venerdì 6 ottobre 2017

DUE COSE: cingere i fianchi e tenere le lucerne: ossia Castità e Luce della Verità

 FONDATORE DEI CERTOSINI
(Per tria si so vi, permanet cartusia in vi)

Preghiamo
Signore, ci venga in aiuto l'intercessione del tuo santo Confessore Brunone: affinché, mentre peccando abbiamo gravemente offesa lo tua maestà, conseguiamo, per i meriti e le preghiere di lui, il perdono delle nostre colpe. 
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
Lettura 4
Brunone, fondatore dell'ordine Certosino nacque a Colonia. Fin dalla culla mostrò tali indizi della futura santità colla gravità dei costumi e colla fuga, soccorrendolo la divina grazia, dei sollazzi di quella età, da potersi già riconoscere in lui il futuro padre dei monaci e il restauratore della vita eremitica. Inviato dai genitori, distinti per nobiltà e virtù, a Parigi, vi fece tali progressi nello studio della filosofia e teologia, che ottenne il titolo di dottore e maestro in tutte due queste scienze; e non molto dopo fu, per le egregie sue virtù, nominato canonico di Reims.

Lettura 5
Trascorsi alcuni anni, abbandonò il mondo insieme con altri sei amici, e andò da sant'Ugo vescovo di Grenoble. Il quale, conosciuto il motivo della loro venuta, e ravvisando in essi quelli che la notte precedente aveva visto in sogno prostrarsi, sotto l'immagine di sette stelle, ai suoi piedi, concesse loro nella sua diocesi dei monti asprissimi, conosciuti sotto il nome di Chartreuse. Brunone, giunto là co' suoi compagni, accompagnativi dallo stesso Ugo, dopo avervi vissuto per parecchi anni vita eremitica, fu chiamato a Roma da Urbano II, ch'era stato discepolo dello stesso Brunone. Il Pontefice si servì per molti anni dei suoi consigli e della sua dottrina nelle tante difficoltà della Chiesa; finché, avendo Brunone ricusato l'arcivescovado di Reggio, ottenne facoltà di partirsene.

Lettura 6
Pertanto, spinto dall'amore alla solitudine, si ritirò in un deserto di Calabria, presso Squillace. Nel qual luogo Ruggero, conte di Calabria, avendolo scoperto in preghiera, durante una caccia per i latrati dei cani davanti alla sua spelonca, colpito dalla santità dell'uomo, cominciò a onorare e favorire molto lui e i suoi compagni. Né la sua liberalità rimase senza ricompensa; perché mentre lo stesso Ruggero assediava Capua, e Sergio, uno dei suoi ufficiali, decideva di tradirlo, Brunone, ch'era ancora nel sopradetto deserto, scoprì al conte in sogno ogni cosa, liberandolo cosi dal pericolo che lo minacciava. Infine, pieno di meriti e di virtù, e non meno illustre per santità che per scienza, s'addormentò nel Signore; e venne sepolto nel monastero di san Stefano, costruito dallo stesso Ruggero, dove si venera tuttora.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.
*
Lettura 7
Dal Vangelo secondo Luca
Luca 12:35-40
In quel tempo Gesù disse ai suoi discepoli: "Siano cinti i vostri fianchi e accese le lucerne nelle vostre mani". (continua nella Messa del giorno)

Omelia di s. Gregorio papa
Omelia sui Vangeli.
La lettura del santo Vangelo, fratelli carissimi, è chiara. Ma affinché, per la sua stessa semplicità, non sembri a qualcuno troppo elevata, esaminiamola brevemente in modo che la sua esposizione sia chiara per quelli che la ignorano, senza essere gravosa per quelli che la conoscono. Il Signore dice: "Siano cinti i vostri fianchi". Noi cingiamo i fianchi, quando freniamo con la continenza i movimenti della carne. Ma poiché è poco astenersi dal male, se ciascuno non si applica ancora, e con assidui sforzi, a fare il bene, subito si aggiunge: "e le lucerne siano accese nelle vostre mani". Noi teniamo in mano le lucerne accese, quando diamo al nostro prossimo con le buone opere esempi che lo illuminano. A proposito di tali opere il Signore dice: "La vostra luce risplenda davanti agli uomini, affinché essi vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli".

Lettura 8
Sono due quindi le cose che vengono comandate: cingere i fianchi e tenere le lucerne: cioè la castità deve risplendere nel nostro corpo e la luce della verità nelle nostre opere. Infatti l'una cosa senza l'altra non può assolutamente essere gradita al nostro Redentore; né colui che compie opere buone, finché non abbandoni le sozzure della lussuria, né colui che eccelle per la sua castità ma non si esercita nelle opere buone. Né la castità dunque è una grande virtù senza le opere buone, né le opere buone possono valere qualcosa senza la castità. Ma anche se si osservano i due comandamenti, rimane il dovere, per chiunque si tratti, di tendere con la speranza alla patria superna e di non star lontano in alcun modo dai vizi soltanto per l'onore di questo mondo.

Lettura 9
"E voi siate come coloro che aspettano il loro padrone quando torni dalle nozze, per aprirgli subito appena giungerà e picchierà alla porta". Il Signore in verità viene quando si affretta al giudizio; picchia poi quando, con gli affanni della malattia, ci avverte che ormai la morte è vicina. Noi gli apriamo subito, se lo riceviamo con amore. Non vuole infatti aprire al giudice che picchia, colui che ha paura di uscire dal corpo e ha timore di vedere questo giudice, che ricorda di aver disprezzato. Ma chi è tranquillo per la sua speranza e per il suo modo di agire, apre subito a chi picchia, perché accoglie con gioia il giudice; e, quando è vicino il tempo della morte, egli si rallegra pensando ad una gloriosa retribuzione.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.
AMDG et BVM

Un'ora sola di pena mi è parsa più lunga di un anno!

DURATA DEL PURGATORIO

E' tanto grande la nostra cecità, che spesso diciamo: « Che importa che siano atroci quelle pene? Un giorno poi finiranno».

L'obiezione fu già fatta da Sant'Agostino. Sed dicat aliquis: non pertinet ad me, quamdiu moras habeam, si tamen, ad vitam aeternam pervenero. E risponde « Per amor di Dio, non dite così! Nemo hoc dicat, fratres carissimi, nemo hoc dicat». Quelle pene, così atroci, hanno due durate cosi dolorose che mettono compassione solo a pensarvi.

La prima durata è secondo la stima che ne fanno le anime; e noi vediamo dalle rivelazioni, che un'ora sola di purgatorio sembra spesso più lunga di un secolo a quelle anime infelici, tanta è la loro impazienza di veder Dio ed eccessivo il rigore dei loro supplizi. Anche su questa terra una notte insonne, soprattutto se siamo infermi, ci pare un'eternità.

Negli annali dei padri Cappuccini si legge una storia assai curiosa (Tomo III, anno 1618).

Il padre Ippolito da Scalvo, eletto Guardiano e Maestro dei novizi in un convento di Fiandra, si sforzava di eccitare nei suoi figli spirituali le virtù proprie del loro stato sublime. Ora accadde che uno dei novizi, che aveva fatto grandi progressi nella via della perfezione spirò dolcemente nel Signore, mentre il guardiano era assente. Avvisato della sventura ritornò la sera stessa; e dopo mattutino si fermò in coro per attingere conforto nella preghiera. Ad un tratto vede il povero defunto comparirgli di tutto avvolto in fiamme, che così gli parla: « Mio buon Padre! Impartitemi, vi prego, la vostra benedizione. Per una leggera mancanza da me commessa contro la regola, mi trovo ora in purgatorio per soddisfare alla divina Giustizia. Il buon Gesù mi ha concesso di rivolgermi a voi, affinché m'imponiate quella punizione che credete conveniente; dopo la quale volerò all'amplesso eterno di Dio». Atterrito a quella vista e a quelle parole, il pio Guardiano si affrettò a dargli la benedizione, con tutta l'effusione del cuore; e per penitenza gli disse che rimarrebbe in purgatorio fino all'ora di Prima, cioè fin verso le otto del mattino. Udito ciò il novizio, si mise a correre come un disperato per la chiesa urlando: « Padre crudele! Cuore durissimo e senza pietà! Come mai volete punire tanto severamente un fallo, che in vita avreste appena giudicato degno di una leggera disciplina? Voi dunque ignorate la atrocità dei miei tormenti?».

E ciò dicendo sparì. Il povero Guardiano che aveva creduto di essere molto indulgente nell'imporre quella penitenza, si sentì drizzare i capelli per lo spavento e il dispiacere, ed avrebbe voluto rimediare a tanto errore a costo della sua vita. Ma non essendo in suo potere il farlo, suonò la campana, riunì i frati in coro, narrò loro piangendo l'accaduto; ed ordinò che s'incominciasse immediatamente la recita di Prima. Forse questo contribuì ad abbreviare le pene del defunto; ma il povero Guardiano portò nel cuore per tutta la vita il ricordo di quella scena orribile, e confessava spesso che fino allora aveva avuto una idea molto imperfetta delle pene del purgatorio.

Il Rossignoli nel suo libro « Meraviglie del Purgatorio » che scrisse per invito del Beato Sebastiano Valfré, narra che un santo religioso ebbe rivelazione dall'angelo custode, che tra breve doveva morire e restare in purgatorio, finché fosse detta una messa in suo suffragio. Esultò egli a quell'annunzio; e si affrettò ad ottenere formale promessa da un confratello che alla sua morte avrebbe subito applicato per lui il santo sacrifizio.

Poco dopo morì; ed essendo di mattina, il prete corse subito ad indossare i sacri paramenti e celebrò con grande fervore e commozione di spirito. Appena ebbe finito, mentre in sacrestia si spogliava,, gli apparve l'amico, raggiante di gloria. e gli rimproverò di aver dimenticato la promessa, lasciandolo più di un anno in purgatorio.

T'inganni, rispose l'altro meravigliato. Appena tu sei spirato, corsi in chiesa. a celebrare ed ho finito or ora. Il tuo cadavere è ancora caldo sul letto di morte».

Allora il defunto esclamò: « Ohimè! come sono spaventevoli le pene del purgatorio. Un'ora sola di pena mi è parsa più lunga di un anno! Benedetto sia Dio che così ha abbreviato la mia prova e grazie mille volte a te, o fratello Carissimo, della premura e carità che mi hai usato. Io, salgo ora al cielo e pregherò Dio che ci unisca lassù come fummo uniti sulla terra ».

La durata reale del purgatorio varia da ore a secoli. Dalle rivelazioni risulta che alcune anime vi stettero qualche ora o qualche giorno, mentre altre vi stettero anni e secoli e molte dovranno stare fino al giorno del giudizio.

Innocenzo III fu uno dei più grandi Pontefici che cinsero la somma tiara. Ebbe uno zelo ardentissimo per la gloria di Dio e la salute delle anime e compì opere meravigliose. Riunì il concilio Lateranense, si adoperò per la riforma della Chiesa, fece fronte ai disordini dei principi dell'Europa con la fermezza del Battista, rivolgendo al tempo stesso le sue cure all'Oriente.

Dopo la morte apparve a santa Lutgarda, tutto avvolto nelle fiamme, e le disse che era condannato al purgatorio, fino al giorno del giudizio per alcune colpe commesse.

Il cardinale Bellarmino diceva di rabbrividire ogni volta che pensava a questo fatto; e ne deduceva salutari conseguenze. 
« Se un Pontefice, diceva, così degno di encomio e che passa per santo agli cechi degli uomini, si trova sottoposto ai più orribili tormenti del purgatorio sino alla fine del mondo, che cosa mai sarà riserbato agli altri ecclesiastici, religiosi e fedeli? Chi non tremerà da capo a piedi e non andrà a scrutare gli intimi penetrali del suo cuore, per scacciarne gli attacchi più lievi ed i difetti anche più insignificanti? ».

Negli atti di santa Perpetua, scritti in gran parte dalla Santa mentre era in prigione e che sono una splendida testimonianza della credenza del Purgatorio nel terzo secolo della Chiesa, si legge che vide il suo fratellino Dinocrate, morto all'età di sette anni, per un cancro orribile che gli corrose tutto il volto, penare in quel carcere tenebroso. E vi stette lungo tempo perchè Perpetua si dimenticò di pregare per lui. Consideriamo il fatto. E' un fanciullo appena settenne, allevato santamente, che fece lunga penitenza in vita con quel cancro che lo rendeva oggetto di orrore a quanti lo avvicinavano; eppure è condannato nel Purgatorio, finché la sorella non prega per lui. E soffriva atrocemente, poichè le apparve in luogo tenebroso, arso dalla sete, e colla faccia tuttora corrosa dall'ulcera di cui perì. Vicino aveva una vasca d'acqua freschissima, con l'orlo più alto della. sua persona. Tentava l'infelice di arrivarvi, per saziare la sete che lo struggeva, ma non vi riusciva mai per la bassezza della statura.

S. Agostino, vent'anni dopo la morte della santa madre Monica, scrivendo le Confessioni, scongiura i lettori di pregare per lei; ed egli stesso rivolge a Dio una prece commoventissima che strappa le lacrime. Adunque dopo quattro lustri il grande Dottore temeva ancora che la, sua santa genitrice fosse in Purgatorio. Qual lezione per noi che dimentichiamo così presto i nostri trapassati e sentiamo così poco i rigori della giustizia divina!

La pia contessa Matilde era così penetrata da tali sentimenti che, alla morte di suo marito, ordinò un milione di Messe, oltre alle sue preghiere e mortificazioni ed alle generose elemosine elargite ai poverelli ed ai monasteri.

Nella vita del beato Ugone si legge che un monaco fu condannato al Purgatorio per cinquant'anni: vi stette quaranta e poi Dio gli permise di apparire per domandar suffragi. Presso il Maggiolo (Par. I Dierum canicularium, colloq. 2) si legge che un'anima passeggiava e metteva gran rumore dentro un castello, gridando ad alta voce che le erano toccati mille anni di Purgatorio orribìle.

Nelle lettere annue della Compagnia di Gesù del 1597 si trova che un giovane, modello di virtù, di nome Celso Finetti, che in morte fu onorato da una visita di Maria SS. e predisse a sè e ad un altro l'ora del trapasso, venne condannato a quatto anni di Purgatorio. Un altro pure di santa vita, ne ebbe quattordici. Eppure nella Compagnia, come in generale tutti gli Ordini, si usano fare infiniti suffragi, Messe, Comunioni, rosari, uffizi e penitenze.

Narra il Padre Rossignoli nelle Meraviglie sul Purgatorio, che un pittore in tempo di sua gioventù si lasciò trascinare dal cattivo esempio; e pressato vivamente da un signore, dipinse un quadro in cui vi era qualche nudità.

Più tardi si pentì di quell'opera che poteva essere di scandalo alle anime e si pose a riparare al mal fatto col dipingere unicamente immagini sacre, proprie ad accendere la devozione. L'ultimo suo lavoro fu un grande quadro, che donò gratuitamente alla chiesa dei Carmelitani, affinchè i frati celebrassero messe in suffragio dell'anima sua, quando Dio lo avesse chiamato agli eterni riposi.

Infatti poco dopo si addormentò placidamente nel bacio del Crocifisso, pieno di fiducia in quella misericordia che volentieri perdona e fu sepolto nella chiesa dei medesimi Carmelitani. Tutti avevano una dolce fiducia che fosse salito presto alla gloria eterna, perchè la sua vita negli ultimi anni era stata veramente edificante. Ma quanto non sono diversi i giudizi di Dio! Qualche giorno dopo che era stata chiusa la sua tomba, un religioso rimasto in coro dopo il mattutino se lo vide comparire innanzi, tutto avvolto nelle fiamme. Spaventato il Carmelitano gli domandò se egli era il buon pittore morto poc'anzi, e come mai si trovasse tra quelle pene.
Allora l'infelice, traendo un gran sospiro, disse che al tribunale di Dio molte anime scandalizzate da quel quadro dipinto in sua gioventù, avevano deposto contro di lui e che Dio l'aveva condannato ad ardere nel Purgatorio tra tormenti indicibili, finchè quella pittura non fosse distrutta. Lo supplicava quindi di recarsi dal proprietario ed indurlo a gettare sul fuoco il quadro, annunciandogli al tempo stesso, che in pena di averlo sollecitato a dipingere quella figura, Dio gli avrebbe tolto con morte prematura i suoi due figli.

Si affrettò il religioso ad obbedire. Il signore bruciò all'istante la tela; ma ciò, nonostante si vide, nel breve giro di un mese, morire i suoi cari figli. Allora si pose a far penitenza del fallo commesso nell'ordinare e conservare il dipinto, finché ebbe vita.
AMDG et BVM

SAN BRUNO: "Abito nel deserto con dei fratelli" // Santa Margherita d'Oingt con il suo libro e il suo specchio...

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Aula Paolo VI
Mercoledì, 3 novembre 2010
 
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Margherita d'Oingt

Cari fratelli e sorelle,

con Margherita d'Oingt, di cui vorrei parlarvi oggi,  siamo introdotti nella spiritualità certosina, che si ispira alla sintesi evangelica vissuta e proposta da san Bruno. Non ci è nota la sua data di nascita, benché qualcuno la collochi intorno al 1240. Margherita proviene da una potente famiglia di antica nobiltà del Lionese, gli Oingt. Sappiamo che la madre si chiamava pure Margherita, che aveva due fratelli - Guiscardo e Luigi - e tre sorelle: Caterina, Isabella e Agnese. Quest’ultima la seguirà in monastero, nella Certosa, succedendole poi come priora.
Non abbiamo notizie circa la sua infanzia, ma dai suoi scritti possiamo intuire che sia trascorsa tranquilla, in un ambiente familiare affettuoso. Infatti, per esprimere l’amore sconfinato di Dio, ella valorizza molto immagini legate alla famiglia, con particolare riferimento alle figure del padre e della madre. In una sua meditazione prega così: “Bel dolce Signore, quando penso alle speciali grazie che mi hai fatto per tua sollecitudine: innanzi tutto, come mi hai custodita fin dalla mia infanzia, e come mi hai sottratta dal pericolo di questo mondo e mi hai chiamata a dedicarmi al tuo santo servizio, e come mi hai provvista in tutte quelle cose che mi erano necessarie per mangiare, bere, vestire e calzare, (e lo hai fatto) in tal modo che non ho avuto occasione di pensare in tutte queste cose che alla tua grande misericordia” (Margherita d’Oingt, Scritti spirituali, Meditazione V, 100, Cinisello Balsamo 1997, p. 74).

Sempre dalle sue meditazioni, intuiamo che entrò nella Certosa di Poleteins in risposta alla chiamata del Signore, lasciando tutto e accettando la severa regola certosina, per essere totalmente del Signore, per stare sempre con Lui.
Ella scrive: “Dolce Signore, io ho lasciato mio padre e mia madre e i miei fratelli e tutte le cose di questo mondo per tuo amore; ma questo è pochissimo, poiché le ricchezze di questo mondo non sono che spine pungenti; e chi più ne possiede più è sfortunato. E per questo mi sembra di non aver lasciato altro che miseria e povertà; ma tu sai, dolce Signore, che se io possedessi mille mondi e potessi disporne a mio piacimento, abbandonerei tutto per amore tuo; e quand'anche tu mi dessi tutto ciò che possiedi in cielo e in terra, non mi riterrei appagata finché non avessi te, perché tu sei la vita dell'anima mia, né ho né voglio avere padre e madre fuori di te” (ibid., Meditazione II, 32, p. 59).

Anche della sua vita nella Certosa possediamo pochi dati. Sappiamo che nel 1288 ne divenne la quarta priora, incarico che mantenne fino alla morte, avvenuta l’11 febbraio 1310. Dai suoi scritti, comunque, non emergono particolari svolte nel suo itinerario spirituale. Ella concepisce tutta la vita come un cammino di purificazione fino alla piena configurazione a Cristo. Cristo è il Libro che va scritto, va inciso quotidianamente nel proprio cuore e nella propria vita, in particolare la sua passione salvifica. Nell’opera Speculum, Margherita, riferendosi a se stessa in terza persona, sottolinea che per grazia del Signore “aveva inciso nel suo cuore la santa vita che Dio Gesù Cristo condusse sulla terra, i suoi buoni esempi e la sua buona dottrina. Ella aveva messo così bene il dolce Gesù Cristo nel suo cuore che le sembrava perfino che questi le fosse presente e che tenesse un libro chiuso nella sua mano, per istruirla” (ibid., I, 2-3, p. 81). “In questo libro ella trovava scritta la vita che Gesù Cristo condusse sulla terra, dalla sua nascita all'ascesa al cielo” (ibid., I, 12, p. 83).

Quotidianamente, fin dal mattino, Margherita si applica allo studio di questo libro. E, quando l’ha ben guardato, inizia a leggere nel libro della propria coscienza, che rivela le falsità e le menzogne della sua vita (cfr ibid., I, 6-7, p. 82); scrive di sé per giovare agli altri e per fissare più profondamente nel proprio cuore la grazia della presenza di Dio, per far sì, cioè, che ogni giorno la sua esistenza sia segnata dal confronto con le parole e le azioni di Gesù, con il Libro della vita di Lui. E questo perché la vita di Cristo sia impressa nell’anima in modo stabile e profondo, fino a poter vedere il Libro all’interno, ossia fino a contemplare il mistero di Dio Trinità (cfr ibid., II, 14-22; III, 23-40, p. 84-90).

Attraverso i suoi scritti, Margherita ci offre qualche spiraglio sulla sua spiritualità, permettendoci di cogliere alcuni tratti della sua personalità e delle sue doti di governo. È una donna molto colta; scrive abitualmente in latino, la lingua degli eruditi, ma scrive pure in franco provenzale e anche questo è una rarità: i suoi scritti sono, così, i primi, di cui si ha memoria, redatti in questa lingua. Vive un’esistenza ricca di esperienze mistiche, descritte con semplicità, lasciando intuire l’ineffabile mistero di Dio, sottolineando i limiti della mente nell’afferrarlo e l’inadeguatezza della lingua umana nell’esprimerlo. Ha una personalità lineare, semplice, aperta, di dolce carica affettiva, di grande equilibrio e acuto discernimento, capace di entrare nelle profondità dello spirito umano, di coglierne i limiti, le ambiguità, ma pure le aspirazioni, la tensione dell’anima verso Dio. Mostra una spiccata attitudine al governo, coniugando la sua profonda vita spirituale mistica con il servizio alle sorelle e alla comunità. In questo senso è significativo un passo di una lettera a suo padre: “Mio dolce padre, vi comunico che mi trovo tanto occupata a causa dei bisogni della nostra casa, che non mi è possibile applicare lo spirito in buoni pensieri; infatti ho tanto da fare che non so da quale lato girarmi. Noi non abbiamo raccolto grano nel settimo mese dell'anno e i nostri vigneti sono stati distrutti dalla tempesta. Inoltre, la nostra chiesa si trova in così cattive condizioni che siamo obbligati in parte a rifarla” (ibid., Lettere, III, 14, p. 127).

Una monaca certosina delinea così la figura di Margherita: “Attraverso la sua opera ci rivela una personalità affascinante, dall’intelligenza viva, orientata verso la speculazione e, allo stesso tempo, favorita da grazie mistiche: in una parola, una donna santa e saggia che sa esprimere con un certo umorismo un’affettività tutta spirituale” (Una Monaca Certosina, Certosine, in Dizionario degli Istituti di Perfezione, Roma 1975, col. 777).

Nel dinamismo della vita mistica, Margherita valorizza l’esperienza degli affetti naturali, purificati dalla grazia, quale mezzo privilegiato per comprendere più profondamente ed assecondare con più prontezza e ardore l'azione divina. Il motivo risiede nel fatto che la persona umana è creata ad immagine di Dio, e perciò è chiamata a costruire con Dio una meravigliosa storia d’amore, lasciandosi coinvolgere totalmente dalla sua iniziativa.

Il Dio Trinità, il Dio amore che si rivela nel Cristo l’affascina, e Margherita vive un rapporto di amore profondo verso il Signore e, per contrasto, vede l’ingratitudine umana fino alla viltà, fino al paradosso della croce. Ella afferma che la croce di Cristo è simile alla tavola del parto. Il dolore di Gesù sulla croce è paragonato a quello di una madre. Scrive: “La madre che mi portò in grembo, soffrì fortemente, nel darmi alla luce, per un giorno o per una notte, ma tu, bel dolce Signore, per me sei stato tormentato non una notte o un giorno soltanto ma per più di trent'anni […]; quanto amaramente hai patito a causa mia per tutta la vita! E allorché giunse il momento del parto, il tuo travaglio fu tanto doloroso che il tuo santo sudore divenne come gocce di sangue che scorrevano per tutto il tuo corpo fino a terra” (ibid., Meditazione I, 33, p. 59).

Margherita, evocando i racconti della Passione di Gesù, contempla questi dolori con profonda compassione: “Tu sei stato deposto sul duro letto della croce, in modo tale da non poterti muovere o girare o agitare le tue membra così come suol fare un uomo che patisce un grande dolore, poiché sei stato completamente steso e ti sono stati conficcati i chiodi […] e […] sono stati lacerati tutti i tuoi muscoli e le tue vene. […] Ma tutti questi dolori […] ancora non ti bastavano, tanto che volesti che il tuo fianco venisse squarciato dalla lancia così crudelmente da far sì che il  tuo docile corpo fosse del tutto arato e straziato; e il tuo prezioso sangue sgorgava con tanta violenza da formare una larga strada, quasi fosse un grande ruscello”. Riferendosi a Maria afferma: “Non c'era da meravigliarsi che la spada che ti ha spezzato il corpo sia anche penetrata nel cuore della tua gloriosa madre che tanto amava sostenerti […] poiché il tuo amore è stato superiore a tutti gli altri amori” (ibid., Meditazione II, 36-39.42, p 60s).

Cari amici, Margherita d’Oingt ci invita a meditare quotidianamente la vita di dolore e di amore di Gesù e quella di sua Madre, Maria. Qui è la nostra speranza, il senso del nostro esistere. Dalla contemplazione dell’amore di Cristo per noi nascono la forza e la gioia di rispondere con altrettanto amore, mettendo la nostra vita a servizio di Dio e degli altri. Con Margherita diciamo anche noi: “Dolce Signore, tutto ciò che hai compiuto, per amore mio e di tutto il genere umano, mi provoca ad amarti, ma il ricordo della tua santissima passione dona un vigore senza eguali alla mia potenza d'affetto per amarti. E’ per questo che mi sembra […] di aver trovato ciò che ho così tanto desiderato: non amare niente altro che te o in te o per amore tuo” (ibid., Meditazione II, 46, p. 62).

A prima vista questa figura di certosina medievale, come pure tutta la sua vita, il suo pensiero, appaiono molto lontani da noi, dalla nostra vita, dal nostro modo di pensare e di agire. Ma se guardiamo all'essenziale di questa vita, vediamo che tocca anche noi e dovrebbe divenire essenziale anche nella nostra esistenza.

Abbiamo sentito che Margherita ha considerato il Signore come un libro, ha fissato lo sguardo sul Signore, lo ha considerato come uno specchio nel quale appare anche la propria coscienza. E da questo specchio è entrata luce nella sua anima: ha lasciato entrare la parola, la vita di Cristo nel proprio essere e così è stata trasformata; la coscienza è stata illuminata, ha trovato criteri, luce ed è stata pulita.
Proprio di questo abbiamo bisogno anche noi: lasciare entrare le parole, la vita, la luce di Cristo nella nostra coscienza perché sia illuminata, capisca ciò che è vero e buono e ciò che è male; che sia illuminata e pulita la nostra coscienza. La spazzatura non c'è solo in diverse strade del mondo. C'è spazzatura anche nelle nostre coscienze e nelle nostre anime. È solo la luce del Signore, la sua forza e il suo amore che ci pulisce, ci purifica e ci dà la retta via. Quindi seguiamo santa Margherita in questo sguardo verso Gesù. Leggiamo nel libro della sua vita, lasciamoci illuminare e pulire, per imparare la vera vita. Grazie.

AMDG et BVM

IL TUO VOLTO, SIGNORE, IO CERCO. NON NASCONDERMI IL TUO VOLTO


Preghiera al Volto Santo
"Signore Gesù,
come già i primi apostoli,
ai quali dicesti: "Che cercate?",
ed accolsero il tuo invito: "Venite e vedrete",
riconoscendoti come il Figlio di Dio,
l'atteso e promesso Messia per la redenzione del mondo,
anche noi, discepoli tuoi di questo difficile tempo,
vogliamo seguirti ed esserti amici,
attratti dal fulgore del tuo volto desiderato e nascosto.

Mostraci, ti preghiamo, il tuo volto sempre nuovo,
misterioso specchio dell'infinita misericordia di Dio.
Lascia che lo contempliamo
con gli occhi della mente e del cuore:
volto del Figlio, irradiazione della gloria del Padre
e impronta della sua sostanza (cf Eb 1,3),
volto umano di Dio entrato nella storia
per svelare gli orizzonti dell'eternità.

Volto silenzioso di Gesù sofferente e risorto,
che amato ed accolto cambia il cuore e la vita.
"Il tuo volto, Signore, io cerco.
Non nascondermi il tuo volto" (Sal 27,8s).
Nel corso di secoli e millenni quante volte è risuonata
tra i credenti questa struggente invocazione del Salmista!

Signore, anche noi la ripetiamo con fede:
"Uomo dei dolori, davanti a cui ci si copre la faccia"(Is 53,3),
non nasconderci il tuo volto!
Vogliamo attingere dai tuoi occhi,
che ci guardano con tenerezza e compassione,
la forza di amore e di pace che ci indichi la strada della vita,
ed il coraggio di seguirti senza timori e compromessi,
per diventare testimoni del tuo Vangelo,
con gesti concreti di accoglienza, di amore e di perdono.

Volto Santo di Cristo,
luce che rischiara le tenebre del dubbio e della tristezza,
vita che ha sconfitto per sempre il potere del male e della morte,
sguardo misterioso
che non cessa di posarsi sugli uomini e i popoli,
volto celato nei segni eucaristici
e negli sguardi di coloro che ci vivono accanto,
rendici pellegrini di Dio in questo mondo,
assetati d'infinito e pronti all'incontro dell'ultimo giorno,
quando ti vedremo, Signore, "faccia a faccia" (1 Cor 13,12),
e potremo contemplarti in eterno nella gloria del Cielo.

Maria, Madre del Volto Santo,
aiutaci ad avere "mani innocenti e cuore puro",
mani illuminate dalla verità dell'amore
e cuori rapiti dalla bellezza divina,
perché, trasformati dall'incontro con Cristo,
ci doniamo senza riserve ai fratelli,
specialmente ai poveri e ai sofferenti,
nei cui volti riluce l'arcana presenza
del tuo Figlio Gesù,
che vive e regna nei secoli dei secoli.
Amen!"
AMDG et BVM

TESORO NASCOSTO


Preghiera
alla Piaga della guancia destra di Gesù 

«Dolce Gesù, Signor mio, contemplando il Tuo Volto sfigurato dall’odio, m’appare chiara tutta quanta la tribolazione nella quale gli uomini sono immersi!

Oggi Tu mi chiami con l’espressione del patimento, che miro nella Tua Faccia sporcata, vituperata e tumefatta dalla violenza, che non ha tregua.

Ecco, io misera quale sono, vedo dinanzi a me un altro segno della Tua ricchezza, con cui vuoi guarire il mondo: la piaga della guancia destra.

Qua si è fermato il mio sguardo, si è fatta silente ogni ansia interiore, si è dissetato l’umano mio ricercare e ha ripreso forza la mia debole umanità. 

O preziosissima Piaga, che emani il desiderio divino di offrire alle creature amore, perdono e guarigione, dammi inalterabile pazienza davanti al cammino santificante della prova, che debbo affrontare! 

Rammentando il dolore patito per la dolorosissima bastonata sul Tuo zigomo roseo e virgineo, scaturisce in me un’inesauribile desiderio di seguirTi, perseverando alla Tua sequela. 

O Amore non amato, permetti che, mediante tal Piaga sconosciuta, io mi chini a raccogliere nell’anima il Sangue Divino da essa scaturito.

Liberami da ogni colpa, che proviene fin dalla settima generazione!
Purificami nel linguaggio inculcato dalla logica della materia!
Guariscimi nei pensieri e nei ricordi, che continuano a sconvolgere la mia mente a causa dei peccati commessi.

 O Gesù adorato, grazie per avermi rivelato tutto il tesoro nascosto nella venerazione a questa Piaga, che mi è dolce onorare, ogni giorno della mia vita, come segno della Tua presenza viva e operante nella Chiesa.

Ora abbasso gli occhi, ti bacio perché ho perfetta fiducia nelle Tue promesse e Ti dico: Come Tu vuoi, dove Tu vuoi, quando Tu vuoi visitami con la Tua Passione, con la Tua Potenza, con la Tua Gloria. Amen.»


Gesù: «Io non ho preferenze: vi amo tutti e piango per le vostre condizioni che vi hanno tolto la dignità, che è regale» (25.8.1998).
AMDG et BVM