sabato 9 marzo 2019

IL PIANO DIABOLICO


RIVELATO DA SATANA A UN SACERDOTE DURANTE UN ESORCISMO
DOPO LE DIMISSIONI DI SUA SANTITA' PAPA BENEDETTO XVI


"Sancte Michael Archangele
Defende nos in proelio"

https://www.youtube.com/watch?v=C0rolBm9Psk

AMDG et DVM

Fratello Drythelm

La visione dell'«altro» mondo in una pagina di Beda il Venerabile

In realtà, non sono così infrequenti come si potrebbe immaginare.


Le visioni dell'altro mondo si presentano nei momenti più impensati, magari mentre il soggetto è alla guida dell'automobile, come dei flash improvvisi, di durata indefinibile ma di straordinaria, sconvolgente intensità.

Possono perfino cambiare la vita di un essere umano, dal momento che costituiscono l'occasione per un istantaneo, veridico e impietoso bilancio della propria vita; e generano, in questo caso, un profondo rimorso per tutte le cose buone che egli avrebbe potuto fare, ma non ha fatto, e un lancinante desiderio di poter tornare indietro nel tempo, per cogliere tutte quelle possibilità rimaste disattese.

È capitato, tra l'altro, a un nostro carissimo amico, persona di ottima cultura e forte spirito critico, assolutamente degna di fede. In un lampo, egli ha percepito l'atroce bruciore di quello che i cristiani chiamano l'inferno: un bruciore che non proveniva da alcun fuoco materiale (quella del fuoco non è, ovviamente, che una semplice immagine), ma da uno strazio interiore: quello di sapersi tremendamente separati dalla Verità, dalla Bontà e dalla Bellezza; quello di aver tradito il proprio scopo nella vita. Poter tornare indietro per un solo istante, ha pensato quel nostro amico: ah, come capiva, adesso, le parole del Vangelo che narrano il dialogo fra il padre Abramo e il ricco Epulone, divorato da un'arsura terribile nei tormenti infernali e che supplica, ma invano, una sola goccia d'acqua, per potersi rinfrescare le labbra! No, non erano tormenti imposti da una forza esterna: bensì nascevano direttamente dalla angosciante, irreparabile consapevolezza di aver percorso strade fallaci, e che a un certo punto è troppo tardi per recuperare il tempo perso.

Lo scopo di queste visioni potrebbe essere quello di ricordare agli esseri umani la necessità di un più serio impegno spirituale nella propria vita, sia sul piano individuale, sia - mediante i racconti, magari scritti, di coloro che hanno fatto una tale esperienza - su quello collettivo.

Questo secondo caso sembra essere quello riferito da Beda il Venerabile nella sua Storia ecclesiastica degli Angli (Historia ecclesiastica gentis Anglorum), la sua opera più nota, scritta nel 731, monumentale compendio della storia delle isole Britanniche - e non solo in ambito religioso - dall'epoca di Cesare al tempo dell'autore.

Nel capitolo dodicesimo del quinto e ultimo libro (traduzione italiana di Giuseppina Simonetti Abbolito, Roma, Città Nuova Editrice, 329-335), infatti, san Beda riferisce, con ricchezza di particolari, un caso di visione dell'altro mondo particolarmente lucida e realistica, narratogli dalla viva voce di un confratello di colui che ne fu protagonista.

Ciò che rende questo caso particolarmente impressionante è che il soggetto si trovava in stato di morte apparente, allorché fu colpito dalla visione dell'al di là; per cui potremmo accostare il suo caso a quelli di cui ci siamo già occupati nel precedente articolo: Che cosa hai fatto nella tua vita che ti sembri sufficiente? (sui siti di Edicolaweb e di Arianna Editrice). Anche qui, vi sono elementi tipici di quelle visioni, in particolare la presenza di un "essere di luce" che funge da guida e da punto di riferimento; verrebbe da dire che tale presenza ricorda da vicino quella di Virgilio (e, poi, di Beatrice) nella Divina Commedia, se non fosse che il racconto di Beda si colloca ben sei secoli prima del capolavoro di Dante Alighieri.



"In quei tempi avvenne in Britannia un miracolo memorabile simile a quelli dei tempi antichi. Infatti, perché gli uomini fossero incitati a risorgere dalla morte dell'anima, un tale, che era morto già da un po' di tempo, risuscitò alla vita del corpo e raccontò molte cose degne di memoria, che aveva visto; tra le quali ho ritenuto opportuno riassumerne qui alcune brevemente. Nella regione della Northumbria che si chiama In Coneningun, vi era un padre di famiglia  che con i suoi fu colpito devotamente; egli fu colpito da una malattia che si accrebbe di giorno in giorno in giorno, portandolo agli estremi, finché egli morì nelle prime ore di una notte. Ma sul far del giorno improvvisamente tornò in vita e si rizzò a sedere, sì che tutti quelli che si erano raccolti in lacrime intorno al suo corpo, presi da grandissimo terrore, scapparono via; solo la moglie, che lo amava di più, benché tutta pallida e tremante, rimase là. Egli cercò di consolarla: - «Non temere - disse -, perché sono veramente risuscitato dalla morte che mi aveva ghermito, e ho avuto il permesso di tornare a vivere tra gli uomini, anche se da questo momento debbo vivere non secondo il solito modo di vita ma in maniera del tutto diversa». Si alzò subito in piedi e andò all'oratorio del villaggio e rimase in preghiera per tutto il giorno; poi divise tutti i beni che aveva in tre parti, delle quali una dette alla moglie, una ai figli una terza riservandola a sé distribuì subito ai poveri. Poco dopo, liberatosi dalle cure del mondo, andò nel monastero di Mailros, che è circondato in gran parte dal corso del fiume Tuidi; ricevuta la tonsura, entrò in un luogo che l'abbate gli aveva riservato per risiedervi in gran segreto; e qui visse fino al giorno della sua morte in tanta contrizione di corpo e di mente da rivelare col modo di vita , anche se la lingua taceva, che aveva visto molte cose che agli altri rimangono nascoste, alcune spaventose, altre desiderabili,

"Così narrava quello che aveva visto: «Era risplendente nell'aspetto e fulgido nella veste colui che mi guidava.  Procedevamo in silenzio, in direzione, così mi sembrava, del punto in cui sorge il sole nel solstizio d'estate; e camminando giungemmo a una valle molto larga e profonda, di infinita lunghezza. Era posta alla nostra sinistra; un lato era terrificante per ribollire di fiamme, l'altro non lo era meno per una furiosa tempesta di grandine e neve, che soffiava con violenza e portava via ogni cosa. L'uno e l'altro erano gremiti di anime, che erano sbattute alternativamente di qua e di là come dalla violenza della tempesta. Quando infatti non potevano sopportare l'enorme calore, le misere anime si gettavano a capofitto in mezzo al gelo terribile e poiché neppure là potevano trovare pace, balzavano di nuovo via per bruciare in mezzo alle fiamme inestinguibili. Poiché una moltitudine innumerevole di spiriti deformi veniva tormentata da questa alternanza di dolore in lungo e un largo senza neppure un momento di tregua, cominciai a pensare che questo doveva essere l'inferno, dei cui intollerabili tormenti spesso avevo sentito parlare. Rispose ai miei pensieri la guida che mi precedeva - Non crederlo, non è questo l'inferno che pensi -.

"E mentre mi conduceva man mano avanti, sempre più atterrito da questo spettacolo orrendo, vidi improvvisamente il posto davanti a me cominciare a oscurarsi e a coprirsi tutto di tenebre. Penetrati dentro, queste si infittirono gradualmente, tanto che non vedevo altro che la figura e la veste della mia guida. E mentre avanzavamo nell'ombra della notte solitaria (Virg., Aen., VI, 268), ecco che d'un tratto appaiono davanti ai nostri occhi molti globi di fiamme oscure, che vi ricadevano dentro. Dopo avermi condotto là, all'improvviso la mia guida disparve e mi lasciò solo nel mezzo delle tenebre e dell'orrenda visione. E mentre i globi di fuoco ininterrottamente prima salivano in alto e dopo precipitavano giù nel baratro, vedo che tutte le lingue di fuoco che salivano erano piene degli spiriti di uomini che, simili a scintille che volano su col fumo, ora erano proiettati verso l'alto, ora quando si ritraevano le esalazioni del fuoco erano rigettati in basso. Inoltre un fetore irrespirabile, che ribolliva con i vapori, riempiva tutti quei luoghi avvolti nelle tenebre. E dopo che per parecchio tempo ero restato là non sapendo che fare, dove andare, quale fine mi aspettasse, sento all'improvviso dietro di me il clamore di un pianto disumano e miserevole e poi come il riso sguaiato del popolaccio, che deride i nemici fatti prigionieri. Quando il clamore avvicinandosi mi giunse più chiaro, vedo una schiera di spiriti maligni che trascinava cinque anime di uomini che si lamentavano e piangevano, mentre quelli saltavano e sghignazzavano trascinandoli nelle tenebre. Di questi uomini, per quanto potei scorgere, uno aveva la tonsura come un chierico, uno era un laico una era una donna: trascinandoli, gli spiriti maligni discesero in mezzo al baratro ardente, sì che allontanandosi essi sempre più, io finii per non distinguere con chiarezza il pianto degli uomini e il riso dei demoni, e tuttavia avevo ancora nelle orecchie un clamore confuso. Intanto alcuni spiriti oscuri salirono dall'abisso che vomitava fiamme; accorsero, mi circondarono e mentre fiammeggiavano con gli occhi, sputavano fuoco puzzolente dalla bocca e dalle narici appestandomi. Minacciavano di infilzarmi colle forche infuocate che tenevano in mano, anche se non volevano toccarmi ma solo terrorizzarmi. Chiuso da tutte le parti dai nemici e dalle tenebre oscure, giravo gli occhi di qua e di là per vedere se da qualche parte mi venisse un aiuto per tirarmi in salvo, quando apparve dietro, per la via per la quale ero venuto, il fulgore come di una stella che risplendeva fra le tenebre, che crescendo a poco a poco e avvicinandosi a me velocemente, quando fu vicino disperse e mise in fuga tutti gli spiriti maligni che cercavano di portarmi via con le forche.

Quello che con il suo arrivo li aveva messi in fuga era lo stesso che prima mi aveva fatto da guida. Egli subito deviò il cammino verso destra e cominciò a condurmi in direzione del sorgere del sole invernale. Senza indugio mi portò via dalle tenebre e mi condusse dove il cielo era illuminato da una luce serena; e condotto all'aperto, vidi davanti a me un grandissimo muro che sembrava non aver fine né in altezza né in lunghezza. Cominciai perciò a chiedermi meravigliato perché ci avvicinassimo al muro, dato che da nessuna parte si vedeva porta o finestra o scala. Ma quando fummo arrivati al muro, non so come ci trovammo sulla sua sommità. Ed ecco che là c'era un campo larghissimo e bellissimo, pieno di tanta fragranza di fiori sbocciati che la soavità di questo profumo straordinario scacciò via tutto il fetore della tenebrosa fornace, che mi aveva investito. La luce che pervadeva quei luoghi era così intensa da superare lo splendore del giorno e anche i raggi del sole a mezzogiorno. C'erano sparsi in questo campo molti gruppi di uomini  biancovestiti e molte schiere di persone in festa. Mentre la guida mi conduceva in mezzo ai cori di questi lieti abitanti, cominciai a pensare che forse questo era il regno dei cieli, del quale spesso avevo sentito parlare, ed egli rispose al mio pensiero: - Non è questo il regno dei cieli che credi. -

"Procedendo oltrepassammo anche queste sedi degli spiriti beati ed ecco, scorgo davanti a noi uno splendore di luce molto maggiore di prima: anche in questo sento voci dolcissime che cantavano. E da quel luogo si effondeva tanta fragranza di profumo che quello che avevo gustato prima e che avevo ritenuto il più intenso di tutti, ora mi sembrava profumo quanto mai tenue. E così anche la straordinaria luce del campo in fiore, a paragone di quella che mi apparve ora, mi sembrava assolutamente tenue e modesta. Ma proprio quando speravo che saremmo entrati in questo luogo tanto ameno, all'improvviso la mia guida si fermò e senza indugio, voltandosi indietro, mi ricondusse per la stessa via per la quale eravamo venuti.

"Quando tornando indietro arrivammo alle sedi beate degli spiriti biancovestiti, egli mi chiese: - Sai che cos'è tutto ciò che hai visto? - . Io risposi: - No -. 
E quello disse: - La valle che hai visto, orrida di fiamme ribollenti e freddo raggelante, è il luogo ove debbono essere esaminate  e punite le anime di coloro che, procrastinando la confessione e il pentimento dei peccati, che hanno commesso, si sono ridotti a pentirsi proprio al momento della morte e in questo stato escono dal corpo; costoro tuttavia, poiché almeno al momento della morte si sono confessati e pentiti, tutti nel giorno del giudizio giungeranno al regno dei cieli. Le preghiere dei vivi, le elemosine, i digiuni e specialmente la celebrazione delle messe gioverà a che molti siano liberati anche prima del giorno del giudizio. 
Quel pozzo poi che hai visto vomitare fiamme e fetore è proprio la bocca dell'inferno, dal quale una volta che uno ci cade dentro, non sarà mai più liberato in eterno. 
Il luogo invece pieno di fiori, nel quale vedi gioiosa e risplendente questa bellissima gioventù, è il luogo dove sono accolte le anime che escono dal corpo dopo aver compiuto buone opere ma non sono così perfette da meritare di essere introdotto subito nel regno dei cieli; tuttavia nel giorno del giudizio saranno ammessi tutti alla visione di Cristo e alla gioia del regno celeste. 
Tutti quelli invece che sono perfetti per parola, opera, pensiero, usciti dal corpo entrano subito nel regno dei cieli, cui è vicino il luogo dove hai sentito risuonare il dolce canto, accompagnato dal profumo e dallo splendore luminoso. 
Quanto a te, dato che ora devi tornare di nuovo nel corpo e vivere tra gli uomini, se ti adopererai a sorvegliare le tue azioni con la massima cura e a conservare retto e semplice il tuo modo di agire e di parlare, riceverai anche tu dopo la morte un posto in mezzo a queste schiere felici di spiriti beati, che ora vedi. Io infatti, quando mi sono allontanato da te per un po' di tempo, l'ho fatto proprio per conoscere che cosa sarà di te -. Dopo che mi disse questo, mi rincresceva molto tornare nel corpo, perché traevo gran diletto dalla dolcezza e dalla bellezza di quel luogo che scorgevo e insieme dalla compagnia di quelli che vedevo là. Non osavo chiedere niente alla mia guida, ma mentre ero in questi pensieri, non so come all'improvviso mi sono ritrovato a vivere tra gli uomini».

"Questo e tutto il resto che aveva visto quest'uomo di Dio lo riferiva non a tutti indiscriminatamente i perdigiorno che non hanno cura della propria vita, , ma solo a coloro che, atterriti dai tormenti e rallegrati dalla speranza del gaudio eterno, volevano ricavare dalle sue parole giovamento per la loro devozione. Vicino infatti alla sua cella dimorava un monaco di nome Haemgisl, che si segnalava parimenti per la serietà del presbiterato e le buone opere, e che ancora oggi è in vita e trascorre in Irlanda i suoi ultimi anni cibandosi di pane e acqua. Egli, che si recava molto spesso dal nostro uomo per interrogarlo, si sentì ripetere da lui quali e di quale specie fossero le visioni che aveva visto quando era uscito dal corpo, e grazie alla sua relazione sono venuto a conoscerle anch'io e le ho qui riassunte. Narrò le sue visioni anche al re Aldfrith, uomo dottissimo in ogni campo, e questi lo ascoltò con piacere e interesse a punto tale che lo fece ammettere nel monastero che ho sopra ricordato, e tonsurare come monaco. Non mancava inoltre di recarsi ad ascoltarlo spesso, quando si recava da quelle parti. In quel tempo era a capo di quel monastero l'abbate e prete Ethelwald, di vita devota e modesta, che ancora oggi regge la cattedra episcopale della chiesa di Lindisfarne con modo di vita degno del suo grado.

"Quell'uomo nel monastero viveva in un posto molto appartato, dove si poteva dedicare più liberamente con preghiere continue al servizio del suo Creatore. E poiché il luogo era situato sulla riva del fiume, spesso entrava nell'acqua per il gran desiderio di infliggere un castigo al suo corpo. Di frequente vi si immergeva quando le onde salivano, cercando di resistere lì il più a lungo possibile fra canti e preghiere, e aspettava fermo fino a che l'acqua gli saliva fino ai fianchi e a volte anche fino al collo. Quando tornava a terra, non si curava di togliersi i vestiti bagnati e gelati ma aspettava che si riscaldassero e asciugassero addosso a lui. D'inverno, mentre scorrevano intorno a lui lastre di ghiaccio spezzato che egli stesso aveva rotto per avere un luogo dove stare fermo o immergersi nel fiume, quelli che lo vedevano gli dicevano: - È straordinario, fratello Drythelm (questo infatti era il suo nome) come tu possa sopportare un freddo così pungente -. E quello rispondeva semplicemente - infatti era un uomo semplice e modesto: - Ho visto luoghi ben più freddi -. E quando gli dicevano: - È straordinario che tu voglia vivere in tale austera continenza -, rispondeva: - Ho veduto luoghi ben più austeri -. E così fino al giorno della sua chiamata, spinto dall'indefettibile desiderio dei beni celesti, domò il vecchio corpo con digiuni quotidiani e contribuì alla salvezza di molti con la parola e con l'esempio."



Anche nei due capitoli successivi, il tredicesimo e il quattordicesimo del quinto libro, san Beda riporta fatti analoghi, relativi a visioni dell'al di là presentatesi a dei viventi; ma quello che abbiamo riportato è l'episodio riferito con maggior cura di particolari ed efficacia espressiva, sì che non stentiamo a credere che l'autore ne abbia avuto conoscenza diretta.

Ma chi era Beda, detto il Venerabile e poi santificato dalla Chiesa cattolica?

Era un monaco ed erudito inglese di alte virtù morali, nato nel 672 ed entrato, all'età di soli sette anni,  nel monastero di Wearmouth, per poi farsi diacono a diciannove anni  e sacerdote all'età di trenta. La sua educazione era stata curata dagli abati Benedetto Biscop e Ceolfrid e, nel 682,  egli entrò nel monastero in cui avrebbe trascorso, pregando e scrivendo, praticamente tutta la su vita, che si concluse il 25 maggio del 735.

La sua vasta produzione letteraria si può dividere in tre gruppi principali: quello delle opere scientifiche, quello delle opere storiche e quello delle opere teologiche. Al primo appartengono, fra l'altro, un trattato sui fenomeni naturali, De Rerum Natura, e due sulla cronologia, De temporibus e De temporum ratione, nonché alcuni trattati di grammatica scritti, sul modello di Cassiodoro, per i suoi confratelli e studenti; al secondo la già citata Historia ecclesiastica gentis Anglorum, nonché le biografie degli abati di Wermouth e di Jarrow e quella di san Cutberto di Lindisfarne; al terzo, che è anche il più consistente, una serie di commenti sia al Nuovo che all'Antico Testamento, omelie e trattati esegetici su brani delle Sacre Scritture.

La sua cultura era, specialmente per quei tempi e quei luoghi, semplicemente sbalorditiva:  conosceva, oltre al latino, il greco e, in qualche misura, l'ebraico; e si muoveva a suo agio fra i classici pagani, a cominciare da Virgilio, non meno che fra gli autori cristiani. Ad essa egli univa un'indole straordinariamente semplice e mite, qualità non meno eccezionali in una persona così colta. Secondo Charles Phipps Brutton (cfr. Encyclopaedia Britannica, edizione 1961, vol. III, pp. 296-297), la sua pietà, umiltà e gentilezza traspaiono da ogni singola pagina della sua opera. Ma su tutto il resto prevale la sua profonda fede: sicché, anche quando tratta di argomenti storici o scientifici, è sempre il fervente cristiano che scrive per altri cristiani, in una prospettiva intensamente religiosa.

Egli, pertanto, è stato un monumento vivente di quella cultura monastica la quale, per secoli, ha rischiarato l'Europa dell'alto Medioevo e che, lungi dal chiudersi nella chiostra dei conventi, permeava di sé l'intera società civile. Questo tratto è particolarmente evidente nella opera maggiore opera storiografica di Beda il Venerabile, la quale, pur essendo, nelle intenzioni, una storia ecclesiastica dell'Inghilterra (e, in minor misura, delle isole vicine), abbraccia senza soluzione di continuità anche la sfera politica: specchio di un tempo in cui i due ambiti, religioso e temporale,  potevano coesistere e perfino coincidere senza scosse né traumi; come poi, invece, sarebbe avvenuto, a partire dalla lotta per le investiture fra papato e Impero.



Pur con tutti i limiti propri alla storiografia altomedioevale (limiti, del resto, che a noi paiono tali a causa del nostro particolare punto di vista: laico, razionalista e sostanzialmente materialista), l'opera di Beda rivela pertanto una intelligenza vivace e un'apertura intellettuale a trecentosessanta gradi. Non esistono quindi ragioni, a nostro parere, per accogliere il racconto della visione del monaco, che più sopra abbiamo riportato, come il frutto delle ingenue fantasticherie di persone sprovvedute e troppo facilmente suggestionabili.

A ciò si aggiunga il fatto che esperienze mistiche - se così vogliamo chiamarle - del genere di quella riferita da Beda, sono sempre accadute, ovviamente non solo nell'ambito della cultura cristiana (anche se, naturalmente, con differenti connotazioni specifiche) e tuttora continuano ad accadere, a migliaia e migliaia di esseri umani.

Riteniamo, in conclusione, che ogni persona libera da pregiudizi, sia essa credente o non credente in una determinata fede religiosa, dovrebbe porsi nei confronti di simili esperienze in un atteggiamento di apertura spirituale o, quanto meno, di sana curiosità intellettuale. Tutti possiamo imparare da tutti, se ci spogliamo dai pregiudizi e dalla superbia che offuscano la nostra visione delle cose. In fin dei conti, la Verità è una, anche se molte sono le strade per avvicinarsi ad essa o, almeno, per non allontanarsene troppo.

E che cosa suggeriscono le esperienze mistiche del tipo sopra descritto?

Che esistono stati di coscienza che vanno non contro, ma oltre lo strumento della ragione ordinaria; che esiste la possibilità che i racconti sull'altra dimensione riguardino un tipo di esperienza che tutti, al momento di quella che Ernesto Bozzano chiamava "la crisi della morte", dovremo affrontare; che il fatto di riflettere su tali cose può comportare delle enormi conseguenze sul nostro modo di vedere la vita, su quello di viverla e su quello di concluderla.

A noi non sembrano cose di poco conto.

Se possiamo considerarle, quanto meno, una ragionevole ipotesi di lavoro per ciò che riguarda il processo della nostra evoluzione spirituale, fin da qui e fin da ora, allora significa che una nuova, ricca prospettiva esistenziale si apre davanti a noi, con tutte le conseguenze che ciò comporta per noi e per coloro in mezzo ai quali viviamo.

di Francesco Lamendola
Sancte Michael Archangele
Defende nos in proelio
AMDG et DVM

SAN DOMENICO SAVIO




Attenti a non mangiare COME le bestie






AMDG et DVM

Messaggio e testimonianza eloquenti. Santa Francesca Romana

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SANTA FRANCESCA ROMANA
LA SANTA DE ROMA

 Quando nacque, a Roma, santa Francesca Romana,
il Papa era ritornato da Avignone, da solo sei anni.
 Dopo la morte di Gregorio XI , gli succedette Urbano VI , ma,
contemporaneamente, per volere di alcuni sciagurati ed irresponsabili cardinali,
che non servivano, ma si servivano della Chiesa, scoppiò lo Scisma d’Occidente.

La Cristianità si trovò con due Papi : uno a Roma ed un altro ad Avignone.
In questo infelice contesto nacque Francesca. Era il 1384.
Suo padre, Paolo Bussa de’ Leoni, e sua madre, Jacobella Roffedreschi,
formavano una bella famiglia, erano Guelfi ed anche benestanti.

 Sin da bambina, Francesca, dimostrò una spiccata
intelligenza ed una particolare sensibilità religiosa. Frequentava con assiduità,
portata dalla madre, la Chiesa di Santa Maria Nova e manifestò, ancora
piccola, il desiderio di consacrarsi al Signore. Voleva farsi monaca . Senonchè, il
padre, del tutto contrario, decise invece di maritarla ad un giovane di nome
Lorenzo, della famiglia Ponziani, assai ricca e molto nota. Francesca, seppur
riluttante, ubbidì. Aveva 12 anni. In verità, la giovane, nella nuova casa del
marito, si trovò molto bene. Accolta da tutto il parentado di Lorenzo, ella
stessa portò, nella casa dello sposo, una ventata di spiritualità ed un retto
modo di vivere. Dopo una malattia, che superò miracolosamente, si disse per
l’intercessione di Sant’Alessio, rientra nella sua attiva dedizione ai poveri ed ai
malati. Nella sua opera era assistita visibilmente dal suo Angelo Custode.

Amata dal marito e stimata dalla gente, ebbe tre figli. Due li perdette ancora
piccoli, le rimase solo il primogenito, Giovanni Battista.

 Nel 1402, su Roma si abbattè una grande
carestia con conseguenze disastrose. La casa Ponziani divenne centro di
assistenza per poveri e mendicanti. Francesca aveva distribuito tutti i beni
della Famiglia, tanto da destare preoccupazioni tra i parenti. 

 Roma, sconvolta da ulteriori ribellioni popolari e
dalla guerra tra il Papa ed il suo rivale, Ladislao re di Napoli, attraversava un
terribile momento. La Cristianità lacerata, annoverava simultaneamente tre
Papi. Francesca viveva impegnata tra il fare il bene e l’esortazione alla pace,
al perdono tra le fazioni in lotta.

 La chiamavano la “Poverella di Trastevere” ed
arrivò anche a chiedere l’elemosina nel suo quartiere. Il marito, Lorenzo,
rimasto gravemente ferito nelle lotte cittadine, curato ed assistito da
Francesca, condivise in pieno il suo operato. I due sposi vissero gli ultimi anni
in una completa dedizione a Dio.

 La Santa viveva una intensa vita fatta di estasi
e di visioni. Il suo Angelo Custode le stava sempre accanto. La stessa Vergine
Maria l’assisteva e la sosteneva : la guarì persino da una grave malattia.

Intanto, durante il Concilio di Costanza, vennero deposti i tre Papi ed eletto
Pontefice Martino V, della famiglia romana dei Colonna. Ritornò una certa
pace e Francesca profuse tutto il suo ardore per promuovere la riconciliazione
e la misericordia in tutta Roma.

Francesca Bussa Ponziani divenne “Francesca
Romana”, Santa de Roma. Nel 1433, raccolte nove compagne, poteva riunire
insieme le Oblate della Santissima Vergine di Tor de’ Specchi, che aveva
fondato, già come Istituto, nel 1425.

 Santa Francesca Romana, muore a Roma il 9
Marzo 1440 : aveva 56 anni. Il suo corpo riposa nella Basilica di Santa Maria
Nova, ora comunemente chiamata dai romani con il suo Nome. Venne
proclamata Santa da Papa Paolo V Borghese, il 29 Maggio 1608. Nell’ Oratorio
delle Oblate di Tor de’ Specchi, si possono ammirare una serie di affreschi di
Antoniazzo Romano, che narrano scene della vita della Santa.

 Papa Giovanni Paolo II, in occasione del 6°
centenario della nascita della Nostra Santa, affermava : “ La sua vita ed opera,
anche a così rilevante distanza di tempo, continuano ad offrire alla Chiesa ed
alla società di oggi, un messaggio ed una testimonianza, davvero eloquenti:”

Gianni Mangano
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http://www.restituzioni.com/wp-content/uploads/2018.cat_.67.pdf

http://lanuovabq.it/it/pdf/santa-francesca-romana-1-1-1-1-1

AMDG et DVM

La segunda después de Dios



LA MUJER DEBÍA SER LA DULZURA DE DIOS EN LA TIERRA, 
DEBÍA SER EL AMOR, 
LA ENCARNACIÓN DE ESTE FUEGO QUE MUEVE A AQUEL QUE ES,
 LA MANIFESTACIÓN, LA TESTIGO DE ESTE AMOR

La mujer debía ser la dulzura de Dios en la Tierra, debía ser el amor, la encarnación de este fuego que mueve a Aquel que es, la manifestación, la testigo de este amorDios la había dotado de un espíritu extraordinariamente sensible porque, cuando llegase a ser madre, supiese y pudiese abrir a sus hijos los ojos del corazón para que viese con amor a Dios y a sus semejantes, para que pudiesen estos entender y obrar. Piensa en la orden que Dios se dio a Sí mismo: "Hagamos a Adán una compañera". Dios que es Bondad, no podía sino querer hacer una buena compañera a Adán. Quien es bueno, ama. La compañera de Adán debía por eso ser capaz de amar para hacer feliz a Adán en su estadía en el Paraíso. Debía ser muy capaz de amar, de modo que debía ser la segunda después de Dios, así como su colaboradora y ayudadora en amar al hombre, creatura de Dios, de modo que aun en las horas en que la Divinidad no se manifestase a su creatura, el hombre al oír la voz de amor de Eva, no se sintiese infeliz por la falta de amor.
Satanás conocía esta perfección. Muchas cosas sabe Satanás. El es el que habla por los labios de los adivinos, que dicen mentiras mezcladas con verdad. Y si dice estas verdades, que odia porque es Mentira, lo hace sólo -y tenedlo en cuenta vosotros y quienes os sigan- para seduciros con la quimera de que no es la Oscuridad la que habla sino la LuzSatanás, astuto, tortuoso, cruel, se ha arrastrado y ha entrado en esta perfección y allí ha dado su mordida, y dejado su veneno. La perfección de la mujer en el amar se ha convertido así en instrumento de Satanás para dominar a la mujer y al hombre, y así propagar el mal..."
"¿Entonces, nuestra madres?"
"Juan ¿tienes miedo de ellas? No todas las mujeres son instrumento de Satanás. Perfectas por su sentimiento, son siempre excesivas en el obras: ángeles si quieren ser de Dios, demonios si quieren ser de Satanás. Las mujeres santas, y entre ellas tu madre, quieren ser de Dios y son ángeles.

MAESTRO ¿NO TE PARECE QUE FUE INJUSTO EL CASTIGO 
QUE RECIBIÓ LA MUJER? 
TAMBIÉN EL HOMBRE PECO."

Maestro ¿no te parece que fue injusto el castigo que recibió la mujer? También el hombre peco."
"¿Y qué vamos a decir del premio? Está escrito que por la Mujer volverá el Bien al mundo y Satanás será vencido."

Y COMO SATANÁS AULLARÁ POR TODA LA ETERNIDAD, 
VED QUE LA VOZ DE UNA MUJER CANTARÁ PARA SIEMPRE 
A FIN DE ACALLAR SUS AULLIDOS.

"No juzguéis jamás las obras de Dios, y esto como primera condición. Pensad que, como el mal entró por la Mujer, es justo que por la Mujer entre el Bien en el mundo. Hay que borrar la página que escribió Satanás, y lo hará el llanto de una Mujer. Y como Satanás aullará por toda la eternidad, ved que la voz de una Mujer cantará para siempre a fin de acallar sus aullidos."
"¿Cuándo?"
"En verdad os digo que su voz bajó ya del cielo donde por la eternidad cantaba su aleluya."
"¿Será más noble que Judit?"
"Más noble que cualquier mujer."
"¿Qué hará?"

"VENCERÁ A EVA EN SU TRIPLE PECADO. 
OBEDIENCIA ABSOLUTA. 
PUREZA ABSOLUTA. 
HUMILDAD ABSOLUTA. 
CON ESTO SE ERGUIRÁ, REINA Y TRIUNFANTE..."

"Vencerá a Eva en su triple pecado. Obediencia absoluta. Pureza absoluta. Humildad absoluta. Con esto se erguirá, reina y triunfante..."
"¿Pero no es tu Madre la más grande porque te engendró?"
"Grande es el que hace la voluntad de Dios. Por esta razón María es grande. Todos sus otros méritos le vienen de Dios. Por eso es suyo y por ello es bendita."
Todo termina.
Dice Jesús:
"Viste a un poseído del demonio. Hay muchas respuestas a mis palabras. No sólo para ti, sino para otros. ¿Servirán de algo? No. No servirán para los que tienen más necesidad de ellas. Quédate en mi paz."
VII. 685-693
A. M. D. G.