giovedì 16 maggio 2019

Barbaforte: o rafano rusticano

Barbaforte: proprietà benefiche e usi in cucina del rafano rusticano
La barbaforte (Armoracia rusticana) è una pianta erbacea perenne appartenente alla famiglia delle Crucifere. È conosciuta anche con altri nomi, come rafano rusticano o rafano tedesco oppure ancora cren.
Possiede notevoli proprietà terapeutiche ed è diffusamente impiegata in cucina per il suo particolare gusto. La radice si usa cruda, grattugiata oppure se ne ricava una gustosa salsa.

Barbaforte pianta

Questa pianta rustica perenne fiorisce in estate. Essa produce fiori piccoli e bianchi e presenta grandi foglie ruvide. Cresce in terreni asciutti e fertili ed è originaria delle zone dell’Europa Orientale.
Viene coltivata anche in Europa, America del Nord e Asia occidentale soprattutto per ricavarne una salsa. In Italia è diffusa in particolar modo in Trentino Alto Adige e in alcune regioni meridionali.
La varietà asiatica usata in Giappone è verde e impiegata per ottenere il wasabi con cui accompagnare il sushi. La varietà di colore marroncino, invece, internamente possiede una polpa biancastra e ha un odore abbastanza neutro.
Tagliata e schiacciata, invece, presenta un gusto dolce e leggermente piccante con intense note aromatiche e balsamiche. Il sapore pungente tipico della radice è dovuto alla presenza di un olio essenziale in essa contenuto.
Quando la si grattugia sprigiona un’essenza molto piccante in grado di provocare irritazione delle mucose e lacrimazione.
barbaforte
Barbaforte: la radice della pianta contiene un olio essenziale responsabile del suo gusto pungente e leggermente piccante.

Barbaforte valori nutrizionali

Anche nella tradizione popolare sono riconosciute numerose proprietà terapeutiche a questo particolare tubero. Dal punto di vista nutrizionale è essenzialmente formato da acqua e da un’abbondante quantità di fibre. Presenta un’elevata concentrazione di vitamine, in particolare del gruppo B1 e C.
Aiuta in questo modo a rafforzare il sistema immunitario. Contiene anche numerosi sali minerali, tra cui soprattutto zolfo, potassio, fosforo, ferro, silicio e cloro. I componenti più importanti di questo tubero sono i glucosinati, sostanze inodori e insapori. Queste però si trasformano in isotiocianati, in grado di attribuire il tipico sapore pungente e piccante del cren.

Barbaforte proprietà

Innanzitutto questa pianta possiede importanti proprietà antibatteriche grazie ad un glucosinato, la sinigrina, contenuta anche nella senapeIl rafano rusticano presenta, inoltre, virtù espettoranti e depurative. Per questo si rivela utile come rimedio naturale per alleviare i sintomi in caso di bronchiti o altre affezioni dell’apparato respiratorio.
Permette anche di ottenere benefici sulla circolazione sanguigna e ha efficacia analgesica su dolori muscolari e artrite. Utile anche per problemi a carico dell’apparato digerente, favorisce la produzione della bile e stimola la digestione.
Come potente stimolante gastrico aiuta anche a combattere il senso di inappetenza. Esercita, inoltre, un’azione diuretica stimolando la produzione di urina. La pianta, infine, è utile anche per uso esterno in caso di irritazioni della pelle o eczemi e scottature.

Barbaforte controindicazioni

Il consumo del rafano è sconsigliato per le donne in gravidanza o in fase di allattamento e per i bambini. Meglio evitarne l’assunzione anche in caso di gastriti, ulcere e patologie a carico delle vie urinarie. In generale, un consumo eccessivo rischia di provocare irritazione alle mucose.
Anche chi soffre di compromissioni renali dovrebbe farne un uso molto moderato. Si tratta, inoltre, di un alimento poco idoneo per soggetti affetti da una condizione di ipotiroidismo. Le sostanze presenti nella radice potrebbero, infatti, ulteriormente compromettere la funzionalità della tiroide.
Per l’uso esterno, infine, è sempre opportuno valutare preventivamente un’eventuale ipersensibilità individuale. Alcune sostanze presenti nella pianta rischiano di produrre effetti collaterali. In particolare possono presentarsi nausea, mal di testa o bruciore agli occhi.

Barbaforte: dove si compra?

Non sempre facilmente reperibile in Italia, questo tubero si trova in commercio anche come sott’aceto. Presente soprattutto nella tradizione gastronomica del Triveneto e della Basilicata, è stato a lungo poco conosciuto.

Ricette con la barbaforte

Questo tubero non è conosciuto in tutta Italia ma è tipico delle tradizioni gastronomiche di alcune regioni. In generale, la radice del rafano può essere consumata sia fresca oppure grattugiata per ottenerne una salsa. La radice fresca, tagliata alla julienne, può essere utilizzata come ingrediente da aggiungere alle insalate.
barbaforte
Barbaforte: può essere affettato e aggiunto alle insalate o inserito nelle minestre come condimento.
Può essere anche usata per accompagnare patate, legumi o per il condimento di minestre. Il rafano può essere grattugiato e mescolato con aceto e pangrattato per ottenere la salsa di cren. Quest’ultima viene impiegata soprattutto per accompagnare secondi a base di carne o arrosti.
AMDG et DVM

Te Deum + Omelia IV di san Bernardo



OMELIA IV


1. Non v’è dubbio che tutto ciò che diciamo a lode della Madre, appartiene anche al Figlio, e viceversa, quando onoriamo il Figlio non smettiamo di glorificare la Madre. Poiché se, secondo Salomone, il figlio saggio è gloria del padre (Pr 13, 1), quanto è maggiormente glorioso diventare la madre della stessa Sapienza? Ma perché tentare di lodare la Vergine, della quale già tessono le lodi i Profeti, l’Angelo e l’Evangelista? Io pertanto non lodo, non oso farlo; ma ripeto con devozione ciò che per bocca dell’Evangelista ha già spiegato lo Spirito Santo. Disse infatti ancora l’Angelo: Il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre (Lc 1, 32). Sono parole dell’Angelo alla Vergine riguardo al Figlio promesso, con le quali si promette che possederà il regno di Davide. Nessuno dubita che il Signore Gesù sia disceso dalla stirpe di Davide. Ma mi domando come Dio gli abbia dato il trono di Davide suo padre, dal momento che egli non regnò in Gerusalemme, anzi, quando le turbe volevano farlo re, egli non accettò, e anche davanti a Pilato protestò: Il mio regno non è di questo mondo (Gv 18, 36). E poi che grande cosa si promette a lui che siede sui Cherubini, che il Profeta vide sedere su di un trono eccelso ed elevato, di sedere sul trono di Davide suo padre? Ma noi conosciamo un’ altra Gerusalemme, diversa da quella attuale, nella quale ha regnato Davide, molto più nobile e più ricca di questa. Penso che qui venga significata quella Gerusalemme celeste, secondo il modo di dire, che spesso troviamo nelle Scritture di nominare il significante per la cosa significata. In realtà Dio gli diede il trono di Davide suo padre quando fu costituito da lui Re su Sion suo santo monte. Ma qui si comprende meglio di quale regno abbia parlato il Profeta, perché non disse: «in Sion» ma «sopra Sion». Forse è stato detto sopra perché in Sion regnò Davide: Un frutto delle tue viscere io porrò sul tuo trono (Sal 131, 11) , e un altro Profeta ha detto di lui: Siederà sul trono di Davide e sopra il suo regno (Is 9, 7). Vedi come dappertutto trovi sopra? Sopra Sion, sopra il trono, sopra il soglio, sopra il regno. Il Signore Dio gli darà dunque il trono di Davide suo padre, non quello tipico, ma quello vero, non temporale, ma eterno, non terreno, ma celeste. E vengono queste cose dette di Davide, perché il suo regno, il suo trono temporale era figura di quello eterno.

2. E regnerà in eterno sulla casa di Giacobbe, e il suo regno non avrà fine (Lc 1, 32-33). Anche qui, se prendiamo per casa di Giacobbe quella temporale, come regnerà in eterno sudi essa che non è eterna? Dobbiamo dunque cercare una casa di Giacobbe che sia eterna, sulla quale regni in eterno colui il cui regno non avrà fine. E poi infine non è forse quella di Giacobbe una casa ribelle, che empiamente lo ha rinnegato e insipientemente respinto davanti a Pilato, quando a lui che, mostrando loro Gesù, diceva: Dovrò crocifiggere il vostro Re? (Gv 19, 15) ad una voce gridò: Non abbiamo Re all’infuori di Cesare? (ivi). 

Cerca pertanto presso l’apostolo Paolo, ed egli ti spiegherà chi è Giudeo veramente e chi lo è solamente in apparenza, e quale è la circoncisione secondo lo spirito e quale quella che si fa nella carne, e ti insegnerà a distinguere l’Israele spirituale da quello carnale, e i figli di Abramo secondo la fede e i figli secondo la carne. Così egli dice: Non tutti infatti quelli che discendono da Israele sono Israeliti, né quelli che sono seme di Abramo sono suoi figli (Rm 9, 6-7). Continua il ragionamento e dì: «Non tutti quelli che discendono da Giacobbe sono da ritenersi casa di Giacobbe. E Giacobbe è lo stesso che Israele». Considera nella casa di Giacobbe solo coloro che si dovranno trovare perfetti nella fede di Giacobbe, o piuttosto riconoscerai in essi la spirituale ed eterna casa di Giacobbe sulla quale regnerà in eterno il Signore Gesù. Chi di noi, secondo l’interpretazione del nome di Giacobbe, vorrà soppiantare il diavolo dal suo cuore, lottare contro i vizi e le concupiscenze perché non regni il peccato nel suo corpo mortale, ma regni in lui Gesù adesso perla grazia e in eterno per la gloria? 
Beati coloro nei quali Gesù regnerà in eterno, perché anch’essi regneranno con lui, e questo regno non avrà fine. Oh quanto è glorioso quel regno nel quale si sono radunati i re, si sono riuniti per lodare e glorificare colui che è sopra tutti Re dei re e Signore dei Signori, nella splendidissima contemplazione rifulgeranno i giusti come il sole nel regno del loro Padre! 

Oh se Gesù si ricordasse anche di me peccatore, secondo la bontà che egli usa con il suo popolo, quando verrà il suo regno! Oh se in quel giorno, quando consegnerà a Dio Padre suo il regno, si degnasse di visitarmi con la sua salvezza, perché io possa vedere la felicità dei suoi eletti e godere della gioia del suo popolo, e lodarti anch’io con la tua eredità. 

Vieni frattanto, o Signore Gesù, togli via gli scandali dal tuo regno, che è l’ anima mia, perché tu, come è tuo diritto, regni in essa. Viene infatti l’avarizia, e pretende per sé un trono in me; viene la iattanza, e brama di dominarmi, la superbia anche vuole essere mio re. La lussuria dice: «Io regnerò»; l’ambizione, la detrazione, l’invidia e l’ira lottano in me per il possesso di me, per avere su di me il sopravvento e la supremazia. Ma io, per quanto posso, resisto, e aiutato (dalla grazia) non cedo. Protesto di volere Gesù come mio Signore; a lui mi sottometto, perché riconosco di essere sua proprietà. Lui considero come mio Dio e mio Signore, e dico: «Non ho altro Re all’infuori di Gesù». Vieni dunque, Signore, disperdili con la tua potenza e regnerai tu in me, perché sei tu il mio Re o Dio mio, che decidi vittorie per Giacobbe (Sal 43, 5).



3. Allora Maria disse all’Angelo: Come è possibile? Non conosco uomo (Lc 1, 34). Dapprima rimase in prudente silenzio, quando ancora dubbiosa pensava che cosa significasse quel saluto, preferendo umilmente non rispondere che parlare a vanvera senza sapere. Ma poi rassicurata, e dopo aver bene riflettuto mentre all’esterno parlava l’Angelo, e Dio all’interno la persuadeva — era infatti con lei il Signore, come aveva detto l’Angelo: Il Signore è con te — così dunque rincuorata dalla fede che cacciava il timore, e dalla gioia che prendeva il posto della timidezza, Maria disse all’Angelo: Come è possibile? Non conosco uomo. Non dubita del fatto, ma chiede circa il modo e l’ordine. 

Non chiede cioè se questo avverrà, ma come avverrà. Quasi dicesse: «Sapendo il mio Signore, testimone della mia coscienza, il voto della sua serva di non conoscere uomo, per quale legge o in quale ordine piacerà a lui che si compia questo? Se sarà necessario che io venga meno al mio voto per partorire un tale figlio, io sono contenta di tale figlio, ma mi dispiace per il proposito; tuttavia, sia fatta la sua volontà. Se invece concepirò restando vergine, e tale rimarrò nel parto, il che non è impossibile se a lui piacerà, allora saprò veramente che egli ha riguardato l’umiltà della sua serva». Come dunque avverrà questo, poiché non conosco uomo? L’Angelo le rispose: Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo(Lc 1, 34-35). 
Più sopra è stato detto che Maria era piena di grazia; e adesso in che senso si dice: Lo Spirito Santo scenderà su di te, e la potenza dell’Altissimo stenderà la sua ombra su di te? Fu forse possibile che fosse piena di grazia e non avesse ancora lo Spirito Santo, che è il datore delle grazie? E se già lo Spirito Santo era in lei, come le si promette che egli verrà di nuovo? Forse per questo non è stato detto semplicemente: «Verrà in te», ma «sopravverrà», perché già c’era prima in lei molta grazia, ma ora le viene annunziato che sopravverrà per la pienezza di una grazia più abbondante che effonderà su di lei. Ma essendo già piena, come potrà ricevere ancora quel di più? E se è capace di ricevere ancora qualche cosa, come si può dire che prima fosse piena? O forse la prima grazia aveva soltanto riempito il suo spirito, e la seguente doveva compenetrare anche il suo grembo, in quanto cioè la pienezza della divinità che prima abitava in lei, come in molti Santi, spiritualmente, doveva cominciare ad abitare in essa anche corporalmente, come in nessun altro Santo?

4. Dice dunque l’Angelo: Lo Spirito Santo sopravverrà in te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo. Che cosa vuol dire: Su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo? Chi può capire capisca (Mt 19, 12). Chi infatti, tranne forse colei che sola meritò di farne la felicissima esperienza, sarebbe in grado di comprendere e discernere con la sua ragione in quale maniera quello splendore inaccessibile si sia infuso nelle viscere della vergine, e come, perché essa fosse in grado di sopportare che colui che è inaccessibile entrasse in lei, dalla particella animata di quel corpo a cui si unì, egli facesse ombra al resto del corpo? 
E forse massimamente per questo è stato detto: su te stenderà la sua ombra, perché si trattava di un mistero, e ciò che la Trinità sola e con la sola Vergine volle operare fu fatto conoscere solo a colei a cui fu dato di farne esperienza. 
Diciamo dunque: Lo Spirito Santo scenderà sudi te, e con la sua potenza di fecondità, e la potenza dell’Altissimo stenderà su di te la sua ombra, cioè: la potenza e la sapienza di Dio, Cristo, coprirà e nasconderà, adombrandolo nel suo segretissimo consiglio, il modo con cui tu concepirai per opera dello Spirito Santo, in modo che sia noto solo a lui e a te. 

Come se l’Angelo rispondesse alla Vergine: «Perché chiedi a me quello che tra poco sperimenterai in te? Lo saprai, lo saprai, e felicemente lo saprai, ma te lo farà conoscere lui che lo realizzerà in te. Io sono mandato solo per annunziare il verginale concepimento, non per operarlo. Solo chi lo concede può spiegarlo, solo chi lo riceve può apprenderlo. Perciò anche il Santo che nascerà da te sarà chiamato Figlio di Dio» (Lc 1, 35). 
Che è quanto dire: Poiché non concepirai per opera di uomo, ma dello Spirito Santo, concepirai la potenza dell’Altissimo, cioè il Figlio di Dio: Perciò il Santo che nascerà da te, sarà chiamato Figlio di Dio, vale a dire: non solo colui che, venendo dal seno del Padre nel tuo grembo stenderà su di te la sua ombra, ma anche quello che da te assumerà, sarà ormai chiamato Figlio di Dio, a quel modo che anche colui che è generato dal Padre prima dei secoli, sarà ormai considerato pure figlio tuo. Così dunque quello che è nato dal Padre sarà tuo, e quello che da te nascerà sarà del Padre, non però due figli, ma uno solo. E sebbene uno sia nato da te e l’altro dal Padre, non vi sarà un Figlio del Padre e un Figlio tuo (distinto dal primo), ma un solo Figlio di entrambi.

5. Perciò il Santo che da te nascerà, sarà chiamato Figlio di Dio. Vedi con quanta riverenza ha detto: il Santo che nascerà da te. Perché questa semplice parola Santo,senza aggiunte? Credo perché non trovò nessun nome che esprimesse in modo più degno e appropriato quell’eccellente, magnifico e venerabile che dalla purissima carne della Vergine, con la propria anima, doveva essere unito all’Unico (Figlio) del Padre. Se avesse detto: «santa carne», ovvero «santo nome», o «santo bambino», gli sarebbe sembrato di dire poco. Perciò disse in modo indefinito Santo perché quello che la Vergine generò fu senza dubbio santo, e singolarmente Santo, sia per la santificazione dello Spirito, sia per l’assunzione da parte del Verbo.

6. E l’Angelo aggiunse: Ed ecco Elisabetta, tua parente, ha concepito anche lei nella sua vecchiaia (Lc 1, 36). Che ragione c’era di annunziare alla Vergine anche il concepimento da parte di questa donna sterile? Volle forse l’Angelo confermare con un recente miracolo la Vergine ancora dubbiosa e incredula a quanto le aveva predetto? Certamente no. Leggiamo come l’incredulità di Zaccaria fu da questo stesso Angelo castigata; di Maria invece non leggiamo che sia stata rimproverata di qualche cosa a questo riguardo, anzi, sappiamo che la sua fede fu lodata per bocca di Elisabetta: Beata te, disse, che hai creduto, perché si compiranno le cose dette a te dal Signore. Ma a Maria Vergine viene annunziato che la parente sterile ha concepito anche lei, onde al gaudio sia aggiunto altro gaudio, mentre al miracolo si unisce un altro miracolo. 
Ora era necessario che in anticipo un grande incendio di letizia e di amore infiammasse il cuore di colei che stava per concepire con il gaudio dello Spirito Santo il Figlio diletto del Padre. Solo infatti un cuore pieno di devozione e di gioia era adatto ad accogliere tanta sovrabbondanza di dolcezza e di allegrezza. 

Ovvero la gravidanza di Elisabetta viene annunziata a Maria perché la Vergine la conoscesse per mezzo dell’Angelo prima di saperlo da altri; la cosa infatti ben presto si sarebbe divulgata dappertutto, né conveniva che la Madre di Dio sembrasse tenuta all’oscuro dei disegni del Figlio, se fosse rimasta ignara di quelle cose che così da vicino si compivano sulla terra. 

Ovvero piuttosto il concepimento di Elisabetta fu annunziato a Maria affinché, mentre veniva informata sulla venuta e del Salvatore, e del Precursore, tenendo a mente il tempo e l’ordine degli avvenimenti, essa fosse in grado di disporre in seguito la verità agli scrittori e ai predicatori del Vangelo, essendo stata da principio istruita dal cielo su tutti i misteri. 

O ancora, la maternità di Elisabetta viene annunziata a Maria, affinché, sentendo che questa è anziana e gravida, pensi di recarle aiuto, lei che è nel fiore dell’età, e così, mentre Maria si affretta a visitarla, venga dato luogo e occasione al piccolo Profeta Giovanni di offrire le primizie del suo ufficio (di Precursore) al Signore più piccolo ancora, e mentre fanno a gara la devozione delle madri e dei figli, eccitata dall’uno e dall’altro, ne risulta un insieme meraviglioso di prodigi.


7. Non si pensi però che così grandi meraviglie siano operate dall’Angelo che le ha preannunziate. Se cerchi chi ne sia il realizzatore (l’autore), senti che cosa dice l’Angelo: Nulla è impossibile a Dio (Lc 1, 37); come se dicesse: Queste cose io prometto con tanta fiducia, contando, non sulla mia, ma sulla potenza di colui che mi ha mandato, perché nulla è impossibile a Dio. Che cosa infatti ci può essere di impossibile per lui che ha fatto tutte le cose per mezzo del Verbo? Mi colpisce anche questo nelle parole dell’Angelo, che egli non ha detto: Non sarà impossibile presso Dio ogni fatto, ogni opera, ma ogni Parola. Di proposito ha detto: ogni parola, perché come è facile agli uomini dire quello che vogliono, anche quando poi non possono per nulla farlo, così è facile, anzi immensamente più facile a Dio tutto quello che essi possono esprimere con la parola. 

Dico più chiaro: se per gli uomini fosse così facile fare come dire quello che vogliono, anche per essi non sarebbe impossibile ogni parola: ma invece ha ragione il proverbio che asserisce esserci molta distanza tra il dire e il fare, ma questo presso gli uomini, non presso Dio, nel quale si identifica il parlare col fare, il volere con il parlare; perciò presso Dio solo non sarà impossibile ogni parola. Per esempio: i Profeti poterono prevedere e predire che la Vergine e la sterile avrebbero concepito e partorito; ma potevano forse essi far sì che esse concepissero o partorissero? Ma Dio che diede loro di poter prevedere, come poté facilmente preannunziare allora per bocca loro quello che volle, così con la stessa facilità può adesso realizzare da se stesso ciò che aveva promesso. In realtà in Dio la parola non è diversa dall’intenzione, perché egli è la verità, né l’azione differisce dalla parola, perché è potenza, né il modo discorda dal fatto, perché è sapienza, e per questo non sarà impossibile presso Dio ogni parola.

8. Hai sentito, o Vergine, il fatto, hai sentito anche il modo in cui esso avverrà: entrambi meravigliosi, entrambi giocondi. Giubila, o figlia di Sion, ed esulta grandemente, figlia di Gerusalemme. E poiché al tuo orecchio è stato dato annunzio di gioia e di letizia, vogliamo anche noi sentire da te la lieta risposta che desideriamo, onde finalmente esultino le ossa umiliate. Hai udito il fatto, e hai creduto; credi anche circa il modo che ti è stato spiegato. Hai udito che concepirai e partorirai un figlio; hai udito che questo avverrà per opera dello Spirito Santo, non per opera d’uomo. L’Angelo aspetta una risposta; è ormai tempo infatti che ritorni a colui che l’ha mandato. Aspettiamo anche noi una parola di compassione, o Signora, noi sui quali miserevolmente grava la sentenza di condanna. Ed ecco che ti è offerto il prezzo della nostra salvezza: se tu acconsenti, noi saremo immediatamente liberati. Siamo stati tutti creati dal sempiterno Verbo di Dio, ed ecco moriamo; una tua breve risposta ci può risanare e richiamare alla vita. Te ne supplica, o Vergine pia, Adamo piangente, esule dal paradiso con la misera stirpe. 
Questo implorano Abramo, Davide e gli altri santi Patriarchi, cioè, i padri tuoi, che abitano anch’ essi nella regione dell’ ombra di morte. 
Questo aspetta tutto il mondo, prostrato ai tuoi piedi: e giustamente, perché dalla tua bocca dipende la consolazione dei miseri, la redenzione degli schiavi, la liberazione dei dannati, insomma, la salvezza di tutti i figli di Adamo, di tutta la tua famiglia umana. Da questo, o Vergine, la tua risposta. 

O Signora, rispondi, pronunzia quella parola che la terra, gli inferi e gli abitanti del cielo aspettano. Lo stesso Re e Signore di tutti, quando si è invaghito della tua bellezza, altrettanto desidera anche la tua risposta di consenso, dalla quale fa dipendere la salvezza del mondo. Sei piaciuta a lui nel silenzio: ora gli piacerai pronunziando una parola, mentre ti grida dal cielo: O bella tra le donne, fammi sentire la tua voce (Ct 1, 7). Se dunque tu gli fai udire la tua voce, egli ti farà vedere la nostra salvezza. Non è forse questa che chiedevi con gemiti, che per giorni e notti pregando sospiravi? E allora? Sei tu a cui è fatta questa promessa, o dobbiamo aspettare un’altra? No, no, li proprio tu e non un’altra. Tu sei quella Vergine promessa, quella vergine aspettata, desiderata, dalla quale il tuo santo padre Giacobbe, vicino a morire, sperava la vita eterna, dicendo: Aspetterò la tua salvezza, o Signore, nella quale infine e per la quale lo stesso Dio nostro Re ha disposto dall’eternità di operare la salvezza sulla nostra terra.

Perché dunque sperare da un’altra quello che è offerto a te? Perché sperare da un’altra quello che ora si compirà in te, purché tu dia con una parola il tuo consenso? Rispondi dunque presto all’Angelo, anzi, attraverso l’Angelo rispondi al Signore. Rispondi una parola, e accogli la Parola: pronunzia la tua e accogli la divina; proferisci la parola che passa, e abbraccia quella eterna. Perché indugi? Perché tremi? Credi, acconsenti e accogli. L’umiltà si faccia audace, la verecondia fiduciosa. 
In questo momento non è conveniente affatto che la verginale semplicità dimentichi la prudenza. In questo solo caso, o Vergine prudente, non temere la presunzione, perché anche se è gradita la verecondia nel silenzio, ora però e più necessaria la pietà che ti spinga a parlare. Apri, o Vergine beata, il cuore alla fiducia, le labbra alla parola, le tue viscere al Creatore. Ecco, l’aspettato da tutte le genti sta fuori e bussa alla porta. Oh, se mentre tu indugi egli passasse oltre, e tu dovessi ricominciare a cercare l’amato dell’anima tua! (Cfr. Ct 3, 1). Alzati, corri, apri! Sorgi con la fede, corri con la devozione, apri con il tuo consenso!


9. Ecco, disse Maria, l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola (Lc 1, 38). La grazia divina di solito si accompagna con l’ umiltà. Dio infatti resiste ai superbi, ma dà la grazia agli umili (1 Pt 5, 5). Ecco, dice, l’ancella del Signore. Qual è questa sublime umiltà che viene meno negli onori, e non diviene insolente nella gloria? Viene prescelta a Madre di Dio, e si nomina ancella: non è segno di mediocre umiltà il non dimenticare di esserlo quando viene offerta una gloria così grande. Non è grande cosa essere umile nell’abiezione; veramente grande e rara virtù l’umiltà negli onori. Se avvenisse che la Chiesa, tratta in inganno dalle mie ipocrisie, promuovesse me, misero omiciattolo a qualche posto onorifico, anche mediocre, permettendo ciò Iddio per i miei peccati o a causa di quelli dei sudditi, io subito, dimentico di quello che sono stato, mi stimerei quale sono reputato dagli uomini, i quali non vedono il cuore. 
Credo alla riputazione, invece di badare alla coscienza, attribuisco non l’onore alle virtù, ma le virtù agli onori, stimandomi tanto più santo quanto più posto in alto. Si possono vedere parecchi nella Chiesa, divenuti nobili da ignobili che erano, passati dalla povertà alla ricchezza, subito gonfiarsi, dimenticare la primitiva abiezione, vergognarsi della loro origine e disprezzare i parenti rimasti nell’ombra di una povera condizione. Si possono anche vedere uomini danarosi rincorrere gli onori ecclesiastici, ostentare una santità che non hanno, avendo mutato l’abito, ma non il cuore, stimandosi degni della dignità a cui sono pervenuti con i loro intrighi e attribuendo ai loro meriti, se oso dirlo, quello che hanno ottenuto con il denaro. Ometto quelli che sono accecati dall’ambizione: e l’onore stesso che ottengono è per essi materia di superbia.

10. Ma vedo, e questo è più penoso, che taluni dopo aver disprezzato la pompa del mondo, nella scuola dell’umiltà imparano piuttosto la superbia, e sotto le ali del Maestro mite ed umile diventano maggiormente insolenti e più impazienti nel chiostro di quanto lo sarebbero stati nel mondo. Ma quel che è peggio è che parecchi nella casa di Dio non sopportano di essere tenuti in poco conto, mentre a casa loro non potevano essere che gente trascurabile; sicché dove gli onori sono ambiti da molti, essi non meritarono di trovar posto, ma vogliono apparire degni di onore dove gli onori sono da tutti disprezzati. Vedo ancora altri, e anche questo è doloroso, i quali, dopo essersi aggregati alla milizia di Cristo, si immischiano di nuovo in affari secolari, nuovamente si immergono nelle cupidigie terrene, molto preoccupati di innalzare muri, trascurando i costumi, sotto pretesto anche del bene comune, vendono parole ai ricchi e ossequi alle matrone, non dando ascolto a quanto prescritto dal loro Sovrano di non desiderare le cose altrui e di non muovere lite per rivendicare le cose proprie, non dando retta a quanto l’Apostolo per ordine del Re divino proclama altamente: È già un delitto per voi il fatto di avere liti. Perché non sopportate piuttosto di venir frodati? (1 Cor 6, 7) 
Così dunque hanno crocifisso a sé il mondo e se stessi al mondo costoro che prima erano appena conosciuti nel loro villaggio o paese, e ora vanno in giro per le città, frequentano le curie e son diventati conoscitori di re e famigliari ai principi? Per non dire del loro abito nel quale si ricerca non il calore, ma il colore, e si dà più importanza al culto delle vesti che a quello delle virtù? Peggiori delle donnicciole schiave della moda, lo dico con vergogna, tali monaci affettano il lusso negli abiti, che non rispondono più ad una necessità, né rispettano la forma stabilita nell’ordine, e rappresentano solo più un ornamento, e non un’armatura per i soldati di Cristo che dovrebbero prepararsi alla battaglia, e innalzare contro le potestà dell’aria la bandiera della povertà, molto temuta dagli avversari. Invece essi, mostrando nella mollezza degli abiti un segno di pace, senza combattere si danno inermi in mano ai nemici. Tutti questi mali non hanno che questa origine: abbiamo messo da parte quell’umiltà per la quale avevamo lasciato il mondo, e allora, trascinati di nuovo dalle vane passioni dei secolari, siamo come cani che ritornano al vomito.

11. Sentiamo pertanto noi tutti che siamo in questa condizione che cosa ha risposto colei che veniva prescelta a Madre di Dio, ma non dimenticava l’ umiltà.Ecco, disse, l’ancella del Signore, si faccia di me secondo la tua parola. Si faccia indica un desiderio, non esprime un dubbio, e dicendo: Si faccia di me secondo la tua parola mostra piuttosto l’affetto di chi desidera che l’aspettativa di un effetto come di chi dubita. Ma non c’è difficoltà a intendere quel «si faccia» come l’espressione di una preghiera. Nessuno infatti chiede nell’orazione se non ciò che crede e opera. Ora Dio vuole essere pregato anche riguardo a ciò che promette. E perciò prima promette molte cose che ha deciso di concedere, affinché dalla promessa sia eccitata la devozione, e così quello che avrebbe dato gratuitamente, lo meriti la devota orazione.

Così il pio Signore, il quale vuole che tutti gli uomini si salvino, ci sprona a farci dei meriti a nostro vantaggio: egli ci previene dandoci quello che poi egli premia, agisce gratuitamente, ma in modo da non premiarci senza nostro merito. Questo comprese la Vergine prudente, quando al dono preveniente della gratuita promessa, unì il merito della sua orazione, dicendo: Si faccia di me secondo la tua parola. Si faccia di me secondo la tua parola riguardo al Verbo. Il Verbo che era in principio presso Dio, si faccia carne dalla mia carne secondo la tua parola. Venga a me il Verbo, non pronunciato che passi, ma concepito che rimanga, rivestito cioè di carne, non di aria. Venga a me il Verbo, non solo a colpire l’orecchio, ma visibile agli occhi, che si possa palpare con le mani, portare in braccio. Né si faccia per me parola scritta e muta, ma incarnata e viva, non scritto con muti segni su pelli di morte, ma in forma umana impressa nelle mie caste viscere, e questo, non mediante l’opera di una penna morta, ma per opera dello Spirito Santo.

Si faccia cioè a me come a nessun altro prima di me e a nessun altro dopo di me. Ora molte volte e in vari modi Dio ha parlato un tempo ai Padri per mezzo dei Profeti. Ad alcuni parlò nell’orecchio, ad altri parlò per la loro bocca, ad altri si manifestò nelle opere delle loro mani, come riferisce la Scrittura. Quanto a me prego che il Verbo di Dio s’incarni nel mio grembo, secondo la tua parola. Non voglio che venga a me solennemente declamato, o da figure rappresentato, o con l’immaginazione sognato, ma nel silenzio ispirato, personalmente incarnato, corporalmente inviscerato. Il Verbo pertanto, che in sé non poteva, né aveva bisogno di essere fatto, si degni di essere fatto in me e a me secondo la tua parola. E sia fatto in generale a tutto il mondo, ma specialmente sia fatto in me secondo la tua parola.

Ho esposto il brano evangelico così come ho potuto, e non ignoro che non piacerà a tutti; anzi che per questo sarò oggetto di indignazione da parte di molti, e, o sarò giudicato di aver fatto cosa superflua, odi essere un presuntuoso, in quanto ho osato mettere mano a un nuovo commento dopo che i Padri avevano già commentato molto diffusamente questo testo medesimo. Ma se uno parla dopo i Padri senza nulla dire contro i Padri, penso che ciò non debba dispiacere, né ai Padri, né ad alcun altro. Dove poi ho riferito cose già dette dai Padri, mentre cerco di evitare così ogni forma di presunzione perché non venga a mancare il frutto della devozione, ascolterò con pazienza quelli che mi accusano d’aver fatto cosa superflua. Sappiano tuttavia coloro che mi deridono per un commento ozioso e per nulla necessario, che io non ho tanto inteso fare un’esposizione del Vangelo, quanto di prendere occasione dal Vangelo per dire quello di cui mi era dolce parlare. Ma se ho peccato, seguendo questa mia devozione più che l’utilità comune, la pia Vergine Maria, a cui con somma devozione ho dedicato quest’umile lavoro, sarà abbastanza potente per ottenermene il perdono presso il suo misericordioso Figlio.


AMDG et DVM

La Puerta del Cielo


“VELANDO CON MARIA”
 15 –V- 2016


“Ven, Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa Intercesión de María, Tu amadísima esposa. 
Ven, Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa Intercesión de María, Tu amadísima esposa. 
Ven, Espíritu Santo, ven por medio de la poderosa Intercesión de María, Tu amadísima esposa. Amén.”

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Orar con María, Mi Santísima Esposa, es entrar en comunión con la SantísimaTrinidad de Amor, Dios Padre Creador, Dios Hijo Redentor y Dios Espíritu Santo Santificador.



Es por María, con Ella y en Ella, que se manifiesta la Gracia en la vida de todo cristiano, de todo bautizado e hijo de Dios; pues María es la Elegida desde siempre. 



Ella es la Llena de Gracia, la Inmaculada Concepción, la Estrella de la Mañana y Puerta del Cielo.



Bienaventurada es Mi amadísima Esposa, lo es por todas las generaciones, porque el Poder del

Altísimo ha hecho obras grandes en Ella; y la obra del Todopoderoso se sigue manifestando a todos los hombres de buena voluntad, en María y por María, primer Tabernáculo Viviente del mismo Dios.


Regocíjense cielos y tierra que el Huésped del alma, el Consolador, ya llega en un segundo Pentecostés. Vengo a derramar Mis siete Dones en los hombres que aman al Señor; Vengo como el Soplo Divino, que da Luz y Vida, renovando todo lo viejo, disipando toda obscuridad y tiniebla, renovando todo a Mi paso.



Felices los hombres que, a la llegada del Hijo del Hombre, los encuentre en vela con María, dentro del Cenáculo, porque serán llenos de Mi Santo Espíritu, como Hijos de María, Mi amadísima Esposa.



El Verdadero Cenáculo es dentro del Corazón Inmaculado de María, en donde toda alma se vacía de sí misma, a ejemplo de María, y toma una nueva condición de sierva y esclava del Señor, como lo es María, Mi amada Esposa, y en esta condición, en la que el alma ya no se pertenece a si misma sino a Dios, comienza la unificación del alma con su Creador, con su Redentor y su Santificador, con LA SANTISIMA TRINIDAD.



Es, entonces, que comienza por esta Gracia Divina la manifestación de las virtudes, que van santificando y perfeccionando al alma, haciéndola una con Dios Trino y Uno.



Toda vida parte de sí misma, de quien es la Vida; todo es de un mismo y solo Querer de Dios Padre Creador; y todo debe encontrarse, con esta misma Fuente, en la Unidad desta Fuente Divina, EL CREADOR DE TODO CUANTO EXISTE y ha sido creado, de todo lo visible e invisible, toda para una misma Adoración y Gloria, de quien es Alfa y Omega, Principio y Fin.



La Trinidad Santa, que vive y reina en María, debe reinar ya en los corazones de todos los hombres; y esta Gracia la da María, la Hija de Dios Padre, Madre de Dios Hijo y Esposa de Dios Espíritu Santo. Qué grande es la dicha de aquellos que se han hecho verdaderos Hijos de María;

como también qué desventura será para todos aquellos que son huérfanos por propia voluntad y necedad de sus corazones, que le han cerrado la puerta a quien es LA PUERTA DELCIELO. 


Más difícil les será a estas almas su entrada al cielo, pues María, Mi Amadísima Esposa, es la Puerta

del Cielo, la Madre del Salvador, es la Mediadora de todas las gracias, la Abogada del Juez Justo de todas las almas.


Toda alma, que tiene un verdadero y sincero encuentro con María, queda llena del Espíritu Santo, y Mi Gracia Santificante actúa dando luz y guía: mis siete Dones, cumpliéndose en esta alma la trasformación para la Santidad.



Ya vengo como Fuego ardiente a purificar todo a Mi Paso, a encender todo corazón abierto a la verdad. Vengo como un Torrente de Agua Viva, que limpia y purifica. 



Vengo como un Soplo Divino a renovar la faz de la tierra, a bautizar con Fuego, que es el verdadero Bautismo del HIJO DEL HOMBRE.




Abundancia de dones deposito, Yo, en los hombres de buena voluntad, en aquellos que viven consagrados a los corazones de Jesús y de María, en los que dan su Fiat a la Voluntad del Padre. 



Estos dones y regalos celestiales que no sean de vanagloria, sino para ponerlos al servicio de los de

más, buscando siempre dar un servicio al prójimo, todo para una sola Gloria y Honor, para quien todo Honor y toda Gloria merece recibir de todos los hombres, A DIOS PADRE, A DIOS HIJO Y A DIOS ESPÍRITU SANTO. 


Tres Personas en Una misma Esencia. 



GLORIA AL PADRE, GLORIA AL HIJO, GLORIA AL ESPÍRITU SANTO, como era en un principio, ahora y siempre, y por los siglos de los siglos. Amén. Amén. Amén.”


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“Dulcísimo Huésped el alma, ven y obra con poder, derrama tus siete dones, purifica todo a Tu paso, disipando toda obscuridad y tiniebla. Ven, Espíritu Santo, ven, oh Santo Espíritu de Dios,
ven con Tu Soplo Divino y enciende nuestros corazones con el fuego de Tu Divino Amor.
Ven, Divino y Santo Espíritu, Paráclito y Consolador, Dador de vida; ven, Espíritu de Dios.
Amén.”


AMDG et DVM

Corona dei sette Gaudi

Le sette Allegrezze della B. V. Maria

26 agosto: Festa dei Sette Gaudi della B. V. Maria


Sequentia

1. Gaude Virgo Mater Christi: 
Verbo Deum concepisti, 
Gabriele nuntio.

2. Fac, o Nati per virtutem,
Fructum nobis in salutem
Afferat devotio.

3.Gaude, visitans, exulta;
Fecit enim in te multa
Rex potenti bràchio.

4. Fac nos ìnopes augéri
Caeli donis, ac repléri
Spiritali gaudio.

5. Gaude, parens Deo plena:
Peperisti sine poena
Cum pudoris lilio.

6. Fac, o clemens, servi tui
Mereamur per te frui
Almae pacis praemio.

7. Gaude: Magi ab Oriente
Dona, stella praelucente,
Attulerunt Filio.

8. Fac nos fide jam vidére
Ac spe Jesum et sincerae
Caritatis studio.

9. Gaude: amissum quem dolebas,
Loqui Pùerum stupébas 
In Doctorum médio.

10. Fac, o mìseris patrona,
Reperire coeli bona
Calle amissa dévio.

11. Gaude, Mater: dulcis Nati,
Quem vidisti mortem pati,
Fulget Resurréctio.

12. Fac nos imo vitiorum
Excitàri, ac supernorum
Agi desiderio.

13. Gaude: in astra sublimaris,
Ubi Christo sociaris
Rerum in império.

14. Fac, ad coelos ascendamus,
Atque tecum gaudeamus,
In Sanctorum sòlio.
   Amen. Allelùja.  


Il Rosario francescano:La Corona francescana dei 7 gaudi
L'uso di strumenti per aiutare nella preghiera lo si riscontra in tutte le religioni. La corona divenne così uno strumento pratico per tenere il conto delle preghiere che si devono ripetere per un determinato numero di volte. La testimonianza più antica nel cristianesimo sembra risalire al IV secolo, quando l'eremita Paolo di Tebe (+342) si serviva di sassolini per contare le preghiere che voleva recitare durante il giorno. Similmente anche nella vita di Chiara d'Assisi (+1253) si narra: «Non avendo filze di grani da far scorrere per numerare i Pater noster, contava le sue preghiere al Signore con un mucchietto di pietruzze» (Legenda S. Clarae, IV, 4).

In effetti, quando nella Chiesa si era cominciato l'uso di recitare le preghiere per un determinato numero di volte, sorse la necessità di avere uno strumento che fosse d'aiuto nella conta. Nacquero così i signacula o numeralia che erano corone che comunemente servivano per contare i Pater noster che i monaci e poi anche i frati laici recitavano al posto dell'Ufficio, come prescrive la Regola di S.Francesco: «I chierici recitino il divino ufficio secondo il rito della santa Chiesa romana eccetto il salterio, e perciò potranno avere i breviari. I laici dicano ventiquattro Pater noster per il mattutino, cinque per le lodi; per prima, terza, sesta, nona, per ciascuna di queste, sette; per il Vespro dodici; per compieta sette; e preghino per i defunti» (Regula bullata, III, 2-5).

Tali corone sono attestate da Tommasuccio da Foligno (1319-1377) nel suo racconto di una visione in cui vide Chiara e le sue monache tenenti in mano sfilze di Paternostri d'oro, d'argento e di perle preziose. Di Chiara si narra ancora che avesse mandato in dono ad Agnese di Praga una corona simile; la stessa cosa viene riferita di Margherita da Cortona (+1297) che non avendo nulla da dare in elemosina offrì uno di questi signacula. E' interessante poi notare che nella riesumazione del corpo di Francesco d'Assisi nel 1818, fu trovata ai suoi piedi una corona di 30 grani.


Un suggerimento del Cielo all'origine della corona

La tradizione  fa risalire l'uso della Corona dei sette gaudi all'apparizione della Vergine, avvenuta nel 1422 nel convento di Cesi (Portaria) nei pressi di Terni, al novizio Giacomo delle Corone da Portaria.     La leggenda riferisce che il novizio era deciso a lasciare il noviziato perché non aveva più l'opportunità di offrire alla Regina del Cielo  tutti i giorni una ghirlanda di fiori come usava fare nel secolo,  e prima di partirsene passò a salutare la Vergine Madre e pregando nella chiesetta dinanzi a Lei, Questa gli disse di supplire alla ghirlanda con la recita quotidiana della Corona di sette decadi di Ave Maria,  meditando i Suoi sette gaudi.


Questo fatto, riportata da Marco da Montegallo (+1496), si diffuse in special modo per opera di Perbalto de Temeswar (+1504) con il suo Stellarium coronae benedictae Virginis Mariae in laudem eius (Argentiane 1506), opera che divenne molto popolare tra gli autori del XVI secolo. In seguito, anche Luca Wadding (+1654) avvalorò questa apparizione come origine della Corona delle 7 allegrezze nell'Ordine dei Frati Minori.


Bernardino da Siena (+1444) fu il grande diffusione di questa Corona che cominciò a portarla appesa al cingolo imitato poi dai frati che seguirono la sua riforma, e in special modo da Giovanni da Capestrano (+1456), che diffuse la corona raccomandando le sette meditazioni e la genuflessione al nome di Gesù.      Dal XV secolo si cominciarono a rappresentare i frati con le corone tra le mani sia negli affreschi come nelle miniature. Ne è ricca l'opera Specchio dell'Ordine Minore, conosciuta come Franceschina, nel codice di Perugia e in quello di Norcia. La corona è tenuta in mano anche dalla rappresentazione della "Povertà che si sposa a S.Francesco", tavola cinquecentesca fiorentina custodita nella pinacoteca di Monaco. La corona appare, poi, attaccata alla corda o cingolo del Beato Lucchesio nella terracotta di Andrea della Robbia (+1528) che si trova nella chiesa di S.Girolamo a Volterra. In seguito, anche le immagini di S.Francesco cominciano ad avere la corona appesa al cingolo.

Corona dei sette gaudi

O Dio, vieni a salvarmi.
Signore, vieni presto in mio aiuto.

Gloria al Padre…

Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dal fuoco dell'inferno, porta in cielo tutte le anime specialmente le più bisognose della tua misericordia.

1. Ci rallegriamo con Te, o Maria, Vergine Immacolata, per l'allegrezza che T'inondò il Cuore quando, dopo l'annuncio dell'angelo Gabriele, il Verbo di Dio per opera dello Spirito Santo s'incarnò nel Tuo purissimo seno, e si realizzò il disegno eterno a cui eri stata predestinata insieme con il Figlio prima della creazione del mondo.

1 Pater, 10 Ave e 1 Gloria

2. Ci rallegriamo con Te, o Maria, piena di grazia, per la consolazione che hai provato nella visita alla cugina Elisabetta, quando essa, dopo aver udito il tuo saluto, profetò e ti riconobbe vera "Madre di Dio", insieme al piccolo Giovanni,  già riempito del dono dello Spirito Santo.

3. Ci rallegriamo con Te, o Maria, Tuttasanta, per quel gaudio inesprimibile che hai provato a Betlemme, quando serbando illibato il giglio della Tua Verginità, partoristi senza dolore il Tuo Divino Figlio Gesù, che era venuto a portare Pace e Redenzione al mondo, e Lo vedesti adorato dai pastori.

4. Ci rallegriamo con Te, o Maria, Regina della pace, per la somma letizia che sperimentò il Tuo Cuore, quando vedesti i Re Magi venire riverenti da terre lontane a prostrarsi davanti al Tuo Divin Figlio Gesù, e adorarlo come vero Uomo-Dio, Redentore del mondo, e vedendo Tu in loro l'omaggio di tutti i popoli.

5. Ci rallegriamo con Te, o Maria, via di salvezza, per il giubilo che provò il Tuo Cuore amorosissimo, quando cercato per tre giorni lo smarrito Gesù, lo trovasti nel tempio fra i dottori, che già spandeva i raggi della sua infinita sapienza a quanti lo ascoltavano con cuore sincero.

6. Ci rallegriamo con Te, o Maria, madre della vita, per quella gioia che ti riempì il Cuore quando vedesti il Tuo Figlio risorto da morte il terzo giorno.

7. Ci rallegriamo con Te, o Maria, Porta del Cielo, per l'esultanza del Tuo Cuore quando in un'estasi d'Amore senza conoscere morte e sepolcro salisti al cielo, in anima e corpo, per regnare accanto al Figlio quale Corredentrice e Mediatrice e  Divina Avvocata nostra.

Dopo la Salve Regina si aggiungono 2 Ave Maria in memoria dei suoi 72 anni che passò sulla nostra Terra, e un Padre Nostro, un Ave e un Gloria per le intenzioni del Sommo Pontefice.

Litanie lauretane
Preghiera finale

O Signora Santa, Regina santissima, Madre di Dio e Madre di Misericordia, Regina della Pace e Avvocata nostra, ti abbiamo offerto questa Corona in memoria delle tue sette allegrezze, in segno del nostro desiderio di appartenere a Te come tu sei appartenuta al Signore. Per questo, con San Bonaventura ti diciamo: «Io sono tutto tuo: e ogni mia cosa è tua, o Vergine benedetta sopra tutte le cose». Intercedi affinché ci sia fatto il dono di grazia di poter servire Dio e il prossimo, e in fedeltà con le promesse del nostro Battesimo, di rinnegare il male in tutte le sue forme per poter essere come te, o Immacolata, figli del Padre celeste, fratelli del Signore nostro Gesù Cristo e abitazioni dello Spirito Santo. Aiutaci a vivere impegnando la nostra vita per il Vangelo, obbedendo alla Santa Chiesa, sempre pronti a testimoniare la nostra fede davanti agli uomini, affinché, da Te protetti, soprattutto nell'ora della nostra morte, possiamo giungere con Te nella gloria dei cieli. Amen.

O Maria, Signora Santa e Immacolata, prega per noi.

Tutti i Santi  insegnano a chinare il capo o genuflettere pronunciando i Santissimi nomi di Gesù e di Maria. 

AVE MARIA PURISSIMA!