo di coalizione nei primi sei mesi, ci fu una certa compattezza: ma in gennaio una parte notevole dei ministri si mise a pensare più al futuro che al presente. E questo ci indebolì. Però certe decisioni furono prese coi piedi per terra: quelle sul doppio corso della lira, quelle per non far uscire nemmeno un grammo d’oro... Non è assolutamente vero che io sia il responsabile del crollo della lira. Al contrario, la lira sarebbe crollata se il mio governo non avesse preso certe decisioni. Non dimentichiamo i problemi internazionali: da parte di un paese produttore di petrolio subimmo speculazioni che, in un solo giorno, influirono sul prezzo della lira per un ammontare di duecento miliardi di lire. Se avessimo accettato la norma comunitaria per cui le transazioni valutarie fra i vari paesi della CEE devono esser pagate metà in oro e metà in moneta europea, entro un mese non avremmo più avuto né un grammo d’oro né un dollaro. E che se ne sarebbe fatta, l’Europa, di un’Italia distrutta finanziariamente?

Son portata a darle ragione ma questo governo dice che non fa che riparare ai guasti del governo Andreotti...
Mi sembra un discorso molto presuntuoso da parte loro. E gli rispondo così. Quand’ero bambino passavo l’estate in una casa di campagna dove le tubature dell’acqua versavano giorno e notte. E non veniva mai l’idraulico sebbene avere un idraulico, allora, non fosse difficile come lo è oggi. E si stava sempre con queste gocce d’acqua per terra. Poi, un giorno, arrivò l’idraulico. E ci fu gran festa, si levarono esclamazioni di gratitudine e gioia. E l’idraulico si mise al lavoro, circondato dalla nostra gratitudine e gioia, e... sfasciò tutto. Allagò la casa. Dunque non vorrei che gli attuali restauratori combinassero ciò che combinò quell’idraulico. Oh, non esistono soluzioni di centro-sinistra o di centro-destra o di centro. Esistono soluzioni valide e basta. Oggigiorno, tre quarti dei problemi hanno dimensioni così internazionali che non si rimedia alle gocce per terra con una martellata. Certo, se si va avanti così, se non si aumenta la produttività, se non si ottiene più valuta stimolando ad esempio il turismo...

Come? Coi cinema e i teatri che chiudono a mezzanotte, coi ristoranti che ti cacciano prima delle undici, con le domeniche senza automobile, col razionamento della benzina?
Io non voglio fare il Pierino della situazione ma, in questo, do ragione a lei. Non è certo bloccando le automobili la domenica che si risolve il problema. Nella percentuale globale della consumazione del greggio, ciò che si consuma per circolare in automobile raggiunge appena il 15 per cento. Ma per circolare sette giorni su sette, non la domenica e basta.

Oppure si potrebbe stimolare il turismo con un bollettino plurilingue sui nostri scandali, magari sostituendo l’attrazione del latin lover con quella del politico corrotto.
Forse non è ancora sera e bisogna aspettare la sera per arrivare a giudizi troppo catastrofici. Non vorrei apparire come l’eterno mediatore ma certe cose finiscono spesso con l’avere una funzione positiva e riequilibrare ciò che è storto. Insomma, potrebbe anche darsi che questo terremoto riassestasse molte faccende. Il mio timore è che serva soltanto alle speculazioni di parte: finché non c’è un processo e un verdetto e un appello e una sentenza definitiva non si può dire che una persona abbia violato la legge. No, non è giusto che nello spazio di una settimana un uomo si trovi già giudicato dal clamore di un’accusa. Perché dopo, anche se viene assolto con formula piena, la sua onorabilità è compromessa. E così quella del sistema. Noi abbiamo avuto casi formidabili di procedimenti contro personaggi politici che in sede d’appello, e perfino d’istruttoria, si sono risolti con tante scuse. Il fatto è che ci vuole un maggior rispetto del segreto istruttorio: in Italia, invece, il segreto istruttorio è una beffa. Ognuno dà conferenze stampa: dal questore al magistrato. E poi, magari, si dà la colpa al giornalista: ma-lei-come-fa-a-scrivere-questo. E gliel’ha detto il questore o il magistrato. Santa pace! In Inghilterra, se chiama assassino un assassino che è reo confesso ma non è stato ancora giudicato, egli può darle querela e chiederle i danni. Da noi invece...

D’accordo. S’è visto con Valpreda. «Ecco l’assassino» scrissero sulla copertina di un settimanale che si presenta come progressista. Ma io...
Lei sa che durante il mio governo uno degli atti che furono accusati di debolezza fu proprio la legge che consentì a Valpreda d’essere scarcerato? E quando alcuni vennero a dirmi «allora tu sei per Valpreda», risposi: «Io non so se Valpreda sia responsabile o no. Non spetta a me saperlo e si vedrà al processo. Ma se tuo figlio fosse in carcere con l’incertezza di un’imputazione, saresti contento se restasse lì due o tre anni ad aspettare che i giudici si mettano d’accordo su chi deve giudicarlo?». Mah! Forse deriva da un tipo di educazione, anzi di maleducazione. Forse ci manca una cultura basata sul rispetto della gente. Comunque sia, il nostro è un sistema che incita al linciaggio. E non tanto al linciaggio fisico quanto al linciaggio morale. Quello che c’è stato anche nel caso di Valpreda. Dico «anche» perché, quando lo definivano «un ballerino», a me veniva in mente il caso Piccioni. L’affare Montesi. Ricorda il giudice Sepe? Un giorno chiesi a Sepe: «Scusi, ma quali prove esistono che Piccioni abbia conosciuto la Montesi?». E Sepe: «Ma lei conosce Piero Piccioni?! Un compositore di jazz! L’amante di un’attrice!». Sicché mi seccai e risposi: «Scusi eccellenza, ma allora se si chiamasse Fanfani e Bertarelli come la ditta che vende corone da morto in piazza dell’Indipendenza, per lei sarebbe automaticamente una persona insospettabile!». V’è in Italia una brutta abitudine: prima farsi una convinzione e poi cercarne la prova. Il che è un capovolgimento del concetto di giustizia. Siamo tutti un po’ Sepe che si credeva l’inviato di Dio per pulire le stalle di Augia. Sepe!... Quando diventai ministro delle Finanze mi scrisse una lettera: voleva diventare il mio capufficio legislativo!

Sì, sì, sì. Verità sacrosante. Ma ciò non cambia l’indiscutibile vergogna che esista una gran corruzione in Italia. Lei ha sviato il discorso. Lo scandalo esiste ed anche i partiti ne sono rimasti coinvolti.
Ho detto che non è ancora sera. Per esempio, dei comunisti non s’è parlato ancora ma anche loro come vivono finanziariamente? Che ricevano aiuti dall’estero non è una malignità: è un fatto. E tra i personaggi che potrebbe interpellare c’è Eugenio Reale che è stato loro amministratore. Forse qualcosina potrebbe dirgliela. Via, scopriamo l’America a dire che ogni partito riceve aiuti esterni! O si arriva davvero al finanziamento statale... Ma è il caso di crederci al finanziamento statale? De Gasperi, ad esempio, non ci credeva. Diceva che l’opinione pubblica non lo avrebbe accettato o vi avrebbe reagito con grande disagio: «Non suona bene dare i soldi dello Stato ai partiti». Forse, se si potesse convincerli davvero a rendere pubblico il loro bilancio e a non avere segreti sulle entrate e sulle spese... Ma i partiti non rivelano mai i loro bilanci. Nemmeno agli iscritti. Io faccio parte della direzione della DC e, in trent’anni, non ho mai visto un bilancio. Negli altri partiti credo che avvenga lo stesso. Nel 1945 e ’46 ai congressi c’era la relazione del segretario amministrativo ma ora non c’è più nemmeno quella.

Andreotti, poco fa lei m’ha detto che questo terremoto potrebbe assestare le cose. Però dovrebbe saperlo che i terremoti, in Italia, non assestano nulla perché, dopo il fracasso iniziale, non se ne parla più.
Forse perché si mette troppa roba al fuoco in una volta sola. Nell’enorme calderone che ne consegue, si perdono di vista le cose essenziali. Vede, ogni governo parte con un programma che non basterebbero quindici anni per attuarlo. Non si fa più come Nitti che faceva un governo per nazionalizzare le assicurazioni sulla vita e basta. Era un programma limitato, certo, ma era anche un programma chiaro e consentiva di controllare i risultati. Non si fa più come De Gasperi che buttava sul tappeto la riforma agraria, ne tirava fuori una legge e l’applicava: che poi piacesse o no. Oppure come Vanoni che fece la riforma tributaria, e la gente brontolò, però quando si vide in mano il modulo Vanoni concluse che in bene o in male egli aveva fatto qualcosa. Oggi c’è un dialogo astratto tra i partiti, io-sono-più-avanzato-di-te, no-sono-io-più-avanzato- di-te, io-son-più-bello-di-te, tu-sei-più-brutto-di-me... non in senso fisico, s’intende, giacché in quel senso resteremmo tutti buscherati... Comunque non si parla più delle cose pratiche. I governi non hanno il tempo di fare nulla perché, quando un governo nasce, non si sa mai se il giorno dopo ci sarà. Prenda l’intercettazione telefonica...

Ha il telefono controllato anche lei?!
Non lo so. Spero di no. Ma non lo so mica. Perché, ha mai visto la copertina dell’elenco telefonico di Roma 1972-73? Eccola, guardi. Proprio in copertina: «Detective privato Tony Ponzi. Premio Maschera d’oro. Opera personalmente per controlli, indagini industriali e private, anche con apparecchiature elettroniche miniaturizzate. Ovunque». D’altronde, se uno fa il quarantotto perché il suo telefono è controllato, la malignità comune può dire: sarà-che-non-voglia-farsi-sentire-perché-ha-qualcosa-da-nascondere?

Bel discorso. Ma lei, quand’era al governo, cosa fece contro questo schifo del telefono controllato?
Io, come stavo per dirle, denunciai il problema e incaricai i miei ministri di tirar fuori un progetto. Il progetto fu preparato ma poi dovemmo andarcene e... si torna al ragionamento di prima: come si fa a fare le cose se non ci danno il tempo? Bisognerebbe dire a un governo, qualsiasi governo: «Tu rimani in carica due anni. Se alla fine dei due anni non hai realizzato nemmeno due o tre cose fondamentali, se non ci sei riuscito, ti mando a spasso e ti interdico. Per dieci anni non potrai più partecipare a un governo». Invece accade quello che accade, senza contare che il capo del governo deve passar la giornata a occuparsi del prezzo del miglio o della conferenza di Copenaghen. E la giornata dura soltanto ventiquattr’ore.

Impiegatele meglio le vostre ventiquattr’ore. Non occupatevi del prezzo del miglio. Non ci andate alla conferenza di Copenaghen. Ben per questo non funziona nulla in Italia e rischiamo di assistere al suicidio della libertà.
Forse lei esagera. Non voglio negare che vi sia qualche fondamento in ciò che lei afferma un po’ brutalmente ma non è giusto dire che in Italia non funziona nulla. Anzitutto, se si pretende di far funzionare tutto, si chiede una ricetta che non esiste. E poi non potrebbe darsi che si vedesse solo ciò che non funziona ignorando ciò che funziona? Qualcosa funziona. C’è un numero notevole di persone che fanno il proprio dovere, che lavorano regolarmente, che studiano regolarmente e si laureano bene. Bisogna stare attenti a non distruggere tutto. Può condurre non dico ai colonnelli ma a un Giannini, cioè a uno stato di scontentezza perenne che non rafforza la democrazia. Non possiamo dire di trovarci all’anno zero. Non voglio ricorrere a statistiche imbonitorie ma sant’Iddio! Per me è già molto che in venti anni la popolazione scolastica sia salita da un milione a sei milioni e mezzo, quella universitaria da duecentomila a ottocentomila, e il livello di vita sia così migliorato, e si mangi bene, e... La democrazia è un sistema faticoso: pieno di lentezze, di trabocchetti. Richiede pazienza e anche errori.

È vero. Ma l’autocompiacimento è il sale delle dittature, la critica è il sale della democrazia. E le chiedo come uomo di potere, come classe politica dirigente, può affermare d’aver la coscienza tranquilla?
Ecco, la coscienza tranquilla uno non può averla mai perché pensa sempre che avrebbe potuto far meglio e di più. E poi il gioco politico non è mai un gioco individuale: come al foot-ball, si lavora in squadra. Se ognuno di noi dovesse rispondere a se stesso e basta...

Non ho detto Giulio Andreotti e basta. Ho detto Giulio Andreotti come rappresentante del potere e della classe politica dirigente.
Allora mi lasci dir questo: come classe politica, noi siamo partiti da una grande inesperienza. Se vent’anni fa avessimo potuto impostare la ricostruzione dell’Italia con l’esperienza che abbiamo oggi, avremmo fatto meno errori e il triplo di cose buone. Suvvia, non sapevamo nemmeno parlare in pubblico! Eravamo così impreparati! A me, per vedere la differenza tra ieri e oggi, basta guardare i giovani delle forze armate: sanno perfino parlare in pubblico, quelli. Dunque, se giudica tutto dalle piccole cose, dalle nostre miseriole, dai nostri sbagli quotidiani, ha ragione a dire che siamo con le gomme a terra. Ma, se guarda in prospettiva storica, deve concludere che non ce la caviamo male. Io sono ottimista.

Beato lei.
Sì perché non guardo mai le cose con uno stato d’animo eccitato. Non serve ed è pericoloso. Ed anche se sono preoccupato mantengo un certo distacco. Per esempio: nelle altre interviste lei ha discusso il fatto che gli italiani siano fondamentalmente anarchici. Lo sono. Ciascuno di noi è una piccola culla del diritto, ciascuno di noi rifiuta di stare al posto suo: i sindacati vogliono occuparsi del referendum, le regioni vogliono occuparsi del Vietnam... E, sebbene la Costituzione parli di diritti e di doveri, ognuno parla di diritti e mai di doveri. È considerato antidemocratico parlare di doveri. Siamo bambini in quel senso. Però... siamo anarchici e andiamo a votare più che in qualsiasi altro paese. Siamo anarchici e, quando ci viene chiesto di non usare l’automobile, andiamo a piedi. Non ci piace l’ordine e ci scandalizziamo per il disordine... Insomma non ritengo, come lei, che la nostra libertà sia in pericolo. Oh, lo so che rischio di sembrare melenso ma prenda l’esempio di Italia Nostra. Sembrava che tutti si sentissero autorizzati a deturpare il paesaggio come volevano e invece Italia Nostra ha riequilibrato la situazione.

Andreotti, io parlo di libertà e lei mi parla di paesaggio. Se avvenisse un golpe in Italia...
Io non credo a queste cose complicate. Certe cose presuppongono un letargo e in Italia non c’è affatto letargo. C’è una grande vitalità delle istituzioni.

Se lo dice lei, mi sento più tranquilla. Perché sa qual è la voce che corre? È che se avvenisse un golpe in Italia, il primo a saperlo sarebbe lei.
Io penso di no. Io penso che sarei tra i primi ad essere arrestato. E, comunque, le ripeto che al golpe non ci credo. La mia paura è un’altra: è che la gente perda la sensazione che questo sistema, il sistema democratico, garantisce una vita tranquilla e normale. La posta che non arriva, la criminalità che aumenta... Al farmacista vicino a casa mia, stanotte, hanno svaligiato il negozio e certo lui non è contento dello status quo. Comunque non credo ch’io sarei il primo a sapere una cosa brutta come quella che dice lei.

Anche questo mi solleva. Senta, Andreotti: lei lo sa, vero, che la definiscono uomo di destra. Rifiuta o no tale definizione?
Direi che la rifiuto perché la qualifica uomo-di-destra in Italia non viene data per collocare una persona ma per metterle il piombo alla sella, per crearle ostacoli. Il nominalismo è un’altra malattia degli italiani e v’è una tale ipocrisia nelle parole destra e sinistra. Preferisco che mi chiamino conservatore. In molti sensi, e sia pure in termini di preoccupazione democratica, sono un conservatore. Infatti mi accorgo che, quando si vogliono cambiare le cose, si finisce quasi sempre per cambiarle in peggio. Quindi è meglio tenersele così come sono. Del resto credo di averle già detto che non ho mai avuto tentazioni socialiste. Neanche in gioventù. Uhm... Non si capisce bene cosa uno intenda per socialismo. Le riforme? Se sono buone, piacciono anche a me ma spesso sono una chiacchiera e basta. Ottengono solo di peggiorare le cose, come la riforma ospedaliera, o di lasciare il tempo che trovano. Io posso anche fare una riforma perché lei diventi regina d’Inghilterra. Ma poi non lo diventa.

Non voglio diventare regina d’Inghilterra, non mi piace Filippo. E io alludevo ad altre cose, Andreotti. Al suo abbraccio col maresciallo Graziani, per esempio.
Gliela racconto subito quella storia, subito. C’era stato un convegno del MSI ad Arcinazzo, e Graziani era presidente del MSI. Ciò mi aveva preoccupato perché in Ciociaria non v’era famiglia che non avesse ricevuto da Graziani un piccolo favore e non mi piaceva che Graziani raccogliesse voti. Così indissi una specie di controraduno democristiano e, appena giunsi, trovai il questore pallidissimo: «Tra la folla c’è il maresciallo Graziani!». Risposi che non me ne importava nulla e feci il mio comizio spiegando che la democrazia non si discuteva. Finito il comizio, si alzò un vocione: «Posso parlare?». Ed è lui. «Prego, parli pure. Siamo in democrazia », gli dico. E lui viene al microfono e dice: «Ah, io non m’intendo di politica ma devo ammettere che se si è fatto opera di rimboschimento su queste montagne, su queste vallate, lo si deve a De Gasperi». Roba da operetta. Infatti si fa avanti un vecchietto, un democristiano, e replica: «Marescià, allora perché dite che la DC è il nemico numero uno?». E Graziani: «Chi dice così è un coglione». E il vecchino: «Marescià! L’ha detto De Marsanich». E Graziani: «È un coglione anche De Marsanich». Tutto qui. L’abbraccio non ci fu in nessun senso: né fisico né morale. La storia di quell’abbraccio è la più grossa fandonia che abbia mai udito.

E poi alludevo all’accusa secondo cui, in diverse occasioni, lei avrebbe accettato i voti dei missini.
È un’altra fandonia. Cifre alla mano. Noi della DC facemmo l’azione contro Almirante proprio nel momento in cui ci opprimeva una scarsezza di voti. Per arrivare al suo processo, io personalmente mandai una lettera al mio gruppo parlamentare. No, non è vero che i missini mi abbiano dato i loro voti. I missini non avevano interesse, oltretutto, ad appoggiare il mio governo. Gli serviva più appoggiare il centro-sinistra per poi dire ve-lo-avevamo-detto-che-la- DC-pende-a-sinistra. Oh! Mi si accusa anche di esser stato tepido in quel dibattito televisivo con Almirante perché, al solito, non ho gridato e ho badato solo alla sostanza di ciò che dicevo. Del resto ciò che dicevo non era diretto ad Almirante ma a una parte dei nostri elettori che, non essendo fascisti o neofascisti, avevano votato per lui. Mi premeva recuperarli. Io, sa, ritengo che i voti ai missini non dipendano dalla loro capacità ma dalle nostre incapacità. A volte glieli offriamo su un piatto d’argento, come frutto dei nostri errori. Pensi a Napoli.

Andreotti, le rivolgo una domanda che ho rivolto anche a Malagodi: non rimpiange di non aver fatto, in gioventù, un antifascismo attivo?
Io sì. Certamente. Una delle radici anzi la radice di quel che s’è fatto bene in Italia nei primi dieci anni di democrazia consiste proprio nella spinta morale di coloro che fecero un antifascismo attivo. La battaglia del 1948 ad esempio non fu un rozzo scontro frontale: fu il recupero di una capacità di battersi democraticamente. E quella capacità ci venne anche dal CLN. Il CLN fu una gran cosa. Fu una scuola di democrazia.

Allora le chiedo un’altra cosa che chiedo spesso a chi non è fascista. Ma lei riesce a parlarci coi missini?
Guardi, quando uno sta venticinque anni in Parlamento e vede sempre le stesse persone, finisce col parlarci e magari bere insieme un caffè. E quando va alla partita di calcio nella tribuna dei deputati, come fa a negare un buongiorno? M’è capitato di parlare con Almirante, ovvio. Niente discorsi approfonditi ma... Del resto, parlare agli avversari non è una caratteristica di ogni parlamentare civile? Io parlo con chiunque. Senza repulsione, senza disagio. Scambiarsi idee o informazioni non significa mica tendersi trabocchetti o fare del proselitismo. È lo stesso pei comunisti. Io, quando si discuteva la legge sul divorzio, ho avuto incontri molto approfonditi coi comunisti. A parte il fatto che alcuni li conosco fin da ragazzo e di altri sono amico. Mario Melloni, ad esempio, resta uno dei miei amici più cari. Era direttore del «Popolo», era un democristiano. La crisi che s’è operata in lui non mi ha condotto davvero all’incomunicabilità. Vi sono comunisti con cui è piacevolissimo stare. Pensi a Pajetta. Pensi a Bufalini.

E Berlinguer?
Lui lo conosco poco. Appartiene a una generazione più giovane della mia. Conoscevo meglio suo padre che era del Partito d’Azione e poi socialista. Però so che è un giovane molto riservato, un buon padre di famiglia, e questo conta molto per me. Rappresenta un elemento di equilibrio. Guardi, il mio rapporto coi comunisti è abbastanza chiaro. Infatti rispetto moltissimo il patrimonio di sacrificio che hanno accumulato, la dedizione che dimostrano nel lavoro, il loro stesso metodo di lavoro. È vero che sono seri. In parlamento non li trovi mai impreparati, la loro presenza è più diligente della nostra, hanno gruppi di studio che funzionano bene, hanno fede... Come oppositori, inoltre, sono straordinari. E a me dà più soddisfazione un oppositore costante e preparato che un sostenitore il quale viene lì per darti il voto e basta. Però... Ecco: però sono convinto che il comunismo sia una dittatura. Quindi bisogna impedire in maniera assoluta che abbia successo. Suvvia, la dittatura del proletariato non è mica un accessorio, non è mica una partecipazione agli utili o alla gestione delle fabbriche! È una logica come, per la Chiesa, l’esistenza di Dio. E così come un papa non può dire che all’esistenza di Dio si crede nei mesi dispari e basta, non è sufficiente che un comunista creda alla dittatura del proletariato nei mesi dispari e basta. Mi spiego? Bisogna distinguere tra comunisti e comunismo. E questa distinzione io la faccio. Pajetta ad esempio ce lo vedo poco in una dittatura del proletariato. Penso che lo fucilerebbero subito. Ma non sarebbe mica una consolazione esser fucilati con lui.

Mi sembra di capire che lei non si presterebbe a favorire il compromesso storico, come invece sostengono alcuni.
Eh, no! Coi comunisti ci parlo ma non per fare il Kerenski. Poi guardi: secondo me, il compromesso storico è il frutto di una profonda confusione ideologica, culturale, programmatica, storica. E, all’atto pratico, risulterebbe la somma di due guai: il clericalismo e il collettivismo comunista. Molta gente dice boh, i comunisti esistono e sono molti e contano: quindi potrebbero mettere disciplina e ordinare al loro elettorato di comportarsi bene eccetera. Ebbene, mi sembra il caso di aprire un po’ gli occhi a chi dice così. Il nostro sistema è impostato su vari partiti, e tra questi conta in modo particolare il Partito socialista. Il compromesso storico significherebbe non solo la liquidazione dei vari partiti ma, in modo particolare, del Partito socialista. Il PSI ritiene, spesso, di poter parlare anche a nome delle masse comuniste ed afferma che la sua forza è superiore a quella rappresentata dai voti. Si arroga insomma funzioni di intermediario. Ma il giorno in cui i comunisti parlassero in proprio, non ci sarebbe più bisogno dell’intermediario. Il Partito comunista è portato per sua natura a risucchiare gli altri e persegue tale obiettivo coerentemente, non per calcolo subdolo o estemporaneo. Come ogni dittatura, del resto. All’inizio, le dittature si servono tatticamente di tutti, però non possono fare a meno di mirare a un punto dove esista solo il partito dominante. A me non sembra offensivo dire che la logica del comunismo è lo stalinismo. L’esperienza dei paesi comunisti non ci dimostra che, appena schiudono le porte, si tirano addosso un mucchio di guai e son costretti a fare marcia indietro? Mi fanno sorridere quelli che si scandalizzano per Solgenitsin. Non lo sapevano che in Russia non c’è libertà di pensiero e di espressione? No, non ci credo, a questo compromesso storico. Non mi piace.

Eppure non pochi democristiani ci credono.
Magari quelli che dicono siccome-il-papa-ha-mandato-via-Mindszenty vuol dire che-è-possibile-fare-la-repubblicaconciliare. Chi non è comunista e considera quell’opportunità, commette lo stesso errore che commisero i liberali e i popolari quando, nel 1922, si affiancarono al fascismo nell’illusione di poterlo condizionare. Durò pochi mesi quell’errore storico. Ma essi furono sufficienti a dimostrare che collaborare col dittatore è una illusione assurda. Il dittatore ti spreme e poi ti butta via. Guardi, forse tra cinquant’anni le cose andranno diversamente: però oggi stanno così e non mi sembra il caso che si faccia da cavie per formule tanto pericolose. Ecco le conclusioni cui giungo per il rispetto che ho verso i cattolici e, se mi è consentito, verso i comunisti. L’idea di Berlinguer è stata una mossa sbagliata. Suggestiva finché vuole per gli sprovveduti che dicono almeno-avremo-ordine-e-tranquillità: ma sbagliata. E sa perché? Perché a gente semplice non abboccherà.

Speriamo. Ma la gente semplice non conta.
Chi lo dice?

La gente semplice.
Nei momenti essenziali conta. Lei mi crede cinico ma in questo non sono cinico per niente. E dico: la garanzia maggiore che abbiamo nelle cose di fondo è proprio la gente semplice perché, senza saper teorizzare sulla libertà, la libertà se la difende sul serio. Io son convinto che una parte notevole dell’elettorato comunista difende un tipo di vita che nel sistema comunista non potrebbe avere.

Vedremo come la maneggerete al referendum per il divorzio, la gente semplice. Se la rispettate tanto, la gente semplice, perché non incominciate a chiederle scusa di presentarvi a quel referendum accanto ai missini?
Noi non ne facciamo una questione di partiti. Infatti non abbiamo chiesto di abrogare la legge Fortuna in Parlamento. Avremmo potuto, volendo, perché in Parlamento, dopo la caduta del PSIUP, la maggioranza divorzista non c’è più. La maggioranza, oggi, la raggiungeremmo noi insieme al MSI. Ma questa somma di voti avrebbe avuto un significato politico e così non abbiamo voluto.

Andreotti! Se dovessimo cambiare tutte le leggi ogni volta che cambia una legislatura, staremmo freschi. La legge sul divorzio esiste, non passò per un capriccio di Satana ma per una maggioranza democratica, e la Corte costituzionale l’ha giudicata valida due volte.
La Corte costituzionale ha detto che il divorzio non è contro il Concordato, ma la Corte costituzionale non può impedire l’abrogazione di una legge. Se la Camera vuole abrogare una legge, può farlo in qualsiasi momento. Secondo me, la legge sul divorzio è sbagliata per un mucchio di ragioni. Se avesse stabilito che il giudice può sospendere la procedura di divorzio quando da esso deriva un danno irreparabile pei figli o per uno dei coniugi... Se avesse fissato una posizione economica giusta per il coniuge divorziato anziché la storia degli alimenti che funziona così male... Insomma, se fosse stata una legge migliore, per noi sarebbe stato difficile farne una questione solo di principio. Ma, stando le cose come stanno, a me pare una questione di principio. A parte il fatto, s’intende, ch’io sono contro il divorzio in generale. E non solo come cattolico. Infatti, se è vero che il divorzio può sanare alcune cose, è anche vero che impallina l’istituto matrimoniale.

Senta, Andreotti: ma perché vuole imporre il suo credo cattolico a tutti? Finora non ha fatto che inneggiare alla libertà e ora vorrebbe togliere la libertà di divorziare a chi non la pensa come lei. Mi sembra una grossa incoerenza, anzi una grossa prepotenza. Se il divorzio non le piace, non lo usi! Non è mica obbligatorio, sa?
Vi sono momenti in cui vanno introdotte innovazioni legislative: va bene. Vi sono paesi civili che hanno sempre avuto il divorzio: va bene. In Italia non se n’è abusato: va bene. La legge può essere corretta: va bene. Conosco le contestazioni. Però dico: non era opportuno introdurre il divorzio in una fase di assestamento psicologico così difficile, mentre il paese subisce il permissivismo che ha invaso il mondo. Questo permissivismo aberrante. Secondo me era sbagliato anche il momento in cui è stato posto il problema. Guardi, non è che mi rifaccia a un dogma. Il mio timore è che il divorzio indebolisca il senso del matrimonio mentre si sta manifestando tanta discrasia sociale, spirituale... Dico: per tanti anni non abbiamo avuto il divorzio. Si poteva aspettare ancora un poco, no? Che urgenza c’era? Non era il momento giusto, no.

Ah! Non è un’argomentazione degna di lei, Andreotti. E quando viene il momento giusto per cambiare le cose?! Se stessimo ad aspettare il momento giusto, saremmo ancora nelle caverne a chiederci se è il caso di costruire la ruota!
Non si scherza col matrimonio. Non si può dire: divorzio, faccio un altro matrimonio, e poi un altro ancora. Non si deve.

E gli annullamenti della Sacra Rota, allora? Ma se la Chiesa cattolica annulla matrimoni da cui sono nati figli! Basta avere i soldi e un nome potente.
Secondo me, il cammino che dovrebbe fare la Chiesa è un cammino inverso. E cioè di un maggior rigore, di una minore permissività. Dovrebbe annullare meno matrimoni, la Chiesa.

Questo è proprio essere più papista del papa. Meno male che lei non ha fatto il prete e non è diventato papa. Meno male che un mucchio di democristiani la pensano come me e non come lei.
E tanta gente democristiana la pensa come me, non come lei.

Guardi che, se mi fa arrabbiare, io accendo la sigaretta.
E io accendo la candela.

D’accordo. Tanto il mal di testa le viene lo stesso.
No, no. Sono meno delicatino di quanto sembri. Sembro delicatino perché ho il torace stretto. Infatti, per via del torace stretto, non mi fecero fare l’allievo ufficiale. Pensi, da giovanotto non raggiungevo neanche il minimo di circonferenza toracica. Il maggiore che mi visitò disse: «Lei non durerà sei mesi». Eh! Eh! Quando diventai ministro della Difesa, cercai subito quel maggiore. Volevo prendermi il gusto di invitarlo a colazione per dimostrargli che ero vivo. Ma non fu possibile. Era morto lui.

Lo avrei scommesso.