venerdì 19 luglio 2019

Questa è una grande battaglia, che si combatte soprattutto a livello di spiriti.


Fatima, 13 ottobre 1985. 
Anniversario ultima apparizione.
Le due schiere.


«Da qui, ove sono apparsa come la Donna vestita di sole, vi chiamo tutti a raccogliervi attorno
alla vostra Celeste Condottiera.

Questi sono i tempi della grande battaglia fra Me e la schiera potente agli ordini del Dragone
rosso e della bestia nera.

L'ateismo marxista e la massoneria guidano questo esercito radunato per condurre tutta
l'umanità alla negazione ed alla ribellione a Dio.

A capo di essa vi è lo stesso Lucifero, che ripete oggi la sua sfida di mettersi contro Dio per
farsi adorare lui stesso come Dio.

Con lui combattono tutti i demoni che, in questi tempi, dall'Inferno si sono riversati sulla
terra, per condurre alla perdizione il maggior numero possibile di anime.

Con essi sono uniti tutti gli spiriti dei dannati e coloro che, in questa vita, camminano nel
rifiuto di Dio, che lo offendono e lo bestemmiano e percorrono la strada dell'egoismo e
dell'odio, del male e della impurità.

Essi fanno loro unico scopo la ricerca dei piaceri, soddisfano tutte le passioni, combattono per
il trionfo dell'odio, del male e della empietà.

La schiera, che Io stessa conduco, è formata da tutti gli Angeli e i Santi del Paradiso, guidati
da San Michele Arcangelo, che è a capo di tutta la milizia celeste.

Questa è una grande battaglia, che si combatte soprattutto a livello di spiriti.

Su questa terra la mia schiera è formata da tutti quelli che vivono amando e glorificando Dio,
secondo la grazia ricevuta nel santo Battesimo, e che camminano sulla strada sicura della
perfetta osservanza dei Comandamenti del Signore.

Sono umili, docili, piccoli, caritatevoli; sfuggono alle insidie del demonio ed alle facili seduzioni
del piacere, percorrono la strada dell'amore, della purezza e della santità.


Questa mia schiera è formata da tutti i miei piccoli bambini che, in ogni parte del mondo, oggi
mi rispondono di sì, e mi seguono sulla via che Io in questi anni vi ho tracciato.

È con la mia schiera che, in questi tempi, Io porto avanti la mia vittoria.

È con la mia schiera che Io costruisco ogni giorno il trionfo del mio Cuore Immacolato.

È con la mia schiera che preparo la via su cui verrà a voi il Regno glorioso di Gesù e sarà un
regno di amore e di Grazia, di santità, di giustizia e di pace.


Da questo luogo, ove sono apparsa, oggi vi ripeto il mio materno appello: radunatevi tutti al più presto in questa mia schiera!
L'ora della grande battaglia è ormai giunta.

Combattete con l'arma del santo Rosario e camminate sulla via dell'amore a Gesù, del
disprezzo del mondo e di voi stessi, della umiltà, della carità, della semplicità, della purezza.

Allora sarete pronti a sopportare le grandi prove che presto incominceranno per la Chiesa e
per l'umanità.

Da questo luogo benedetto, col mio Papa, con i miei prediletti e figli a Me consacrati, tutti vi
benedico nel Nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».

AVE...MARIA!...

giovedì 18 luglio 2019

Importante discorso sul Bene Comune

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ASSEMBLEA DEL SECONDO CONVEGNO DI AQUILEIA
DISCORSO DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica di Aquileia
Sabato, 7 maggio 2011


Signor Cardinale Patriarca,
Venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!

Nella magnifica cornice di questa storica Basilica che in modo solenne ci accoglie, rivolgo il mio più cordiale saluto a tutti voi, che rappresentate le 15 Diocesi del Triveneto. Sono molto lieto di incontrarvi mentre vi preparate a celebrare, l’anno prossimo, il secondo Convegno ecclesiale di Aquileia. Saluto con affetto il Cardinale Patriarca di Venezia e i Confratelli nell’Episcopato, in particolare l’Arcivescovo di Gorizia, che ringrazio per le espressioni con cui mi ha accolto, e l’Arcivescovo-Vescovo di Padova, che ci ha offerto uno sguardo sul cammino verso il Convegno. Saluto, con altrettanto affetto, i presbiteri, i religiosi e le religiose e i numerosi fedeli laici. Con l’Apostolo Giovanni, anch’io vi ripeto: “Grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene” (Ap 1,4). 
Attraverso il “convenire sinodale” lo Spirito Santo parla alle vostre amate Chiese e a tutti voi singolarmente, sostenendovi per una più matura crescita nella comunione e nella reciproca collaborazione. Questo “convenire ecclesiale” permette a tutte le comunità cristiane, che qui voi rappresentate, di condividere anzitutto l’esperienza originaria del Cristianesimo, quella dell’incontro personale con Gesù, che svela pienamente ad ogni uomo e ad ogni donna il significato e la direzione del cammino nella vita e nella storia.

Opportunamente avete voluto che anche il vostro Convegno ecclesiale avesse luogo nella Chiesa madre di Aquileia, da cui sono germinate le Chiese del Nord-est dell’Italia, ma anche le Chiese della Slovenia e dell’Austria e alcune Chiese della Croazia e della Baviera e persino dell’Ungheria. Riunirsi ad Aquileia costituisce perciò un significativo ritorno alle “radici” per riscoprirsi “pietre” vive dell’edificio spirituale che ha le sue fondamenta in Cristo e il suo prolungamento nei testimoni più eloquenti della Chiesa aquileiese: i santi Ermagora e Fortunato, Ilario e Taziano, Crisogono, Valeriano e Cromazio. Ritornare ad Aquileia significa soprattutto imparare dalla gloriosa Chiesa che vi ha generato come impegnarsi oggi, in un mondo radicalmente cambiato, per una nuova evangelizzazione del vostro territorio e per consegnare alle generazioni future l’eredità preziosa della fede cristiana.

“Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese” (Ap 2,7). I vostri Pastori hanno ripetuto questo invito dell'Apocalisse a tutte le vostre singole Chiese e alle diverse realtà ecclesiali. Vi hanno così sollecitato a scoprire e a “narrare” ciò che lo Spirito Santo ha operato e sta operando nelle vostre comunità; a leggere con gli occhi della fede le profonde trasformazioni in atto, le nuove sfide, le domande emergenti. 

Come annunciare Gesù Cristo, come comunicare il Vangelo e come educare alla fede oggi? Avete scelto di prepararvi, in modo capillare, diocesi per diocesi, in vista del Convegno del 2012, per affrontare anche le sfide che superano i confini delle singole realtà diocesane, in una nuova evangelizzazione radicata nella fede di secoli e rinnovata nel vigore. La presenza oggi, in questa splendida Basilica, delle diocesi nate da Aquileia sembra indicare la missione del Nord-est del futuro che si apre anche ai territori circostanti e a quelli che, per diverse ragioni, entrano in contatto con essi. Il Nord-est dell’Italia è testimone ed erede di una storia ricca di fede, di cultura e di arte, i cui segni sono ancora ben visibili anche nell’odierna società secolarizzata. 

L’esperienza cristiana ha forgiato un popolo affabile, laborioso, tenace, solidale. Esso è segnato in profondità dal Vangelo di Cristo, pur nella pluralità delle sue identità culturali. Lo dimostrano la vitalità delle vostre comunità parrocchiali, la vivacità delle aggregazioni, l’impegno responsabile degli operatori pastorali. 

L’orizzonte della fede e le motivazioni cristiane hanno dato e continuano ad offrire nuovo impulso alla vita sociale, ispirano le intenzioni e guidano i costumi. Ne sono segni evidenti l’apertura alla dimensione trascendente della vita, nonostante il materialismo diffuso; un senso religioso di fondo, condiviso dalla quasi totalità della popolazione; l’attaccamento alle tradizioni religiose; il rinnovamento dei percorsi di iniziazione cristiana; le molteplici espressioni di fede, di carità e di cultura; le manifestazioni della religiosità popolare; il senso della solidarietà e il volontariato. 

Custodite, rafforzate, vivete questa preziosa eredità. Siate gelosi di ciò che ha fatto grandi e rende tuttora grandi queste Terre!
La missione prioritaria che il Signore vi affida oggi, rinnovati dall’incontro personale con Lui, è quella di testimoniare l’amore di Dio per l’uomo. 

Siete chiamati a farlo prima di tutto con le opere dell’amore e le scelte di vita in favore delle persone concrete, a partire da quelle più deboli, fragili, indifese, non autosufficienti, come i poveri, gli anziani, i malati, i disabili, quelle che san Paolo chiama le parti più deboli del corpo ecclesiale (cfr 1 Cor 12,15-27). 

Le idee e le realizzazioni nell’approccio alla longevità, preziosa risorsa per le relazioni umane, sono una bella e innovativa testimonianza della carità evangelica proiettata in dimensione sociale.

 Abbiate cura di mettere al centro della vostra attenzione la famiglia, culla dell’amore e della vita, cellula fondamentale della società e della comunità ecclesiale; questo impegno pastorale è reso più urgente dalla crisi sempre più diffusa della vita coniugale e dal crollo della natalità. In tutta la vostra azione pastorale sappiate riservare una cura tutta speciale per i giovani: essi, che guardano oggi al futuro con grande incertezza, vivono spesso in una condizione di disagio, di insicurezza e di fragilità, ma portano nel cuore una grande fame e sete di Dio, che chiede costante attenzione e risposta!

Anche in questo vostro contesto la fede cristiana deve affrontare oggi nuove sfide: la ricerca spesso esasperata del benessere economico, in una fase di grave crisi economica e finanziaria, il materialismo pratico, il soggettivismo dominante. Nella complessità di tali situazioni siete chiamati a promuovere il senso cristiano della vita, mediante l’annuncio esplicito del Vangelo, portato con delicata fierezza e con profonda gioia nei vari ambiti dell’esistenza quotidiana. Dalla fede vissuta con coraggio scaturisce, anche oggi come in passato, una feconda cultura fatta di amore alla vita, dal concepimento fino al suo termine naturale, di promozione della dignità della persona, di esaltazione dell’importanza della famiglia, fondata sul matrimonio fedele e aperto alla vita, di impegno per la giustizia e la solidarietà. I cambiamenti culturali in atto vi chiedono di essere cristiani convinti, “pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt 3,15), capaci di affrontare le nuove sfide culturali, in rispettoso confronto costruttivo e consapevole con tutti i soggetti che vivono in questa società.

La collocazione geografica del Nord-est, non più solo crocevia tra l’Est e l’Ovest dell’Europa, ma anche tra il Nord e il Sud (l’Adriatico porta il Mediterraneo nel cuore dell’Europa), il massiccio fenomeno del turismo e dell’immigrazione, la mobilità territoriale, il processo di omologazione provocato dall’azione pervasiva dei mass-media, hanno accentuato il pluralismo culturale e religioso. In questo contesto, che in ogni caso è quello che la Provvidenza ci dona, è necessario che i cristiani, sostenuti da una “speranza affidabile”, propongano la bellezza dell’avvenimento di Gesù Cristo, Via, Verità e Vita, ad ogni uomo e ad ogni donna, in un rapporto franco e sincero con i non praticanti, con i non credenti e con i credenti di altre religioni. Siete chiamati a vivere con quell’atteggiamento carico di fede che viene descritto dalla Lettera a Diogneto: non rinnegate nulla del Vangelo in cui credete, ma state in mezzo agli altri uomini con simpatia, comunicando nel vostro stesso stile di vita quell’umanesimo che affonda le sue radici nel Cristianesimo, tesi a costruire insieme a tutti gli uomini di buona volontà una “città” più umana, più giusta e solidale.

Come attesta la lunga tradizione del cattolicesimo in queste regioni, continuate con energia a testimoniare l’amore di Dio anche con la promozione del “bene comune”: il bene di tutti e di ciascuno. Le vostre comunità ecclesiali hanno in genere un rapporto positivo con la società civile e con le diverse Istituzioni. Continuate ad offrire il vostro contributo per umanizzare gli spazi della convivenza civile. Da ultimo, raccomando anche a voi, come alle altre Chiese che sono in Italia, l’impegno a suscitare una nuova generazione di uomini e donne capaci di assumersi responsabilità dirette nei vari ambiti del sociale, in modo particolare in quello politico. Esso ha più che mai bisogno di vedere persone, soprattutto giovani, capaci di edificare una “vita buona” a favore e al servizio di tutti. A questo impegno infatti non possono sottrarsi i cristiani, che sono certo pellegrini verso il Cielo, ma che già vivono quaggiù un anticipo di eternità.

Cari fratelli e sorelle! Ringrazio Dio che mi ha concesso di condividere questo momento così significativo con voi. Vi affido alla Beata Vergine Maria, Madre della Chiesa, e ai vostri Santi Patroni, e imparto con grande affetto la Benedizione Apostolica a tutti voi e ai vostri cari. Grazie per la vostra attenzione.

AMDG et DVM

Le mie prigioni di Silvio Pellico



"Le mie prigioni" è il titolo di un libro di memorie scritto e pubblicato da Silvio Pellico nel Novembre del 1832. In esso è raccontata la dura esperienza carceraria che patì il patriota nativo di Saluzzo, in Piemonte, per dieci anni circa, dal 13 Ottobre del 1820 al 17 Settembre del 1830.

L'opera ottenne uno straordinario successo di pubblico, non soltanto all'interno dei territori della penisola italiana, ma anche all'Estero, in tutta Europa e negli Stati Uniti d'America. In virtù di questo successo Vincenzo Gioberti dedicò al Pellico il trattato del "Primato morale e civile degli Italiani", lo scrittore russo Aleksandr Puškin parlò di lui con ammirazione definendolo un «martire mansueto» e, per restare ai soli casi più significativi, Luigi Filippo, duca d'Orleans e re di Francia dal 1830 al 1848, pensò di affidargli l'educazione del più giovane dei propri figli.

Ma Pellico, che prima dell'arresto era stato precettore di diversi giovani nobili, dopo la scarcerazione preferì ritirarsi nell'ombra, e concluse i propri giorni da bibliotecario al servizio della famiglia del Marchese di Barolo, lontano dagli ardori e dall'impegno di gioventù, che gli erano costati tanto cari.

A lungo considerata un atto d'accusa all'impero austriaco – e in ciò tanto peso avranno le stesse parole del cancelliere di corte dell'impero, Metternich, che riferendosi alla diffusione dell'opera parlò per l'Austria di un danno più grave di una battaglia perduta – e un'opera simbolo del Risorgimento italiano, la narrazione della prigionia di Pellico è stata negli ultimi anni vagliata con maggiore attenzione dalla critica e dalla storia della letteratura, che ne hanno chiarito il reale proponimento, non patriottico e rivendicativo, quanto piuttosto intimistico, religioso, morale.

Pellico ne "Le mie prigioni" voleva infatti fornire un esempio di fede e pazienza, voleva dimostrare come con l'aiuto di Dio, delle Sacre Scritture e della Provvidenza, anche le più dure esperienze potessero essere superate. L'opera dà conto anche dell'evoluzione della personalità del Pellico, della sua edificazione morale. Con uno stile secco ed asciutto, che rifugge tanto dall'invettiva fine a se stessa quanto dal patetismo esasperato, grazie ad un linguaggio capace di aderire alla realtà dei fatti, senza perdersi in ambagi ed ampollosità, Pellico racconta i lunghi anni del carcere, dalla prima detenzione milanese di Santa Margherita, fino al durissimo periodo trascorso nel carcere austriaco dello Spielberg, anni tuttavia allietati dalla tenerezza di quanti saranno al fianco del saluzzese, amici, compagni di prigionia, ma anche alcuni carcerieri, come l'indimenticabile Schiller.

AMDG et DVM

LA VERA CAUSA DELLA CRISI di Ettore Gotti Tedeschi












[Ettore Gotti Tedeschi] Le quattro fasi del declino italiano