venerdì 5 aprile 2019

MAGNIFICAT - J.S. Bach: [complete version]






AMDG et DVM

OMELIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI in cui annuncia che "Dio viene"

La Santa Sede
CELEBRAZIONE DEI PRIMI VESPRI 
DELLA DOMENICA I DI AVVENTO
OMELIA DI 
SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

Basilica Vaticana
Sabato, 2 dicembre 2006

Cari fratelli e sorelle!

La prima antifona di questa celebrazione vespertina si pone come apertura del tempo di Avvento e
risuona come antifona dell'intero anno liturgico. Riascoltiamola: "Date l'annunzio ai popoli: Ecco,
Dio viene, il nostro Salvatore". All'inizio di un nuovo ciclo annuale, la liturgia invita la Chiesa a
rinnovare il suo annuncio a tutte le genti e lo riassume in due parole: "Dio viene". Questa
espressione così sintetica contiene una forza di suggestione sempre nuova. Fermiamoci un
momento a riflettere: non viene usato il passato - Dio è venuto -, né il futuro - Dio verrà -, ma il
presente: "Dio viene". Si tratta, a ben vedere, di un presente continuo, cioè di un'azione sempre in
atto: è avvenuta, avviene ora e avverrà ancora. In qualunque momento, "Dio viene". Il verbo
"venire" appare qui come un verbo "teologico", addirittura "teologale", perché dice qualcosa che
riguarda la natura stessa di Dio. Annunciare che "Dio viene" equivale, pertanto, ad annunciare
semplicemente Dio stesso, attraverso un suo tratto essenziale e qualificante: il suo essere il Dioche-viene.

L'Avvento richiama i credenti a prendere coscienza di questa verità e ad agire in conseguenza.
Risuona come un appello salutare nel ripetersi dei giorni, delle settimane, dei mesi: Svegliati!
Ricordati che Dio viene! Non ieri, non domani, ma oggi, adesso! L'unico vero Dio, "il Dio di
Abramo, di Isacco e di Giacobbe", non è un Dio che se ne sta in cielo, disinteressato a noi e alla
nostra storia, ma è il-Dio-che-viene. È un Padre che mai smette di pensare a noi e, nel rispetto
estremo della nostra libertà, desidera incontrarci e visitarci; vuole venire, dimorare in mezzo a noi,
restare con noi. Il suo "venire" è spinto dalla volontà di liberarci dal male e dalla morte, da tutto ciò
che impedisce la nostra vera felicità. Dio viene a salvarci.

I Padri della Chiesa osservano che il "venire" di Dio - continuo e, per così dire, connaturale al suo
stesso essere - si concentra nelle due principali venute di Cristo, quella della sua Incarnazione e
quella del suo ritorno glorioso alla fine della storia (cfr Cirillo di Gerusalemme, Catechesi 15, 1: PG
33, 870). Il tempo di Avvento vive tutto di questa polarità. Nei primi giorni l'accento cade sull'attesa
dell'ultima venuta del Signore, come dimostrano anche i testi dell'odierna celebrazione vespertina.
Avvicinandosi poi il Natale, prevarrà invece la memoria dell'avvenimento di Betlemme, per
riconoscere in esso la "pienezza del tempo". 

Tra queste due venute "manifeste" se ne può
individuare una terza, che san Bernardo chiama "intermedia" e "occulta", la quale avviene
nell'anima dei credenti e getta come un "ponte" tra la prima e l'ultima. 

"Nella prima - scrive san
Bernardo - Cristo fu nostra redenzione, nell'ultima si manifesterà come nostra vita, in questa è
nostro riposo e nostra consolazione" (Disc. 5 sull'Avvento, 1). Per quella venuta di Cristo, che
potremmo chiamare "incarnazione spirituale", l'archetipo è sempre Maria. Come la Vergine Madre
custodì nel suo cuore il Verbo fatto carne, così ogni singola anima e l'intera Chiesa sono
chiamate, nel loro pellegrinaggio terreno, ad attendere il Cristo che viene e ad accoglierlo con fede
ed amore sempre rinnovati.

La liturgia dell'Avvento pone così in luce come la Chiesa dia voce all'attesa di Dio profondamente
inscritta nella storia dell'umanità; un'attesa purtroppo spesso soffocata o deviata verso false
direzioni. Corpo misticamente unito a Cristo Capo, la Chiesa è sacramento, cioè segno e
strumento efficace anche di questa attesa di Dio. In una misura nota a Lui solo la comunità
cristiana può affrettarne l'avvento finale, aiutando l'umanità ad andare incontro al Signore che
viene. E fa questo prima di tutto, ma non solo, con la preghiera. Essenziali e inseparabili dalla
preghiera sono poi le "buone opere", come ricorda l'orazione di questa Prima Domenica
d'Avvento, con la quale chiediamo al Padre celeste di suscitare in noi "la volontà di andare
incontro con le buone opere" al Cristo che viene. In questa prospettiva l'Avvento è più che mai
adatto ad essere un tempo vissuto in comunione con tutti coloro - e grazie a Dio sono tanti - che
sperano in un mondo più giusto e più fraterno. In questo impegno per la giustizia possono in
qualche misura ritrovarsi insieme uomini di ogni nazionalità e cultura, credenti e non credenti. Tutti
infatti sono animati da un anelito comune, seppure diverso nelle motivazioni, verso un futuro di
giustizia e di pace.

La pace è la meta a cui aspira l'intera umanità! Per i credenti "pace" è uno dei più bei nomi di Dio,
che vuole l'intesa di tutti i suoi figli, come ho avuto modo di ricordare anche nel pellegrinaggio dei
giorni scorsi in Turchia. Un canto di pace è risuonato nei cieli quando Dio si è fatto uomo ed è nato
da donna, nella pienezza dei tempi (cfr Gal 4, 4). Iniziamo dunque questo nuovo Avvento - tempo
donatoci dal Signore del tempo - risvegliando nei nostri cuori l'attesa del Dio-che-viene e la
speranza che il suo Nome sia santificato, che venga il suo Regno di giustizia e di pace, che sia
fatta la sua Volontà come in Cielo, così in terra.

Lasciamoci guidare, in questa attesa, dalla Vergine Maria, Madre del Dio-che-viene, Madre della
Speranza. Ella, che tra pochi giorni celebreremo Immacolata, ci ottenga di essere trovati santi e
immacolati nell'amore alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo, al quale, con il Padre e lo Spirito
Santo, sia lode e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

© Copyright 2006 - Libreria Editrice Vaticana

AMDG et DVM

giovedì 4 aprile 2019

Papa Benedetto XVI ci parla dell' "ultimo dei Padri"

BENEDETTO XVI

UDIENZA GENERALE

Piazza San Pietro
Mercoledì, 21 ottobre 2009

[Video] 



San Bernardo di Chiaravalle

Cari fratelli e sorelle,

oggi vorrei parlare su san Bernardo di Chiaravalle, chiamato “l’ultimo dei Padri” della Chiesa, perché nel XII secolo, ancora una volta, rinnovò e rese presente la grande teologia dei Padri. Non conosciamo in dettaglio gli anni della sua fanciullezza; sappiamo comunque che egli nacque nel 1090 a Fontaines in Francia, in una famiglia numerosa e discretamente agiata. Giovanetto, si prodigò nello studio delle cosiddette arti liberali – specialmente della grammatica, della retorica e della dialettica – presso la scuola dei Canonici della chiesa di Saint-Vorles, a Châtillon-sur-Seine e maturò lentamente la decisione di entrare nella vita religiosa. Intorno ai vent’anni entrò a Cîteaux, una fondazione monastica nuova, più agile rispetto agli antichi e venerabili monasteri di allora e, al tempo stesso, più rigorosa nella pratica dei consigli evangelici. Qualche anno più tardi, nel 1115, Bernardo venne inviato da santo Stefano Harding, terzo Abate di Cîteaux, a fondare il monastero di Chiaravalle (Clairvaux). Qui il giovane Abate, aveva solo venticinque anni, poté affinare la propria concezione della vita monastica, e impegnarsi nel tradurla in pratica. Guardando alla disciplina di altri monasteri, Bernardo richiamò con decisione la necessità di una vita sobria e misurata, nella mensa come negli indumenti e negli edifici monastici, raccomandando il sostentamento e la cura dei poveri. Intanto la comunità di Chiaravalle diventava sempre più numerosa, e moltiplicava le sue fondazioni.

In quegli stessi anni, prima del 1130, Bernardo avviò una vasta corrispondenza con molte persone, sia importanti che di modeste condizioni sociali. Alle tante Lettere di questo periodo bisogna aggiungere numerosi Sermoni, come anche Sentenze e Trattati. Sempre a questo tempo risale la grande amicizia di Bernardo con Guglielmo, Abate di Saint-Thierry, e con Guglielmo di Champeaux, figure tra le più importanti del XII secolo. Dal 1130 in poi, iniziò a occuparsi di non pochi e gravi questioni della Santa Sede e della Chiesa. Per tale motivo dovette sempre più spesso uscire dal suo monastero, e talvolta fuori dalla Francia. Fondò anche alcuni monasteri femminili, e fu protagonista di un vivace epistolario con Pietro il Venerabile, Abate di Cluny, sul quale ho parlato mercoledì scorso. Diresse soprattutto i suoi scritti polemici contro Abelardo, un grande pensatore che ha iniziato un nuovo modo di fare teologia, introducendo soprattutto il metodo dialettico-filosofico nella costruzione del pensiero teologico. Un altro fronte contro il quale Bernardo ha lottato è stata l’eresia dei Catari, che disprezzavano la materia e il corpo umano, disprezzando, di conseguenza, il Creatore. Egli, invece, si sentì in dovere di prendere le difese degli ebrei, condannando i sempre più diffusi rigurgiti di antisemitismo. Per quest’ultimo aspetto della sua azione apostolica, alcune decine di anni più tardi, Ephraim, rabbino di Bonn, indirizzò a Bernardo un vibrante omaggio. In quel medesimo periodo il santo Abate scrisse le sue opere più famose, come i celeberrimi Sermoni sul Cantico dei Cantici. Negli ultimi anni della sua vita – la sua morte sopravvenne nel 1153 – Bernardo dovette limitare i viaggi, senza peraltro interromperli del tutto. Ne approfittò per rivedere definitivamente il complesso delle Lettere, dei Sermoni e dei Trattati. Merita di essere menzionato un libro abbastanza particolare, che egli terminò proprio in questo periodo, nel 1145, quando un suo allievo, Bernardo Pignatelli, fu eletto Papa col nome di Eugenio III. In questa circostanza, Bernardo, in qualità di Padre spirituale, scrisse a questo suo figlio spirituale il testo De Consideratione, che contiene insegnamenti per poter essere un buon Papa. In questo libro, che rimane una lettura conveniente per i Papi di tutti i tempi, Bernardo non indica soltanto come fare bene il Papa, ma esprime anche una profonda visione del mistero della Chiesa e del mistero di Cristo, che si risolve, alla fine, nella contemplazione del mistero di Dio trino e uno: “Dovrebbe proseguire ancora la ricerca di questo Dio, che non è ancora abbastanza cercato”, scrive il santo Abate “ma forse si può cercare meglio e trovare più facilmente con la preghiera che con la discussione. Mettiamo allora qui termine al libro, ma non alla ricerca” (XIV, 32: PL 182, 808), all’essere in cammino verso Dio.

Vorrei ora soffermarmi solo su due aspetti centrali della ricca dottrina di Bernardo: essi riguardano Gesù Cristo e Maria santissima, sua Madre. La sua sollecitudine per l’intima e vitale partecipazione del cristiano all’amore di Dio in Gesù Cristo non porta orientamenti nuovi nello statuto scientifico della teologia. Ma, in maniera più che mai decisa, l’Abate di Clairvaux configura il teologo al contemplativo e al mistico. Solo Gesù – insiste Bernardo dinanzi ai complessi ragionamenti dialettici del suo tempo – solo Gesù è “miele alla bocca, cantico all’orecchio, giubilo nel cuore (mel in ore, in aure melos, in corde iubilum)”. Viene proprio da qui il titolo, a lui attribuito dalla tradizione, di Doctor mellifluus: la sua lode di Gesù Cristo, infatti, “scorre come il miele”. Nelle estenuanti battaglie tra nominalisti e realisti – due correnti filosofiche dell’epoca - l’Abate di Chiaravalle non si stanca di ripetere che uno solo è il nome che conta, quello di Gesù Nazareno. “Arido è ogni cibo dell’anima”, confessa, “se non è irrorato con questo olio; insipido, se non è condito con questo sale. Quello che scrivi non ha sapore per me, se non vi avrò letto Gesù”. E conclude: “Quando discuti o parli, nulla ha sapore per me, se non vi avrò sentito risuonare il nome di Gesù” (Sermones in Cantica Canticorum XV, 6: PL 183,847). Per Bernardo, infatti, la vera conoscenza di Dio consiste nell’esperienza personale, profonda di Gesù Cristo e del suo amore. E questo, cari fratelli e sorelle, vale per ogni cristiano: la fede è anzitutto incontro personale, intimo con Gesù, è fare esperienza della sua vicinanza, della sua amicizia, del suo amore, e solo così si impara a conoscerlo sempre di più, ad amarlo e seguirlo sempre più. Che questo possa avvenire per ciascuno di noi!

In un altro celebre Sermone nella domenica fra l’ottava dell’Assunzione, il santo Abate descrive in termini appassionati l’intima partecipazione di Maria al sacrificio redentore del Figlio. “O santa Madre, - egli esclama - veramente una spada ha trapassato la tua anima!... A tal punto la violenza del dolore ha trapassato la tua anima, che a ragione noi ti possiamo chiamare più che martire, perché in te la partecipazione alla passione del Figlio superò di molto nell’intensità le sofferenze fisiche del martirio” (14: PL 183,437-438). Bernardo non ha dubbi: “per Mariam ad Iesum”, attraverso Maria siamo condotti a Gesù. Egli attesta con chiarezza la subordinazione di Maria a Gesù, secondo i fondamenti della mariologia tradizionale. Ma il corpo del Sermone documenta anche il posto privilegiato della Vergine nell’economia della salvezza, a seguito della particolarissima partecipazione della Madre (compassio) al sacrificio del Figlio. Non per nulla, un secolo e mezzo dopo la morte di Bernardo, Dante Alighieri, nell’ultimo canto della Divina Commedia, metterà sulle labbra del “Dottore mellifluo” la sublime preghiera a Maria: “Vergine Madre, figlia del tuo Figlio,/umile ed alta più che creatura,/termine fisso d’eterno consiglio, …” (Paradiso 33, vv. 1ss.).

Queste riflessioni, caratteristiche di un innamorato di Gesù e di Maria come san Bernardo, provocano ancor oggi in maniera salutare non solo i teologi, ma tutti i credenti. A volte si pretende di risolvere le questioni fondamentali su Dio, sull’uomo e sul mondo con le sole forze della ragione. San Bernardo, invece, solidamente fondato sulla Bibbia e sui Padri della Chiesa, ci ricorda che senza una profonda fede in Dio, alimentata dalla preghiera e dalla contemplazione, da un intimo rapporto con il Signore, le nostre riflessioni sui misteri divini rischiano di diventare un vano esercizio intellettuale, e perdono la loro credibilità. La teologia rinvia alla “scienza dei santi”, alla loro intuizione dei misteri del Dio vivente, alla loro sapienza, dono dello Spirito Santo, che diventano punto di riferimento del pensiero teologico. Insieme a Bernardo di Chiaravalle, anche noi dobbiamo riconoscere che l’uomo cerca meglio e trova più facilmente Dio “con la preghiera che con la discussione”. Alla fine, la figura più vera del teologo e di ogni evangelizzatore rimane quella dell’apostolo Giovanni, che ha poggiato il suo capo sul cuore del Maestro.

Vorrei concludere queste riflessioni su san Bernardo con le invocazioni a Maria, che leggiamo in una sua bella omelia. “Nei pericoli, nelle angustie, nelle incertezze, - egli dice - pensa a Maria, invoca Maria. Ella non si parta mai dal tuo labbro, non si parta mai dal tuo cuore; e perché tu abbia ad ottenere l'aiuto della sua preghiera, non dimenticare mai l'esempio della sua vita. Se tu la segui, non puoi deviare; se tu la preghi, non puoi disperare; se tu pensi a lei, non puoi sbagliare. Se ella ti sorregge, non cadi; se ella ti protegge, non hai da temere; se ella ti guida, non ti stanchi; se ella ti è propizia, giungerai alla meta...” (Hom. II super «Missus est», 17: PL 183, 70-71).

AMDG et DVM

Alla “scuola del servizio divino" - il monachesimo –

PAPA EMERITO BENEDETTO XVI E SAN BERNARDO DI CHIARAVALLE

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Si pubblica in questa sede (tratto dal quotidiano “Il foglio” dell’11 aprile)  il discorso che Papa Ratzinger fece nel 2008 in Francia all’abbazia di San Bernardo di Chiaravalle.

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Lo specialista del Logos 
che lega liturgia, canto, verità e ragione

In un grandissimo discorso sul monachesimo e la cultura europea, Benedetto XVI andò molto oltre l’omelia affabile e domestica, rendendo al mondo umano un servizio insieme divino e razionale (2008)



Grazie, signor cardinale, per le sue parole gentili. Ci troviamo in un luogo storico, edificato dai figli di san Bernardo di Clairvaux e che il suo predecessore, il compianto cardinale Jean-Marie Lustiger, ha voluto come centro di dialogo tra la Sapienza cristiana e le correnti culturali intellettuali e artistiche dell’attuale società. Saluto in modo particolare la signora ministro della cultura che rappresenta il Governo, così come i signori Giscard d’Estaing e Chirac.

Rivolgo ugualmente il mio saluto ai ministri presenti, ai rappresentanti dell’Unesco, al signor sindaco di Parigi e a tutte le altre autorità. Non voglio dimenticare i miei colleghi dell’Institut de France, i quali conoscono la considerazione che nutro nei loro confronti. Ringrazio il Principe de Broglie per le sua cordiali parole. Ci rivedremo domani mattina. Ringrazio i delegati della comunità musulmana francese per aver accettato di partecipare a questo incontro: rivolgo loro i miei migliori auguri per il ramadan in corso. Il mio caloroso saluto va ora naturalmente all’insieme del multiforme mondo della cultura, che voi, cari invitati, rappresentate così degnamente.

Vorrei parlarvi stasera delle origini della teologia occidentale e delle radici della cultura europea. Ho ricordato all’inizio che il luogo in cui ci troviamo è in qualche modo emblematico. E’ infatti legato alla cultura monastica, giacché qui hanno vissuto giovani monaci, impegnati ad introdursi in una comprensione più profonda della loro chiamata e a vivere meglio la loro missione. E’ questa un’esperienza che interessa ancora noi oggi, o vi incontriamo soltanto un mondo ormai passato? Per rispondere, dobbiamo riflettere un momento sulla natura dello stesso monachesimo occidentale. Di che cosa si trattava allora? In base alla storia degli effetti del monachesimo possiamo dire che, nel grande sconvolgimento culturale prodotto dalla migrazione di popoli e dai nuovi ordini statali che stavano formandosi, i monasteri erano i luoghi in cui sopravvivevano i tesori della vecchia cultura e dove, in riferimento ad essi, veniva formata passo passo una nuova cultura. Ma come avveniva questo? Quale era la motivazione delle persone che in questi luoghi si riunivano? Che intenzioni avevano? Come hanno vissuto?

Innanzitutto e per prima cosa si deve dire, con molto realismo, che non era loro intenzione di creare una cultura e nemmeno di conservare una cultura del passato. La loro motivazione era molto più elementare. Il loro obiettivo era: quaerere Deum, cercare Dio. Nella confusione dei tempi in cui niente sembrava resistere, essi volevano fare la cosa essenziale: impegnarsi per trovare ciò che vale e permane sempre, trovare la Vita stessa. Erano alla ricerca di Dio. Dalle cose secondarie volevano passare a quelle essenziali, a ciò che, solo, è veramente importante e affidabile. Si dice che erano orientati in modo “escatologico”. Ma ciò non è da intendere in senso cronologico, come se guardassero verso la fine del mondo o verso la propria morte, ma in un senso esistenziale: dietro le cose provvisorie cercavano il definitivo. Quaerere Deum: poiché erano cristiani, questa non era una spedizione in un deserto senza strade, una ricerca verso il buio assoluto.

Dio stesso aveva piantato delle segnalazioni di percorso, anzi, aveva spianato una via, e il compito consisteva nel trovarla e seguirla. Questa via era la sua Parola che, nei libri delle Sacre Scritture, era aperta davanti agli uomini. La ricerca di Dio richiede quindi per intrinseca esigenza una cultura della parola o, come si esprime Jean Leclercq: nel monachesimo occidentale, escatologia e grammatica sono interiormente connesse l’una con l’altra (cfr “L’amour des lettres et le desir de Dieu”, p.14). Il desiderio di Dio, le désir de Dieu, include l’amour des lettres, l’amore per la parola, il penetrare in tutte le sue dimensioni. 
Poiché nella Parola biblica Dio è in cammino verso di noi e noi verso di Lui, bisogna imparare a penetrare nel segreto della lingua, a comprenderla nella sua struttura e nel suo modo di esprimersi. Così, proprio a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ricerca di Dio esigeva la cultura della parola, fa parte del monastero la biblioteca che indica le vie verso la parola. Per lo stesso motivo ne fa parte anche la scuola, nella quale le vie vengono aperte concretamente. Benedetto chiama il monastero una dominici servitii schola. Il monastero serve alla eruditio, alla formazione e all’erudizione dell’uomo – una formazione con l’obiettivo ultimo che l’uomo impari a servire Dio. Ma questo comporta proprio anche la formazione della ragione, l’erudizione, in base alla quale l’uomo impara a percepire, in mezzo alle parole, la Parola.

Per avere la piena visione della cultura della parola, che appartiene all’essenza della ricerca di Dio, dobbiamo fare un altro passo. La Parola che apre la via della ricerca di Dio ed è essa stessa questa via, è una Parola che riguarda la comunità. Certo, essa trafigge il cuore di ciascun singolo (cfr At 2, 37). Gregorio Magno descrive questo come una fitta improvvisa che squarcia la nostra anima sonnolenta e ci sveglia rendendoci attenti per Dio (cfr Leclercq, ibid., p.35). Ma così ci rende attenti anche gli uni per gli altri. La Parola non conduce a una via solo individuale di un’immersione mistica, ma introduce nella comunione con quanti camminano nella fede. E per questo bisogna non solo riflettere sulla Parola, ma anche leggerla in modo giusto. Come nella scuola rabbinica, così anche tra i monaci il leggere stesso compiuto dal singolo è al contempo un atto corporeo. “Se, tuttavia, leggere e lectio vengono usati senza un attributo esplicativo, indicano per lo più un’attività che, come il cantare e lo scrivere, comprende l’intero corpo e l’intero spirito”, dice al riguardo Jean Leclercq (ibid., p.21).
E ancora c’è da fare un altro passo. La Parola di Dio introduce noi stessi nel colloquio con Dio. Il Dio che parla nella Bibbia ci insegna come noi possiamo parlare con Lui. Specialmente nel Libro dei Salmi Egli ci dà le parole con cui possiamo rivolgerci a Lui, portare la nostra vita con i suoi alti e bassi nel colloquio davanti a Lui, trasformando così la vita stessa in un movimento verso di Lui. I “Salmi” contengono ripetutamente delle istruzioni anche sul come devono essere cantati ed accompagnati con strumenti musicali. Per pregare in base alla Parola di Dio il solo pronunciare non basta, esso richiede la musica. Due canti della liturgia cristiana derivano da testi biblici che li pongono sulle labbra degli Angeli: il “Gloria”, che è cantato dagli Angeli alla nascita di Gesù, e il “Sanctus”, che secondo “Isaia 6” è l’acclamazione dei Serafini che stanno nell’immediata vicinanza di Dio. Alla luce di ciò la Liturgia cristiana è invito a cantare insieme agli Angeli e a portare così la parola alla sua destinazione più alta. Sentiamo in questo contesto ancora una volta Jean Leclercq: “I monaci dovevano trovare delle melodie che traducevano in suoni l’adesione dell’uomo redento ai misteri che egli celebra. I pochi capitelli di Cluny, che si sono conservati fino ai nostri giorni, mostrano così i simboli cristologici dei singoli toni” (cfr ibid. p.229).

In Benedetto, per la preghiera e per il canto dei monaci vale come regola determinante la parola del Salmo: “Coram angelis psallam Tibi, Domine” – davanti agli angeli voglio cantare a Te, Signore (cfr 138,1). Qui si esprime la consapevolezza di cantare nella preghiera comunitaria in presenza di tutta la corte celeste e di essere quindi esposti al criterio supremo: di pregare e di cantare in maniera da potersi unire alla musica degli Spiriti sublimi, che erano considerati gli autori dell’armonia del cosmo, della musica delle sfere. Partendo da ciò, si può capire la serietà di una meditazione di san Bernardo di Chiaravalle, che usa una parola di tradizione platonica trasmessa da Agostino per giudicare il canto brutto dei monaci, che ovviamente per lui non era affatto un piccolo incidente, in fondo secondario. Egli qualifica la confusione di un canto mal eseguito come un precipitare nella “zona della dissimilitudine” – nella regio dissimilitudinis. Agostino aveva preso questa parola dalla filosofia platonica per caratterizzare il suo stato interiore prima della conversione (cfr “Confess.” VII, 10.16): l’uomo, che è creato a somiglianza di Dio, precipita in conseguenza del suo abbandono di Dio nella “zona della dissimilitudine” – in una lontananza da Dio nella quale non Lo rispecchia più e così diventa dissimile non solo da Dio, ma anche da se stesso, dal vero essere uomo. È certamente drastico se Bernardo, per qualificare i canti mal eseguiti dei monaci, usa questa parola, che indica la caduta dell’uomo lontano da se stesso. Ma dimostra anche come egli prenda la cosa sul serio. Dimostra che la cultura del canto è anche cultura dell’essere e che i monaci con il loro pregare e cantare devono corrispondere alla grandezza della Parola loro affidata, alla sua esigenza di vera bellezza. Da questa esigenza intrinseca del parlare con Dio e del cantarLo con le parole donate da Lui stesso è nata la grande musica occidentale. Non si trattava di una “creatività” privata, in cui l’individuo erige un monumento a se stesso, prendendo come criterio essenzialmente la rappresentazione del proprio io. Si trattava piuttosto di riconoscere attentamente con gli “orecchi del cuore” le leggi intrinseche della musica della stessa creazione, le forme essenziali della musica immesse dal Creatore nel suo mondo e nell’uomo, e trovare così la musica degna di Dio, che allora al contempo è anche veramente degna dell’uomo e fa risuonare in modo puro la sua dignità.

Per capire in qualche modo la cultura della parola, che nel monachesimo occidentale si è sviluppata dalla ricerca di Dio, partendo dall’interno, occorre finalmente fare almeno un breve cenno alla particolarità del Libro o dei Libri in cui questa Parola è venuta incontro ai monaci. La Bibbia, vista sotto l’aspetto puramente storico o letterario, non è semplicemente un libro, ma una raccolta di testi letterari, la cui stesura si estende lungo più di un millennio e i cui singoli libri non sono facilmente riconoscibili come appartenenti ad un’unità interiore; esistono invece tensioni visibili tra di essi. Ciò vale già all’interno della Bibbia di Israele, che noi cristiani chiamiamo l’Antico Testamento. Vale tanto più quando noi, come cristiani, colleghiamo il Nuovo Testamento e i suoi scritti, quasi come chiave ermeneutica, con la Bibbia di Israele, interpretandola così come via verso Cristo. Nel Nuovo Testamento, con buona ragione, la Bibbia normalmente non viene qualificata come “la Scrittura”, ma come “le Scritture” che, tuttavia, nel loro insieme vengono poi considerate come l’unica Parola di Dio rivolta a noi. Ma già questo plurale rende evidente che qui la Parola di Dio ci raggiunge soltanto attraverso la parola umana, attraverso le parole umane, che cioè Dio parla a noi solo attraverso gli uomini, mediante le loro parole e la loro storia. Questo, a sua volta, significa che l’aspetto divino della Parola e delle parole non è semplicemente ovvio. Detto in espressioni moderne: l’unità dei libri biblici e il carattere divino delle loro parole non sono, da un punto di vista puramente storico, afferrabili. L’elemento storico è la molteplicità e l’umanità. Da qui si comprende la formulazione di un distico medioevale che, a prima vista, sembra sconcertante: “Littera gesta docet – quid credas allegoria…” (cfr Augustinus de Dacia, “Rotulus pugillaris”, I). La lettera mostra i fatti; ciò che devi credere lo dice l’allegoria, cioè l’interpretazione cristologica e pneumatica.

Possiamo esprimere tutto ciò anche in modo più semplice: la Scrittura ha bisogno dell’interpretazione, e ha bisogno della comunità in cui si è formata e in cui viene vissuta. In essa ha la sua unità e in essa si dischiude il senso che tiene unito il tutto. Detto ancora in un altro modo: esistono dimensioni del significato della Parola e delle parole, che si dischiudono soltanto nella comunione vissuta di questa Parola che crea la storia. Mediante la crescente percezione delle diverse dimensioni del senso, la Parola non viene svalutata, ma appare, anzi, in tutta la sua grandezza e dignità. Per questo il “Catechismo della chiesa cattolica” con buona ragione può dire che il cristianesimo non è semplicemente una religione del libro nel senso classico (cfr n. 108). Il cristianesimo percepisce nelle parole la Parola, il Logos stesso, che estende il suo mistero attraverso tale molteplicità. Questa struttura particolare della Bibbia è una sfida sempre nuova per ogni generazione. Secondo la sua natura essa esclude tutto ciò che oggi viene chiamato fondamentalismo. La Parola di Dio stesso, infatti, non è mai presente già nella semplice letteralità del testo. Per raggiungerla occorre un trascendimento e un processo di comprensione, che si lascia guidare dal movimento interiore dell’insieme e perciò deve diventare anche un processo di vita. Sempre e solo nell’unità dinamica dell’insieme i molti libri formano un Libro, si rivelano nella parola e nella storia umane la Parola di Dio e l’agire di Dio nel mondo.

Tutta la drammaticità di questo tema viene illuminata negli scritti di san Paolo. Che cosa significhi il trascendimento della lettera e la sua comprensione unicamente a partire dall’insieme, egli l’ha espresso in modo drastico nella frase: “La lettera uccide, lo Spirito dà vita” (2 Cor 3,6). E ancora: “Dove c’è lo Spirito … c’è libertà” (2 Cor 3,17). La grandezza e la vastità di tale visione della Parola biblica, tuttavia, si può comprendere solo se si ascolta Paolo fino in fondo e si apprende allora che questo Spirito liberatore ha un nome e che la libertà ha quindi una misura interiore: “Il Signore è lo Spirito, e dove c’è lo Spirito del Signore c’è libertà” (2 Cor 3,17). Lo Spirito liberatore non è semplicemente la propria idea, la visione personale di chi interpreta. Lo Spirito è Cristo, e Cristo è il Signore che ci indica la strada. Con la parola sullo Spirito e sulla libertà si schiude un vasto orizzonte, ma allo stesso tempo si pone un chiaro limite all’arbitrio e alla soggettività, un limite che obbliga in maniera inequivocabile il singolo come la comunità e crea un legame superiore a quello della lettera: il legame dell’intelletto e dell’amore. Questa tensione tra legame e libertà, che va ben oltre il problema letterario dell’interpretazione della Scrittura, ha determinato anche il pensiero e l’operare del monachesimo e ha profondamente plasmato la cultura occidentale. Essa si pone nuovamente anche alla nostra generazione come sfida di fronte ai poli dell’arbitrio soggettivo, da una parte, e del fanatismo fondamentalista, dall’altra. Sarebbe fatale, se la cultura europea di oggi potesse comprendere la libertà ormai solo come la mancanza totale di legami e con ciò favorisse inevitabilmente il fanatismo e l’arbitrio. Mancanza di legame e arbitrio non sono la libertà, ma la sua distruzione.

Nella considerazione sulla “scuola del servizio divino” – come Benedetto chiamava il monachesimo – abbiamo fino a questo punto rivolto la nostra attenzione solo al suo orientamento verso la parola, verso l’“ora”. E di fatto è a partire da ciò che viene determinata la direzione dell’insieme della vita monastica. Ma la nostra riflessione rimarrebbe incompleta, se non fissassimo il nostro sguardo almeno brevemente anche sulla seconda componente del monachesimo, quella descritta col “labora”. Nel mondo greco il lavoro fisico era considerato l’impegno dei servi. Il saggio, l’uomo veramente libero si dedicava unicamente alle cose spirituali; lasciava il lavoro fisico come qualcosa di inferiore a quegli uomini che non sono capaci di questa esistenza superiore nel mondo dello spirito. Assolutamente diversa era la tradizione giudaica: tutti i grandi rabbi esercitavano allo stesso tempo anche una professione artigianale. Paolo che, come rabbi e poi come annunciatore del Vangelo ai gentili, era anche tessitore di tende e si guadagnava la vita con il lavoro delle proprie mani, non costituisce un’eccezione, ma sta nella comune tradizione del rabbinismo. Il monachesimo ha accolto questa tradizione; il lavoro manuale è parte costitutiva del monachesimo cristiano. Benedetto parla nella sua “Regola” non propriamente della scuola, anche se l’insegnamento e l’apprendimento – come abbiamo visto – in essa erano cose praticamente scontate. Parla però esplicitamente del lavoro (cfr cap.48).

Altrettanto fa Agostino che al lavoro dei monaci ha dedicato un libro particolare. I cristiani, che con ciò continuavano nella tradizione da tempo praticata dal giudaismo, dovevano inoltre sentirsi chiamati in causa dalla parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni, con la quale Egli difendeva il suo operare nel giorno di Sabato: “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero” (5, 17). Il mondo greco-romano non conosceva alcun Dio Creatore; la divinità suprema, secondo la loro visione, non poteva, per così dire, sporcarsi le mani con la creazione della materia. Il “costruire” il mondo era riservato al demiurgo, una deità subordinata. Ben diverso il Dio cristiano: Egli, l’Uno, il vero e unico Dio, è anche il Creatore. Dio lavora; continua a lavorare nella e sulla storia degli uomini. In Cristo Egli entra come Persona nel lavoro faticoso della storia. “Il Padre mio opera sempre e anch’io opero”. Dio stesso è il Creatore del mondo, e la creazione non è ancora finita. Dio lavora. Così il lavorare degli uomini doveva apparire come un’espressione particolare della loro somiglianza con Dio e l’uomo, in questo modo, ha facoltà e può partecipare all’operare di Dio nella creazione del mondo. Del monachesimo fa parte, insieme con la cultura della parola, una cultura del lavoro, senza la quale lo sviluppo dell’Europa, il suo ethos e la sua formazione del mondo sono impensabili. Questo ethos dovrebbe però includere la volontà di far sì che il lavoro e la determinazione della storia da parte dell’uomo siano un collaborare con il Creatore, prendendo da Lui la misura. Dove questa misura viene a mancare e l’uomo eleva se stesso a creatore deiforme, la formazione del mondo può facilmente trasformarsi nella sua distruzione.

Siamo partiti dall’osservazione che, nel crollo di vecchi ordini e sicurezze, l’atteggiamento di fondo dei monaci era il quaerere Deum – mettersi alla ricerca di Dio. Potremmo dire che questo è l’atteggiamento veramente filosofico: guardare oltre le cose penultime e mettersi in ricerca di quelle ultime, vere. Chi si faceva monaco, s’incamminava su una via lunga e alta, aveva tuttavia già trovato la direzione: la Parola della Bibbia nella quale sentiva parlare Dio stesso. Ora doveva cercare di comprenderLo, per poter andare verso di Lui. Così il cammino dei monaci, pur rimanendo non misurabile nella lunghezza, si svolge ormai all’interno della Parola accolta. Il cercare dei monaci, sotto certi aspetti, porta in se stesso già un trovare. Occorre dunque, affinché questo cercare sia reso possibile, che in precedenza esista già un primo movimento che non solo susciti la volontà di cercare, ma renda anche credibile che in questa Parola sia nascosta la via – o meglio: che in questa Parola Dio stesso si faccia incontro agli uomini e perciò gli uomini attraverso di essa possano raggiungere Dio. Con altre parole: deve esserci l’annuncio che si rivolge all’uomo creando così in lui una convinzione che può trasformarsi in vita.
Affinché si apra una via verso il cuore della Parola biblica quale Parola di Dio, questa stessa Parola deve prima essere annunciata verso l’esterno. L’espressione classica di questa necessità della fede cristiana di rendersi comunicabile agli altri è una frase della “Prima Lettera di Pietro”, che nella teologia medievale era considerata la ragione biblica per il lavoro dei teologi: “Siate sempre pronti a rispondere a chiunque vi domandi ragione (logos) della speranza che è in voi” (3, 15) (Logos deve diventare apo-logia, la Parola deve diventare risposta). Di fatto, i cristiani della chiesa nascente non hanno considerato il loro annuncio missionario come una propaganda, che doveva servire ad aumentare il proprio gruppo, ma come una necessità intrinseca che derivava dalla natura della loro fede: il Dio nel quale credevano era il Dio di tutti, il Dio uno e vero che si era mostrato nella storia d’Israele e infine nel suo Figlio, dando con ciò la risposta che riguardava tutti e che, nel loro intimo, tutti gli uomini attendono. L’universalità di Dio e l’universalità della ragione aperta verso di Lui costituivano per loro la motivazione e insieme il dovere dell’annuncio. Per loro la fede non apparteneva alla consuetudine culturale, che a seconda dei popoli è diversa, ma all’ambito della verità che riguarda ugualmente tutti.

Lo schema fondamentale dell’annuncio cristiano “verso l’esterno” – agli uomini che, con le loro domande, sono in ricerca – si trova nel discorso di san Paolo all’Areopago. Teniamo presente, in questo contesto, che l’Areopago non era una specie di accademia, dove gli ingegni più illustri s’incontravano per la discussione sulle cose sublimi, ma un tribunale che aveva la competenza in materia di religione e doveva opporsi all’importazione di religioni straniere. E’ proprio questa l’accusa contro Paolo: “Sembra essere un annunziatore di divinità straniere” (At 17, 18). A ciò Paolo replica: “Ho trovato presso di voi un’ara con l’iscrizione: Al Dio ignoto. Quello che voi adorate senza conoscere, io ve lo annunzio” (cfr 17, 23). Paolo non annuncia degli ignoti. Egli annuncia Colui che gli uomini ignorano, eppure conoscono: l’Ignoto-Conosciuto; Colui che cercano, di cui, in fondo, hanno conoscenza e che, tuttavia, è l’Ignoto e l’Inconoscibile. Il più profondo del pensiero e del sentimento umano sa in qualche modo che Egli deve esistere. Che all’origine di tutte le cose deve esserci non l’irrazionalità, ma la Ragione creativa; non il cieco caso, ma la libertà. Tuttavia, malgrado che tutti gli uomini in qualche modo sappiano questo – come Paolo sottolinea nella “Lettera ai Romani” (1, 21) – questo sapere rimane irreale: un Dio soltanto pensato e inventato non è un Dio. Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui. La cosa nuova dell’annuncio cristiano è la possibilità di dire ora a tutti i popoli: Egli si è mostrato. Egli personalmente. E adesso è aperta la via verso di Lui. La novità dell’annuncio cristiano consiste in un fatto: Egli si è mostrato. Ma questo non è un fatto cieco, ma un fatto che, esso stesso, è Logos – presenza della Ragione eterna nella nostra carne. Verbum caro factum est (Gv 1,14): proprio così nel fatto ora c’è il Logos, il Logos presente in mezzo a noi. Il fatto è ragionevole. Certamente occorre sempre l’umiltà della ragione per poter accoglierlo; occorre l’umiltà dell’uomo che risponde all’umiltà di Dio.

La nostra situazione di oggi, sotto molti aspetti, è diversa da quella che Paolo incontrò ad Atene, ma, pur nella differenza, tuttavia, in molte cose anche assai analoga. Le nostre città non sono più piene di are ed immagini di molteplici divinità. Per molti, Dio è diventato veramente il grande Sconosciuto. Ma come allora dietro le numerose immagini degli dèi era nascosta e presente la domanda circa il Dio ignoto, così anche l’attuale assenza di Dio è tacitamente assillata dalla domanda che riguarda Lui. Quaerere Deum – cercare Dio e lasciarsi trovare da Lui: questo oggi non è meno necessario che in tempi passati. Una cultura meramente positivista che rimuovesse nel campo soggettivo come non scientifica la domanda circa Dio, sarebbe la capitolazione della ragione, la rinuncia alle sue possibilità più alte e quindi un tracollo dell’umanesimo, le cui conseguenze non potrebbero essere che gravi. Ciò che ha fondato la cultura dell’Europa, la ricerca di Dio e la disponibilità ad ascoltarLo, rimane anche oggi il fondamento di ogni vera cultura.

di Benedetto XVI

AMDG et DVM

A questa generazione incredula e adultera, una generazione approfittatrice, permissiva, infedele.


Prima di leggere i messaggi, bisogna chiedere il dono del discernimento allo Spirito
Santo e recitare 7 Padre Nostro.

Messaggio Universale di Nostro Signore Gesù Cristo – No. 1
PRIMO MESSAGGIO UNIVERSALE DI NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO, DATO A
“EL DISCIPULO”, IL 13 OTTOBRE 1998 (Vigente e urgente)

Io Sono Colui che Sono, Sono l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine.
Chi vede Me, vede il Padre, chi accoglie Me, accoglie il Padre che Mi ha inviato.
Io non sono venuto a fare la Mia volontà, ma quella del Padre.
Ora, chi Mi ha ascoltato, ha ascoltato Mio Padre, Noi siamo una cosa sola con lo Spirito
Santo.
Di sicuro, ho molto da dire a questa generazione incredula ed adultera.
Sono disgustato dal trattamento che hanno riservato alla Mia Santa Madre, Lei ha il Mio
Cuore ed Io rimango unito a Lei, quindi tutto quello che hanno fatto a Lei, lo hanno fatto a
me.
A niente sono servite le Sue lacrime, le Sue suppliche e le Sue preghiere, perché non vi
siete ancora convertiti.
State facendo poco per lavorare nella Vigna di Mio Padre, quindi come sperate di ricevere
la dimora che ho preparato per voi?
Gli oziosi meritano forse una ricompensa?
Conoscermi implica servire ed impegnarsi con Me.
I pigri non hanno fatto la loro parte con Me, sono rimasti addormentati, sono rimasti muti
ed ora stanno diventando ciechi.
Non chiunque Mi dica: Signore, Signore, condividerà con Me il Regno dei Sacri Cuori.
Sì, “la Barca è flagellata da forti venti ed è sotto minaccia di essere affondata” (Gesù si
riferisce alla Chiesa).
Sento voci di allerta, ma nessuno rema. I Miei orecchi sono attenti, voi ascoltate, ma
non capite. Nemmeno quelli più vicini a Me sono capaci di comprendere.
I loro cuori sono pieni di cattivi desideri, ognuno guarda la paglia nell’occhio altrui e si
fanno a pezzi a vicenda con la lingua.
I moderni farisei si scandalizzano quando parlo così.
Gli uomini Mi hanno tradito e sto bevendo nuovamente il calice amaro della Mia Passione.
Gli uomini si prendono gioco e lasciano cadere nel vuoto il Comandamento dell’Amore ed
il Mio Cuore è contrito ed umiliato.
Le lingue scagliano veleno, condannando l’innocente.
Le attuali guide dell’umanità, sono cieche, completamente cieche! E pretendono di
guidare ed insegnare al Mio Popolo.
Io verrò presto. Sì, verrò molto presto!
Mio Padre estirperà ogni pianta che non è stato Lui a seminare.
Coloro che intralciano il Suo Piano, coloro che ostacolano il procedere di chi viene
e fa le cose per fede, saranno spazzati via dalla terra, annientati, cancellati per
sempre dalla storia.
Sì, piccolo Mio, questa generazione non Mi soddisfa, perché pensa solo al proprio ventre,
l’impurità è orribile.
“Io non sono venuto a condannare il mondo, ma a salvarlo. “ Sì, è questo quello che ho
detto, ma ora, in questo tempo, a questa generazione dico: “Il mondo non ha voluto essere
salvato da Me ed ora vengo a giudicarlo per le sue cattive opere. Io cerco, cerco
continuamente, notte dopo notte, giorno dopo giorno, anime giuste, nobili e pure e Mi sono
stancato di tanto cercare e cercare.
I Miei piedi hanno camminato seguendo le orme di Mia Madre sulla terra e trovo solo
cimiteri, sepolcri imbiancati, morti viventi, malati nell’anima e ciechi spirituali.
Ipocriti! Che fate una bella faccia davanti agli altri, ma dentro siete pieni di immondizia, di
sporcizia e di fetore.


Questa generazione è una generazione approfittatrice, permissiva, infedele.
Come volete allora che tutto riesca bene o vada bene, se siete voi stessi a causarvi i vostri
mali?
Io vi vedo che discutete tutti su chi sia il più bravo e chi sia il meno bravo, chi sia il più
importante, quello che sa di più, quello che ha più possibilità.
La società attuale è squilibrata, non sento altro che grida ed insulti, parole oscene, un
linguaggio profano, menzogne e calunnie e di certo, non è per causa del Mio Nome.
Sì, siccome Io Sono Dio-Uomo, ho vissuto nel mondo, sottomesso, in tutto somigliante a
voi meno che nel peccato, con le stesse lotte e tentazioni, con le stesse prove.
Io stesso, per il Mio stesso Nome, per amore al Mio Nome, vi ho mostrato il modo di uscire
vittoriosi.
Voi, figli Miei, avete poca forza di volontà per abbandonare i vostri peccati, vi siete
assoggettati a causa delle basse passioni e dei disordini della carne, perché non pregate e
non praticate il digiuno, quali modi per sottomettere il corpo e l’anima alle cose dello
spirito.
Perché vacillate, uomini di poca fede e non confidate nella Mia Parola? Io Sono l’unico
che può darvi la Vita Eterna.
La Mia Grazia Santificante è per i piccoli, per i semplici, per quelli che non ponderano
niente.
Cosa c’è di male se, nel corso degli anni e dei secoli abbiamo scelto, sia Mio Padre che Io,
strumenti umani per dettare dei messaggi?
La Mia Santa Madre è venuta ad avvertirvi delle cose che presto succederanno e
certamente sono pochi, pochissimi, quelli che hanno fatto caso ai Suoi Avvertimenti.
Cosa stava cercando di fare? Costa stava cercando Mia Madre?
Stava cercando solo la vostra conversione, solo che voi abbracciaste la Croce di
ogni giorno, voleva solo stabilire tra i figli degli uomini il Regno vittorioso del Suo
Cuore Immacolato.
Cercava solo il vostro bene, con dolci rimproveri, con suppliche e preghiere,
giungendo perfino a versare lacrime a causa dei Suoi figli ribelli ed assenti.
Quanta indifferenza! Stolti! Quanta insensibilità per il Cuore Doloroso e Immacolato della
Mia Santa Madre!
Come l’avete umiliata! Come non l’avete difesa quando La si attacca, quando si
offende la Sua Purezza e la Sua Immacolata Verginità Perpetua!
Per questo chiederò conto a questa generazione…!
Molti, per credere, cercano meraviglie, miracoli, segnali, ma si dimenticano di fare dei
passi avanti nella fede di ogni giorno.
Il Mio Popolo, figlio Mio, non ha fede; provo compassione per coloro che Mi seguono, per
le anime vittime propiziatorie che, giorno dopo giorno, offrono ogni genere di sofferenza, di
sacrificio, di digiuno.


Provo tenerezza e compassione per il popolo nudo di Dio.
Io amo tutti, perché Sono Dio ed anche se molti Mi negano e Mi disprezzano, Io continuo a
dare amore, perché non posso contraddire Me Stesso, in quanto Io Sono la Fonte
dell’Amore.
Per amore ammonisco e correggo, castigo duramente con la verga della correzione, ma lo
faccio per il bene dei Miei figli. Chi non accetta la correzione, cade nella superbia del
diavolo, perché Io correggo quelli che amo, Io correggo con giustizia, dando le frustate che
ciascuno può sopportare.
Ogni correzione è data con la finalità di salvarvi e non per castigarvi duramente con
rabbia, con furia, con brutalità, no. Io, Gesù, non lo faccio, perché non Sono come gli
uomini.
Io, essendo Dio, Mi comporto in modo diverso dagli uomini e i Miei Pensieri sono diversi
dai loro.
Io ho le Mie ragioni per correggere, per castigare, per ammonire o per fustigare e le Mie
ragioni sono valide, perché Io agisco secondo il Mio Nome, per il Mio Amore e la Mia
Giustizia.
Lo faccio per amore al Mio Nome e lo farò tutte le volte che sarà necessario per forgiare
anime docili, pure, impeccabili, sante, per il Regno di Mio Padre.
L’insegnamento degli uomini attuali è contrario ai Piani di Mio Padre.
Quello che insegna la carne ed il sangue, non ha valore davanti a Me, ma lo ha
quello che insegna lo Spirito Santo.
Voi avete ricevuto il Mio Spirito? Allora, perché non operate in accordo al Mio Spirito?
Lo Spirito è libertà, il Mio Spirito porta la vera pace, il Mio Spirito è Vita, la Vita che Io porto
in abbondanza, ma molti hanno preferito la morte alla vita.
Chi possiede il Mio Spirito, possiede Dio nelle Sue Tre Persone Divine, lo Spirito che grida
Abbà (Padre), lo Spirito di adozione e di figli, lo Spirito di eredi dei Tesori Celesti, lo Spirito
d’Amore e di Fede con i Suoi Carismi ed i Suoi Doni.
Io spiego ed insegno la Mia Dottrina, che è contraria al pensare e al volere del mondo.
Il Mio Regno non è di questo mondo.
Satana ha esteso il suo regno di tenebre in questo mondo… molti dei Miei figli sulla terra
non vivono più nella Luce.
Io Sono Gesù, La Luce Vera, che illumina ogni uomo, ma gli uomini di questo tempo
amano di più le tenebre che la Luce.
Io, Gesù, cambio continuamente approccio, per mostrarmi agli uomini e dimostrare loro
che anche con i loro errori, con i loro difetti, gli orgogli e le disobbedienze, Io li amo e non
voglio fare altro che mostrarmi a tutti con il Mio Vero Volto, un Volto d’Amore e di
Misericordia.
Molti dicono di avere fede, ma nell’ora della prova dimostrano il contrario.
Io vi chiedo di avere fede nel Mio Nome, nella Mia Promessa, smettete di essere diffidenti
e date frutti di un vero pentimento, perché il vostro Giudice è alle porte.
Guai al mondo che è causa di tante cadute!
Guai a coloro che fanno inciampare e fanno cadere gli altri!
Pertanto, perdonate sempre, unite le vostre voci figli Miei per chiedere e chiedendo,
abbiate la certezza che Mio Padre vi darà quello che è necessario.
Non siate duri di cuore, perché man mano che avanza il giorno, la notte si avvicina e
nell’oscurità non si può lavorare.


Dov’è la moltitudine che Mi seguiva?
Dove sono quelli che Ho guarito?
Dove sono quelli che hanno ricevuto il Mio Corpo come alimento e il Mio Sangue come
bevanda?
Dove sono i Miei sacerdoti, i Miei pastori, le guide del Mio Popolo?
Dove sono quelli che Mi accusano? Quelli che tirano a sorte i Miei vestiti?
Dove sono quelli che Mi detestano?
Dove sono i vostri fratelli?
Dov’è l’altare del Perfetto Sacrificio e l’aroma fragrante delle Mie Vergini Spose?
Dove sono le grida dei giusti?
Dove il pianto dei bambini?
Dov’è il presepe umile e santo dei cuori rendenti dal Mio Sangue?
Dov’è l’olocausto e la vittima gradita?
Dove sono i profeti ed i veggenti?
Io vi chiedo tutto questo e voi vi nascondete da Me, perché non sapete cosa rispondermi.
Io Sono Colui al quale piace raccogliere dove non ha seminato, Sono Il Pellegrino
assetato dell’Emmaus, il viandante solitario di Nazareth, il Figlio di Maria, l’Agnello senza
Macchia: Io Sono la Via, la Verità, la Vita.
Perché gli uomini fuggono dalla Verità?
Sì, Io, Gesù stesso ve lo dirò: perché non Mi hanno ancora conosciuto.
Io Sono vivo, figli Miei. Io Sono risuscitato, Sono Io, che vengo di nuovo a voi.
Se voi mi conosceste e Mi amaste come dite di amarmi, non direste menzogne.
Perché dite di essere buoni?
Il diavolo è il padre della menzogna, dell’inganno, dell’errore, lui è il padrone della
discordia e del diverbio, la sua astuzia è sottile, affronta gli uomini e li vince, li
intrappola, li seduce, li turba, li possiede, perché gli uomini non mettono in pratica i
precetti della Santa Legge.


Chi vedrà il Cielo Nuovo e la Terra Nuova?
Il tempo è scaduto.
Io Sono Gesù, sono stato Paziente, Misericordioso, Giusto, pronto a perdonare e a guarire
ogni malato, tanto dell’anima come del corpo, che si avvicinasse a Me, ma Sono stato
vilmente ingannato, perché gli uomini cercano solo la salute e quando la ottengono, si
allontanano da Me o si rifiutano di parlare con Me o di farmi compagnia.
Quanto Mi fa male l’abbandono nel quale Mi tengono le Anime Consacrate!
Basterebbero anche solo cinque minuti alla Mia Presenza, meditando il Potere della Mia
Croce, delle Mie Piaghe e del Mio Sangue, perché una moltitudine ottenesse infinità di
Grazie e di Benedizioni.
Io Sono Colui che Sono, Infinitamente Buono, ma molti si allontanano da Me, come si Io
fossi un cacciatore di frodo, un giudice ingiusto ed un Dio miserabile.
Ahimè! Gli uomini non si immaginano con quanto amore Io vado in cerca di loro.
Sì, Io li cerco e li aspetto per dare loro il Mio Amore, la Mia Speranza, la Mia
Consolazione, ma loro fuggono da Me a causa della loro malvagità. Non vogliono
convertirsi!
Non vogliono avere nessun genere di compromesso con Me!
La Mia Santa Madre e vostra Madre, prega e supplica, ma voi avete ignorato i Suoi
Messaggi, per questo accorcerò il tempo della Mia Venuta.
Il Mio Braccio cadrà e non ci sarà chi lo possa fermare, perché non posso tollerare altre
ingiustizie, altri oltraggi, altre blasfemie ed ogni genere di perversità.
Dove troverò il ladrone pentito?
Dove, la donna che tocchi il bordo del Mio Mantello?
Dove, chi con le sue lacrime Mi unga nuovamente con il profumo e lavi i Miei piedi stanchi
e doloranti?
Stanno per arrivare momenti duri, difficili, Mia Madre vi aveva già avvisato.
Io scuoterò il mondo con la Mia Parola e con il Mio Potere!
Tutti i Miei nemici ed i nemici di Mia Madre e della Mia Chiesa, riconosceranno che Io
Sono Colui che Sono, l’Unico, il Forte, l’Immutabile, Colui al Quale è stato dato il Potere, in
Cielo come in terra e allo stesso modo nell’abisso dell’inferno.
Figli Miei, rialzatevi dalla rovina morale e spirituale!
Lavate i vostri vestiti, perché sono sporchi e maleodoranti. Venite a Me e lavatevi alla
Fonte della Vita, dell’Acqua Viva che c’è nel Mio Sacro Cuore.
Io castigherò i malvagi, coloro che, conoscendomi, hanno buttato la Croce ed
hanno fatto marcia indietro.
Io aborrisco il male, ogni male sarà cancellato dalla faccia della terra e vi abiterà il Mio
Resto Fedele, quello che è giusto, buono e vero.
Allontanatevi da Me, voi tiepidi, perché Mi date la nausea, si allontanino da Me gli
indifferenti ed i pigri, perché cercano solo i beni temporali ed amano solo loro stessi,
disprezzando i più deboli.
Non tollererò più i sacrifici agli idoli, non tollererò più i maghi e gli indovini: fuggano lontano
da Me coloro che rendono culto al loro perverso padrone, satana, perché la Mia Santa Ira
e la Mia Santa Giustizia adesso stanno arrivando e purificheranno tutto.
I malvagi non troveranno riposo!
Via da Me quelli che rubano, usando la Sacra Scrittura, i ladri della virtù, gli adulteri,
i blasfemi, non avranno nessun diritto. La Mia Spada è affilata e se non si
pentiranno dei loro misfatti, saranno tagliati in due e non esisteranno più.
Sì, Io Sono Colui che Sono, l’Alfa e l’Omega, il Principio e la Fine, il Primo e l’Ultimo, Sono
il vostro Gesù che vi parla e faccio sul serio.
Nuovamente Mi sta consumando lo Zelo per la Mia Casa (la Chiesa Cattolica), sto
preparando nuovamente la frusta per ripetere la scena dei mercanti nel tempio.
Io Sono il Re delle nazioni, Io giudico il mondo con Giustizia.
Io Sono Amorevole, Attento, Sollecito, Compassionevole; ho ricevuto i sentimenti umani
da Mia Madre, per mezzo della Sua carne e del Suo sangue. Nei nove mesi durante i quali
Venni formato nel Suo Seno Verginale e Purissimo, sono stati tessuti i Miei Muscoli, i Miei
nervi. Sono stato generato, non creato, non Sono stato formato dal nulla, ma dal ventre
più Puro e Verginale che sia mai esistito sulla terra.
Sono stato allattato con latte Materno Santo e protetto per molto tempo dalle braccia
amorevoli della Mia Santa Madre, vostra Madre.


Come potrei non difendere Colei che Mi ha generato?
Chi ha offeso a parole o con le sue azioni la Mia Santa Madre, ha offeso Me, e non Me ne
starò in silenzio!
Voi, cari figli di questa generazione, non conoscete la Mia Ira!
Non provocate oltre la Mia Ira!
Non andate in giro a dire che Io non vivo, che Io, Gesù, non faccio miracoli, che Io,
Gesù non regno.
Non andate in giro a sparlare, seminando zizzania, diffondendo amarezza e
discordie!
Perché non Mi avete incontrato?
Perché non Mi cercate?
Il Mio Cuore è scosso dal dolore, perché nessuno vuole portare la sua croce, nessuno
vuole seguirmi ed essere Mio discepolo, senza ricevere niente in cambio.
Ci sono due errori gravi, che accusano gli uomini, tuttavia, la loro coscienza letargica dice
loro che non hanno commesso nessuno sbaglio, perché le loro menti sono annebbiate dal
vino e dal piacere.
Il moderno modo di pensare ha fatto loro il lavaggio del cervello e l’apatia per le Mie cose
ha diminuito la loro forza di volontà.
Sono come foglie trascinate dai venti della tempesta!
Ah! Se gli uomini tornassero a Me con cuore contrito ed umiliato, Io cancellerei per sempre
le loro colpe e non Mi ricorderei più delle loro malvagità, vivrebbero con Me ed Io direi loro:
voi siete i Miei figli amati, i prediletti del Cuore Immacolato di Mia Madre, i prediletti del Mio
Sacro Cuore!
Perdono, oggi implorate perdono! Non sia che il Mio Braccio Giustiziere, si abbatta su di
voi e sulle vostre famiglie!
Questo è il Primo Messaggio Universale che detto al Mio Strumento. È un appello al
pentimento.
Tornate a Me! Questo è il Mio Grido!
Tornate alla Roccia, alla Fonte, alla Fortezza, alla Ferita del Mio Costato, dalla quale
sgorga Sangue ed Acqua.


I DUE GRAVI ERRORI SONO: L’ABUSO DI FIDUCIA E L’USURPAZIONE DELLE
FUNZIONI.
L’umanità di questo secolo ha abusato della Mia Misericordia, mentre pochissimi hanno in
abbondanza, molti altri stanno soffrendo di indigenza.
La vostra giusta ricompensa è la violenza ed il disordine. In questo avete già la vostra
paga!
Anche molti sacerdoti hanno preso parte al Primo grave errore o ne sono stati complici in
un modo o nell’altro.
Sì, hanno abusato della loro autorità, non hanno pensato che le anime appartengono a Me
e che loro sono i dispensatori delle Mie Grazie. Hanno fatto bene alcune cose e male altre,
hanno abusato della loro autorità e la loro giusta ricompensa è l’assenza d’amore e la
discordia.
Posseggono beni ed hanno denigrato la loro Santa Vocazione, incorrendo nei peccati di
disobbedienza, di mancanza d’amore per la Santa Povertà ed hanno peccato contro la
Castità, perché sono uomini del mondo, non pregano, sono privi di fede, sono stati sedotti
dal mondo.
Con questo messaggio, chiedo che si pentano sinceramente e non tornino a
commettere quei peccati che mettono in pericolo la Fede e la Salvezza di migliaia di
anime.
Sì, Io Gesù Sacramentato, chiedo che riflettano su questo, e più che chiederlo, LO
ESIGO!
Molti penseranno che questo sia un duro ammonimento, ma di sicuro vi dico che è molto
necessario.
Perché vorrei o a cosa Mi servono i Miei Sacerdoti, che si sono dati al mondo e alla bella
vita, che si sono allontanati dai loro doveri, dal digiuno, dalla preghiera? …
I fedeli ed i sacerdoti che rifuggono le loro responsabilità Mi ripugnano!
Non Mi servono a niente!
Sono come i banchi vuoti in chiesa, sono come fioriere senza fiori nella Mia Casa di
Preghiera, come il muto silenzio nel Mio Tabernacolo, quando nella Mia Solitudine, Io
anelo ferventemente che qualcuno venga a confidarmi le sue lotte, i suoi dolori, i suoi
affanni quotidiani, perché Io possa dargli la Mia Forza, per dargli la Mia Fede, perché Io so
che ogni giorno le anime si trovano ad affrontare mille lotte, che senza la Mia Pazienza e
la Mia Forza non potranno sopportare.
Sono Solo nei Tabernacoli!
Il Secondo delitto dell’uomo è l’Usurpazione delle Funzioni, perché solo Io, Dio Uno e
Trino, il Dio-Uomo, sono l’Unico che deve giudicare le azioni degli uomini.
Gli scienziati vogliono creare la vita artificiale in ogni luogo e con ogni mezzo, si sono
aggiudicati il diritto alla vita (l’esistere o il non esistere), attraverso l’aborto, l’eutanasia e
molte altre cose.
Chi decide sulla vita, se non Io?
La giusta ricompensa è il bisogno materiale, la fame, la malattia e la guerra.
Io non voglio la fame, né la malattia, né la guerra, perché Io Sono un Dio che ama la Pace.
Come se non bastasse, al Santo Padre, Giovanni Paolo II, il Mio Vicario sulla terra, il
Pietro di questi ultimi tempi, si vogliono imporre pesanti fardelli, decisioni a favore del
permissivismo, del libertinaggio sessuale e l’abuso di potere.
Io dico che il Papa, in materia di Fede è infallibile! La Sua Parola è la Mia Parola! E chi
disobbedisce a lui, disobbedisce a Me, perché lui è il Mio Portavoce e dove va lui, dove si
trova lui, lì ci sono anch’io.
Quindi, perché vi ribellate alla Mia Voce?


Molti non amano il Papa, qualcuno si prende delle libertà al punto di giungere a dire quello
che lui non ha mai detto né proclamato.
Io ho detto alla Mia Santa Madre: “Prenditi cura di lui, Madre Mia” ed il Manto di Mia Madre
lo protegge.
Io, Gesù, non Sono una leggenda, ancor meno un mito.
Io, Gesù, sono attuale, vedo tutto e sento tutto, perfino i pensieri più intimi dell’uomo.
Niente sfugge ai Miei occhi. Io ascolto le conversazioni degli uomini e so che il 95% sono
conversazioni inutili, profane, oscene, senza pudore e senza scrupoli.
L’impurezza spirituale e corporale sta prendendo potere, sta incatenando le volontà con
ferree catene.
Guardo… cerco..., e non trovo nemmeno un’anima di vita santa.
Chi discuterà la Mia Parola? Chi di voi avrà le argomentazioni necessarie per competere
con Me?
Quelli che chiedono non ricevono, perché non chiedono con Fede e, se per caso
chiedono, lo fanno con il fine di sperperare tutto quello che riceveranno.
Io, Gesù, ho distribuito Grazia su Grazia, a seguito delle suppliche efficaci della Mia Santa
Madre Maria, grazie alla Sua Fiamma d’Amore, che Mi obbliga a farlo, ma molti non hanno
ottenuto niente a causa della loro ostinazione a continuare nel fango maleodorante dei
loro peccati.
Non hanno saputo approfittare della grande effusione di Grazie della Santa Trinità!
Alcuni per paura e per codardia, le hanno conservate gelosamente, come colui che
ricevette un solo talento e lo nascose sotto terra.
Popolo Mio, piangi il tuo peccato, la tua idolatria e la tua malattia!
Gemi per la Causa Santa di Michele Arcangelo!
Sì, piccolo Mio, scrivilo così, ora per molti sei un pazzo (un demente), per molti sei un
sognatore, un fanatico illuso, sei stoppia consumata dal Fuoco dell’Amore del Mio Cuore,
sei cera che si è consumata, scrivilo così, e che lo credano.
Alzatevi! Perché sta arrivando l’ora in cui l’Aquila si alzerà in volo, l’ora in cui il
leone andrà in cerca della preda, sì, l’ora in cui l’uccello non troverà un nido, né la
volpe una tana.
Alzati Popolo Mio! Vestiti di cenere, di sacco e di silicio, perché è giunta la Mia Ora, l’ora di
Santità e di Giustizia.
Chiesa che vivi, ma sei ferita, sei malata!
La tua malattia non è incurabile, Chiesa Mia! Io, Gesù, posso ristabilire in te i Segni Vitali,
se tu lo vuoi…
Grida, figlio Mio, Mio piccolo Strumento...! Sali sulle montagne, che i tuoi occhi si dirigano
a valle, una e mille spade e mille cavalieri sono pronti per la battaglia.
Michele sta chiamando gli scudieri del Regno!
Io, Gesù, ho parlato e tornerò a parlare, avrò Misericordia dei giusti e di coloro che sono
fedeli alla Mia Alleanza, sigillata con il Mio Sangue.
I capi delle nazioni, presidenti e re, non ne sono i padroni, ma le nazioni sono Mie e le
contenderò con loro.
Tremino quelli che Mi aborriscono, perché è giunto il giorno della Giustizia.
Risusciterò i morti e Mi manifesterò in visioni.
Ristabilirò la sovranità del Mio Popolo, Israele, da Nord a Sud, dall’Est all’Ovest.
Convocherò i Miei per la battaglia, i discendenti dei discendenti delle Dodici Tribù verranno
al Mio Monte Santo, convocati da Me.
La Croce Luminosa nel Cielo servirà come segnale, come la stella splendente di
Betlemme sul Presepe.
Scuotiti, Chiesa Mia! Scuoti la polvere dai tuoi piedi, in segno di protesta contro quelli che
si sono ribellati e non hanno rispettato i Miei ordini. Il giusto non tema nulla, si bei nel suo
letto l’anima vittima, viva per sempre chi è giusto.
Gratitudine, figli Miei, non desidero altro.
Gratitudine e rettitudine!
Ora convocherò i Miei Angeli, li riunirò come un Esercito per la Battaglia.
Pregate figli Miei, prendetevi il tempo per pregare, dedicate del tempo a riflettere sui Miei
messaggi.
A te, piccolo Mio, chiedo di affidare con urgenza questo Primo Messaggio al tuo Direttore
Spirituale e contemporaneamente, senza indugio, al tuo Vescovo.
Loro sapranno cosa dovranno fare!
Metti davanti alla Mia Presenza questi scritti per benedirli.
Vai con la Mia Pace.
Gesù.
Ixtus


AMDG et DVM