lunedì 11 dicembre 2017

LA B.V. MARIA DI GUADALUPE



SANTA MARIA DI GUADALUPE

STAMPATASI SUL MANTELLO DI SAN JUAN DIEGO
 
Un giorno in cui contemplava una riproduzione dell'Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, Papa Giovanni Paolo II fece questa confidenza: «Mi sento attirato da quest'Immagine, perché il viso è pieno di tenerezza e di semplicità; mi chiama...». Più tardi, il 6 maggio 1990, in occasione di un pellegrinaggio in Messico, il Santo Padre beatificava il messaggero di Nostra Signora, Juan Diego, e diceva: «La Vergine ha scelto Juan Diego fra i più umili, per ricevere quella manifestazione affabile e benigna che fu l'apparizione di Nostra Signora di Guadalupe. Il suo viso materno sulla santa Immagine che ci lasciò in dono ne è un ricordo imperituro». Nel secolo XVI, la Santa Vergine, piena di pietà per il popolo azteco che, vivendo nelle tenebre dell'idolatria, offriva agli idoli innumerevoli vittime umane, si è degnata di prendere in mano essa medesima l'evangelizzazione degli Indiani dell'America Centrale che erano anch'essi suoi figli. Un dio degli Aztechi, cui era attribuita la fertilità, si era trasformato, con l'andar del tempo, in dio feroce. Simbolo del sole, quel dio, in lotta permanente con la luna e le stelle, aveva bisogno – così si credeva – di sangue umano per restaurare le proprie forze, poiché, se fosse perito, la vita si sarebbe spenta. Sembrava dunque indispensabile offrigli, in perpetuo sacrificio, sempre nuove vittime.

Un'aquila su un cactus

I sacerdoti aztechi avevano profetizzato che il loro popolo nomade si sarebbe insediato nel luogo in cui si fosse mostrata un'aquila che, appollaiata su un cactus, divorasse un serpente. L'aquila figura sulla bandiera del Messico attuale. Giunti su un'isola palustre, in mezzo al lago Texcoco, gli Aztechi vedono compiersi il preannunciato presagio: un'aquila, appollaiata su un cactus, sta divorando un serpente; siamo nel 1369. Fondano quindi lì la città di Tenochtitlán, che diventerà Città del Messico. Essa si sviluppa fino a diventare una vasta città su palafitte con numerosi giardini in cui abbondano fiori, frutti e verdure. 
L'organizzazione progressiva del regno azteco fa di esso un impero gerarchizzato e molto strutturato. Le conoscenze dei matematici, degli astronomi, filosofi, architetti, medici, artisti ed artigiani sono molto avanzate per l'epoca. Ma le leggi fisiche rimangono poco note. La potenza e la prosperità di Tenochtitlán sono dovute soprattutto alla guerra. Le città conquistate devono pagare un tributo di derrate varie e di uomini per la guerra e per i sacrifici. I sacrifici umani e l'antropofagia degli Aztechi hanno pochi riscontri analoghi nel corso della storia.

Nel 1474, nasce un bambino cui vien dato il nome di Cuauhtlatoazin («aquila parlante»). Alla morte di suo padre, è lo zio che si incarica del piccolo. Fin dall'età di tre anni, gli si insegna, come a tutti i bambini aztechi, a partecipare ai lavori domestici ed a comportarsi dignitosamente. A scuola, impara il canto, la danza e soprattutto la religione con i suoi molteplici dèi. I sacerdoti hanno una grande influenza sulla popolazione, che mantengono in una sottomissione che va fino al terrore. Cuauhtlatoazin ha tredici anni, quando si procede alla consacrazione del gran Tempio di Tenochtitlán. Nel corso di quattro giorni, i sacerdoti sacrificano al loro dio 80.000 vittime umane. Dopo il servizio militare, Cuauhtlatoazin si sposa con una ragazza della sua condizione. Insieme, conducono una modesta vita di agricoltori.

Nel 1519, lo spagnolo Cortés sbarca nel Messico, alla testa di più di 500 soldati. Conquista il paese per conto della Spagna, ma non senza zelo per l'evangelizzazione degli Aztechi; nel 1524, ottiene la venuta a Città del Messico di dodici Francescani. I missionari s'integrano facilmente nella popolazione; la loro bontà contrasta con la durezza dei sacerdoti aztechi e con quella di certi conquistatori. Si cominciano a costruire chiese. Tuttavia, gli Indiani si mostrano assai refrattari al Battesimo, soprattutto a causa della poligamia che dovrebbero abbandonare.
Cuauhtlatoazin e sua moglie sono fra i primi a ricevere il Battesimo, ed assumono rispettivamente i nomi di Juan Diego e Maria Lucia. Alla morte di quest'ultima, nel 1529, Juan Diego si ritira a Tolpetlac, a 14 km da Città del Messico, presso lo zio Juan Bernardino, diventato pure lui cristiano.
Il 9 dicembre 1531, come sempre il sabato, egli parte prestissimo la mattina per assistere alla Messa celebrata in onore della Santa Vergine, presso i Frati francescani, vicino a Città del Messico. Passa ai piedi della collina di Tepeyac. Improvvisamente, sente un canto dolce e sonoro che gli sembra provenga da una gran moltitudine di uccelli. Alzando gli occhi verso la cima della collina, vede una nuvola bianca e sfavillante. Guarda intorno a sé e si chiede se non stia sognando. Improvvisamente il canto tace ed una voce di donna, dolce e delicata, lo chiama: «Juanito! Juan Dieguito!» S'inerpica rapidamente sulla collina e si trova davanti ad una giovane bellissima, le cui vesti brillano come il sole.
 
«Un tempio in cui manifesterò il mio amore»

Rivolgendosi a lui in nahuatl, la sua lingua materna, gli dice: «Figlio mio, Juanito, dove vai? – Nobile Signora, mia Regina, vado a Messa a Città del Messico per apprendervi le cose divine che ci insegna il sacerdote. – Voglio che tu sappia con certezza, caro figlio, che io sono la perfetta e sempre Vergine Maria, Madre del vero Dio da cui proviene ogni vita, il Signore di tutte le cose, Creatore del cielo e della terra. Ho un grandissimo desiderio: che si costruisca, in mio onore, un tempio in cui manifesterò il mio amore, la mia compassione e la mia protezione. Sono vostra madre, piena di pietà e d'amore per voi e per tutti coloro che mi amano, hanno fiducia in me e a me ricorrono. Ascolterò le loro lamentele e lenirò la loro afflizione e le loro sofferenze. Perché possa manifestare tutto il mio amore, va’ ora dal vescovo, a Città del Messico, e digli che ti mando da lui per fargli conoscere il grande desiderio che provo di veder costruire, qui, un tempio a me consacrato».
 
Juan Diego si reca immediatamente al vescovado. Monsignor Zumárraga, religioso francescano, primo vescovo di Città del Messico, è un uomo pio e pieno di zelo il cui cuore trabocca di bontà per gli Indiani; ascolta attentamente il pover'uomo, ma, temendo un'illusione, non gli dà credito. Verso sera, Juan Diego prende la via del ritorno. In cima alla collina di Tepeyac, ha la felice sorpresa di ritrovare l'Apparizione; rende conto della sua missione, poi aggiunge: «Vi supplico di affidare il vostro messaggio a qualcuno più noto e rispettato, affinché possa essere creduto. Io sono solo un modesto Indiano che avete mandato da una persona altolocata in qualità di messaggero. Perciò non sono stato creduto ed ho potuto soltanto causarvi una gran delusione. – Figlio carissimo, risponde la Signora, devi capire che vi sono persone molto più nobili cui avrei potuto affidare il mio messaggio, e tuttavia è grazie a te che il mio progetto si realizzerà. Torna domani dal vescovo... digli che sono io in persona, la Santa Vergine Maria, Madre di Dio, che ti manda».

La domenica mattina dopo la Messa, Juan Diego si reca dal vescovo. Il prelato gli fa molte domande, poi chiede un segno tangibile della realtà dell'apparizione. Quando Juan Diego se ne torna a casa, il vescovo lo fa seguire discretamente da due domestici. Sul ponte di Tepeyac, Juan Diego scompare ai loro occhi, e, malgrado tutte le ricerche effettuate sulla collina e nei dintorni, essi non lo ritrovano più. Furenti, dichiarano al vescovo che egli è un impostore e che non bisogna assolutamente credergli. Durante il medesimo tempo, Juan Diego riferisce alla bella Signora, che lo aspettava sulla collina, il nuovo colloquio avuto con il vescovo: «Torna domattina a prendere il segno che reclama», risponde l'Apparizione.

Rose, in pieno inverno!


Tornando a casa, l'Indiano trova lo zio malato e il giorno seguente deve rimanere al suo capezzale per curarlo. Poiché la malattia si aggrava, lo zio chiede al nipote di andare a cercare un sacerdote. All'alba, il martedì 12 dicembre, Juan Diego si avvia verso la città. Quando si avvicina alla collina di Tepeyac, giudica preferibile fare una deviazione per non incontrare la Signora. Ma, improvvisamente, La vede venirgli incontro. Tutto confuso, le espone la situazione e promette di tornare non appena avrà trovato un sacerdote per dare l'olio santo allo zio. «Figliolo caro, replica l'Apparizione, non affliggerti per la malattia di tuo zio, perché egli non morirà. Ti assicuro che guarirà... Va’ fin in cima alla collina, cogli i fiori che ci vedrai e portameli». Arrivato in cima, l'Indiano è stupefatto di trovarvi un gran numero di fiori sbocciati, rose di Castiglia, che spandono un profumo quanto mai soave. In questa stagione invernale, infatti, il freddo non lascia sussistere nulla, ed il luogo è troppo arido per permettere la coltura dei fiori. Juan Diego coglie le rose, le deposita nel mantello, o tilma, poi ridiscende dalla collina. «Figlio caro, dice la Signora, questi fiori sono il segno che darai al vescovo... Questo lo disporrà a costruire il tempio che gli ho chiesto». Juan Diego corre al vescovado.

Quando arriva, i domestici lo fanno aspettare per lunghe ore. Stupiti che sia tanto paziente, e incuriositi da quel che porta nella tilma, finiscono per avvertire il vescovo, il quale, malgrado si trovi in compagnia di parecchie persone, lo fa entrare immediatamente. L'Indiano racconta la sua avventura, apre la tilma e lascia sparpagliarsi per terra i fiori ancora brillanti di rugiada. Con le lacrime agli occhi, Monsignor Zumárraga cade in ginocchio, ammirando le rose del suo paese. Ad un tratto, scorge, sulla tilma, il ritratto di Nostra Signora. Vi è Maria, come impressa sul mantello, bellissima e piena di dolcezza. I dubbi del vescovo lasciano il posto ad una solida fede e ad una speranza incantata. Prende la tilma e le rose, e le deposita rispettosamente nel suo oratorio privato. Il giorno dopo, si reca con Juan Diego sulla collina delle apparizioni. Dopo aver esaminato i luoghi, lascia che il veggente torni dallo zio. Juan Bernardino è effettivamente guarito. La guarigione si è prodotta all'ora stessa in cui Nostra Signora appariva a suo nipote. Racconta: «L'ho vista anch'io. È venuta proprio qui e mi ha parlato. Vuole che le si eriga un tempio sulla collina di Tepeyac e che si chiami il suo ritratto «Santa Maria di Guadalupe». Ma non mi ha spiegato perché». Il nome di Guadalupe è ben noto agli Spagnoli, poiché esiste nel loro paese un antichissimo santuario consacrato a Nostra Signora di Guadalupe.
La notizia del miracolo si sparge rapidamente; in poco tempo, Juan Diego diventa popolare: «Accrescerò la tua fama», gli aveva detto Maria; ma l'Indiano rimane sempre altrettanto umile. Per facilitare la contemplazione dell'Immagine, Monsignor Zumárraga fa trasportare la tilma nella cattedrale. Poi intraprende la costruzione di una chiesetta e di un eremo, per Juan Diego, sulla collina delle apparizioni. Il 25 dicembre seguente, il vescovo consacra la cattedrale alla Santissima Vergine, al fine di ringraziarla per i favori insigni di cui Ella ha ricolmato la diocesi; poi, in una magnifica processione, l'Immagine miracolosa viene portata verso il santuario di Tepeyac, che è appena stato ultimato. Per manifestare la loro gioia, gli Indiani tirano frecce. Una di esse, lanciata senza precauzioni, trafigge la gola di uno dei presenti che cade a terra, ferito mortalmente. Subentra un silenzio impressionante ed una supplica intensa sale verso la Madre di Dio. Improvvisamente, il ferito, che è stato depositato ai piedi dell'Immagine miracolosa, riprende i sensi e si rialza, pieno di vigore. L'entusiasmo della folla è al colmo.

Milioni d'Indiani diventati Cristiani

Juan Diego si sistema nel piccolo eremo e veglia alla manutenzione ed alla pulizia del luogo. La sua vita rimane molto modesta: coltiva con cura un campo messo a sua disposizione presso il santuario. Riceve i pellegrini, sempre più numerosi, parlando loro con molto piacere della Santa Vergine e raccontando senza stancarsi i particolari delle apparizioni. Gli vengono affidate intenzioni di preghiere di ogni genere. Ascolta, compatisce, conforta. Passa una gran parte del suo tempo libero in contemplazione davanti all'immagine della sua Signora; i suoi progressi sulla via della santità sono rapidi. Un giorno dopo l'altro, compie la sua missione di testimone, fino alla morte che avverrà il 9 dicembre 1548, diciassette anni dopo la prima apparizione.
Quando gli Indiani appresero la notizia delle apparizioni di Nostra Signora, si sparsero fra loro un entusiasmo ed una gioia indicibili. Rinunciando agli idoli, alle superstizioni, ai sacrifici umani ed alla poligamia, molti chiesero il Battesimo. Nei nove anni che seguirono le apparizioni, nove milioni di loro furono convertiti alla fede cristiana, vale a dire 3000 al giorno!
I particolari dell'Immagine di Maria colpiscono profondamente gli Indiani: quella donna è più grande del “dio-sole”, poiché appare in piedi davanti al sole; supera il “dio-luna”, poiché tiene la luna sotto ai suoi piedi; non è più di questo mondo, poiché è circondata di nuvole ed è tenuta al di sopra del mondo da un angelo; le mani giunte la mostrano in preghiera, il che significa che c'è qualcuno di più grande di lei...
Ma, ancora oggi, il mistero dell'Immagine miracolosa è grande. La tilma, vasto grembiule tessuto a mano con fibre di cactus, porta l'Immagine sacra di un'altezza di 1,43 m. Il viso della Vergine è perfettamente ovale e di un color grigio che tende al rosa. Gli occhi hanno un'intensa espressione di purezza e di dolcezza. La bocca sembra sorridere. La bellissima faccia, simile a quella di un'Indiana meticcia, è incorniciata da una chioma nera che, vista da vicino, comporta capelli di seta. Un'ampia tunica, di un rosa incarnato che non si è mai potuto riprodurre, la copre fino ai piedi. Il mantello, azzurro-verde, è bordato di un gallone d'oro e cosparso di stelle. Un sole di vari toni forma uno sfondo magnifico in cui brillano raggi d'oro.
La conservazione della tilma, dal 1531 ad oggi, rimane inspiegabile. In capo a più di quattro secoli, la stoffa, di qualità mediocre, conserva la stessa freschezza, la stessa vivacità di toni che aveva in origine. In confronto, una copia dell'Immagine di Nostra Signora di Guadalupe, dipinta con gran cura nel secolo XVIII e conservata nelle stesse condizioni climatiche di quella di Juan Diego, si è completamente degradata in pochi anni. All'inizio del secolo XX, periodo doloroso di rivoluzioni per il Messico, una carica di dinamite fu depositata da miscredenti sotto l'Immagine, in un vaso pieno di fiori. L'esplosione ha distrutto i gradini di marmo dell'altare maggiore, i candelabri, tutti i portafiori; il marmo dell'altare fu fatto a pezzi, il Cristo di ottone del tabernacolo si piegò in due. I vetri della maggior parte delle case circostanti la basilica si ruppero, ma quello che proteggeva l'Immagine non fu nemmeno incrinato; l'Immagine rimase intatta. 

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Dom Antoine Marie OSB

Abbazia Saint-Joseph de Clairval
21150 Flavigny-sur-Ozerain
                                         France

SANTA MESSA PER LA FESTA DELLA BEATA VERGINE MARIA DI GUADALUPE

  1. DICEMBRE
FESTA DI MARIA SANTISSIMA

NOSTRA SIGNORA  DI GUADALUPE

PATRONA DELL’AMERICA LATINA

QUESTO E' IL VERO VOLTO DI MARIA SANTISSIMA
La Tilma, anche chiamata "Sindone di Maria Santissima" è l'unica 
immagine soprannaturale conosciuta della Madre di Dio.

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ANTIFONA DI INIZIO (Ap 12, 1)
Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna ammantata di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul capo una corona di dodici stelle.

COLLETTA
Guarda, Signore, il tuo popolo, riunito nella festa della Beata Vergine Maria di Guadalupe; fa che per sua intercessione partecipi alla pienezza della Tua grazia.
Per il Nostro Signore Gesù Cristo, Tuo Figlio, che è Dio…

PRIMA LETTURA
Dalla Lettera di S. Paolo Apostolo ai Galati (Gal 4, 4-7).

Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò Suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l’adozione a figli. E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori  lo  Spirito  del  Figlio Suo, il quale grida: “Abbà! Padre!” Quindi non sei più schiavo, ma figlio e se figlio, sei anche erede per grazia di Dio.

SALMO RESPONSORIALE

R/Risplenda su di noi, Signore, la luce del Tuo volto.
Dio abbia pietà di noi e ci benedica
Su di noi faccia splendere il Suo volto;
perché si conosca sulla terra la Tua via,
fra tutte le genti la tua salvezza. R/

Ti lodino i popoli, Dio,
Ti lodino i popoli tutti.
Esultino le genti e si rallegrino
Perché giudichi i popoli con giustizia,
governi le nazioni sulla terra. R/

Ti lodino i popoli, Dio,
Ti lodino i popoli tutti.
Ci benedica Dio, il nostro Dio,
Ci benedica Dio e Lo temano tutti i confini della terra. R/

CANTO AL VANGELO
ALLELUIA, ALLELUIA
Ave, Santa Maria, Letizia del genere umano;
il tuo Parto verginale
ci ha portato gioia e salvezza.
ALLELUIA

VANGELO
Dal Vangelo secondo Luca (Lc 1. 39-48)

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccarìa, salutò Elisabetta.
Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo.
Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: “Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la Madre del mio Signore venga a me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto”.
Allora Maria disse: “L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio mio salvatore”. PAROLA DEL SIGNORE

ORAZIONE SULLE OFFERTE
Ti offriamo con gioia o Padre, il pane ed il vino per il sacrificio di lode nel ricordo della Madre del Tuo Figlio; in cambio della nostra umile offerta, donaci un’esperienza sempre più viva del mistero della Redenzione. Per Cristo nostro Signore.

PREFAZIO
V/ Il Signore sia con voi. R/ E con il tuo spirito
V/ In alto i nostri cuori. R/ Sono rivolti al Signore
V/ Rendiamo grazie al Signore nostro Dio R/ È cosa buona e giusta.

È veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, renderti grazie, o Padre, per le meraviglie che hai operato nei Tuoi Santi, ma è soprattutto dolce e doveroso, in questa festa della beata Vergine Maria di Guadalupe magnificare il Tuo amore per noi con il Suo stesso Cantico di lode.
Grandi cose hai fato, Signore, per tutta l’estensione della terra e hai prolungato nei secoli l’opera della Tua misericordia quando, volgendoti all’umile Tua serva, per mezzo di Lei ci hai donato il Salvatore del mondo, il Tuo Figlio, Gesù Cristo, nostro Signore.
E noi, con tutti gli angeli del Cielo, innalziamo a Te il nostro canto e proclamiamo insieme la Tua gloria: SANTO, SANTO, SANTO,,,

ANTIFONA ALLA COMUNIONE (Lc 1, 48)
Tutte le generazioni mi chiameranno beata, perché Dio ha guardato l’umiltà della Sua serva.

DOPO LA COMUNIONE
O Signore, che ci hai fortificati con la Parola ed il Pane della Vita, fa’ che sotto la guida ed il patrocinio di Maria santissima di Guadalupe, quanti si gloriano del nome cristiano confermino con tutta la loro vita le rinunce e le scelte del Battesimo.
Per Cristo nostro Signore.


AMDG et BVM

Documentario Rai 2...

Segnalazione: 

Documentario andato in onda su Rai 2 il 30 novembre, dove lasciano parlare un sostenitore della 

"Terra Piatta"




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Bob Vous Dit Toute la Vérité Le plus Grand Complot de Tous les Temps ! A Faire Circuler !




Dio vi benedica

AMDG et BVM

ME L'HA DETTO DIO




SUA SANTITÀ PAPA EMERITO BENEDETTO XVI


Così Sua Santità Papa Em. Benedetto XVI, ha risposto a chi gli ha chiesto le ragioni
del distacco dal Vaticano, annunciato alla Chiesa e tutta l’Umanità l'11 febbraio 2013 e dichiara:
« Ho rinunciato all'incarico di Pontefice perché me l'ha detto Dio » . 21 agosto 2013
Fonte: Agenzia cattolica Zenit - Tgcom24

http://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/articoli/1112851/joseph-ratzinger-dio-mi-ha-detto-di-lasciare-.shtml

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Ratzinger: "La rinuncia? Me l'ha detto Dio".
La ricostruzione di un sito cattolico

A sei mesi dall'annuncio che ha sconvolto il mondo, l'ex Pontefice spiega - nel corso di un colloquio riportato dalla testata Zenit - di aver preso la decisione dopo "un'esperienza mistica". E aggiunge: "Più osservo il 'carisma' di Francesco, più capisco che è stata una volontà divina'"


CITTÀ DEL VATICANO - "Me l'ha detto Dio". Così Joseph Ratzinger ha spiegato la decisione di rinunciare al soglio pontificio, secondo quanto riportato dalla testata cattolica 'Zenit'. Nonostante la vita di clausura, Ratzinger concede infatti - sporadicamente e solo in determinate occasioni - alcune visite privatissime nella sua residenza Mater Ecclesiae e in una di queste avrebbe risposto a chi gli chiedeva le vere ragioni della storica decisione annunciata l'11 febbraio.



Benedetto - riferisce l'articolo firmato da Salvatore Cernuzio - ha spiegato che non si è trattato di nessun tipo di apparizione o simili fenomeni ma piuttosto di una "esperienza mistica" nella quale il Signore ha fatto nascere un "desiderio assoluto" di rimanere raccolto nella preghiera solo con lui. Un'esperienza che si sarebbe protratta per mesi, come testimoniato dalla fonte che preferisce rimanere anonima.


Come già aveva anticipato nel discorso legato alle sue dimissioni, ha ribadito che non è stato un fuggire dal mondo ma un "rifugiarsi in Dio". Inoltre, il Papa emerito ha rivelato che più osserva il "carisma" del suo successore Francesco, più capisce quanto questa sua scelta sia stata "volontà di Dio". Anche durante questi incontri Benedetto XVI, comunque, mantiene la riservatezza che lo ha sempre caratterizzato evitando riflessioni che potrebbero pesare come "dichiarazioni dell'altro Papa".



Le ultime notizie sul Papa emerito risalgono - prima dell'articolo di "Zenit" - risalgono a domenica quando, nel pomeriggio, Benedetto XVI si è concesso una breve gita a Castel Gandolfo accompagnato dalle immancabili memores domini: Loredana, Carmela, Cristina e Manuela. Sono le quattro laiche consacrate di Comunione e Liberazione che curavano l'appartamento, la cappella e il guardaroba di Ratzinger durante gli anni di pontificato, e che continuano ad assisterlo anche ora, dopo le dimissioni.


AMDG et BVM

RIVOTORTO e poi PORZIUNCOLA


I FRATI MINORI A RIVOTORTO E ALLA PORZIUNCOLA
Ognuno manteneva la sua giocondità di spirito 
e tutta la sua pazienza.

Francesco e i suoi frati, dopo aver ringraziato il Signore e pregato sulla tomba dell’apostolo Pietro, lasciarono la città di Roma per ritornare ad Assisi.
Prendevano la strada verso Spoleto, e camminavano pieni di gioia, parlando dell’approvazione della loro forma vitae da Papa Innocenzo III e programmando il futuro della loro nuova fraternità.

Alla sera arrivarono in un luogo deserto, e non potevano trovare nulla da mangiare, poiché quel luogo era molto lontano dall’abitato. Ma all’improvviso, per divina provvidenza, apparve un uomo recante del pane; lo diede loro e se ne andò. Nessuno di loro l’aveva mai conosciuto, e perciò, pieni di ammirazione, si esortavano devotamente l’un l’altro a confidare sempre di più nella divina misericordia.

Dopo essersi ristorati con quel cibo, proseguirono fino ad un luogo vicino a Orte, e qui si fermarono per circa quindici giorni. Alcuni di loro si recavano in città a cercare il vitto necessario e riportavano agli altri quanto erano riusciti a racimolare chiedendo l’elemosina di porta in porta, e lo mangiavano insieme lieti e ringraziando il Signore (1C 34).

Così, dopo questa sosta ad Orte, i frati proseguirono lungo la strada, entrando nella Valle Spoletana, finché arrivarono ad Assisi. Con l’approvazione papale, il piccolo gruppo di frati era diventato una religio fratrum, cioè, un ordine religioso.

Secondo una tradizione molto forte nell’Ordine Francescano, risale proprio al 1210 il nome che doveva costituire la identità specifica di Francesco e dei suoi frati, come fratres (fratelli) e minores (minori).

Tommaso da Celano così presenta la consapevolezza dei primi frati di dover scegliere un nome per la loro nuova fraternità: È ora il momento di concentrare l’attenzione soprattutto sull’Ordine che Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione. Proprio lui infatti fondò l’Ordine dei frati minori; ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: “Siano minori”, appena l’ebbe udite esclamò: “Voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori”. 
E realmente erano “minori”; sottomessi a tutti, e ricercavano l’ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l’edificio spirituale di tutte le virtù (1C 38).
Il riferimento è alla Regola non bollata del 1221, al capitolo 7, dove è scritto: “siano minori e sottomessi a tutti”.

La prima dimora di Francesco e i frati ad Assisi, appena furono tornati a Roma, era presso un tugurio abbandonato in una località chiamata Rivotorto. Questa località, che ha conservato il nome fino ad oggi, si trova a poca distanza dalla Porziuncola, nella pianura sotto il Monte Subasio. Si chiamava così per un ruscello molto tortuoso che passa vicino. Oggi c’è in questo posto una chiesa sotto la cura dei Frati Minori Conventuali, che ricorda il primo tugurio dei frati. Non esiste niente del posto originale, se non il ricordo.

A Rivotorto i frati sono rimasti per pochissimo tempo, eppure il loro soggiorno nel tugurio marca una delle esperienze più belle della prima fraternità Francescana.  Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto, ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere ... Padre e figli se ne stavano così insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a mendicare per la pianura di Assisi. L’abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra; tuttavia non si udiva mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta la sua pazienza. Francesco cercava costantemente la santa semplicità, né ammetteva che l’angustia del luogo impedisse le espansioni dello spirito. Scrisse perciò i nomi dei frati sui travicelli della capanna, perché ognuno potesse riconoscervi il proprio posto per la preghiera e il riposo, e la ristrettezza del luogo non turbasse il raccoglimento dell’animo (1C 42.44).

Mentre i frati stavano a Rivotorto, un giorno venivano a sapere che, sulla strada principale che era vicina, doveva passare un corteo regale. Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l’imperatore Ottone, che si recava a ricevere la corona della terra, il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco (1C 43).
Celano riferisce al fatto dell’imperatore Ottone IV, che transitò per il Ducato di Spoleto alla fine di settembre 1209 per essere incoronato dal Papa Innocenzo III a Roma il 4 ottobre. Probabilmente, questo episodio a cui riferisce Celano, riguarda un successivo passaggio dell’imperatore nel 1210 quando Innocenzo III lo destituì.

Il tugurio di Rivotorto presenta l’ambiente in cui Francesco insegna ai suoi frati come pregare. Il racconto di Tommaso da Celano è costruito sul modello dei racconti evangelici di Gesù che insegna agli apostoli il Padre nostro.
Interessante notare che, secondo la tradizione locale della chiesa di Gerusalemme, Gesù avrebbe insegnato la sua preghiera agli apostoli in una grotta sul Monte degli Ulivi, appunto dove sorgono i resti della basilica costantiniana dell’Eleona.
Rivotorto diventa il luogo francescano dove i frati imparano non soltanto la preghiera del Signore, che forma parte integrale della loro vita di preghiera e dell’ufficio liturgico dei frati laici secondo la Regola, ma anche dove hanno associato la preghiera con il mistero della croce di Cristo presente in tutte le chiese povere del mondo. A Rivotorto è nata la preghiera più caratteristica dei francescani, una preghiera certo non originale, perché presa dalla liturgia della festa della Santa Croce, ma che Francesco ha fatto sua e che ha incluso nel suo Testamento ai frati. In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l’ufficio liturgico.
Ed egli rispose: “Quando pregate, dite: ‘Padre nostro’, e: ‘Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo’”... Fedeli alla esortazione di Francesco, essi, ogni volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano l’Onnipotente ... E cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi (1C 45).
 A Rivotorto è anche ambientato l’episodio di Francesco che appare ai frati su un carro di fuoco, come un nuovo Elia. Una volta che Francesco era assente, verso mezzanotte, mentre alcuni dormivano e altri pregavano fervorosamente in silenzio, entrò per la porticina della casa un carro di fuoco luminosissimo, che fece due o tre giri per la stanza; su di esso poggiava un grande globo, che a guisa di sole rischiarò le tenebre notturne. I frati che vegliavano furono pieni di stupore, quelli che dormivano si destarono atterriti, sentendosi tutti quanti invasi da quella luce, non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Riunitisi insieme, si domandavano il significato di quel misterioso fenomeno; ma ecco, per la virtù di tanto fulgore ognuno vedeva chiaramente nella coscienza dell’altro. Allora compresero e furono certi che si trattava dell’anima del beato padre, raggiante di così grande splendore, e che essa si era meritato da Dio quel dono straordinario di benedizione e di grazia, soprattutto a motivo della sua purezza e per la sua sollecitudine paterna verso i suoi figli (1C 47).


Il soggiorno a Rivotorto dovette finire ben presto. Mentre erano nel tugurio, capitò un giorno che un contadino vi giungesse col suo asinello, e, temendo di essere cacciato fuori, spinse l’asino dentro il tugurio, incitandolo con queste parole: “Entra, che faremo un buon servizio a questo ricovero”. Francesco nell’udire questo si rattristò, indovinando il pensiero di quell’uomo: credeva infatti che i frati volessero fermarvisi e ingrandire la loro abitazione, unendo casa a casa. 
E subito san Francesco abbandonò quel luogo, a causa delle parole del contadino, per recarsi in un altro non distante, chiamato Porziuncola, dove, come si disse, tempo prima egli stesso aveva riparato la chiesa di Santa Maria (1C 44).

La chiesetta di Santa Maria degli Angeli, o della Porziuncola, era il luogo in cui Francesco aveva scoperto la sua chiamata evangelica.
San Bonaventura, nella Legenda Maior, fa vedere l’importanza della Porziuncola nella nascita dell’Ordine dei Frati Minori: Nella chiesa della Vergine Madre di Dio dimorava, dunque, il suo servo Francesco e supplicava insistentemente con gemiti continui Colei che concepì il Verbo pieno di grazia e di verità, perché si degnasse di farsi sua avvocata. E la Madre della misericordia ottenne con i suoi meriti che lui stesso concepisse e partorisse lo spirito della verità evangelica (LM III,1).

Tuttavia, anche se Francesco poteva andare con i frati a vivere accanto alla Porziuncola, di fatto, la chiesetta non apparteneva a loro. Era proprietà del monastero di San Benedetto al Monte Subasio. E Francesco umilmente chiese non la proprietà, ma il semplice uso della chiesetta, all’abate di questo possente monastero. La storia ce la racconta la Compilazione di Assisi. Vedendo che Dio voleva moltipilicare il numero dei suoi frati, il beato Francesco disse loro: “Carissimi fratelli e figlioli miei, vedo che il Signore vuole moltiplicarci. E perciò mi sembra cosa buona e conveniente a dei religiosi ottenere dal vescovo, o dai canonici di San Rufino o dall’abate del monastero di San Benedetto, una piccola chiesa poverella, dove i frati possano recitare le loro ore, e, accanto a questa, avere solamente una dimora, piccola anch’essa e povera, costruita con fango e vimini, dove riposare e attendere a fare le cose loro necessarie. Invero, questo luogo non è conveniente: questa casa è troppo angusta perché i fratelli vi possano rimanere, dacché al Signore piace moltiplicarli. Soprattutto poi non abbiamo qui una chiesa, dove i fratelli possano 48 recitare le ore; di più, se alcuno venisse a morte, non sarebbe dignitoso seppellirlo qui o in una chiesa del clero secolare”. Tale proposta piacque agli altri frati. Allora egli la presentò al vescovo. Gli rispose il vescovo: “Fratello, non ho alcuna chiesa da potervi dare”. Egli andò dai canonici di San Rufino e ripropose la sua domanda; e quelli risposero come il vescovo. Si diresse perciò alla volta del monastero di San Benedetto del monte Subasio, e rivolse all’abate la richiesta espressa in antecedenza al vescovo e ai canonici, aggiungendo la risposta avuto dall’uno e dagli altri. Preso da compassione, l’abate tenne consiglio con i suoi confratelli sull’argomento e, per volontà del Signore, essi concessero a Francesco e ai suoi frati la chiesa di Santa Maria della Porziuncola, la più poverella che avevano. Era anche la più poverella che si potesse trovare nel territorio di Assisi: proprio quello che il beato Francesco aveva a lungo desiderato. E disse l’abate al beato Francesco: “Fratello, abbiamo esaudito la tua domanda. Ma vogliamo che, se il Signore moltiplicherà il vostro gruppo, questo luogo sia il capo di tutti voi”. La condizione piacque a Francesco e agli altri suoi fratelli. Fu molto felice il beato Francesco che ai frati fosse donato quel luogo, soprattutto perché la chiesa portava il nome della Madre di Cristo, perché era così povera e per la denominazione che aveva, ‘Porziuncola’, quasi a presagio che sarebbe divenuta madre e capo dei poveri frati minori. Tale nome derivava dalla contrada in cui la chiesetta sorgeva, zona anticamente detta appunto Porziuncola. Francesco era solito dire: “Per questo motivo il Signore ha stabilito che non fosse concessa ai frati altra chiesa, e che in quella circostanza i primi frati non ne costruissero una nuova, e non avessero che quella: perché essa fu come una profezia, compiutasi con la fondazione dei frati minori”. E sebbene fosse tanto povera e quasi in rovina, per lungo tempo gli uomini della città di Assisi e di quella contrada sempre ebbero gran devozione [accresciutasi poi ai nostri giorni] verso quella chiesa. 


Non appena i frati vi si stabilirono, il Signore accresceva quasi ogni giorno il loro numero. La loro fama e rinomanza si sparse per tutta la valle spoletana. In antico, la chiesa era chiamata Santa Maria degli Angeli, ma il popolo la chiamava Santa Maria della Porziuncola. 


Però, dopo che i frati la restaurarono, uomini e donne della zona presero a dire: “Andiamo a Santa Maria degli Angeli”. Sebbene l’abate e i monaci avessero concesso in dono a Francesco e ai suoi frati la chiesa senza volerne contraccambio o tributo annuo, tuttavia il Santo, da abile e provetto muratore che intese fondare la sua casa sulla salda roccia, e cioè fondare il suo gruppo sulla vera povertà, ogni anno mandava al monastero una corba piena di pesciolini chiamati lasche. E ciò in segno di sincera umiltà e povertà, affinché i frati non avessero in proprietà nessun luogo, e nemmeno vi abitassero, se non era sotto il dominio altrui, così che essi non avessero il potere di vendere o alienare in alcun modo. E ogni anno, quando i frati portavano i pesciolini ai monaci, quelli, in grazia dell’umiltà, donavano a lui e ai suoi fratelli una giara piena di olio (Compilazione di Assisi [CA] 56; Speculum Perfectionis [SP] 55)

L’importanza attribuita alla chiesetta di Santa Maria degli Angeli dalle Fonti Francescane si spiega per vari motivi. 

In primo luogo, la Porziuncola era il posto in cui Francesco scoprì la sua chiamata evangelica alla apostolica vivendi forma nel 1208, dopo aver restaurato quella chiesetta. Poi, la Porziuncola diventò il luogo centrale in cui si 49 radunavano i frati e da cui partivano per le loro missioni di evangelizzazione. Alla Porziuncola, come vedremo, fu accolta sorella Chiara, lì si celebravano i capitoli generali dell’Ordine, ed era lì che Francesco volle morire. Per questi ragioni le Fonti che provengono dalle penne dei compagni di Francesco danno grandissima importanza alla Porziuncola, arrivando a chiamarla mater et caput pauperum Minorum fratrum (madre e capo dei poveri frati minori). Questo nome non è casuale, se lo mettiamo in confronto al titolo di caput et mater Ordinis Minorum (capo e madre dell’Ordine dei Minori) che Gregorio IX conferì alla basilica di San Francesco in Assisi nel 1230. E quasi un’affermazione che, mentre il luogo della sepoltura di Francesco era veramente il “capo e madre” dell’Ordine secondo la volontà del sommo pontefice, il luogo della Porziuncola, così caro a Francesco e ai primordi del suo Ordine, era anche “madre e capo” secondo la sensibilità dei frati che lo avevano conosciuto da vicino. Di fatto, nello stesso numero della CA, troviamo quello che Raoul Manselli chiama il “testamento di Francesco riguardo alla Porziuncola”. 

Riportiamo qualche brano per capire meglio l’importanza della Porziuncola nella vita di San Francesco e dell’Ordine dei Frati Minori: Noi che siamo vissuto con il beato Francesco rendiamo testimonianza di quello che egli disse di questa chiesa, impegnando la sua parola, cioè che la beata Vergine, tra tutte le chiese del mondo che le sono care, predilige questa a causa delle molte grazie che il Signore là mostra... E affinché i frati la tenessero sempre nei loro cuori, come un memoriale, egli volle, in prossimità della morte, scrivere nel suo Testamento che essi nutrissero gli stessi sentimenti. 

Prima di morire, presenti il ministro generale e altri fratelli, dichiarò: “Voglio disporre del luogo di Santa Maria della Porziuncola, lasciando per testamento ai fratelli che sia sempre tenuto da loro nella più grande riverenza e devozione. Così hanno fatto i nostri fratelli nei primi tempi. Quel luogo è santo, ed essi ne conservavano la santità con l’orazione ininterrotta giorno e notte, osservando un costante silenzio... Voglio dunque che [Santa Maria della Porziuncola] sia sempre sotto la diretta autorità del ministro generale, affinché egli vi provveda con maggior cura e sollecitudine, particolarmente nello stabilirvi una comunità buona e santa... Voglio che questo luogo resti lo specchio resti lo specchio esemplare di tutta la religione” (CA 56). 

Nella Legenda Maior, San Bonaventura dice: Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù, qui raggiunse felicemente la meta. Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine (LM II,8; cfr. 2C 19). 

Tommaso da Celano ci da un fatto singolare per farci capire l’importanza assoluta che la Porziuncola aveva per Francesco e i suoi frati: 

Sapeva certamente che il Regno di Dio è in ogni parte della terra e credeva veramente che ovunque i fedeli possono ricevere i suoi doni; ma l’esperienza gli aveva insegnato che quel luogo che conteneva la chiesetta di Santa Maria della Porziuncola era favorito e onorato da grazie celesti più abbondanti e da frequenti visite di spiriti angelici. Pertanto diceva spesso ai frati: “Guardatevi, figli miei, dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall’altra, perché questo luogo è veramente santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravano pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicati; qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre 50 volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che aveva chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito” (1C 106)

La Porziuncola tornerà in molti altri racconti della vita di Francesco. Era proprio dalla Porziuncola che, nel 1211, Francesco decise di partire in missione, per andare in Siria, cioè, nel medio oriente, o meglio nella Terra Santa. Vedremo che questo desiderio del martirio nelle terre degli “infedeli” accompagnò Francesco per tutta la vita, e lui ci tenterà per ben tre volte di andare dai saraceni. Riuscirà soltanto nel 1219. 

Questo primo tentativo fu un fallimento. Tommaso da Celano ci racconta il fatto: Nel sesto anno della sua conversione, ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede cristiana e la penitenza ai Saraceni e agli altri infedeli. Si imbarcò per quella regione, ma il vento avverso fece dirottare la nave verso la Schiavonia (la costa della Dalmazia). Allora, deluso nel suo ardente desiderio e non essendoci per quell’anno nessun’altra nave in partenza verso la Siria, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di prenderlo con loro. Ne ebbe un netto rifiuto perché i viveri erano insufficienti. Ma il Santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di nascosto sulla imbarcazione col suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Providenza, un tale sconosciuto a tutti, che consegnò ad uno dell’equipaggio, che era timorato di Dio, delle vivande, dicendogli: “Prendi queste cose e dalle fedelmente a quei poveretti che sono nascosti nella nave, quando ne avranno bisogno”. E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i viveri del poverello Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio, bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona (1C 55). 

Francesco torna deluso alla Porziuncola. Ma la sua delusione dovette cambiarsi in gioia nei primi mesi del 1212, con la venuta di sorella Chiara, la sua pianticella.

AMDG et BVM