mercoledì 9 agosto 2017

Da dove nasce la forza per affrontare il martirio?

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Mercoledì, 11 agosto 2010


Il martirio
Cari fratelli e sorelle,
oggi, nella Liturgia ricordiamo santa Chiara d’Assisi, fondatrice delle Clarisse, luminosa figura della quale parlerò in una delle prossime Catechesi.
Ma in questa settimana - come avevo già accennato nell’Angelus di domenica scorsa - facciamo memoria anche di alcuni Santi martiri, sia dei primi secoli della Chiesa, come san Lorenzo, Diacono, san Ponziano, Papa, e san Ippolito, Sacerdote; sia di un tempo a noi più vicino, come santa Teresa Benedetta della Croce, Edith Stein, patrona d’Europa, e san Massimiliano Maria Kolbe.

Vorrei allora soffermarmi brevemente sul martirio, forma di amore totale a Dio.
Dove si fonda il martirio? La risposta è semplice: sulla morte di Gesù, sul suo sacrificio supremo d’amore, consumato sulla Croce affinché noi potessimo avere la vita (cfr Gv 10,10). Cristo è il servo sofferente di cui parla il profeta Isaia (cfr Is 52,13-15), che ha donato se stesso in riscatto per molti (cfr Mt 20,28). 

Egli esorta i suoi discepoli, ciascuno di noi, a prendere ogni giorno la propria croce e seguirlo sulla via dell’amore totale a Dio Padre e all’umanità: “chi non prende la propria croce e non mi segue – ci dice, – non è degno di me. Chi avrà tenuto per sé la propria vita, la perderà, e chi avrà perduto la propria vita per causa mia, la troverà” (Mt 10,38-39). 

E’ la logica del chicco di grano che muore per germogliare e portare vita (cfr Gv 12,24). Gesù stesso “è il chicco di grano venuto da Dio, il chicco di grano divino, che si lascia cadere sulla terra, che si lascia spezzare, rompere nella morte e, proprio attraverso questo, si apre e può così portare frutto nella vastità del mondo” (Benedetto XVIVisita alla Chiesa luterana di Roma [14 marzo 2010]). 
Il martire segue il Signore fino in fondo, accettando liberamente di morire per la salvezza del mondo, in una prova suprema di fede e di amore (cfr Lumen Gentium, 42).

Ancora una volta, da dove nasce la forza per affrontare il martirio? Dalla profonda e intima unione con Cristo, perché il martirio e la vocazione al martirio non sono il risultato di uno sforzo umano, ma sono la risposta ad un’iniziativa e ad una chiamata di Dio, sono un dono della Sua grazia, che rende capaci di offrire la propria vita per amore a Cristo e alla Chiesa, e così al mondo.

Se leggiamo le vite dei martiri rimaniamo stupiti per la serenità e il coraggio nell’affrontare la sofferenza e la morte: la potenza di Dio si manifesta pienamente nella debolezza, nella povertà di chi si affida a Lui e ripone solo in Lui la propria speranza (cfr 2 Cor 12,9).

Ma è importante sottolineare che la grazia di Dio non sopprime o soffoca la libertà di chi affronta il martirio, ma al contrario la arricchisce e la esalta: il martire è una persona sommamente libera, libera nei confronti del potere, del mondo; una persona libera, che in un unico atto definitivo dona a Dio tutta la sua vita, e in un supremo atto di fede, di speranza e di carità, si abbandona nelle mani del suo Creatore e Redentore; sacrifica la propria vita per essere associato in modo totale al Sacrificio di Cristo sulla Croce. In una parola, il martirio è un grande atto di amore in risposta all’immenso amore di Dio.

Cari fratelli e sorelle, come dicevo mercoledì scorso, probabilmente noi non siamo chiamati al martirio, ma nessuno di noi è escluso dalla chiamata divina alla santità, a vivere in misura alta l’esistenza cristiana e questo implica prendere la croce di ogni giorno su di sé.

Tutti, soprattutto nel nostro tempo in cui sembrano prevalere egoismo e individualismo, dobbiamo assumerci come primo e fondamentale impegno quello di crescere ogni giorno in un amore più grande a Dio e ai fratelli per trasformare la nostra vita e trasformare così anche il nostro mondo. Per intercessione dei Santi e dei Martiri chiediamo al Signore di infiammare il nostro cuore per essere capaci di amare come Lui ha amato ciascuno di noi.

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VISITA PASTORALE ALLA BASILICA DI SAN LORENZO FUORI LE MURA
IN OCCASIONE DEL 1750° ANNIVERSARIO DEL MARTIRIO
DEL SANTO DIACONO
OMELIA DEL SANTO PADRE 
BENEDETTO XVI
I Domenica di Avvento, 30 novembre 2008


Cari fratelli e sorelle,
con l’odierna prima domenica di Avvento, entriamo in quel tempo di quattro settimane con cui inizia un nuovo anno liturgico e che immediatamente ci prepara alla festa del Natale, memoria dell’incarnazione di Cristo nella storia. Il messaggio spirituale dell’Avvento è però più profondo e ci proietta già verso il ritorno glorioso del Signore, alla fine della nostra storia. Adventus è la parola latina, che potrebbe tradursi con ‘arrivo’, ‘venuta’, ‘presenza’. Nel linguaggio del mondo antico era un termine tecnico che indicava l’arrivo di un funzionario, in particolare la visita di re o di imperatori nelle province, ma poteva anche essere utilizzato per l’apparire di una divinità, che usciva dalla sua nascosta dimora e manifestava così la sua potenza divina: la sua presenza veniva solennemente celebrata nel culto.
Adottando questo termine Avvento, i cristiani intesero esprimere la speciale relazione che li univa a Cristo crocifisso e risorto. Egli è il Re, che, entrato in questa povera provincia denominata terra, ci ha fatto dono della sua visita e, dopo la sua risurrezione ed ascensione al Cielo, ha voluto comunque rimanere con noi: percepiamo questa sua misteriosa presenza nell’assemblea liturgica. 

Celebrando l’Eucaristia, proclamiamo infatti che Egli non si è ritirato dal mondo e non ci ha lasciati soli, e, se pure non lo possiamo vedere e toccare come avviene con le realtà materiali e sensibili, Egli è comunque con noi e tra noi; anzi è in noi, perché può attrarre a sé e comunicare la propria vita ad ogni credente che gli apre il cuore. Avvento significa dunque far memoria della prima venuta del Signore nella carne, pensando già al suo definitivo ritorno e, al tempo stesso, significa riconoscere che Cristo presente tra noi si fa nostro compagno di viaggio nella vita della Chiesa che ne celebra il mistero. 
Questa consapevolezza, cari fratelli e sorelle, alimentata nell’ascolto della Parola di Dio, dovrebbe aiutarci a vedere il mondo con occhi diversi, ad interpretare i singoli eventi della vita e della storia come parole che Iddio ci rivolge, come segni del suo amore che ci assicurano la sua vicinanza in ogni situazione; questa consapevolezza, in particolare, dovrebbe prepararci ad accoglierlo quando “di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti, e il suo regno non avrà mai fine”, come ripeteremo tra poco nel Credo. In questa prospettiva l’Avvento diviene per tutti i cristiani un tempo di attesa e di speranza, un tempo privilegiato di ascolto e di riflessione, purché ci si lasci guidare dalla liturgia che invita ad andare incontro al Signore che viene.

Vieni, Signore Gesù”: tale ardente invocazione della comunità cristiana degli inizi deve diventare, cari amici, anche nostra costante aspirazione, l’aspirazione della Chiesa di ogni epoca, che anela e si prepara all’incontro con il suo Signore. Vieni oggi, Signore; illuminaci, dacci la pace, aiutaci a vincere la violenza. Vieni, Signore, preghiamo proprio in queste settimane. “Signore, fa’ splendere il tuo volto e noi saremo salvi”: abbiamo pregato così, poco fa, con le parole del Salmo responsoriale. Ed il profeta Isaia ci ha rivelato, nella prima lettura, che il volto del nostro Salvatore è quello di un padre tenero e misericordioso, che si prende cura di noi in ogni circostanza perché siamo opera delle sue mani: “Tu, Signore, sei nostro padre, da sempre ti chiami nostro redentore” (63,16). Il nostro Dio è un padre disposto a perdonare i peccatori pentiti e ad accogliere quanti confidano nella sua misericordia (cfr Is 64,4). Ci eravamo allontanati da Lui a causa del peccato cadendo sotto il dominio della morte, ma Egli ha avuto pietà di noi e di sua iniziativa, senza alcun merito da parte nostra, ha deciso di venirci incontro, inviando il suo unico Figlio come nostro Redentore. Dinanzi a un così grande mistero d’amore, sorge spontaneo il nostro ringraziamento e più fiduciosa si fa la nostra invocazione: “Mostraci, Signore, oggi, nel nostro tempo, in tutte le parti del mondo, la tua misericordia, lasciaci sentire la tua presenza e donaci la tua salvezza” (cfr Canto al Vangelo).

Cari fratelli e sorelle, il pensiero della presenza di Cristo e del suo certo ritorno al compimento dei tempi, è quanto mai significativo in questa vostra Basilica attigua al cimitero monumentale del Verano, dove riposano, in attesa della risurrezione, tanti cari nostri defunti. Quante volte in questo tempio si celebrano liturgie funebri; quante volte risuonano colme di consolazioni le parole della liturgia: “In Cristo tuo Figlio, nostro salvatore, rifulge a noi la speranza della beata risurrezione, e se ci rattrista la certezza di dover morire, ci consoli la promessa dell’immortalità futura”! (cfr Prefazio dei defunti I).

Ma questa vostra monumentale Basilica, che ci conduce col pensiero a quella primitiva fatta costruire dall’imperatore Costantino e poi trasformata sino ad assumere l’attuale fisionomia, parla soprattutto del glorioso martirio di san Lorenzo, arcidiacono del Papa san Sisto II e suo fiduciario nell’amministrazione dei beni della comunità. 

Sono venuto a celebrare quest’oggi la santa Eucaristia per unirmi a voi nel rendergli omaggio in una circostanza quanto mai singolare, in occasione dell’Anno Giubilare Laurentiano, indetto per commemorare i 1750 anni della nascita al cielo del santo Diacono. La storia ci conferma quanto sia glorioso il nome di questo Santo, presso il cui sepolcro siamo riuniti. La sua sollecitudine per i poveri, il generoso servizio che rese alla Chiesa di Roma nel settore dell’assistenza e della carità, la fedeltà al Papa, da lui spinta al punto di volerlo seguire nella prova suprema del martirio e l’eroica testimonianza del sangue, resa solo pochi giorni dopo, sono fatti universalmente noti. San Leone Magno, in una bella omelia, commenta così l’atroce martirio di questo “illustre eroe”: “Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e il fuoco che lo bruciava fuori fu più debole di quello che gli ardeva dentro”. Ed aggiunge: “Il Signore ha voluto esaltare a tal punto il suo nome glorioso in tutto il mondo che dall’Oriente all’Occidente, nel fulgore vivissimo della luce irradiata dai più grandi diaconi, la stessa gloria che è venuta a Gerusalemme da Stefano è toccata anche a Roma per merito di Lorenzo” (Homilia 85,4: PL 54, 486).

Cade quest’anno il 50° anniversario della morte del Servo di Dio, Papa Pio XII, e questo ci richiama alla memoria un evento particolarmente drammatico nella storia plurisecolare della vostra Basilica, verificatosi durante il secondo conflitto mondiale, quando, esattamente il 19 luglio 1943, un violento bombardamento inflisse danni gravissimi all’edificio e a tutto il quartiere, seminando morte e distruzione. Non potrà mai essere cancellato dalla memoria della storia il gesto generoso compiuto in quella occasione da quel mio venerato Predecessore, che corse immediatamente a soccorrere e consolare la popolazione duramente colpita, tra le macerie ancora fumanti. Non dimentico inoltre che questa stessa Basilica accoglie le urne di due altre grandi personalità: nell’ipogeo infatti sono poste alla venerazione dei fedeli le spoglie mortali del beato Pio IX, mentre, nell’atrio, è collocata la tomba di Alcide De Gasperi, guida saggia ed equilibrata per l’Italia nei difficili anni della ricostruzione post-bellica e, al tempo stesso, insigne statista capace di guardare all’Europa con un’ampia visione cristiana.

Mentre siamo qui riuniti in preghiera, mi è caro salutare con affetto tutti voi, ad iniziare dal Cardinale Vicario, da Monsignor Vicegerente, che è anche Abate Commendatario della Basilica, dal Vescovo Ausiliare del Settore Nord e dal vostro Parroco, P. Bruno Mustacchio, che ringrazio per le gentili parole che mi ha rivolto all’inizio della celebrazione liturgica. Saluto il Ministro Generale dell’Ordine dei Cappuccini e i Confratelli della Comunità che svolgono il loro servizio con zelo e dedizione, accogliendo i numerosi pellegrini, assistendo con carità i poveri e testimoniando la speranza in Cristo risorto a quanti si recano in visita al cimitero del Verano. Desidero assicurarvi il mio apprezzamento e, soprattutto, il mio ricordo nella preghiera. Saluto inoltre i vari gruppi impegnati per l'animazione della catechesi, della liturgia, della carità, i membri dei due Cori Polifonici, il Terz’Ordine Francescano locale e regionale. Ho appreso poi con piacere che da qualche anno è qui ospitato il “laboratorio missionario diocesano” per educare le comunità parrocchiali alla coscienza missionaria, e mi unisco volentieri a voi nell’auspicare che questa iniziativa della nostra Diocesi contribuisca a suscitare una coraggiosa azione pastorale missionaria, che porti l’annuncio dell’amore misericordioso di Dio in ogni angolo di Roma, coinvolgendo principalmente i giovani e le famiglie. Vorrei infine estendere il mio pensiero agli abitanti del quartiere, specialmente agli anziani, ai malati, alle persone sole e in difficoltà. Tutti e ciascuno ricordo in questa Santa Messa.

Cari fratelli e sorelle, in quest’inizio dell’Avvento, quale miglior messaggio raccogliere da san Lorenzo che quello della santità? Egli ci ripete che la santità, cioè l’andare incontro a Cristo che viene continuamente a visitarci, non passa di moda, anzi, col trascorrere del tempo, risplende in modo luminoso e manifesta la perenne tensione dell’uomo verso Dio. Questa ricorrenza giubilare sia pertanto occasione per la vostra comunità parrocchiale di una rinnovata adesione a Cristo, di un maggiore approfondimento del senso di appartenenza al suo Corpo mistico che è la Chiesa, e di un costante impegno di evangelizzazione attraverso la carità. Lorenzo, testimone eroico di Cristo crocifisso e risorto, sia per ciascuno esempio di docile adesione alla volontà divina perché, come abbiamo sentito l’apostolo Paolo ricordare ai Corinzi, anche noi viviamo in modo da essere trovati “irreprensibili” nel giorno del Signore (cfr 1 Cor 1,7-9).

Prepararci all’avvento di Cristo è pure l’esortazione che raccogliamo dal Vangelo di oggi: “Vegliate”, ci dice Gesù nella breve parabola del padrone di casa che parte ma non si sa quando tornerà (cfr Mc 13,33-37). Vegliare significa seguire il Signore, scegliere ciò che Cristo ha scelto, amare ciò che Lui ha amato, conformare la propria vita alla sua; vegliare comporta trascorrere ogni attimo del nostro tempo nell’orizzonte del suo amore senza lasciarsi abbattere dalle inevitabili difficoltà e problemi quotidiani. Così ha fatto san Lorenzo, così dobbiamo fare noi e chiediamo al Signore che ci doni la sua grazia perché l’Avvento sia stimolo per tutti a camminare in questa direzione. Ci guidino e ci accompagnino con la loro intercessione l’umile Vergine di Nazareth, Maria, eletta da Dio per diventare la Madre del Redentore, sant’Andrea, di cui oggi celebriamo la festa, e san Lorenzo, esempio di intrepida fedeltà cristiana sino al martirio. Amen!

AMDG et BVM

Dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.

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BENEDETTO XVI
UDIENZA GENERALE
Palazzo Apostolico di Castel Gandolfo
Mercoledì, 5 agosto 2009

San Giovanni Maria Vianney, il Santo Curato d’Ars

Cari fratelli e sorelle,
nell’odierna catechesi vorrei ripercorrere brevemente l’esistenza del Santo Curato d’Ars sottolineandone alcuni tratti, che possono essere di esempio anche per i sacerdoti di questa nostra epoca, certamente diversa da quella in cui egli visse, ma segnata, per molti versi, dalle stesse sfide fondamentali umane e spirituali. Proprio ieri si sono compiuti 150 anni dalla sua nascita al Cielo: erano infatti le due del mattino del 4 agosto 1859, quando san Giovanni Battista Maria Vianney, terminato il corso della sua esistenza terrena, andò incontro al Padre celeste per ricevere in eredità il regno preparato fin dalla creazione del mondo per coloro che fedelmente seguono i suoi insegnamenti (cfr Mt 25,34). Quale grande festa deve esserci stata in Paradiso all’ingresso di un così zelante pastore! Quale accoglienza deve avergli riservata la moltitudine dei figli riconciliati con il Padre, per mezzo dalla sua opera di parroco e confessore! Ho voluto prendere spunto da questo anniversario per indire l’Anno Sacerdotale, che, com’è noto, ha per tema Fedeltà di Cristo, fedeltà del sacerdote. Dipende dalla santità la credibilità della testimonianza e, in definitiva, l’efficacia stessa della missione di ogni sacerdote.

Giovanni Maria Vianney nacque nel piccolo borgo di Dardilly l’8 maggio del 1786, da una famiglia contadina, povera di beni materiali, ma ricca di umanità e di fede. Battezzato, com’era buon uso all’epoca, lo stesso giorno della nascita, consacrò gli anni della fanciullezza e dell’adolescenza ai lavori nei campi e al pascolo degli animali, tanto che, all’età di diciassette anni, era ancora analfabeta. Conosceva però a memoria le preghiere insegnategli dalla pia madre e si nutriva del senso religioso che si respirava in casa. I biografi narrano che, fin dalla prima giovinezza, egli cercò di conformarsi alla divina volontà anche nelle mansioni più umili.

 Nutriva in animo il desiderio di divenire sacerdote, ma non gli fu facile assecondarlo. Giunse infatti all’Ordinazione presbiterale dopo non poche traversìe ed incomprensioni, grazie all’aiuto di sapienti sacerdoti, che non si fermarono a considerare i suoi limiti umani, ma seppero guardare oltre, intuendo l’orizzonte di santità che si profilava in quel giovane veramente singolare. Così, il 23 giugno 1815, fu ordinato diacono e, il 13 agosto seguente, sacerdote. Finalmente all’età di 29 anni, dopo molte incertezze, non pochi insuccessi e tante lacrime, poté salire l’altare del Signore e realizzare il sogno della sua vita.

Il Santo Curato d’Ars manifestò sempre un’altissima considerazione del dono ricevuto. Affermava: “Oh! Che cosa grande è il Sacerdozio! Non lo si capirà bene che in Cielo… se lo si comprendesse sulla terra, si morirebbe, non di spavento ma di amore!” (Abbé Monnin, Esprit du Curé d’Ars, p. 113). Inoltre, da fanciullo aveva confidato alla madre: “Se fossi prete, vorrei conquistare molte anime” (Abbé Monnin, Procès de l’ordinaire, p. 1064). E così fu. Nel servizio pastorale, tanto semplice quanto straordinariamente fecondo, questo anonimo parroco di uno sperduto villaggio del sud della Francia riuscì talmente ad immedesimarsi col proprio ministero, da divenire, anche in maniera visibilmente ed universalmente riconoscibile, alter Christus, immagine del Buon Pastore, che, a differenza del mercenario, dà la vita per le proprie pecore (cfr Gv 10,11). Sull’esempio del Buon Pastore, egli ha dato la vita nei decenni del suo servizio sacerdotale. La sua esistenza fu una catechesi vivente, che acquistava un’efficacia particolarissima quando la gente lo vedeva celebrare la Messa, sostare in adorazione davanti al tabernacolo o trascorrere molte ore nel confessionale.

Centro di tutta la sua vita era dunque l’Eucaristia, che celebrava ed adorava con devozione e rispetto. Altra caratteristica fondamentale di questa straordinaria figura sacerdotale era l’assiduo ministero delle confessioni. Riconosceva nella pratica del sacramento della penitenza il logico e naturale compimento dell’apostolato sacerdotale, in obbedienza al mandato di Cristo: “A chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (cfr Gv 20,23). 

San Giovanni Maria Vianney si distinse pertanto come ottimo e instancabile confessore e maestro spirituale. Passando “con un solo movimento interiore, dall’altare al confessionale”, dove trascorreva gran parte della giornata, cercava in ogni modo, con la predicazione e con il consiglio persuasivo, di far riscoprire ai parrocchiani il significato e la bellezza della penitenza sacramentale, mostrandola come un’esigenza intima della Presenza eucaristica (cfr Lettera ai sacerdoti per l’Anno Sacerdotale).

I metodi pastorali di san Giovanni Maria Vianney potrebbero apparire poco adatti alle attuali condizioni sociali e culturali. Come potrebbe infatti imitarlo un sacerdote oggi, in un mondo tanto cambiato? Se è vero che mutano i tempi e molti carismi sono tipici della persona, quindi irripetibili, c’è però uno stile di vita e un anelito di fondo che tutti siamo chiamati a coltivare. 

A ben vedere, ciò che ha reso santo il Curato d’Ars è stata la sua umile fedeltà alla missione a cui Iddio lo aveva chiamato; è stato il suo costante abbandono, colmo di fiducia, nelle mani della Provvidenza divina. Egli riuscì a toccare il cuore della gente non in forza delle proprie doti umane, né facendo leva esclusivamente su un pur lodevole impegno della volontà; conquistò le anime, anche le più refrattarie, comunicando loro ciò che intimamente viveva, e cioè la sua amicizia con Cristo. Fu “innamorato” di Cristo, e il vero segreto del suo successo pastorale è stato l’amore che nutriva per il Mistero eucaristico annunciato, celebrato e vissuto, che è divenuto amore per il gregge di Cristo, i cristiani e per tutte le persone che cercano Dio. 

La sua testimonianza ci ricorda, cari fratelli e sorelle, che per ciascun battezzato, e ancor più per il sacerdote, l’Eucaristia “non è semplicemente un evento con due protagonisti, un dialogo tra Dio e me. La Comunione eucaristica tende ad una trasformazione totale della propria vita. Con forza spalanca l’intero io dell’uomo e crea un nuovo noi” (Joseph Ratzinger, La Comunione nella Chiesa, p. 80).

Lungi allora dal ridurre la figura di san Giovanni Maria Vianney a un esempio, sia pure ammirevole, della spiritualità devozionale ottocentesca, è necessario al contrario cogliere la forza profetica che contrassegna la sua personalità umana e sacerdotale di altissima attualità. Nella Francia post-rivoluzionaria che sperimentava una sorta di “dittatura del razionalismo” volta a cancellare la presenza stessa dei sacerdoti e della Chiesa nella società, egli visse, prima - negli anni della giovinezza - un’eroica clandestinità percorrendo chilometri nella notte per partecipare alla Santa Messa. Poi - da sacerdote – si contraddistinse per una singolare e feconda creatività pastorale, atta a mostrare che il razionalismo, allora imperante, era in realtà distante dal soddisfare gli autentici bisogni dell’uomo e quindi, in definitiva, non vivibile.

Cari fratelli e sorelle, a 150 anni dalla morte del Santo Curato d’Ars, le sfide della società odierna non sono meno impegnative, anzi forse, si sono fatte più complesse. Se allora c’era la “dittatura del razionalismo”, all’epoca attuale si registra in molti ambienti una sorta di “dittatura del relativismo”. Entrambe appaiono risposte inadeguate alla giusta domanda dell’uomo di usare a pieno della propria ragione come elemento distintivo e costitutivo della propria identità. Il razionalismo fu inadeguato perché non tenne conto dei limiti umani e pretese di elevare la sola ragione a misura di tutte le cose, trasformandola in una dea; il relativismo contemporaneo mortifica la ragione, perché di fatto arriva ad affermare che l’essere umano non può conoscere nulla con certezza al di là del campo scientifico positivo.

Oggi però, come allora, l’uomo “mendicante di significato e compimento” va alla continua ricerca di risposte esaustive alle domande di fondo che non cessa di porsi.

Avevano ben presente questa “sete di verità”, che arde nel cuore di ogni uomo, i Padri del Concilio Ecumenico Vaticano II quando affermarono che spetta ai sacerdoti, “quali educatori della fede”, formare “un’autentica comunità cristiana” capace di aprire “a tutti gli uomini la strada che conduce a Cristo” e di esercitare “una vera azione materna” nei loro confronti, indicando o agevolando a che non crede “il cammino che porta a Cristo e alla sua Chiesa”, e costituendo per chi già crede “stimolo, alimento e sostegno per la lotta spirituale” (cfr Presbyterorum ordinis, 6). 

L’insegnamento che a questo proposito continua a trasmetterci il Santo Curato d’Ars è che, alla base di tale impegno pastorale, il sacerdote deve porre un’intima unione personale con Cristo, da coltivare e accrescere giorno dopo giorno. Solo se innamorato di Cristo, il sacerdote potrà insegnare a tutti questa unione, questa amicizia intima con il divino Maestro, potrà toccare i cuori della gente ed aprirli all’amore misericordioso del Signore. Solo così, di conseguenza, potrà infondere entusiasmo e vitalità spirituale alle comunità che il Signore gli affida. 
Preghiamo perché, per intercessione di san Giovanni Maria Vianney, Iddio faccia dono alla sua Chiesa di santi sacerdoti, e perché cresca nei fedeli il desiderio di sostenere e coadiuvare il loro ministero. Affidiamo questa intenzione a Maria, che proprio oggi invochiamo come Madonna della Neve.

AMDG et BVM

CORAGGIO

AVE MARIA!







 AVANTI CON MARIA!

martedì 8 agosto 2017

Dolore e


e sofferenza

  • Io sono il Dio della Pace. Da Me sgorgano tutte le grazie. Ogni dolore in Me si placa. Ogni peso diventa leggero. Ogni vostro atto, compiuto nel mio Nome, si riveste della mia Bellezza. Io vi posso dare tutto se venite al mio Cuore e non in maniera umana, ma sovrumana, eterna, ineffabile, dolce. Non vi dico che non conoscerete più il dolore, l’ho conosciuto Io che sono Dio, ma vi dico: il dolore diverrà soave se sofferto sul mio Cuore. 7.6.43 Dai Quaderni

San Giovanni Maria Vianney, Curato d'Ars



Lettura 
Giovanni Maria Vianney, nato da pii contadini nel villaggio di Dardilly, nella diocesi di Lione, diede ben presto molti segni di santità. 


A otto anni, mentre custodiva le pecore, era solito insegnare ai bambini, genuflessi dinanzi all'immagine della Madonna, il rosario, con la parola e con l'esempio e, mentre attendeva al lavoro dei campi, meditava le cose celesti. 

Nutriva grande amore per i poveri e cercava di aiutarli con tutti i mezzi. 

Poiché era tardo d'ingegno [?], implorò l'aiuto divino e, nonostante avesse compiuto a fatica il corso di teologia, venne consacrato sacerdote. 

Nominato parroco, trasformò la sua parrocchia, che era squallida e deserta, rendendola fiorente. 

Ogni giorno si dedicava assiduamente alla confessione e alla direzione spirituale e sopportava con pazienza gli atroci tormenti del demonio. 
Istituì i pii esercizi delle Missioni in più di cento parrocchie. Essendo molto umile, si sforzava di sottomettersi al santo desiderio dei fedeli che accorrevano nella sua parrocchia per vederlo, anche dalle province lontane. 

Consumato più dalle fatiche che dalla vecchiaia, dopo aver predetto il giorno della sua morte, si addormentò nel Signore il 4 agosto 1859, a settantatré anni. 

Per i numerosi miracoli, Pio X lo iscrisse fra i beati. Pio XI, nell'anno santo, lo annoverò fra i santi e nel cinquantesimo del suo sacerdozio lo proclamò patrono di tutti i parroci.


V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Preghiamo:
Dio onnipotente e misericordioso, che rendesti mirabile san Giovanni Maria per lo zelo pastorale e per il continuo ardore della preghiera e della penitenza: danne, te ne preghiamo, che, per l'esempio e la intercessione di lui, riusciamo a guadagnare a Cristo le anime dei fratelli e a conseguire insieme con essi la gloria eterna. 
Per il medesimo nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, in unità con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.
R. Amen.
AMDG et BVM