sabato 9 febbraio 2019

Beata Caterina Emmerick

Beata Anna Caterina Emmerick Vergine

9 febbraio
Flamske, Germania, 8 settembre 1774 – 
Dülmen, Germania, 9 febbraio 1824



Da bambina faceva la pastorella ed avvertì la vocazione a consacrarsi al Signore, incontrando però l’opposizione del padre. Durante la sua giovinezza Dio la colmò di grandi doni, quali fenomeni di estasi e visioni, ma a causa di ciò fu rifiutata da varie comunità. Nel 1802, a 28 anni, con l’aiuto dell’amica Clara Soentgen ottenne di entrare nel monastero delle Canonichesse Regolari di S. Agostino di Agnetenberg presso Dülmen. 
La vita in monastero fu per lei molto dura, perché non era della stessa condizione sociale delle altre e ciò le veniva fatto pesare, come pure le si rimproverava di essere stata accolta dietro insistenti pressioni. Inoltre soffrì di varie infermità ed in conseguenza di un incidente del 1805 fu costretta a stare quasi continuamente nella sua stanza dal 1806 al 1812. 
   Da contadina riusciva a tenere nascosti i fenomeni mistici che si manifestavano in lei, ma nel monastero alcune suore per zelo o per ignoranza la fecero oggetto di insinuazioni maligne e sospetti di ogni genere. 
Nel 1811 il convento fu soppresso dalle leggi napoleoniche. Anna Caterina Emmerick si mise allora al servizio del sacerdote Giovanni Martino Lambert, nella cui casa, verso la fine del 1812, i fenomeni mistici si moltiplicarono e ricevette le stigmate. Per due mesi riuscì a tenerle nascoste, ma il 28 febbraio 1813 non poté lasciare più il letto, che diventò il suo strumento di espiazione per i peccati degli uomini, unendo le sue sofferenze a quelle della Passione di Gesù. 

Ebbe visioni riguardanti la vita di Gesù e di Maria, ma soprattutto della Passione di Cristo, da cui ha preso spunto per il suo celebre film il regista Mel Gibson. 
La mistica fece individuare la presunta casa della Madonna ad Efeso e il castello di Macheronte nel quale sarebbe stato decapitato san Giovanni Battista. 
San Giovanni Paolo II l’ha dichiarata Beata il 3 ottobre 2004.



Finalmente questa venerabile suora, mistica, veggente, stigmatizzata del secolo XVIII, è giunta alla fine di un lungo processo di canonizzazione, durato più di 135 anni, papa Giovanni Paolo II l’ha scritta nell’albo dei Beati il 3 ottobre 2004.

Anna Catharina Emmerick nacque l’8 settembre 1774 a Flamske bei Coestfeld (Westfalia, Germania); i suoi genitori Bernardo Emmerick e Anna Hillers, erano di umile condizione ma buoni cattolici.
Da bambina faceva la pastorella e in questo periodo avvertì la vocazione a farsi religiosa, ma incontrando l’opposizione del padre; durante la sua giovinezza Dio la colmò di grandi doni, come fenomeni di estasi e visioni.
Ma questo non le giovò, in quanto fu rifiutata da varie comunità; nel 1802 a 28 anni, grazie all’interessamento dell’amica Clara Soentgen, una giovane della borghesia, ottenne alla fine di entrare nel monastero delle Canonichesse Regolari di S. Agostino di Agnetenberg presso Dülmen.
La vita nel monastero fu per lei molto dura, perché non della stessa condizione sociale delle altre e questo le veniva fatto pesare, come pure le si rimproverava di essere stata accolta dietro insistenti pressioni.
A ciò si aggiunse che soffrì di varie infermità, per le conseguenze di un incidente patito nel 1805, fu costretta a stare quasi continuamente nella sua stanza, dal 1806 al 1812.
Quando era una contadina riusciva a tenere nascosti i fenomeni mistici che si manifestavano in lei, ma nel monastero, un ambiente più ristretto, ciò non le riusciva, pertanto alcune suore o per zelo o per ignoranza la fecero oggetto di insinuazioni maligne e sospetti di ogni genere.
Nel 1811 il convento fu soppresso dalle leggi francesi di Napoleone Bonaparte e le suore disperse; Anna Caterina Emmerick nel 1812 si mise allora al servizio di un sacerdote, emigrato a Dülmen proveniente dalla diocesi francese di Amiens, don Giovanni Martino Lambert.
Ed in casa del sacerdote verso la fine di quell’anno, i fenomeni sempre presenti prima, si moltiplicarono e negli ultimi giorni di dicembre 1812 ricevette le stigmate; per due mesi riuscì a tenerle nascoste, ma il 28 febbraio 1813 non poté lasciare più il letto, che diventò il suo strumento di espiazione per i peccati degli uomini, unendo le sue sofferenze a quelle della Passione di Gesù.
Fu sottoposta ad un’indagine sulle stigmate, sulle sofferenze della Passione e sui fenomeni mistici che si manifestavano in lei, indagine che confermò la sua assoluta innocenza e il carattere soprannaturale dei fenomeni.
Si sa che ebbe visioni riguardanti la vita di Gesù e di Maria, ma soprattutto della Passione di Cristo; ad esempio fece individuare la casa della Madonna ad Efeso e il castello di Macheronte nel quale fu decapitato san Giovanni Battista.
È diventato difficile sapere quali visioni furono effettivamente sue, perché un suo contemporaneo, il poeta e scrittore Clemente Brentano (1778-1842) le pubblicò facendo delle aggiunte e abbellimenti al suo racconto, creando così una grande confusione, che pesò fortemente sul futuro processo di beatificazione.
Anna Caterina Emmerick morì a Dülmen il 9 febbraio 1824, diventando una delle Serve di Dio più conosciute in Europa. 
Per l’appartenenza da suora all’Ordine delle Canonichesse Regolari, i monaci Canonici Regolari di sant’Agostino promossero la sua causa di beatificazione, che come già accennato subì varie battute di arresto, interventi di vescovi e dello stesso papa Leone XIII, coinvolgimenti nelle vicende politiche della Germania, ecc., finché il 4 maggio 1981 ci fu il decreto sull’introduzione della causa.


Autore: Antonio Borrelli
AMDG et DVM

LA VIA LA VERITA' LA VITA



"IO SONO

LA VIA

LA VERITA'

LA VITA !"

IL SEMINATORE

Maria Valtorta

2 Le barche degli apostoli, fatto il breve tratto di lago che separa Cafarnao da Betsaida, ammarrano in questa città. Ma altre barche le hanno seguite e molti ne smontano unendosi subito a quelli di Betsaida venuti a salutare il Maestro, che entra nella casa di Pietro dove... è da capo la moglie, che suppongo abbia preferito la solitudine al vivere fra i continui lagni della madre verso suo marito.
   La gente, fuori, reclama a gran voce il Maestro, cosa che fa inquietare non poco Pietro, che sale sulla terrazza e arringa cittadini o meno, dicendo che ci vuole rispetto ed educazione. Lui, il suo Maestro, se lo vorrebbe godere un poco in pace, ora che l'ha nella sua casa, e invece non ha tempo e soddisfazione di offrirgli neppure un poco di acqua e miele fra le molte cose che ha detto alla moglie di portare, e brontola.
   Gesù lo guarda sorridendo e crolla il capo dicendo: «Sembra che tu non mi veda mai e che sia un caso essere insieme!»
   «Ma è così! Quando siamo per il mondo siamo forse io e Te? Nemmeno per sogno! Fra Te e me c'è il mondo coi suoi malati, coi suoi afflitti, coi suoi ascoltatori, coi suoi curiosi, coi suoi calunniatori, coi suoi nemici, e noi non siamo mai io e Te. Qui invece Tu sei con me, in casa mia, e dovrebbero capirlo!». E’ proprio inquieto.
   «Ma non vedo diversità, Simone. Il mio amore è uguale, la mia parola è la stessa. Che Io te la dica a te in privato, o che la dica per tutti, non è lo stesso?».

 3 Pietro confessa allora la sua grande pena: «È che io sono zuccone e mi distraggo con facilità. Quando Tu parli su una piazza, su un monte, fra tanta folla, io, non so perché, capisco tutto, ma poi non ricordo nulla. L'ho detto anche ai compagni e mi hanno dato ragione. Gli altri, voglio dire il popolo che ti ascolta, ti capisce e ricorda quello che dici. Quante volte abbiamo sentito confessare da uno: "Non ho più fatto questo perché Tu lo hai detto", oppure: “Sono venuto perché una volta ti ho sentito dire quest'altro e mi ha ferito il pensiero”. Noi invece... uhm! è come un corso d'acqua che passa e non si ferma. La sponda non l'ha più quell'acqua che è passata. Ne viene dall'altra, sì, sempre altra, e sempre tanta. Ma passa, passa, passa... E io penso con terrore che, se come Tu dici sarà, che verrà il momento che Tu non sarai più a fare la parte del fiume e... e io... Che avrò da dare a chi ha sete, se non serbo neppure una goccia del tanto che mi dai?».

   Anche gli altri appoggiano i lamenti di Pietro, lamentandosi di non ritrovare mai niente di tutto quello che sentono, quando vorrebbero trovarlo per rispondere ai molti che li interrogano. Gesù sorride e risponde: «Ma non mi pare. La gente è molto contenta anche di voi...»
   «Oh! sì! Per quello che facciamo! Farti largo, e dare delle gomitate per questo, portare i malati, raccogliere gli oboli, e dire: "Sì, il Maestro è quello!". Bella roba, in verità!».
   «Non ti denigrare troppo, Simone».
   «Non mi denigro. Mi conosco».
   «È la più difficile delle sapienze. Ma Io ti voglio levare questa grande paura. Quando Io ho parlato, e voi non avete potuto tutto comprendere e ritenere, domandate senza timore di apparire noiosi o di sconfortarmi. Abbiamo sempre delle ore di intimità. In queste apritemi il cuore. Do tanto a tanti. E che non darei a voi che amo come più non potrebbe Iddio? Hai parlato di onda che va e nulla resta alla riva. Verrà un giorno in cui ti accorgerai che ogni onda ti ha deposto un seme, e che ogni seme ha fatto pianta. Ti troverai davanti fiori e piante per tutti i casi, ti stupirai di te stesso dicendo: "Ma che mi ha fatto il Signore?", perché tu allora sarai redento dalla schiavitù del peccato e le tue virtù attuali si saranno perfezionate a grande altezza».
   «Tu lo dici, Signore, ed io mi riposo in questa tua parola».

 4 «Ora andiamo da chi ci attende. Venite. Pace a te, donna. Sarò tuo ospite questa sera».

   Escono e Gesù si dirige al lago per non essere oppresso dalla calca. Pietro è sollecito a staccare la barca di pochi metri dalla riva di modo che la voce di Gesù sia udita da tutti, ma che uno spazio sia fra Lui e gli ascoltatori.

   «Da Cafarnao a qua Io ho pensato quale parola dirvi. E ho trovato indicazione nei fatti del mattino. Voi avete visto tre uomini venire a Me. L'uno spontaneamente, l'altro perché da Me sollecitato, il terzo per subito entusiasmo. E avete anche visto che, di questi, due soli Io ne ho presi. Perché? Ho forse visto nel terzo un traditore? No, in verità. Ma un impreparato. All'apparenza pareva più impreparato questo che ora è al mio fianco, diretto prima a seppellire suo padre. Invece il più impreparato era il terzo. Questo era tanto preparato, a sua stessa insaputa, che ha saputo compiere un ben eroico sacrificio. L’eroismo nel seguire Iddio è sempre prova di forte preparazione spirituale. Questo spiega certi sorprendenti fatti che avvengono intorno a Me. I più preparati a ricevere il Cristo, quale che sia la loro casta e la loro cultura, vengono a Me con una prontezza e una fede assoluta.
   I meno preparati mi osservano come un uomo che esce dal consueto, oppure mi studiano con diffidenza e curiosità, oppure ancora mi attaccano e mi denigrano accusandomi in vari modi. Le diverse maniere di agire sono in proporzione della impreparazione degli spiriti.

   Nel popolo eletto si dovrebbero trovare da per tutto spiriti pronti a ricevere questo Messia nella cui attesa si sono consumati d'ansia i Patriarchi e i Profeti, questo Messia venuto finalmente, preceduto e accompagnato da tutti i segni profetizzati, questo Messia la cui figura spirituale si delinea sempre più chiara attraverso i miracoli visibili sulle membra e sugli elementi, e i miracoli invisibili sulle coscienze che si convertono e sui gentili che si volgono al Dio vero. Invece così non è. E la prontezza nel seguire il Messia è fortemente ostacolata proprio nei figli di questo popolo e, doloroso a dirsi, lo è tanto più quanto più si sale nelle classi più alte di esso.

   Non dico questo per scandalizzarvi. È per indurvi a pregare ed a riflettere. Perché avviene questo? Perché i gentili e i peccatori fanno più strada sulla via mia? Perché essi accolgono quanto Io dico, e gli altri no? Perché i figli d'Israele sono ancorati, anzi, sono incrostati come ostriche perlifere al banco su cui sono nate. Perché sono saturati, ricolmati, obesi della loro sapienza, e non sanno fare largo alla mia col gettare il superfluo per fare posto al necessario. Gli altri non hanno questa schiavitù. Sono poveri pagani, o poveri peccatori, disancorati come nave alla deriva, sono dei poveri che non hanno tesori propri ma solo fardelli di errori o di peccati, dei quali si spogliano con gioia non appena riescono a comprendere cosa è la Buona Novella e sentono il suo miele corroborante ben diverso dal disgustoso miscuglio dei loro peccati.

 5 Udite, e forse capirete meglio come possono esservi diversi frutti ad una stessa opera. Un seminatore andò a seminare. I suoi campi erano molti e di diversa razza. Ce ne erano alcuni che egli aveva ereditati dal padre, sui quali la sua sbadataggine aveva lasciato proliferare piante spinose. Altri erano un suo acquisto, li aveva comperati così come erano da un negligente e tali li aveva lasciati. Altri ancora erano stati intersecati da strade, perché l'uomo era un grande comodista e non voleva fare molta strada per andare da un luogo all'altro. Infine ce ne erano alcuni, i più prossimi alla casa, sui quali egli aveva vegliato per avere un aspetto piacevole davanti alla dimora. Questi erano ben mondi di sassaia, di spine, di gramigne e così via.
   L'uomo dunque prese il suo sacchetto di grano da seme, il migliore dei grani, e iniziò la semina. Il seme cadde nel buon terreno soffice, arato, mondato, concimato dei campi prossimi alla casa. Cadde nei campi intersecati da vie e viette, che li spezzettavano tutti portando inoltre bruttura di polvere arida sulla terra fertile. Altro seme cadde sui campi dove l'inettitudine dell'uomo aveva lasciato proliferare le piante spinose. Ora l'aratro le aveva travolte, pareva non ci fossero più, ma c'erano, perché solo il fuoco, la radicale distruzione delle male piante, impedisce il loro rinascere. L'ultimo seme cadde sui campi comperati da poco e che egli aveva lasciati così come erano, senza dissodarli in profondità e mondarli da tutte le pietre sprofondate nel suolo a fare un pavimento duro sul quale non avevano presa le tenere radici. E poi, sparso tutto il suo seme, se ne tornò a casa e disse: "Oh! bene! Ora non c’è che da attendere la raccolta. E si beava perché, col passare dei mesi, vedeva spuntare fitto il grano nei campi davanti alla casa, e crescere... oh! Che soffice tappeto! e spighire... oh! che mare! e imbiondire e cantare, battendo spiga a spiga, l'osanna al sole. L'uomo diceva: Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai. Quanto pane! Quanto oro!".

 6 E si beava perché, col passare dei mesi, vedeva spuntare fitto il grano nei campi davanti alla casa, e crescere... oh! Che soffice tappeto! e spighire... oh! che mare! e imbiondire e cantare, battendo spiga a spiga, l'osanna al sole. L'uomo diceva: Come questi campi, tutti! Prepariamo la falce e i granai. Quanto pane! Quanto oro!". E si beava...
   Segò il grano dei campi più vicini e poi passò a quelli ereditati dal padre, ma lasciati inselvatichire. E restò di stucco. Grano e grano era nato, perché i campi erano buoni e la terra bonificata dal padre era grassa e fertile. Ma la sua stessa fertilità aveva agito anche sulle piante spinose, travolte ma non sterilite. Esse erano rinate ed avevano fatto un vero soffitto di ramaglie irte di rovi, attraverso le quali il grano non aveva potuto emergere che con le rare spighe ed era morto soffocato quasi tutto.
   L'uomo disse: "Sono stato negligente in questo posto. Ma altrove non erano rovi, e andrà meglio". E passò ai campi di recente acquisto. Il suo stupore crebbe in pena. Sottili, e ormai disseccate, foglie di grano giacevano come fieno secco sparse per ogni dove. Fieno secco. "Ma come? Ma come?" gemeva l'uomo. "Eppure qui non sono spine! Eppure il grano era lo stesso! Eppure era nato folto e bello. Lo si vede dalle foglie ben formate e numerose. Perché allora tutto è morto senza fare spiga?". E con dolore si dette a scavare il suolo per vedere se trovava nidi di talpe o altri flagelli. Insetti e roditori no, non ce ne erano. Ma quanti, quanti sassi! Una petraia! I campi erano letteralmente selciati da scaglie di pietra e la poca terra che li copriva era un inganno. Oh! se avesse approfondito l'aratro quando era tempo! Oh! se avesse scavato, prima di acettare quei campi e comperarli per buoni! Oh! se almeno, dopo lo sbaglio fatto di acquistare quanto gli veniva proposto senza persuadersi della sua bontà, li avesse resi buoni a fatica di reni! Ma ormai era tardi ed era inutile il rammarichio.
   L’uomo si alzò in piedi avvilito e andò ai campi intersecati di stradette per sua comodità... E si strappò le vesti dal dolore. Qui non c'era nulla, assolutamente nulla... La terra scura del campo era coperta da un leggero strato di polvere bianca... L'uomo si accasciò al suolo gemendo: "Ma qui perché? Qui non spine e non sassi perché questi sono campi nostri. L'avo, il padre, io, li abbiamo sempre avuti e in lustri e lustri li abbiamo fatti fertili. Io vi ho aperto le strade, avrò levato del terreno al campo, ma ciò non può averlo fatto sterile così...". Piangeva ancora quando ebbe risposta al suo dolore da un fitto sciame d'uccelli che si accanivano dai sentieri sul campo e da questo ai sentieri per cercare, cercare, cercare semi, semi, semi... Il campo, divenuto una rete di stradette sui bordi delle quali era caduto del grano, aveva attirato molti uccelli, e questi prima avevano mangiato il grano caduto sulla via e poi quello del campo, fino all'ultimo chicco.
   Così il seme, uguale per tutti i campi, aveva dato dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta, dove il nulla. Chi ha orecchie da intendere intenda. Il seme è la Parola: uguale per tutti. I luoghi dove cade il seme: i vostri cuori. Ognuno applichi e comprenda. La pace sia con voi».

 7 E poi, rivolgendosi a Pietro, dice: «Risali finché puoi e poi ammarra dall'altro lato».
   E mentre le due barche fanno poca via sul fiume per poi fermarsi presso la sponda, Gesù si siede chiedendo al discepolo novello: «Chi resta, ora, a casa tua?».
   «Mia madre col fratello maggiore, sposato da cinque anni. Le sorelle sono sparse per la regione. Mio padre era molto buono. E mia madre lo piange desolatamente». Il giovane si arresta bruscamente, perché sente che un singhiozzo gli monta dal cuore.
   Gesù lo afferra per una mano e dice: «Ho conosciuto Io pure questo dolore ed ho visto piangere mia Madre. Ti capisco perciò...»
   Lo sfregare della barca sul greto fa sì che il discorso si interrompa per permettere di scendere a terra. Qui non sono più i colli bassi di Betsaida che quasi tuffano il muso nel lago, ma una pianura ricca di messi si stende da questa sponda, opposta a Betsaida, verso il nord.
   «Andiamo a Meron?» chiede Pietro.
   «No. Prendiamo questo sentiero fra i campi».
   I campi, belli e ben tenuti, mostrano le spighe ancora tenere ma già formate; tutte alla stessa altezza, e col lieve ondeggiare che imprime loro il vento fresco che viene dal nord, sembrano un altro piccolo lago al quale fanno da vele gli alberi che si drizzano qua e là, pieni di zirli d'uccelli.
   «Questi campi non sono come quelli della parabola» osserva il cugino Giacomo.
   «No, davvero! Gli uccelli non li hanno devastati non ci sono spine e non sassi. Un bel grano! Fra un mese sarà già biondo...e fra due sarà pronto alla falce e al granaio» dice Giuda Iscariota.
   «Maestro... io ti ricordo ciò che hai detto in casa mia. Tu hai parlato tanto bene. Ma io comincio ad avere nella testa delle nuvole scompigliate come quelle lassù...» dice Pietro.
   «Questa sera te lo spiegherò.

 8 Ora siamo in vista di Corozim». E Gesù guarda fisso il neo discepolo, dicendo: «A chi da è dato. E l'avere non leva il merito del donativo. Conducimi al sepolcro vostro e alla casa di tua madre».
   Il giovane si inginocchia baciando fra le lacrime la mano di Gesù.
   «Alzati. Andiamo. Il mio spirito ha sentito il tuo pianto. Voglio fortificarti nell’eroismo con il mio amore».
   «Mi aveva raccontato Isacco l'Adulto quanto Tu eri buono. Isacco, sai? Quello al quale Tu hai risanato la figlia. E’ stato il mio apostolo. Ma vedo che la tua bontà è ancora più grande di quanto mi era stato detto».
   «Saluteremo anche l'Adulto per ringraziarlo di avermi dato un discepolo».
   Corozim è raggiunta ed è proprio la casa di Isacco la prima che si trova. Il vecchio, che sta tornando in casa, quando vede il gruppo di Gesù coi suoi, e fra essi il giovane di Corozim, alza le braccia, col suo bastoncello in mano, e resta senza fiato, a bocca aperta. Gesù sorride e il suo sorriso rende voce al vecchione.
   «Dio ti benedica, Maestro! Ma come a me quest'onore?»
   «Per dirti grazie».
   «Ma di che, mio Dio? Io devo dirtela questa parola. Entra, entra. Oh! che dolore che mia figlia sia lontana per assistere la suocera! Perché si è sposata, lo sai? Tutte le benedizioni dopo che ti ho incontrato! Lei guarita, e subito dopo quel ricco parente tornato da lontano, vedovo, con quei piccoli bisognosi di una madre... Oh! ma te le ho già dette queste cose! La mia testa è vecchia! Perdona».
   «La tua testa è saggia e dimentica anche di gloriarsi del bene che fa per il suo Maestro. Dimenticarsi del bene fatto è saggezza. Dimostra umiltà e fiducia in Dio».
   «Ma io... non saprei... E questo discepolo non l'ho per te?».
   «Oh!... Ma non ho fatto nulla, sai? Solo ho detto la verità... e sono contento che Elia sia con Te».
   Si volge a questo Elia e dice: «Tua madre, dopo il primo momento di stupore, ebbe rasciugato il pianto nel saperti del Maestro. Tuo padre ebbe un degno cordoglio, però. Da poco è nel sepolcro».
   «E mio fratello?».
   «Tace... Sai... gli è stato un po' duro vederti assente... per il paese... Lui pensa ancora così...» Il giovane si volge a Gesù: «Tu lo hai detto. Ma io non vorrei che egli fosse morto... Fa' che divenga vivo come me, e al tuo servizio».
   Gli altri non capiscono e guardano interrogativamente, ma Gesù risponde: «Non disperare e persevera». Poi benedice Isacco e se ne va, nonostante ogni pressione.

 9 Sostano prima presso il sepolcro chiuso e pregano. Poi, attraverso un vigneto ancora semispoglio, vanno alla casa di Elia.
   L'incontro fra fratelli è piuttosto sostenuto. Il maggiore si sente offeso e lo vuole far rilevare. Il minore si sente umanamente colpevole e non reagisce. Ma l'arrivo della madre, che senza parole si prostra e bacia l'orlo della veste di Gesù, rasserena l'ambiente e gli animi. Tanto che si vuole fare onore al Maestro. Il quale però non accetta nulla, ma solo dice: «Siano giusti i vostri cuori, l'uno verso l'altro, come giusto era colui che piangete. Non date impronta umana al sovrumano: la morte e l'elezione ad una missione. L'anima del giusto non si è agitata nel vedere che il figlio mancava alla sepoltura del suo cadavere. Ma si è anzi messa quieta, nella sicurezza sul futuro del suo Elia. Il pensiero del mondo non turbi la grazia dell'elezione. Se il mondo ha potuto stupire di non vedere costui presso il feretro paterno, gli angeli hanno esultato nel vederlo a fianco del Messia. Siate giusti. E tu, madre, sii consolata da questo. Hai educato con saggezza, e tuo figlio è stato chiamato dalla Sapienza. Vi benedico tutti. La pace sia con voi ora e sempre».
   Tornano sulla via che riprendono per andare al fiume e da qui a Betsaida. L'uomo, Elia, neppure si è attardato un istante sulla soglia paterna. Dopo il bacio di addio alla madre ha seguito il Maestro con la semplicità con cui un bambino segue il suo vero padre.

AMDG et DVM

Uscì il seminatore a seminare...

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Lettura del santo Vangelo secondo Luca

Luca 8:4-15
In quell'occasione: Radunandosi e accorrendo a Gesù d'ogni città grandissima folla, egli disse questa parabola: Uscì il seminatore a seminare la sua semenza. Eccetera.

Omelia di san Gregorio Papa
Omelia 15 sul Vangelo

La lettura del santo Vangelo che ora avete udita, fratelli carissimi, non ha bisogno di spiegazione, ma di esortazione. Perché l'umana debolezza non può presumere di discutere questa parabola che la Verità stessa ci ha esposto. Tuttavia in questa stessa spiegazione del Signore c'è una cosa che noi dobbiamo meditare: perché se noi vi dicessimo che la semente significa la parola di Dio, il campo il mondo, gli uccelli i demoni, le spine le ricchezze, la vostra mente forse esiterebbe a crederci. Perciò lo stesso Signore si degnò di spiegare ciò che diceva, affinché voi impariate a cercare ciò che significano le cose che non ci volle spiegare per se stesso.



Spiegando pertanto ciò che disse, egli ci fece conoscere che parlava figuratamente, per farci degni di fede allorché la nostra debolezza vi scoprisse le figure contenute nelle sue parole. Chi mai infatti mi avrebbe creduto se avessi detto che le spine significano le ricchezze? tanto più che quelle pungono e queste dilettano. E pure sono spine, perché colle punture dei pensieri che dànno, lacerano lo spirito: e allorché ci trascinano fino al peccato, ci fanno, per così dire, una ferita sanguinante. Onde a ragione il Signore in questo luogo, come attesta un altro Evangelista, non le chiama ricchezze, ma «fallaci ricchezze » Matth. 13,22.



Sono infatti fallaci, perché non possono rimanere a lungo con noi sono fallaci, perché non bandiscono dall'anima la sua indigenza. Vere ricchezze sono quelle soltanto che ci fanno ricchi di virtù. Se dunque, fratelli carissimi, desiderate di essere ricchi, amate le vere ricchezze. Se cercate il colmo del vero onore, aspirate al regno celeste. Se amate la gloria delle dignità, lavorate senza indugio per essere ammessi nella superna curia degli Angeli. Scolpite nel vostro spirito le parole del Signore che ascoltate. Dacché cibo dell'anima è la parola di Dio: e se la parola non rimane nella memoria quando l'abbiamo intesa, è come l'alimento che uno stomaco malato rigetta. E certo si dispera della vita di colui che non ritiene alcun alimento.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Preghiamo

O Dio, che vedi come noi non abbiamo fiducia in nessuna delle nostre risorse: concedi benigno, che siamo difesi contro tutte le avversità dalla protezione del Dottore delle Genti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

AMDG et DVM

San Cirillo d'Alessandria

Cirillo d'Alessandria, il cui elogio non si fonda soltanto sulla testimonianza di alcuni, ma è celebrato altresì negli atti dei concili ecumenici di Efeso e di Calcedonia, nacque da illustri genitori, era nipote di Teofilo vescovo di Alessandria, e fin da giovanetto diede chiari segni d'ingegno superiore. 

Perfettamente istruito nelle lettere e nelle scienze, si recò presso Giovanni vescovo di Gerusalemme, affin di perfezionarsi nella fede cristiana. Tornato poi ad Alessandria, ed essendo morto Teofilo, fu innalzato a quella sede: nella qual carica mostrò sempre sì bene in se stesso il tipo del perfetto pastore tracciato dall'Apostolo, da acquistarsi a buon diritto la riputazione di prelato santissimo.

Infiammato di zelo per la salvezza delle anime, mise ogni diligenza a mantenere nella fede e integrità di costumi il gregge affidatogli e a preservarlo dai pascoli avvelenati degl'infedeli ed eretici. Quindi si sforzò d'espellere dalla città i seguaci di Navato e di punire, secondo le leggi, i Giudei che, nella loro frenesia, avevano cospirato di massacrare i Cristiani. 
Ma lo zelo di Cirillo per l'integrità della fede cattolica si mostrò sopra-tutto contro Nestorio vescovo di Costantinopoli, il quale pretendeva che Gesù Cristo nato da Maria Vergine fosse solo uomo e non Dio, e che la divinità gli fosse stata accordata in grazia dei suoi meriti; dopo aver tentato invano di ridurlo a resipiscenza, lo denunziò al sommo Pontefice san Celestino.

Per delegazione di Celestino, egli presiedé al concilio di Efeso, in cui l'eresia Nestoriana fu interamente proscritta, Nestorio condannato e deposto dalla sua Sede, e il domma cattolico di una sola e divina persona in Cristo, e della divina maternità della gloriosa Vergine Maria proclamato, applaudendo l'intero popolo, il quale a manifestare l'irrefrenabile gioia accompagnò i vescovi a casa con faci accese. 
Ma appunto perciò Cirillo ebbe a subire calunnie, ingiurie e moltissime persecuzioni da Nestorio e da' suoi fautori; le quali egli sopportò colla massima pazienza, così che, sollecito soltanto della fede, stimava un niente tutto quanto gli eretici dicevan e macchinavano contro di lui. 
Finalmente, dopo d'aver sostenuto per la Chiesa di Dio le più grandi fatiche, e pubblicati moltissimi scritti sia a confutazione dei pagani ed eretici sia a spiegazione delle sacre Scritture e del domma cattolico, fece una santa fine nell'anno 444, nei trentesimo secondo di episcopato. Il sommo Pontefice Leone XIII estese a tutta la Chiesa e la Messa di questo illustrissimo campione della fede cattolica, luminare delta chiesa Orientale.


V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.



Preghiamo
O Dio, che il tuo beato Confessore e Vescovo Cirillo rendesti invitto difensore della divina maternità della beatissima Vergine Maria: concedi, per sua intercessione, che come noi la crediamo vera Madre di Dio, così veniamo salvati mercé la sua materna protezione.
Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.


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Per S. Apollonia Vergine


Apollonia vergine d'Alessandria, era già avanzata in età quando, sotto l'imperatore Decio, fu condotta davanti agli idoli, perché facesse segno dì venerarli; ma invece disprezzatili, dichiarò altamente che si doveva adorare il vero Dio Gesù Cristo. Perciò le furono pesti e strappati tutti i denti; ed empi carnefici, acceso un rogo, minacciarono di bruciarla viva, s'ella non detestava Cristo e adorava gli dèi. A cui ella rispose esser pronta a subire qualsiasi morte per la fede di Gesù Cristo. Pertanto presa per esser bruciata, fermatasi alquanto come per deliberare sul da fare, sfuggi dalle loro mani, e, accesa interamente da maggiore fiamma di Spirito Santo, giuliva si gettò da sé nel fuoco preparatole. Onde in breve consumato il corpo, lo spirito purissimo se ne volò al cielo a ricevervi la corona immortale del martirio.



V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.