giovedì 22 giugno 2017

EREMITI vissuti nel Meridione d'Italia

Eremiti vissuti sul Gargano

San Marino, “che fiorì in santità nel monastero di San Michele presso Murano di Venezia, il pellegrinaggio al Gargano l’anno 1032 (così dice il Cavaglieri) fruttò del martirio la palma. Lo dicono i pergameni di qui e l’insinua il Ferrari: sexto idus Augusti in Apulia S. Marini Monachi et Martyris. Hic S. Romualdi in vita monastica praeceptor fuit. Is Patria erat Venetus. In insula prope Muranum in Ecclesia S. Michaelis, quae nunc est Monachorum Camaldulensium vitam asperam ducens; profectus autem in Apuliam ibi a Saracenis ob Christi fidem occisus est (Ferrarius in martyrol. die 8 augusti). E ‘l di lui corpo fu giusta la tradizione di qui sepolto in Marino, città del Gargano hoggi diruta appresso Vesti, il cui vescovo fu al Vestano unito.[1] Nell’interno della chiesa di Santa Maria di Merino a destra c’è il simulacro di san Marino, eremita veneto, maestro di san Romualdo, martirizzato in questo luogo dai saraceni l’8 Agosto del 988 (così sostiene il martirologio camaldolese) di ritorno al suo romitaggio dopo la visita al santuario di san Michele Arcangelo.
Sant’Ottone (anche nominato S. Odo o S. Todo) della nobile famiglia romana Francipane (o Frangipane) [2] verso il 1058-1060 dovette partire per una spedizione militare. Fu catturato e imprigionato. Liberato dalla prigione per intervento divino tornò a Roma. Da lì si mise in pellegrinaggio per visitare i vari santuari. Il pellegrinare durò quasi 50 anni, in questi anni ha vissuto per un certo tempo vicino all’Abazia di Cava dei Tirreni, e sul Gargano. Verso il 1117 giunse ad Ariano Irpino, qui per tre anni gestì un ospizio per pellegrini, che egli stesso aveva fondato, dando esempi di carità, finché non decise di ritirarsi a vita eremitica, a quasi un miglio dalla città, nella chiesa di San Pietro de’ reclusiis, dopo sette anni di eremitaggio morì.
San Giovanni Scalcione da Matera [3] è definito nella sua Vita proprio beatissimus Joannes Eremita. Molto giovane, dopo aver trascorso pochi anni in un monastero, si ritira in un inhabitabilis eremus, bevendo acqua e mangiando erbe di campo e frutta selvatica. Dormiva appeso ad una corda immerso nell’acqua fredda, e combatteva con demoni e bestie. Dopo una visione in cui gli appare san Pietro, che lo libera addirittura da un’ingiusta prigionia in cui era finito negli anni a seguire, restaura una chiesa presso Ginosa. Incontra poi Guglielmo da Vercelli, con il quale passa qualche tempo sul monte Cognato, presso Matera. Sostò a Taranto, in Calabria, Sicilia, a Bari, poi in Terra Santa, infine di nuovo in Puglia, dove, visitando la grotta di San Michele, gli apparve la Vergine che gli indicò dove far sorgere l’abbazia che oggi domina il golfo di Manfredonia. Attorno a Giovanni si raccolsero monaci ed eremiti che diedero vita ai «Pulsanesi», ispirati alla regola di Benedetto. Il santo morì a Foggia nel 1139. Tralasciamo tutti gli altri santi e beati dell’ordine pulsanese.
vedi anche la seguente scheda: http://www.santiebeati.it/dettaglio/58550
Beato Giovanni da Tufara [4] appartenente alla chiesa dei Santi Pietro e Paolo compì i suoi studi a Parigi, per ritirarsi poi a Monte Sant’Angelo on eremo. Vive per tre anni nel monastero a “tendenze eremitiche” di Sant’Onofrio, e poi nella vicina chiesa di San Silvestro. Mangia pochissimo ma legge molto, soprattutto le Vitae Patrum. Intanto, essendo numerosi coloro che intendevano seguire l’eremita, per condurre una vita dello stesso stile, il Conte Odoaldo, signore di Foiano (BN) gli donò la Chiesa e la casa di San Firmiano, e poi nel monasterium di Santa Maria del Gualdo Mazzocca, in cui il 14 novembre 1170 morì all’età di 86 anni. Con una bolla del 14 aprile 1156 il papa Adriano IV prescriveva che i monaci del nuovo eremo osservassero la regola di san Benedetto.
vedi anche la seguente scheda: http://www.santiebeati.it/dettaglio/90740
San Guglielmo da Vercelli [5] si reca a Roma e giunge in Italia meridionale per seguire il cammino per Gerusalemme. Si stabilisce dapprima nell’eremo con Giovanni da Matera, per poi giungere, in seguito alla separazione dallo stesso Giovanni, a Montevergine, vicino Avellino. Un gruppo di religiosi lo va a trovare e si stabilisce con lui. Crea una specie di “eremitismo di gruppo”, ma i suoi discepoli devono andarsene per l’eccessivo freddo patito sul monte. Finalmente incontra nuovamente Giovanni, ma Dio ordina a quest’ultimo di andare in Puglia, e a Guglielmo di restare. Ciò che colpisce maggiormente della figura di questo Guglielmo, è che nell’agiografia egli è definito confessor et heremitaanachorita, e soprattutto il creatore di un’anachoritica norma, ovvero di una regula, o comunque di una forma nuova di eremitismo o monachesimo. Fondò la Congregazione Benedettina di Montevergine detta anche Verginiani. Per molto tempo curò il santuario dell’Incoronata vicino Foggia.
-San Pascasio che fu un santo pellegrino irlandese ed eremita sul Gargano sappiamo poco. La sua vita è descritta nel manoscritto 7 dell’archivio Capitolare di Benevento e da questo proviene il testo – di cui è data l’edizione – del documento agiografico che ha per titolo Vita et obitus sancti Paschasii confessoris.[6]
Santa Bona [7] fece molti pellegrinaggi: Santiago de Compostela (che raggiungerà ben nove volte), san Michele al Gargano, Roma e la Terra Santa. Ebbe un forte legame con la città natale di Pisa  ed in particolare con i monaci pulsanesi di san Michele degli Scalzi. Il Codice C 181 dell’Archivio Capitolare di Pisa che raccoglie una prima biografia scritta dal monaco pulsanese Paolo, morto nel 1230, quando era ancora in vita la santa pisana ci informa che Bona nacque a Pisa verso il 1155/1156, nel 1170, a seguito di una visione di Gesù, parte per Gerusalemme, dove si rifugia dall’eremita Ubaldo, che diventa il suo padre spirituale. Nel tentativo di ritornare a Pisa con alcune sue compagne di viaggio viene catturata dai saraceni. Riscattata da alcuni mercanti pisani, ripara finalmente verso il 1175 nella sua stanzetta di San Martino. Qui insieme ad altri pellegrini si mette in viaggio per Santiago de Compostela, partecipa a quel primo pellegrinaggio, al quale seguiranno molti altri. Raggiungerà ben nove volte Santiago e  guidò anche i pellegrini a Roma e a San Michele Arcangelo sul Monte Gargano. Giovanni XXIII la dichiarò ufficialmente patrona delle hostess di Italia.
vedi anche la seguente scheda: http://it.wikipedia.org/wiki/Bona_di_Pisa
San Corrado Bavaro [8] ancora adolescente abbraccia la regola cistercense. All’avvio della prima crociata ottenne di poter andare in Palestina, dove rimase per qualche anno anche presso l’eremita san Guglielmo. Al suo ritorno decise di sbarcare in Puglia. Sostò all’ospizio dei Crociati di Molfetta, dove ebbe notizia della caduta in disgrazia della sua famiglia. Forse anche per questi eventi, Corrado decise di non far ritorno a Chiaravalle, ma di riturarsi, nel 1139, in preghiera in una piccola grotta carsica presso la comunità benedettina di San Maria ad Cryptam a Modugno. In quel luogo di meditazione e penitenza morì nel 1155, all’età di 50 anni.
Sant’Eleuterio: la vita del santo è avvolta nella leggenda.[9] Sant’Eleuterio, di probabile origine inglese, nella seconda metà del VII secolo, dopo essere andato in pellegrinaggio in Terra Santa, nel viaggio visitò il santuario garganico  e decise di trascorrere un po’ di tempo in solitudine e preghiera sul monte Gargano vicino la grotta dell’Arcangelo Michele. “Per abito un semplice saio, di lana molto doppia, filato a mano forse dalla sua mamma, un ampio mantello per coprirsi nelle notti fredde da passare all’addiaccio, un ampio cappello a falde larghe per ripararsi nelle giornate di pioggia, il bastone nella mano e senza scarpe, o sandali ai piedi, tanto meno borse o sacchi da viaggio, secondo l’insegnamento evangelico, in queste condizioni Eleuterio inizia il suo itinerario di fede e di perfezione cristiana … Si saliva il Gargano non solo per venerarvi l’Arcangelo, ma anche per sostarvi per qualche tempo in vita eremitica, in una delle tante grotte disseminate all’intorno. Ed in una di queste grotte Eleuterio, certamente rimase per completare la sua formazione spirituale, a contatto con gli altri eremiti che vivevano in loco. Una esperienza di solitudine, di raccoglimento, a contatto con una natura ancora selvaggia ed integra, con davanti agli occhi una visione continua della grandezza di Dio, formata da un paesaggio stupendo che si estendeva fino al mare. In questo clima, ed a contatto con le altre anime che affinavano la loro unione con Dio: nella preghiera comune, nella Grotta dell’Arcangelo S. Michele; nella penitenza, nel digiuno e nella povertà più assoluta, Eleuterio completa la sua formazione spirituale. E’ qui che egli entra nella fase contemplativa della sua vita interiore.”[10] Riprende il viaggio e giunto però ad Arce di notte chiese alloggio alla locanda che era presso la Torre del Pedaggio, ma l’oste, oltre al rifiuto, gli aizzò contro anche i suoi grossi cani rabbiosi che si ammansirono subito alla vista del santo. Al mattino seguente l’oste con grande meraviglia trovò, non lontano dalla taverna, il corpo del pellegrino morto, custodito dai mastini e con molti serpenti che gli lambivano i piedi. Il pellegrino subito fu acclamato santo dalla popolazione, che lo elevò a patrono della città.
Fra Pietro di Morrone, eremita, conosciuto come San Celestino V, papa [11] diede vita all’Ordine dei “Fratelli dello Spirito Santo o di San Damiano” (denominati poi “Celestini”), approvato da Urbano IV, e fondò vari eremi. Eletto papa quasi ottantenne, dopo due anni di conclave, prese il nome di Celestino V e, uomo santo e pio, si trovò di fronte ad interessi politici ed economici e a ingerenze anche di Carlo d’Angiò. Accortosi delle manovre legate alla sua persona, fu forzato a rinunziare alla carica, morendo poco dopo in isolamento coatto nel castello di Fumone. Il Gargano fu testimone delle ultime drammatiche fasi della biografia del papa -passato alla storia con l'improprio termine-  del «gran rifiuto». Si rifugiò presso due eremiti in una selva della Puglia, poi andò al suo monastero di San Giovanni in Piano presso Apricena, quindi cercò di imbarcarsi a Rodi per la Grecia, ma la nave naufragò. La località a «quindici miglia da Rodi e cinque miglia da Vieste», dove trascorse nove giorni prima di essere individuato e consegnato agli emissari di Bonifacio VIII. [12]
vedi anche le seguenti schede: 

http://it.wikipedia.org/wiki/Papa_Celestino_V

   http://iteadjmj.com/  Santoral 

beato Egidio da Assisi (morto Perugia il 1262) è il terzo compagno di Francesco. Fu mite e semplice, amante dell’umiltà e della povertà. Per svolgere l’apostolato si recò a piedi a Compostella, al Gargano, a Bari, in Palestina e a Roma. Fu eremita in diversi luoghi. Per compensare le elemosine che riceveva, egli si adattava ai lavori più umili. Si ritirò poi a Monteripido di Perugia, dove visse a lungo in eremo. Lasciò un libro: Verba aurea o Detti.
vedi anche la seguente scheda: http://www.santiebeati.it/dettaglio/90369
San Fantino il Giovane [13] dopo aver seguito per cinque anni gl’insegnamenti di sant’Elia lo Speleota nella grotta di Melicuccà ricevette da lui l’abito dei novizi e rimase a Melicuccà per vent’anni, fino alla morte del Santo, esercitando prima l’umile incarico di cuoco e poi quello della custodia della chiesa. Trasferitosi nella regione del Mercurion trascorse diciotto anni di vita eremitica. Dopo il lungo tempo passato in solitudine ritornò alla vita cenobitica e fondò un monastero femminile nel quale furono accolte la madre e la sorella Caterina. Seguì la fondazione di monasteri maschili, in uno dei quali trovarono accoglienza il padre e i fratelli Luca e Cosma. Sentendo vivo il desiderio di un ritorno alla vita eremitica lasciò il fratello Luca la direzione del monastero più grande e si ritirò in un luogo solitario e selvaggio. Dalla nuova dimora di tanto in tanto si recava a visitare i nuovi discepoli, fra i quali vi erano i monaci Giovanni, Zaccaria, Nicodemo e Nilo, e trascorreva parte del suo tempo nel trascrivere codici. Ripresa la vita cenobitica il Santo continuò a vivere nello spirito della penitenza. Trascorreva lungo tempo senza prendere cibo ed era spesso in estasi. Il Santo, “poiché la gente in massa affluiva a lui di continuo, al pari di uno sciame, e non gli permetteva di godere senza disturbo il bene della solitudine”, si recò al santuario di San Michele al Gargano. Che raggiunse dopo 18 giorni di cammino “sotto il freddo e il caldo per lo più senza mangiare né bere”. Una notte, dopo la recita dell’ufficio, ebbe una terribile visione che non volle comunicare ai suoi monaci perché erano “cose assolutamente indescrivibili”. Poi “gettato via il saio se ne andò nudo per i monti”, dove “prese a star senza bere, senza mangiare e senza alcun vestito perfino per venti giorni di seguito”. Continuando a vivere in solitudine e in penitenza” si nutrì per quattro anni di erbe selvatiche e di niente altro”. Quando i monaci lo rintracciarono e lo trassero a forza al monastero riprese a ritornare “là dove si aggirava prima, preferendo le fiere agli uomini”. San Fantino incontrò molte volte san Nilo. All’età di sessant’anni, con i discepoli Vitale e Niceforo, lasciò la Calabria e s’imbarcò alla volta della Grecia e dell’Asia minore. San Fantino morì intorno all’anno 1000.
vedi anche la seguente scheda: http://www.santiebeati.it/dettaglio/90673
Sant’Agnello o Aniello di Napoli [14] è compatrono della città di Napoli. Si racconta che ancora bambino di pochi giorni vedendo l'immagine di Maria SS.ma la salutò pronunciando le parole : "Ave Maria!". Visse gli anni della giovinezza in eremitaggio a Napoli in una grotta presso una cappella dedicata alla Madonna e poi nell’antica chiesa di Santa Maria Intercede, divenuta poi Sant’Agnello maggiore. Si allontanò dalla città per sfuggire alla grande popolarità, recandosi a fare l’eremita dapprima sul Gargano e poi nella Ciociaria. A Napoli, dopo la conquista di Cartagine da parte dei Vandali, arrivò Settimio Celio Gaudioso che fondò un monastero basiliano. Sant’Agnello tornato a Napoli divenne monaco presso San Gaudioso, di cui divenne ben presto abate e dove morì, il 14 dicembre 595. A Monte Sant’Angelo  c’è un rione cittadino dedicato a San Aniello eremita con la sua grotta-eremo ormai trasformata a garage.[15] 
.... S. Agnello si trasferì l’anno 567. Nel romitaggio in tempo del Santo poi convertito poco lungi dalla Spelonga Angelica macerando sette anni continui con aspre penitenze la carne, tutto Spirito diventato, occupò degnamente il luogo degli Spiriti celesti.
Per il culto di Santanello in Abruzzo  vedi A. Gandolfi, Alcune presenze cultuali nelle pratiche devozionali pellegrinali, in AA.VV., a cura di G. Marucci, Il viaggio sacro, culti pellegrinali e santuari in Abruzzo, Caledara, 2000, p. 92.
Beato Bonarde Arpinate
Beato Enrico fratello del re d’Inghilterra nel romitorio san Enrico.
Venerabile Albenzio De Rossi [16] fu avviato fin da giovane al sacerdozio, ma Albenzio ritenne che la vita eremitica era più adatta alle sue esigenze spirituali. Dalla Calabria, intraprese un lungo e faticoso peregrinare per l’Italia Meridionale con il modesto abito di  eremita itinerante, il volto scavato dai digiuni e con un teschio legato alla cintola; esortava alla penitenza con il suo forte e incisivo linguaggio. Nel suo vagare, raggiunse anche Gerusalemme da dove ritornò con una bella icona di Maria, ricevuta in dono. Si fermò alcuni anni sul Gargano e giunto a Roma, fu colpito dalla vista dei tanti poveri che affollavano la città ed ai tanti pellegrini, che dopo un lungo percorso a piedi arrivavano a Roma. Fra’ Albenzio De Rossi chiese allora a papa Sisto V (1585-1590) di procurare a questi pellegrini un luogo d’accoglienza, e il papa il 3 giugno 1587, autorizzò lo stesso frate eremita di poter costruire una casa per gli eremiti pellegrini forestieri che giungevano a Roma. In questo ospizio, gli eremiti avrebbero potuto sostare ed essere rifocillati per otto giorni, così pure avrebbero potuto essere accolti anche i poveri e gli ammalati. Per gli eremiti furono allestite 13 celle, mentre per il loro sostentamento fu messa in funzione una cucina con dispensa e un refettorio; alcuni locali, ben presto insufficienti, furono adibiti ad ospedale. Non mancava un orto interno, che produceva ortaggi per la mensa e in seguito, come d’uso, fu ricavato anche un cimitero. Di lui si parla anche nelle Acta Visitationis sotto Alessandro VII: “…Albentio da Cetrario in Calabria huomo timorato del Sig. Iddio essendo andato al Monte d’Ancona per ricevere da quei Padri Camaldoli di Montecorona qualche carità, gli diede il Priore un tonichino bianco dell’habito loro con il quale venne a Roma l’anno 1586 e prese l’habito di eremita di lana pura bianca sopra della nuda carne senza cappuccio…”.
vedi anche la scheda seguente su Albenzio de Rossi: http://www.santiebeati.it/dettaglio/92803
Fra Mauro da Bitonto, romito, nel 1635 ebbe una santa visione nella grotta angelica. [17]

[1] M. Cavaglieri, Il pellegrino al Gargano, I tomo, Macerata, 1680, n. 475.
[2] Nacque a Roma il 1040 circa, morì ad Ariano il 1127 circa.
[3] Matera, 1070 (1080) – Foggia, 1139. Di questo abate benedettino, le cui reliquie sono custodite all’interno della cattedrale di Matera.
[4] Beato Giovanni da Tufara, Tufara, 1084 – cenobio di Santa Maria di Gualdo Mazocca a Foiano (BN) 14 novembre 1170.
[5] San Guglielmo di Montevergine (da Vercelli), Abate, Vercelli, 1085 – Goleto, Nusco, 24 giugno 1142.
[6] L’edizione e lo studio è del prof. Antonio Vuolo dell’Università di Salerno.
[7] Pisa, 1155/6 – 1207.
[8] Nacque a Ravensburg, in Svevia, attorno al 1105, da Enrico IX di Welf detto il Nero e Wulfilde di Sassonia; morì a Modugno il 1155.
[9]   Il 12 aprile alla memoria dei SS Eleuterio e compagni è presente l’espressione apud messanam Apulie civitatem come in tutti i martirologi usuardi, P. De Leo, Martirologio della Certosa di Santo Stefano del Bosco, secolo XII, 2005, p. 20.
[10] E. Tavernese, Storia e leggenda di un Santo e del suo Santuario, edito dalla Pro-loco di Arce, 1979.
[11] Fra Pietro di Morrone, eremita, – Celestino V, papa (Isernia, 1215 – Rocca di Fumone (Frosinone), 19 maggio 1296).
[12] Lo storico viestano Giuliani indicò la spiaggia di Santa Maria di Merino. Mimmo Aliota e Giuseppe Martella hanno ipotizzato che Celestino V abbia trovato un temporaneo rifugio nei pressi di Peschici. Il primo ricercatore indica l’abbazia di Santa Maria di Kàlena; il secondo localizzò un luogo rupestre, significativamente chiamata a grott ‘u papa, ubicata in una pineta a ridosso della punta di Calalunga, tra Peschici e Vieste. Ipotesi suggestiva, supportata da antiche fonti orali. Celestino V si sarebbe rifugiato proprio in questa zona rupestre: è qui che sarebbe stato prelevato dal governatore di Vieste. La presenza di Celestino V nel luogo suddetto sembra confermata da un particolarissimo toponimo: l’insenatura da cui si diparte il sentiero che conduce al complesso rupestre è denominato U’ Iale d’ la Croce (spiaggetta della Croce). E il logo dello stemma celestiniano è appunto una Croce con una S intrecciata, simbolo dello Spirito santo. E’ conosciuto il toponimo grotta del papa. T. M. Rauzino, Celestino V. l’avventura di un povero cristiano.  Sul Gargano gli ultimi giorni di libertà, in Corriere del Mezzogiorno, (quotidiano pugliese allegato al Corriere della sera, 8-1-2003, p. 12 (“Cultura“); T. M. Rauzino, La cattura di Celestino V sulla costa tra Peschici e Vieste trova  un’eco letteraria nel dramma di Silone, La ventura di un povero cristiano,
[13] Nacque in una località della Calabria “vicinissima alla Sicilia” nel 927, morì in Grecia attorno all’anno 1000.
[14] Nato a Napoli nel 535, morto nel 595.
[15] Aniello divenuto adulto si consacrò al signore e si ritirò nel montegargano vicino al santuario di s Michele si venera il luogo ove Aniello per sette anni visse da penitente eremita ed ivi ebbe ispirazione dalla SS.a Vergine di tornare in Napoli ed edificarvi un ospedale per i poveri infermi lo che fece in s Gaudioso In Napoli s Aniello ebbe predilezione a vivere ritirato in piccola grotticella prossima la chiesa di s Maria intercede ed ivi mori il 14 dicembre 599 o 576 dopo anni 61 di vita menata al servizio di Dio e della languente umanità… F. Ceva Grimaldi, Della città di Napoli dal tempo della sua fondazione sino al presente memorie storiche, Napoli, 1857, p. 83.
[16] Nato a Cetraro di Cosenza il 1542, morto a Roma il 19 aprile 1606.
[17] M. Cavaglieri, Il pellegrino al Gargano, I tomo, Macerata, 1680, pagina 176.
AMDG et BVM

FRATE EGIDIO


Detti di Frate Egidio

(Edizione Padovan 1915)

Edizione di riferimento
I fioretti di san Francesco, e il Cantico del Sole, con introduzione di Adolfo Padovan e 8 tavole, terza edizione annotata, riletta e migliorata, Ulrico Hoepli editore libraio della Real Casa, Milano, 1915

Detti di Frate Egidio

Incominciano li capitoli di certa dottrina e detti notabili di Frate Egidio e in prima.

Capitolo de vizj, e della virtù.
La grazia di Dio, e la virtù sono via e scala da salire al Cielo; ma li vizi e li peccati sono via, e scala da discendere al profondo dello Inferno. Li vizi e li peccati sono tossico e veleno mortale; ma le virtù, e le buone opere sono triaca [1]medicinale. L’una grazia conduce e tirasi dietro l’altra, l’uno vizio tira dietro l’altro. La grazia non desidera d’essere lodata; e ’l vizio non può sofferire d’essere dispregiato. La mente nella umiltà quiesce e riposa; la pazienzia è sua figliuola. E la santa purità del cuore vede Iddio; ma la vera devozione lo gusta. Se tu ami, sarai amato. Se tu servi, sarai servito. Se tu temi, sarai temuto. Se tu bene ti porterai d’altrui, conviene che altri si porti bene di te. Ma beato è colui che veramente ama, e non desidera d’essere amato. Beato è colui che serve, e non desidera d’essere servito. Beato è colui che teme, e non desidera d’essere temuto. Beato è colui che bene si porta d’altrui, e non desidera che altri si porti bene di lui. Ma perocchè queste cose sono cose altissime, e di grande perfezione, però gli stolti non le possono conoscere nè conquistare. Tre cose sono molto altissime e utilissime, le quali chi le avesse acquistate, non potrebbe mai cadere. La prima si è, se tu sostieni volentieri con allegrezza ogni tribolazione che ti avviene, per lo amore di Gesù Cristo. La seconda si è, se tu ti umilii ognindì in ogni cosa che tu fai, ed in ogni cosa che tu vedi. La terza si è, che tu fedelmente ami quello sommo bene celestiale invisibile con tutto il cuore, lo quale non si può vedere con gli occhi corporali. Quelle cose che sono più dispregiate, e più vituperate dagli uomini mondani, sono veramente più accettabili, e più ricevute da Dio e dalli suoi Santi; e quelle cose che sono più amate e più onorate, e più piacciono agli uomini mondani, quelle sono più dispregiate, e vituperate e odiate da Dio, e dalli suoi Santi. Questa laica inconvenienza procede dalla ignoranza e malizia umana: imperocchè l’uomo misero più ama quelle cose che doverebbe avere in odio, ed ha in odio quelle cose, che doverebbe amare. Una volta domandò Frate Egidio a un altro Frate, dicendo: Dimmi carissimo, hai tu buona anima? Rispuose il Frate: Questo non so io, e allora disse Frate Egidio: Fratello mio, io voglio che tu sappi, che la santa contrizione e santa umiltade, e santa caritade, e la santa divozione, e la santa letizia fanno buona l’anima, e beata.

Capitolo della Fede.
Tutte quelle cose che si possono pensare col cuore, o dire colla lingua, o vedere con gli occhi, o palpare colle mani, tutte sono quasi niente, a rispetto e a comparazione di quelle cose, che non si possono pensare, nè vedere, nè toccare. Tutti li Santi, e tutti li savj che sono passati, e tutti quelli che sono nella presente vita, e tutti quelli che verranno dietro a noi, che favellarono, o scrissero, o favelleranno, o scritture faranno di Dio, non dissono nè mai potranno dire di Dio tanto, quanto sarebbe uno granello di miglio, a rispetto e a comparazione del Cielo e della terra, e anche mille migliaja di volte meno. Imperocchè tutta la Scrittura che favella di Dio, sì ne parla quasi balbussando [2], siccome fa la madre che balbetta col figliuolo, il quale non puote intendere le sue parole, se ella parlasse per altro modo. Una volta disse Frate Egidio ad uno Giudice secolare: Credi tu, che sieno grandi li Doni di Dio? Rispuose il Giudice: Credo. Al quale Frate Egidio disse: Io ti voglio mostrare, come tu non credi fedelmente; e poi li disse: Quanto prezzo vale quello, che tu possiedi in questo mondo? Rispuose il Giudice: Vale forse mille lire. Allora Frate Egidio disse:; Daresti tu queste tue possessioni per dieci mila lire? rispuose il Giudice senza pigrizia, dicendo: Certo darei volentieri, e Frate Egidio disse: Certa cosa è, che tutte le possessioni di questo mondo sono niente, a rispetto alle cose celestiali: adunque perchè non dai tu queste tue possessioni a Cristo, per poter comperare quelle celestiali e eternali? Allora il Giudice savio della istolta scienza mondana rispose a Frate Egidio puro, e semplice: Iddio t’ha pieno della savia stoltizia divina, dicendo: Credi tu Frate Egidio, che sia alcuno uomo, che in tanta quantitade s’adoperi colle operazioni di fuori, quant’egli crede colla credulità di dentro? Frate Egidio rispose: Vedi carissimo mio, certa cosa è, che tutti li Santi si sono istudiati d’empiere con effetto d’operazione tutto quello, che poteano e sapeano comprendere “che fosse la volontà di Dio”, secondo la loro possibilitade; e tutte quelle cose, che non poteano adempiere con effetto d’operazioni, sì le adempievano colli santi desiderj delle loro volontadi; per tale modo che ’l difetto della impossibilità, della operazione adempiano col desiderio della anima, e satisfacevano. Ancora disse Frate Egidio: Se alcuno uomo si trovasse che avesse perfetta fede, in poco tempo verrebbe a perfetto stato, per lo quale li saria dato piena certezza della sua salute. L’uomo, che con ferma fede aspetta quello eterno e sommo e altissimo bene, che danno, o che male li potrebbe fare alcuna avversità temporale in questa vita presente? E lo misero uomo che aspetta il male eternale, che bene gli potrà fare alcuna prosperitade, o bene temporale in questo mondo? Impertanto, quantunque l’uomo sia peccatore, non si dee però disperare per infino ch’e’ vive, della infinita misecordia di Dio; perocchè non è arbore al mondo tanto spinoso, nè tanto gropposo [3], nè tanto poderoso, che gli uomini non lo possono appianare e farlo pulito e adornato e farlo bello: e così non è uomo tanto iniquo, nè tanto peccatore in questo mondo, che Iddio non lo possa convertire e adornare di singulari grazie, e di molti doni di virtù.

Capitolo della santa Umiltade.
Non può alcuna persona venire in alcuna notizia e cognoscimento di Dio, se non per la virtù della santa umiltade; imperocchè la diritta via d’andare in su, si è quella d’andare in giù. Tutti li pericoli e li grandi cadimenti [4], che sono intervenuti in questo mondo, non sono venuti da altra cagione se non dalla elevazione del capo, cioè della mente in superbia; e questo si pruova per lo cadimento del Demonio che fu cacciato dal Cielo, per lo cadimento del primo nostro parente, cioè Adamo, che fu cacciato del Paradiso per la elevazione del capo, cioè per la inobbedienzia; ed ancora per lo Fariseo, del quale parla Cristo nel Vangelio, e per molti altri esempli: e così per lo contrario; cioè che tutti li grandi beni, che mai accaddono in questo mondo, tutti sono proceduti per lo abbassamento del capo, cioè per la umiliazione della mente; siccome si prova per la beata umilissima Vergine Maria, e per lo Pubblicano, e per lo Santo Ladrone della Croce, e per molti altri esempli della Scrittura. Ed imperò sarebbe buono, se noi potessimo trovare alcuno peso grande e grave, che di continuo noi lo potessimo tenere legato al collo, acciocchè sempre ci tirasse in giù, cioè che sempre ci facesse umiliare. Un Frate domandò Frate Egidio: Dimmi padre, in che modo potremo noi fuggire questa superbia? al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, disponti di questo, cioè non sapere giammai di potere fuggire la superbia, se ’n prima tu non poni la bocca dove tu tieni li piedi: ma se tu consideri bene li beneficj di Dio, allora tu cognoscerai bene, che per debito tu se’ tenuto d’inchinare il capo tuo. E ancora, se tu penserai bene li tuoi difetti, e le molte offensioni che hai fatte a Dio, al postutto arai cagione d’umiliarti. Ma guai a quelli, che vogliono essere onorati della loro malizia! Un grado d’umiltade è in colui, lo quale si conosce esser contrario al suo proprio bene. Un grado d’umiltade a rendere le cose altrui; a colui di cui sono, e non appropriarle a sè medesimo; cioè a dire, ch’ogni bene e ogni virtù che l’uomo truova in sè, non la debba appropriare a sè, ma solamente a Dio, dal quale procede ogni grazia e ogni virtù e ogni bene; ma ogni peccato e passione dell’anima, o qualunque vizio l’uomo truova in sè, si debbe appropriarlo a sè, considerando che procede da lui medesimo e dalla propria malizia, e non da altri. Beato quello uomo, che si cognosce e reputasi vile dinanzi a Dio, e così dinanzi agli uomini! Beato colui che sempre giudica sè, e condanna sè medesimo e non altrui! perocchè egli non sarà giudicato da quello terribile, e ultimo giudicio eternale. Beato colui, che andrà sottilmente sotto il giogo della obbedienzia, e sotto il giudicio d’altri, siccome feciono li santi Apostoli, dinanzi e dappoi che ricevettono lo Spirito Santo! Ancora disse Frate Egidio: Colui che vuole acquistare e possedere perfetta pace e quiete, conviene che reputi ogni uomo per suo superiore, e conviene che egli sempre si truovi suddito, e inferiore di tutti. Beato quello uomo, che non vuole nelli suoi costumi e in nel suo parlare esser veduto, nè cognosciuto, se non in quella pura composizione e in quello adornamento semplice, lo quale Iddio gli adornò e lo compuose! Beato quello uomo, che sa conservare e ascondere le revelazioni, e le consolazioni divine! perocchè non è nessuna cosa tanto segreta, che non la riveli Iddio quando a lui piace. Se alcuno uomo fosse il più perfetto, e ’l più santo uomo del mondo; ed egli si reputasse e credesse essere il più misero peccatore, e lo più vile uomo del mondo, in questo sarebbe vera umiltade. La santa umilitade non sa favellare, e lo beato timore di Dio non sa parlare. Disse Frate Egidio: A me pare, che la umiltade sia simile alla saetta del truono [5]: perocchè così come la saetta fa percussione terribile, rompendo, fracassando, e abbruciando ciò che ella coglie, e poi non se ne truova niente di quella saetta; così similemente la umiltà percuote e dissipa e abbrucia e consuma ogni malizia, e ogni vizio e ogni peccato; e poi non si truova esser da niente in sè medesimo. Quello uomo che possiede umiltà, per la umiltà truova l’uomo grazia appresso a Dio e perfetta pace col prossimo.

Capitolo dello santo timore di Dio.
Colui che non teme, mostra che non abbia che perdere. Lo santo timore di Dio ordina, governa e reage l’anima, e falla venire in grazia. Se alcuno possiede alcuna grazia, o virtude divina, lo santo timore si è quello che la conserva. E chi non avesse ancora acquistata la virtù, o la grazia, il timor santo la fa acquistare. Il santo timore di Dio si è uno conduttore delle grazie divine, imperciocchè ello fa l’anima dove egli abita tosto per venire alla virtude santa, e alle grazie divine. Tutte le creature che mai cadono in peccato, non sarieno giammai cadute, se elle avessono avuto il santo timore di Dio. Ma questo santo dono del timore non è dato, se non alli perfetti, perocchè quanto l’uomo è più perfetto, più è timoroso e umile. Beato quello uomo, che si cognosce essere in una carcere in questo mondo, e sempre si ricorda come gravemente ha offeso il suo Signore! Molto doverebbe l’uomo sempre temere la superbia, che non gli dia di pinta [6], e faccialo cadere dallo istato della grazia, nella quale egli è; perocchè l’uomo non può mai stare sicuro, stando infra li nostri nemici, sì li nostri nemici sono le lusinghe di questo mondo misero, e la nostra propria carne la quale insieme colli Demoni sempre è inimica dell’anima. Maggiore timore bisogna che l’uomo abbia, che la sua propria malizia non lo vinca e inganni, che di nessuno altro suo nimico. Egli è cosa impossibile, che l’uomo possa salire e ascendere ad alcuna grazia, o virtù divina, nè perseverare in essa, senza il santo timore. Chi non ha timore di Dio, va a pericolo di perire, e maggiormente d’essere in tutto perduto. Il timore di Dio fa l’uomo ubbidire umilemente e fallo inchinare il capo sotto il giogo della obbedienzia; e quanto possiede l’uomo maggiore timore, tanto adora più ferventemente, non è piccolo dono quello della operazione, a cui è dato. Le operazioni virtuose degli uomini, quantunque a me pajano grandi, non sono però computate, nè remunerate secondo la nostra estimazione, ma secondo la estimazione e beneplacito di Dio; perocchè Iddio non guarda alla quantità delle fatiche, ma alla quantità dello amore e della umiltade: e imperciò la più sicura parte è a noi, di sempre amare e temere con umiltade, e non fidarsi giammai di sè medesimo di alcuno bene, sempre avendo a sospetto le cogitazioni, che nascono nella mente sotto spezie di bene.

Capitolo della santa pazienzia.
Colui, che con ferma umiltade, e pazienzia sofferisce e sostiene le tribolazioni, per lo fervente amore di Dio, tosto verrà in grandi grazie e virtudi, e sarà signore di questo mondo, e dello altro glorioso averà l’arra. Ogni cosa che l’uomo fa, o bene o male, a sè medesimo il fa; e imperò non ti iscandalizzare contra di colui, che ti fa le ingiurie, ma debbivi avere umile pazienzia, e solamente ti debbe dolere del suo peccato, avendogli compassione, pregando Iddio efficacemente per lui. Quanto l’uomo è forte a sostenere, e patire le ingiurie e le tribolazioni pazientemente per l’amore di Dio, tanto è grande appresso a Dio, e non più: e quanto l’uomo è più debole a sostenere li dolori, e le avversitadi per lo amore di Dio; tanto è minore appresso di Dio. Se alcuno uomo ti lodasse dicendo di te bene, rendi quella laude al solo Iddio; e se alcuno dice di te male o vituperio, ajutalo tu dicendo di te medesimo male, e peggio. Se tu vuoi fare buona la tua parte, sempre ti studia di fare cattiva la tua, e quella del compagno fa buona, sempre incolpando te medesimo, e sempre lodando o veramente iscusando il prossimo. Quando alcuno vuole contendere o litigare teco, se tu vuogli vincere, perdi, e vincerai; perocchè se tu volessi litigare per vincere, quando tu crederesti avere vinto, allora tu ti troveresti d’avere perduto grossamente. Ed imperò, fratello mio, credimi per certo, che la diritta via della salvazione, si è la via della perdizione. Ma quando non siamo buoni portatori delle tribolazioni, allora non possiamo essere perseguitatori delle eternali consolazioni. Molto maggiore consolazione, e più meritoria cosa è a sostenere le ’ngiurie e li improperii pazientemente senza mormorazione, per l’amore di Dio, che non è a pascere cento poveri, e digiunare ognindì continuamente. Ma che utilità è all’uomo, o che gli giova a dispregiare sè medesimo, e dare molte tribolazioni al corpo suo, con grandi digiuni e vigilie [7] e discipline, non potendo sostenere una piccola ingiuria del suo prossimo? della qual cosa l’uomo riceverà molto maggior premio e maggior merito, che di tutte le afflizioni, che l’uomo si possa dare di sua propria volontade; perocchè a sostenere gl’improperii, e le ingiurie del suo prossimo con umil pazienzia senza mormorazione, molto più tosto purga li peccati, che non fa la fonte delle molte lagrime. Beato quello uomo, che sempre tiene dinanzi agli occhi della mente sua la memoria delli suoi peccati, e li benefizj di Dio! perocchè egli sosterrà con pazienzia ogni tribolazione e avversitade, delle quali cose egli aspetta le grandi consolazioni. L’uomo che è vero umile, non aspetta da Dio alcuno merito nè premio, ma solamente si studia sempre come possa soddisfare in ogni cosa, cognoscendosi di lui essere debitore; e ogni bene che egli ha, ricognoscelo d’avere solamente per bontà di Dio, e non per alcuno suo merito, e ogni avversità che ello ha, ricognoscela veramente avere per li suoi peccati. Uno Frate domanda Frate Egidio, dicendo: Padre, se nelli nostri tempi verranno alcune grandi avversitadi o tribolazioni, che dobbiamo fare noi in quella fiata [8]? Al quale Frate Egidio risponde, dicendo: Fratello mio, io voglio che tu sappi, che se ’l Signore facesse piovere dal Cielo pietre e saette, non potrieno nuocere nè fare a noi alcuno danno, se noi fussimo tali uomini, quali noi doveremmo essere; perocchè essendo l’uomo in verità quello che debbe essere, ogni male e ogni tribolazione se li convertirebbe in bene; perocchè noi sappiamo che disse; l’Apostolo, che quelli che amano Iddio, ogni cosa se li convertisce in bene; e così similmente all’uomo che ha la mala volontade, tutti li beni se li convertiscono in male, e in giudicio. Se tu ti vuogli salvare e andare alla gloria celestiale, non ti bisogna mai desiderare alcuna vendetta, nè giustizia d’alcuna creatura; imperocchè la eredità delli Santi si è fare sempre bene, e ricevere sempre male. Se tu cognoscessi in verità, come e quanto gravemente hai offeso il tuo Creatore, tu cognosceresti, che ella è degna e giusta cosa, che tutte le creature ti debbano perseguitare, e darti pena e tribolazione; acciocchè esse creature facciano vendetta delle offensioni, che tu facesti al loro Creatore. Molto è grande virtù all’uomo di vincere sè medesimo: perocchè quelli che vince sè medesimo; vincerà tutti li suoi nemici, e perverrà in ogni bene. Ancora molto maggior virtù sarebbe, se l’uomo si lasciasse vincere a tutti gli uomini; imperocchè egli sarebbe signore di tutti li suoi nemici, cioè vizj e delli demonj e del mondo e della propria carne. Se tu ti vuogli salvare, rinunzia e dispregia ogni consolazione, che ti possono dare tutte le cose del mondo, e tutte le creature mortali; perocchè maggiori e più spessi sono li cadimenti, che divengono per le prosperitadi e per le consolazioni, che non sono quelli che vengono per le avversitadi, e per le tribolazioni. Una volta mormorava un religioso del suo Prelato in presenzia di Frate Egidio, per cagione d’un’aspra obbedienzia che gli avea comandata; al quale Frate Egidio, disse: Carissimo mio, quanto più mormorerai, tanto più carichi lo tuo peso, e più grave ti sarà a portare; e quanto più umilmente, e più divotamente sottometterai il capo sotto il giogo della obbedienzia santa, tanto più lieve e più soave ti sarà a portare quella obbedienzia. Ma a me pare, che tu non voglia essere vituperato in questo mondo per l’amore di Cristo, e vuogli essere onorato nell’altro con Cristo; tu non vuogli essere in questo mondo perseguitato, nè maladetto per Cristo, e nell’altro mondo vuogli essere benedetto e ricevuto da Cristo; tu non ti vorresti affaticare in questo mondo, e nell’altro vorresti quiescere [9] e posare. Io ti dico, Frate, Frate, che tu se’ malamente ingannato; perocchè per la via della viltà e delle vergogne e delli improperj, perviene l’uomo al verace onore celestiale; e per sostenere le derisioni, e le maladizioni pazientemente per lo amore di Cristo, perviene l’uomo alla gloria di Cristo, però dice bene uno proverbio mondano, che dice: Chi non dà di quello che li duole, non riceve quello che vuole. Si è utile natura quella del cavallo; perocchè quantunque il cavallo vada correndo velocemente, pure si lascia reggere, guidare e voltare in giù e in su, e innanzi e indietro, secondo la volontà del cavalcatore; e così similmente dee fare il servo di Dio, cioè che si debbe lasciare reggere, guidare, torcere [10] e piegare, secondo la volontade del suo superiore, e anche da ogni altro per lo amore di Cristo. Se tu vuogli essere perfetto, studiati solecitamente d’essere grazioso [11] e virtudioso, e combatti valentemente contra li vizj, sostenendo paziente. Ogni avversitade per lo amore del tuo Signore tribolato, afflitto, improperato, battuto, crocifisso e morto per lo tuo amore, e non per la sua colpa, nè per sua gloria, nè per sua utilitade, ma solamente per la tua salute: e a fare questo ch’io t’ho detto, al postutto bisogna che tu vinca te medesimo; perocchè poco vale all’uomo inducere e trarre l’anime a Dio, se egli non vince e trae e induce prima sè medesimo.

Capitolo dell’oziositade.
L’uomo che sta ozioso, sì perde questo mondo e l’altro; perocchè non fa alcuno frutto in sè medesimo, e non fa alcuna utilitade ad altrui. Egli è cosa impossibile, che l’uomo possa acquistare la virtù senza sollecitudine e senza grande fatica. Quando tu puoi istare in luogo sicuro, non istare in luogo dubbioso, in luogo sicuro istà colui, il quale sollecita e affliggesi e opera, e affatica secondo Iddio e per Dio, e non per paura di pena nè per premio, ma per Dio. L’uomo che ricusa d’affliggersi, e d’affaticarsi per Cristo, veramente egli ricusa la gloria di Cristo; e così come la sollecitudine è utile e giova a noi, così la negligenzia sempre è contraria a noi. Così come la oziosità è via d’andare all’inferno, così la sollecitudine santa è via d’andare al cielo. Molto doverebbe l’uomo essere sollecito ad acquistare, e a conservare le virtù e la grazia di Dio, sempre operando con essa grazia e virtù fedelmente; perocchè molte volte addiviene questo all’uomo che non opera fedelmente, che perde il frutto per le fronde, ovvero il grano per la paglia. Ad alcuno concede Iddio il buono frutto graziosamente con poche frondi, e ad alcuno altro lo dà insieme il frutto colle frondi: e sono alcuni altri, che non hanno nè frutti, nè frondi. Maggiore cosa mi pare che sia, a sapere bene guardare e conservare segretamente li beni, e le grazie date dal Signore, che di saperle acquistare; imperocchè, avvegnachè l’uomo sappia bene guadagnare, se egli non sa bene riporre e conservare, non sarà giammai ricco, ma alcuni appoco appoco guadagnano le cose, e son fatti ricchi, perocch’eglino conservano bene il loro guadagno, e ’l loro tesoro. O quanta quantità d’acqua avrebbe ricolto il Tevere, se non discorresse via da alcuna parte! L’uomo dimanda a Dio infinito dono, che è senza misura e senza fine: ed egli non vuole amare Iddio, se non con misura e con fine. Chi vuole essere da Dio amato, e avere da lui infinito merito soprammodo e soprammisura, egli dee amare Iddio oltremodo e oltramisura, e sempre servirlo infinitamente. Beato colui, che con tutto il cuore e con tutta la mente sua ama Iddio, e sempre affligge il corpo e la mente sua per l’amore di Dio, non ne cerca alcuno premio sotto ’l Cielo, ma solamente ched egli si cognosce di ciò essere debitore. Se alcuno uomo fosse molto povero e bisognoso, e un altro uomo gli dicesse: Io ti voglio prestare una cosa molto preziosa per ispazio di tre dì; e sappi, che se tu adopererai bene questa cosa in questo termine di tre dì, tu guadagnerai infinito tesoro da potere essere ricco sempremai: or certa cosa è, che questo povero uomo sarebbe molto sollecito d’adoperare bene e diligentemente questa cosa così preziosa, e molto si studierebbe di fruttarla bene, così similmente dico, che la cosa prestata a noi dalla mano di Dio si è il corpo nostro, lo quale esso buono Iddio ce l’ha prestato per tre dì; imperocchè tutti li nostri tempi e anni sono a comparazione di tre dì. Adunque se tu vuogli essere ricco, e godere eternalmente la divina dolcezza, studiati di bene operare, e di bene fruttare questa cosa prestata dalla mano di Dio, cioè il corpo tuo in questo spazio di tre dì, cioè in lo brieve tempo della vita tua; perocchè, se tu non ti solleciti di guadagnare nella vita presente, perfino a tanto che tu hai il tempo, tu non potrai più godere quella eternale ricchezza, nè potrai riposare santamente in quella quiete celestiale eternalmente. Ma se tutte le possessioni del mondo fussono d’una persona, che non le lavorasse, e non le facesse lavorare ad altri; che frutto, o che utile averebbe egli di queste cose? certa cosa è, che non ne averebbe utilità, nè frutto veruno. Ma bene potrebbe essere, che alcuno uomo averebbe poche possessioni, e lavorandole bene averebbe molta utilitade per sè, e per altri averebbe frutto assai e abbondantemente. Dice un proverbio mondano: Non porre mai bollire pentola vota al fuoco, sotto speranza del tuo vicino; e così similmente Iddio, non vuole che alcuna grazia rimanga vacua; perocchè esso buono Iddio non dà mai allo uomo grazia, perchè egli la debbia tenere vacua, anzi la dona, perchè l’uomo la debbia adempiere con questo effetto di buone operazioni; perocchè la buona volontà non soddisfa, se l’uomo non si studia di seguirla e adempierla con effetto di santa operazione. Una volta uno uomo vagabondo disse a Frate Egidio: Padre, priegoti, che tu mi facci alcuna consolazione, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, istudiati di star bene con Dio, e incontenente averai la consolazione che ti bisogna; imperocchè se l’uomo non apparecchia nell’anima sua netta abitazione, nella quale possa abitare e riposare Iddio, ello non troverà giammai nè luogo nè riposo, nè consolazione vera nelle creature. Quando alcuno uomo vuole fare male, egli non addomanda mai molto consiglio a farlo; ma al ben fare molti cercano consigli, facendo lunga dimoranza. Una volta disse Frate Egidio alli suoi compagni: Fratelli miei, a me pare, che al dì d’oggi non si truova chi voglia fare quelle cose, che egli vede che li sono più utili, e non solamente all’anima, ma eziandio al corpo. Credetemi, fratelli miei, che io potrei giurare in veritade, che quanto l’uomo più fugge e schifa il peso e ’l giogo di Cristo, tanto lo fa più grave a sè medesimo, e sentelo più ponderoso e di maggiore peso; e quanto l’uomo lo piglia più ardentemente, sempre più arrogendo [12] al peso volontariamente, tanto lo sente più lieve e più soave a poterlo portare. Or piacesse a Dio, che l’uomo facesse e procurasse in questo mondo li beni del corpo, perocchè farebbe ancora quelli dell’anima: conciosiacosachè il corpo e l’anima, senza nessuno dubbio, si debbano congiungere insieme a sempre patire, ovvero a sempre godere; cioè, o veramente patire nello inferno sempre eternalmente pene e tormenti inestimabili, ovvero godere colli Santi e con gli Angeli in Paradiso perpetualmente gaudj, e consolazioni inennarrabili, per li meriti delle buone operazioni. “Perchè se l’uomo facesse bene, o perdonasse bene senza l’umiltade, si convertirebbero in male, perocchè sono stati molti, che hanno fatte molte opere che parevano buone e laudabili; ma però che non aveano umilitade, sono discoperte e conosciute che sono fatte per superbia, e le opere sì l’hanno dimostrato: perchè le cose fatte con umilitade mai non si corrompono”. Un Frate si disse a Frate Egidio: Padre, a me pare che noi non sappiamo ancora cognoscere li nostri beni, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, certa cosa è, che ciascuno adopera l’arte che egli ha imparata, perocchè nessuno può bene adoperare, se prima non impara; onde voglio che tu sappia, fratello mio, che la più nobile arte che sia nel mondo, si è il bene adoperare: e chi la potrebbe sapere, se prima non la impara? Beato quello uomo, al quale nessuna cosa creata può dare mala edificazione! ma più beato è colui, il quale d’ogni cosa che ello vede e ode, riceve per sè medesimo buona edificazione.

Capitolo del dispiacimento delle cose temporali.
Molti dolori e molti guai avrà l’uomo misero, lo quale mette il suo desiderio e ’l suo cuore e la sua speranza nelle cose terrene, per le quali egli abbandona e perde le cose celestiali, e pure finalmente perderà ancora queste terrene. L’aquila vola molto in alto; ma s’ella avesse legato alcuno peso alle sue alie, ella non potrebbe volare molto in alto: e così l’uomo, per lo peso delle cose terrene non può volare in alto, cioè che non può venire a perfezione; ma l’uomo savio, che si lega il peso della memoria della morte e del giudicio alle alie del cuore suo, non potrebbe per lo grande timore discorrere, nè volare per le vanitadi, nè per le divizie [13] di questo mondo, che elle sono cagione di dannazione. Noi veggiamo ognindì gli uomini del mondo lavorare e affaticare molto e mettersi a grandi pericoli corporali, per acquistare queste ricchezze fallaci; e poichè avranno molto lavorato e acquistato, in uno punto moriranno, e lasceranno ciò che averanno acquistato in vita loro, e imperò non è da fidarsi di questo mondo fallace, il quale inganna ogni uomo che li crede, perocchè, egli è mendace. Ma chi desidera e vuole essere grande e bene ricco, cerchi e ami le ricchezze e li beni eternali, li quali sempre saziano e mai non fastidiano, e mai non vengono meno. Se non vogliamo errare, prendiamo esemplo dalle bestie e dagli uccelli, li quali quando sono pasciuti sono contenti, e non cercano se non la vita loro da ora in ora, quando loro bisogna: e così l’uomo doverebbe esser contento solamente della sua necessitade temperatamente, e non superfluamente. Dice Frate Egidio, che le formiche non piaceano a Santo Francesco siccome gli altri animali, per la grande sollecitudine che elle hanno di congregare [14], e di riporre dovizia di grano al tempo della state per lo verno: ma dicea, che gli uccelli gli piaceano molto più, perchè non congregavano nulla cosa nell’uno dì per l’altro. Ma la formica ci dà esemplo, che noi non dobbiamo stare oziosi nel tempo della state di questa vita presente, acciocchè noi non ci troviamo vacui [15] e senza frutto, nello inverno dello ultimo e finale giudizio.

Capitolo della santa castitade.
La nostra misera e fragile carne umana si è simile al porco, che sempre si diletta di giacere e d’infangarsi nel fango, riputandosi il fango per sua grande dilettazione. La nostra carne si è cavaliere del Demonio; perocchè ella combatte e resiste a tutte quelle cose, che sono secondo Iddio e secondo la nostra salute. Un Frate domandò Frate Egidio dicendogli: Padre, insegnami in che modo ci potremo noi guardare dal vizio carnale, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, chi vuole muovere alcuno grande peso o alcuna grande pietra, e mutarla in altra parte, gli conviene che si istudi di muoverlo più per ingegno, che per forza. E così noi similmente, se vogliamo vincere gli vizj carnali, e acquistare le virtù della castitade, piuttosto le potremo acquistare per la umiltade, e per lo buono e discreto reggimento spirituale che per la nostra presentuosa austeritade e forza di penitenzia. Ogni vizio turba e oscura la santa e risplendente castitade; perocchè la castitade si è simile allo specchio chiaro, il quale si oscura e conturba, non solamente per lo toccamento delle cose sozze, ma eziandio per lo fiato dell’uomo. Egli è cosa impossibile che l’uomo possa pervenire ad alcuna grazia spirituale, per infino che gli si truova essere inchinevole alle concupiscenze carnali, e imperò ti volta e rivolta come ti piace, che pure non troverai altro rimedio di potere pervenire alla grazia spirituale, se tu non sottometti ogni vizio carnale. E però combatti valentemente contra la sensuale e fragile carne tua, propiamente nemica tua, la quale sempre ti vuole contraddire di dì, e di notte; la quale carne nostra mortale nimica chi la vincerà, sia certo che tutti li suoi nimici ha vinti e sconfitti, e tosto perverrà alla grazia spirituale, e ad ogni buono stato di virtù e di perfezione. Dicea Frate Egidio: Infra tutte l’altre virtù, io allegherei piuttosto la virtù della castitade, perocchè la suavissima castitade per sè sola ha in sè alcuna perfezione; ma non è alcuna altra virtude, che possa essere perfetta senza la castitade. Uno Frate domandò Frate Egidio, dicendo: Padre, non è maggiore e più eccellente la virtù della caritade, che non è quella della castitade? E Frate Egidio disse: Dimmi fratello, qual cosa si truova in questo mondo più casta, che la santa caritade? Molte volte cantava Frate Egidio questo Sonetto, cioè: O santa castità, deh quanto è la tua bontà! Veramente tu se’ preziosa, e tale e tanto è soave il tuo odore, Che chi non ti assaggia, non sa quanto vale. Imperò li stolti non cognoscono il tuo valore. Un Frate domandò Frate Egidio, dicendo: Padre, tu che tanto commendi [16] la virtù della castitade, priegoti che tu mi dichiari, che cosa è castitade, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, io ti dico che propiamente è chiamata castitade, sollecita custodia e continua guardia delli sensi corporali e spirituali, conservandoli al solo Iddio puri e immacolati.

Capitolo delle tentazioni.
Le grandi grazie che l’uomo riceve da Dio, non le può l’uomo possedere in tranquilla pace; perocchè nascono molte cose contrarie e molte conturbazioni, e molte avversità di contra esse grazie: imperciocchè l’uomo quanto è più grazioso a Dio, tanto è più fortemente combattuto e pugnato dalli Demoni. Però l’uomo non debbe mai cessare di combattere, per poter seguitare la grazia che ha ricevuta da Dio: perocchè quanto la battaglia sarà più forte, tanto sarà più preziosa la corona, se egli vincerà la pugna. Ma noi non abbiamo molte battaglie, nè molti impedimenti, nè molte tentazioni, imperocchè noi non siamo tali, come noi doveremmo essere in nella vita spirituale. Ma ben è vero, che se l’uomo andasse bene e discretamente per la via di Dio, non avrebbe nè fatica nè tedio nel viaggio suo, ma l’uomo che va per la via del secolo, non potrà mai fuggire le molte fatiche, tedio, angosce, tribolazioni e dolori per insino alla morte. Disse uno Frate a Frate Egidio: Padre mio, a me pare che tu dichi due detti, l’uno contrario dell’altro; imperocchè tu dicesti in prima; quanto l’uomo è più virtuoso e più grazioso a Dio, tanto ha più contrarj e più battaglie in nella vita spirituale; e poi dicesti il contrario, cioè; l’uomo, che andasse bene e discretamente per la via di Dio, non sentirebbe fatica nè tedio nel viaggio suo. Al quale Frate Egidio, dichiarando la contrarietà di questi due detti, rispuose così: Fratello mio, certa cosa è, che li Demoni più corrono colle battaglie delle forti tentazioni contra quelli che hanno la buona volontà, che non fanno contro gli altri che non hanno la buona volontà, cioè secondo Dio. Ma l’uomo che va discretamente e ferventemente per la via di Dio, che fatica e che tedio e che nocimento potrieno fare li Demonj, e tutte le avversità del mondo? cognoscendo, e vedendo egli vendersi la sua derrata mille tanto pregio più che non vale. Ma più ti dico certamente: Colui, il quale fosse acceso del fuoco dello amore divino, quanto più fosse impugnato [17] dalli vizj, tanto più gli sarebbe in odio e in abbominazione. Li pessimi Demonj hanno per usanza di correre e tentare l’uomo, quando egli è in alcuna infermità ed in alcuna debolezza corporale, o quando egli è in alcuno affanno, o molto frigidato o angosciato, o quando è affamato o assetato, o quando ha ricevuta alcuna ingiuria o vergogna, o danno temporale o spirituale; perocchè essi maligni cognoscono, che in queste cotali ore e punti, l’uomo è più atto a ricevere le tentazioni, ma io ti dico, che per ogni tentazione, e per ogni vizio che tu vincerai, tu acquisterai una virtù; e quello vizio del quale tu se’ impugnato vincendolo tu, di quello riceverai tanto maggiore grazia e maggiore corona. Uno Frate domandò consiglio a Frate Egidio, dicendo: Padre, spesse volte io sono tentato di una pessima tentazione, e molte volte ho pregato Iddio che me ne liberi da essa: e pure il Signore non me la toglie, consigliami padre, come io debba fare, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, quanto più nobilmente guernisce uno Re li suoi cavalieri di nobili e forti armadure, tanto più fortemente vuole egli che eglino combattano contra alli suoi nemici, per lo suo amore. Uno Frate domandò Frate Egidio, dicendo: Padre, che rimedio piglierò io, a potere andare alla orazione più volentieri, e con più desiderio e con più fervore? perocchè quando vado alla orazione, io sono duro, pigro, arido e indevoto, al quale Frate Egidio rispuose, dicendo: Un Re ha due servi; e l’uno ha l’arme da potere combattere, e l’altro non ha armadura da potere combattere, e tutti e due vogliono entrare nella battaglia, e combattere contra gli nimici del Re. Colui che è armato, entra nella battaglia e combatte valentemente: ma lo altro che è disarmato, dice così al suo signore: Signor mio, tu vedi che io sono ignudo senza arme: ma per lo tuo amore io volentieri voglio entrare nella battaglia, e combattere così disarmato siccome io sono, e allora lo buono Re, vedendo l’amore del suo servo fedele, dice alli suoi Ministri: Andate con questo mio servo, e vestitelo con tutte quelle arme, che li sono necessarie per potere combattere, acciocchè sicuramente possa entrare nella battaglia; e segnate tutte le sue arme col mio segno reale, acciocchè egli sia cognosciuto siccome mio cavaliere fedele. E così molte volte interviene all’uomo, quando va all’orazione; cioè, quando si truova essere ignudo, indevoto, pigro: e duro d’animo; ma pure egli si sforza, per lo amore del Signore, entrare alla battaglia della orazione; ed allora il nostro benigno Re e Signore, vedendo lo sforzo del suo cavaliere, donali per le mani delli suoi Ministri Angeli la divozione dello fervore, e la buona volontade. Alcuna volta avviene questo; che l’uomo comincerà alcuna grande opera di grande fatica, siccome è a diboscare e coltivare la terra, ovvero la vigna, per potere trarne al tempo il frutto suo. E molti, per la grande fatica e per li molti affanni egli s’attediano, e quasi si pentono dell’opera cominciata; ma se pure egli si sforza insino al frutto, egli si dimentica poi ogni rincrescimento, e rimane consolato e allegro, vedendo il frutto che può godere, e così l’uomo essendo forte nelle tentazioni, egli perverrà alle molte consolazioni; perchè dopo le tribolazioni, dice Santo Paolo, sono date le consolazioni e le corone di vita eterna; e non solamente sarà dato il premio in Cielo a quelli, che resistono alle tentazioni; ma eziandio in questa vita, siccome dice il Salmista: Signore, secondo la moltitudine delle tentazioni e delli dolori miei, le tue consolazioni letificheranno l’anima mia, sicchè quanto è maggiore la tentazione e la pugna, tanto sarà più gloriosa la corona. Un Frate domandò consiglio a Frate Egidio d’alcuna sua tentazione, dicendo: O padre, io sono tentato di due pessime tentazioni: l’una si è; quando io faccio alcuno bene, subito sono tentato di vanagloria: l’altra si è; quando io faccio alcuno male, io caggio in tanta tristizia e in tanta accidia, che quasi ne vengo in disperazione. Al quale rispuose Frate Egidio: Fratello mio; bene fai tu saviamente a dolerti del tuo peccato; ma io ti consiglio, che tu ti debba dolere discretamente e temperatamente, e sempre ti debba ricordare, ch’egli è maggiore la misericordia di Dio, che non è il tuo peccato. Ma se la infinita misericordia di Dio riceve a penitenzia l’uomo che è grande peccatore, e che volontariamente pecca, quando egli si pente; credi tu, che esso buono Iddio abbandoni il buono peccatore non volontario, essendo già contrito e pentito? Ancora ti consiglio, che tu non lasci mai di fare bene, per paura della vanagloria; perocchè se l’uomo, quando vuole seminare il grano, dicesse: Io non voglio seminare; perocchè se io seminassi, forse verrebbono gli uccelli e sì lo mangerebbono; onde se così dicendo non seminasse la sua semente, certa cosa è, che non ricoglierebbe alcuno frutto per quello anno. Ma pure se egli semina la sua semente, avvegnachè gli uccelli ne mangino di quella semente, pure la maggiore parte ricoglie il lavoratore, e così essendo l’uomo impugnato di vanagloria, purchè non faccia il bene a fine di vanagloria, ma sempre pugnando contro a essa, dico che non perde il merito del bene ch’egli fa, per essere tentato. Uno Frate disse a Frate Egidio: Padre, truovasi che Santo Bernardo una volta disse li sette Salmi Penitenziali, con tanta tranquillità di mente e con tanta divozione che non pensò e non cogitò in nessuna altra cosa, se non in nella propia sentenzia delli predetti salmi. Al quale Frate Egidio rispuose così: Fratello mio, io reputo che sia molto più prodezza d’uno signore, il quale tenga uno castello, essendo assediato e combattuto dalli suoi nimici; e pure si difende sì valorosamente, che non ci lascia entrare dentro nessuno suo nimico, che non sarà stando in pace, e non avendo alcuno impedimento.

Capitolo della santa penitenzia.
Molto doverebbe l’uomo sempre affliggere e macerare il corpo suo, e volentieri patire ogni ingiuria, tribolazione e angoscia, dolore, vergogna, dispregio, improperio, avversitade e persecuzione, per amore del nostro buono Maestro e Signore Messere Gesù Cristo, il quale ci diede lo esemplo in sè medesimo; imperocchè dal primo dì della sua Nativitade gloriosa, per infino alla sua santissima Passione, sempre portò angoscia, tribolazione; dolore dispregio, affanno e persecuzione, solamente per la nostra salute. E imperò, se noi vogliamo pervenire allo stato di grazia, al postutto bisogna che noi andiamo, quanto a noi è possibile, per li andamenti e per le vestigie del nostro buono Maestro Gesù Cristo. Un uomo secolare domandò a Frate Egidio, dicendo: Padre, in che modo potremo noi secolari pervenire in istato di grazia? al quale Frate Egidio risponde: Fratello mio, l’uomo debbe primamente dolersi delli suoi peccati con grande contrizione di cuore; e poi gli debbe confessare al Sacerdote con amaritudine e dolore di cuore, accusandosi puramente, senza ricoprire e senza escusazione; e poi debbe perfettamente adempiere la penitenzia, che gli è data ed imposta dal confessore; ed anche si debbe guardare da ogni vizio e da ogni peccato, e da ogni cagione di peccato; ed ancora si debbe esercitare in nelle buone operazioni virtuose inverso di Dio, e inverso del prossimo suo, e facendo così, perverrà l’uomo ad istato di grazia e di virtude. Beato quello uomo, il quale averà continovamente dolore delli suoi peccati, sempre piangendoli di dì e di notte con amaritudine di cuore, solamente per la offensione che ha fatto a Dio! Beato quello uomo, il quale averà sempre innanzi agli occhi della mente sua le afflizioni, le pene e li dolori di Gesù Cristo, e che per lo suo amore non vorrà, nè riceverà alcuna consolazione temporale in questo mondo amaro e tempestoso, per infino a tanto ch’egli perverrà a quella consolazione celestiale di vita eterna, laddove saranno adempiuti plenamente di gaudio tutti li suoi desiderj!

Capitolo della santa orazione.
La orazione si è principio, mezzo e fine d’ogni bene, l’orazione illumina l’anima, e per essa discerne l’anima il bene dal male. Ogni uomo peccatore dovrebbe fare questa orazione ognindì continovamente, con fervore di cuore; cioè pregare Iddio umilemente, che li dia perfetto cognoscimento della propria miseria e delli suoi peccati, e delli beneficj, ch’ha ricevuti e riceve da esso buono Iddio. Ma l’uomo che non sa orare, come potrà cognoscere Iddio? E tutti quelli che si debbono salvare, se eglino sono persone di vero intelletto, al postutto fa bisogno che eglino si convertano finalmente alla santa orazione. Disse Frate Egidio: Ma se fusse uno uomo, che avesse uno suo figliuolo, il quale avesse commesso tanto male che fusse condannato a morte, ovvero che fosse isbandito dalla cittade; certa cosa è, che questo uomo molto sarebbe sollecito di procurare a tutta sua possa di dì, e di notte, e a ogni ora, ch’egli potesse impetrare grazia della vita di questo suo figliuolo, ovvero di trarlo di bando [18]; facendo grandissime preghiere e supplicazioni, e donando presenti [19] ovvero tributi, a tutta sua possanza, e per sè medesimo e per gli altri suoi amici e parenti. Adunque se questo fa l’uomo per lo suo figliuolo, il quale è mortale; quanto dovrebbe essere più l’uomo sollecito a pregare Iddio, ed eziandio a farlo pregare per li buoni uomini in questo mondò, e ancora nell’altro per li suoi Santi, per la propria anima sua la quale è immortale, quando ella è isbandita della cittade celestiale, o veramente quando è condannata alla morte eterna per li molti peccati! Uno Frate disse a Frate Egidio: Padre, a me pare che molto si dovrebbe dolere l’uomo ed avere grande rincrescimento, quando egli non può aver grazia di divozione nella sua orazione. Al quale Frate Egidio rispose: Fratello mio, io ti consiglio che tu facci pian piano il fatto tuo; imperocchè, se tu avessi un poco di buono vino in una botte, nella quale botte fusse ancora la feccia di sotto a questo buono vino; certa cosa è, che tu non vorresti picchiare nè muovere questa botte, per non mescolare il buono vino colla feccia, e così dico: per fino a tanto che la orazione non sarà partita da ogni concupiscenzia viziosa e carnale, non riceverà consolazione divina; perocchè non è chiara nel cospetto di Dio quella orazione, la quale è mescolata colla feccia della carnalità. Ed imperò si debbe l’uomo isforzare quanto più egli può, di partirsi da ogni feccia di concupiscenzia viziosa; acciocchè la sua orazione sia monda nel cospetto di Dio, ed acciocchè da essa riceva divozione e consolazione divina. Uno Frate domandò Frate Egidio, dicendo: Padre, per che cagione avviene questo; che quando l’uomo adora Iddio, che molto più è tentato, combattuto è travagliato nella mente sua, che di nessuno altro tempo? Al quale Frate Egidio rispuose così: Quando alcuno uomo ha a terminare alcuna quistione dinanzi al giudice, ed egli va per dire la sua ragione al giudice, quasi domandandogli consiglio e ajutorio; come il suo avversario sente questo, di subito comparisce a contraddire, ed a resistere alla dimanda di quello uomo, e si gli dà grande impedimento, quasi riprovando ogni suo detto: e così similmente avviene, quando l’uomo va alla orazione: perocch’egli addimanda ajutorio a Dio della cagione: ed imperò subito comparisce il suo avversario Demonio colle sue tentazioni, a fare grande resistenzia e contraddizione, a fare ogni suo isforzo, industria ed argomento che può, per impedire l’orazione; acciocchè quella orazione non sia accettata nel cospetto di Dio, ed acciocchè l’uomo non abbia da essa orazione alcuno merito, nè consolazione. E questo possiamo noi bene vedere chiaramente; perocchè quando noi parliamo delle cose del secolo, in quella volta non patiamo alcuna tentazione nè furto di mente; ma se noi andiamo alla orazione per dilettare e consolare l’anima con Dio, subito sentiremo percuotere la mente di diverse saette, cioè di diverse tentazioni; le quali le mettono li Demonj per farci isvariare la mente acciocchè l’anima non abbia diletto nè consolazione di quello, che la detta anima parla con Dio. Disse Frate Egidio, che l’uomo oratore dee fare, come fa il buono cavaliere in battaglia; che avvegnach’egli sia o punto, o percosso dal suo inimico, non si parte però subito dalla battaglia, anzi resiste virilmente per avere vittoria del suo nimico acciocchè avuta la vittoria egli s’allegri e consoli della gloria: ma s’egli si partisse dalla battaglia, com’egli fosse percosso e ferito, certa cosa è ch’egli sarebbe confuso e svergognato e vituperato. E così similmente dobbiamo fare noi; cioè non per ogni tentazione partirci dalla orazione, ma dobbiamo resistere animosamente; perocchè è beato quello uomo che sofferisce le tentazioni, come dice l’Apostolo; perocchè vincendole, riceverà la corona di vita eterna, ma se l’uomo per le tentazioni si parte dalla orazione, certa cosa è, che egli rimane confuso, vinto e sconfitto dal suo nimico Demonio. Uno Frate disse a Frate Egidio: Padre; io vidi alcuni uomini, li quali ricevettono da Dio grazia di divozione di lagrime in nella sua orazione; ed io non posso sentire alcuna di queste grazie, quando adoro Iddio, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, io ti consiglio, che tu lavori umilmente e fedelmente in nella tua orazione; imperocchè il frutto della terra non si può avere senza fatica, e senza lavorio innanzi adoperato; ed ancora dopo il lavoro, non seguita però il frutto desiderato subitamente, per infino a tanto che non è venuto il tempo della stagione: e così Iddio non dà subito queste grazie allo uomo in nella orazione, per infino a tanto che non è venuto il tempo convenevole, e per infino a tanto che la mente non è purgata di ogni carnale affezione, e vizio. Adunque, fratello mio, lavora umilmente nella orazione; perocchè Iddio, il quale è tutto buono e grazioso, ogni cosa cognosce e discerne il migliore, quando e’ sarà il tempo e la stagione, egli come benigno ti darà molto frutto di consolazione. Uno altro Frate disse a Frate Egidio: Che fai tu Frate Egidio? che fai tu Frate Egidio? ed egli rispuose: Io faccio male, e quello Frate disse: Che male fai tu? E allora Frate Egidio si voltò a un altro Frate, e sì gli disse: Dimmi fratello mio, chi credi tu che sia più presto, o il nostro Signore Iddio a concedere a noi la sua grazia, o noi a riceverla ? e quello Frate rispuose: Egli è certa cosa, che Iddio è piu presto a dare a noi la grazia sua, che noi non siamo a riceverla. Ed allora disse Frate Egidio: Dunque facciamo noi bene? E quel Frate disse: Anche facciamo noi male. E allora Frate Egidio si rivoltò al primo Frate, e disse: Ecco Frate, che si mostra chiaramente, che noi facciamo male; ed è vero quello ch’io allora rispuosi, cioè ch’io facea male. Disse Frate Egidio: Molte opere sono laudate e commendate nella Santa Scrittura, ciò sono l’opere della Misericordia, ed altre sante operazioni: ma favellando il Signore della orazione, disse così: Il Padre celestiale va cercando, e vuole degli uomini che lo adorino sopra la terra in ispirito, ed in veritade. Ancora disse Frate Egidio, che li veri religiosi sono simili alli lupi: perocchè poche volte escano fuori in pubblico, se non per grande necessitate; ma incontanente si studiano di tornare al suo segreto luogo, senza molto dimorare nè conversare in fra la gente. Le buone operazioni adornano l’anima; ma sopra tutte le altre, la orazione adorna e illumina l’anima. Uno Frate compagno e molto familiare di Frate Egidio, disse: Padre, ma perchè non vai tu alcuna volta a favellare delle cose di Dio, e ammaestrare e procurare la salute delle anime delli cristiani? Al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, io voglio soddisfare allo prossimo con utilitade, e senza danno dell’anima mia, cioè colla orazione. E quel Frate gli disse: Almeno andassi tu qualche volta a visitare li tuoi parenti. E Frate Egidio rispuose: Non sai tu, che ’l Signore dice nel Vangelio: Chi abbandonerà padre e madre, fratelli, sorelle e possessioni per lo nome mio, riceverà cento cotanto? E poi disse: Uno gentile uomo entrò nello Ordine delli Frati, del quale valsono le ricchezze forse sessanta milia lire, adunque grandi doni s’aspettano a quelli, che per Dio lasciano le cose grandi, dappoichè Iddio gli dona cento cotanti più. Ma noi che siamo ciechi, quando vediamo alcuno uomo virtuoso e grazioso appresso a Dio, non possiamo comprendere la sua perfezione, per la nostra imperfezione e cecitade. Ma se alcuno uomo fosse vero spirituale, appena ch’egli volesse mai vedere nè sentire persona, se non per grande necessitade: perocchè il vero spirituale sempre desidera d’essere separato dalla gente, ed essere unito con Dio per contemplazione. Allora Frate Egidio disse ad uno Frate: Padre, volentieri vorrei sapere, che cosa è contemplazione, e quel Frate rispuose: Padre, non lo so già io. Allora Frate Egidio disse: A me pare che ’l grado della contemplazione sia un fuoco divino, ed una devozion soave dello Spirito Santo, ed uno ratto e suspensione di mente inebriata in nella contemplazione di quello gusto ineffabile della dolcezza divina; ed una dolce e queta e soave dilettazione della anima, che sta sospensa e ratta con grande ammirazione di gloriose cose superne celestiali, ed uno infocato sentimento intrinseco di quella gloria celestiale ed innarrabile.

Capitolo della santa cautela spirituale.
O tu servo del Re celestiale, che vuoi imparare li misterj nelle cautele utili e virtuose della santa dottrina spirituale, apri bene le orecchie dello intelletto della anima tua, e ricevi con desiderio di cuore; e serba sollecitamente nella casa della tua memoria questo prezioso tesoro di queste dottrine, e ammonimenti e cautele spirituali, le quali io ti dico; per le quali tu sarai illuminato e dirizzato nel tuo viaggio, cioè della vita spirituale, e sarai difeso dalli maligni e sottili assalimenti delli tuoi inimici materiali ed immateriali, e andrai con umile audacia sicuro navigando per questo mare tempestoso di questa vita presente, per infino a tanto che tu perverrai al desiderato porto di salute. Adunque, figliuolo mio, intendi bene e nota quello ch’io ti dico: Se tu vuoi ben vedere, traeti gli occhi e sia cieco, e se tu vuogli bene udire, diventa sordo, e se tu vuogli bene camminare, sta fermo e cammina colla mente, se tu vuoi bene adoperare, mozzati le mani e adopera col cuore, e se tu vuogli bene amare, abbi in odio te medesimo, e se tu vuogli bene guadagnare ed essere ricco, perdi e sia povero, e se tu vuogli bene godere e stare in riposo, affliggi te medesimo e sta sempre in timore, ed abbi a sospetto te medesimo, se tu vuogli essere esaltato ed avere grande onore, umiliati e vitupera te medesimo, se tu vuogli essere tenuto in grande reverenzia, dispregia te medesimo, e fa reverenzia a coloro che ti fanno dispregio e vituperio, se tu vuogli avere sempre bene, sostieni sempre male, se tu vuogli essere benedetto, desidera che ogni gente ti maladisca, e dica male di te, e se tu vuogli avere verace quiete ed eternale, affaticati ed affliggiti, e desidera ogni afflizione temporale. O quanto è grande sapienzia, sapere fare e operare queste cose! ma perchè queste sono cose grandi ed altissime, però sono concedute da Dio a poche persone. Ma veramente chi studiasse bene tutte le predette cose, e mettessele in operazione, dico che non gli bisognerebbe andare a Bologna, nè a Parigi, per apparare altra teologia; imperocchè se lo uomo vivesse mille anni, e non avesse a fare alcuna cosa esteriore, o non avesse a dire alcuna cosa colla lingua; dico, che assai sarebbe che fare esercitandosi dentro dal suo cuore, lavorando intrinsicamente in nella purgazione, e dirizzamento e giustificazione della mente e della anima sua. Non dovrebbe l’uomo volere, nè vedere, nè udire, nè favellare nessuna cosa, se non in quanto fosse utilità dell’anima sua. L’uomo, che non cognosce sè, non è cognosciuto. Ed imperò guai a noi, quando riceviamo li doni e le grazie del Signore, e non li sappiamo cognoscere: ma più guai a quelli, che non li ricevono nè cognoscono, nè anche non si curano d’acquittarle nè d’averle. L’uomo si è alla immagine di Dio, e come vuole, così si tramuta; ma esso buono Iddio mai non si tramuta.

Capitolo della scienzia utile, e non utile.
L’uomo che vuole sapere molto, debbe adoperare molto, e debbe umiliarsi molto, abbassando sè medesimo e inchinando il capo, tanto, che ’l ventre vadia per terra; ed allora il Signore gli darà la molta scienzia, e sapienzia. La somma sapienzia si è a fare sempre bene, operando virtuosamente, e guardandosi bene da ogni difetto e da ogni cagione di difetto, e sempre considerare li giudicii di Dio. Una volta disse Frate Egidio ad uno, che volea andare alla scuola per imparare scienzia: Fratello mio, perchè vuoi tu andare alla scuola? ch’io ti faccio assapere, che la somma d’ogni scienzia si è temere e amare, e queste due cose ti bastano: perocchè tanta sapienzia basta all’uomo, quanto adopera, e non più. Non ti sollecitare molto di studiare per utilità d’altri, ma sempre ti studia e sollecita, e adopera quelle cose che sono utili a te medesimo; perocchè molte volte avviene questo, che noi vogliamo sapere molta scienzia per ajutare altrui, e poco per ajutare a noi medesimi, e io dico, che la parola di Dio non è dello dicitore nè anche dello uditore, ma è del vero operatore. Alcuni uomini che non sapeano notare, si entrarono nell’acqua per ajutare a quelli che s’annegavano; e accadde, che s’annegarono insieme con essi. Se tu non procuri bene la salute dell’anima tua propria, e come procurerai tu quella delli tuoi prossimi? e se tu non farai bene li tuoi fatti propj, or come farai bene li fatti altrui? perocchè non è da credere, che tu ami più l’anima d’altrui, che la tua. Li predicatori della parola di Dio debbono essere bandiera, candela e specchio del popolo. Beato quello uomo, che per tal modo guida gli altri per la via della salute, che egli (lui) medesimo non cessa d’andare per essa via della salute! Beato quello uomo, che per tale modo invita gli altri a correre, ed egli medesimo non resta di correre! più beato è quello, che per tale modo ajuta gli altri a guadagnare e ad essere ricchi, ed elli per sè medesimo non resta di arricchire. Credo, che lo buono predicatore più ammonisce e più predica a sè medesimo, che non fa agli altri. A me pare che l’uomo, il quale vuole convertire e trarre l’anime delli peccatori alla via di Dio, che sempre debba temere ched egli non sia malamente pervertito da loro, e tratto alla via delli vizj e del Demonio e dello Inferno.

Capitolo del bene parlare e del male.
L’uomo che favella le buone parole ed utili alle anime, è veramente quasi bocca dello Spirito Santo; e così l’uomo che favella le male parole ed inutili, è certamente bocca del Demonio. Quando alcuna volta li buoni uomini ispirituali sono congregati a ragionare insieme, sempre dovrebbero parlare della bellezza delle virtudi, acciocchè più piacessono le virtudi e più si dilettassono in esse; «imperocchè dilettandosi e piacendosi nelle dette virtudi, più si eserciterebbono in esse»; ed esercitandosi in esse, perverrebbono in maggiore amore di loro; e per quello amore, e per lo esercizio continuo e per lo piacimento delle virtudi, sempre salirebbono in più fervente amore di Dio, ed in più alto stato della anima; per la qual cagione gli sarebbono concedute dal Signore più doni, e più grazie divine. Quanto l’uomo è più attentato [20], tanto più gli è di bisogno parlare delle sante virtudi; imperocchè come spesse volte per lo vile favellare delli vizj, l’uomo leggermente cade nelle operazioni viziose, e così molte volte per lo ragionamento delle virtù, leggermente l’uomo è condotto e dispotto nelle sante operazioni delle virtudi, ma che diremo noi del bene, che procede dalle virtudi? perocch’egli è tanto e tanto grande, che noi non possiamo degnamente favellare della sua grande eccellenzia, ammirabile e infinita, ed anche, che diremo del male, e della pena eternale che procede dalli vizj? imperocch’egli è tanto male e tanto abisso profondo, che a noi è incomprensibile ed impossibile a pensarlo, ovvero a potere parlare di lui. Io non reputo, che sia minore virtù a sapere ben tacere, che a sapere bene parlare; ed imperò pare a me, che bisognerebbe che l’uomo avesse il collo lungo come hane la grue, acciocchè quando l’uomo volesse parlare, che la sua parola passasse per molti nodi, innanzi che venisse alla bocca; cioè a dire, quando l’uomo volesse favellare, ch’e’ bisognerebbe ch’egli pensasse e ripensasse, ed esaminasse e discernesse molto bene, e il come e ’l perchè e ’l tempo e ’l modo e la condizione degli auditori, e ’l suo proprio effetto, e la intenzione del suo motivo.

Capitolo della buona perseverazione.
Che giova all’uomo il molto digiunare ed orare e fare limosine, e affliggere sè medesimo con grande sentimento delle cose celestiali, s’egli non perviene al beato porto desiderato di salute, cioè della buona e ferma perseveranza? Alcuna volta avviene questo; che appare nel mare alcuna nave molto bella e grande e forte e nuova, e piena di molte ricchezze; e accade, che per alcuna tempesta, ovvero per lo difetto del governatore, perisce e sommerge questa nave, ed annegasi miserabilmente, e non perviene al desiderato porto, adunque, che le giova tutta la sua bellezza e bontà e ricchezza, dappoichè così miserabilmente pericolò nel pelago del mare? E anche alcuna volta appare nel mare alcuna navetta piccola e vecchia, e con poca mercatanzia; e avendo buono governatore e discreto, passa la fortuna e campa dal profondo pelago del mare, e perviene al porto desiderato: e così addiviene agli uomini, in questo tempestoso mare di questo mondo. Ed imperò dicea Frate Egidio: L’uomo sempre debbe temere; ed avvegnachè egli sia in grande prosperitade, o in alto stato, o in grande degnità, o in grande perfezione di stato, se egli non ha buono governatore, cioè discreto reggimento, egli si puote miserabilmente pericolare nel profondo pelago delli vizj; ed imperciò al ben fare al postutto bisogna la perveranza [21], come dice l’Apostolo. Non chi comincia, ma chi persevera infino al fine, quello averà la corona. Quando uno arbore nasce, già non è fatto grande incontanente; e dappoich’egli è fatto grande, non dà però incontanente il frutto; e quando fa il frutto, non pervengono però tutti quelli alla bocca del signore di quello arbore; perocchè molti di quelli frutti caggiono in terra, e infracidansi e guastansi, e tali ne mangiano gli animali: ma pure perseverando per infino alla stagione, la maggiore parte di quelli frutti ricoglie il signore di quello arbore. Ancora disse Frate Egidio: Che mi gioverebbe, s’io gustassi ben cento anni il Regno del Cielo, e io non perseverassi, sicchè dappoi io non avessi buono fine? Ed anche disse: Io reputo, che queste siano due grandissime grazie e doni di Dio a chi le può acquistare in questa vita; cioè perseverare con amore nel servigio di Dio, e sempre guardarsi di non cadere in peccato.

Capitolo della vera Religione.
Dicea Frate Egidio, parlando di sè medesimo: Io vorrei innanzi una poca grazia di Dio, essendo religioso nella religione, che non vorrei avere le molte grazie di Dio, essendo secolare e vivendo nel secolo, imperciocchè in nel secolo sì sono molto più pericoli e impedimenti, e più poco rimedio, e meno ajutorio che non è nella religione. Anche disse Frate Egidio: A me pare, che l’uomo peccatore più teme il suo bene, che non fa il suo danno e ’l suo male: imperocchè egli teme di entrare nella religione a fare penitenzia; ma non teme d’offendere Iddio e l’anima sua, rimanendo nel secolo duro e ostinato, e nello fango fastidioso delli suoi peccati, aspettando la sua ultima dannazione eternale. Uno uomo secolare; domandò Frate Egidio, dicendo: Padre, che mi consigli tu, ch’io faccia? o che io entri nella religione, o che io mi stia nel secolo facendo le buone operazioni? Al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, certa cosa è, che se alcuno uomo bisognoso sapesse un grande tesoro ascoso nel campo comune, che egli non domanderebbe consiglio ad alcuna persona, per certificarsi se sarebbe bene di cavarlo e di riporlo nella casa sua, quanto più dovrebbe l’uomo istudiarsi, ed affrettarsi con ogni efficacia e sollecitudine di cavare quello tesoro celestiale, lo quale si truova nelle sante religioni e congregazioni spirituali, senza domandare tanti consigli! E quello secolare, udendo cotesta risposta, incontanente distribuì quello che possedeva alli poveri, e così dispogliato d’ogni cosa subito entrò nella religione. Dicea Frate Egidio: Molti uomini entrano nella religione, e non mettono però in effetto e in operazioni quelle cose, le quali appartengono al perfetto stato della santa religione: ma questi cotali sono assomigliati a quello bifolco, che si vestì dell’armi d’Orlando, e non sapea pugnare nè armeggiare con esse. Ogni uomo non sa cavalcare il cavallo restìo e malizioso; e se pure lo cavalca, forse non saprebbe guardarsi di cadere, quando il cavallo corresse o maliziasse [22]. Ancora disse Frate Egidio: Io non reputo gran fatto, che l’uomo sappia entrare in nella corte del Re; “nè non reputo gran fatto, che l’uomo sappia ritenere alcune grazie, ovvero benefizj dello Re:” ma il grande fatto si è, che elli sappia bene istare e abitare e conversare nella corte dello Re, perseverando discretamente secondo che si conviene. Lo stato di quella corte del grande Re Celestiale si è la santa religione, nella quale non è fatica sapere entrare e ricevere alcuni doni, e grazie da Dio; ma il grande fatto si è, che l’uomo sappia bene vivere e conversare, e perseverare in essa discretamente per insino alla morte. Ancora disse Frate Egidio: Io vorrei innanzi essere nello stato secolare, e continovamente sperare e desiderare con divozione d’entrare nella religione, che non vorrei istare nello abito vestito nella santa religione, senza esercizio d’opere virtuose, perseverando in pigrizia e in negligenza. Ed imperò dovrebbe l’uomo religioso sempre isforzarsi di vivere bene e virtuosamente, sappiendo che egli non può vivere in altro stato, che in nella sua professione. Una volta disse Frate Egidio: A me pare che la religione de’ Frati Minori veramente si fusse mandata da Dio, per utilità e grande edificazione della gente; ma guai a noi Frati, se noi non saremo tali uomini, quali noi dobbiamo essere! Certa cosa è, che in questa vita non si troverebbono più beati uomini di noi: imperocchè colui è santo che seguita il santo, e colui è veramente buono che va per la via del buono, e colui è ricco che va per li andamenti del ricco; conciossiacosachè la religione delli Frati Minori, più che nessuna altra religione, seguita le vestigie e gli andamenti del più buono, del più ricco del più santo, che mai fosse nè mai sarà, cioè del nostro Signore Gesù Cristo.

Capitolo della santa obbedienzia.
Quanto più sta lo religioso costretto sotto il giogo della santa obbedienzia, per l’amore di Dio, tanto maggiore frutto darà di sè medesimo a Dio, quanto sarà soggetto al suo maggiore per onore di Dio, tanto sarà più libero e mondo delli suoi peccati. Lo religioso vero obbediente si è simile al cavaliere bene armato e bene a cavallo, il quale passa e rompe sicuramente la schiera delli suoi inimici senza timore, perchè nessuno di loro non lo può offendere. Ma colui che obbedisce con mormorazione e con violenzia, si è simile al cavaliere disarmato e male a cavallo; il quale entrando nella battaglia, sarà gittato per terra dalli suoi nimici, e ferito da loro e preso, e alcuna volta incarcerato e morto. Quello religioso, che vuole vivere secondo lo arbitrio della sua propia volontà, mostra che vuole edificare abitazione perpetua nel profondo dello inferno. Quando il bue mette il capo sotto il giogo, allora lavora bene la terra, sicchè rende buono frutto a suo tempo: ma quando il bue si gira vagabondo, rimane la terra inculta e salvatica, e non rende il frutto suo alla stagione. E così lo religioso che sottomette il capo sotto il giogo della obbedienzia, molto frutto rende al Signore Iddio al tempo suo: ma colui, che non è obbediente di buono cuore al suo Prelato, rimane isterile e salvatico e senza frutto della sua professione. Gli uomini savi e magnanimi si sottomettono prontamente, senza timore e senza dubitazione, il capo sotto il giogo della santa obbedienzia ma gli uomini istolti e pusillanimi si studiano di trarre fuora il capo di sotto il giogo della obbedienzia santa, e dappoi non vogliono obbedire ad alcuna creatura. Maggiore perfezione reputo che sia al servo di Dio, obbedire puramente al suo Prelato, per reverenzia e amore di Dio, che non sarebbe ad obbedire propriamente a Dio, se esso Iddio il comandasse: imperocchè colui che è obbediente ad uno vicario del Signore, certa cosa è che bene sarebbe ancora obbediente piuttosto al Signore medesimo, se egli gli comandasse. Ancora mi pare, che se alcuno uomo avesse promesso obbedienzia ad altri ed egli avesse grazia di parlare con gli Angeli; e accadesse, che egli stando e favellando con essi Angeli, e colui al quale avesse promesso obbedienzia lo chiamasse; dico, che incontanente debba lasciare il favellare con gli Angeli, e debba correre a fare la obbedienzia per onore di Dio. Colui che ha posto il capo sotto il giogo della obbedienzia santa, e poi vuole trarre il capo fuori di sotto a quella obbedienzia, per volere seguitare vita di più perfezione; dico, che s’egli non è bene perfetto prima nello stato della obbedienzia, che è segno di grande superbia, la quale ascosamente giace nella anima sua. La obbedienzia si è via di pervenire ad ogni bene, e ad ogni virtude; e la inobbedienzia si è via d’ogni male, e d’ogni vizio.

Capitolo della memoria della morte.
Se l’uomo avesse sempre dinanzi agli occhi della mente la memoria della morte sua, e dello ultimo giudicio eternale, e delle pene e delli cruciamenti delle anime dannate; certa cosa è, che mai non gli verrebbe voglia di peccare, nè di offendere Iddio. Ma se fusse cosa possibile, che alcuno uomo fosse vissuto dal principio del mondo per infino al tempo che è ora, e in tutto questo tempo avesse sottenuta ogni avversità, tribolazione, pene, afflizioni e dolori; e costui morisse, e l’anima sua andasse a ricevere quello eterno bene celestiale; ma che gli nocerebbe tutto quello male, che avesse sostenuto al tempo passato? E così similmente; se l’uomo avesse avuto tutto il tempo predetto ogni bene e ogni dilettazione, piacere e consolazione del mondo, e poi morendo e l’anima sua ricevesse quelle eternali pene dello Inferno; ma che gli gioverebbe ogni bene, ch’egli avesse ricevuto al tempo passato? Uno uomo vagabondo disse a Frate Egidio: Io sì ti dico, che volentieri vorrei vivere molto tempo in questo mondo, e avere grandi ricchezze e abbondanzia d’ogni cosa, e vorrei essere molto onorato, al quale Frate Egidio disse: Fratello mio, ma se tu fossi Signore di tutto il mondo, e dovessi vivere in esso mille anni in ogni dilettazione, delizie e piaceri e consolazioni temporali, deh dimmi; che premio, o qual merito aspetteresti d’avere di questa tua misera carne, alla quale tanto tu vorresti servire e piacere? Ma io ti dico; che l’uomo che vive secondo Iddio, e che si guarda di non offender Iddio, certo egli riceverà da esso Iddio sommo bene e infinito premio eternale, e grande abbondanzia e grande ricchezza e grande onore e lunga vita eternale in quella perpetua gloria celestiale; alla quale ci produca esso buono Iddio, Signore e Re nostro Gesù Cristo; a laude di esso Gesù Cristo, e del poverello Francesco.


Note
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[1] triaca:  medicina, rimedio.
[2] balbussando: balbettando
[3] gropposo: nodoso. Pieno di modelli.
[4] cadimenti: cadute.
[5] truono: tuono.
[6] non gli dia di pinta: non gli dia una spinta
[7]vigilie:  obbligo di digiuno il giorno prima di alcune feste.
[8] fiata: momento, occasione, frangente.
[9] quiescere: aver pace.
[10] torcere: deviare.
[11] grazioso: gentile.
[12] arrogendo: aggiungendo.
[13] divizie: ricchezze.
[14] congregare: ammucchiare, mettere insieme.
[15] vacui: vuoti.
[16] commendi: lodi.
[17] impugnato: combattuto.
[18] ovvero di trarlo di bando: oppure di richiamarlo dall'esilio.
[19] presenti: regali.
[20] attentato: tentato
[21] perveranza: forse errore del copista, ma non ho trovato esempi di questa parola: perseveranza (subito dopo c'è scritto: “chi persevera infino al fine”. Anche perseverazione.
[22] maliziassemaliziare era detto del cavallo che si riteneva preda del 'maligno'. Possiamo intendere: imbizzarrisse.


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Biblioteca dei Classici italiani di Giuseppe Bonghi
Ultimo aggiornamento: 07 febbraio 2011

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