San Cristoforo Martire in Licia
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m. 250 circa
San Cristoforo, martire in Licia nel 250, durante la persecuzione dell'imperatore Decio, fu uno dei «quattordici santi ausiliatori», colui che avrebbe portato sulle spalle un bambino, che poi si rivelò Gesù. Il testo più antico dei suoi Atti risale all'VIII secolo. In un'iscrizione del 452 si cita una basilica dedicata a Cristoforo in Bitinia. Cristoforo fu tra i santi più venerati nel Medioevo; il suo culto fu diffuso soprattutto in Austria, in Dalmazia e in Spagna. Chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente che in Occidente. (Avvenire)
Patronato: Pellegrini, Motoristi, Viaggiatori, Ferrovieri, Tranvieri, Automobilisti, S
Etimologia: Cristoforo = portatore di Cristo, dal greco
Emblema: Palma
Martirologio Romano: In Licia nell’odierna Turchia, san Cristoforo, martire.
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Un'altra testimonianza è del 536: tra i firmatari del concilio di Costantinopoli ci fu un certo Fotino del monastero di S. Cristoforo non meglio identificato. S. Gregorio Magno, infine, parla di un monastero in onore di questo martire a Taormina in Sicilia. Si tratta, è vero, di testimonianze sommarie, ma per sé sufficienti a dimostrare l'esistenza storica del martire orientale, ucciso, secondo il Geronimiano, nel 250, durante la persecuzione di Decio. Cristoforo fu uno dei santi più venerati nel Medioevo: chiese e monasteri si costruirono in suo onore sia in Oriente sia in Occidente; particolarmente, in Austria, in Dalmazia e in Spagna il suo culto fu diffusissimo. Nella Spagna, poi, si venerano molte sue reliquie. Cristoforo godeva speciale venerazione presso i pellegrini e proprio per questo sorsero in suo onore istituzioni e congregazioni aventi lo scopo di aiutare i viaggiatori che dovevano superare difficoltà naturali di vario genere. Questo intenso culto determinò il sorgere di una letteratura copiosa e straordinaria, caratterizzata da leggende e narrazioni favolose dove, indipendentemente dall'obbiettività storica, è degna di ammirazione la ricca fantasia dei compilatori. Si nota, tuttavia, come le leggende orientali differiscano, in parte, da quelle occidentali. Secondo i sinassari, Cristoforo era un guerriero appartenente a una rozza tribu di antropofagi; si chiamava Reprobo e nell'aspetto "dalla testa di cane" (come lo definiscono gli Atti) dimostrava vigoria e forza. Il particolare della cinocefalia ha indotto qualche critico moderno a vedere nelle leggende l'influsso di elementi della religione egiziana, presi specialmente dal mito del dio Anubis, o anche di Ermete ed Eracle. Narra ancora la leggenda che, entrato nell'esercito imperiale, Cristoforo si convertì al Cristianesimo e iniziò con successo fra i suoi commilitoni un'intensa propaganda. Denunziato, fu condotto davanti al giudice che lo sottopose a svariati supplizi. Due donne, Niceta e Aquilina, incaricate di corromperlo, furono da lui convertite e trasformate in apostole (nel Martirologio Romano sono menzionate come martiri al 24 luglio). Cristoforo prima fu battuto con verghe, in seguito colpito con frecce, poi gettato nel fuoco e, infine, decapitato. Jacopo da Varagine (sec. XIII), con la sua Legenda Aurea, fu l'autore che in Occidente rese celebre Cristoforo. Secondo questo testo, egli era un giovane gigante che si era proposto di servire il signore più potente. Per questo fu successivamente al servizio di un re, di un imperatore, poi del demonio, dal quale apprese che Cristo era il più forte di tutti: di qui nacque il desiderio della conversione. Da un pio eremita fu istruito sui precetti della carità: volendo esercitarsi in tale virtù e prepararsi al battesimo, scelse un'abitazione nelle vicinanze di un fiume, con lo scopo di aiutare i viaggiatori a passare da una riva all'altra. Una notte fu svegliato da un grazioso fanciullo che lo pregò di traghettarlo; il santo se lo caricò sulle spalle, ma più s'inoltrava nell'acqua, più il peso del fanciullo aumentava e a stento, aiutandosi col grosso e lungo bastone, riuscì a guadagnare l'altra riva. Qui il bambino si rivelò come Cristo e gli profetizzò il martirio a breve scadenza. Dopo aver ricevuto il battesimo, Cristoforo si recò in Licia a predicare e qui subì il martirio. Come questa leggenda sia sorta è ancora oggi un problema insoluto. Si sono formulate alcune ipotesi: chi ritiene che il nome Cristoforo (= portatore di Cristo) abbia potuto suggerire la leggenda; chi suppone che l'iconografia (Cristoforo con Gesù sulle spalle) sia anteriore alla narrazione di Jacopo da Varagine, per cui la rappresentazione iconografica avrebbe ispirato il motivo leggendario. La festa di Cristoforo in Occidente è celebrata il 25 luglio, in Oriente il 9 maggio. Per quanto riguarda il folklore, è da notare come esso non sia diminuito nei tempi recenti, sebbene abbia subito, ovviamente, degli adattamenti. Se nel Medioevo Cristoforo era venerato come protettore dei viandanti e dei pellegrini prima di intraprendere itinerari difficili e pericolosi, oggi il santo è divenuto il protettore degli automobilisti, che lo invocano contro gli incidenti e le disgrazie stradali. Varie altre categorie si affidano alla sua tutela: i portalettere, gli atleti, i facchini, gli scaricatori e, in genere, coloro che esercitano un lavoro pesante ed esposto a vari rischi. La leggenda del bastone fiorito, dopo il trasporto di Gesù, ha contribuito a dichiararlo protettore dei fruttivendoli. E' anche uno dei quattordici santi ausiliatori, di quei santi, cioè, invocati in occasione di gravi calamità naturali. Questa devozione sorse nel sec. XII e si sviluppò nel sec. XIV. Il patrocinio di Cristoforo era specialmente invocato contro la peste. La leggenda, inoltre, ispirò in Italia e in Francia poemetti e sacre rappresentazioni. Autore: Gian Domenico Gordini
AMDG et DVM
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"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
giovedì 25 luglio 2019
SAN CRISTOFORO
mercoledì 24 luglio 2019
Il Magistero di Benedetto XVI: "La morte prematura di una persona cara è un invit...
Il Magistero di Benedetto XVI: "La morte prematura di una persona cara è un invit...: CAPPELLA PAPALE IN SUFFRAGIO DEI CARDINALI E DEI VESCOVI DEFUNTI NEL CORSO DELL’ANNO, 03.11.2008 Alle 11.30 di questa mattina, all’Altare...
LA MELATONINA
LA MELATONINA
La melatonina è prodotta dalla ghiandola pineale
La melatonina è una molecola naturale prodotta dalla ghiandola pineale (epifisi), allocata nell’encefalo, a forma di pigna (di 5/9 millimetri di altezza). La melatonina è una molecola antichissima (la sua evoluzione risale a 3 miliardi di anni fa), è presente in qualsiasi organismo (animale o vegetale) e regola il ritmo circadiano (l’alternarsi del giorno e della notte induce variazioni dei parametri vitali).
Approfondimento tecnico.
La ghiandola pineale è sincronizzata con i ritmi circadiani, modificandosi in base alle variazioni di luminosità del giorno e della notte o al cambio di stagione. Il precursore della melatonina è il triptofano (un aminoacido essenziale, d’assumere per via alimentare), trasformato in serotonina per opera dell’enzima idrossindol-o-metil-transferasi (Homt), presente nella ghiandola pineale.
La secrezione di melatonina inizia con l’oscurità (livello iniziale da 5 picogrammi/ml), aumentando da 20 a 30 picogrammi/ml fino alle ore 20; superando i 30 picogrammi/ml nella notte. Il picco di melatonina di 60/70 picogrammi/ml è raggiunto dalle 2 alle 3 del mattino. I livelli di melatonina tornano poi a scendere fino alle 7 del mattino.
La funzione principale della melatonina è quella di regolare la presenza degli altri ormoni (cortisolo, Gh, testosterone, etc.) rendendo possibile il fenomeno della riparazione tessutale del nostro corpo.
La melatonina accompagna il nostro sonno nella fase Rem (quello profondo), inibisce il cortisolo e stimola la produzione dell’ormone del Gh e del testosterone. Senza l'azione della melatonina il nostro corpo perderebbe la sua funzione di riparazione, compresa quella cellullare e del Dna che subisce 10.000 insulti al giorno, da parte dei radicali liberi.
Tali complessi meccanismi sono stati oggetto di studio da parte di molti ricercatori, tra i quali ricordiamo il Dottor Pierpaoli che esamina gli effetti della melatonina da oltre 30 anni.
La melatonina prodotta dalla ghiandola pineale ha molte altre funzioni:
- La melatonina è considerato un potente antiossidante con azione scavenger (pulizia) nei confronti dei radicali liberi, più efficace delle vitamine C, E e del Beta-carotene. L'azione protettiva della melatonina è rivolta alle membrane cellulari, alle lipoproteine Ldl (contro l’ossidazione), alle cellule dell’endotelio arterioso, ai neuroni celebrali (contro l’ischemia, dovuta a stress o alcool).
- La melatonina è utilizzata per alleviare i disturbi dovuti al cambio di fuso orario (sindrome da jet lag) migliorando l’adattabilità dei propri ritmi biologici all’ora locale.
- La melatonina è utilizzata per migliorare i sintomi della menopausa. Difatti in associazione con il progesterone inibisce l’ovulazione.
- Studi clinici hanno confermato che livelli buoni di melatonina nel flusso sanguigno durante le ore notturne, diminuiscono le possibilità d’infarto e di morte improvvisa. Tale effetto è dovuto alla sua azione vaso dilatatrice (contrasta i radicali liberi che inibiscono l’ossido nitrico) ed antiaggregante piastrinica.
- La Melatonina la capacità di aumentare il metabolismo dei grassi (riduzione di colesterolo).
- La melatonina rafforza anche il nostro sistema immunitario (inibendo il cortisolo). Difatti durante il picco delle 2-3 di notte, è stato riscontrato un aumento significativo delle cellule del sistema immunitario. Risulta efficace contro i microbi, i virus e le cellule neoplastiche.
- Alcuni ricercatori dell’Ospedale Oncologico di Milano hanno dimostrato l’attività inibitoria della melatonina, sulla crescita delle cellule tumorali del cancro alla prostata.
- Nell’Università di New Orleans è stata riscontrata un’azione inibitoria della melatonina anche verso altri tipi di neoplasie, quali il cancro ai polmoni, all’utero ed alle mammelle. La melatonina prolungherebbe anche la sopravvivenza dei malati terminali (migliorando nel contempo la qualità della vita). Difatti da esperienze riportate dal professor Paolo Lissoni responsabile della divisione Oncologica dell’Ospedale di Monza, l’utilizzo della melatonina ha aumentato del 16% le regressioni tumorali (di solito incurabili) su tumori gastrointestinali, polmonari e nei mesoteliomi.
- La melatonina omministrata durante la chemio e la radioterapia, ha ridotto gli effetti collaterali, di solito devastanti.
Per dovere di cronaca va detto che il professor Di Bella, per primo indagò sull’azione antitumorale della melatonina ed infatti la inserì nel suo protocollo di cura.
Promotori della melatonina
Come già scritto, per produrre l’ormone della melatonina abbiamo bisogno di triptofano (aminoacido essenziale). Se non lo assumiamo costantemente e soprattutto durante la cena, non potremmo produrre tale ormone per la notte. Ciò significa che dobbiamo inserire nella nostra alimentazione alimenti quali carne, pesce, uova e formaggi, i più ricchi di triptofano.
Un’altra via molto efficace è quella dell’assunzione esogena sotto forma d’integratori di melatonina. Si consiglia il tal senso di assumerli prima di coricarsi.
Diminuzione della melatonina
Come per ogni ormone, il peggior nemico della melatonina è l’età. La ghiandola pineale con il passare degli anni tende a calcificarsi, causando già a 45 anni, circa il 50% di minore produzione di melatonina. Il calo raggiunge addirittura l’80% superati i 70 anni di età.
Un altro nemico giurato dell’ormone melatonina è il cortisolo (chiamato ormone dello stress). Solo quando il cortisolo cala nel sangue a livelli basali, la ghiandola pineale può secernere la melatonina.
Lo stress, i pensieri ricorrenti prima di dormire, impediscono di attivare la melatonina e dormire sonni profondi.
Un ulteriore nemico della ghiandola pineale è la luce. Difatti quando dormiamo davanti al televisore, o semplicemente con delle luci in camera da letto, non attiviamo la melatonina, disertando l’appuntamento con un sonno ristoratore (si consiglia di coprire anche le luci a led, ad esempio quelle delle radiosveglie).
Altri inibitori della melatonina sono l’alcool, il fumo, il caffè.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Fioretti
CAPITOLO QUARTO
Come l'agnolo di Dio propuose una quistione a frat'Elia guardiano d'uno
luogo di Val di Spoleto; e perché frat'Elia li rispuose superbiosamente si
partì e andonne in cammino di santo Jacopo, dove trovò frate Bernardo e
dissegli questa storia. Al principio e fondamento dell'Ordine, quando erano
pochi frati e non erano ancora presi i luoghi, santo Francesco per sua
divozione andò a santo Jacopo di Galizia, e menò seco alquanti frati, fra li
quali fu l'uno frate Bernardo. E andando così insieme per lo cammino, trovò in
una terra un poverello infermo, al quale avendo compassione, disse a frate
Bernardo: "Figliuolo, io voglio che tu rimanghi qui a servire a questo
infermo". E frate Bernardo, umilmente inginocchiandosi e inchinando il
capo, ricevette la obbidienza del padre santo e rimase in quel luogo; e santo
Francesco con gli altri compagni andarono a santo Jacopo. Essendo giunti là. e
stando la notte in orazione nella chiesa di santo Jacopo, fu da Dio rivelato a
santo Francesco ch'egli dovea prendere di molti luoghi per lo mondo, imperò che
l'Ordine suo si dovea ampliare e crescere in grande moltitudine di frati. E in
cotesta rivelazione cominciò santo Francesco a prendere luoghi in quelle
contrade. E ritornando santo Francesco per la via di prima, ritrovò frate
Bernardo, e lo infermo, con cui l'avea lasciato. perfettamente guarito; onde
santo Francesco concedette l'anno seguente a frate Bernardo ch'egli andasse a
santo Jacopo. E così santo Francesco si ritornò nella Valle di Spuleto, e
istavasi in uno luogo diserto egli e frate Masseo e frat'Elia e alcuni altri, i
quali tutti si guardavano molto di noiare o storpiare santo Francesco della
orazione, e ciò faceano per la grande reverenza che gli portavano e perché sapeano
che Iddio gli rivelava grandi cose nelle sue orazioni.
Avvenne un dì che,
essendo santo Francesco in orazione nella selva, un giovane bello,
apparecchiato a camminare venne alla porta del luogo, e picchiò sì in fretta e
forte e per sì grande spazio, che i frati molto se ne maravigliarono di così
disusato modo di picchiare. Andò frate Masseo e aperse la porta e disse a
quello giovane: "Onde vieni tu, figliuolo, che non pare che tu ci fossi
mai più, sì hai picchiato disusatamente?". Rispuose il giovane: "E come
si dee picchiare?". Disse frate Masseo: "Picchia tre volte l'una dopo
l'altra, di rado, poi t'aspetta tanto che 'l frate abbia detto il paternostro e
vegna a te, e se in questo intervallo non viene, picchia un'altra volta".
Rispuose il giovane: "Io ho gran fretta, e però picchio così forte, perciò
ch'io ho a fare lungo viaggio, e qua son venuto per parlare a frate Francesco,
ma egli sta ora nella selva in contemplazione, e però non lo voglio storpiare
ma va', e mandami frat'Elia, che gli vo' fare una quistione, però ch'io intendo
ch'egli è molto savio". Va frate Masseo, e dice a frat'Elia che vada a
quello giovane. E frat'Elia se ne iscandalizza e non vi vuole andare; di che
frate Masseo non sa che si fare, né che si rispondere a colui; imperò che se dicesse:
frate Elia non può venire, mentiva; se dicea come era turbato e non vuol
venire, si temea di dargli male esempio. E però che intanto frate Masseo penava
a tornare, il giovane picchiò un'altra volta come in prima; e poco stante tornò
frate Masseo alla porta e disse al giovine: "Tu non hai osservato la mia
dottrina nel picchiare". Rispuose il giovane: "Frate Elia non vuole
venire a me; ma va' e di' a frate Francesco ch'io son venuto per parlare con
lui; ma però ch'io non voglio impedire lui della orazione, digli che mandi a me
frat'Elia". E allora frate Masseo, n'andò a santo Francesco il quale orava
nella selva colla faccia levata al cielo, e dissegli tutta la imbasciata del
giovane e la risposta di frat'Elia. E quel giovane era l'Agnolo di Dio in forma
umana. Allora santo Francesco, non mutandosi del luogo né abbassando la faccia,
disse a frate Masseo: "Va' e di' a frat'Elia che per obbidienza
immantanente vada a quello giovane". Udendo frat'Elia l'ubbidienza di
santo Francesco, andò alla porta molto turbato, e con grande empito e romore
gli aperse e disse al giovane: "Che vuo' tu?". Rispuose il giovane:
"Guarda, frate, che tu non sia turbato, come pari, però che l'ira
impedisce l'animo e non lascia discernere il vero". Disse frat'Elia:
"Dimmi quello che tu vuoi da me". Rispuose il giovane: "Io ti
domando, se agli osservatori del santo Vangelo è licito di mangiare di ciò che
gli è posto innanzi, secondo che Cristo disse a' suoi discepoli. E domandoti
ancora, se a nessuno uomo è lecito di porre dinanzi alcuna cosa contraria alla
libertà evangelica". Rispuose frat'Elia superbamente: "Io so bene
questo, ma non ti voglio rispondere: va' per li fatti tuoi". Disse il
giovane: "Io saprei meglio rispondere a questa quistione che tu". Allora
frat'Elia turbato e con furia chiuse l'uscio e partissi. Poi cominciò a pensare
della detta quistione e dubitarne fra sé medesimo; e non la sapea solvere.
Imperò ch'egli era Vicario dell'Ordine, e avea ordinato e fatto costituzione,
oltr'al Vangelo ed oltr'alla Regola di santo Francesco, che nessuno frate
nell'Ordine mangiasse carne; sicché la detta quistione era espressamente contra
di lui. Di che non sapendo dichiarare se medesimo, e considerando la modestia
del giovane e che gli avea detto ch'e' saprebbe rispondere a quella quistione
meglio di lui, ritorna alla porta e aprilla per domandare il giovane della
predetta quistione, ma egli s'era già partito; imperò che la superbia di
frat'Elia non era degna di parlare con l'Agnolo. Fatto questo, santo Francesco,
al quale ogni cosa da Dio era stata rivelata, tornò dalla selva, e fortemente
con alte voci riprese frat'Elia, dicendo: "Male fate, frat'Elia superbo,
che cacciate da noi gli Agnoli santi, li quali ci vengono ammaestrare; io ti
dico ch'io temo forte che la tua superbia non ti faccia finire fuori di
quest'Ordine". E così gli addivenne poi, come santo Francesco gli
predisse, però che e' morì fuori dell'Ordine.
Il dì medesimo, in quell'ora che
quello Agnolo si partì, si apparì egli in quella medesima forma a frate Bernardo,
il quale tornava da santo Jacopo ed era alla riva d'un grande fiume; e
salutollo in suo linguaggio dicendo: "Iddio ti dia pace, o buono
frate". E maravigliandosi forte il buono frate Bernardo e considerando la
bellezza del giovane e la loquela della sua patria, colla salutazione pacifica
e colla faccia lieta sì 'l dimandò: "Donde vieni tu, buono giovane?".
Rispuose l'Agnolo: "Io vengo di cotale luogo dove dimora santo Francesco,
e andai per parlare con lui e non ho potuto però ch'egli era nella selva a
contemplare le cose divine, e io non l'ho voluto storpiare. E in quel luogo
dimorano frate Masseo e frate Egidio e frat'Elia; e frate Masseo m'ha insegnato
picchiare la porta a modo di frate. Ma frat'Elia, però che non mi volle
rispondere della quistione ch'io gli propuosi, poi se ne pentì; e volle udirmi
e vedermi, e non potè". Dopo queste parole disse l'Agnolo a frate
Bernardo: "Perchè non passi tu di là?". Rispuose frate Bernardo:
"Però ch'io temo del pericolo per la profondità dell'acqua ch'io
veggio". Disse l'Agnolo: "Passiamo insieme; non dubitare". E
prese la sua mano, e in uno batter d'occhio il puose dall'altra parte del
fiume. Allora frate Bernardo conobbe ch'egli era l'Agnolo di Dio, e con grande
reverenza e gaudio ad alta voce disse: "O Agnolo benedetto di Dio, dimmi
qual è il nome tuo". Rispuose l'Agnolo: "Perché domandi tu del nome
mio, il quale è maraviglioso?". E detto questo, l'Agnolo disparve e lasciò
frate Bernardo molto consolato, in tanto che tutto quel cammino e' fece con
allegrezza. E considerò il dì e l'ora che l'Agnolo gli era apparito; e
giungendo al luogo dove era santo Francesco con li predetti compagni, recitò
loro ordinatamente ogni cosa. E conobbono certamente che quel medesimo Agnolo,
in quel dì e in quell'ora, era apparito a loro e a lui. E ringraziarono Iddio.
A laude di Gesù Cristo e del poverello Francesco. Amen.
Digiunando, pregando e lavorando nei campi intorno all’eremo....
San Charbel (Giuseppe) Makhluf Sacerdote
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Beqaa Kafra, Libano, 1828 – Annaya, Libano, 24 dicembre 1898
Youssef Antoun (in italiano, Giuseppe Antonio) Makhlouf nacque nel villaggio di Beqaa Kafra, in Libano, nel 1828, probabilmente l’8 maggio. Nel 1851 lasciò la propria casa per entrare nell’Ordine Libanese Maronita, presso il monastero di Nostra Signora di Mayfouq, nella regione di Byblos. Nel novembre dello stesso anno vestì l’abito religioso e cambiò nome in fratel Charbel. L’anno successivo si trasferì al monastero di san Marone ad Annaya, sulla montagna di Byblos, dove emise i voti solenni il 1° novembre 1853. In seguito, fratel Charbel fu mandato al monastero di Kfifan dove completò gli studi teologici. Dopo la sua ordinazione sacerdotale, padre Charbel tornò ad Annaya e, sei anni dopo, ottenne di poter diventare eremita nell’eremo dei Santi Pietro e Paolo, non lontano dal monastero. Visse in quel luogo altri ventitré anni, digiunando, pregando e lavorando nei campi intorno all’eremo. Il 16 dicembre 1898, mentre celebrava la Messa, fu colpito da apoplessia: morì dopo otto giorni di agonia, il 24 dicembre. È stato sia beatificato sia canonizzato dal Papa san Paolo VI, rispettivamente il 5 dicembre 1965 e il 9 ottobre 1977. I suoi resti mortali sono venerati nel monastero di San Marone ad Annaya, in un’urna di legno di cedro.
Martirologio Romano: San Charbel (Giuseppe) Makhlūf, sacerdote dell’Ordine Libanese Maronita, che, alla ricerca di una vita di austera solitudine e di una più alta perfezione, si ritirò dal cenobio di Annaya in Libano in un eremo, dove servì Dio giorno e notte in somma sobrietà di vita con digiuni e preghiere, giungendo il 24 dicembre a riposare nel Signore.
(24 dicembre: Ad Annaya in Libano, anniversario della morte di san Charbel (Giuseppe) Makhluf, la cui memoria si celebra il 24 luglio). |
L’infanzia Youssef Antoun (in italiano, Giuseppe Antonio) Makhlouf nacque nel villaggio di Beqaa Kafra, in Libano, nel 1828, probabilmente l’8 maggio (la data è incerta). I suoi genitori, Antoun Zaarour Makhlouf e Brigita Issa Chidiac, contadini, ebbero in tutto cinque figli. Youssef venne educato alla fede dai genitori, cattolici di rito siro-maronita, ma ebbero molto influsso su di lui due zii materni, eremiti nella Qadisha, la “Valle dei Santi” del Libano. L’8 agosto 1831, a tre anni, rimase orfano: suo padre era stato costretto al lavoro forzato da parte delle truppe dell’Impero Ottomano, che difendevano la frontiera tra Libano ed Egitto. Youssef passò dunque sotto la tutela dello zio paterno Tanios. La madre si risposò dopo due anni con Lahhoud Ibrahim, un uomo tanto religioso che, per necessità pastorali, fu prima ordinato diacono, poi, dato che l’uso orientale lo permette, sacerdote, col nome di Abdelahad (corrispondente al nostro “Domenico”). Anche il padre acquisito fu d’esempio per Youssef, il quale, intanto, frequentava la scuola del villaggio, imparando l’arabo e il siriaco. A dieci anni cominciò a fare il pastore, portando al pascolo un piccolo gregge. Spesso si ritirava in una grotta appena fuori del paese (oggi chiamata “la grotta del santo”) a pregare per ore, inginocchiato davanti a un’immagine della Vergine Maria. La vocazione Il giovane, pur sentendo di essere chiamato alla vita monastica, non poté farlo prima dei ventitré anni, a causa dell’opposizione dello zio; la madre, invece, avrebbe approvato la sua scelta. Nel 1851, alle prime luci dell’alba di un giorno non precisato, andò via di casa senza salutare nessuno. Dopo un giorno di cammino, arrivò al monastero di Nostra Signora di Mayfouq, dove fu accolto come novizio nell’Ordine Libanese Maronita. Nel novembre 1851, una domenica, vestì l’abito religioso. Con l’occasione, cambiò il nome di Battesimo con quello di Charbel, in onore di un martire antiocheno dell’epoca di Traiano: in siriaco, significa “racconto di Dio” o “storia di Dio”. Professione solenne e ordinazione sacerdotale Trascorso il primo anno di noviziato, fu trasferito da Mayfouq al monastero di San Marone ad Annaya. Emessi i voti solenni il 1° novembre 1853, fu mandato al monastero dei Santi Cipriano e Giustina a Kfifan, sede della scuola di Teologia (qualcosa di simile ai nostri Seminari). Tra i suoi insegnanti ci fu anche padre Nimatullah Kassab Al-Hardini: non fu solo il suo docente di Teologia morale, ma gli fu anche d’esempio nella vita monastica e un modello da seguire nel cammino di santità (è stato canonizzato nel 2004). Il 23 luglio 1859 fu ordinato sacerdote e rimandato nel monastero di Annaya, dove risiedette per quindici anni. La comunità era composta da venticinque monaci. Padre Charbel si distingueva soprattutto per il raccoglimento con cui pregava e per la prontezza con cui obbediva ai superiori, in qualsiasi incarico gli venisse affidato. Un monaco esemplare Ad esempio, spesso si recava nei villaggi vicini per celebrare la Messa. Altre volte veniva chiamato al capezzale di qualche ammalato o dei moribondi, o ancora doveva benedire i campi e il lavoro dei contadini. Ogni volta, appena aveva finito, tornava in monastero. Non si sottraeva a nessun tipo di fatica, anche la più pesante, come quella del lavoro nei campi. In più, cominciavano a diffondersi i racconti di alcuni suoi interventi che, a detta degli abitanti dei dintorni, avevano del miracoloso. Il segno della lanterna Agli inizi del 1875, si sentì chiamato a vivere la Regola degli eremiti nell’Ordine, secondo quanto era effettivamente previsto. Tuttavia, i confratelli lo consideravano un prezioso aiutante e un modello da seguire nella vita monastica, quindi non osavano concedergli di partire. Lo stesso padre superiore esitava a chiedere al Padre Generale e al consiglio generale il permesso perché padre Charbel si recasse all’eremo del monastero. Una sera, padre Charbel chiese a un inserviente di riempire la sua lanterna con olio, quest’ultimo gli volle giocare uno scherzo, e la riempì con acqua. Padre Charbel, che non sapeva dello scherzo, accese lo stesso la lanterna. Durante la notte, il padre superiore si alzò e vide che la cella di padre Charbel era illuminata. Andò a rimproverarlo per non aver ubbidito: i monaci, infatti, in quel giorno dovevano spegnere le lampade prima del riposo. Lui si scusò di non aver saputo del divieto, ma uno degli inservienti spiegò di aver messo dell’acqua nella lanterna. Il superiore controllò: era proprio così. Il giorno dopo, il padre superiore attivò la procedura che permetteva a padre Charbel di partire per il vicino eremo dei Santi Pietro e Paolo ad Annaya, situato a millequattrocento metri sul livello del mare. La vita eremitica di padre Charbel Secondo la Regola dell’Ordine Libanese Maronita, gli eremiti maroniti non vivono nella solitudine, ma in piccole comunità, composte da un massimo di tre monaci. Inoltre, seguono una regola speciale nell’esercizio delle preghiere, del lavoro, del digiuno, del silenzio e in altre pratiche. Padre Charbel le seguiva con attenzione e zelo: dormiva su un tappeto di pelle di capra, usando come cuscino un asse di legno avvolto da un pezzo di stoffa. Mangiava pochissimo, fino a una volta sola al giorno alimentandosi solo con zuppe di legumi e qualche crosta di pane, sempre come prevede la Regola. Pregava per ore, spesso a braccia aperte. Il culmine della sua giornata era la celebrazione della Messa, che celebrava con tale trasporto da commuoversi. Lasciava l’eremo solo se il padre superiore del monastero di Annaya, cui era collegato, gliene dava il permesso per un servizio nella vicinanza o una missione precisa. L’ultima Messa e la morte Il 16 dicembre 1898, come tutti i giorni, padre Charbel stava celebrando la Messa, insieme a un confratello, padre Makarius, che lo assisteva. Circa verso mezzogiorno, si sentì male: fu fatto sedere per riposare, ma volle continuare la celebrazione. Arrivò alla frazione del Pane e all’elevazione del Calice, ma, mentre pronunciava «ābo dqūšto» («O vero Padre»), la preghiera che accompagna la frazione del Pane, cadde a terra: aveva avuto un colpo apoplettico. Trasportato nella sua cella, padre Charbel vi passò otto giorni in agonia. Ripeteva di continuo brevi invocazioni, compresa quella della Messa, che non aveva potuto terminare: «O Vero Padre, accetta il sacrificio gradito del tuo Figlio…». Rifiutò le comodità più semplici, come una coperta in più, e anche una minestra col burro, perché voleva conservare la Regola degli eremiti fino alla fine, compreso il punto che impedisce loro di mangiare la carne e i latticini. Continuò a ripetere le invocazioni a Dio, alla Madonna e ai santi Pietro e Paolo finché, il 24 dicembre, lasciò questo mondo. I primi fenomeni straordinari e l’inizio della causa di beatificazione A partire da alcuni mesi dopo la morte si verificarono fenomeni straordinari. La sua tomba nel cimitero del monastero, su cui di notte splendevano delle luci non naturali, fu aperta il 16 aprile 1899: il corpo, trovato intatto e morbido, fu rimesso in un’altra cassa e collocato in una cappella appositamente preparata. Dato che il corpo emetteva del sudore rossastro, le vesti venivano cambiate due volte la settimana. Per via di questi prodigi e della fama di santità che circondava padre Charbel, fu introdotta la sua causa di beatificazione. Il processo informativo diocesano cominciò il 4 maggio 1926 presso il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti. Anche per evitare forme di culto indebito, il 24 luglio 1927 il corpo, rivestito con abiti e paramenti nuovi, fu posto in una doppia cassa di zinco e legno e quindi collocato in una tomba scavata nelle mura del monastero. Altri segni eccezionali Nel 1950, monaci e fedeli videro che dal muro del sepolcro stillava un liquido viscido. Supponendo un’infiltrazione d’acqua, il 25 febbraio, davanti a tutta la comunità monastica, fu riaperto il sepolcro: la bara era intatta, il corpo era ancora morbido e conservava la temperatura dei corpi viventi. Il superiore con un amitto asciugò il sudore rossastro dal viso di padre Charbel: il volto rimase impresso sul panno. Sempre nel 1950, il 22 aprile, le autorità religiose, con una apposita commissione di tre noti medici, riaprirono la cassa e stabilirono che il liquido emanato dal corpo era lo stesso di quello analizzato nel 1899 e nel 1927. All’esterno, la folla, composta anche da persone non cattoliche e non cristiane, implorava con preghiere la guarigione di infermi lì portati da parenti e fedeli. Molte guarigioni istantanee ebbero luogo in quell’occasione, quasi come se le porte del cielo si fossero aperte e tutte le grazie fossero scese sopra Annaya. La ricognizione canonica del 1952 confermò le precedenti analisi. L’avanzamento della causa fino al decreto sulle virtù eroiche Intanto la causa andava avanti. Il 12 marzo 1930 si era avuto il decreto sugli scritti di padre Charbel, mentre dopo il decreto sull’introduzione della causa, ottenuto il 2 aprile 1954, iniziò il processo apostolico. Il 20 giugno 1958 fu emesso il decreto di convalida del processo informativo e di quello apostolico. In seguito alla congregazione antepreparatoria dell’11 aprile 1961 e alle successive congregazioni preparatoria e generale, il 15 luglio 1965 il Papa san Paolo VI autorizzò la promulgazione del decreto sull’eroicità delle virtù di padre Charbel, che diventava quindi Venerabile. La beatificazione Secondo la normativa allora in uso, per ottenere la beatificazione di padre Charbel servivano due miracoli comprovati. Il primo caso preso in esame fu quello di suor Maria Abel Kamary, della Congregazione dei Sacri Cuori di Bikfaya. Per quattordici anni aveva sofferto dolori fortissimi a causa di un’ulcera pilorica, che neppure due interventi chirurgici valsero a curare. L’11 luglio 1950 fu portata al sepolcro di padre Charbel e sollevata perché potesse toccare la pietra tombale: appena lo fece, si sentì attraversare il corpo come da una scossa elettrica, poi fu portata a riposare. Il giorno dopo, mentre cercava di asciugare il liquido che trasudava dalla tomba, si alzò da sola, tra lo stupore dei pellegrini. Il secondo fatto prodigioso riguardò invece Iskandar Obeid, un fabbro di Baabdat, che nel 1937 subì il distacco della retina destra, in seguito a un incidente. I medici volevano enucleare l’occhio destro per evitare che anche il sinistro s’infettasse, ma lui rifiutò. Fece invece ricorso, nel 1950, a padre Charbel, recandosi sulla sua tomba. Tre giorni più tardi sentì dolore all’occhio malato, che si gonfiò, ma non fu più cieco. In seguito al riconoscimento di questi due miracoli, san Paolo VI beatificò padre Charbel il 5 dicembre 1965, alla presenza dei vescovi partecipanti al Concilio Ecumenico Vaticano II. La canonizzazione Perché padre Charbel venisse canonizzato, fu necessario il riconoscimento di un terzo miracolo. Fu quindi considerato il caso di Mariam Assaf Awad, una vedova di origine siriaca residente in Libano. Operata per tre volte per un tumore allo stomaco, all’intestino e alla gola, fu dichiarata incurabile dai medici. Una notte, nel 1967, invocò con particolare intensità il Beato Charbel, a cui aveva iniziato a raccomandarsi quando le era stata prospettata la morte imminente. Il mattino dopo, si accorse che il tumore era sparito. Dopo l’esame da parte della Consulta Medica e dei membri della Congregazione delle Cause dei Santi, san Paolo VI canonizzò padre Charbel il 9 ottobre 1977, nella basilica di San Pietro a Roma. Il culto Dopo la beatificazione, i resti mortali di san Charbel non emisero più il liquido e si ridussero al solo scheletro, ricoperto dalla pelle essiccata. Sono venerati nel monastero di San Marone ad Annaya, in un’urna di legno di cedro, l’albero che Dio ha piantato secondo la Bibbia, emblema del Libano. Anche la grotta dove meditava da ragazzo e la sua casa natale sono meta di pellegrinaggio. Il Martirologio Romano ricorda san Charbel il 23 luglio, giorno della sua ordinazione sacerdotale, il 24 luglio, giorno della traslazione nella terza tomba, e il 24 dicembre, giorno della sua nascita al Cielo. In Libano è stato sempre ricordato la terza domenica di luglio. I suoi devoti lo commemorano ogni 22 del mese (anche nella sede dell’Ordine Libanese Maronita a Roma) in quanto è una data ricorrente. Il 22 ottobre 1928, il superiore generale dell’Ordine Libanese Maronita Ignazio Dagher aveva consegnato a papa Pio XI i documenti delle cause di beatificazione e canonizzazione di tre Servi di Dio dell’Ordine Libanese Maronita: Nimatullah Kassab Al-Hardini (canonizzato nel 2004), Rafqa Ar-Rayes (canonizzata nel 2001) e Charbel Makhlouf. Il 22 aprile 1950 ci fu la prima ricognizione del suo corpo. Infine, uno degli ultimi miracoli a lui attribuiti è avvenuto il 22 gennaio 1994, alla signora Nohad Shami. Autore: Antonio Borrelli ed Emilia Flochini
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