mercoledì 4 ottobre 2017

San Francesco - Cantico e film

CANTICO DELLE CREATURE
Altissimu, onnipotente, bon Signore,
Tue so' le laude, la gloria 
e l'honore et onne benedizione.
Ad Te solo, Altissimo, se konfane,
e nullu homo ène dignu Te mentovare.

Laudato si', mi' Signore, 
cum tutte le Tue creature,
spezialmente messor lo frate Sole,
lo qual è iorno 
et allumini noi per lui.
Et ellu è bellu e radiante 
cum grande splendore:
de Te, Altissimo, porta significazione.

Laudato si', mi' Signore, 
per sora Luna e le stelle:
in celu l'ai formate 
clarite e preziose e belle.

Laudato si', mi' Signore, 
per frate Vento
e per aere e nubilo 
e sereno e onne tempo,
per lo quale a le Tue creature 
dai sustentamento.

Laudato si', mi' Signore, 
per sor'Acqua,
la quale è multo utile et humile 
e preziosa e casta.

Laudato si', mi' Signore, 
per frate Focu,
per lo quale ennallumini la notte:
et ello è bello e iocundo 
e robustoso e forte.

Laudato si', mi' Signore, 
per sora nostra matre Terra,
la quale ne sustenta e governa,
e produce diversi frutti con coloriti fiori et herba.

Laudato si', mi' Signore,
per quelli ke perdonano per lo Tuo amore
e sostengo infirmitate e tribulazione.
Beati quelli ke 'l sosterrano in pace,
ka da Te, Altissimo, sirano incoronati.
Laudato si', mi' Signore,
per sora nostra Morte corporale,
da la quale nullu homo vivente po' skappare:
guai a quelli ke morrano ne le peccata mortali;
beati quelli ke trovarà ne le Tue santissime voluntati,
ka la morte secunda no 'l farrà male.

Laudate e benedicete mi' Signore et rengraziate
e serviateli cum grande humilitate.
Il film non è tutto oro, ma è di aiuto abbastanza


AMDG et BVM

TRE FIGURE LUMINOSE che ci danno un pregustamento di Cielo

Papa Paolo VI
nella Esortazione "Gaudete in Domino" del 9 maggio 1975 ci dice:


...Ma noi vogliamo ricordare in modo più marcato tre figure, che ancora oggi attirano moltissimo l'insieme del popolo cristiano. 

E anzitutto il Poverello d'Assisi, sulle cui tracce si sforzano di mettersi numerosi pellegrini dell'Anno Santo. Avendo abbandonato tutto per il Signore, egli, grazie a madonna povertà, ricupera qualcosa, si può dire, della beatitudine primordiale, quando il mondo uscì, intatto, dalle mani del Creatore. Nella spogliazione estrema, ormai quasi cieco, egli poté cantare l'indimenticabile Cantico delle creature, la lode di frate sole, della natura intera, divenuta per lui come trasparente, specchio immacolato della gloria divina, e perfino la gioia davanti alla venuta di «sora nostra morte corporale»: «Beati quilli ke se trovarà ne le tue sanctissime voluntati». 


In tempi più vicini a noi, santa Teresa di Lisieux ci mostra la via coraggiosa dell'abbandono nelle mani di Dio, al quale essa affida la propria piccolezza. Ma non per questo essa ignora il sentimento dell'assenza di Dio, cosa di cui il nostro secolo, a suo modo, fa la dura esperienza: «Talvolta all'uccellino (a cui essa si paragona) sembra di credere che non esista altra cosa all'infuori delle nuvole che l'avvolgono . . . È quello il momento della gioia perfetta per il povero debole esserino . . . Che gioia per lui restarsene là malgrado tutto, fissare la luce invisibile che si nasconde alla sua fede» (53). 




Infine come non ricordare, immagine luminosa per la nostra generazione, l'esempio del beato [ora San] Massimiliano Maria Kolbe, genuino discepolo di san Francesco? Durante le prove più tragiche, che insanguinarono la nostra epoca, egli si offrì spontaneamente alla morte per salvare un fratello sconosciuto; e i testimoni ci riferiscono che il luogo di sofferenze, ch'era di solito come un'immagine dell'inferno, fu in qualche modo cambiato, per i suoi infelici compagni come per lui stesso, nell'anticamera della vita eterna dalla sua pace interiore, dalla sua serenità e dalla sua gioia. 


Nella vita dei figli della Chiesa, questa partecipazione alla gioia del Signore non si può dissociare dalla celebrazione del mistero eucaristico, ov'essi sono nutriti e dissetati dal suo Corpo e dal suo Sangue. Di fatto, in tal modo sostenuti, come dei viandanti sulla strada dell'eternità, essi già ricevono sacramentalmente le primizie della gioia escatologica. 




Collocata in una prospettiva simile, la gioia ampia e profonda, che fin da quaggiù si diffonde nel cuore dei veri fedeli, non può che apparire «diffusiva di sé», proprio come la vita e l'amore, di cui essa è un sintomo felice. Essa risulta da una comunione umano-divina, e aspira a una comunione sempre più universale. 

In nessun modo potrebbe indurre colui che la gusta ad una qualche attitudine di ripiegamento su di sé, Essa dà al cuore un'apertura cattolica sul mondo degli uomini, mentre gli fa sentire, come una ferita, la nostalgia dei beni eterni. Nei fervorosi, essa approfondisce la consapevolezza della loro condizione di esiliati, ma li salva altresì dalla tentazione di disertare il proprio posto di combattimento per l'avvento del Regno. Essa fa loro attivamente affrettare il passo verso la consumazione celeste delle Nozze dell'Agnello. Essa è in serena tensione tra l'istante della fatica terrena e la pace della Dimora eterna, conforme alla legge di gravità propria dello Spirito: «Se dunque, già fin d'ora, noi gridiamo "Abba, Padre!" perché abbiamo ricevuto questi pegni (dello Spirito di figli), che cosa sarà mai, quando, risuscitati, noi lo vedremo a faccia a faccia? Quando tutte le membra, a ondate riversantisi, faranno sgorgare un inno di esultanza, glorificando Colui che le avrà risuscitate dai morti e gratificate dell'eterna vita? Di fatto, se semplici pegni, avvolgono in se stessi l'uomo da tutte le parti, Io fanno esclamare: "Abba, Padre!", che cosa non farà mai la grazia completa dello Spirito, quando sarà data definitivamente da Dio agli uomini? Essa ci renderà simili a lui e compirà la volontà del Padre, perché renderà l'uomo a immagine e somiglianza di Dio» [Sant'Ireneo]. 

Fin da quaggiù, i santi ci danno un pregustamento di questa somiglianza.
AMDG et BVM

martedì 3 ottobre 2017

Salve Regina



[5] Maria è l'eccellente capolavoro dell'Altissimo, che se ne riservò la conoscenza e il possesso. Maria è la madre mirabile del Figlio, che prese piacere ad umiliarla e nasconderla nel corso della vita per assecondarne l'umiltà chiamandola donna (5), come un'estranea, quantunque la stimasse e l'amasse nel suo cuore al di sopra di tutti gli angeli e gli uomini. Maria è la fonte sigillata (6) e la Sposa fedele dello Spirito Santo, dove lui solo può entrare. Maria è il santuario e il riposo della santa Trinità, dove Dio Si trova in modo magnifico e divino più che in qualsiasi altro luogo dell'universo, non eccettuata la sua dimora sui cherubini e serafini. A nessuna creatura, anche se purissima, è permesso entrarvi senza uno speciale privilegio. 

[6] Affermo con i Santi che la divina Maria è il paradiso terrestre del nuovo Adamo (7), dove questi si è incarnato per opera dello Spirito Santo per compiervi imperscrutabili meraviglie. È il mondo di Dio, grande e divino, dove si trovano bellezze e tesori ineffabili. 

È la magnificenza dell'Altissimo (8), dove questi nascose, come nel proprio seno, il suo unico Figlio, ed in lui tutto quanto egli ha di eccellente e di più prezioso. Oh! quante cose grandi e nascoste ha fatto Dio onnipotente in questa creatura mirabile, come lei stessa dovette ammettere nonostante la sua profonda umiltà:“Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente” (9). Il mondo non le conosce, perché ne è incapace e indegno


AVE MARIA PURISSIMA!

Educ de custodia animam meam. Salmo 141


Lettura 4
San Francesco nato in Assisi nell'Umbria, seguendo l'esempio del padre, giovanetto si diede al commercio. Un giorno che un povero gli domandava l'elemosina per amor di Cristo, egli, contro l'usato, lo respinse, ma subito turbato da questo rifiuto, gli fece poi un'abbondante elemosina; e da quel giorno promise a Dio di non negare mai più l'elemosina a chi gliene domandasse. Qualche tempo dopo cadde gravemente infermo, e, appena guarito, si dedicò con più ardore agli uffici della carità; nel Quale esercizio fece sì grandi progressi, che, desideroso della perfezione evangelica, distribuiva ai poveri quanto aveva. Il padre mal soffrendo questa cosa, lo condusse dal vescovo d'Assisi, affinché davanti a lui rinunziasse ai beni patrimoniali; ed egli, spogliatosi anche delle vesti, rinunziò tutto al padre, dicendo che quindinnanzi avrebbe avuto un motivo di più per ripetere: Padre nostro, che sei nei cieli.


Lettura 5
Avendo udito quelle parole del Vangelo: «Non tenete né oro, né argento o moneta nelle vostre borse, né sacca da viaggio, né due vesti, né scarpe» Matth. 10,9; prese questo passo come regola della sua vita. Pertanto, toltesi le scarpe e contentandosi d'una sola tonaca, unitosi con dodici compagni, istituì l'ordine dei Minori. Quindi l'anno della salute 1209 si portò a Roma, perché la santa Sede confermasse la regola del suo ordine. Il sommo Pontefice Innocenzo III dapprima respinse la sua domanda; ma poi avendo visto in sogno colui che aveva respinto sostenere colle sue spalle la basilica Lateranense vacillante, lo fece cercare, l'accolse con bontà, e ne confermò la regola. Così Francesco inviò i suoi frati a predicare il Vangelo di Cristo in tutte le parti del mondo, e lui stesso che ambiva un'occasione d'essere martirizzato, navigò in Siria; dove fu ricevuto dal sultano con ogni riguardo, ma non ottenendo lo scopo, ritornò in Italia.



Lettura 6
Dopo aver costruito molte case del suo istituto, si ritirò nella solitudine sul monte dell'Alvernia; dove intrapreso un digiuno di quaranta giorni in onore di san Michele Arcangelo, il giorno della festa dell'Esaltazione della santa Croce, gli apparve un Serafino recante fra le ali l'immagine del Crocifisso; il quale gli impresse nelle mani, ai piedi e al costato le stimmate dei chiodi. 
E san Bonaventura afferma nelle sue lettere d'aver inteso Papa Alessandro IV dichiarare in un discorso di averle viste. Siffatte testimonianze dell'immenso amore di Cristo per lui, eccitarono sommamente l'ammirazione di tutti. 
Due anni dopo, sentendosi gravemente infermo, volle farsi portare nella chiesa di santa Maria degli Angeli, affine di rendere l'ultimo soffio di vita là dove aveva ricevuto da Dio la vita della grazia. In questo luogo esortati i frati a osservare la povertà, la pazienza e la fede di santa Chiesa Romana, mentre recitava il Salmo: «Colla mia voce ho gridato al Signore» Ps. 141,2, a quel verso: «I giusti m'aspettano, finché tu mi retribuisca» Ps. 141,8, spirò l'anima ai vespri del sabato 3 di ottobre 1226. Illustrato da numerosi miracoli, il sommo Pontefice Gregorio IX l'iscrisse nel catalogo dei Santi.

V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.
*

Lettura 7
Lettura del santo Vangelo secondo Matteo
Matt 11:25-30
In quell'occasione: Gesù prese a dire: Ti ringrazio, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti, e le hai rivelate ai piccoli. Eccetera.

Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Sermone 10 sulle Parole del Signore
" Venite a me, voi tutti che siete affaticati " Matth. 11, 18
E perché difatti siamo tutti affaticati se non perché siamo uomini mortali, fragili, infermi, che portiamo vasi di terra, causa mutua per noi di mille ansietà? Ma, se i vasi di carne ci tengono allo stretto, dilatiamo in noi gli spazi della carità. Perché dunque dice : " Venite a me, voi tutti che siete affaticati ", se non perché non ci affatichiamo più? Infine ecco subito la sua promessa ; avendo chiamato gli affaticati, essi domanderanno forse per qual mercede li ha chiamati. " Ed io, dice, vi ristorerò " : " Prendete su di voi il mio giogo. e imparate da me "  non a fabbricare il mondo, non a creare tutto il visibile e l'invisibile, non a fare dei miracoli in questo mondo, né a risuscitare i morti, ma :  " ad essere dolci e umili di cuore "  (Matth. 11, 29).

Lettura 8
Vuoi essere grande? comincia ad essere piccolo. Pensi di fabbricare un edificio assai elevato? pensa prima al fondamento dell'umiltà. Più uno vuole innalzare un edificio, più questa edificio sarà importante, e più profonde ne scava le fondamenta. E la fabbrica che si costruisce, poi si solleva in alto; ma chi ne scava le fondamenta si abbassa. L'edificio dunque prima di essere innalzato è basso nel suolo, e non se ne innalza la vetta se non dopo questa abbassamento.

Lettura 9
Quale è l'altezza dell'edificio che intraprendiamo a costruire? fin dove giungerà la cima di questo edificio? Lo dico subito, fino al cospetto di Dio. Vedete quant'è alto, quanto sublime vedere Dio. Chi lo desidera, comprende quel che dico e quel che ascolta. Ci si promette la visione di Dio, del vero Dio, del sommo Dio. Infatti questo è il vero bene, vedere colui che ci vede. Poiché quelli che adorano i falsi dèi, li vedono facilmente ; ma vedono degli dèi che hanno occhi e non vedono. A noi invece si promette la visione del Dio che vive e vede.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Oratio {ex Proprio Sanctorum}
V. Dómine, exáudi oratiónem meam.
R. Et clamor meus ad te véniat.
Orémus
Deus, qui Ecclésiam tuam beáti Francísci méritis fœtu novæ prolis amplíficas: tríbue nobis; ex ejus imitatióne, terréna despícere, et cæléstium donórum semper participatióne gaudére.
Per Dóminum nostrum Jesum Christum, Fílium tuum: qui tecum vivit et regnat in unitáte Spíritus Sancti Deus, per ómnia sǽcula sæculórum.
R. Amen.
29
Orazione {dal Proprio dei Santi}
V. O Signore, esaudisci la mia preghiera.
R. E il mio grido giunga fino a Te.
Preghiamo
O Dio, che per i meriti del beato Francesco hai arricchito la tua Chiesa d'una nuova famiglia: concedici, che, a sua imitazione, disprezziamo le cose terrene, e godiamo sempre della partecipazione dei doni celesti.
Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.

Salmo 141
Maskil. Di Davide. Quando era nella caverna. Preghiera
 
Con la mia voce grido al Signore, 
con la mia voce supplico il Signore;

davanti a lui sfogo il mio lamento, 
davanti a lui espongo la mia angoscia,

mentre il mio spirito viene meno. 
Tu conosci la mia via:
nel sentiero dove cammino
mi hanno teso un laccio.

Guarda a destra e vedi:
nessuno mi riconosce.
Non c'è per me via di scampo, 
nessuno ha cura della mia vita.

Io grido a te, Signore!
Dico: “Sei tu il mio rifugio,
sei tu la mia eredità nella terra dei viventi”.

Ascolta la mia supplica
perché sono così misero!
Liberami dai miei persecutori 
perché sono più forti di me.

Fa uscire dal carcere la mia vita,
perché io renda grazie al tuo nome;
i giusti mi faranno corona
quando tu mi avrai colmato di beni.

Commento

La tradizione presenta questo salmo come scritto da Davide mentre era nella spelonca di Adullàm (1Sam 21,1-22,1).
Effettivamente il salmo presenta un uomo nell'angoscia più profonda, con lo spirito che gli viene meno. Il cammino della sua vita è insidiato come da un laccio nascosto pronto a scattare alla minima mossa imprudente. E' braccato e solo Dio sa quale sarà la via d'uscita. La sua vita è paralizzata come dentro un carcere. Non ha nessuno a sua difesa, proprio come Davide nella caverna di Adullàm. Egli tuttavia sa che quando sarà cessato l'incubo della persecuzione sarà riconosciuto nella sua autorità: “i giusti mi faranno corona”.
Davide, unto re da Samuele, ha la missione di soppiantare Saul sul trono di Israele, senza colpirlo, senza ucciderlo, altrimenti non avrebbe unificato attorno a sé Israele, poiché sarebbe stato giudicato un usurpatore. La fine della persecuzione coinciderà con la morte di Saul per mano dei Filistei. Davide allora arriverà alla regalità su Giuda e poi alla regalità su  tutto Israele.
La strada di Davide è quella di ogni cristiano, che deve portare avanti la sua missione senza mai creare delle divisioni per sua colpa.
I nostri persecutori sono innanzitutto i demoni (Cf. Ef 6,12).
Anche a noi, in cielo, i giusti ci faranno corona, poiché tutti faranno corona ad uno, come ognuno farà corona insieme agli altri per ognuno. Sarà la comunione dei santi nel suo compimento glorioso in cielo.

AMDG et BVM

Nemo credit, nemo credit, nemo credit, -

- quam districte judicet Deus et quam severe puniat.

"...offero tibi Deo vivo et vero... et pro omnibus
fidélibus christianis vivis atque defunctis:
ut mihi et illis proficiat ad salutem in vitam aeternam. Amen"

FIAMME DEL PURGATORIO

Abbandoniamo ora questa terra e spingiamo lo sguardo oltre la tomba, per contemplare i castighi terribili con cui Dio punisce il peccato veniale. Vi è un carcere creato appositamente a ciò dalla giustizia divina, carcere pieno di fuoco e di tutti i tormenti: il purgatorio. Che cos'è il purgatorio? E' un inferno temporaneo; e le stesse fiamme che bruciano il dannato purificano pure l'eletto. Eodem igne, dice S. Tommaso, torquetur damnatus et purgatur electus

Tra l'inferno ed il purgatorio non passa, altra differenza che quella della durata: il primo non finisce mai, mentre il secondo ha un termine, che varia a seconda della gravità e del numero delle colpe. La più piccola pena del purgatorio è di gran lunga superiore alla più grande di questo mondo. Il fuoco nostro è freddo, dice un Santo, a paragone di quello che brucia. quelle povere anime. Tra le fiamme del purgatorio e le nostre v'è la differenza, che passa tra il fuoco reale ed il dipinto. 
S. Caterina da Genova scrive: « Le anime purganti provano un tal tormento, che lingua umana non può riferire, né alcuna intelligenza darne la più piccola nozione, eccetto che Dio non lo facesse conoscere per grazia speciale ». 

Vi è nel purgatorio come nell'inferno doppia pena, quella del danno, che consiste nella privazione di Dio, e quella del senso. La pena del danno è senza paragone più grande: ed è tanto più intensa, perché quelle anime, vivendo nell'amicizia di Dio, sentono più forte il bisogno di unirsi a Lui, come l'ago calamitato si volge al polo, la freccia vola al centro ed il fuoco tende ad elevarsi.

Un religioso di S. Francesco, morto in concetto di molta virtù, comparve dopo lungo tempo ad un suo amico, lamentandosi d'essere stato abbandonato. Ciò era vero, perché il confratello, stimando il defunto già pervenuto alla gloria eterna, non pregava più per lui, e su questa supposizione faceva a quell'anima le sue scuse. Diede allora un lamentevole grido l'anima abbandonata; e disse tre volte: Nemo credit, nemo credit, nemo credit, quam districte judicet Deus et quam severe puniat. Nessuno può credere, nessuno può credere, nessuno può credere quanto laggiù si è giudicati severamente. Il Divin Redentore stesso ci ha avvertito, che non ne usciremo, senza prima aver pagato tutti i nostri debiti fino all'ultimo centesimo: Donec reddas novissimum quadrantem (Matth. V. 26).

Verso la metà del nostro secolo, il Signore nella; sua bontà permise un'apparizione di oltre tomba per confermarci nella fede del purgatorio e dimostrarci l'intensità dei patimenti che laggiù si soffrono. Nel monastero delle Francescane di Foligno una Suora, morta, da poco tempo in concetto di santità, apparve alla sorella che l'aveva sostituita nel suo ufficio, per impetrare suffragi. « Ahi! quanto soffro » disse; e per darne una prova, toccò con la palma della mano la porta e vi lasciò l'impronta carbonizzata, riempiendo la camera di fumo denso e di odor di legno bruciato. Quel terribile segno si conserva ancora; e chi non credesse può recarsi nel convento per osservarlo da vicino e leggere la cronaca del fatto.

A Zamora, città della Spagna, viveva in un convento di Domenicani un buon religioso, legato in santa amicizia con un Francescano, uomo come lui di grande virtù. Un giorno in cui s'intrattenevano di cose spirituali,, si promisero, scambievolmente che il primo a morire sarebbe apparso all'altro, se così a Dio fosse piaciuto, per informarlo della. sorte toccatagli nell'altro mondo. Morì il Francescano e, fedele alla sua promessa, apparve al religioso Domenicano, mentre stava preparando il refettorio. Dopo averlo salutato con straordinaria benevolenza, gli disse di essere salvo, ma che gli restava ancor molto a soffrire per alcuni piccoli falli dei quali non s'era abbastanza pentito in vita. Indi soggiunse: «Niente c'è sulla terra che possa dare un'idea delle mie pene». E perchè il Domenicano ne avesse una prova,. stese la destra sulla tavola del refettorio. All'istante il legno andò in fumo ed in fiamme, e vi restò la impronta, come se la mano fosse stata un ferro rovente. Immagini ognuno la commozione del Domenicano a quello spettacolo! Corse a chiamare ì confratelli, mostrò loro quel segno ferale e tutti si ritirarono subito in Chiesa a pregare per l'infelice defunto. Questa rivelazione è narrata nella vita di S. Domenico, scritta da Ferdinando di Castiglia (28 parte, libro I, capo 23). La tavola si conservò a Zamora religiosamente fino al termine del secolo passato, quando le rivoluzioni politiche la fecero sparire, insieme con tanti altri ricordi di pietà, di cui abbondava l'Europa.

Nella Storia del Padre Stanislao Choscoa, domenicano polacco, si legge che un giorno, mentre pregava per i defunti, vide un'anima tutta divorata dalle fiamme, come un carbone nel mezzo di una fornace ardente. Il pio religioso la interrogò, se quel fuoco era più penetrante del terreno.
Ahimè! rispose gemendo la misera tutto il fuoco della terra, paragonato a quello del purgatorio, è come un soffio d'aria freschissima.
E come mai è possibile? soggiunse Stanislao: Bramerei pur farne la prova, a condizione che ciò giovasse a farmi scontare una parte delle pene che dovrò un giorno soffrire nel purgatorio.
Nessun mortale replicò allora quell'anima potrebbe sopportarne la minima parte, senza morirne all'istante, se Dio non lo sostiene. Se vuoi convincertene stendi la mano.
Stanislao, lungi dallo sgomentarsi, porse la mano; ed il defunto vi lasciò cadere sopra una goccia del suo sudore. All'istante stramazzò al suolo, emettendo grida acute. Quella stilla gli aveva passata la carne, lasciandovi una piaga profonda.

Accorsero i confratelli atterriti e con pronte cure lo fecero ritornare in sé. Allora raccontò, pieno di spavento l'accaduto: e concluse dicendo: « Ah! fratelli miei, se ognun di noi conoscesse il rigore dei divini castighi, non peccherebbe giammai. Facciamo penitenza in questa vita per non doverla, poi fare nell'altra, perchè terribili sono quelle pene; combattiamo i nostri difetti e specialmente le colpe veniali avvertite. La Maestà divina è cosa santa, che non può soffrire la minima macchia nei suoi eletti ». Dopo di che si pose a letto e vi stette un anno, sempre tormentato da orribili spasimi, prodotti dalla piaga della mano.
Alla fine dell'anno, dopo di aver nuovamente esortato i suoi confratelli a temere i rigori della giustizia divina ed a fuggire qualunque peccato, benché leggero, spirò nel bacio del Signore. Lo storico aggiunge che questo fatto rianimò il fervore in tutti i monasteri e che i religiosi s'eccitavano a vicenda nel servizio di Dio, al fine di essere salvi da sì atroci supplizi.
*
Il venerabile Bernardino da Busto, non men dotto che santo religioso, racconta che un suo fratellino, di nome Bartolomeo, morto ancor puro ed innocente nell'età di otto anni, fu condannato al purgatorio, perchè talora aveva recitato distratto le preghiere del mattino e della sera.

Nella storia dell'ordine Cistercense si legge di una monaca di molta virtù, che andò al purgatorio, perchè disse, senza necessità, qualche parolina sottovoce in coro al tempo dell'ufficio divino; e di un altro religioso per non aver chinato la testa al Gloria Patri, come prescriveva la regola. Essi comparvero cinti di fiamme ad implorare aiuto e ad ammonire il convento dei rigori della Giustizia divina.

Nella vita di S. Martino si legge che morì una vergine chiamata Vitalina. Era in tal concetto di santità, che non solo la città ma tutta la diocesi di Tours andò alle sue esequie, non già per suffragare l'anima, ma per impetrare grazie dalla sua intercessione, persuasi tutti che fosse in cielo. Lo stesso S. Martino non disse requiem o de profundis; e solo si congratulava con lei della sua sorte beata e ringraziava Dio dei favori fattile. Allora la defunta gli si fece vedere in abito bruno, l'occhio mesto, il volto bianco come un cencio, e con voce lamentevole: « Non mi è ancora concesso, disse, di vedere il volto del mio Signore ». Oh! Dio, e perchè mai? 
«Perché un giorno di venerdì violai la regola, che ordina di non acconciare i capelli in segno di lutto per la morte del Divin Redentore».

Un Domenicano di gran pietà fu punito atrocemente solo per soverchio affetto che aveva ai suoi scritti; ed un Cappuccino di santa vita comparve in veste di fuoco, solo perchè, essendo cuoco del convento, consumò un poco di legna più del bisogno, contro il voto di povertà.

Gli stessi Santi canonizzati poi dalla Chiesa non sempre andarono esenti da quelle terribili fiamme espiatrici... Si legge nelle opere di S. Pietro Damiani che San Severino, Arcivescovo di Colonia, quantunque fosse stato in vita pieno di zelo apostolico e adorno di straordinarie virtù, dovette tuttavia rimanere per qualche tempo in quel luogo di espiazione, per avere senza bisogno anticipate le ore canoniche.

S. Gregorio Magno riferisce nei suoi dialoghi, (Libro IV, capo 40) che il santo diacono Pascasio fu condannato ad una lunga espiazione, come il defunto stesso rivelò a S. Germano di Capua. Eppure la sua dalmatica, stesa sul feretro, aveva operato portentosi miracoli.

S. Pellegrino e S. Valerio, vescovi di Augusta, passarono pure per quel fuoco. Quest'ultimo essendo vecchio cadente, cercò di lasciare l'arcivescovado ad un suo nipote, ecclesiastico meritevole per la scienza e per la virtù di cui era adorno. Ma siccome oltre al merito, guardò anche alla persona del nipote, così ebbe, per quell'affetto carnale, due terribili castighi. Dio gli tolse subito il nipote con morte prematura, e condannò lui ad un severo purgatorio, dove fu udito gridare pietà e misericordia, mentre il popolo lo invocava come santo.

Al leggere questi esempi viene spontanea sul labbro la preghiera del santo profeta: Confige timore tuo carnes meas, a judiciis enim tuis timui: Inchioda col tuo timore le mie carni, perchè ho temuto i tuoi giudizi (Ps. CXVIII, 120).

Papa BenedettoXVI. I precedenti sono di uguale importanza

AMDG et BVM