I FRATI MINORI A RIVOTORTO
E ALLA PORZIUNCOLA
Ognuno manteneva la sua giocondità di spirito
e tutta la sua pazienza.
Francesco e i suoi frati, dopo aver ringraziato il Signore e pregato sulla tomba
dell’apostolo Pietro, lasciarono la città di Roma per ritornare ad Assisi.
Prendevano la
strada verso Spoleto, e camminavano pieni di gioia, parlando dell’approvazione della loro
forma vitae da Papa Innocenzo III e programmando il futuro della loro nuova fraternità.
Alla sera arrivarono in un luogo deserto, e non potevano trovare nulla da
mangiare, poiché quel luogo era molto lontano dall’abitato. Ma all’improvviso, per
divina provvidenza, apparve un uomo recante del pane; lo diede loro e se ne andò.
Nessuno di loro l’aveva mai conosciuto, e perciò, pieni di ammirazione, si esortavano
devotamente l’un l’altro a confidare sempre di più nella divina misericordia.
Dopo
essersi ristorati con quel cibo, proseguirono fino ad un luogo vicino a Orte, e qui si
fermarono per circa quindici giorni. Alcuni di loro si recavano in città a cercare il vitto
necessario e riportavano agli altri quanto erano riusciti a racimolare chiedendo
l’elemosina di porta in porta, e lo mangiavano insieme lieti e ringraziando il Signore (1C
34).
Così, dopo questa sosta ad Orte, i frati proseguirono lungo la strada, entrando nella
Valle Spoletana, finché arrivarono ad Assisi.
Con l’approvazione papale, il piccolo gruppo di frati era diventato una religio
fratrum, cioè, un ordine religioso.
Secondo una tradizione molto forte nell’Ordine
Francescano, risale proprio al 1210 il nome che doveva costituire la identità specifica di
Francesco e dei suoi frati, come fratres (fratelli) e minores (minori).
Tommaso da Celano
così presenta la consapevolezza dei primi frati di dover scegliere un nome per la loro
nuova fraternità:
È ora il momento di concentrare l’attenzione soprattutto sull’Ordine che
Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione. Proprio lui infatti
fondò l’Ordine dei frati minori; ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre
si scrivevano nella Regola quelle parole: “Siano minori”, appena l’ebbe udite esclamò:
“Voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori”.
E realmente erano
“minori”; sottomessi a tutti, e ricercavano l’ultimo posto e gli uffici cui fosse legata
qualche umiliazione, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale
si potesse svolgere l’edificio spirituale di tutte le virtù (1C 38).
Il riferimento è alla
Regola non bollata del 1221, al capitolo 7, dove è scritto: “siano minori e sottomessi a
tutti”.
La prima dimora di Francesco e i frati ad Assisi, appena furono tornati a Roma,
era presso un tugurio abbandonato in una località chiamata Rivotorto. Questa località,
che ha conservato il nome fino ad oggi, si trova a poca distanza dalla Porziuncola, nella
pianura sotto il Monte Subasio. Si chiamava così per un ruscello molto tortuoso che
passa vicino. Oggi c’è in questo posto una chiesa sotto la cura dei Frati Minori
Conventuali, che ricorda il primo tugurio dei frati. Non esiste niente del posto originale,
se non il ricordo.
A Rivotorto i frati sono rimasti per pochissimo tempo, eppure il loro
soggiorno nel tugurio marca una delle esperienze più belle della prima fraternità
Francescana. Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso
Assisi, detto Rivotorto, ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e
belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere ... Padre e
figli se ne stavano così insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del
ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a mendicare per la pianura di
Assisi. L’abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a
terra; tuttavia non si udiva mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua
giocondità di spirito e tutta la sua pazienza. Francesco cercava costantemente la santa
semplicità, né ammetteva che l’angustia del luogo impedisse le espansioni dello spirito.
Scrisse perciò i nomi dei frati sui travicelli della capanna, perché ognuno potesse
riconoscervi il proprio posto per la preghiera e il riposo, e la ristrettezza del luogo non
turbasse il raccoglimento dell’animo (1C 42.44).
Mentre i frati stavano a Rivotorto, un giorno venivano a sapere che, sulla strada
principale che era vicina, doveva passare un corteo regale. Passando un giorno per
quelle contrade con grande pompa e clamore l’imperatore Ottone, che si recava a
ricevere la corona della terra, il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo
tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto
uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore che quella sua gloria
sarebbe durata ben poco (1C 43).
Celano riferisce al fatto dell’imperatore Ottone IV,
che transitò per il Ducato di Spoleto alla fine di settembre 1209 per essere incoronato dal
Papa Innocenzo III a Roma il 4 ottobre. Probabilmente, questo episodio a cui riferisce
Celano, riguarda un successivo passaggio dell’imperatore nel 1210 quando Innocenzo III
lo destituì.
Il tugurio di Rivotorto presenta l’ambiente in cui Francesco insegna ai suoi frati
come pregare. Il racconto di Tommaso da Celano è costruito sul modello dei racconti
evangelici di Gesù che insegna agli apostoli il Padre nostro.
Interessante notare che,
secondo la tradizione locale della chiesa di Gerusalemme, Gesù avrebbe insegnato la sua
preghiera agli apostoli in una grotta sul Monte degli Ulivi, appunto dove sorgono i resti
della basilica costantiniana dell’Eleona.
Rivotorto diventa il luogo francescano dove i
frati imparano non soltanto la preghiera del Signore, che forma parte integrale della loro
vita di preghiera e dell’ufficio liturgico dei frati laici secondo la Regola, ma anche dove
hanno associato la preghiera con il mistero della croce di Cristo presente in tutte le chiese
povere del mondo. A Rivotorto è nata la preghiera più caratteristica dei francescani, una
preghiera certo non originale, perché presa dalla liturgia della festa della Santa Croce, ma
che Francesco ha fatto sua e che ha incluso nel suo Testamento ai frati.
In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare,
perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l’ufficio
liturgico.
Ed egli rispose: “Quando pregate, dite: ‘Padre nostro’, e: ‘Ti adoriamo, o
Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua
santa croce hai redento il mondo’”... Fedeli alla esortazione di Francesco, essi, ogni
volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si
inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano
l’Onnipotente ... E cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava
loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle
siepi (1C 45).
A Rivotorto è anche ambientato l’episodio di Francesco che appare ai frati su un
carro di fuoco, come un nuovo Elia. Una volta che Francesco era assente, verso
mezzanotte, mentre alcuni dormivano e altri pregavano fervorosamente in silenzio, entrò
per la porticina della casa un carro di fuoco luminosissimo, che fece due o tre giri per la
stanza; su di esso poggiava un grande globo, che a guisa di sole rischiarò le tenebre
notturne. I frati che vegliavano furono pieni di stupore, quelli che dormivano si
destarono atterriti, sentendosi tutti quanti invasi da quella luce, non solo nel corpo, ma
anche nello spirito. Riunitisi insieme, si domandavano il significato di quel misterioso
fenomeno; ma ecco, per la virtù di tanto fulgore ognuno vedeva chiaramente nella
coscienza dell’altro. Allora compresero e furono certi che si trattava dell’anima del
beato padre, raggiante di così grande splendore, e che essa si era meritato da Dio quel
dono straordinario di benedizione e di grazia, soprattutto a motivo della sua purezza e
per la sua sollecitudine paterna verso i suoi figli (1C 47).
Il soggiorno a Rivotorto dovette finire ben presto. Mentre erano nel tugurio,
capitò un giorno che un contadino vi giungesse col suo asinello, e, temendo di essere
cacciato fuori, spinse l’asino dentro il tugurio, incitandolo con queste parole: “Entra,
che faremo un buon servizio a questo ricovero”. Francesco nell’udire questo si rattristò,
indovinando il pensiero di quell’uomo: credeva infatti che i frati volessero fermarvisi e
ingrandire la loro abitazione, unendo casa a casa.
E subito san Francesco abbandonò
quel luogo, a causa delle parole del contadino, per recarsi in un altro non distante,
chiamato Porziuncola, dove, come si disse, tempo prima egli stesso aveva riparato la
chiesa di Santa Maria (1C 44).
La chiesetta di Santa Maria degli Angeli, o della Porziuncola, era il luogo in cui
Francesco aveva scoperto la sua chiamata evangelica.
San Bonaventura, nella Legenda
Maior, fa vedere l’importanza della Porziuncola nella nascita dell’Ordine dei Frati
Minori:
Nella chiesa della Vergine Madre di Dio dimorava, dunque, il suo servo
Francesco e supplicava insistentemente con gemiti continui Colei che concepì il Verbo
pieno di grazia e di verità, perché si degnasse di farsi sua avvocata. E la Madre della
misericordia ottenne con i suoi meriti che lui stesso concepisse e partorisse lo spirito
della verità evangelica (LM III,1).
Tuttavia, anche se Francesco poteva andare con i frati a vivere accanto alla
Porziuncola, di fatto, la chiesetta non apparteneva a loro. Era proprietà del monastero di
San Benedetto al Monte Subasio. E Francesco umilmente chiese non la proprietà, ma il
semplice uso della chiesetta, all’abate di questo possente monastero. La storia ce la
racconta la Compilazione di Assisi.
Vedendo che Dio voleva moltipilicare il numero dei suoi frati, il beato Francesco
disse loro: “Carissimi fratelli e figlioli miei, vedo che il Signore vuole moltiplicarci. E
perciò mi sembra cosa buona e conveniente a dei religiosi ottenere dal vescovo, o dai
canonici di San Rufino o dall’abate del monastero di San Benedetto, una piccola chiesa
poverella, dove i frati possano recitare le loro ore, e, accanto a questa, avere solamente
una dimora, piccola anch’essa e povera, costruita con fango e vimini, dove riposare e
attendere a fare le cose loro necessarie. Invero, questo luogo non è conveniente: questa
casa è troppo angusta perché i fratelli vi possano rimanere, dacché al Signore piace
moltiplicarli. Soprattutto poi non abbiamo qui una chiesa, dove i fratelli possano
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recitare le ore; di più, se alcuno venisse a morte, non sarebbe dignitoso seppellirlo qui o
in una chiesa del clero secolare”.
Tale proposta piacque agli altri frati. Allora egli la presentò al vescovo. Gli
rispose il vescovo: “Fratello, non ho alcuna chiesa da potervi dare”. Egli andò dai
canonici di San Rufino e ripropose la sua domanda; e quelli risposero come il vescovo.
Si diresse perciò alla volta del monastero di San Benedetto del monte Subasio, e
rivolse all’abate la richiesta espressa in antecedenza al vescovo e ai canonici,
aggiungendo la risposta avuto dall’uno e dagli altri. Preso da compassione, l’abate
tenne consiglio con i suoi confratelli sull’argomento e, per volontà del Signore, essi
concessero a Francesco e ai suoi frati la chiesa di Santa Maria della Porziuncola, la più
poverella che avevano. Era anche la più poverella che si potesse trovare nel territorio di
Assisi: proprio quello che il beato Francesco aveva a lungo desiderato.
E disse l’abate al beato Francesco: “Fratello, abbiamo esaudito la tua domanda.
Ma vogliamo che, se il Signore moltiplicherà il vostro gruppo, questo luogo sia il capo di
tutti voi”. La condizione piacque a Francesco e agli altri suoi fratelli.
Fu molto felice il beato Francesco che ai frati fosse donato quel luogo,
soprattutto perché la chiesa portava il nome della Madre di Cristo, perché era così
povera e per la denominazione che aveva, ‘Porziuncola’, quasi a presagio che sarebbe
divenuta madre e capo dei poveri frati minori. Tale nome derivava dalla contrada in cui
la chiesetta sorgeva, zona anticamente detta appunto Porziuncola.
Francesco era solito dire: “Per questo motivo il Signore ha stabilito che non
fosse concessa ai frati altra chiesa, e che in quella circostanza i primi frati non ne
costruissero una nuova, e non avessero che quella: perché essa fu come una profezia,
compiutasi con la fondazione dei frati minori”.
E sebbene fosse tanto povera e quasi in rovina, per lungo tempo gli uomini della
città di Assisi e di quella contrada sempre ebbero gran devozione [accresciutasi poi ai
nostri giorni] verso quella chiesa.
Non appena i frati vi si stabilirono, il Signore accresceva quasi ogni giorno il
loro numero. La loro fama e rinomanza si sparse per tutta la valle spoletana. In antico,
la chiesa era chiamata Santa Maria degli Angeli, ma il popolo la chiamava Santa Maria
della Porziuncola.
Però, dopo che i frati la restaurarono, uomini e donne della zona
presero a dire: “Andiamo a Santa Maria degli Angeli”.
Sebbene l’abate e i monaci avessero concesso in dono a Francesco e ai suoi frati
la chiesa senza volerne contraccambio o tributo annuo, tuttavia il Santo, da abile e
provetto muratore che intese fondare la sua casa sulla salda roccia, e cioè fondare il suo
gruppo sulla vera povertà, ogni anno mandava al monastero una corba piena di
pesciolini chiamati lasche. E ciò in segno di sincera umiltà e povertà, affinché i frati non
avessero in proprietà nessun luogo, e nemmeno vi abitassero, se non era sotto il dominio
altrui, così che essi non avessero il potere di vendere o alienare in alcun modo.
E ogni anno, quando i frati portavano i pesciolini ai monaci, quelli, in grazia
dell’umiltà, donavano a lui e ai suoi fratelli una giara piena di olio (Compilazione di
Assisi [CA] 56; Speculum Perfectionis [SP] 55).
L’importanza attribuita alla chiesetta di Santa Maria degli Angeli dalle Fonti
Francescane si spiega per vari motivi.
In primo luogo, la Porziuncola era il posto in cui
Francesco scoprì la sua chiamata evangelica alla apostolica vivendi forma nel 1208, dopo
aver restaurato quella chiesetta. Poi, la Porziuncola diventò il luogo centrale in cui si
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radunavano i frati e da cui partivano per le loro missioni di evangelizzazione. Alla
Porziuncola, come vedremo, fu accolta sorella Chiara, lì si celebravano i capitoli generali
dell’Ordine, ed era lì che Francesco volle morire. Per questi ragioni le Fonti che
provengono dalle penne dei compagni di Francesco danno grandissima importanza alla
Porziuncola, arrivando a chiamarla mater et caput pauperum Minorum fratrum (madre e
capo dei poveri frati minori). Questo nome non è casuale, se lo mettiamo in confronto al
titolo di caput et mater Ordinis Minorum (capo e madre dell’Ordine dei Minori) che
Gregorio IX conferì alla basilica di San Francesco in Assisi nel 1230. E quasi
un’affermazione che, mentre il luogo della sepoltura di Francesco era veramente il “capo
e madre” dell’Ordine secondo la volontà del sommo pontefice, il luogo della Porziuncola,
così caro a Francesco e ai primordi del suo Ordine, era anche “madre e capo” secondo la
sensibilità dei frati che lo avevano conosciuto da vicino.
Di fatto, nello stesso numero della CA, troviamo quello che Raoul Manselli
chiama il “testamento di Francesco riguardo alla Porziuncola”.
Riportiamo qualche
brano per capire meglio l’importanza della Porziuncola nella vita di San Francesco e
dell’Ordine dei Frati Minori:
Noi che siamo vissuto con il beato Francesco rendiamo testimonianza di quello
che egli disse di questa chiesa, impegnando la sua parola, cioè che la beata Vergine, tra
tutte le chiese del mondo che le sono care, predilige questa a causa delle molte grazie
che il Signore là mostra...
E affinché i frati la tenessero sempre nei loro cuori, come un memoriale, egli
volle, in prossimità della morte, scrivere nel suo Testamento che essi nutrissero gli stessi
sentimenti.
Prima di morire, presenti il ministro generale e altri fratelli, dichiarò:
“Voglio disporre del luogo di Santa Maria della Porziuncola, lasciando per testamento
ai fratelli che sia sempre tenuto da loro nella più grande riverenza e devozione. Così
hanno fatto i nostri fratelli nei primi tempi. Quel luogo è santo, ed essi ne conservavano
la santità con l’orazione ininterrotta giorno e notte, osservando un costante silenzio...
Voglio dunque che [Santa Maria della Porziuncola] sia sempre sotto la diretta
autorità del ministro generale, affinché egli vi provveda con maggior cura e
sollecitudine, particolarmente nello stabilirvi una comunità buona e santa...
Voglio che questo luogo resti lo specchio resti lo specchio esemplare di tutta la
religione” (CA 56).
Nella Legenda Maior, San Bonaventura dice: Il Santo amò questo luogo più di
tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì
nelle virtù, qui raggiunse felicemente la meta. Questo luogo, al momento della morte,
raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine (LM II,8; cfr. 2C 19).
Tommaso da Celano ci da un fatto singolare per farci capire l’importanza assoluta
che la Porziuncola aveva per Francesco e i suoi frati:
Sapeva certamente che il Regno di
Dio è in ogni parte della terra e credeva veramente che ovunque i fedeli possono
ricevere i suoi doni; ma l’esperienza gli aveva insegnato che quel luogo che conteneva la
chiesetta di Santa Maria della Porziuncola era favorito e onorato da grazie celesti più
abbondanti e da frequenti visite di spiriti angelici. Pertanto diceva spesso ai frati:
“Guardatevi, figli miei, dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da
una parte, rientratevi dall’altra, perché questo luogo è veramente santo e abitazione di
Dio. Qui, quando eravano pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicati; qui ha illuminato con la
sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre
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volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che aveva chiesto, e chi lo
profanerà sarà maggiormente punito” (1C 106).
La Porziuncola tornerà in molti altri racconti della vita di Francesco. Era proprio
dalla Porziuncola che, nel 1211, Francesco decise di partire in missione, per andare in
Siria, cioè, nel medio oriente, o meglio nella Terra Santa. Vedremo che questo desiderio
del martirio nelle terre degli “infedeli” accompagnò Francesco per tutta la vita, e lui ci
tenterà per ben tre volte di andare dai saraceni. Riuscirà soltanto nel 1219.
Questo primo
tentativo fu un fallimento. Tommaso da Celano ci racconta il fatto:
Nel sesto anno della sua conversione, ardendo di un intrattenibile desiderio del
martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede cristiana e la penitenza ai Saraceni
e agli altri infedeli. Si imbarcò per quella regione, ma il vento avverso fece dirottare la
nave verso la Schiavonia (la costa della Dalmazia). Allora, deluso nel suo ardente
desiderio e non essendoci per quell’anno nessun’altra nave in partenza verso la Siria,
pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di prenderlo con loro. Ne ebbe un netto rifiuto
perché i viveri erano insufficienti. Ma il Santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di
nascosto sulla imbarcazione col suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla
divina Providenza, un tale sconosciuto a tutti, che consegnò ad uno dell’equipaggio, che
era timorato di Dio, delle vivande, dicendogli: “Prendi queste cose e dalle fedelmente a
quei poveretti che sono nascosti nella nave, quando ne avranno bisogno”. E avvenne
che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare,
consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i viveri del poverello
Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio, bastarono abbondantemente alla
necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona (1C 55).
Francesco torna deluso alla Porziuncola. Ma la sua delusione dovette cambiarsi
in gioia nei primi mesi del 1212, con la venuta di sorella Chiara, la sua pianticella.
AMDG et BVM