- " MAMMA CELESTE... GUARISCIMI NEL CORPO E NELL'ANIMA "
"Dignare me laudare Te Virgo sacrata. Da mihi virtutem contra hostes tuos". "Corda Iésu et Marìae Sacratìssima: Nos benedìcant et custòdiant".
giovedì 28 giugno 2018
mercoledì 27 giugno 2018
L'inferno e la bontà di Dio
INFERNO
Oggi ci sono tanti che non credono all’Inferno perché lo credono incompatibile con la bontà di Dio. Ebbene facciamo qualche riflessione.
Oggi ci sono tanti che non credono all’Inferno perché lo credono incompatibile con la bontà di Dio. Ebbene facciamo qualche riflessione.
Dio non voleva l’inferno
Nella preghiera del «Padre Nostro», insegnata da Gesù agli Apostoli, noi chiediamo a Dio che sia fatta la volontà sua, che è volontà d’amore. Ora se fosse stata fatta la sua volontà, tutta quanta la sua volontà, l’Inferno certamente non ci sarebbe stato, perché Dio, Amore Infinito, vuole soltanto la felicità delle sue creature angeliche e umane, che dotò del dono straordinario della libertà.
Se Satana con i suoi angeli, invece di ribellarsi a Dio, avesse fatto la sua volontà, l’Inferno non ci sarebbe stato. Quindi la responsabilità dell’esistenza dèll’Inferno non si può attribuire alla volontà divina.
Se Adamo, capostipite dell’umanità, non si fosse ribellato a Dio, ma avesse fatta la sua volontà, non ci sarebbero sulla terra dolori e morte, come ci dice la Sacra Scrittura (Sap. 1,13 e 2,24): «La morte non è opera di Dio, né Egli gioisce che i vivi debbano morire... Dio ha creato l’uomo per l’immortalità, ma la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo» (che riuscì a sedurre Eva e Adamo facendoli ribellare a Dio). Ora se la morte fisica dell’uomo è contro la volontà di Dio, a maggior ragione è contro la sua volontà e la «seconda morte (Ap. 21,8)» cioè la morte spirituale che è l’inferno.
Per capire meglio fino a qual punto Dio non vuole l’Inferno, basta pensare a Gesù Crocifisso, il quale aveva affermato (Giov. 4,34): «Il mio cibo è fare la volontà di Colui che mi ha mandato a compiere la sua opera». Ora se l’Inferno fosse voluto dal Padre, Gesù Cristo non si sarebbe sacrificato sulla croce proprio per chiudere davanti a noi la porta dell’Inferno e per riaprirci quella del Paradiso.
Dio, Amore Eterno e Infinito, ci ha creati — come ci dice il Catechismo — per conoscerlo, amarlo, servirlo in questa vita e per goderlo poi nell’altra, in Paradiso. Quindi non ci ha creati per l’Inferno.
Dio è Amore, mentre l’Inferno è odio, è la negazione dell’amore, perciò Dio non può averlo voluto per ché non può rinnegare se stesso: Amore eterno e infinito. Di conseguenza l’Inferno viene da ciò che si oppone alla volontà di Dio: il peccato degli Angeli e degli uomini ribelli.
Tra il peccato del demonio, però, e quello dell’uomo c’è una differenza enorme. La ribellione dell’uomo (composto di spirito e corpo) partecipa dell’instabilità della nostra condizione terrena, molto influenzabile da falsi beni: oggi offendiamo Dio, domani ci pentiamo e ritorniamo a Lui, proprio perché ci troviamo nella flui dità del tempo.
L’angelo invece (puro spirito senza corpo) non è soggetto a mutabilità. La scelta della sua volontà è immutabile, irrevocabile: Satana ha scelto la ribellione a Dio, egli non si pentirà mai del suo peccato.
Quello che è accaduto all’angelo ribelle accadrà purtroppo anche all’umo che si ostina nel suo peccato fino all’ultimo istante della sua vita terrena, perché, uscito con la morte, dalla mutevolezza del tempo, entrerà nell’immutabilità eterna.
Perciò l’Inferno è conseguenza esclusiva dell’opposizione definitiva alla volontà divina, generatrice di pace e felicità eterna. Per questo il Santo Curato d’Ars, San Giovanni Viannej, diceva: «Non è Dio a dannarci, siamo noi con i nostri peccati. I dannati non accusano Dio, ma accusano se stessi».
Dio vuole salvare tutti (1 Tim. 2,4): «Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità». Però, avendoci dato il dono della libertà, vuole la nostra collaborazione. Dio vuole che il peccatore si converta e si salvi, per cui lo chiama e richiama continuamente per fargli lasciare il peccato e arricchirlo della sua grazia. Ma se il peccatore, fino all’ultimo istante della sua vita terrena, disprezza, rifiuta la misericordia di Dio, che l’invita al pentimento, e rimane ostinato nel suo peccato, andando all’Inferno, di chi è la colpa? Di Dio o del peccatore? Evidentemente del peccatore.
Un giorno Gesù, dopo aver mostrato l’Inferno a Suor Benigna Ferrero, anima mistica morta in concetto di santità, le diceva: « Vedi, Benigna, quel fuoco!... Sopra a quell’abisso io ho steso, come un reticolato, i figli della mia misericordia, perché le anime non vi cadano dentro. Quelle però che si vogliono dannare, vanno lì per aprire con le proprie mani quei fili e cadere dentro e una volta che vi sono dentro neppure la mia bontà le può salvare. Queste anime sono inseguite dalla mia misericordia molto più di quanto sia inseguito un malfattore dalla polizia, ma esse sfuggono alla mia misericordia!». Esistenza dell’inferno
A - La Sacra Scrittura al riguardo è categorica. Qualche citazione.
1) Nel Giudizio Universale, Gesù Cristo (Mat. 25,41 e 46) dirà ai cattivi: « Via da me, maledetti, nel fuoco eterno (cioè l’Inferno) preparato per il diavolo e i suoi angeli.., ed essi andranno al supplizio eterno».
2) In Mat. 10,28, Gesù dice: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna (cioè l’Inferno)».
«Geenna o Gehenna» è voce composta da «ghe = valle» ed «Hennon» = nome del padrone di una valle ai piedi del Sion e dell’Ofel, presso Gerusalemme, nella quale gli ebrei, caduti nell’idolatria, offrivano i loro figli a Molok, falsa divinità sacrificandoli nel fuoco. Il re Giosia, tolta via quell’orribile superstizione idolatrica, per rendere il luogo più abbominevole, ordinò che vi fossero gettate le immondizie della città ed anche i cadaveri dei giustiziati, che dovevano rimanere insepolti. Per distruggere i miasmi, vi si manteneva quasi sempre il fuoco acceso. Questo fatto diede a Gesù l’oc casione di prendere la Geenna come immagine dell’Inferno.
3) 5. Paolo (1 Cor. 6,9-10) dice: «Non illudetevi: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti (omosessuali e lesbiche), né ladri, nè avari, nè ubbriaconi, né maldicenti, né rapaci, erediteranno il regno di Dio (cioè il Paradiso);
4) In Gal. 5,19-21, l’Apostolo continua l’elenco:
«fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, magia, inimicizia, lite, gelosia, ire, ambizioni, discordie, divisioni, invidie, ubriachezze, orgie, e opere simili a queste: coloro che compiono tali opere non erediteranno il Regno di Dio (cioè il Paradiso)».
1) Nel Giudizio Universale, Gesù Cristo (Mat. 25,41 e 46) dirà ai cattivi: « Via da me, maledetti, nel fuoco eterno (cioè l’Inferno) preparato per il diavolo e i suoi angeli.., ed essi andranno al supplizio eterno».
2) In Mat. 10,28, Gesù dice: «Non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno potere di uccidere l’anima; temete piuttosto Colui che ha il potere di far perire e l’anima e il corpo nella Geenna (cioè l’Inferno)».
«Geenna o Gehenna» è voce composta da «ghe = valle» ed «Hennon» = nome del padrone di una valle ai piedi del Sion e dell’Ofel, presso Gerusalemme, nella quale gli ebrei, caduti nell’idolatria, offrivano i loro figli a Molok, falsa divinità sacrificandoli nel fuoco. Il re Giosia, tolta via quell’orribile superstizione idolatrica, per rendere il luogo più abbominevole, ordinò che vi fossero gettate le immondizie della città ed anche i cadaveri dei giustiziati, che dovevano rimanere insepolti. Per distruggere i miasmi, vi si manteneva quasi sempre il fuoco acceso. Questo fatto diede a Gesù l’oc casione di prendere la Geenna come immagine dell’Inferno.
3) 5. Paolo (1 Cor. 6,9-10) dice: «Non illudetevi: né i fornicatori, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti (omosessuali e lesbiche), né ladri, nè avari, nè ubbriaconi, né maldicenti, né rapaci, erediteranno il regno di Dio (cioè il Paradiso);
4) In Gal. 5,19-21, l’Apostolo continua l’elenco:
«fornicazione, impurità, dissolutezza, idolatria, magia, inimicizia, lite, gelosia, ire, ambizioni, discordie, divisioni, invidie, ubriachezze, orgie, e opere simili a queste: coloro che compiono tali opere non erediteranno il Regno di Dio (cioè il Paradiso)».
B - Insegnamento della Chiesa
1) I Concilii che hanno trattato la verità dell’esistenza dell’Inferno sono: il Concilio di Valenza, il IV Concilio Lateranense, iii e il Il Concilio di Lione, il Concilio di Firenze. Quest’ultimo, per esempio, afferma solennemente: «Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, vanno all’inferno».
2) Nei Concilio Vaticano II, (Costituzione «Lumen Gentium», cap. 7, n. 48 d) s’insegna la necessità di una costante vigilanza perché «non ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti... Noi tutti compariremo davanti al tribunale di Cristo, per rispondere ciascuno della sua vita mortale.., e alla fine del mondo “risorgeranno, chi ha operato il bene a resurrezione di vita, e chi ha operato il male a resurrezione di condanna (cioè all’Inferno).
3)Il Catechismo di S. Pio X, alle domande 103 e 104, risponde: «E certo che esistono il Paradiso e l’inferno. Lo ha rivelato Dio, promettendo, spesse volte, ai buoni l’eterna vita e il suo stesso gaudio, e minacciando ai cattivi la pardizione e il fuoco eterno».
4)Il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1034 e 1035, dice: «Gesù parla ripetutamente del fuoco inestinguibile che è riservato a chi, fino alla fine della vita, rifiuta di credere e di convertirsi. La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, il fuoco eterno. La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita, e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira».
1) I Concilii che hanno trattato la verità dell’esistenza dell’Inferno sono: il Concilio di Valenza, il IV Concilio Lateranense, iii e il Il Concilio di Lione, il Concilio di Firenze. Quest’ultimo, per esempio, afferma solennemente: «Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, vanno all’inferno».
2) Nei Concilio Vaticano II, (Costituzione «Lumen Gentium», cap. 7, n. 48 d) s’insegna la necessità di una costante vigilanza perché «non ci si comandi, come a servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sarà pianto e stridore di denti... Noi tutti compariremo davanti al tribunale di Cristo, per rispondere ciascuno della sua vita mortale.., e alla fine del mondo “risorgeranno, chi ha operato il bene a resurrezione di vita, e chi ha operato il male a resurrezione di condanna (cioè all’Inferno).
3)Il Catechismo di S. Pio X, alle domande 103 e 104, risponde: «E certo che esistono il Paradiso e l’inferno. Lo ha rivelato Dio, promettendo, spesse volte, ai buoni l’eterna vita e il suo stesso gaudio, e minacciando ai cattivi la pardizione e il fuoco eterno».
4)Il Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1034 e 1035, dice: «Gesù parla ripetutamente del fuoco inestinguibile che è riservato a chi, fino alla fine della vita, rifiuta di credere e di convertirsi. La Chiesa nel suo insegnamento afferma l’esistenza dell’inferno e la sua eternità. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell’inferno, il fuoco eterno. La pena principale dell’inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l’uomo può avere la vita, e la felicità per le quali è stato creato e alle quali aspira».
L’inferno è eterno
Che l’Inferno sia eterno è verità di fede definita nel IV Concilio Lateranense e nell Concilio di Lione. Il documento più importante sul carattere eterno della pe na infernale è la scomunica scagliata, con l’approvazione del Papa Vigilio, dall’imperatore Giustiniano che nel 543 pose termine alla controversia Origenista: «Se qualcuno dice o ritiene che il supplizio dei demoni e degli uomini empi è temporaneo e avrà fine.., costui sia scomunicato» (Dz. 211).
Che l’Inferno sia eterno è verità di fede definita nel IV Concilio Lateranense e nell Concilio di Lione. Il documento più importante sul carattere eterno della pe na infernale è la scomunica scagliata, con l’approvazione del Papa Vigilio, dall’imperatore Giustiniano che nel 543 pose termine alla controversia Origenista: «Se qualcuno dice o ritiene che il supplizio dei demoni e degli uomini empi è temporaneo e avrà fine.., costui sia scomunicato» (Dz. 211).
Pene dell’inferno
Le citate definizioni di fede distinguono nettamente due tipi di pene: la pena del «danno» che consiste nel la privazione di Dio, nostra felicità, e la pena del « senso».
Come in Paradiso ci sarà «ogni bene senza alcun male», così nell’Inferno ci sarà «ogni male senza alcun bene». Nel Vangelo di S. Marco (16,28) l’Inferno è chiamato «luogo dei tormenti».
Il Catechismo di S. Pio X afferma: «L’inferno è il patimento della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene».
I peccatori hanno preferito a Dio Creatore le creature e tutte le soddisfazioni che essi potevano trovare in se stessi o negli altri. Perciò le stesse creature, le stesse potenze dell’anima, gli stessi sensi del corpo avranno il loro castigo e il loro tormento. Qualche accenno:
a) pene dell’immaginazione. Essa presenterà al dannato tutti i piaceri e le delizie goduti sulla terra, ma ora finiti per sempre. Gli presenterà alla fantasia le immense gioie del Cielo, che per lui ormai sono ir raggiungibili. Per questo il dannato digrigna i denti e si consuma di rabbia;
b) pene della memoria che ricorderà al dannato gli innumerevoli peccati con tutte le circostanze e le malizie che gli hanno meritato l’Inferno. Gli ricorderà tutte le grazie ricevute, tutti gli avvertimenti e i consigli... di cui, se ne avesse tratto profitto, ora non sarebbe in quel luogo di tormenti;
c) pene dell’intelligenza. Sulla terra le passioni, l’ignoranza o la leggerezza molte volte possono offuscare la verità. Ma nell’Inferno le verità, sulle quali in vita si tentò di passare con indifferenza e disprezzo, saranno dinnanzi al dannato in tutta la loro evidenza. Dunque il peccato non era una cosa da nulla! L’Inferno non è una invenzione dei preti! Dio, della cui mise ricordia e bontà si è tanto abusato, c’è, esiste veramente! Ed ora lui non potrà più amare il buon Dio, ma dovrà odiarlo per sempre;
d) pene della volontà. Non era tanto difficile salvarsi. Moltissimi altri, pur nelle stesse condizioni di vita, hanno adoperato i mezzi che Gesù Cristo ha lasciato alla Chiesa e si sono salvati. Dio, nella sua infinita misericordia, l’aveva richiamato fino all’ultimo istante della sua vita terrena, ma lui si è rifiutato: la sua scelta è stata fatta per sempre!;
e) pene dei sensi. Dopo la resurrezione anche il corpo con tutti i suoi sensi parteciperà con l’anima ai tormenti infernali. Gli occhi non vedranno altro che volti spasimanti di dannati e di demoni dall’aspetto orribile. L’udito non ascolterà altro che lamenti, urla, imprecazioni e bestemmie. L’odorato sarà colpito dai fetori più nauseanti. Il gusto soffrirà una sete inestinguibile. Il tatto con tutto il corpo sarà tormentato dal fuoco: fuoco non metaforico o figurato, come viene interpretato da alcuni, ma fuoco vero, reale, di natura misteriosa che fa sentire i suoi effetti terrificanti non solo sul corpo, ma anche sull’anima, anche sui demoni, che sono puri spiriti senza corpo. Un fuoco che brucia sempre senza consumare mai! Un fuoco più terribile di quello della terra. Il fuoco terreno infatti è stato creato da Dio a nostro servizio, per il nostro bene, mentre il fuoco infernale è stato creato a castigo di Satana e dei suoi angeli ribelli.
Le citate definizioni di fede distinguono nettamente due tipi di pene: la pena del «danno» che consiste nel la privazione di Dio, nostra felicità, e la pena del « senso».
Come in Paradiso ci sarà «ogni bene senza alcun male», così nell’Inferno ci sarà «ogni male senza alcun bene». Nel Vangelo di S. Marco (16,28) l’Inferno è chiamato «luogo dei tormenti».
Il Catechismo di S. Pio X afferma: «L’inferno è il patimento della privazione di Dio, nostra felicità, e del fuoco, con ogni altro male senza alcun bene».
I peccatori hanno preferito a Dio Creatore le creature e tutte le soddisfazioni che essi potevano trovare in se stessi o negli altri. Perciò le stesse creature, le stesse potenze dell’anima, gli stessi sensi del corpo avranno il loro castigo e il loro tormento. Qualche accenno:
a) pene dell’immaginazione. Essa presenterà al dannato tutti i piaceri e le delizie goduti sulla terra, ma ora finiti per sempre. Gli presenterà alla fantasia le immense gioie del Cielo, che per lui ormai sono ir raggiungibili. Per questo il dannato digrigna i denti e si consuma di rabbia;
b) pene della memoria che ricorderà al dannato gli innumerevoli peccati con tutte le circostanze e le malizie che gli hanno meritato l’Inferno. Gli ricorderà tutte le grazie ricevute, tutti gli avvertimenti e i consigli... di cui, se ne avesse tratto profitto, ora non sarebbe in quel luogo di tormenti;
c) pene dell’intelligenza. Sulla terra le passioni, l’ignoranza o la leggerezza molte volte possono offuscare la verità. Ma nell’Inferno le verità, sulle quali in vita si tentò di passare con indifferenza e disprezzo, saranno dinnanzi al dannato in tutta la loro evidenza. Dunque il peccato non era una cosa da nulla! L’Inferno non è una invenzione dei preti! Dio, della cui mise ricordia e bontà si è tanto abusato, c’è, esiste veramente! Ed ora lui non potrà più amare il buon Dio, ma dovrà odiarlo per sempre;
d) pene della volontà. Non era tanto difficile salvarsi. Moltissimi altri, pur nelle stesse condizioni di vita, hanno adoperato i mezzi che Gesù Cristo ha lasciato alla Chiesa e si sono salvati. Dio, nella sua infinita misericordia, l’aveva richiamato fino all’ultimo istante della sua vita terrena, ma lui si è rifiutato: la sua scelta è stata fatta per sempre!;
e) pene dei sensi. Dopo la resurrezione anche il corpo con tutti i suoi sensi parteciperà con l’anima ai tormenti infernali. Gli occhi non vedranno altro che volti spasimanti di dannati e di demoni dall’aspetto orribile. L’udito non ascolterà altro che lamenti, urla, imprecazioni e bestemmie. L’odorato sarà colpito dai fetori più nauseanti. Il gusto soffrirà una sete inestinguibile. Il tatto con tutto il corpo sarà tormentato dal fuoco: fuoco non metaforico o figurato, come viene interpretato da alcuni, ma fuoco vero, reale, di natura misteriosa che fa sentire i suoi effetti terrificanti non solo sul corpo, ma anche sull’anima, anche sui demoni, che sono puri spiriti senza corpo. Un fuoco che brucia sempre senza consumare mai! Un fuoco più terribile di quello della terra. Il fuoco terreno infatti è stato creato da Dio a nostro servizio, per il nostro bene, mentre il fuoco infernale è stato creato a castigo di Satana e dei suoi angeli ribelli.
Altre pene dei dannati:
la compagnia dei demoni che sfogheranno su di loro il loro odio contro Dio, torturandoli per tutta l’eternità;
la compagnia dei dannati. Se per qualche circostanza ci capita di trovarci tra persone ineducate, dal un guaggio volgare e blasfemo; con persone sporche, male odoranti; con persone che ci guardano con occhio bieco e ostile, ecc., con quale ansia non aspettiamo l’occasione e il momento di sottrarci a quella insopportabile situazione! Ebbene nell’Inferno il dannato si troverà in una situazione immensamente più infelice ed eterna in compagnia di dannati molto più spregevoli e che si odiano l’un l’altro con grande accanimento.
la compagnia dei demoni che sfogheranno su di loro il loro odio contro Dio, torturandoli per tutta l’eternità;
la compagnia dei dannati. Se per qualche circostanza ci capita di trovarci tra persone ineducate, dal un guaggio volgare e blasfemo; con persone sporche, male odoranti; con persone che ci guardano con occhio bieco e ostile, ecc., con quale ansia non aspettiamo l’occasione e il momento di sottrarci a quella insopportabile situazione! Ebbene nell’Inferno il dannato si troverà in una situazione immensamente più infelice ed eterna in compagnia di dannati molto più spregevoli e che si odiano l’un l’altro con grande accanimento.
Le pene dell’inferno sono continue e disuguali
Come le gioie del Paradiso, così le sofferenze dell’Inferno, per quanto intense, non conoscono interruzione alcuna. Sulla terra le distrazioni, il sonno, i rimedi, possono diminuire la coscienza del dolore. Nell’inferno i dannati non conoscono sonno, né distrazioni, né sollievo: l’Inferno è continuità nella piena coscienza della propria sventura eterna.
Come in Paradiso i godimenti dei Beati non sono uguali, ma proporzionati ai loro meriti, così nell’Inferno le sofferenze dei dannati non sono uguali, ma proporzionate ai loro peccati.
Come le gioie del Paradiso, così le sofferenze dell’Inferno, per quanto intense, non conoscono interruzione alcuna. Sulla terra le distrazioni, il sonno, i rimedi, possono diminuire la coscienza del dolore. Nell’inferno i dannati non conoscono sonno, né distrazioni, né sollievo: l’Inferno è continuità nella piena coscienza della propria sventura eterna.
Come in Paradiso i godimenti dei Beati non sono uguali, ma proporzionati ai loro meriti, così nell’Inferno le sofferenze dei dannati non sono uguali, ma proporzionate ai loro peccati.
L’inferno non è vuoto
Oggi ci sono alcuni che dicono: l’Inferno c’è, però, non ci va nessuno perché Dio è infinitamente buono e misericordioso; è nostro Padre e quindi ci salverà tutti.
Qui ci sarebbe tanto da dire, ma, per non allungare troppo l’argomento, non dobbiamo dimenticare che Dio è infinitamente misericordioso per chi si pente e si converte, ma è pure infinitamente giusto per chi, fino all’ultimo istante della sua vita terrena, rifiuta la sua grazia, rifiuta il richiamo che l’invita al pentimento. All’Inferno ci va chi ci vuole andare. Diceva Gesù a un’anima privilegiata, Suor Consolata Betrone: «L’impenitenza finale è per quell’anima che vuole andare all’Inferno di proposito e quindi riostinatamente la mia immensa misericordia, perché io ho versato il mio Sangue per tutti! No, non è la moltitudine dei peccati che danna l’anima, perché io li perdono se essa si perite, ma è l’ostinazione a non volere il mio perdono, a volersi dannare».
Oggi ci sono alcuni che dicono: l’Inferno c’è, però, non ci va nessuno perché Dio è infinitamente buono e misericordioso; è nostro Padre e quindi ci salverà tutti.
Qui ci sarebbe tanto da dire, ma, per non allungare troppo l’argomento, non dobbiamo dimenticare che Dio è infinitamente misericordioso per chi si pente e si converte, ma è pure infinitamente giusto per chi, fino all’ultimo istante della sua vita terrena, rifiuta la sua grazia, rifiuta il richiamo che l’invita al pentimento. All’Inferno ci va chi ci vuole andare. Diceva Gesù a un’anima privilegiata, Suor Consolata Betrone: «L’impenitenza finale è per quell’anima che vuole andare all’Inferno di proposito e quindi riostinatamente la mia immensa misericordia, perché io ho versato il mio Sangue per tutti! No, non è la moltitudine dei peccati che danna l’anima, perché io li perdono se essa si perite, ma è l’ostinazione a non volere il mio perdono, a volersi dannare».
Che l’inferno non sia vuoto ce lo conferma la Vergine Santissima a Fatima. Nella quarta apparizione, domenica 19 agosto 1917, la Madonna, velata di tristezza, dice ai tre fanciulli (Lucia, Giacinta e Francesco):
«Pregate, pregate molto e fate sacrifici per i peccatori. Badate che molte, molte anime vanno all’inferno, perché non c’è chi si sacrifichi e preghi per loro».
Concludiamo l’argomento dell’Inferno riportando l’episodio del Papa Pio IX. Verso la fine del suo glorioso pontificato, il Papa raccomandava a un Missionario francese: «Predicate molto le grandi verità della salvezza, predicate specialmente l’Inferno. Dite chiaramente tutta la verità sull’Inferno, non c’è nulla di più efficace per far riflettere i poveri peccatori e convertirli».
L'INFERNO:
FATTI STORICI DOCUMENTATI CHE FANNO RIFLETTERE UN GENERALE RUSSO
Gaston De Sègur ha pubblicato un libretto che parla dell'esistenza dell'inferno, su cui sono narrate le apparizioni di alcune anime dannate. Riporto per intero l'episodio con le stesse parole dell'autore: "Il fatto accadde a Mosca nel 1812, quasi nella mia stessa famiglia. Mio nonno materno, il conte Rostopchine, era allora governatore militare a Mosca ed era in stretta amicizia col generale conte Orloff, uomo valoroso, ma empio. Una sera, dopo cena, il conte Orloff cominciò a scherzare con un suo amico volteriano, il generale V., burlandosi della religione e in particolare dell'inferno.
- Ci sarà qualcosa - disse Orloff - dopo la morte? - Se ci sarà qualcosa - disse il generale V. - chi di noi morirà per primo verrà ad avvisare l'altro. Restiamo d'accordo? - Benissimo! - soggiunse Orloff, e si strinsero la mano in segno di promessa.
Circa un mese dopo, il generale V. ricevette l'ordine di partire da Mosca e di prendere una posizione importante con l'esercito russo per fermare Napoleone. Tre settimane dopo, essendo uscito di mattina per esplorare la posizione del nemico, il generale V. fu colpito al ventre da una pallottola e cadde morto. Sull'istante si presentò a Dio.
Il conte Orloff era a Mosca e non sapeva nulla della fine di quel suo amico. Quella stessa mattina, mentre stava tranquillamente riposando, ormai sveglio da un po' di tempo, si aprirono ad un tratto le tendine del letto e comparve a due passi il generale V. morto da poco, ritto sulla persona, pallido, con la destra sul petto e così parlò: 'L'inferno c'è e io ci sono dentro!' e disparve. Il conte si alzò dal letto e uscì di casa in veste da camera, con i capelli ancora spettinati, molto agitato, con gli occhi stralunati e pallido in volto. Corse in casa di mio nonno, sconvolto e ansimante, per raccontare l'accaduto. Mio nonno si era alzato da poco e, meravigliato nel vedere a quell'ora e vestito in quel modo il conte Orloff, disse: - Conte che cosa vi è capitato?. - Mi sembra di impazzire per lo spavento! Ho visto poco fa il generale V.! - Ma come? Il generale è già arrivato a Mosca? - No! - rispose il conte gettandosi sul divano e tenendosi la testa tra le mani. - No, non è tornato, ed è questo appunto che mi spaventa! E subito, trafelato, gli raccontò l'apparizione in tutti i particolari.
Mio nonno cercò di calmarlo, dicendogli che poteva trattarsi di fantasia, o di un'allucinazione, o di un brutto sogno e aggiunse che non doveva considerare morto l'amico generale. Dodici giorni dopo, un messo dell'esercito annunziava a mio nonno la morte del generale; le date coincidevano: la morte era avvenuta la mattina di quello stesso giorno in cui il conte Orloff se l'era visto comparire in camera."
UNA DONNA DI NAPOLI
Tutti sanno che la Chiesa, prima di elevare qualcuno agli onori degli altari e dichiararlo "Santo", esamina attentamente la sua vita e specialmente i fatti più strani e insoliti. II seguente episodio fu inserito nei processi di canonizzazione di San Francesco di Girolamo, celebre missionario della Compagnia di Gesù, vissuto nel secolo scorso. Un giorno questo sacerdote predicava a una gran folla in una piazza di Napoli. Una donna di cattivi costumi, di nome Caterina, abitante in quella piazza, per distrarre l'uditorio durante la predica, dalla finestra cominciò a fare schiamazzi e gesti spudorati. II Santo dovette interrompere la predica perché la donna non la smetteva più, ma tutto fu inutile. II giorno dopo il Santo ritornò a predicare sulla stessa piazza e, vedendo chiusa la finestra della donna disturbatrice, domandò cosa fosse capitato. Gli fu risposto: "È morta questa notte improvvisamente". La mano di Dio l'aveva colpita. "Andiamo a vederla", disse il Santo. Accompagnato da altri entrò nella camera e vide il cadavere di quella povera donna disteso. II Signore, che talvolta glorifica i suoi Santi anche con i miracoli, gli ispirò di richiamare in vita la defunta. San Francesco di Girolamo guardò con orrore il cadavere e poi con voce solenne disse: "Caterina, alla presenza di queste persone, in nome di Dio, dimmi dove sei!". Per la potenza del Signore si aprirono gli occhi di quel cadavere e le sue labbra si mossero convulse: "All'inferno!... Io sono per sempre all'inferno!".
UN EPISODIO CAPITATO A ROMA
A Roma, nel 1873, verso la metà di agosto, una delle povere ragazze che vendevano il loro corpo in una casa di tolleranza si ferì a una mano. II male, che a prima vista sembrava leggero, inaspettatamente si aggravò, tanto che quella povera donna fu trasportata urgentemente all'ospedale, dove morì poco dopo. In quel preciso momento, una ragazza che praticava lo stesso "mestiere" nella stessa casa, e che non poteva sapere ciò che stava avvenendo alla sua "collega" finita all'ospedale, cominciò a urlare con grida disperate, tanto che le sue compagne si svegliarono impaurite. Per le grida si svegliarono anche alcuni abitanti del quartiere e ne nacque uno scompiglio tale che intervenne la questura.
Cos'era successo? La compagna morta all'ospedale le era apparsa, circondata di fiamme, e le aveva detto: "Io sono dannata! E se non vuoi finire anche tu dove sono finita io, esci subito da questo luogo di infamia e ritorna a Dio!". Nulla poté calmare l'agitazione di quella ragazza, tanto che, appena spuntata l'alba, se ne partì lasciando tutte le altre nello stupore, specialmente non appena giunse la notizia della morte della compagna avvenuta poche ore prima all'ospedale. Poco dopo, la padrona di quel luogo infame, che era una garibaldina esaltata, si ammalò gravemente e, ben ricordando l'apparizione della ragazza dannata, si convertì e chiese un sacerdote per poter ricevere i santi Sacramenti. L'autorità ecclesiastica incaricò della cosa un degno sacerdote, Mons. Sirolli, che era il parroco di San Salvatore in Lauro. Questi richiese all'inferma, alla presenza di più testimoni, di ritrattare tutte le sue bestemmie contro il Sommo Pontefice e di esprimere il proposito fermo di mettere fine all'infame lavoro che aveva fatto fino allora. Quella povera donna morì, pentita, con i conforti religiosi. Tutta Roma conobbe ben presto i particolari di questo fatto. Gli incalliti nel male, com'era prevedibile, si burlarono dell'accaduto; i buoni, invece, ne approfittarono per diventare migliori.
UNA NOBILE SIGNORA DI LONDRA
Viveva a Londra, nel 1848, una vedova di ventinove anni, ricca e molto corrotta. Tra gli uomini che frequentavano la sua casa, c'era un giovane lord di condotta notoriamente libertina. Una notte quella donna era a letto e stava leggendo un romanzo per conciliare il sonno. Appena spense la candela per addormentarsi, si accorse che una luce strana, proveniente dalla porta, si diffondeva nella camera e cresceva sempre più. Non riuscendo a spiegarsi il fenomeno, meravigliata spalancò gli occhi. La porta della camera si aprì lentamente ed apparve il giovane lord, che era stato tante volte complice dei suoi peccati. Prima che essa potesse proferire parola, il giovane le fu vicino, l'afferrò per il polso e disse: "C'è un inferno, dove si brucia!". La paura e il dolore che quella povera donna sentì al polso furono così forti che svenne all'istanteDopo circa mezz'ora, ripresasi, chiamò la cameriera la quale, entrando nella stanza, sentì un forte odore di bruciato e constatò che la signora aveva al polso una scottatura così profonda da lasciar vedere l'osso e con la forma della mano di un uomo. Notò anche che, a partire dalla porta, sul tappeto c'erano le impronte dei passi di un uomo e che il tessuto era bruciato da una parte all'altra. II giorno seguente la signora seppe che la stessa notte quel giovane lord era morto. Questo episodio è narrato da Gaston De Sègur che così commenta: "Non so se quella donna si sia convertita; so però che vive ancora. Per coprire agli sguardi della gente le tracce della sua scottatura, sul polso sinistro porta una larga fascia d'oro in forma di braccialetto che non toglie mai e per questo particolare viene chiamata la signora del braccialetto".
RACCONTA UN ARCIVESCOVO...
Mons. Antonio Pierozzi, Arcivescovo di Firenze, famoso per la sua pietà e dottrina, nei suoi scritti narra un fatto, verificatosi ai suoi tempi, verso la metà del XV secolo, che seminò grande sgomento nell'Italia settentrionale. All'età di diciassette anni, un ragazzo aveva tenuto nascosto in Confessione un peccato grave che non osava confessare per vergogna. Nonostante questo si accostava alla Comunione, ovviamente in modo sacrilego. Tormentato sempre più dal rimorso, invece di mettersi in grazia di Dio, cercava di supplire facendo grandi penitenze. Alla fine decise di farsi frate. "Là - pensava - confesserò i miei sacrilegi e farò penitenza di tutte le mie colpe". Purtroppo, il demonio della vergogna riuscì anche là a non fargli confessare con sincerità i suoi peccati e così trascorsero tre anni in continui sacrilegi. Neanche sul letto di morte ebbe il coraggio di confessare le sue gravi colpe. I suoi confratelli credettero che fosse morto da santo, perciò il cadavere del giovane frate fu portato in processione nella chiesa del convento, dove rimase esposto fino al giorno dopo. AI mattino, uno dei frati, che era andato a suonare la campana, tutto a un tratto si vide comparire davanti il morto circondato da catene roventi e da fiamme. Quel povero frate cadde in ginocchio spaventato. II terrore raggiunse il culmine quando sentì: "Non pregate per me, perché sono all'inferno!"... e gli raccontò la triste storia dei sacrilegi. Poi sparì lasciando un odore ripugnante che si sparse per tutto il convento. I superiori fecero portare via il cadavere senza i funerali.
UN PROFESSORE DI PARIGI
Sant'Alfonso Maria De' Liguori, Vescovo e Dottore della Chiesa, e quindi particolarmente degno di fede, riporta il seguente episodio. Quando l'università di Parigi si trovava nel periodo di maggior splendore, uno dei suoi più celebri professori morì improvvisamente. Nessuno si sarebbe immaginato la sua terribile sorte, tanto meno il Vescovo di Parigi, suo intimo amico, che pregava ogni giorno in suffragio di quell'anima. Una notte, mentre pregava per il defunto, se lo vide apparire davanti in forma incandescente, col volto disperato. II Vescovo, compreso che l'amico era dannato, gli rivolse alcune domande; gli chiese tra l'altro: "All'inferno ti ricordi ancora delle scienze per le quali eri così famoso in vita?". "Che scienze... che scienze! In compagnia dei demoni abbiamo ben altro a cui pensare! Questi spiriti malvagi non ci danno un momento di tregua e ci impediscono di pensare a qualunque altra cosa che non siano le nostre colpe e le nostre pene. Queste sono già tremende e spaventose, ma i demoni ce le inaspriscono in modo da alimentare in noi una continua disperazione!"
RAIMOND DIOCRÉ
Ed ecco un altro fatto sconvolgente, avvenuto alla presenza di migliaia di testimoni ed esaminato in tutti i particolari dai dottissimi Bollandisti. Era morto a Parigi il professore della Sorbona Raimond Diocré. Nella chiesa di Nòtre Dame si svolgevano i solenni funerali. Oltre a molti semplici fedeli vi parteciparono numerosi professori e discepoli del defunto. La salma era collocata nel mezzo della navata centrale, coperta, secondo l'uso di quel tempo, da un semplice velo. Cominciate le esequie, allorché il sacerdote disse le parole del rito: "Rispondimi: quante iniquità e peccati hai...?", si udì una voce sepolcrale uscire da sotto il velo funebre: "Per giusto giudizio di Dio sono stato accusato!". Fu tolto subito il drappo mortuario, ma si trovò il defunto immobile e freddo. La funzione, improvvisamente interrotta, fu subito ripresa fra il turbamento generale. Poco dopo il cadavere si alzò davanti a tutti e gridò con voce ancora più forte di prima: "Per giusto giudizio di Dio sono stato giudicato!". Lo spavento dei presenti giunse al colmo. Alcuni medici si avvicinarono al defunto, ripiombato nella sua immobilità, e constatarono che era veramente morto. Non si ebbe però il coraggio, per quel giorno, di continuare il funerale e si rimandò al domani. Intanto le autorità ecclesiastiche non sapevano che cosa decidere. Alcuni dicevano: "E' dannato; non è degno delle preghiere della Chiesa!". Altri osservavano: "Non si può essere sicuri che Diocré sia dannato! Ha detto di essere stato accusato e giudicato, ma non condannato". Anche il Vescovo fu di questo parere. II giorno seguente fu ripetuto l'ufficio funebre, ma giunti alla stessa frase prevista dal rito: “Rispondimi...” il cadavere si alzò nuovamente da sotto il velo funebre e gridò: "Per giusto giudizio di Dio sono stato condannato all'inferno per sempre!". Davanti a questa terribile testimonianza, cessarono i funerali e si decise di non seppellire il cadavere nel cimitero comune.Il prodigio era evidentissimo e molti si convertirono. Tra i presenti c'era un certo Brunone, discepolo e ammiratore del Diocré; era già un buon cristiano, ma in quell'occasione decise di lasciare le attrattive del mondo e di darsi alla penitenza. Altri seguirono il suo esempio. Brunone divenne fondatore di un Ordine Religioso, il più rigoroso della Chiesa Cattolica: l'Ordine dei Certosini. In seguito morì da Santo. Chi va oggi a Serra San Bruno, in Calabria, può visitare il monastero fatto costruire dal Santo, ove sono sepolti, tra gli altri, non pochi uomini illustri che hanno lasciato tutto per dedicarsi interamente alla preghiera, al lavoro, all'aspra penitenza e al più rigoroso silenzio. II mondo potrà giudicare pazzi costoro, ma in realtà sono sapienti; seguendo le orme del fondatore, al pensiero dell'inferno, perseverano nella vita di mortificazione per guadagnarsi il paradiso
Dolce invito
VII. Ad ubera portabimini (Is. LXVI, 12). Appunto dal
sacro altare Gesù sacramentato fa all'anime questo dolce invito: Venite, dice
loro, a succhiare il latte mio divino che vi dono in questo Sacramento dandovi
a bere il mio medesimo sangue.
Ma qual pastore mai, dice S. Gio. Crisostomo,
col suo proprio sangue pasce le sue pecorelle? Anche le madri danno alle
nutrici ad alimentare i propri figli. Ma voi, o Pastore divino innamorato delle
anime, volete nutrirle col vostro sangue stesso.10
Aveva ragione
dunque S. Caterina da Siena, che accostandosi alla comunione andava anelante a
succhiare questo latte divino, appunto come un bambino si accosta ansioso a
succhiare il latte dal petto della madre.11
Ed aveva anche ragione la sacra Sposa di dire al suo diletto: Meliora sunt
ubera tua vino (Cant. I).12 Significando
ch'ella prezzava più il latte di questo Sacramento, come spiegano i sacri
interpreti, che tutte le dolcezze della terra che sono passaggiere e vane com'è
passaggiera e vana la dolcezza e letizia del vino.
O mio amato Gesù, giacché voi volete pascermi questa mattina col vostro
medesimo sangue nella santa comunione, è ragione ch'io vi rinunzii volentieri
tutte le delizie e gusti che può darmi la terra. Sì che ve li13 rinunzio tutti, e
mi protesto ch'eleggo prima di patire tutt'i mali unito con voi, che godere
tutti i beni del mondo lontano da voi. Mi basta per ogni contento il contentare
e dar gusto a voi che meritate d'esser contentato ad ogni costo. Donatemi voi,
vi prego,14 solamente il
vostro amore e la vostra grazia, e ciò mi basta e son contento: Amorem
tui solum, vi dirò con S. Ignazio di Loiola, cum
gratia tua mihi dones, et dives sum satis.15
Nessuno è tanto meschino che la sua preghiera non serva.
- Chi prega ottiene e se proprio si pregasse fortemente per i peccatori, si otterrebbe la loro conversione. (…)
Nessuno è tanto meschino che la sua preghiera non serva. Dio è attirato da una preghiera che sale dal mondo e scende come forza nel cuore di una mia sposa che vacilla in un convento. (…) La preghiera non sale quando ha una zavorra di umanità appesa alle ali e l’orazione non può svolgersi. La preghiera non si spande sulla terra per salvare i peccatori e non sale per consolare Me, se è resa spessa da molto fango umano. 15.6.43 - Beate quelle labbra e quelle contrade in cui si pronuncia “Ave Maria”. Ave: io ti saluto. Il più piccolo al più grande, il bimbo al genitore, l’inferiore al superiore, sono tenuti, nella legge di educazione umana, a dire sovente il saluto rispettoso, doveroso, amoroso, a seconda dei casi. Il fratello mio non deve negare questo atto di amore reverenziale alla Mamma perfetta che abbiamo in Cielo. 3.9.43
- Dio non ha mandato il suo angelo a dire “Ave” a Maria soltanto. Dio vi saluta. cari figli, con le sue attenzioni, Dio vi manda per angeli le sue sante ispirazioni, Dio vi porta le sue benedizioni da mattina sera e da sera a mattina. Siete sempre circondati dalle onde amorose e previdenti del pensiero di Dio. 4.9.43
AVE MARIA!
lunedì 25 giugno 2018
Orazione e contemplazione del Carmelo
5. Características fundamentales de la Reforma Descalza
- Espíritu de continua oración y contemplación: "Todas las que traemos este hábito sagrado del Carmen somos llamadas a la oración y contemplación, porque éste fue nuestro principio."(5 M. 1,3)
- Espíritu ermitaño: "El estilo que pretendemos llevar es no sólo de ser monjas sino ermitañas, y así se desasen de todo lo creado." (C. 13,6)
- Imitación de María Santísima, Hermana y Señora.
- Soledad y silencio: "Nunca haya sala de labor porque no sea ocasión de que estando juntas quebranten el silencio." (Const.)
- Trabajo en la presencia de Dios: "No se haga labor curiosa que ocupe el pensamiento para no le tener en el Señor" (Const.);“Coman su pan trabajando en silencio" (Regla); "Ponga mucho en los ejercicios de manos que importa infinitísimo." (Cta. 111,3)
- Pobreza absoluta: "Siempre tengan delante la pobreza que profesan para dar en todo el buen olor de ella y miren que no es esto lo que las ha de sustentar (el propio interés) sino la fe y perfección y fiar en sólo Dios." (Const.)
- Austeridad.
- Penitencia.
- Ayuno: Desde la Exaltación de la Santa Cruz (14 de septiembre) hasta el día de la Resurrección del Señor (Regla).
- Abstinencia perpetua: Excepto en caso de enfermedad o debilidad, como en el ayuno (Regla).
- Obediencia libre y generosa: "En esto de la obediencia es lo que más había de poner y por parecerme que si no la hay es no ser monja, no digo nada de ello" (C. 18.7). "Me dijo el Señor: Hija, la obediencia da fuerzas" (Fund. prólogo).
- Desasimiento de todo lo creado.
- Verdadera humildad, sencillez y alegría: "Vida es vivir de manera que no se tema la muerte ni todos los sucesos de la vida, y estar con esta ordinaria alegría que ahora todas traéis" (F. 27,12).
- Oración por la Iglesia y los sacerdotes: Santa Teresa quiere que sus hijas merezcan con sus virtudes alcanzar una lluvia de gracias para la Santa Iglesia y para que "a los capitanes de este castillo o ciudad, los haga muy aventajados en el camino del Señor, que son los predicadores y teólogos" (Camino 3,2)."Cuando vuestras oraciones y deseos y disciplinas y ayunos no se emplearen en esto que he dicho (en favor de la Iglesia y de la Sagrada Jerarquía) pensad que no hacéis ni cumplís el fin para el que aquí os juntó el Señor" (Camino 3,10).
- Vida fraterna fundada en la caridad más perfecta: “Todas han de ser amigas, todas se han de amar, todas se han de querer, todas se han de ayudar” (Camino 6,4). "Si entendieseis lo que nos importa esta virtud no traeríais otro estudio" (5M. 3,10).
- Rigurosa y voluntaria clausura: "No se creerá el contento que se recibe en estas fundaciones cuando nos vemos ya con clausura adonde no puede entrar persona seglar: que por mucho que las queramos, no basta para dejar de tener este gran consuelo de vernos a solas con Él sólo" (F. 31,46).
- Amor filial a San José: a quien llaman “Ntro. Padre y Señor San José”, confiándole sus necesidades.
- Cielo en la tierra: "Esta casa es un Cielo, si lo puede haber en la tierra. Para quien se contenta sólo de contestar a Dios y no hace caso de contento suyo, tiénese muy buena vida: en queriendo algo más se perderá todo, porque no lo puede tener".(C. 13,7)
- Número limitado de monjas: Máximo 21.
6. Dos textos constitucionales aprobados
El Beato Juan Pablo II en el locutorio de La Encarnación (1982)
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