giovedì 25 gennaio 2018

Un frutto già tutto marcio

Il Governo Divino
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26 gennaio 2007

Il Padre Eterno:  Scrivi. Dio è Uno e la Mia Volontà è Una. Se Io desidero un cambiamento sulla vostra Terra, desidero un Cambiamento anche in tutti gli esseri umani.

Dapprima, coloro che Mi seguiranno subito, i Volontari, per cambiare questo mondo che è come un frutto già tutto marcio che non può più vivere, né servire a far vivere i Miei figli.

Domani, il risveglio sarà più luminoso, perché Dio reggerà tutto nella Sua Mano e i figli avranno cambiato carattere. Lo Spirito di Dio riempirà tutto il Cielo che si avvicinerà così in basso che la Terra potrà percepire lo Spirito di Vita Eterna. È un regalo dell'Eterno che sceglie già questo Tempo di Pace che Egli viene a cambiare con quello che è il Tempo del disastro: Io lo piegherò come una vecchia pergamena e lo lancerò nell'abisso senza fondo dove tutto si distrugge nel tempo che resta a questa Terra per vivere la sua agonia.

Ecco infatti il Mio Tempo che viene per accogliere questa nuova generazione di santi figli che hanno deciso di vivere una Nuova Vita con il loro Sovrano Maestro, GESÙ Cristo. Essi portano l'identità di Colui che è ormai il Re di tutta la Terra, come è Re di tutto l'Universo. Terra conquistata con il Suo Amore.

Figlia Mia, tu vuoi sapere ancora molte cose per informare i tuoi, tutti i tuoi fratelli. Dì loro che la Pazienza di Dio ha questo unico scopo: aspettare la preparazione di tutti i tuoi fratelli da cambiare.

Essi non devono avere paura, perché Dio li ha preparati fin dalla fondazione del Mondo a vivere tutti questi avvenimenti, che non cesseranno di accadere fino all'istituzione del Mio Divino Governo che stabilisco in mezzo a voi.

È arrivato quel Tempo in cui Dio prenderà tutto in mano al fine di ristabilire ciò che gli uomini hanno infranto, quella Protezione Divina che Dio aveva stabilito tra gli uomini e il loro Creatore, affinché la Vita che Dio vi dona non finisca mai. Perché Io la desidero eterna, come la Mia Creazione con tutti i Miei figli diventati fratelli del Mio Divino Figlio GESÙ Cristo che viene a voi per non fare che Uno con voi.

Egli viene infatti a riunirvi per sempre nell'Unità del Padre Suo per non formare che UNO nell'adorabile Trinità che è Padre, che è Figlio, che è Spirito Santo. Mistero di Dio, Nome: Amore Perfetto.
Non abbiate paura,
Dio è Amore.

SI'! CREDO!





Se ogni conversione... è opera della grazia divina, quella di Paolo lo è in sommo grado.

Omelia di Giovanni Paolo II 

in occasione della festa 

della Conversione di san Paolo







CELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA FESTIVITÀ

DELLA CONVERSIONE DI SAN PAOLO


OMELIA DI GIOVANNI PAOLO II

Venerdì, 25 gennaio 1985

“Ecco quanto è buono e quanto è soave che i fratelli vivano insieme” (Sal 133, 1).



1. Con questi sentimenti di ammirazione e di letizia, espressi dal salmista, mi rivolgo a tutti voi, qui riuniti per incontrare il Signore nella sua parola e nel suo corpo. Ci incontriamo con lui, nostro unico Salvatore, nostro unico Maestro, ma ci incontriamo anche fra di noi, in questa celebrazione conclusiva della Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani.
La gioia di questo incontro con il Signore e fra i fratelli è reso più vivo dalla presenza dei pastori e di numerosi fedeli delle altre Chiese e comunità ecclesiali presenti a Roma. A loro tutti il mio speciale saluto e il mio ringraziamento per avere voluto prendere parte a questo intenso momento di unione spirituale.

Uniti quindi spiritualmente con tutte le Chiese locali del mondo, nelle quali in questo Ottavario è stata intensificata la preghiera e la riflessione fraterna tra i fedeli di diverse confessioni, e uniti come membri della diocesi di Roma, concludiamo insieme questo itinerario di diverse iniziative di preghiera e di incontri fraterni qui, nella basilica dell’apostolo Paolo, dopo opportune iniziative alle quali in modo particolare hanno preso parte i giovani, impegnandosi anche in concreti gesti di carità a favore dei fratelli bisognosi, specialmente di quelli privi di un tetto e di una famiglia, che hanno sofferto per il freddo e la neve degli scorsi giorni.

Queste iniziative sono state sostenute dalla quotidiana preghiera, resa più intensa in questa basilica dall’adorazione Eucaristica quotidiana, che ha avuto inizio con questa Settimana di preghiere e che continuerà per il futuro, grazie alla partecipazione di monaci, religiosi, famiglie, gruppi parrocchiali del settore Sud di Roma; iniziative, alle quali esprimo oggi tutto il mio più vivo compiacimento ed incoraggiamento.

2. Per felice consuetudine, la conclusione della Settimana di preghiere per l’unità dei cristiani viene celebrata in questa basilica nella festa della conversione di San Paolo, evento centrale non solo per l’apostolo, ma per tutta la Chiesa delle origini. Siamo perciò sollecitati a fissare il nostro sguardo sulla figura di Paolo di Tarso, sulla Settimana di preghiera e, infine, sulla relazione dell’uno e dell’altra con l’impegno solenne assunto dalla Chiesa cattolica di lavorare instancabilmente alla ricomposizione dell’unità di tutti i cristiani.
Nella prima lettura (At 22, 3-16) abbiamo ascoltato Paolo narrare, nel tempio di Gerusalemme, ai suoi fratelli ebrei, la vicenda sconvolgente della sua conversione. Come affermano gli altri due racconti dell’evento, contenuti nel libro degli Atti (At 9, 1-8; 26, 2-18) Saulo-Paolo attribuisce la propria radicale trasformazione alla visione di Gesù Nazareno, che egli si accaniva a perseguitare e che gli si para davanti, sulla strada verso Damasco.
Se ogni conversione, o metànoia, è opera della grazia divina, cioè dell’intervento immediato e radicale di Dio nel cuore dell’uomo, quella di Paolo lo è in sommo grado. Il Signore Gesù si è mostrato a Paolo e ha preso a dialogare con lui, che, già convinto fariseo, impreparato a questa manifestazione e ad essa ostile, non ha potuto opporvi resistenza. Abbiamo ascoltato nella lettura la voce stessa di Paolo, che avvia lo straordinario dialogo: “Che devo fare, o Signore?”. La risposta di Gesù, non ancora esplicita ma già risolutiva, lo incita a dirigere i suoi passi verso la Chiesa di Damasco: “Là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia” (At 22, 10).
Questa esperienza, che trasforma Saulo in Paolo apostolo, ci insegna, ancora una volta, come i grandi eventi, determinanti per la vita della Chiesa, scaturiscano dalla grazia del Signore, il quale interviene nella nostra vita personale, nei nostri cuori, plasma la storia della Chiesa, come e quando egli vuole. Così, contrariamente ad ogni aspettativa e a quelle dello stesso Paolo, la vicenda della sua conversione è celebrata da secoli, nella liturgia della Chiesa, come avvenimento miracoloso.

3. Durante questa Settimana e dappertutto nel mondo, si è pregato per la piena unità e la perfetta comunione di tutti i credenti in Cristo. Si è pregato traendo ispirazione dalle stesse parole dell’apostolo, con il testo scelto dal Segretariato per l’unione dei cristiani e dal Consiglio ecumenico delle Chiese, quale tema della Settimana di quest’anno: “Dalla morte alla vita con Cristo” (cf. Ef 2, 4-10). Dal brano, sopra citato, che ha guidato la nostra riflessione durante la Settimana, sorgono verità fondamentali, come il passaggio dalla morte alla vita, che Dio solo può operare in noi.
Solo la misericordia del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo potrà concedere l’ineffabile grazia della piena comunione ai cristiani, che, rinati per il tramite del Battesimo, dalla morte alla vita, professano Cristo figlio di Dio e Salvatore, anche se non vivono ancora in piena comunione di fede e di vita cristiana. Questa comunione perfetta è dono divino: per essa Gesù ha pregato, come abbiamo ascoltato dal Vangelo (Gv 17, 20-26) appena proclamato.

4. Il fatto che l’unità sia esclusivamente dono divino non vanifica il nostro slancio, anzi lo fonda, lo giustifica e gli conferisce vero significato. Le nostre azioni per il ristabilimento dell’unità possono sembrare non adeguate e i nostri sforzi impari per raggiungerla; i mezzi possono apparire inadeguati, e deboli i risultati raggiunti. Così può sembrare lento il ritmo impresso all’opera a favore dell’unità, specie se paragonato al tempo di rapidi cambiamenti in cui siamo chiamati a vivere, in questo scorcio del XX secolo.
Impressione non del tutto falsa. Infatti, le iniziative varie, i dialoghi intrapresi, le relazioni nuovamente instaurate, un certo modo di crescere insieme come Chiesa, e persino la comune testimonianza data al nome dell’unico Cristo per la salvezza dell’umanità, per fronteggiare i problemi e le necessità del mondo di oggi, pur essendo indispensabili e forieri dell’unità futura, e pur derivando da una comunione già esistente, sono di per sé insufficienti a raggiungere tale unità.
Lo stupendo “edificio”, la “casa” evocata dal salmista e nella quale sarà “dolce” e “gioioso” per “i fratelli essere insieme” (Sal 133(132), 1), sarà “edificata” solo dal Signore (Sal 127(126), 1). La liturgia di oggi ci sollecita, pertanto, in modo del tutto speciale, a elevare la nostra umile e fervida supplica per ottenere questa grazia suprema dell’unità per mezzo di Cristo, nostro unico mediatore, che offre il suo unico sacrificio nella celebrazione eucaristica.

5. Se il significato della Settimana di preghiere è esattamente compreso e vissuto, la preghiera quotidiana per l’unità deve occupare il primo posto non solo durante la Settimana ad essa dedicata, ma ogni giorno della nostra vita. Ogni cristiano, convinto che l’impegno per l’unità è primario nel suo cammino verso Cristo, e volendo restare fedele a questo impegno, sa bene che qualsiasi azione intrapresa, individualmente o assieme agli altri, ha di per sé bisogno della preghiera al comune Signore, affinché fecondi ogni parola e ogni gesto, in modo che questi ricevano da lui il loro vero valore e possano farci progredire verso l’unità.
La Settimana di preghiere deve costituire il culmine di una preghiera ininterrotta. Poiché è preghiera comune, fatta dai cristiani ancora divisi, ma già uniti dallo stesso Battesimo e dalla comune fede in Cristo, unico Salvatore, essa è, ogni anno, un passo avanti nel cammino dell’unità, una felice anticipazione di quel traguardo supremo; è, infine, testimonianza della comune convinzione che l’unità è dono gratuito del Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito Santo.

6. A conclusione di questa Settimana di preghiere, durante la quale abbiamo voluto rivivificare e ritemprare il nostro impegno ecumenico di fronte al Signore, non è inutile ribadire tale principio.
L’unità a cui aspiriamo, per la quale operiamo e soffriamo e soprattutto preghiamo, rivolgendoci con umile supplica alla santissima Trinità, è l’unità perfetta, improntata all’esempio e al modello della suprema unità divina, nella distinzione delle tre persone: Padre, Figlio e Spirito Santo. È unità nella fede, unità nei sacramenti, unità di magistero, unità di guida pastorale.

Unità delle menti e dei cuori, ma anche unità visibile. Unità tra i cristiani, ma anche tra le Chiese e comunità ecclesiali. L’unità più radicale e più profonda che ci sia mai concessa nell’opacità e tra le debolezze di questa nostra storia.
Questa unità, che abbiamo connotato, non deve essere confusa con l’uniformità, con l’appiattimento dell’individualità e dell’identità di ciascuna legittima tradizione cristiana. L’unità che ricerchiamo non consiste nell’identificazione di una tradizione con un’altra; nell’accomodamento di una tradizione all’altra. Essa è tensione verso il raggiungimento, per dono di Dio, di quella totale fedeltà a tutto il suo disegno, così come è espresso nei Vangeli, come ci parla attraverso la grande tradizione ecclesiale, come si professa nell’unica fede, nella celebrazione degli stessi sacramenti, nella comunione con tutti i vescovi stabiliti per pascere il popolo di Dio (cf. At 20, 28) e uniti tra loro intorno al successore di Pietro. E tutto ciò nel rispetto dei valori e delle ricchezze di ogni tradizione particolare e di ogni cultura, secondo l’insegnamento del Concilio Vaticano II nel decreto sull’ecumenismo, di cui ricordiamo il ventennale della promulgazione.

7. Cari fratelli e care sorelle, ho voluto ricercare con voi, in questa circostanza, il volto dell’unità per cui oggi preghiamo, rievocando l’esperienza e meditando l’esempio dell’apostolo Paolo, del quale celebriamo oggi l’ingresso nella Chiesa.
In questo giorno conclusivo della Settimana di preghiere per l’unità, la celebrazione dell’Eucaristia ci riconduce al cuore stesso del mistero della nostra riconciliazione con il Padre e della riconciliazione degli uni con gli altri.

Sentiamo ancora più dolorosamente gli ostacoli, che non ci permettono di partecipare insieme a questa Eucaristia e rinnoviamo la nostra volontà di fare tutto quanto è in nostro potere perché si avvicini il giorno benedetto in cui tutti i credenti in Cristo potranno trarre nutrimento dalla stessa sorgente d’unità. Facciamo nostra la preghiera di Gesù, che è stata appena proclamata e che egli ci ha lasciato nel Vangelo dell’apostolo Giovanni: “Non prego solo per questi, ma anche per quelli che per la loro parola crederanno in me; perché tutti siano una cosa sola.
Come tu, Padre, sei in me e io in te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato” (Gv 17, 20-21). Amen.
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Al termine di questa celebrazione eucaristica nella festività della conversione di San Paolo, che ci vede riuniti presso il trofeo glorioso dell’apostolo, a conclusione dell’Ottavario di preghiere per l’unione dei cristiani, un ricordo si affaccia impellente alla coscienza di tutti noi.

Quest’anno cade il ventesimo anniversario della conclusione del Concilio Vaticano II, il cui primo annuncio, come ben ricordiamo, fu dato dal mio predecessore Giovanni XXIII di venerata memoria proprio da questa basilica e in questo stesso giorno, il 25 gennaio 1959. Il Vaticano II resta l’avvenimento fondamentale nella vita della Chiesa contemporanea: fondamentale per l’approfondimento delle ricchezze affidatele da Cristo, il quale in essa e per mezzo di essa prolunga e partecipa agli uomini il “mysterium salutis”, l’opera della redenzione; fondamentale per il contatto fecondo col mondo contemporaneo al fine dell’evangelizzazione e del dialogo a tutti i livelli e con tutti gli uomini di retta coscienza. Per me, poi – che ho avuto la grazia speciale di parteciparvi e di collaborare attivamente al suo svolgimento – il Vaticano II è stato sempre, ed è in modo particolare in questi anni del mio pontificato, il costante punto di riferimento di ogni mia azione pastorale, nell’impegno consapevole di tradurre le direttive in applicazione concreta e fedele, a livello di ogni Chiesa e di tutta la Chiesa.

Occorre incessantemente rifarsi a quella sorgente. E tanto più quando date tanto significative, come quella di quest’anno, si avvicinano e riaccendono ricordi ed emozioni di quell’evento veramente storico. Pertanto oggi, festività della conversione di San Paolo, con intima gioia e commozione indìco un’assemblea generale straordinaria del Sinodo dei vescovi, che si celebrerà dal 25 novembre all’8 dicembre del corrente anno, e alla quale parteciperanno i patriarchi e alcuni arcivescovi delle Chiese orientali e i presidenti di tutte le Conferenze episcopali dei cinque continenti.

Lo scopo dell’iniziativa è non solo quello di commemorare il Concilio Vaticano II a vent’anni di distanza dalla sua chiusura, ma anche e soprattutto: rivivere in qualche modo quell’atmosfera straordinaria di comunione ecclesiale, che caratterizzò l’assise ecumenica, nella vicendevole partecipazione delle sofferenze e delle gioie, delle lotte e delle speranze, che son proprie del corpo di Cristo nelle varie parti della terra; scambiarsi e approfondire esperienze e notizie circa l’applicazione del Concilio a livello di Chiesa universale e di Chiese particolari; favorire l’ulteriore approfondimento e il costante inserimento del Vaticano II nella vita della Chiesa, alla luce anche delle nuove esigenze.

Attribuisco a questa assemblea straordinaria del Sinodo un’importanza particolare. Per tale motivo ne ho voluto dare oggi pubblica notizia da questa basilica, ove risuonò per la prima volta l’annuncio del Concilio ecumenico del nostro secolo. L’intento che mi muove si colloca nella scia di quello dei miei venerati predecessori Giovanni XXIII e Paolo VI: contribuire a quel “rinnovamento di pensieri, di attività, di costumi e di forza morale, di gaudio e di speranza, ch’è stato lo scopo stesso del Concilio” (Insegnamenti di Paolo VI, III [1965] 746).

Affido fin d’ora la realizzazione del Sinodo straordinario dei vescovi alle preghiere della Chiesa e alla potente intercessione dei santi Pietro e Paolo; e con voi soprattutto imploro la Vergine Immacolata, Madre della Chiesa, affinché ci assista in quest’ora e ci ottenga quella fedeltà a Cristo, della quale ella è modello incomparabile per la sua disponibilità di “serva del Signore”, per la sua costante apertura alla parola di Dio (cf. Lc 1, 38; 2, 19.51). In questa fedeltà totale e perseverante la Chiesa di oggi vuol proseguire il suo cammino verso il terzo millennio della storia, in mezzo agli uomini e insieme come partecipe delle loro stesse speranze e attese, seguendo la via tracciata dal Vaticano II, e sempre in ascolto di “quanto lo Spirito dice alle chiese” (Ap 2, 7.11.17.26; 3, 5.13).
Conversion on the Way to Damascus-Caravaggio (c.1600-1).jpg
Conversione di San Paolo
di Michelangelo Merisi da Caravaggio
1600-1601, olio su tela 230x175 cm
Santa Maria del Popolo, Roma
AMDG et DVM

mercoledì 24 gennaio 2018

BIOGRAFIA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI

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BIOGRAFIA
DI SUA SANTITÀ
BENEDETTO XVI


Joseph Ratzinger - Cardinale dal 1977, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede dal 1981, Decano del Collegio Cardinalizio dal 2002 - è nato in Marktl am Inn, nel territorio della Diocesi di Passau (Germania), il 16 aprile dell'anno 1927.

Suo padre era un commissario di gendarmeria e proveniva da una famiglia di agricoltori della bassa Baviera, le cui condizioni economiche erano piuttosto modeste. La madre era figlia di artigiani di Rimsting, sul lago di Chiem, e prima di sposarsi aveva fatto la cuoca in diversi alberghi.

Egli ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza a Traunstein, una piccola città vicino alla frontiera con l'Austria, a circa trenta chilometri da Salisburgo. Ha ricevuto in questo contesto, che egli stesso ha definito "mozartiano", la sua formazione cristiana, umana e culturale.

Il tempo della sua giovinezza non è stato facile. La fede e l'educazione della sua famiglia lo ha preparato alla dura esperienza dei problemi connessi al regime nazista:  egli ha ricordato di aver visto il suo parroco bastonato dai nazisti prima della celebrazione della Santa Messa e di aver conosciuto il clima di forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica in Germania.

Ma proprio in questa complessa situazione, egli ha scoperto la bellezza e la verità della fede in Cristo e fondamentale è stato il ruolo della sua famiglia che ha sempre continuato a vivere una cristallina testimonianza di bontà e di speranza radicata nell'appartenenza consapevole alla Chiesa.

Verso la conclusione di quella tragedia che è stata la Seconda Guerra Mondiale egli venne anche arruolato nei servizi ausiliari antiaerei.
Dal 1946 al 1951 ha studiato filosofia e teologia presso la Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga e presso l'Università di Monaco.

Il 29 giugno dell'anno 1951 è stato ordinato sacerdote.
Appena un anno dopo, don Joseph ha iniziato la sua attività didattica nella medesima Scuola di Frisinga dove era stato studente.
Nel 1953 si è laureato in teologia con una dissertazione sul tema:  "Popolo e Casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di sant'Agostino".

Nel 1957 ha fatto la libera docenza col noto professore di teologia fondamentale di Monaco, Gottlieb Söhngen, con un lavoro su: "La teologia della storia di san Bonaventura".

Dopo un incarico di dogmatica e di teologia fondamentale presso la Scuola superiore di Frisinga, egli ha continuato la sua attività di insegnamento a Bonn (1959-1969), a Münster (1963-1966) e a Tubinga (1966-1969). Dal 1969 è professore di dogmatica e di storia dei dogmi presso l'Università di Ratisbona dove ha ricoperto anche l'incarico di Vice Preside dell'Università.

La sua intensa attività scientifica lo ha portato a svolgere importanti incarichi in seno alla Conferenza Episcopale Tedesca, nella Commissione Teologica Internazionale.

Tra le sue pubblicazioni, numerose e qualificate, particolare eco ha avuto "Introduzione al cristianesimo" (1968), una raccolta di lezioni universitarie sulla "professione di fede apostolica".
Nel 1973, poi, è stato pubblicato il volume: "Dogma e Predicazione" che raccoglie i saggi, le meditazioni e le omelie dedicate alla pastorale.

Una vastissima risonanza ha poi avuto la sua arringa pronunciata dinanzi all'Accademia cattolica bavarese sul tema: "Perché io sono ancora nella Chiesa?". Ebbe a dichiarare con la sua consueta chiarezza: "Solo nella Chiesa è possibile essere cristiani e non accanto alla Chiesa".

La serie delle sue incalzanti pubblicazioni è proseguita copiosa e puntuale nel corso degli anni, costituendo un punto di riferimento per tante persone e certamente per quanti sono impegnati nello studio approfondito della teologia. Si pensi, ad esempio, al volume "Rapporto sulla fede" del 1985 e a "Il sale della terra" del 1996. Va ricordato anche il libro "Alla scuola della Verità" dato alle stampe in occasione del suo settantesimo compleanno.

Di grande valore, centrale nella vita del Pastore Ratzinger, è stata l'alta e proficua esperienza della sua partecipazione al Concilio Vaticano II con la qualifica di "esperto" che egli ha vissuto anche come conferma della propria vocazione da lui definita "teologica".

Il 25 marzo 1977 Papa Paolo VI lo ha nominato Arcivescovo di München und Freising.
Ha ricevuto l'ordinazione episcopale il 28 maggio dello stesso anno:  primo sacerdote diocesano ad assumere, dopo ottant'anni, il governo pastorale della grande Diocesi bavarese. Egli ha scelto come motto episcopale: "Collaboratori della Verità".

Sempre Papa Montini lo ha creato e pubblicato Cardinale, del Titolo di Santa Maria Consolatrice al Tiburtino, nel Concistoro del 27 giugno 1977.

È stato Relatore alla Quinta Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (1980) sul tema della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. In quell'occasione, nella sua prima Relazione, ha svolto un'ampia e puntuale analisi sulla situazione della famiglia nel mondo, sottolineando in proposito la crisi della cultura tradizionale di fronte alla mentalità tecnicistica e meramente razionale. Accanto agli aspetti negativi, non ha mancato di evidenziare la riscoperta del vero personalismo cristiano come lievito che feconda l'esperienza coniugale di molte coppie di sposi, ed ha rivolto anche un invito ad una retta valutazione del ruolo della donna, che va annoverata tra le questioni fondamentali nella riflessione sul matrimonio e sulla famiglia. Nella seconda parte della relazione, dedicata al disegno di Dio sulle famiglie di oggi, ha ricordato soprattutto che la mascolinità e la femminilità sono espressione della comunione delle persone come segno originale del dono d'amore del Creatore.

Ne consegue - ha sottolineato - che l'amore dell'uomo e della donna non è cosa privata, né profana, né meramente biologica, ma qualcosa di sacro che introduce ad uno "stato", ad una nuova forma di vita, permanente e responsabile. Il matrimonio e la famiglia - ha ricordato con forza - precedono in qualche modo la cosa pubblica, e quest'ultima deve rispettare il diritto proprio del matrimonio e della famiglia e il suo intimo mistero. Nella terza parte il Porporato ha affrontato i problemi pastorali legati alla famiglia:  da quello della costruzione di una comunità di persone a quello della generazione della vita, dal ruolo educativo dei genitori alla necessità della preparazione dei giovani al matrimonio e alla vita familiare, dai compiti sociali a quelli culturali e morali. La famiglia, ha concluso, può testimoniare dinanzi al mondo una nuova umanità di fronte al dominio del materialismo, dell'edonismo e della permissività.

È stato anche Presidente Delegato della Sesta Assemblea (1983) che ha avuto per tema la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa. Nel suo intervento ai lavori ha ribadito le norme pastorali promulgate dalla Congregazione per la Dottrina della Fede riguardanti il Sacramento della Riconciliazione ed ha approfondito, in particolare, le questioni legate a due interrogativi emersi più volte durante i lavori assembleari:  quello riguardante l'obbligo di confessare i peccati gravi già assolti durante l'assoluzione generale e quello concernente la confessione personale come elemento essenziale del Sacramento.

La sua parola ha offerto un contributo fondamentale di riflessione e di confronto nello svolgimento di tutti i Sinodi dei Vescovi.

Il 25 novembre 1981 Giovanni Paolo II lo ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. È divenuto anche Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio 1982 ha quindi rinunciato al governo pastorale dell'Arcidiocesi di München und Freising.

Il suo servizio come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede è stato instancabile ed è impresa impossibile elencare questo lavoro nello spazio di una biografia. La sua opera, come  Collaboratore  di  Giovanni  Paolo II, è stata continua e preziosa.

Tra i tantissimi punti-fermi della sua opera, va segnalato il suo ruolo di Presidente della Commissione per la Preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica.

Il 5 aprile 1993 è stato chiamato a far parte dell'Ordine dei Vescovi e ha preso possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni.

Il 6 novembre 1998 è stato nominato Vice-Decano del Collegio Cardinalizio e il 30 novembre 2002 è divenuto Decano:  ha preso possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Ostia.

Sino all'elezione alla Cattedra di Pietro egli è stato Membro del Consiglio della II Sezione della Segreteria di Stato; delle Congregazioni per le Chiese Orientali, per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, per i Vescovi, per l'Evangelizzazione dei Popoli, per l'Educazione Cattolica; del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani; della Pontificia Commissione per l'America Latina e della Pontificia Commissione "Ecclesia Dei".

In occasione del suo cinquantesimo di ordinazione sacerdotale, Giovanni Paolo II gli ha inviato un messaggio nel quale, riferendosi alla coincidenza del suo giubileo con la solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo, con parole in qualche modo "profetiche" gli ha ricordato che "in Pietro risalta il principio di unità, fondato sulla fede salda come roccia del Principe degli Apostoli; in Paolo l'esigenza intrinseca del Vangelo di chiamare ogni uomo ed ogni popolo all'obbedienza della fede.

Queste due dimensioni si congiungono alla comune testimonianza di santità, che ha cementato la generosa dedizione dei due apostoli al servizio della immacolata Sposa di Dio. Come non scorgere in queste due componenti - si è chiesto Giovanni Paolo II - anche le coordinate fondamentali del cammino che la Provvidenza ha disposto per Lei, Signor Cardinale, chiamandola al Sacerdozio?".

Al Cardinale Ratzinger sono state affidate le meditazioni della Via Crucis 2005 celebrata al Colosseo. In quell'indimenticabile Venerdì Santo, Giovanni Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente "icona" di sofferenza, ha ascoltato in silenzioso raccoglimento le parole di colui che sarebbe divenuto il suo Successore sulla Cattedra di Pietro. Significativamente, il leitmotiv della Via Crucis è stata la parola pronunciata da Gesù la Domenica delle Palme, con la quale - immediatamente dopo il suo ingresso a Gerusalemme - risponde alla domanda di alcuni greci che lo volevano vedere: "Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto" (Gv 12, 24). Con queste parole il Signore ha offerto una interpretazione "eucaristica" e "sacramentale" della sua Passione. Ci mostra - è stata la riflessione del Porporato - che la Via Crucis non è semplicemente una catena di dolore, di cose nefaste, ma è un mistero: è proprio questo processo nel quale il chicco di grano cade in terra e porta frutto. Con altre parole, ci mostra che la Passione è un'offerta di se stesso e questo sacrificio porta frutto e diventa quindi un dono per tutti.

Le sue riflessioni risuonate la sera del Venerdì Santo nel suggestivo scenario del Colosseo sono rimaste impresse nelle coscienze degli uomini. "Non dobbiamo pensare anche - è stato il suo vibrante invito nella meditazione della nona stazione - a quanto Cristo debba soffrire per la sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c'è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c'è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!". "Signore - è stata la preghiera scaturita dal suo cuore -, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa... Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi".

Appena ventiquattr'ore prima della morte di Giovanni Paolo II, ricevendo a Subiaco il "Premio San Benedetto" promosso dalla Fondazione sublacense "Vita e famiglia", aveva ribadito con parole oggi particolarmente eloquenti: "Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia, che in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce. Ritornò e fondò Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli".

Venerdì 8 aprile egli - come Decano del Collegio Cardinalizio - ha presieduto la Santa Messa esequiale di Giovanni Paolo II in Piazza San Pietro. La sua omelia, si può dire, ha espresso la grande fedeltà al Papa e la sua stessa missione. ""Seguimi" dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. "Seguimi" - questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità - il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine".

"Seguimi!" è stata la parola-chiave, il filo-conduttore dell'omelia che il Cardinale Ratzinger ha rivolto al mondo intero durante le esequie del Santo Padre. Una parola che racconta la missione di Giovanni Paolo II ed è allo stesso tempo una esortazione che raggiunge ogni persona.

""Seguimi!" Insieme al mandato di pascere il suo gregge, Cristo annunciò a Pietro il suo martirio - sono le incalzanti parole del Cardinale Ratzinger nella sua vibrante e commossa omelia esequiale -. Con questa parola conclusiva e riassuntiva del dialogo sull'amore e sul mandato di pastore universale, il Signore richiama un altro dialogo, tenuto nel contesto dell'ultima cena. Qui Gesù aveva detto: "Dove vado io voi non potete venire". Disse Pietro: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi" (Gv 13, 33.36). Gesù dalla cena va alla croce, va alla risurrezione - entra nel mistero pasquale; Pietro ancora non lo può seguire.

Adesso - dopo la risurrezione - è venuto questo momento, questo "più tardi". Pascendo il gregge di Cristo, Pietro entra nel mistero pasquale, va verso la croce e la risurrezione. Il Signore lo dice con queste parole, "...quando eri più giovane... andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi" (Gv 21, 18). Nel primo periodo del suo Pontificato il Santo Padre, ancora giovane e pieno di forze, sotto la guida di Cristo andava fino ai confini del mondo. Ma poi sempre più è entrato nella comunione delle sofferenze di Cristo, sempre più ha compreso la verità delle parole:  "Un altro ti cingerà...". E proprio in questa comunione col Signore sofferente ha instancabilmente e con rinnovata intensità annunciato il Vangelo, il mistero dell'amore che va fino alla fine (cfr Gv 13, 1)".

"Egli - ha affermato il Cardinale Ratzinger - ha interpretato per noi il mistero pasquale come mistero della divina misericordia... Il Papa ha sofferto ed amato in comunione con Cristo e perciò il messaggio della sua sofferenza e del suo silenzio è stato così eloquente e fecondo". E ha così concluso, con parole che costituiscono una "sintesi", si può dire, del Pontificato di Giovanni Paolo II ma anche della sua stessa missione di fedele, diretto e stretto Collaboratore del Papa dal 1981 come Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede: "Divina Misericordia:  Il Santo Padre ha trovato il riflesso più puro della misericordia di Dio nella Madre di Dio. Lui, che aveva perso in tenera età la mamma, tanto più ha amato la Madre divina. Ha sentito le parole del Signore crocifisso come dette proprio a lui personalmente: "Ecco tua madre!". Ed ha fatto come il discepolo prediletto:  l'ha accolta nell'intimo del suo essere - Totus tuus. E dalla madre ha imparato a conformarsi a Cristo. Per tutti noi rimane indimenticabile come in questa ultima domenica di Pasqua della sua vita, il Santo Padre, segnato dalla sofferenza, si è affacciato ancora una volta alla finestra del Palazzo Apostolico ed un'ultima volta ha dato la benedizione "Urbi et orbi". Possiamo essere sicuri che il nostro amato Papa sta adesso alla finestra della casa del Padre, ci vede e ci benedice. Sì, ci benedica, Santo Padre. Noi affidiamo la tua cara anima alla Madre di Dio, tua Madre, che ti ha guidato ogni giorno e ti guiderà adesso alla gloria eterna del Suo Figlio, Gesù Cristo nostro Signore".

Alla vigilia della sua elezione al Soglio Pontificio, nella mattina di lunedì 18 aprile, nella Basilica Vaticana, ha celebrato la Santa Messa "pro eligendo Romano Pontifice" insieme con i 115 Cardinali, a poche ore dall'inizio del Conclave che lo avrebbe eletto. "In quest'ora di grande responsabilità - ha esortato all'omelia -, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice". Riferendosi alle letture della Liturgia, ha ricordato che "la misericordia divina pone un limite al male. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona:  incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l'unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare - non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, "l'anno di misericordia del Signore"". "La misericordia di Cristo - ha sottolineato - non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente". "Quanto più siamo toccati dalla misericordia del Signore - ha aggiunto -, tanto più entriamo in solidarietà con la sua sofferenza - diveniamo disponibili a completare nella nostra carne "quello che manca ai patimenti di Cristo"".

"Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità - ha poi esortato -. Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero... La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde - gettata da un estremo all'altro:  dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all'individualismo radicale; dall'ateismo ad un vago misticismo religioso; dall'agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice san Paolo sull'inganno degli uomini, sull'astuzia che tende a trarre nell'errore (cfr Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare "qua e là da qualsiasi vento di dottrina", appare come l'unico atteggiamento all'altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.

Noi, invece, abbiamo un'altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. "Adulta" non è una fede che segue le onde della moda e l'ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell'amicizia con Cristo. È quest'amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo". "Il nostro ministero - ha ricordato in conclusione - è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo - il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia".


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Cari giovani! "L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo"

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MESSAGGIO DEL SANTO PADRE 
BENEDETTO XVI 
PER LA XXI GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ 
(9 APRILE 2006)

"Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino"
 
(Sal 118[119], 105)

Cari giovani!

Nel rivolgermi con gioia a voi che state preparandovi alla XXI Giornata Mondiale della Gioventù, rivivo nel mio animo il ricordo delle arricchenti esperienze fatte nell’agosto dello scorso anno in Germania. La Giornata di quest’anno verrà celebrata nelle diverse Chiese locali e sarà un’occasione opportuna per ravvivare la fiamma di entusiasmo accesa a Colonia e che molti di voi hanno portato nelle proprie famiglie, parrocchie, associazioni e movimenti. Sarà al tempo stesso un momento privilegiato per coinvolgere tanti vostri amici nel pellegrinaggio spirituale delle nuove generazioni verso Cristo.

Il tema che propongo alla vostra considerazione è un versetto del Salmo 118 [119]: "Lampada per i miei passi è la tua parola, luce sul mio cammino" (v. 105). L’amato Giovanni Paolo II ha commentato così queste parole del Salmo: "L’orante si effonde nella lode della Legge di Dio, che egli adotta come lampada per i suoi passi nel cammino spesso oscuro della vita" (Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXIV/2, 2001, p. 715). Dio si rivela nella storia, parla agli uomini e la sua parola è creatrice. In effetti, il concetto ebraico "dabar", abitualmente tradotto con il termine "parola", sta a significare tanto parola che atto. Dio dice ciò che fa e fa ciò che dice. Nell’Antico Testamento annuncia ai figli d’Israele la venuta del Messia e l’instaurazione di una "nuova" alleanza; nel Verbo fatto carne Egli compie le sue promesse. 

Lo evidenzia bene anche il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Cristo, il Figlio di Dio fatto uomo, è la Parola unica, perfetta e definitiva del Padre, il quale in lui dice tutto, e non ci sarà altra parola che quella" (n. 65). Lo Spirito Santo, che ha guidato il popolo eletto ispirando gli autori delle Sacre Scritture, apre il cuore dei credenti all’intelligenza di quanto è in esse contenuto. Lo stesso Spirito è attivamente presente nella Celebrazione eucaristica quando il sacerdote, pronunciando "in persona Christi" le parole della consacrazione, converte il pane e il vino nel Corpo e Sangue di Cristo, perché siano nutrimento spirituale dei fedeli. Per avanzare nel pellegrinaggio terreno verso la Patria celeste, abbiamo tutti bisogno di nutrirci della parola e del pane di Vita eterna, inseparabili tra loro!

Gli Apostoli hanno accolto la parola di salvezza e l’hanno tramandata ai loro successori come un gioiello prezioso custodito nel sicuro scrigno della Chiesa: senza la Chiesa questa perla rischia di perdersi o di frantumarsi. Cari giovani, amate la parola di Dio e amate la Chiesa, che vi permette di accedere a un tesoro di così alto valore introducendovi ad apprezzarne la ricchezza. Amate e seguite la Chiesa, che ha ricevuto dal suo Fondatore la missione di indicare agli uomini il cammino della vera felicità. Non è facile riconoscere ed incontrare l’autentica felicità nel mondo in cui viviamo, in cui l’uomo è spesso ostaggio di correnti di pensiero, che lo conducono, pur credendosi "libero", a perdersi negli errori o nelle illusioni di ideologie aberranti. E’ urgente "liberare la libertà" (cfr Enciclica Veritatis splendor, 86), rischiarare l’oscurità in cui l’umanità sta brancolando. Gesù ha indicato come ciò possa avvenire: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi" (Gv 8, 31-32). Il Verbo incarnato, Parola di Verità, ci rende liberi e dirige la nostra libertà verso il bene. Cari giovani, meditate spesso la parola di Dio, e lasciate che lo Spirito Santo sia il vostro maestro. Scoprirete allora che i pensieri di Dio non sono quelli degli uomini; sarete portati a contemplare il vero Dio e a leggere gli avvenimenti della storia con i suoi occhi; gusterete in pienezza la gioia che nasce dalla verità. Sul cammino della vita, non facile né privo di insidie, potrete incontrare difficoltà e sofferenze e a volte sarete tentati di esclamare con il Salmista: "Sono stanco di soffrire" (Sal 118 [119], v. 107). Non dimenticate di aggiungere insieme con lui: "Signore, dammi vita secondo la tua parola... La mia vita è sempre in pericolo, ma non dimentico la tua legge" (ibid., vv. 107.109). La presenza amorevole di Dio, attraverso la sua parola, è lampada che dissipa le tenebre della paura e rischiara il cammino anche nei momenti più difficili.

Scrive l’Autore della Lettera agli Ebrei: "La parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore" (4,12). 

Occorre prendere sul serio l’esortazione a considerare la parola di Dio come un’"arma" indispensabile nella lotta spirituale; essa agisce efficacemente e porta frutto se impariamo ad ascoltarla, per poi obbedire ad essa. 

Spiega il Catechismo della Chiesa Cattolica: "Obbedire (ob-audire) nella fede è sottomettersi liberamente alla Parola ascoltata, perché la sua verità è garantita da Dio, il quale è la Verità stessa" (n. 144). 
Se Abramo è il modello di questo ascolto che è obbedienza, Salomone si rivela a sua volta un ricercatore appassionato della sapienza racchiusa nella Parola. Quando Dio gli propone: "Chiedimi ciò che io devo concederti", il saggio re risponde: "Concedi al tuo servo un cuore docile" (1 Re 3,5.9). Il segreto per avere "un cuore docile" è di formarsi un cuore capace di ascoltare. Ciò si ottiene meditando senza sosta la parola di Dio e restandovi radicati, mediante l’impegno di conoscerla sempre meglio.

Cari giovani, vi esorto ad acquistare dimestichezza con la Bibbia, a tenerla a portata di mano, perché sia per voi come una bussola che indica la strada da seguire. Leggendola, imparerete a conoscere Cristo. Osserva in proposito San Girolamo: "L’ignoranza delle Scritture è ignoranza di Cristo" (PL 24,17; cfr Dei Verbum, 25). 

Una via ben collaudata per approfondire e gustare la parola di Dio è la lectio divina, che costituisce un vero e proprio itinerario spirituale a tappe. Dalla lectio, che consiste nel leggere e rileggere un passaggio della Sacra Scrittura cogliendone gli elementi principali, si passa alla meditatio, che è come una sosta interiore, in cui l’anima si volge a Dio cercando di capire quello che la sua parola dice oggi per la vita concreta. Segue poi l’oratio, che ci fa intrattenere con Dio nel colloquio diretto, e si giunge infine alla contemplatio, che ci aiuta a mantenere il cuore attento alla presenza di Cristo, la cui parola è "lampada che brilla in luogo oscuro, finché non spunti il giorno e la stella del mattino si levi nei vostri cuori" (2 Pt 1,19). La lettura, lo studio e la meditazione della Parola devono poi sfociare in una vita di coerente adesione a Cristo ed ai suoi insegnamenti.

Avverte San Giacomo: "Siate di quelli che mettono in pratica la Parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi. Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la Parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio: appena s’è osservato, se ne va, e subito dimentica com’era. Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla" (1,22-25). Chi ascolta la parola di Dio e ad essa fa costante riferimento poggia la propria esistenza su un saldo fondamento. "Chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica – dice Gesù - è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia" (Mt7,24): non cederà alle intemperie.

Costruire la vita su Cristo, accogliendone con gioia la parola e mettendone in pratica gli insegnamenti: ecco, giovani del terzo millennio, quale dev’essere il vostro programma! E’ urgente che sorga una nuova generazione di apostoli radicati nella parola di Cristo, capaci di rispondere alle sfide del nostro tempo e pronti a diffondere dappertutto il Vangelo. Questo vi chiede il Signore, a questo vi invita la Chiesa, questo il mondo - anche senza saperlo - attende da voi! E se Gesù vi chiama, non abbiate paura di rispondergli con generosità, specialmente quando vi propone di seguirlo nella vita consacrata o nella vita sacerdotale. Non abbiate paura; fidatevi di Lui e non resterete delusi.

Cari amici, con la XXI Giornata Mondiale della Gioventù, che celebreremo il prossimo 9 aprile, Domenica delle Palme, intraprenderemo un ideale pellegrinaggio verso l’incontro mondiale dei giovani, che avrà luogo a Sydney nel luglio 2008. Ci prepareremo a questo grande appuntamento riflettendo insieme sul tema Lo Spirito Santo e la missione, attraverso tappe successive. 
Quest’anno l’attenzione si concentrerà sullo Spirito Santo, Spirito di verità, che ci rivela Cristo, il Verbo fatto carne, aprendo il cuore di ciascuno alla Parola di salvezza, che conduce alla Verità tutta intera. 
L’anno prossimo, 2007, mediteremo su un versetto del Vangelo di Giovanni: "Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri" (13,34) e scopriremo ancor più a fondo come lo Spirito Santo sia Spirito d’amore, che infonde in noi la carità divina e ci rende sensibili ai bisogni materiali e spirituali dei fratelli. Giungeremo, infine, all’incontro mondiale del 2008, che avrà per tema: "Avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni" (At 1,8).

Sin d’ora, in un clima di incessante ascolto della parola di Dio, invocate, cari giovani, lo Spirito Santo, Spirito di fortezza e di testimonianza, perché vi renda capaci di proclamare senza timore il Vangelo sino agli estremi confini della terra. Maria, presente nel Cenacolo con gli Apostoli in attesa della Pentecoste, vi sia madre e guida. Vi insegni ad accogliere la parola di Dio, a conservarla e a meditarla nel vostro cuore (cfr Lc 2,19) come Lei ha fatto durante tutta la vita. Vi incoraggi a dire il vostro "sì" al Signore, vivendo l’"obbedienza della fede". Vi aiuti a restare saldi nella fede, costanti nella speranza, perseveranti nella carità, sempre docili alla parola di Dio. Io vi accompagno con la mia preghiera, mentre di cuore tutti vi benedico.

Dal Vaticano, 22 Febbraio 2006, Festa della Cattedra di San Pietro Apostolo.
  
BENEDICTUS PP. XVI