lunedì 8 luglio 2019

Papa BENEDETTO XVI

LA SUA VITA

Studi - Joseph Aloisius Ratzinger è nato il 16 aprile 1927, in Baviera, ultimo di tre fratelli. Studia Filosofia e Teologia. Nel 1953 discute la tesi di dottorato su sant’Agostino, nel 1957 ottiene la cattedra di Teologia all’Università di Monaco

Cardinale - Il 27 giugno 1977 papa Paolo VI lo nomina cardinale e nel 1981 papa Giovanni Paolo II (eletto nel 1978) lo nomina prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede 

Pontefice — Viene eletto Papa il secondo giorno del conclave del 2005. Le sue prime parole: «Dopo il grande papa Giovanni Paolo II, i cardinali hanno eletto me, un semplice e umile lavoratore nella vigna del Signore». 


Il tempo libero


Incontrare Dio nelle vacanze



di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI


Nell’epoca moderna il rapporto con il lavoro e le incombenze terrene del vivere si è modificato essenzialmente . Mentre nell’antichità la piena liberazione dalle preoccupazioni terrene per dedicarsi all’ ”ozio a favore della verità” era presentata come la vera e propria condizione ideale di vita, e l’occuparsi di cose terrene appariva perciò come un peso e una deviazione dall’essenziale, l’uomo d’oggi concepisce il servizio al mondo con una specie di fervore religioso. Egli non tiene in alcun conto la fuga dal mondo, e ancor meno stima l’ozio; reputa come possibilità positiva per l’uomo il fatto che questi possa cambiare la fisionomia di questo mondo, far venire a galla le sue potenzialità, migliorare la sua abitabilità (…).

Ora, che cosa fa crescere la abitabilità del mondo? Una volta che tutti gli agi arrecati dalla tecnica hanno toccato il vertice del loro sviluppo, cresce la nostalgia della semplicità di quanto è originario; il mondo che l’uomo ha edificato con le proprie mani, e da cui è circondato da ogni parte, diviene la prigione che lo fa prorompere in un grido di libertà e nell’invocazione del Totalmente Altro (…). 

Ci si rende conto che il tempo libero non sostituisce la calma e che la calma deve essere nuovamente appresa, se il lavoro vuol conservare un senso. Inoltre, ci si rende conto che l’uomo che voglia prendere il mondo totalmente per sé finisce in realtà per distruggere il mondo stesso e il suo proprio spazio vitale, non viene più guardato come fosse una profezia di Cassandra sulle labbra di inguaribili romantici, nemici della tecnica, ma comincia ad essere preso per una realistica valutazione che la tecnica formula riguardo a se stessa.

La concrezione avualitiva della scienza assurge così a incubo e a primo imputato di tutto quanto il suo sviluppo; l’ideologia ha ancora una carta da giocare lì dove non emerge nuovamente con schiettezza il bisogno di sapienza e di contemplazione, e della libertà ulteriore, che da questa promana.

Gli apostoli ritornano dalla loro prima missione, e sono tutti presi da ciò che hanno vissuto e ottenuto. Non sono stanchi di raccontare continuamente i propri successi, e, in effetti, si accende attorno a loro una tale animazione che non trovano neanche più tempo per mangiare, tanta è la gente che va avanti e indietro ininterrottamente. Essi si aspettano forse di essere lodati per il loro zelo, ma Gesù li invita a recarsi con lui in un luogo solitario,dove star soli, per riposarsi.

Io credo che faccia ben vedere per una volta, in un episodio come questo, l’umanità di Gesù, che non sempre proferisce parole di inusitata grandezza né si dà ininterrottamente da fare per sbrigare tutto ciò che da tutte le parti lo preme. Mi immagino addirittura l’espressione del viso di Gesù, quand’egli formula quest’ invito. Mentre gli apostoli si fanno addirittura in quattro, e tralasciano persino di mangiare tanto è il loro zelo e la loro serietà. Gesù li fa scendere dalle nuvole: ora riposatevi un poco! Si avverte l’umorismo discreto e l’amichevole ironia con cui egli li rimette con i piedi per terra.

Proprio in questa umanità di Gesù si rende visibile ciò che di divino vi è in lui, che ci rende manifesto com’è Dio. La frenesia di qualunque tipo – anche lo zelo e la frenesia “religiosi” – è del tutto estranea all’immagine dell’uomo del Nuovo Testamento. Sempre, ogni volta che noi crediamo di essere assolutamente indispensabili; ogni volta che pensiamo che il mondo e la Chiesa dipendano dalla nostra indefessa attività, noi ci sopravvalutiamo. Spesso, allora, sarà un atto di giusta umiltà e di onestà creaturale essere capaci di smettere; riconoscere i nostri limiti; prenderci del tempo libero per respirare e riposare, com’è stabilito per la creatura “uomo”.

Qui non vorrei tessere un elogio della pigrizia, quanto piuttosto suggerire una certa revisione della tavola delle virtù, così com’è stata sviluppata nel mondo occidentale, per il quale solo l’agire vale come atteggiamento legittimo e concepibile, mentre la contemplazione, la meraviglia, il raccoglimento e il silenzio appaiono come comportamenti insostenibili, o perlomeno bisognosi di giustficazione. Così, però, si atrofizzano delle energie umane in verità essenziali.


     In occasione degli scavi archeologici alla ricerca di residue testimonianze degli insediamenti romani nell’Africa settentrionale, nel secolo scorso vene scoperta – sulla piazza del mercato di Fimgad, in Algeria – un’iscrizione del II o del III secolo, su cui era riportato il motto: Cacciare, fare il bagno, giocare, ridere: questa è vita”.

Quest’iscrizione mi torna in mente ogni anno, alla vista di fiume di vacanzieri dirette verso il Sud dell’Europa alla ricerca della “vita”. Quando, un giorno, gli archeologi ritroveranno i manifesti pubblicitari delle nostre agenzie di viaggi e di vacanze, scopriranno un’analoga rappresentazione del vivere.

E’ evidente che la maggior parte delle persone avvertono l’anno trascorso in ufficio, in fabbrica o in qualunque altro luogo di lavoro come una forma di non vita. Nelle ferie noi aspiriamo a essere finalmente liberi , a “vivere”, finalmente.

Fare il bagno, giocare, ridere e scherzare: questa si che è vita!. Questa speranza di distensione, di libertà, di uscita dalle costrizioni della quotidianità è qualcosa di sommamente umano; a fronte dell’incalzante ritmo produttivo del mondo della tecnica, tali pause di respiro sono semplicemente necessarie.

Presupposto tutto ciò, dobbiamo però ammettere che anche in una condizione di maggiore libertà, di maggiore disponibilità di tempo libero i nostri problemi non scompaiono. L’uomo si accorge improvvisamente di non essere più capace di vivere. Egli constata che fare il bagno, giocare, scherzare non significano ancora, in verità, “vivere”.

     La questione dell’impiego del tempo libero e dei periodi di vacanza comincia a diventare oggetto di una vera e propria indagine scientifica specifica. 
    Pensandoci, mi sono ricordato che Tommaso d’Aquino ha dedicato un intero trattato ai mezzi per combattere la tristezza. E’ una testimonianza del suo realismo il fatto che anch’egli annovera tra questi mezzi il fare il bagno, il dormire, lo svago. 
    Già con qualche maggior pretesa, egli aggiunge che, fra gli strumenti in grado di combattere la tristezza, si debba annoverare lo stare insieme con gli amici, che scardina l’isolamento alla radice della nostra insoddisfazione; il tempo libero dovrebbe soprattutto essere anche tempo in cui un uomo si mette a disposizione, in relazione con altri uomini. 
     Da ultimo, per Tommaso appartiene all’ambito di tali antidoti per la tristezza – anche e senza la possibilità di farne a meno – l’avere a che fare con la Verità, cioè con Dio: quella contemplazione del vero, nella quale l’uomo attinge il vivere autentico. Se noi la escludiamo dalla programmazione delle nostre vacanze, allora anche il tempo libero resterà falso e menzognero; e allora anche noi, tutti protesi alla ricerca del vivere perduto, non avremo certo migliore fortuna.

La ricerca di Dio è la camminata in montagna più stimolante e il bagno più vivificante che l’uomo possa trovare. Fare il bagno, giocare, dormire: tutto ciò è materia delle ferie. Ma, con Tommaso d’Aquino, facendo i nostri piani di vacanza dobbiamo contemplare anche la possibilità dell’incontro con Dio, cui ci invitano le nostre belle chiese e le bellezze naturali della creazione di Dio.

Da “Imparare ad amare”. Il cammino di una famiglia cristiana (San Paolo)


AMDG et DVM

Come deve essere chi si accosta al governo delle anime

10 — Come deve essere chi si accosta al governo delle anime (dalla Regola di san Gregorio Magno)
Risultati immagini per san Gregorio Magno)

Pertanto, in tutti i modi deve essere trascinato, a divenire esempio di vita, colui che morendo a tutte le passioni della carne vive ormai spiritualmente; ha posposto a tutto il successo mondano; non teme alcuna avversità; desidera solamente i beni interiori. 

Pienamente conformi alla sua intima disposizione, non lo contrastano né il corpo con la sua debolezza né lo spirito col suo orgoglio. Egli non è condotto a desiderare i beni altrui, ma è largo dei propri. 
Per le sue viscere di misericordia si piega ben presto al perdono ma non deflette dalla più alta rettitudine, passando sopra più di quanto conviene. Non commette nulla di illecito, ma piange come proprio il male commesso dagli altri. 

Compatisce la debolezza altrui con tutto l’affetto del cuore, gioisce dei beni del prossimo come di successi suoi. In tutto ciò che fa si mostra imitabile agli altri, così che con loro non gli avviene di dover arrossire nemmeno per fatti passati. 
Si studia di vivere in modo tale da essere in grado di irrigare, con le acque della dottrina, gli aridi cuori del suo prossimo. 
Attraverso la pratica della preghiera, ha imparato per esperienza che può ottenere da Dio ciò che chiede, lui cui in modo speciale è detto dalla parola profetica: Mentre ancora tu parli, io dirò: Eccomi, sono qui (Is. 58, 9). 

Infatti, se venisse qualcuno a prenderci per condurci come suoi intercessori presso un potente adirato con lui e che, per altro, non conosciamo, noi risponderemmo subito: non possiamo venire ad intercedere perché non sappiamo niente di lui. 

Dunque, se un uomo si vergogna di farsi intercessore presso un altro uomo che non conosce, con quale animo può attribuirsi la funzione di intercedere per il popolo presso Dio, chi non sa di godere la familiarità della sua grazia con la sua condotta di vita? 
O come può chiedergli perdono per gli altri uno che non sa se egli è placato verso di lui? 

A questo proposito, un’altra cosa occorre temere con maggiore sollecitudine, cioè che colui che si crede possa placare l’ira, non la meriti a sua volta a causa del proprio peccato. 
Giacché sappiamo tutti molto bene che se chi viene mandato a intercedere è già sgradito per se stesso, l’animo di chi è irato viene provocato a cose peggiori. 
Pertanto, chi è ancora stretto dai desideri terreni veda di non accendere più gravemente l’ira del Giudice severo e mentre gode del suo luogo di gloria, non divenga autore di rovina per i sudditi. 

AMDG et DVM

Sia viva nel cuore dei Miei cari amici la speranza

Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi


08.07.12


Eletti, amici cari, attendete e sperate: vengo, certo, a voi e 

non deludo la vostra speranza!



Sposa cara, sia viva nel cuore dei Miei cari amici la speranza, anche quando tutto pare crollare intorno. Chi in Me spera non può restare deluso, perché posso ciò che voglio: se apro, nessuno può chiudere; se chiudo, nessuno può aprire. Chi confida in Me deve solo attendere il Mio Tempo ed entrare nella Mia Logica per avere tutto.

Mi dici: “Dolce, Santissimo Gesù, la parte più dura per l’uomo è attendere il Tuo Tempo, perfetto, entrare nella Tua Logica, sublime. Santissimo Amore, ciò che Tu fai scaturisce sempre da Mente sublime e Perfetta; ciò che opera l’uomo da una debole. Neppure sa l’uomo ciò che è bene per lui e, spesso, è tale da non saper distinguere la mano destra dalla sinistra. Tu sai ogni cosa, Tu, Gesù, conosci ogni cuore e nulla Ti sfugge, ecco perché agisci, spesso, in modo incomprensibile, sempre secondo il meglio per l’uomo.

Sposa cara, bene hai compreso, perché la Mia Luce è in te, piccola Mia. Ogni volta che prendo una decisione, penso al massimo bene per l’uomo; se anche essa è dolorosa, per lui vuole il massimo suo bene, sempre, sempre. Si capisca questo: da Me, Dio, non viene alcun male, ma solo Bene; Io, Io, Dio, sono il Bene, sempre Bene, solo Bene!

Mi dici: “Dolce, Santissimo Amore, chi Ti ama e vive nel Tuo Oceano, sublime, di Dolcezza, capisce ogni cosa che avviene nella sua vita; piega la testa, quando tutto va male, e Ti benedice, dicendo: “Dio d’Amore e Tenerezza, non capisco, ma di Te mi fido, pienamente. Tutto sta crollando, ma so, per certo, che Tu non mi abbandoni, perché sei l’Amore, solo Amore, sempre Amore”. Così pensa chi ha in Te piena e totale fiducia. Tu vedi la sua umiltà e lo avvolgi con la Tua Misericordia, lo permei di essa.

Sposa amata, il segreto della felicità è confidare in Me, pienamente e sempre, non solo quando tutto va bene, ma, soprattutto, quando tutto va male. Può la madre amorosa dimenticarsi del piccolo suo che piange nella culla? No, certo! Posso Io, Io, Dio, Creatore, Salvatore, Spirito d’Amore, dimenticarMi della Mia amata e prediletta creatura? No, certo! Mai lo faccio, mai l’ho fatto, mai lo farò! Speri in Me ogni uomo, speri in Me: forse dovrà aspettare un po’, ma vedrà divenire il suo gemito gioia, perché, sposa amata, Io, Io, Gesù, voglio la Gioia e mai il dolore. Esso è la conseguenza del peccato; lo concedo, come Dono, per la purificazione dell’anima. Pensa alla Mia vita terrena. Quante volte ho detto ad un malato: va’, ti sono perdonati i tuoi peccati? Insieme al Perdono, l’uomo aveva la guarigione del corpo. Questo dovrebbe far riflettere a lungo, sposa cara; ma credi che gli uomini del terzo millennio leggano il Vangelo, riflettano sulle Mie Parole per capire? Non lo fanno! Sposa cara, non lo fanno! Non si pentono dei loro peccati e non supplicano la Mia Misericordia; quindi, non la ottengono! Sposa cara, le malattie tutte hanno origine dal peccato. Esso è la causa di tutti i mali di ogni tempo non solo il proprio peccato, ma anche quello altrui. In una società, affondata nel peccato sociale, le sofferenze sono grandi ed in crescendo, il dolore è un fiume melmoso che scorre in ogni angolo.

Mi dici: “Amore Santissimo, questo l’ho ben compreso e capisco che l’Umanità può uscire da questo tunnel di morte, solo cogliendo le Grazie che scendono, copiose, dal Tuo Cuore, sublimissimo. Dolce Gesù, non cessi il flusso salvifico, ma continui a scendere perché ognuno colga il Tuo Dono e si salvi.

Sposa cara, rallegra il tuo piccolo cuore, perché le Grazie scendono fino alla fine del mondo, come un fiume che non conosce secca.
Mi dici: “Adorato, Adorato, Adorato, sia Tu sempre benedetto! Viva ogni cuore per adorarTi e ringraziarTi!
Sposa cara, resta stretta a Me, Gesù, e godi le Delizie del Mio Amore. Ti amo.
                                                                                  Vi amo.

                                                                                              Gesù


Opera scritta dalla Divina Sapienza per gli eletti degli ultimi tempi


08.07.12


La Mamma parla agli eletti



Figli cari e tanto amati, apro le Mie Braccia e vi accolgo tutti. Venite a Me e vi prometto la felicità con Mio Figlio: solo da Lui la potete avere! Figli amati, le sofferenze sono passeggere e, se percorrete la strada di Luce con Me, sono cosa di breve durata. Vi chiedo di fermare il pensiero sull’eternità. Pensate tutti, a lungo, all’eternità, come la volete? Fate bene le vostre scelte, tutte secondo la Volontà di Dio, tutte, tutte e, poi, siate nella gioia, perché il vostro futuro sarà bellissimo con Gesù. Uniamo i cuori per adorarLo dal profondo dell’anima. Vi amo tutti.
Ti amo, angelo Mio.

                                                                                              Maria Santissima

7-7-2007---7-7-2019: 12mo anniversario della Lettera Apostolica di SUA SANTITA' BENEDETTO XVI "Motu Proprio Data" SUMMORUM PONTIFICUM

LETTERA APOSTOLICA
DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI


"MOTU PROPRIO DATA"
SUMMORUM PONTIFICUM

I Sommi Pontefici fino ai nostri giorni ebbero costantemente cura che la Chiesa di Cristo offrisse alla Divina Maestà un culto degno, “a lode e gloria del Suo nome” ed “ad utilità di tutta la sua Santa Chiesa”.

Da tempo immemorabile, come anche per l’avvenire, è necessario mantenere il principio secondo il quale “ogni Chiesa particolare deve concordare con la Chiesa universale, non solo quanto alla dottrina della fede e ai segni sacramentali, ma anche quanto agli usi universalmente accettati dalla ininterrotta tradizione apostolica, che devono essere osservati non solo per evitare errori, ma anche per trasmettere l’integrità della fede, perché la legge della preghiera della Chiesa corrisponde alla sua legge di fede” [1].

Tra i Pontefici che ebbero tale doverosa cura eccelle il nome di san Gregorio Magno, il quale si adoperò perché ai nuovi popoli dell’Europa si trasmettesse sia la fede cattolica che i tesori del culto e della cultura accumulati dai Romani nei secoli precedenti. Egli comandò che fosse definita e conservata la forma della sacra Liturgia, riguardante sia il Sacrificio della Messa sia l’Ufficio Divino, nel modo in cui si celebrava nell’Urbe. Promosse con massima cura la diffusione dei monaci e delle monache, che operando sotto la regola di san Benedetto, dovunque unitamente all’annuncio del Vangelo illustrarono con la loro vita la salutare massima della Regola: “Nulla venga preposto all’opera di Dio” (cap. 43). In tal modo la sacra Liturgia celebrata secondo l’uso romano arricchì non solo la fede e la pietà, ma anche la cultura di molte popolazioni. Consta infatti che la liturgia latina della Chiesa nelle varie sue forme, in ogni secolo dell’età cristiana, ha spronato nella vita spirituale numerosi Santi e ha rafforzato tanti popoli nella virtù di religione e ha fecondato la loro pietà.

Molti altri Romani Pontefici, nel corso dei secoli, mostrarono particolare sollecitudine a che la sacra Liturgia espletasse in modo più efficace questo compito: tra essi spicca s. Pio V, il quale sorretto da grande zelo pastorale, a seguito dell’esortazione del Concilio di Trento, rinnovò tutto il culto della Chiesa, curò l’edizione dei libri liturgici, emendati e “rinnovati secondo la norma dei Padri” e li diede in uso alla Chiesa latina.

Tra i libri liturgici del Rito romano risalta il Messale Romano, che si sviluppò nella città di Roma, e col passare dei secoli a poco a poco prese forme che hanno grande somiglianza con quella vigente nei tempi più recenti.

“Fu questo il medesimo obbiettivo che seguirono i Romani Pontefici nel corso dei secoli seguenti assicurando l’aggiornamento o definendo i riti e i libri liturgici, e poi, all’inizio di questo secolo, intraprendendo una riforma generale” [2]
Così agirono i nostri Predecessori Clemente VIII, Urbano VIII, san Pio X [3]Benedetto XVPio XII e il B. Giovanni XXIII.

Nei tempi più recenti, il Concilio Vaticano II espresse il desiderio che la dovuta rispettosa riverenza nei confronti del culto divino venisse ancora rinnovata e fosse adattata alle necessità della nostra età. Mosso da questo desiderio, il nostro Predecessore, il Sommo Pontefice Paolo VI, nel 1970 per la Chiesa latina approvò i libri liturgici riformati e in parte rinnovati. Essi, tradotti nelle varie lingue del mondo, di buon grado furono accolti da Vescovi, sacerdoti e fedeli. Giovanni Paolo II rivide la terza edizione tipica del Messale Romano. Così i Romani Pontefici hanno operato “perché questa sorta di edificio liturgico [...] apparisse nuovamente splendido per dignità e armonia” [4].

Ma in talune regioni non pochi fedeli aderirono e continuano ad aderire con tanto amore ed affetto alle antecedenti forme liturgiche, le quali avevano imbevuto così profondamente la loro cultura e il loro spirito, che il Sommo Pontefice Giovanni Paolo II, mosso dalla cura pastorale nei confronti di questi fedeli, nell’anno 1984 con lo speciale indulto “Quattuor abhinc annos”, emesso dalla Congregazione per il Culto Divino, concesse la facoltà di usare il Messale Romano edito dal B. Giovanni XXIII nell’anno 1962; nell’anno 1988 poi Giovanni Paolo II di nuovo con la Lettera Apostolica “Ecclesia Dei”, data in forma di Motu proprio, esortò i Vescovi ad usare largamente e generosamente tale facoltà in favore di tutti i fedeli che lo richiedessero.

A seguito delle insistenti preghiere di questi fedeli, a lungo soppesate già dal Nostro Predecessore Giovanni Paolo II, e dopo aver ascoltato Noi stessi i Padri Cardinali nel Concistoro tenuto il 22 marzo 2006, avendo riflettuto approfonditamente su ogni aspetto della questione, dopo aver invocato lo Spirito Santo e contando sull’aiuto di Dio, con la presente Lettera Apostolica stabiliamo quanto segue:

Art. 1. Il Messale Romano promulgato da Paolo VI è la espressione ordinaria della “lex orandi” (“legge della preghiera”) della Chiesa cattolica di rito latino. Tuttavia il Messale Romano promulgato da S. Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve venir considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico. Queste due espressioni della “lex orandi” della Chiesa non porteranno in alcun modo a una divisione nella “lex credendi” (“legge della fede”) della Chiesa; sono infatti due usi dell’unico rito romano.
Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa. Le condizioni per l’uso di questo Messale stabilite dai documenti anteriori “Quattuor abhinc annos” e “Ecclesia Dei”, vengono sostituite come segue:

Art. 2. Nelle Messe celebrate senza il popolo, ogni sacerdote cattolico di rito latino, sia secolare sia religioso, può usare o il Messale Romano edito dal beato Papa Giovanni XXIII nel 1962, oppure il Messale Romano promulgato dal Papa Paolo VI nel 1970, e ciò in qualsiasi giorno, eccettuato il Triduo Sacro. Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.

Art. 3. Le comunità degli Istituti di vita consacrata e delle Società di vita apostolica, di diritto sia pontificio sia diocesano, che nella celebrazione conventuale o “comunitaria” nei propri oratori desiderano celebrare la Santa Messa secondo l’edizione del Messale Romano promulgato nel 1962, possono farlo. Se una singola comunità o un intero Istituto o Società vuole compiere tali celebrazioni spesso o abitualmente o permanentemente, la cosa deve essere decisa dai Superiori maggiori a norma del diritto e secondo le leggi e gli statuti particolari.

Art. 4. Alle celebrazioni della Santa Messa di cui sopra all’art. 2, possono essere ammessi – osservate le norme del diritto – anche i fedeli che lo chiedessero di loro spontanea volontà.

Art. 5. 
§ 1. Nelle parrocchie, in cui esiste stabilmente un gruppo di fedeli aderenti alla precedente tradizione liturgica, il parroco accolga volentieri le loro richieste per la celebrazione della Santa Messa secondo il rito del Messale Romano edito nel 1962. Provveda a che il bene di questi fedeli si armonizzi con la cura pastorale ordinaria della parrocchia, sotto la guida del Vescovo a norma del can. 392, evitando la discordia e favorendo l’unità di tutta la Chiesa.

§ 2. La celebrazione secondo il Messale del B. Giovanni XXIII può aver luogo nei giorni feriali; nelle domeniche e nelle festività si può anche avere una celebrazione di tal genere.

§ 3. Per i fedeli e i sacerdoti che lo chiedono, il parroco permetta le celebrazioni in questa forma straordinaria anche in circostanze particolari, come matrimoni, esequie o celebrazioni occasionali, ad esempio pellegrinaggi.

§ 4. I sacerdoti che usano il Messale del B. Giovanni XXIII devono essere idonei e non giuridicamente impediti.

§ 5. Nelle chiese che non sono parrocchiali né conventuali, è compito del Rettore della chiesa concedere la licenza di cui sopra.

Art. 6. Nelle Messe celebrate con il popolo secondo il Messale del B. Giovanni XXIII, le letture possono essere proclamate anche nella lingua vernacola, usando le edizioni riconosciute dalla Sede Apostolica.

Art. 7. Se un gruppo di fedeli laici fra quelli di cui all’art. 5 § 1 non abbia ottenuto soddisfazione alle sue richieste da parte del parroco, ne informi il Vescovo diocesano. Il Vescovo è vivamente pregato di esaudire il loro desiderio. Se egli non può provvedere per tale celebrazione, la cosa venga riferita alla Commissione Pontificia “Ecclesia Dei”.

Art. 8. Il Vescovo, che desidera rispondere a tali richieste di fedeli laici, ma per varie cause è impedito di farlo, può riferire la questione alla Commissione “Ecclesia Dei, perché gli offra consiglio e aiuto.

Art. 9 § 1. Il parroco, dopo aver considerato tutto attentamente, può anche concedere la licenza di usare il rituale più antico nell’amministrazione dei sacramenti del Battesimo, del Matrimonio, della Penitenza e dell’Unzione degli infermi, se questo consiglia il bene delle anime.

§ 2. Agli Ordinari viene concessa la facoltà di celebrare il sacramento della Confermazione usando il precedente antico Pontificale Romano, qualora questo consigli il bene delle anime.
§ 3. Ai chierici costituiti “in sacris” è lecito usare il Breviario Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962.

Art. 10. L’Ordinario del luogo, se lo riterrà opportuno, potrà erigere una parrocchia personale a norma del can. 518 per le celebrazioni secondo la forma più antica del rito romano, o nominare un cappellano, osservate le norme del diritto.

Art. 11. La Pontificia Commissione “Ecclesia Dei”, eretta da Giovanni Paolo II nel 1988 [5], continua ad esercitare il suo compito.
Tale Commissione abbia la forma, i compiti e le norme, che il Romano Pontefice le vorrà attribuire.

Art. 12. La stessa Commissione, oltre alle facoltà di cui già gode, eserciterà l’autorità della Santa Sede vigilando sulla osservanza e l’applicazione di queste disposizioni.
Tutto ciò che da Noi è stato stabilito con questa Lettera Apostolica data a modo di Motu proprio, ordiniamo che sia considerato come “stabilito e decretato” e da osservare dal giorno 14 settembre di quest’anno, festa dell’Esaltazione della Santa Croce, nonostante tutto ciò che possa esservi in contrario.

Dato a Roma, presso San Pietro, il 7 luglio 2007, anno terzo del nostro Pontificato.

BENEDICTUS PP. XVI

[1] Ordinamento generale del Messale Romano, 3aed., 2002, n. 397.
[2] Giovanni Paolo II, Lett. ap. Vicesimus quintus annus, 4 dicembre 1988, 3:AAS81 (1989), 899.
[3] Ibid.
[4] S. Pio X, Lett. ap. Motu propio data, Abhinc duos annos, 23 ottobre 1913:AAS5 (1913), 449-450; cfr Giovanni Paolo II, lett. ap.Vicesimus quintus annus, n. 3:AAS81 (1989), 899.
[5] Cfr Giovanni Paolo II, Lett. ap. Motu proprio data Ecclesia Dei, 2 luglio 1988, 6: AAS80 (1988), 1498.

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AMDG et DVM

sabato 6 luglio 2019

Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane.

VOLUME III 

CAPITOLO 171



CLXXI. Terzo discorso della Montagna: i consigli evangelici che perfezionano la Legge. 

  25 maggio 1945
 1 Continua il discorso del Monte.
   Il luogo e l'ora sono sempre gli stessi. La gente è ancora più aumentata. In un angolo, presso un sentiero, come volesse udire ma non eccitare ripugnanze fra la folla, è un romano. Lo distinguo per la veste corta e il mantello diverso. Ancora vi sono Stefano ed Erma.
   E Gesù va lentamente al suo posto e riprende a parlare. 
   «Con quanto vi ho detto ieri non dovete giungere al pensiero che Io sia venuto per abolire la Legge. No. Solo, poiché sono l'Uomo e comprendo le debolezze dell'uomo, Io ho voluto rincuorarvi a seguirla col dirigere il vostro occhio spirituale non all'abisso nero, ma all'Abisso luminoso. Perché, se la paura di un castigo può trattenere tre volte su dieci, la certezza di un premio slancia sette volte su dieci. Perciò più che la paura fa la fiducia. Ed Io voglio che voi l'abbiate piena, sicura, per potere fare non sette parti di bene su dieci, ma dieci parti su dieci e conquistare questo premio santissimo del Cielo.

   Io non muto un iota della Legge. E chi l'ha data fra i fulmini del Sinai? L'Altissimo.
   Chi è l'Altissimo? Il Dio uno e trino.
   Da dove l'ha tratta? Dal suo Pensiero.
   Come l'ha data? Con la sua Parola.
   Perché l'ha data? Per il suo Amore.

   Vedete dunque che la Trinità era presente. Ed il Verbo, ubbidiente come sempre al Pensiero e all'Amore, parlò per il Pensiero e per l'Amore.

   Potrei smentire Me stesso? Non potrei. Ma posso, poiché tutto Io posso, completare la Legge, farla divinamente completa, non quale la fecero gli uomini che durante i secoli non la fecero completa ma soltanto indecifrabile, inadempibile, sovrapponendo leggi e precetti, e precetti e leggi, tratti dal loropensiero, secondo il loro utile, e gettando tutta questa macia a lapidare e soffocare, a sotterrare e sterilire la Legge santissima data da Dio. Può una pianta sopravvivere se la sommergono per sempre valanghe, macerie e innondazioni? No. La pianta muore. La Legge è morta in molti cuori, soffocata sotto le valanghe di troppe soprastrutture. Io sono venuto a levarle tutte e, disseppellita la Legge, risuscitata la Legge, ecco che Io la faccio non più legge ma regina.

 2 Le regine promulgano le leggi. Le leggi sono opera delle regine, ma non sono da più delle regine. Io invece faccio della Legge la regina: la completo, l'incorono, mettendo sul suo sommo il serto dei consigli evangelici. Prima era l'ordine. Ora è più dell'ordine. Prima era il necessario. Ora è più del necessario. Ora è la perfezione. Chi la disposa, così come Io ve la dono, all'istante è re perché ha raggiunto il "perfetto", perché non è stato soltanto ubbidiente ma eroico, ossia santo, essendo la santità la somma delle virtù portate al vertice più alto che possa esser raggiunto da creatura, eroicamente amate e servite col distacco completo da tutto quanto è appetito e riflessione umana verso qual che sia cosa. Potrei dire che il santo è colui al quale l'amore e il desiderio fanno da ostacolo ad ogni altra vista che Dio non sia. Non distratto da viste inferiori, egli ha le pupille del cuore ferme nello Splendore Ss. che è Dio e nel quale vede, poiché tutto è in Dio, agitarsi i fratelli e tendere le mani supplici. E senza staccare gli occhi da Dio, il santo si effonde ai fratelli supplicanti. Contro la carne, contro le ricchezze, contro le comodità, egli drizza il suo ideale: servire. Povero il santo? Menomato? No. E’ giunto a possedere la sapienza e la ricchezza vere. Possiede perciò tutto. Né sente fatica perché, se è vero che è un produttore continuo, è pur anche vero che è un nutrito di continuo. Perché, se è vero che comprende il dolore del mondo, è anche vero che si pasce della letizia del Cielo. Di Dio si nutre, in Dio si allieta. È la creatura che ha compreso il senso della vita.

   Come vedete, Io non muto e non mutilo la Legge, come non la corrompo con le sovrapposizioni di fermentanti teorie umane. Ma la completo. Essa è quello che è, e tale sarà fino all'estremo giorno, senza che se ne muti una parola o se ne levi un precetto. Ma è incoronata del perfetto. Per avere salute basta accettarla così come fu data. Per avere immediata unità con Dio occorre viverla come Io la consiglio. Ma poiché gli eroi sono l'eccezione, Io parlerò per le anime comuni, per la massa delle anime, acciò non si dica che per volere il perfetto rendo ignoto il necessario. Però di quanto dico ritenete bene questo: colui che si permette di violare uno fra i minimi di questi comandamenti sarà tenuto minimo nel Regno dei Cieli. E colui che indurrà altri a violarli sarà ritenuto minimo per lui e per colui che egli indusse alla violazione. Mentre colui che con la vita e le opere, più ancora che con la parola, avrà persuaso altri all'ubbidienza, costui grande sarà nel Regno dei Cieli, e la sua grandezza si aumenterà per ognuno di quelli che egli avrà portato ad ubbidire e a santificarsi così. 

 3 Io so che ciò che sto per dire sarà agro alla lingua di molti. Ma Io non posso mentire anche se la verità che sto per dire mi farà dei nemici.
   In verità vi dico che se la vostra giustizia non si ricreerà, distaccandosi completamente dalla povera e ingiustamente definita giustizia che vi hanno insegnata scribi e farisei; che se non sarete molto più, e veramente, giusti dei farisei e scribi, che credono esserlo con l'aumentare delle formule ma senza mutazione sostanziale degli spiriti, voi non entrerete nel Regno dei Cieli.

   Guardatevi dai falsi profeti e dai dottori d'errore. Essi vengono a voi in veste d'agnelli e lupi rapaci sono, vengono in veste di santità e sono derisori di Dio, dicono di amare la verità e si pascono di menzogne. Studiateli prima di seguirli.

   L'uomo ha la lingua e con questa parla, ha gli occhi e con questi guarda, ha le mani e con esse accenna. Ma ha un'altra cosa che testimonia con più verità del suo vero essere: ha i suoi atti. E che volete che sia un paio di mani congiunte in preghiera se poi l'uomo è ladro e fornicatore? E che due occhi che volendo fare gli ispirati si stravolgono in ogni senso, se poi, cessata l'ora della commedia, si sanno fissare ben avidi sulla femmina, o sul nemico, per lussuria o per omicidio? E che volete che sia la lingua che sa zufolare la bugiarda canzone delle lodi e sedurvi con i suoi detti melati, mentre poi alle vostre spalle vi calunnia ed è capace di spergiurare pur di farvi passare per gente spregevole? Che è la lingua che fa lunghe orazioni ipocrite e poi veloce uccide la stima del prossimo o seduce la sua buona fede? Schifo è! Schifo sono gli occhi e le mani menzognere.

   Ma gli atti dell'uomo, i veri atti, ossia il suo modo di comportarsi in famiglia, nel commercio, verso il prossimo ed i servi, ecco quello che testimoniano: "Costui è un servo del Signore". Perché le azioni sante sono frutto di una vera religione. Un albero buono non dà frutti malvagi e un albero malvagio non dà frutti buoni. Questi pungenti roveti potranno mai darvi uva saporita? E quegli ancora più tribolanti cardi potranno mai maturarvi morbidi fichi? No, che in verità poche e aspre more coglierete dai primi e immangiabili frutti verranno da quei fiori, spinosi già pur essendo ancora fiori. L'uomo che non è giusto potrà incutere rispetto con l'aspetto, ma con quello solo. Anche quel piumoso cardo sembra un fiocco di sottili fili argentei che la rugiada ha decorato di diamanti. Ma se inavvertitamente lo toccate, vedete che fiocco non è, ma mazzo di aculei, penosi all'uomo, nocivi alle pecore, per cui i pastori lo sterpano dai loro pascoli e lo gettano a perire nel fuoco acceso nella notte perché neppure il seme si salvi. Giusta e previdente misura. Io non vi dico: "Uccidete i falsi profeti e gli ipocriti fedeli". Anzi vi dico: "Lasciatene a Dio il compito". Ma vi dico: "Fate attenzione, scostatevene per non intossicarvi dei loro succhi".

 4 Come debba essere amato Dio, ieri l'ho detto. Insisto a come debba essere amato il prossimo.
   Un tempo era detto: "Amerai il tuo amico e odierai il tuo nemico" No. Non così. Questo è buono per i tempi in cui l'uomo non aveva il conforto del sorriso di Dio. Ma ora vengono i tempi nuovi, quelli in cui Dio tanto ama l'uomo da mandargli il suo Verbo per redimerlo. Ora il Verbo parla. Ed è già Grazia che si effonde. Poi il Verbo consumerà il sacrificio di pace e di redenzione e la Grazia non solo sarà effusa, ma sarà data ad ogni spirito credente nel Cristo. Perciò occorre innalzare l'amore di prossimo a perfezione che unifica l'amico al nemico.
   Siete calunniati? Amate e perdonate. Siete percossi? Amate e porgete l'altra guancia a chi vi schiaffeggia pensando che è meglio che l'ira si sfoghi su voi, che la sapete sopportare, anziché su un altro che si vendicherebbe dell'affronto. Siete derubati? Non pensate: "Questo mio prossimo è un avido", ma pensate caritativamente: "Questo mio povero fratello è bisognoso" e dategli anche la tunica se già vi ha levato il mantello. Lo metterete nella impossibilità di fare un doppio furto perché non avrà più bisogno di derubare un altro della tunica.
   Voi dite: "Ma potrebbe essere vizio e non bisogno". Ebbene, date ugualmente. Dio ve ne compenserà e l'iniquo ne sconterà. Ma molte volte, e ciò richiama quanto ho detto ieri sulla mansuetudine, vedendosi così trattato, cade dal cuore del peccatore il suo vizio, ed egli si redime giungendo a riparare il furto col rendere la preda.
   Siate generosi con coloro che, più onesti, vi chiedono, anziché derubarvi, ciò di cui abbisognano. Se i ricchi fossero realmente poveri di spirito come ho insegnato ieri, non vi sarebbero le penose disuguaglianze sociali, cause di tante sventure umane e sovrumane. Pensate sempre: "Ma se io fossi nel bisogno, che effetto mi farebbe la ripulsa di un aiuto?", e in base alla risposta del vostro io agite. Fate agli altri ciò che vorreste vi fosse fatto e non fate agli altri ciò che non vorreste fatto a voi.

   L'antica parola: "Occhio per occhio, dente per dente", che non è nei dieci comandi ma che è stata messa perché l'uomo privo della Grazia è tal belva che non può che comprendere la vendetta, è annullata, questa sì che è annullata, dalla nuova parola: "Ama chi ti odia, prega per chi ti perseguita, giustifica chi ti calunnia, benedici chi ti maledice, benefica chi ti fa danno, sii pacifico col rissoso, condiscendente con chi ti è molesto, soccorri di buon grado chi a te ricorre e non fare usura, non criticare, non giudicare". Voi non sapete gli estremi delle azioni degli uomini. In tutti i generi di soccorso siate generosi, misericordiosi siate. Più darete più vi sarà dato, e una misura colma e premuta sarà versata da Dio in grembo a chi fu generoso. Dio non solo vi darà per quanto avete dato, ma più e più ancora. Cercate di amare e di farvi amare. Le liti costano più di un accomodamento amichevole e la buona grazia è come un miele che a lungo resta col suo sapore sulla lingua.

 5 Amate, amate! Amate amici e nemici per essere simili al Padre vostro che fa piovere sui buoni e sui cattivi e fa scendere il sole sui giusti e sugli ingiusti riservandosi di dare sole e rugiade eterne, e fuoco e grandine infernali, quando i buoni saranno scelti, come elette spighe, fra i covoni del raccolto. Non basta amare coloro che vi amano e dai quali sperate un contraccambio. Questo non è un merito, è una gioia, e anche gli uomini naturalmente onesti lo sanno fare. Anche i pubblicani lo fanno e anche i gentili. Ma voi amate a somiglianza di Dio e amate per rispetto a Dio, che è Creatore anche di quelli che vi sono nemici o poco amabili. Io voglio in voi la perfezione dell'amore e perciò vi dico: "Siate perfetti come perfetto è il Padre vostro che è nei Cieli.

   Tanto è grande il precetto d'amore verso il prossimo, il perfezionamento del precetto d'amore verso il prossimo, che Io più non vi dico come era detto: "Non uccidete", perché colui che uccide sarà condannato dagli uomini. Ma vi dico: "Non vi adirate" perché un più alto giudizio è su voi e calcola anche le azioni immateriali. Chi avrà insultato il fratello sarà condannato dal Sinedrio. Ma chi lo avrà trattato da pazzo, e perciò danneggiato, sarà condannato da Dio. Inutile fare offerte all'altare se prima non si è sacrificato nell'interno del cuore i propri rancori per amore di Dio e non si è compito il rito santissimo del saper perdonare. Perciò se quando stai per offrire a Dio tu ti sovvieni di avere mancato verso il tuo fratello o di avere in te rancore per una sua colpa, lascia la tua offerta davanti all'altare, fa' prima l'immolazione del tuo amor proprio, riconciliandoti col tuo fratello, e poi vieni all'altare, e santo sarà allora, solo allora, il tuo sacrificio. Il buon accordo è sempre il migliore degli affari. Precario è il giudizio dell'uomo, e chi ostinato lo sfida potrebbe perdere la causa e dovere pagare all'avversario fino all'ultima moneta o languire in prigione. Alzate in tutte le cose lo sguardo a Dio. Interrogatevi dicendo: "Ho io il diritto di fare ciò che Dio non fa con me?". Perché Dio non è così inesorabile e ostinato come voi siete. Guai a voi se lo fosse! Non uno si salverebbe. Questa riflessione vi induca a sentimenti miti, umili, pietosi. E allora non vi mancherà da parte di Dio, qui e oltre, la ricompensa.

 6 Qui, a Me davanti, è anche uno che mi odia e che non osa dirmi: "Guariscimi", perché sa che Io so i suoi pensieri. Ma Io dico: "Sia fatto ciò che tu vuoi. E come ti cadono le scaglie dagli occhi così ti cadano dal cuore il rancore e le tenebre".
   Andate tutti con la mia pace. Domani ancora vi parlerò». 
   La gente sfolla lentamente, forse in attesa di un grido di miracolo che non viene. Anche gli apostoli e i discepoli più antichi, che restano sul monte, chiedono: «Ma chi era? Non è guarito forse?» e insistono presso il Maestro che è rimasto in piedi, a braccia conserte, a veder scendere la gente. 
Ma Gesù sulle prime non risponde; poi dice: «Gli occhi sono guariti. L'anima no. Non può perché è carica di odio». 
   «Ma chi è? Quel romano forse?». 
   «No. Un disgraziato».
   «Ma perché lo hai guarito, allora? » chiede Pietro. 
   «Dovrei fulminare tutti i suoi simili?». 
   «Signore... io so che Tu non vuoi che dica: "sì ", e perciò non lo dico.. - ma lo penso.. - ed è lo stesso...»   
   «E’ lo stesso, Simone di Giona. Ma sappi che allora... Oh! quanti cuori pieni di scaglie d'odio intorno a Me! Vieni. Andiamo proprio là in cima, a guardare dall'alto il nostro bel mare di Galilea. Io e te soli».