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lunedì 11 dicembre 2017

RIVOTORTO e poi PORZIUNCOLA


I FRATI MINORI A RIVOTORTO E ALLA PORZIUNCOLA
Ognuno manteneva la sua giocondità di spirito 
e tutta la sua pazienza.

Francesco e i suoi frati, dopo aver ringraziato il Signore e pregato sulla tomba dell’apostolo Pietro, lasciarono la città di Roma per ritornare ad Assisi.
Prendevano la strada verso Spoleto, e camminavano pieni di gioia, parlando dell’approvazione della loro forma vitae da Papa Innocenzo III e programmando il futuro della loro nuova fraternità.

Alla sera arrivarono in un luogo deserto, e non potevano trovare nulla da mangiare, poiché quel luogo era molto lontano dall’abitato. Ma all’improvviso, per divina provvidenza, apparve un uomo recante del pane; lo diede loro e se ne andò. Nessuno di loro l’aveva mai conosciuto, e perciò, pieni di ammirazione, si esortavano devotamente l’un l’altro a confidare sempre di più nella divina misericordia.

Dopo essersi ristorati con quel cibo, proseguirono fino ad un luogo vicino a Orte, e qui si fermarono per circa quindici giorni. Alcuni di loro si recavano in città a cercare il vitto necessario e riportavano agli altri quanto erano riusciti a racimolare chiedendo l’elemosina di porta in porta, e lo mangiavano insieme lieti e ringraziando il Signore (1C 34).

Così, dopo questa sosta ad Orte, i frati proseguirono lungo la strada, entrando nella Valle Spoletana, finché arrivarono ad Assisi. Con l’approvazione papale, il piccolo gruppo di frati era diventato una religio fratrum, cioè, un ordine religioso.

Secondo una tradizione molto forte nell’Ordine Francescano, risale proprio al 1210 il nome che doveva costituire la identità specifica di Francesco e dei suoi frati, come fratres (fratelli) e minores (minori).

Tommaso da Celano così presenta la consapevolezza dei primi frati di dover scegliere un nome per la loro nuova fraternità: È ora il momento di concentrare l’attenzione soprattutto sull’Ordine che Francesco suscitò col suo amore e vivificò con la sua professione. Proprio lui infatti fondò l’Ordine dei frati minori; ed ecco in quale occasione gli diede tale nome. Mentre si scrivevano nella Regola quelle parole: “Siano minori”, appena l’ebbe udite esclamò: “Voglio che questa fraternità sia chiamata Ordine dei frati minori”. 
E realmente erano “minori”; sottomessi a tutti, e ricercavano l’ultimo posto e gli uffici cui fosse legata qualche umiliazione, per gettare così le solide fondamenta della vera umiltà, sulla quale si potesse svolgere l’edificio spirituale di tutte le virtù (1C 38).
Il riferimento è alla Regola non bollata del 1221, al capitolo 7, dove è scritto: “siano minori e sottomessi a tutti”.

La prima dimora di Francesco e i frati ad Assisi, appena furono tornati a Roma, era presso un tugurio abbandonato in una località chiamata Rivotorto. Questa località, che ha conservato il nome fino ad oggi, si trova a poca distanza dalla Porziuncola, nella pianura sotto il Monte Subasio. Si chiamava così per un ruscello molto tortuoso che passa vicino. Oggi c’è in questo posto una chiesa sotto la cura dei Frati Minori Conventuali, che ricorda il primo tugurio dei frati. Non esiste niente del posto originale, se non il ricordo.

A Rivotorto i frati sono rimasti per pochissimo tempo, eppure il loro soggiorno nel tugurio marca una delle esperienze più belle della prima fraternità Francescana.  Il beato Francesco era solito raccogliersi con i suoi compagni in un luogo presso Assisi, detto Rivotorto, ed erano felici, quegli arditi dispregiatori delle case grandi e belle, di un tugurio abbandonato ove potevano trovare riparo dalle bufere ... Padre e figli se ne stavano così insieme, tra molti stenti e indigenze, non di raro privi anche del ristoro del pane, contenti di qualche rapa che andavano a mendicare per la pianura di Assisi. L’abitazione poi era tanto angusta, che a fatica vi potevano stare seduti o stesi a terra; tuttavia non si udiva mormorazione né lamento; ognuno manteneva la sua giocondità di spirito e tutta la sua pazienza. Francesco cercava costantemente la santa semplicità, né ammetteva che l’angustia del luogo impedisse le espansioni dello spirito. Scrisse perciò i nomi dei frati sui travicelli della capanna, perché ognuno potesse riconoscervi il proprio posto per la preghiera e il riposo, e la ristrettezza del luogo non turbasse il raccoglimento dell’animo (1C 42.44).

Mentre i frati stavano a Rivotorto, un giorno venivano a sapere che, sulla strada principale che era vicina, doveva passare un corteo regale. Passando un giorno per quelle contrade con grande pompa e clamore l’imperatore Ottone, che si recava a ricevere la corona della terra, il santissimo padre non volle neppure uscire dal suo tugurio, che era vicino alla via di transito, né permise che i suoi vi andassero, eccetto uno il quale doveva annunciare con fermezza all’imperatore che quella sua gloria sarebbe durata ben poco (1C 43).
Celano riferisce al fatto dell’imperatore Ottone IV, che transitò per il Ducato di Spoleto alla fine di settembre 1209 per essere incoronato dal Papa Innocenzo III a Roma il 4 ottobre. Probabilmente, questo episodio a cui riferisce Celano, riguarda un successivo passaggio dell’imperatore nel 1210 quando Innocenzo III lo destituì.

Il tugurio di Rivotorto presenta l’ambiente in cui Francesco insegna ai suoi frati come pregare. Il racconto di Tommaso da Celano è costruito sul modello dei racconti evangelici di Gesù che insegna agli apostoli il Padre nostro.
Interessante notare che, secondo la tradizione locale della chiesa di Gerusalemme, Gesù avrebbe insegnato la sua preghiera agli apostoli in una grotta sul Monte degli Ulivi, appunto dove sorgono i resti della basilica costantiniana dell’Eleona.
Rivotorto diventa il luogo francescano dove i frati imparano non soltanto la preghiera del Signore, che forma parte integrale della loro vita di preghiera e dell’ufficio liturgico dei frati laici secondo la Regola, ma anche dove hanno associato la preghiera con il mistero della croce di Cristo presente in tutte le chiese povere del mondo. A Rivotorto è nata la preghiera più caratteristica dei francescani, una preghiera certo non originale, perché presa dalla liturgia della festa della Santa Croce, ma che Francesco ha fatto sua e che ha incluso nel suo Testamento ai frati. In quel tempo i frati gli chiesero con insistenza che insegnasse loro a pregare, perché, comportandosi con semplicità di spirito, non conoscevano ancora l’ufficio liturgico.
Ed egli rispose: “Quando pregate, dite: ‘Padre nostro’, e: ‘Ti adoriamo, o Cristo, in tutte le tue chiese che sono nel mondo e Ti benediciamo, perché con la tua santa croce hai redento il mondo’”... Fedeli alla esortazione di Francesco, essi, ogni volta che passavano vicino a una chiesa, oppure anche la scorgevano da lontano, si inchinavano in quella direzione e, proni col corpo e con lo spirito, adoravano l’Onnipotente ... E cosa non meno ammirevole, altrettanto facevano dovunque capitava loro di vedere una croce o una forma di croce, per terra, sulle pareti, tra gli alberi, nelle siepi (1C 45).
 A Rivotorto è anche ambientato l’episodio di Francesco che appare ai frati su un carro di fuoco, come un nuovo Elia. Una volta che Francesco era assente, verso mezzanotte, mentre alcuni dormivano e altri pregavano fervorosamente in silenzio, entrò per la porticina della casa un carro di fuoco luminosissimo, che fece due o tre giri per la stanza; su di esso poggiava un grande globo, che a guisa di sole rischiarò le tenebre notturne. I frati che vegliavano furono pieni di stupore, quelli che dormivano si destarono atterriti, sentendosi tutti quanti invasi da quella luce, non solo nel corpo, ma anche nello spirito. Riunitisi insieme, si domandavano il significato di quel misterioso fenomeno; ma ecco, per la virtù di tanto fulgore ognuno vedeva chiaramente nella coscienza dell’altro. Allora compresero e furono certi che si trattava dell’anima del beato padre, raggiante di così grande splendore, e che essa si era meritato da Dio quel dono straordinario di benedizione e di grazia, soprattutto a motivo della sua purezza e per la sua sollecitudine paterna verso i suoi figli (1C 47).


Il soggiorno a Rivotorto dovette finire ben presto. Mentre erano nel tugurio, capitò un giorno che un contadino vi giungesse col suo asinello, e, temendo di essere cacciato fuori, spinse l’asino dentro il tugurio, incitandolo con queste parole: “Entra, che faremo un buon servizio a questo ricovero”. Francesco nell’udire questo si rattristò, indovinando il pensiero di quell’uomo: credeva infatti che i frati volessero fermarvisi e ingrandire la loro abitazione, unendo casa a casa. 
E subito san Francesco abbandonò quel luogo, a causa delle parole del contadino, per recarsi in un altro non distante, chiamato Porziuncola, dove, come si disse, tempo prima egli stesso aveva riparato la chiesa di Santa Maria (1C 44).

La chiesetta di Santa Maria degli Angeli, o della Porziuncola, era il luogo in cui Francesco aveva scoperto la sua chiamata evangelica.
San Bonaventura, nella Legenda Maior, fa vedere l’importanza della Porziuncola nella nascita dell’Ordine dei Frati Minori: Nella chiesa della Vergine Madre di Dio dimorava, dunque, il suo servo Francesco e supplicava insistentemente con gemiti continui Colei che concepì il Verbo pieno di grazia e di verità, perché si degnasse di farsi sua avvocata. E la Madre della misericordia ottenne con i suoi meriti che lui stesso concepisse e partorisse lo spirito della verità evangelica (LM III,1).

Tuttavia, anche se Francesco poteva andare con i frati a vivere accanto alla Porziuncola, di fatto, la chiesetta non apparteneva a loro. Era proprietà del monastero di San Benedetto al Monte Subasio. E Francesco umilmente chiese non la proprietà, ma il semplice uso della chiesetta, all’abate di questo possente monastero. La storia ce la racconta la Compilazione di Assisi. Vedendo che Dio voleva moltipilicare il numero dei suoi frati, il beato Francesco disse loro: “Carissimi fratelli e figlioli miei, vedo che il Signore vuole moltiplicarci. E perciò mi sembra cosa buona e conveniente a dei religiosi ottenere dal vescovo, o dai canonici di San Rufino o dall’abate del monastero di San Benedetto, una piccola chiesa poverella, dove i frati possano recitare le loro ore, e, accanto a questa, avere solamente una dimora, piccola anch’essa e povera, costruita con fango e vimini, dove riposare e attendere a fare le cose loro necessarie. Invero, questo luogo non è conveniente: questa casa è troppo angusta perché i fratelli vi possano rimanere, dacché al Signore piace moltiplicarli. Soprattutto poi non abbiamo qui una chiesa, dove i fratelli possano 48 recitare le ore; di più, se alcuno venisse a morte, non sarebbe dignitoso seppellirlo qui o in una chiesa del clero secolare”. Tale proposta piacque agli altri frati. Allora egli la presentò al vescovo. Gli rispose il vescovo: “Fratello, non ho alcuna chiesa da potervi dare”. Egli andò dai canonici di San Rufino e ripropose la sua domanda; e quelli risposero come il vescovo. Si diresse perciò alla volta del monastero di San Benedetto del monte Subasio, e rivolse all’abate la richiesta espressa in antecedenza al vescovo e ai canonici, aggiungendo la risposta avuto dall’uno e dagli altri. Preso da compassione, l’abate tenne consiglio con i suoi confratelli sull’argomento e, per volontà del Signore, essi concessero a Francesco e ai suoi frati la chiesa di Santa Maria della Porziuncola, la più poverella che avevano. Era anche la più poverella che si potesse trovare nel territorio di Assisi: proprio quello che il beato Francesco aveva a lungo desiderato. E disse l’abate al beato Francesco: “Fratello, abbiamo esaudito la tua domanda. Ma vogliamo che, se il Signore moltiplicherà il vostro gruppo, questo luogo sia il capo di tutti voi”. La condizione piacque a Francesco e agli altri suoi fratelli. Fu molto felice il beato Francesco che ai frati fosse donato quel luogo, soprattutto perché la chiesa portava il nome della Madre di Cristo, perché era così povera e per la denominazione che aveva, ‘Porziuncola’, quasi a presagio che sarebbe divenuta madre e capo dei poveri frati minori. Tale nome derivava dalla contrada in cui la chiesetta sorgeva, zona anticamente detta appunto Porziuncola. Francesco era solito dire: “Per questo motivo il Signore ha stabilito che non fosse concessa ai frati altra chiesa, e che in quella circostanza i primi frati non ne costruissero una nuova, e non avessero che quella: perché essa fu come una profezia, compiutasi con la fondazione dei frati minori”. E sebbene fosse tanto povera e quasi in rovina, per lungo tempo gli uomini della città di Assisi e di quella contrada sempre ebbero gran devozione [accresciutasi poi ai nostri giorni] verso quella chiesa. 


Non appena i frati vi si stabilirono, il Signore accresceva quasi ogni giorno il loro numero. La loro fama e rinomanza si sparse per tutta la valle spoletana. In antico, la chiesa era chiamata Santa Maria degli Angeli, ma il popolo la chiamava Santa Maria della Porziuncola. 


Però, dopo che i frati la restaurarono, uomini e donne della zona presero a dire: “Andiamo a Santa Maria degli Angeli”. Sebbene l’abate e i monaci avessero concesso in dono a Francesco e ai suoi frati la chiesa senza volerne contraccambio o tributo annuo, tuttavia il Santo, da abile e provetto muratore che intese fondare la sua casa sulla salda roccia, e cioè fondare il suo gruppo sulla vera povertà, ogni anno mandava al monastero una corba piena di pesciolini chiamati lasche. E ciò in segno di sincera umiltà e povertà, affinché i frati non avessero in proprietà nessun luogo, e nemmeno vi abitassero, se non era sotto il dominio altrui, così che essi non avessero il potere di vendere o alienare in alcun modo. E ogni anno, quando i frati portavano i pesciolini ai monaci, quelli, in grazia dell’umiltà, donavano a lui e ai suoi fratelli una giara piena di olio (Compilazione di Assisi [CA] 56; Speculum Perfectionis [SP] 55)

L’importanza attribuita alla chiesetta di Santa Maria degli Angeli dalle Fonti Francescane si spiega per vari motivi. 

In primo luogo, la Porziuncola era il posto in cui Francesco scoprì la sua chiamata evangelica alla apostolica vivendi forma nel 1208, dopo aver restaurato quella chiesetta. Poi, la Porziuncola diventò il luogo centrale in cui si 49 radunavano i frati e da cui partivano per le loro missioni di evangelizzazione. Alla Porziuncola, come vedremo, fu accolta sorella Chiara, lì si celebravano i capitoli generali dell’Ordine, ed era lì che Francesco volle morire. Per questi ragioni le Fonti che provengono dalle penne dei compagni di Francesco danno grandissima importanza alla Porziuncola, arrivando a chiamarla mater et caput pauperum Minorum fratrum (madre e capo dei poveri frati minori). Questo nome non è casuale, se lo mettiamo in confronto al titolo di caput et mater Ordinis Minorum (capo e madre dell’Ordine dei Minori) che Gregorio IX conferì alla basilica di San Francesco in Assisi nel 1230. E quasi un’affermazione che, mentre il luogo della sepoltura di Francesco era veramente il “capo e madre” dell’Ordine secondo la volontà del sommo pontefice, il luogo della Porziuncola, così caro a Francesco e ai primordi del suo Ordine, era anche “madre e capo” secondo la sensibilità dei frati che lo avevano conosciuto da vicino. Di fatto, nello stesso numero della CA, troviamo quello che Raoul Manselli chiama il “testamento di Francesco riguardo alla Porziuncola”. 

Riportiamo qualche brano per capire meglio l’importanza della Porziuncola nella vita di San Francesco e dell’Ordine dei Frati Minori: Noi che siamo vissuto con il beato Francesco rendiamo testimonianza di quello che egli disse di questa chiesa, impegnando la sua parola, cioè che la beata Vergine, tra tutte le chiese del mondo che le sono care, predilige questa a causa delle molte grazie che il Signore là mostra... E affinché i frati la tenessero sempre nei loro cuori, come un memoriale, egli volle, in prossimità della morte, scrivere nel suo Testamento che essi nutrissero gli stessi sentimenti. 

Prima di morire, presenti il ministro generale e altri fratelli, dichiarò: “Voglio disporre del luogo di Santa Maria della Porziuncola, lasciando per testamento ai fratelli che sia sempre tenuto da loro nella più grande riverenza e devozione. Così hanno fatto i nostri fratelli nei primi tempi. Quel luogo è santo, ed essi ne conservavano la santità con l’orazione ininterrotta giorno e notte, osservando un costante silenzio... Voglio dunque che [Santa Maria della Porziuncola] sia sempre sotto la diretta autorità del ministro generale, affinché egli vi provveda con maggior cura e sollecitudine, particolarmente nello stabilirvi una comunità buona e santa... Voglio che questo luogo resti lo specchio resti lo specchio esemplare di tutta la religione” (CA 56). 

Nella Legenda Maior, San Bonaventura dice: Il Santo amò questo luogo più di tutti gli altri luoghi del mondo. Qui, infatti, conobbe l’umiltà degli inizi; qui progredì nelle virtù, qui raggiunse felicemente la meta. Questo luogo, al momento della morte, raccomandò ai frati come il luogo più caro alla Vergine (LM II,8; cfr. 2C 19). 

Tommaso da Celano ci da un fatto singolare per farci capire l’importanza assoluta che la Porziuncola aveva per Francesco e i suoi frati: 

Sapeva certamente che il Regno di Dio è in ogni parte della terra e credeva veramente che ovunque i fedeli possono ricevere i suoi doni; ma l’esperienza gli aveva insegnato che quel luogo che conteneva la chiesetta di Santa Maria della Porziuncola era favorito e onorato da grazie celesti più abbondanti e da frequenti visite di spiriti angelici. Pertanto diceva spesso ai frati: “Guardatevi, figli miei, dal non abbandonare mai questo luogo. Se ne foste scacciati da una parte, rientratevi dall’altra, perché questo luogo è veramente santo e abitazione di Dio. Qui, quando eravano pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicati; qui ha illuminato con la sua sapienza i cuori dei suoi poverelli; qui ha acceso il fuoco del suo amore nelle nostre 50 volontà. Qui, chi pregherà con devozione, otterrà ciò che aveva chiesto, e chi lo profanerà sarà maggiormente punito” (1C 106)

La Porziuncola tornerà in molti altri racconti della vita di Francesco. Era proprio dalla Porziuncola che, nel 1211, Francesco decise di partire in missione, per andare in Siria, cioè, nel medio oriente, o meglio nella Terra Santa. Vedremo che questo desiderio del martirio nelle terre degli “infedeli” accompagnò Francesco per tutta la vita, e lui ci tenterà per ben tre volte di andare dai saraceni. Riuscirà soltanto nel 1219. 

Questo primo tentativo fu un fallimento. Tommaso da Celano ci racconta il fatto: Nel sesto anno della sua conversione, ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede cristiana e la penitenza ai Saraceni e agli altri infedeli. Si imbarcò per quella regione, ma il vento avverso fece dirottare la nave verso la Schiavonia (la costa della Dalmazia). Allora, deluso nel suo ardente desiderio e non essendoci per quell’anno nessun’altra nave in partenza verso la Siria, pregò alcuni marinai diretti ad Ancona di prenderlo con loro. Ne ebbe un netto rifiuto perché i viveri erano insufficienti. Ma il Santo, fiducioso nella bontà di Dio, salì di nascosto sulla imbarcazione col suo compagno. Ed ecco sopraggiungere, mosso dalla divina Providenza, un tale sconosciuto a tutti, che consegnò ad uno dell’equipaggio, che era timorato di Dio, delle vivande, dicendogli: “Prendi queste cose e dalle fedelmente a quei poveretti che sono nascosti nella nave, quando ne avranno bisogno”. E avvenne che, scoppiata una paurosa burrasca, i marinai, affaticandosi per molti giorni a remare, consumarono tutti i loro viveri; poterono salvarsi solo con i viveri del poverello Francesco, i quali, moltiplicandosi per grazia di Dio, bastarono abbondantemente alla necessità di tutti finché giunsero al porto di Ancona (1C 55). 

Francesco torna deluso alla Porziuncola. Ma la sua delusione dovette cambiarsi in gioia nei primi mesi del 1212, con la venuta di sorella Chiara, la sua pianticella.

AMDG et BVM