Detti di Frate Egidio
(Edizione Padovan 1915)
Edizione di riferimento
I fioretti di san Francesco, e il Cantico del Sole, con
introduzione di Adolfo Padovan e 8 tavole, terza edizione annotata, riletta e
migliorata, Ulrico Hoepli editore libraio della Real Casa, Milano, 1915
Detti
di Frate Egidio
Incominciano
li capitoli di certa dottrina e detti notabili di Frate Egidio e in prima.
Capitolo de vizj, e della virtù.
La grazia di Dio, e la virtù sono via e scala da salire al Cielo;
ma li vizi e li peccati sono via, e scala da discendere al profondo dello
Inferno. Li vizi e li peccati sono tossico e veleno mortale; ma le virtù, e le
buone opere sono triaca [1]medicinale.
L’una grazia conduce e tirasi dietro l’altra, l’uno vizio tira dietro l’altro.
La grazia non desidera d’essere lodata; e ’l vizio non può sofferire d’essere dispregiato.
La mente nella umiltà quiesce e riposa; la pazienzia è sua figliuola. E la
santa purità del cuore vede Iddio; ma la vera devozione lo gusta. Se tu ami,
sarai amato. Se tu servi, sarai servito. Se tu temi, sarai temuto. Se tu bene
ti porterai d’altrui, conviene che altri si porti bene di te. Ma beato è colui
che veramente ama, e non desidera d’essere amato. Beato è colui che serve, e
non desidera d’essere servito. Beato è colui che teme, e non desidera d’essere
temuto. Beato è colui che bene si porta d’altrui, e non desidera che altri si
porti bene di lui. Ma perocchè queste cose sono cose altissime, e di grande
perfezione, però gli stolti non le possono conoscere nè conquistare. Tre cose
sono molto altissime e utilissime, le quali chi le avesse acquistate, non
potrebbe mai cadere. La prima si è, se tu sostieni volentieri con allegrezza
ogni tribolazione che ti avviene, per lo amore di Gesù Cristo. La seconda si è,
se tu ti umilii ognindì in ogni cosa che tu fai, ed in ogni cosa che tu vedi.
La terza si è, che tu fedelmente ami quello sommo bene celestiale invisibile
con tutto il cuore, lo quale non si può vedere con gli occhi corporali. Quelle
cose che sono più dispregiate, e più vituperate dagli uomini mondani, sono
veramente più accettabili, e più ricevute da Dio e dalli suoi Santi; e quelle
cose che sono più amate e più onorate, e più piacciono agli uomini mondani,
quelle sono più dispregiate, e vituperate e odiate da Dio, e dalli suoi Santi.
Questa laica inconvenienza procede dalla ignoranza e malizia umana: imperocchè
l’uomo misero più ama quelle cose che doverebbe avere in odio, ed ha in odio
quelle cose, che doverebbe amare. Una volta domandò Frate Egidio a un altro
Frate, dicendo: Dimmi carissimo, hai tu buona anima? Rispuose il Frate: Questo
non so io, e allora disse Frate Egidio: Fratello mio, io voglio che tu sappi,
che la santa contrizione e santa umiltade, e santa caritade, e la santa
divozione, e la santa letizia fanno buona l’anima, e beata.
Capitolo
della Fede.
Tutte quelle cose che si possono pensare col
cuore, o dire colla lingua, o vedere con gli occhi, o palpare colle mani, tutte
sono quasi niente, a rispetto e a comparazione di quelle cose, che non si
possono pensare, nè vedere, nè toccare. Tutti li Santi, e tutti li savj che sono
passati, e tutti quelli che sono nella presente vita, e tutti quelli che
verranno dietro a noi, che favellarono, o scrissero, o favelleranno, o
scritture faranno di Dio, non dissono nè mai potranno dire di Dio tanto, quanto
sarebbe uno granello di miglio, a rispetto e a comparazione del Cielo e della
terra, e anche mille migliaja di volte meno. Imperocchè tutta la Scrittura che
favella di Dio, sì ne parla quasi balbussando [2],
siccome fa la madre che balbetta col figliuolo, il quale non puote intendere le
sue parole, se ella parlasse per altro modo. Una volta disse Frate Egidio ad
uno Giudice secolare: Credi tu, che sieno grandi li Doni di Dio? Rispuose il
Giudice: Credo. Al quale Frate Egidio disse: Io ti voglio mostrare, come tu non
credi fedelmente; e poi li disse: Quanto prezzo vale quello, che tu possiedi in
questo mondo? Rispuose il Giudice: Vale forse mille lire. Allora Frate Egidio
disse:; Daresti tu queste tue possessioni per dieci mila lire? rispuose il
Giudice senza pigrizia, dicendo: Certo darei volentieri, e Frate Egidio disse:
Certa cosa è, che tutte le possessioni di questo mondo sono niente, a rispetto
alle cose celestiali: adunque perchè non dai tu queste tue possessioni a
Cristo, per poter comperare quelle celestiali e eternali? Allora il Giudice
savio della istolta scienza mondana rispose a Frate Egidio puro, e semplice:
Iddio t’ha pieno della savia stoltizia divina, dicendo: Credi tu Frate Egidio,
che sia alcuno uomo, che in tanta quantitade s’adoperi colle operazioni di
fuori, quant’egli crede colla credulità di dentro? Frate Egidio rispose: Vedi
carissimo mio, certa cosa è, che tutti li Santi si sono istudiati d’empiere con
effetto d’operazione tutto quello, che poteano e sapeano comprendere “che fosse
la volontà di Dio”, secondo la loro possibilitade; e tutte quelle cose, che non
poteano adempiere con effetto d’operazioni, sì le adempievano colli santi
desiderj delle loro volontadi; per tale modo che ’l difetto della
impossibilità, della operazione adempiano col desiderio della anima, e
satisfacevano. Ancora disse Frate Egidio: Se alcuno uomo si trovasse che avesse
perfetta fede, in poco tempo verrebbe a perfetto stato, per lo quale li saria
dato piena certezza della sua salute. L’uomo, che con ferma fede aspetta quello
eterno e sommo e altissimo bene, che danno, o che male li potrebbe fare alcuna
avversità temporale in questa vita presente? E lo misero uomo che aspetta il
male eternale, che bene gli potrà fare alcuna prosperitade, o bene temporale in
questo mondo? Impertanto, quantunque l’uomo sia peccatore, non si dee però
disperare per infino ch’e’ vive, della infinita misecordia di Dio; perocchè non
è arbore al mondo tanto spinoso, nè tanto gropposo [3],
nè tanto poderoso, che gli uomini non lo possono appianare e farlo pulito e
adornato e farlo bello: e così non è uomo tanto iniquo, nè tanto peccatore in
questo mondo, che Iddio non lo possa convertire e adornare di singulari grazie,
e di molti doni di virtù.
Capitolo
della santa Umiltade.
Non può alcuna persona venire in alcuna notizia
e cognoscimento di Dio, se non per la virtù della santa umiltade; imperocchè la
diritta via d’andare in su, si è quella d’andare in giù. Tutti li pericoli e li
grandi cadimenti [4],
che sono intervenuti in questo mondo, non sono venuti da altra cagione se non
dalla elevazione del capo, cioè della mente in superbia; e questo si pruova per
lo cadimento del Demonio che fu cacciato dal Cielo, per lo cadimento del primo
nostro parente, cioè Adamo, che fu cacciato del Paradiso per la elevazione del
capo, cioè per la inobbedienzia; ed ancora per lo Fariseo, del quale parla
Cristo nel Vangelio, e per molti altri esempli: e così per lo contrario; cioè
che tutti li grandi beni, che mai accaddono in questo mondo, tutti sono
proceduti per lo abbassamento del capo, cioè per la umiliazione della mente;
siccome si prova per la beata umilissima Vergine Maria, e per lo Pubblicano, e
per lo Santo Ladrone della Croce, e per molti altri esempli della Scrittura. Ed
imperò sarebbe buono, se noi potessimo trovare alcuno peso grande e grave, che
di continuo noi lo potessimo tenere legato al collo, acciocchè sempre ci
tirasse in giù, cioè che sempre ci facesse umiliare. Un Frate domandò Frate
Egidio: Dimmi padre, in che modo potremo noi fuggire questa superbia? al quale
Frate Egidio rispuose: Fratello mio, disponti di questo, cioè non sapere
giammai di potere fuggire la superbia, se ’n prima tu non poni la bocca dove tu
tieni li piedi: ma se tu consideri bene li beneficj di Dio, allora tu
cognoscerai bene, che per debito tu se’ tenuto d’inchinare il capo tuo. E
ancora, se tu penserai bene li tuoi difetti, e le molte offensioni che hai
fatte a Dio, al postutto arai cagione d’umiliarti. Ma guai a quelli, che
vogliono essere onorati della loro malizia! Un grado d’umiltade è in colui, lo
quale si conosce esser contrario al suo proprio bene. Un grado d’umiltade a
rendere le cose altrui; a colui di cui sono, e non appropriarle a sè medesimo;
cioè a dire, ch’ogni bene e ogni virtù che l’uomo truova in sè, non la debba
appropriare a sè, ma solamente a Dio, dal quale procede ogni grazia e ogni
virtù e ogni bene; ma ogni peccato e passione dell’anima, o qualunque vizio
l’uomo truova in sè, si debbe appropriarlo a sè, considerando che procede da
lui medesimo e dalla propria malizia, e non da altri. Beato quello uomo, che si
cognosce e reputasi vile dinanzi a Dio, e così dinanzi agli uomini! Beato colui
che sempre giudica sè, e condanna sè medesimo e non altrui! perocchè egli non
sarà giudicato da quello terribile, e ultimo giudicio eternale. Beato colui,
che andrà sottilmente sotto il giogo della obbedienzia, e sotto il giudicio
d’altri, siccome feciono li santi Apostoli, dinanzi e dappoi che ricevettono lo
Spirito Santo! Ancora disse Frate Egidio: Colui che vuole acquistare e
possedere perfetta pace e quiete, conviene che reputi ogni uomo per suo
superiore, e conviene che egli sempre si truovi suddito, e inferiore di tutti.
Beato quello uomo, che non vuole nelli suoi costumi e in nel suo parlare esser
veduto, nè cognosciuto, se non in quella pura composizione e in quello
adornamento semplice, lo quale Iddio gli adornò e lo compuose! Beato quello
uomo, che sa conservare e ascondere le revelazioni, e le consolazioni divine!
perocchè non è nessuna cosa tanto segreta, che non la riveli Iddio quando a lui
piace. Se alcuno uomo fosse il più perfetto, e ’l più santo uomo del mondo; ed
egli si reputasse e credesse essere il più misero peccatore, e lo più vile uomo
del mondo, in questo sarebbe vera umiltade. La santa umilitade non sa
favellare, e lo beato timore di Dio non sa parlare. Disse Frate Egidio: A me
pare, che la umiltade sia simile alla saetta del truono [5]:
perocchè così come la saetta fa percussione terribile, rompendo, fracassando, e
abbruciando ciò che ella coglie, e poi non se ne truova niente di quella
saetta; così similemente la umiltà percuote e dissipa e abbrucia e consuma ogni
malizia, e ogni vizio e ogni peccato; e poi non si truova esser da niente in sè
medesimo. Quello uomo che possiede umiltà, per la umiltà truova l’uomo grazia
appresso a Dio e perfetta pace col prossimo.
Capitolo
dello santo timore di Dio.
Colui che non teme, mostra che non abbia che
perdere. Lo santo timore di Dio ordina, governa e reage l’anima, e falla venire
in grazia. Se alcuno possiede alcuna grazia, o virtude divina, lo santo timore
si è quello che la conserva. E chi non avesse ancora acquistata la virtù, o la
grazia, il timor santo la fa acquistare. Il santo timore di Dio si è uno
conduttore delle grazie divine, imperciocchè ello fa l’anima dove egli abita
tosto per venire alla virtude santa, e alle grazie divine. Tutte le creature
che mai cadono in peccato, non sarieno giammai cadute, se elle avessono avuto
il santo timore di Dio. Ma questo santo dono del timore non è dato, se non alli
perfetti, perocchè quanto l’uomo è più perfetto, più è timoroso e umile. Beato
quello uomo, che si cognosce essere in una carcere in questo mondo, e sempre si
ricorda come gravemente ha offeso il suo Signore! Molto doverebbe l’uomo sempre
temere la superbia, che non gli dia di pinta [6],
e faccialo cadere dallo istato della grazia, nella quale egli è; perocchè
l’uomo non può mai stare sicuro, stando infra li nostri nemici, sì li nostri
nemici sono le lusinghe di questo mondo misero, e la nostra propria carne la
quale insieme colli Demoni sempre è inimica dell’anima. Maggiore timore bisogna
che l’uomo abbia, che la sua propria malizia non lo vinca e inganni, che di
nessuno altro suo nimico. Egli è cosa impossibile, che l’uomo possa salire e
ascendere ad alcuna grazia, o virtù divina, nè perseverare in essa, senza il
santo timore. Chi non ha timore di Dio, va a pericolo di perire, e maggiormente
d’essere in tutto perduto. Il timore di Dio fa l’uomo ubbidire umilemente e
fallo inchinare il capo sotto il giogo della obbedienzia; e quanto possiede
l’uomo maggiore timore, tanto adora più ferventemente, non è piccolo dono
quello della operazione, a cui è dato. Le operazioni virtuose degli uomini,
quantunque a me pajano grandi, non sono però computate, nè remunerate secondo
la nostra estimazione, ma secondo la estimazione e beneplacito di Dio; perocchè
Iddio non guarda alla quantità delle fatiche, ma alla quantità dello amore e
della umiltade: e imperciò la più sicura parte è a noi, di sempre amare e
temere con umiltade, e non fidarsi giammai di sè medesimo di alcuno bene,
sempre avendo a sospetto le cogitazioni, che nascono nella mente sotto spezie
di bene.
Capitolo
della santa pazienzia.
Colui, che con ferma umiltade, e pazienzia
sofferisce e sostiene le tribolazioni, per lo fervente amore di Dio, tosto
verrà in grandi grazie e virtudi, e sarà signore di questo mondo, e dello altro
glorioso averà l’arra. Ogni cosa che l’uomo fa, o bene o male, a sè medesimo il
fa; e imperò non ti iscandalizzare contra di colui, che ti fa le ingiurie, ma
debbivi avere umile pazienzia, e solamente ti debbe dolere del suo peccato,
avendogli compassione, pregando Iddio efficacemente per lui. Quanto l’uomo è
forte a sostenere, e patire le ingiurie e le tribolazioni pazientemente per
l’amore di Dio, tanto è grande appresso a Dio, e non più: e quanto l’uomo è più
debole a sostenere li dolori, e le avversitadi per lo amore di Dio; tanto è
minore appresso di Dio. Se alcuno uomo ti lodasse dicendo di te bene, rendi
quella laude al solo Iddio; e se alcuno dice di te male o vituperio, ajutalo tu
dicendo di te medesimo male, e peggio. Se tu vuoi fare buona la tua parte,
sempre ti studia di fare cattiva la tua, e quella del compagno fa buona, sempre
incolpando te medesimo, e sempre lodando o veramente iscusando il prossimo.
Quando alcuno vuole contendere o litigare teco, se tu vuogli vincere, perdi, e
vincerai; perocchè se tu volessi litigare per vincere, quando tu crederesti
avere vinto, allora tu ti troveresti d’avere perduto grossamente. Ed imperò,
fratello mio, credimi per certo, che la diritta via della salvazione, si è la
via della perdizione. Ma quando non siamo buoni portatori delle tribolazioni,
allora non possiamo essere perseguitatori delle eternali consolazioni. Molto
maggiore consolazione, e più meritoria cosa è a sostenere le ’ngiurie e li
improperii pazientemente senza mormorazione, per l’amore di Dio, che non è a
pascere cento poveri, e digiunare ognindì continuamente. Ma che utilità è all’uomo,
o che gli giova a dispregiare sè medesimo, e dare molte tribolazioni al corpo
suo, con grandi digiuni e vigilie [7] e
discipline, non potendo sostenere una piccola ingiuria del suo prossimo? della
qual cosa l’uomo riceverà molto maggior premio e maggior merito, che di tutte
le afflizioni, che l’uomo si possa dare di sua propria volontade; perocchè a
sostenere gl’improperii, e le ingiurie del suo prossimo con umil pazienzia
senza mormorazione, molto più tosto purga li peccati, che non fa la fonte delle
molte lagrime. Beato quello uomo, che sempre tiene dinanzi agli occhi della
mente sua la memoria delli suoi peccati, e li benefizj di Dio! perocchè egli
sosterrà con pazienzia ogni tribolazione e avversitade, delle quali cose egli
aspetta le grandi consolazioni. L’uomo che è vero umile, non aspetta da Dio
alcuno merito nè premio, ma solamente si studia sempre come possa soddisfare in
ogni cosa, cognoscendosi di lui essere debitore; e ogni bene che egli ha,
ricognoscelo d’avere solamente per bontà di Dio, e non per alcuno suo merito, e
ogni avversità che ello ha, ricognoscela veramente avere per li suoi peccati.
Uno Frate domanda Frate Egidio, dicendo: Padre, se nelli nostri tempi verranno
alcune grandi avversitadi o tribolazioni, che dobbiamo fare noi in quella fiata [8]?
Al quale Frate Egidio risponde, dicendo: Fratello mio, io voglio che tu sappi,
che se ’l Signore facesse piovere dal Cielo pietre e saette, non potrieno
nuocere nè fare a noi alcuno danno, se noi fussimo tali uomini, quali noi
doveremmo essere; perocchè essendo l’uomo in verità quello che debbe essere, ogni
male e ogni tribolazione se li convertirebbe in bene; perocchè noi sappiamo che
disse; l’Apostolo, che quelli che amano Iddio, ogni cosa se li convertisce in
bene; e così similmente all’uomo che ha la mala volontade, tutti li beni se li
convertiscono in male, e in giudicio. Se tu ti vuogli salvare e andare alla
gloria celestiale, non ti bisogna mai desiderare alcuna vendetta, nè giustizia
d’alcuna creatura; imperocchè la eredità delli Santi si è fare sempre bene, e
ricevere sempre male. Se tu cognoscessi in verità, come e quanto gravemente hai
offeso il tuo Creatore, tu cognosceresti, che ella è degna e giusta cosa, che
tutte le creature ti debbano perseguitare, e darti pena e tribolazione;
acciocchè esse creature facciano vendetta delle offensioni, che tu facesti al
loro Creatore. Molto è grande virtù all’uomo di vincere sè medesimo: perocchè
quelli che vince sè medesimo; vincerà tutti li suoi nemici, e perverrà in ogni
bene. Ancora molto maggior virtù sarebbe, se l’uomo si lasciasse vincere a
tutti gli uomini; imperocchè egli sarebbe signore di tutti li suoi nemici, cioè
vizj e delli demonj e del mondo e della propria carne. Se tu ti vuogli salvare,
rinunzia e dispregia ogni consolazione, che ti possono dare tutte le cose del
mondo, e tutte le creature mortali; perocchè maggiori e più spessi sono li
cadimenti, che divengono per le prosperitadi e per le consolazioni, che non
sono quelli che vengono per le avversitadi, e per le tribolazioni. Una volta
mormorava un religioso del suo Prelato in presenzia di Frate Egidio, per
cagione d’un’aspra obbedienzia che gli avea comandata; al quale Frate Egidio,
disse: Carissimo mio, quanto più mormorerai, tanto più carichi lo tuo peso, e
più grave ti sarà a portare; e quanto più umilmente, e più divotamente
sottometterai il capo sotto il giogo della obbedienzia santa, tanto più lieve e
più soave ti sarà a portare quella obbedienzia. Ma a me pare, che tu non voglia
essere vituperato in questo mondo per l’amore di Cristo, e vuogli essere
onorato nell’altro con Cristo; tu non vuogli essere in questo mondo
perseguitato, nè maladetto per Cristo, e nell’altro mondo vuogli essere
benedetto e ricevuto da Cristo; tu non ti vorresti affaticare in questo mondo,
e nell’altro vorresti quiescere [9] e
posare. Io ti dico, Frate, Frate, che tu se’ malamente ingannato; perocchè per
la via della viltà e delle vergogne e delli improperj, perviene l’uomo al
verace onore celestiale; e per sostenere le derisioni, e le maladizioni
pazientemente per lo amore di Cristo, perviene l’uomo alla gloria di Cristo,
però dice bene uno proverbio mondano, che dice: Chi non dà di quello che li
duole, non riceve quello che vuole. Si è utile natura quella del cavallo;
perocchè quantunque il cavallo vada correndo velocemente, pure si lascia
reggere, guidare e voltare in giù e in su, e innanzi e indietro, secondo la
volontà del cavalcatore; e così similmente dee fare il servo di Dio, cioè che
si debbe lasciare reggere, guidare, torcere [10] e
piegare, secondo la volontade del suo superiore, e anche da ogni altro per lo
amore di Cristo. Se tu vuogli essere perfetto, studiati solecitamente d’essere
grazioso [11] e
virtudioso, e combatti valentemente contra li vizj, sostenendo paziente. Ogni
avversitade per lo amore del tuo Signore tribolato, afflitto, improperato,
battuto, crocifisso e morto per lo tuo amore, e non per la sua colpa, nè per
sua gloria, nè per sua utilitade, ma solamente per la tua salute: e a fare
questo ch’io t’ho detto, al postutto bisogna che tu vinca te medesimo; perocchè
poco vale all’uomo inducere e trarre l’anime a Dio, se egli non vince e trae e
induce prima sè medesimo.
Capitolo
dell’oziositade.
L’uomo che sta ozioso, sì perde questo mondo e
l’altro; perocchè non fa alcuno frutto in sè medesimo, e non fa alcuna
utilitade ad altrui. Egli è cosa impossibile, che l’uomo possa acquistare la
virtù senza sollecitudine e senza grande fatica. Quando tu puoi istare in luogo
sicuro, non istare in luogo dubbioso, in luogo sicuro istà colui, il quale
sollecita e affliggesi e opera, e affatica secondo Iddio e per Dio, e non per
paura di pena nè per premio, ma per Dio. L’uomo che ricusa d’affliggersi, e
d’affaticarsi per Cristo, veramente egli ricusa la gloria di Cristo; e così
come la sollecitudine è utile e giova a noi, così la negligenzia sempre è
contraria a noi. Così come la oziosità è via d’andare all’inferno, così la
sollecitudine santa è via d’andare al cielo. Molto doverebbe l’uomo essere
sollecito ad acquistare, e a conservare le virtù e la grazia di Dio, sempre
operando con essa grazia e virtù fedelmente; perocchè molte volte addiviene
questo all’uomo che non opera fedelmente, che perde il frutto per le fronde,
ovvero il grano per la paglia. Ad alcuno concede Iddio il buono frutto
graziosamente con poche frondi, e ad alcuno altro lo dà insieme il frutto colle
frondi: e sono alcuni altri, che non hanno nè frutti, nè frondi. Maggiore cosa
mi pare che sia, a sapere bene guardare e conservare segretamente li beni, e le
grazie date dal Signore, che di saperle acquistare; imperocchè, avvegnachè
l’uomo sappia bene guadagnare, se egli non sa bene riporre e conservare, non
sarà giammai ricco, ma alcuni appoco appoco guadagnano le cose, e son fatti
ricchi, perocch’eglino conservano bene il loro guadagno, e ’l loro tesoro. O
quanta quantità d’acqua avrebbe ricolto il Tevere, se non discorresse via da
alcuna parte! L’uomo dimanda a Dio infinito dono, che è senza misura e senza
fine: ed egli non vuole amare Iddio, se non con misura e con fine. Chi vuole
essere da Dio amato, e avere da lui infinito merito soprammodo e soprammisura,
egli dee amare Iddio oltremodo e oltramisura, e sempre servirlo infinitamente.
Beato colui, che con tutto il cuore e con tutta la mente sua ama Iddio, e
sempre affligge il corpo e la mente sua per l’amore di Dio, non ne cerca alcuno
premio sotto ’l Cielo, ma solamente ched egli si cognosce di ciò essere
debitore. Se alcuno uomo fosse molto povero e bisognoso, e un altro uomo gli
dicesse: Io ti voglio prestare una cosa molto preziosa per ispazio di tre dì; e
sappi, che se tu adopererai bene questa cosa in questo termine di tre dì, tu
guadagnerai infinito tesoro da potere essere ricco sempremai: or certa cosa è,
che questo povero uomo sarebbe molto sollecito d’adoperare bene e
diligentemente questa cosa così preziosa, e molto si studierebbe di fruttarla
bene, così similmente dico, che la cosa prestata a noi dalla mano di Dio si è
il corpo nostro, lo quale esso buono Iddio ce l’ha prestato per tre dì;
imperocchè tutti li nostri tempi e anni sono a comparazione di tre dì. Adunque
se tu vuogli essere ricco, e godere eternalmente la divina dolcezza, studiati
di bene operare, e di bene fruttare questa cosa prestata dalla mano di Dio,
cioè il corpo tuo in questo spazio di tre dì, cioè in lo brieve tempo della
vita tua; perocchè, se tu non ti solleciti di guadagnare nella vita presente,
perfino a tanto che tu hai il tempo, tu non potrai più godere quella eternale
ricchezza, nè potrai riposare santamente in quella quiete celestiale
eternalmente. Ma se tutte le possessioni del mondo fussono d’una persona, che
non le lavorasse, e non le facesse lavorare ad altri; che frutto, o che utile
averebbe egli di queste cose? certa cosa è, che non ne averebbe utilità, nè
frutto veruno. Ma bene potrebbe essere, che alcuno uomo averebbe poche
possessioni, e lavorandole bene averebbe molta utilitade per sè, e per altri
averebbe frutto assai e abbondantemente. Dice un proverbio mondano: Non porre
mai bollire pentola vota al fuoco, sotto speranza del tuo vicino; e così
similmente Iddio, non vuole che alcuna grazia rimanga vacua; perocchè esso
buono Iddio non dà mai allo uomo grazia, perchè egli la debbia tenere vacua,
anzi la dona, perchè l’uomo la debbia adempiere con questo effetto di buone
operazioni; perocchè la buona volontà non soddisfa, se l’uomo non si studia di
seguirla e adempierla con effetto di santa operazione. Una volta uno uomo
vagabondo disse a Frate Egidio: Padre, priegoti, che tu mi facci alcuna
consolazione, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, istudiati di star
bene con Dio, e incontenente averai la consolazione che ti bisogna; imperocchè
se l’uomo non apparecchia nell’anima sua netta abitazione, nella quale possa
abitare e riposare Iddio, ello non troverà giammai nè luogo nè riposo, nè
consolazione vera nelle creature. Quando alcuno uomo vuole fare male, egli non
addomanda mai molto consiglio a farlo; ma al ben fare molti cercano consigli,
facendo lunga dimoranza. Una volta disse Frate Egidio alli suoi compagni:
Fratelli miei, a me pare, che al dì d’oggi non si truova chi voglia fare quelle
cose, che egli vede che li sono più utili, e non solamente all’anima, ma
eziandio al corpo. Credetemi, fratelli miei, che io potrei giurare in veritade,
che quanto l’uomo più fugge e schifa il peso e ’l giogo di Cristo, tanto lo fa
più grave a sè medesimo, e sentelo più ponderoso e di maggiore peso; e quanto
l’uomo lo piglia più ardentemente, sempre più arrogendo [12] al
peso volontariamente, tanto lo sente più lieve e più soave a poterlo portare.
Or piacesse a Dio, che l’uomo facesse e procurasse in questo mondo li beni del
corpo, perocchè farebbe ancora quelli dell’anima: conciosiacosachè il corpo e
l’anima, senza nessuno dubbio, si debbano congiungere insieme a sempre patire,
ovvero a sempre godere; cioè, o veramente patire nello inferno sempre eternalmente
pene e tormenti inestimabili, ovvero godere colli Santi e con gli Angeli in
Paradiso perpetualmente gaudj, e consolazioni inennarrabili, per li meriti
delle buone operazioni. “Perchè se l’uomo facesse bene, o perdonasse bene senza
l’umiltade, si convertirebbero in male, perocchè sono stati molti, che hanno
fatte molte opere che parevano buone e laudabili; ma però che non aveano
umilitade, sono discoperte e conosciute che sono fatte per superbia, e le opere
sì l’hanno dimostrato: perchè le cose fatte con umilitade mai non si
corrompono”. Un Frate si disse a Frate Egidio: Padre, a me pare che noi non
sappiamo ancora cognoscere li nostri beni, al quale Frate Egidio rispuose:
Fratello mio, certa cosa è, che ciascuno adopera l’arte che egli ha imparata, perocchè
nessuno può bene adoperare, se prima non impara; onde voglio che tu sappia,
fratello mio, che la più nobile arte che sia nel mondo, si è il bene adoperare:
e chi la potrebbe sapere, se prima non la impara? Beato quello uomo, al quale
nessuna cosa creata può dare mala edificazione! ma più beato è colui, il quale
d’ogni cosa che ello vede e ode, riceve per sè medesimo buona edificazione.
Capitolo del
dispiacimento delle cose temporali.
Molti dolori e molti guai avrà l’uomo misero,
lo quale mette il suo desiderio e ’l suo cuore e la sua speranza nelle cose
terrene, per le quali egli abbandona e perde le cose celestiali, e pure
finalmente perderà ancora queste terrene. L’aquila vola molto in alto; ma
s’ella avesse legato alcuno peso alle sue alie, ella non potrebbe volare molto
in alto: e così l’uomo, per lo peso delle cose terrene non può volare in alto,
cioè che non può venire a perfezione; ma l’uomo savio, che si lega il peso
della memoria della morte e del giudicio alle alie del cuore suo, non potrebbe
per lo grande timore discorrere, nè volare per le vanitadi, nè per le divizie [13] di
questo mondo, che elle sono cagione di dannazione. Noi veggiamo ognindì gli
uomini del mondo lavorare e affaticare molto e mettersi a grandi pericoli
corporali, per acquistare queste ricchezze fallaci; e poichè avranno molto
lavorato e acquistato, in uno punto moriranno, e lasceranno ciò che averanno
acquistato in vita loro, e imperò non è da fidarsi di questo mondo fallace, il
quale inganna ogni uomo che li crede, perocchè, egli è mendace. Ma chi desidera
e vuole essere grande e bene ricco, cerchi e ami le ricchezze e li beni
eternali, li quali sempre saziano e mai non fastidiano, e mai non vengono meno.
Se non vogliamo errare, prendiamo esemplo dalle bestie e dagli uccelli, li
quali quando sono pasciuti sono contenti, e non cercano se non la vita loro da
ora in ora, quando loro bisogna: e così l’uomo doverebbe esser contento solamente
della sua necessitade temperatamente, e non superfluamente. Dice Frate Egidio,
che le formiche non piaceano a Santo Francesco siccome gli altri animali, per
la grande sollecitudine che elle hanno di congregare [14],
e di riporre dovizia di grano al tempo della state per lo verno: ma dicea, che
gli uccelli gli piaceano molto più, perchè non congregavano nulla cosa nell’uno
dì per l’altro. Ma la formica ci dà esemplo, che noi non dobbiamo stare oziosi
nel tempo della state di questa vita presente, acciocchè noi non ci troviamo
vacui [15] e
senza frutto, nello inverno dello ultimo e finale giudizio.
Capitolo
della santa castitade.
La nostra misera e fragile carne umana si è
simile al porco, che sempre si diletta di giacere e d’infangarsi nel fango,
riputandosi il fango per sua grande dilettazione. La nostra carne si è
cavaliere del Demonio; perocchè ella combatte e resiste a tutte quelle cose,
che sono secondo Iddio e secondo la nostra salute. Un Frate domandò Frate
Egidio dicendogli: Padre, insegnami in che modo ci potremo noi guardare dal
vizio carnale, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, chi vuole muovere
alcuno grande peso o alcuna grande pietra, e mutarla in altra parte, gli
conviene che si istudi di muoverlo più per ingegno, che per forza. E così noi
similmente, se vogliamo vincere gli vizj carnali, e acquistare le virtù della
castitade, piuttosto le potremo acquistare per la umiltade, e per lo buono e
discreto reggimento spirituale che per la nostra presentuosa austeritade e
forza di penitenzia. Ogni vizio turba e oscura la santa e risplendente castitade;
perocchè la castitade si è simile allo specchio chiaro, il quale si oscura e
conturba, non solamente per lo toccamento delle cose sozze, ma eziandio per lo
fiato dell’uomo. Egli è cosa impossibile che l’uomo possa pervenire ad alcuna
grazia spirituale, per infino che gli si truova essere inchinevole alle
concupiscenze carnali, e imperò ti volta e rivolta come ti piace, che pure non
troverai altro rimedio di potere pervenire alla grazia spirituale, se tu non
sottometti ogni vizio carnale. E però combatti valentemente contra la sensuale
e fragile carne tua, propiamente nemica tua, la quale sempre ti vuole
contraddire di dì, e di notte; la quale carne nostra mortale nimica chi la
vincerà, sia certo che tutti li suoi nimici ha vinti e sconfitti, e tosto perverrà
alla grazia spirituale, e ad ogni buono stato di virtù e di perfezione. Dicea
Frate Egidio: Infra tutte l’altre virtù, io allegherei piuttosto la virtù della
castitade, perocchè la suavissima castitade per sè sola ha in sè alcuna
perfezione; ma non è alcuna altra virtude, che possa essere perfetta senza la
castitade. Uno Frate domandò Frate Egidio, dicendo: Padre, non è maggiore e più
eccellente la virtù della caritade, che non è quella della castitade? E Frate
Egidio disse: Dimmi fratello, qual cosa si truova in questo mondo più casta,
che la santa caritade? Molte volte cantava Frate Egidio questo Sonetto, cioè: O
santa castità, deh quanto è la tua bontà! Veramente tu se’ preziosa, e tale e
tanto è soave il tuo odore, Che chi non ti assaggia, non sa quanto vale. Imperò
li stolti non cognoscono il tuo valore. Un Frate domandò Frate Egidio,
dicendo: Padre, tu che tanto commendi [16] la
virtù della castitade, priegoti che tu mi dichiari, che cosa è castitade, al
quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, io ti dico che propiamente è
chiamata castitade, sollecita custodia e continua guardia delli sensi corporali
e spirituali, conservandoli al solo Iddio puri e immacolati.
Capitolo
delle tentazioni.
Le grandi grazie che l’uomo riceve da Dio, non
le può l’uomo possedere in tranquilla pace; perocchè nascono molte cose
contrarie e molte conturbazioni, e molte avversità di contra esse grazie:
imperciocchè l’uomo quanto è più grazioso a Dio, tanto è più fortemente
combattuto e pugnato dalli Demoni. Però l’uomo non debbe mai cessare di
combattere, per poter seguitare la grazia che ha ricevuta da Dio: perocchè
quanto la battaglia sarà più forte, tanto sarà più preziosa la corona, se egli
vincerà la pugna. Ma noi non abbiamo molte battaglie, nè molti impedimenti, nè
molte tentazioni, imperocchè noi non siamo tali, come noi doveremmo essere in
nella vita spirituale. Ma ben è vero, che se l’uomo andasse bene e discretamente
per la via di Dio, non avrebbe nè fatica nè tedio nel viaggio suo, ma l’uomo
che va per la via del secolo, non potrà mai fuggire le molte fatiche, tedio,
angosce, tribolazioni e dolori per insino alla morte. Disse uno Frate a Frate
Egidio: Padre mio, a me pare che tu dichi due detti, l’uno contrario
dell’altro; imperocchè tu dicesti in prima; quanto l’uomo è più virtuoso e più
grazioso a Dio, tanto ha più contrarj e più battaglie in nella vita spirituale;
e poi dicesti il contrario, cioè; l’uomo, che andasse bene e discretamente per
la via di Dio, non sentirebbe fatica nè tedio nel viaggio suo. Al quale Frate
Egidio, dichiarando la contrarietà di questi due detti, rispuose così: Fratello
mio, certa cosa è, che li Demoni più corrono colle battaglie delle forti
tentazioni contra quelli che hanno la buona volontà, che non fanno contro gli
altri che non hanno la buona volontà, cioè secondo Dio. Ma l’uomo che va
discretamente e ferventemente per la via di Dio, che fatica e che tedio e che
nocimento potrieno fare li Demonj, e tutte le avversità del mondo? cognoscendo,
e vedendo egli vendersi la sua derrata mille tanto pregio più che non vale. Ma
più ti dico certamente: Colui, il quale fosse acceso del fuoco dello amore
divino, quanto più fosse impugnato [17] dalli
vizj, tanto più gli sarebbe in odio e in abbominazione. Li pessimi Demonj hanno
per usanza di correre e tentare l’uomo, quando egli è in alcuna infermità ed in
alcuna debolezza corporale, o quando egli è in alcuno affanno, o molto
frigidato o angosciato, o quando è affamato o assetato, o quando ha ricevuta
alcuna ingiuria o vergogna, o danno temporale o spirituale; perocchè essi
maligni cognoscono, che in queste cotali ore e punti, l’uomo è più atto a
ricevere le tentazioni, ma io ti dico, che per ogni tentazione, e per ogni
vizio che tu vincerai, tu acquisterai una virtù; e quello vizio del quale tu
se’ impugnato vincendolo tu, di quello riceverai tanto maggiore grazia e
maggiore corona. Uno Frate domandò consiglio a Frate Egidio, dicendo: Padre, spesse
volte io sono tentato di una pessima tentazione, e molte volte ho pregato Iddio
che me ne liberi da essa: e pure il Signore non me la toglie, consigliami
padre, come io debba fare, al quale Frate Egidio rispuose: Fratello mio, quanto
più nobilmente guernisce uno Re li suoi cavalieri di nobili e forti armadure,
tanto più fortemente vuole egli che eglino combattano contra alli suoi nemici,
per lo suo amore. Uno Frate domandò Frate Egidio, dicendo: Padre, che rimedio
piglierò io, a potere andare alla orazione più volentieri, e con più desiderio
e con più fervore? perocchè quando vado alla orazione, io sono duro, pigro,
arido e indevoto, al quale Frate Egidio rispuose, dicendo: Un Re ha due servi;
e l’uno ha l’arme da potere combattere, e l’altro non ha armadura da potere
combattere, e tutti e due vogliono entrare nella battaglia, e combattere contra
gli nimici del Re. Colui che è armato, entra nella battaglia e combatte
valentemente: ma lo altro che è disarmato, dice così al suo signore: Signor
mio, tu vedi che io sono ignudo senza arme: ma per lo tuo amore io volentieri
voglio entrare nella battaglia, e combattere così disarmato siccome io sono, e
allora lo buono Re, vedendo l’amore del suo servo fedele, dice alli suoi
Ministri: Andate con questo mio servo, e vestitelo con tutte quelle arme, che
li sono necessarie per potere combattere, acciocchè sicuramente possa entrare
nella battaglia; e segnate tutte le sue arme col mio segno reale, acciocchè
egli sia cognosciuto siccome mio cavaliere fedele. E così molte volte
interviene all’uomo, quando va all’orazione; cioè, quando si truova essere
ignudo, indevoto, pigro: e duro d’animo; ma pure egli si sforza, per lo amore
del Signore, entrare alla battaglia della orazione; ed allora il nostro benigno
Re e Signore, vedendo lo sforzo del suo cavaliere, donali per le mani delli
suoi Ministri Angeli la divozione dello fervore, e la buona volontade. Alcuna
volta avviene questo; che l’uomo comincerà alcuna grande opera di grande
fatica, siccome è a diboscare e coltivare la terra, ovvero la vigna, per potere
trarne al tempo il frutto suo. E molti, per la grande fatica e per li molti
affanni egli s’attediano, e quasi si pentono dell’opera cominciata; ma se pure
egli si sforza insino al frutto, egli si dimentica poi ogni rincrescimento, e
rimane consolato e allegro, vedendo il frutto che può godere, e così l’uomo
essendo forte nelle tentazioni, egli perverrà alle molte consolazioni; perchè
dopo le tribolazioni, dice Santo Paolo, sono date le consolazioni e le corone
di vita eterna; e non solamente sarà dato il premio in Cielo a quelli, che
resistono alle tentazioni; ma eziandio in questa vita, siccome dice il
Salmista: Signore, secondo la moltitudine delle tentazioni e delli dolori miei,
le tue consolazioni letificheranno l’anima mia, sicchè quanto è maggiore la
tentazione e la pugna, tanto sarà più gloriosa la corona. Un Frate domandò
consiglio a Frate Egidio d’alcuna sua tentazione, dicendo: O padre, io sono
tentato di due pessime tentazioni: l’una si è; quando io faccio alcuno bene,
subito sono tentato di vanagloria: l’altra si è; quando io faccio alcuno male,
io caggio in tanta tristizia e in tanta accidia, che quasi ne vengo in
disperazione. Al quale rispuose Frate Egidio: Fratello mio; bene fai tu
saviamente a dolerti del tuo peccato; ma io ti consiglio, che tu ti debba
dolere discretamente e temperatamente, e sempre ti debba ricordare, ch’egli è
maggiore la misericordia di Dio, che non è il tuo peccato. Ma se la infinita
misericordia di Dio riceve a penitenzia l’uomo che è grande peccatore, e che
volontariamente pecca, quando egli si pente; credi tu, che esso buono Iddio
abbandoni il buono peccatore non volontario, essendo già contrito e pentito?
Ancora ti consiglio, che tu non lasci mai di fare bene, per paura della
vanagloria; perocchè se l’uomo, quando vuole seminare il grano, dicesse: Io non
voglio seminare; perocchè se io seminassi, forse verrebbono gli uccelli e sì lo
mangerebbono; onde se così dicendo non seminasse la sua semente, certa cosa è,
che non ricoglierebbe alcuno frutto per quello anno. Ma pure se egli semina la
sua semente, avvegnachè gli uccelli ne mangino di quella semente, pure la
maggiore parte ricoglie il lavoratore, e così essendo l’uomo impugnato di
vanagloria, purchè non faccia il bene a fine di vanagloria, ma sempre pugnando
contro a essa, dico che non perde il merito del bene ch’egli fa, per essere
tentato. Uno Frate disse a Frate Egidio: Padre, truovasi che Santo Bernardo una
volta disse li sette Salmi Penitenziali, con tanta tranquillità di mente e con
tanta divozione che non pensò e non cogitò in nessuna altra cosa, se non in
nella propia sentenzia delli predetti salmi. Al quale Frate Egidio rispuose
così: Fratello mio, io reputo che sia molto più prodezza d’uno signore, il
quale tenga uno castello, essendo assediato e combattuto dalli suoi nimici; e
pure si difende sì valorosamente, che non ci lascia entrare dentro nessuno suo
nimico, che non sarà stando in pace, e non avendo alcuno impedimento.
Capitolo
della santa penitenzia.
Molto doverebbe l’uomo sempre affliggere e
macerare il corpo suo, e volentieri patire ogni ingiuria, tribolazione e
angoscia, dolore, vergogna, dispregio, improperio, avversitade e persecuzione,
per amore del nostro buono Maestro e Signore Messere Gesù Cristo, il quale ci
diede lo esemplo in sè medesimo; imperocchè dal primo dì della sua Nativitade
gloriosa, per infino alla sua santissima Passione, sempre portò angoscia,
tribolazione; dolore dispregio, affanno e persecuzione, solamente per la nostra
salute. E imperò, se noi vogliamo pervenire allo stato di grazia, al postutto
bisogna che noi andiamo, quanto a noi è possibile, per li andamenti e per le
vestigie del nostro buono Maestro Gesù Cristo. Un uomo secolare domandò a Frate
Egidio, dicendo: Padre, in che modo potremo noi secolari pervenire in istato di
grazia? al quale Frate Egidio risponde: Fratello mio, l’uomo debbe primamente
dolersi delli suoi peccati con grande contrizione di cuore; e poi gli debbe
confessare al Sacerdote con amaritudine e dolore di cuore, accusandosi puramente,
senza ricoprire e senza escusazione; e poi debbe perfettamente adempiere la
penitenzia, che gli è data ed imposta dal confessore; ed anche si debbe
guardare da ogni vizio e da ogni peccato, e da ogni cagione di peccato; ed
ancora si debbe esercitare in nelle buone operazioni virtuose inverso di Dio, e
inverso del prossimo suo, e facendo così, perverrà l’uomo ad istato di grazia e
di virtude. Beato quello uomo, il quale averà continovamente dolore delli suoi
peccati, sempre piangendoli di dì e di notte con amaritudine di cuore,
solamente per la offensione che ha fatto a Dio! Beato quello uomo, il quale
averà sempre innanzi agli occhi della mente sua le afflizioni, le pene e li
dolori di Gesù Cristo, e che per lo suo amore non vorrà, nè riceverà alcuna
consolazione temporale in questo mondo amaro e tempestoso, per infino a tanto
ch’egli perverrà a quella consolazione celestiale di vita eterna, laddove
saranno adempiuti plenamente di gaudio tutti li suoi desiderj!
Capitolo
della santa orazione.
La orazione si è principio, mezzo e fine d’ogni
bene, l’orazione illumina l’anima, e per essa discerne l’anima il bene dal
male. Ogni uomo peccatore dovrebbe fare questa orazione ognindì continovamente,
con fervore di cuore; cioè pregare Iddio umilemente, che li dia perfetto
cognoscimento della propria miseria e delli suoi peccati, e delli beneficj,
ch’ha ricevuti e riceve da esso buono Iddio. Ma l’uomo che non sa orare, come
potrà cognoscere Iddio? E tutti quelli che si debbono salvare, se eglino sono
persone di vero intelletto, al postutto fa bisogno che eglino si convertano
finalmente alla santa orazione. Disse Frate Egidio: Ma se fusse uno uomo, che
avesse uno suo figliuolo, il quale avesse commesso tanto male che fusse
condannato a morte, ovvero che fosse isbandito dalla cittade; certa cosa è, che
questo uomo molto sarebbe sollecito di procurare a tutta sua possa di dì, e di
notte, e a ogni ora, ch’egli potesse impetrare grazia della vita di questo suo
figliuolo, ovvero di trarlo di bando [18];
facendo grandissime preghiere e supplicazioni, e donando presenti [19] ovvero
tributi, a tutta sua possanza, e per sè medesimo e per gli altri suoi amici e
parenti. Adunque se questo fa l’uomo per lo suo figliuolo, il quale è mortale;
quanto dovrebbe essere più l’uomo sollecito a pregare Iddio, ed eziandio a
farlo pregare per li buoni uomini in questo mondò, e ancora nell’altro per li
suoi Santi, per la propria anima sua la quale è immortale, quando ella è
isbandita della cittade celestiale, o veramente quando è condannata alla morte
eterna per li molti peccati! Uno Frate disse a Frate Egidio: Padre, a me pare
che molto si dovrebbe dolere l’uomo ed avere grande rincrescimento, quando egli
non può aver grazia di divozione nella sua orazione. Al quale Frate Egidio
rispose: Fratello mio, io ti consiglio che tu facci pian piano il fatto tuo;
imperocchè, se tu avessi un poco di buono vino in una botte, nella quale botte
fusse ancora la feccia di sotto a questo buono vino; certa cosa è, che tu non
vorresti picchiare nè muovere questa botte, per non mescolare il buono vino
colla feccia, e così dico: per fino a tanto che la orazione non sarà partita da
ogni concupiscenzia viziosa e carnale, non riceverà consolazione divina;
perocchè non è chiara nel cospetto di Dio quella orazione, la quale è mescolata
colla feccia della carnalità. Ed imperò si debbe l’uomo isforzare quanto più
egli può, di partirsi da ogni feccia di concupiscenzia viziosa; acciocchè la
sua orazione sia monda nel cospetto di Dio, ed acciocchè da essa riceva
divozione e consolazione divina. Uno Frate domandò Frate Egidio, dicendo:
Padre, per che cagione avviene questo; che quando l’uomo adora Iddio, che molto
più è tentato, combattuto è travagliato nella mente sua, che di nessuno altro
tempo? Al quale Frate Egidio rispuose così: Quando alcuno uomo ha a terminare
alcuna quistione dinanzi al giudice, ed egli va per dire la sua ragione al
giudice, quasi domandandogli consiglio e ajutorio; come il suo avversario sente
questo, di subito comparisce a contraddire, ed a resistere alla dimanda di
quello uomo, e si gli dà grande impedimento, quasi riprovando ogni suo detto: e
così similmente avviene, quando l’uomo va alla orazione: perocch’egli addimanda
ajutorio a Dio della cagione: ed imperò subito comparisce il suo avversario
Demonio colle sue tentazioni, a fare grande resistenzia e contraddizione, a
fare ogni suo isforzo, industria ed argomento che può, per impedire l’orazione;
acciocchè quella orazione non sia accettata nel cospetto di Dio, ed acciocchè
l’uomo non abbia da essa orazione alcuno merito, nè consolazione. E questo
possiamo noi bene vedere chiaramente; perocchè quando noi parliamo delle cose
del secolo, in quella volta non patiamo alcuna tentazione nè furto di mente; ma
se noi andiamo alla orazione per dilettare e consolare l’anima con Dio, subito
sentiremo percuotere la mente di diverse saette, cioè di diverse tentazioni; le
quali le mettono li Demonj per farci isvariare la mente acciocchè l’anima non
abbia diletto nè consolazione di quello, che la detta anima parla con Dio.
Disse Frate Egidio, che l’uomo oratore dee fare, come fa il buono cavaliere in
battaglia; che avvegnach’egli sia o punto, o percosso dal suo inimico, non si
parte però subito dalla battaglia, anzi resiste virilmente per avere vittoria
del suo nimico acciocchè avuta la vittoria egli s’allegri e consoli della gloria:
ma s’egli si partisse dalla battaglia, com’egli fosse percosso e ferito, certa
cosa è ch’egli sarebbe confuso e svergognato e vituperato. E così similmente
dobbiamo fare noi; cioè non per ogni tentazione partirci dalla orazione, ma
dobbiamo resistere animosamente; perocchè è beato quello uomo che sofferisce le
tentazioni, come dice l’Apostolo; perocchè vincendole, riceverà la corona di
vita eterna, ma se l’uomo per le tentazioni si parte dalla orazione, certa cosa
è, che egli rimane confuso, vinto e sconfitto dal suo nimico Demonio. Uno Frate
disse a Frate Egidio: Padre; io vidi alcuni uomini, li quali ricevettono da Dio
grazia di divozione di lagrime in nella sua orazione; ed io non posso sentire
alcuna di queste grazie, quando adoro Iddio, al quale Frate Egidio rispuose:
Fratello mio, io ti consiglio, che tu lavori umilmente e fedelmente in nella
tua orazione; imperocchè il frutto della terra non si può avere senza fatica, e
senza lavorio innanzi adoperato; ed ancora dopo il lavoro, non seguita però il
frutto desiderato subitamente, per infino a tanto che non è venuto il tempo
della stagione: e così Iddio non dà subito queste grazie allo uomo in nella
orazione, per infino a tanto che non è venuto il tempo convenevole, e per
infino a tanto che la mente non è purgata di ogni carnale affezione, e vizio.
Adunque, fratello mio, lavora umilmente nella orazione; perocchè Iddio, il
quale è tutto buono e grazioso, ogni cosa cognosce e discerne il migliore,
quando e’ sarà il tempo e la stagione, egli come benigno ti darà molto frutto
di consolazione. Uno altro Frate disse a Frate Egidio: Che fai tu Frate Egidio?
che fai tu Frate Egidio? ed egli rispuose: Io faccio male, e quello Frate
disse: Che male fai tu? E allora Frate Egidio si voltò a un altro Frate, e sì gli
disse: Dimmi fratello mio, chi credi tu che sia più presto, o il nostro Signore
Iddio a concedere a noi la sua grazia, o noi a riceverla ? e quello Frate
rispuose: Egli è certa cosa, che Iddio è piu presto a dare a noi la grazia sua,
che noi non siamo a riceverla. Ed allora disse Frate Egidio: Dunque facciamo
noi bene? E quel Frate disse: Anche facciamo noi male. E allora Frate Egidio si
rivoltò al primo Frate, e disse: Ecco Frate, che si mostra chiaramente, che noi
facciamo male; ed è vero quello ch’io allora rispuosi, cioè ch’io facea male.
Disse Frate Egidio: Molte opere sono laudate e commendate nella Santa
Scrittura, ciò sono l’opere della Misericordia, ed altre sante operazioni: ma
favellando il Signore della orazione, disse così: Il Padre celestiale va
cercando, e vuole degli uomini che lo adorino sopra la terra in ispirito, ed in
veritade. Ancora disse Frate Egidio, che li veri religiosi sono simili alli
lupi: perocchè poche volte escano fuori in pubblico, se non per grande
necessitate; ma incontanente si studiano di tornare al suo segreto luogo, senza
molto dimorare nè conversare in fra la gente. Le buone operazioni adornano
l’anima; ma sopra tutte le altre, la orazione adorna e illumina l’anima. Uno
Frate compagno e molto familiare di Frate Egidio, disse: Padre, ma perchè non
vai tu alcuna volta a favellare delle cose di Dio, e ammaestrare e procurare la
salute delle anime delli cristiani? Al quale Frate Egidio rispuose: Fratello
mio, io voglio soddisfare allo prossimo con utilitade, e senza danno dell’anima
mia, cioè colla orazione. E quel Frate gli disse: Almeno andassi tu qualche
volta a visitare li tuoi parenti. E Frate Egidio rispuose: Non sai tu, che ’l
Signore dice nel Vangelio: Chi abbandonerà padre e madre, fratelli, sorelle e
possessioni per lo nome mio, riceverà cento cotanto? E poi disse: Uno gentile
uomo entrò nello Ordine delli Frati, del quale valsono le ricchezze forse
sessanta milia lire, adunque grandi doni s’aspettano a quelli, che per Dio
lasciano le cose grandi, dappoichè Iddio gli dona cento cotanti più. Ma noi che
siamo ciechi, quando vediamo alcuno uomo virtuoso e grazioso appresso a Dio,
non possiamo comprendere la sua perfezione, per la nostra imperfezione e
cecitade. Ma se alcuno uomo fosse vero spirituale, appena ch’egli volesse mai
vedere nè sentire persona, se non per grande necessitade: perocchè il vero
spirituale sempre desidera d’essere separato dalla gente, ed essere unito con
Dio per contemplazione. Allora Frate Egidio disse ad uno Frate: Padre,
volentieri vorrei sapere, che cosa è contemplazione, e quel Frate rispuose:
Padre, non lo so già io. Allora Frate Egidio disse: A me pare che ’l grado
della contemplazione sia un fuoco divino, ed una devozion soave dello Spirito
Santo, ed uno ratto e suspensione di mente inebriata in nella contemplazione di
quello gusto ineffabile della dolcezza divina; ed una dolce e queta e soave
dilettazione della anima, che sta sospensa e ratta con grande ammirazione di
gloriose cose superne celestiali, ed uno infocato sentimento intrinseco di
quella gloria celestiale ed innarrabile.
Capitolo
della santa cautela spirituale.
O tu servo del Re celestiale, che vuoi imparare
li misterj nelle cautele utili e virtuose della santa dottrina spirituale, apri
bene le orecchie dello intelletto della anima tua, e ricevi con desiderio di
cuore; e serba sollecitamente nella casa della tua memoria questo prezioso
tesoro di queste dottrine, e ammonimenti e cautele spirituali, le quali io ti
dico; per le quali tu sarai illuminato e dirizzato nel tuo viaggio, cioè della
vita spirituale, e sarai difeso dalli maligni e sottili assalimenti delli tuoi
inimici materiali ed immateriali, e andrai con umile audacia sicuro navigando
per questo mare tempestoso di questa vita presente, per infino a tanto che tu
perverrai al desiderato porto di salute. Adunque, figliuolo mio, intendi bene e
nota quello ch’io ti dico: Se tu vuoi ben vedere, traeti gli occhi e sia cieco,
e se tu vuogli bene udire, diventa sordo, e se tu vuogli bene camminare, sta
fermo e cammina colla mente, se tu vuoi bene adoperare, mozzati le mani e
adopera col cuore, e se tu vuogli bene amare, abbi in odio te medesimo, e se tu
vuogli bene guadagnare ed essere ricco, perdi e sia povero, e se tu vuogli bene
godere e stare in riposo, affliggi te medesimo e sta sempre in timore, ed abbi
a sospetto te medesimo, se tu vuogli essere esaltato ed avere grande onore,
umiliati e vitupera te medesimo, se tu vuogli essere tenuto in grande
reverenzia, dispregia te medesimo, e fa reverenzia a coloro che ti fanno
dispregio e vituperio, se tu vuogli avere sempre bene, sostieni sempre male, se
tu vuogli essere benedetto, desidera che ogni gente ti maladisca, e dica male
di te, e se tu vuogli avere verace quiete ed eternale, affaticati ed
affliggiti, e desidera ogni afflizione temporale. O quanto è grande sapienzia,
sapere fare e operare queste cose! ma perchè queste sono cose grandi ed
altissime, però sono concedute da Dio a poche persone. Ma veramente chi
studiasse bene tutte le predette cose, e mettessele in operazione, dico che non
gli bisognerebbe andare a Bologna, nè a Parigi, per apparare altra teologia;
imperocchè se lo uomo vivesse mille anni, e non avesse a fare alcuna cosa
esteriore, o non avesse a dire alcuna cosa colla lingua; dico, che assai
sarebbe che fare esercitandosi dentro dal suo cuore, lavorando intrinsicamente
in nella purgazione, e dirizzamento e giustificazione della mente e della anima
sua. Non dovrebbe l’uomo volere, nè vedere, nè udire, nè favellare nessuna
cosa, se non in quanto fosse utilità dell’anima sua. L’uomo, che non cognosce
sè, non è cognosciuto. Ed imperò guai a noi, quando riceviamo li doni e le
grazie del Signore, e non li sappiamo cognoscere: ma più guai a quelli, che non
li ricevono nè cognoscono, nè anche non si curano d’acquittarle nè d’averle.
L’uomo si è alla immagine di Dio, e come vuole, così si tramuta; ma esso buono
Iddio mai non si tramuta.
Capitolo
della scienzia utile, e non utile.
L’uomo che vuole sapere molto, debbe adoperare
molto, e debbe umiliarsi molto, abbassando sè medesimo e inchinando il capo,
tanto, che ’l ventre vadia per terra; ed allora il Signore gli darà la molta
scienzia, e sapienzia. La somma sapienzia si è a fare sempre bene, operando
virtuosamente, e guardandosi bene da ogni difetto e da ogni cagione di difetto,
e sempre considerare li giudicii di Dio. Una volta disse Frate Egidio ad uno,
che volea andare alla scuola per imparare scienzia: Fratello mio, perchè vuoi
tu andare alla scuola? ch’io ti faccio assapere, che la somma d’ogni scienzia
si è temere e amare, e queste due cose ti bastano: perocchè tanta sapienzia
basta all’uomo, quanto adopera, e non più. Non ti sollecitare molto di studiare
per utilità d’altri, ma sempre ti studia e sollecita, e adopera quelle cose che
sono utili a te medesimo; perocchè molte volte avviene questo, che noi vogliamo
sapere molta scienzia per ajutare altrui, e poco per ajutare a noi medesimi, e
io dico, che la parola di Dio non è dello dicitore nè anche dello uditore, ma è
del vero operatore. Alcuni uomini che non sapeano notare, si entrarono
nell’acqua per ajutare a quelli che s’annegavano; e accadde, che s’annegarono
insieme con essi. Se tu non procuri bene la salute dell’anima tua propria, e
come procurerai tu quella delli tuoi prossimi? e se tu non farai bene li tuoi
fatti propj, or come farai bene li fatti altrui? perocchè non è da credere, che
tu ami più l’anima d’altrui, che la tua. Li predicatori della parola di Dio
debbono essere bandiera, candela e specchio del popolo. Beato quello uomo, che
per tal modo guida gli altri per la via della salute, che egli (lui) medesimo
non cessa d’andare per essa via della salute! Beato quello uomo, che per tale
modo invita gli altri a correre, ed egli medesimo non resta di correre! più
beato è quello, che per tale modo ajuta gli altri a guadagnare e ad essere
ricchi, ed elli per sè medesimo non resta di arricchire. Credo, che lo buono
predicatore più ammonisce e più predica a sè medesimo, che non fa agli altri. A
me pare che l’uomo, il quale vuole convertire e trarre l’anime delli peccatori
alla via di Dio, che sempre debba temere ched egli non sia malamente pervertito
da loro, e tratto alla via delli vizj e del Demonio e dello Inferno.
Capitolo del
bene parlare e del male.
L’uomo che favella le buone parole ed utili
alle anime, è veramente quasi bocca dello Spirito Santo; e così l’uomo che
favella le male parole ed inutili, è certamente bocca del Demonio. Quando
alcuna volta li buoni uomini ispirituali sono congregati a ragionare insieme,
sempre dovrebbero parlare della bellezza delle virtudi, acciocchè più
piacessono le virtudi e più si dilettassono in esse; «imperocchè dilettandosi e
piacendosi nelle dette virtudi, più si eserciterebbono in esse»; ed
esercitandosi in esse, perverrebbono in maggiore amore di loro; e per quello
amore, e per lo esercizio continuo e per lo piacimento delle virtudi, sempre
salirebbono in più fervente amore di Dio, ed in più alto stato della anima; per
la qual cagione gli sarebbono concedute dal Signore più doni, e più grazie
divine. Quanto l’uomo è più attentato [20],
tanto più gli è di bisogno parlare delle sante virtudi; imperocchè come spesse
volte per lo vile favellare delli vizj, l’uomo leggermente cade nelle operazioni
viziose, e così molte volte per lo ragionamento delle virtù, leggermente l’uomo
è condotto e dispotto nelle sante operazioni delle virtudi, ma che diremo noi
del bene, che procede dalle virtudi? perocch’egli è tanto e tanto grande, che
noi non possiamo degnamente favellare della sua grande eccellenzia, ammirabile
e infinita, ed anche, che diremo del male, e della pena eternale che procede
dalli vizj? imperocch’egli è tanto male e tanto abisso profondo, che a noi è
incomprensibile ed impossibile a pensarlo, ovvero a potere parlare di lui. Io
non reputo, che sia minore virtù a sapere ben tacere, che a sapere bene
parlare; ed imperò pare a me, che bisognerebbe che l’uomo avesse il collo lungo
come hane la grue, acciocchè quando l’uomo volesse parlare, che la sua parola
passasse per molti nodi, innanzi che venisse alla bocca; cioè a dire, quando
l’uomo volesse favellare, ch’e’ bisognerebbe ch’egli pensasse e ripensasse, ed
esaminasse e discernesse molto bene, e il come e ’l perchè e ’l tempo e ’l modo
e la condizione degli auditori, e ’l suo proprio effetto, e la intenzione del
suo motivo.
Capitolo
della buona perseverazione.
Che giova all’uomo il molto digiunare ed orare
e fare limosine, e affliggere sè medesimo con grande sentimento delle cose
celestiali, s’egli non perviene al beato porto desiderato di salute, cioè della
buona e ferma perseveranza? Alcuna volta avviene questo; che appare nel mare
alcuna nave molto bella e grande e forte e nuova, e piena di molte ricchezze; e
accade, che per alcuna tempesta, ovvero per lo difetto del governatore, perisce
e sommerge questa nave, ed annegasi miserabilmente, e non perviene al desiderato
porto, adunque, che le giova tutta la sua bellezza e bontà e ricchezza,
dappoichè così miserabilmente pericolò nel pelago del mare? E anche alcuna
volta appare nel mare alcuna navetta piccola e vecchia, e con poca mercatanzia;
e avendo buono governatore e discreto, passa la fortuna e campa dal profondo
pelago del mare, e perviene al porto desiderato: e così addiviene agli uomini,
in questo tempestoso mare di questo mondo. Ed imperò dicea Frate Egidio: L’uomo
sempre debbe temere; ed avvegnachè egli sia in grande prosperitade, o in alto
stato, o in grande degnità, o in grande perfezione di stato, se egli non ha
buono governatore, cioè discreto reggimento, egli si puote miserabilmente
pericolare nel profondo pelago delli vizj; ed imperciò al ben fare al postutto
bisogna la perveranza [21],
come dice l’Apostolo. Non chi comincia, ma chi persevera infino al fine, quello
averà la corona. Quando uno arbore nasce, già non è fatto grande incontanente;
e dappoich’egli è fatto grande, non dà però incontanente il frutto; e quando fa
il frutto, non pervengono però tutti quelli alla bocca del signore di quello
arbore; perocchè molti di quelli frutti caggiono in terra, e infracidansi e
guastansi, e tali ne mangiano gli animali: ma pure perseverando per infino alla
stagione, la maggiore parte di quelli frutti ricoglie il signore di quello
arbore. Ancora disse Frate Egidio: Che mi gioverebbe, s’io gustassi ben cento
anni il Regno del Cielo, e io non perseverassi, sicchè dappoi io non avessi
buono fine? Ed anche disse: Io reputo, che queste siano due grandissime grazie
e doni di Dio a chi le può acquistare in questa vita; cioè perseverare con
amore nel servigio di Dio, e sempre guardarsi di non cadere in peccato.
Capitolo
della vera Religione.
Dicea Frate Egidio, parlando di sè medesimo: Io
vorrei innanzi una poca grazia di Dio, essendo religioso nella religione, che
non vorrei avere le molte grazie di Dio, essendo secolare e vivendo nel secolo,
imperciocchè in nel secolo sì sono molto più pericoli e impedimenti, e più poco
rimedio, e meno ajutorio che non è nella religione. Anche disse Frate Egidio: A
me pare, che l’uomo peccatore più teme il suo bene, che non fa il suo danno e
’l suo male: imperocchè egli teme di entrare nella religione a fare penitenzia;
ma non teme d’offendere Iddio e l’anima sua, rimanendo nel secolo duro e
ostinato, e nello fango fastidioso delli suoi peccati, aspettando la sua ultima
dannazione eternale. Uno uomo secolare; domandò Frate Egidio, dicendo: Padre,
che mi consigli tu, ch’io faccia? o che io entri nella religione, o che io mi
stia nel secolo facendo le buone operazioni? Al quale Frate Egidio rispuose:
Fratello mio, certa cosa è, che se alcuno uomo bisognoso sapesse un grande
tesoro ascoso nel campo comune, che egli non domanderebbe consiglio ad alcuna
persona, per certificarsi se sarebbe bene di cavarlo e di riporlo nella casa
sua, quanto più dovrebbe l’uomo istudiarsi, ed affrettarsi con ogni efficacia e
sollecitudine di cavare quello tesoro celestiale, lo quale si truova nelle
sante religioni e congregazioni spirituali, senza domandare tanti consigli! E
quello secolare, udendo cotesta risposta, incontanente distribuì quello che
possedeva alli poveri, e così dispogliato d’ogni cosa subito entrò nella
religione. Dicea Frate Egidio: Molti uomini entrano nella religione, e non
mettono però in effetto e in operazioni quelle cose, le quali appartengono al
perfetto stato della santa religione: ma questi cotali sono assomigliati a
quello bifolco, che si vestì dell’armi d’Orlando, e non sapea pugnare nè
armeggiare con esse. Ogni uomo non sa cavalcare il cavallo restìo e malizioso;
e se pure lo cavalca, forse non saprebbe guardarsi di cadere, quando il cavallo
corresse o maliziasse [22].
Ancora disse Frate Egidio: Io non reputo gran fatto, che l’uomo sappia entrare
in nella corte del Re; “nè non reputo gran fatto, che l’uomo sappia ritenere
alcune grazie, ovvero benefizj dello Re:” ma il grande fatto si è, che elli
sappia bene istare e abitare e conversare nella corte dello Re, perseverando
discretamente secondo che si conviene. Lo stato di quella corte del grande Re
Celestiale si è la santa religione, nella quale non è fatica sapere entrare e
ricevere alcuni doni, e grazie da Dio; ma il grande fatto si è, che l’uomo
sappia bene vivere e conversare, e perseverare in essa discretamente per insino
alla morte. Ancora disse Frate Egidio: Io vorrei innanzi essere nello stato
secolare, e continovamente sperare e desiderare con divozione d’entrare nella
religione, che non vorrei istare nello abito vestito nella santa religione,
senza esercizio d’opere virtuose, perseverando in pigrizia e in negligenza. Ed
imperò dovrebbe l’uomo religioso sempre isforzarsi di vivere bene e
virtuosamente, sappiendo che egli non può vivere in altro stato, che in nella
sua professione. Una volta disse Frate Egidio: A me pare che la religione de’
Frati Minori veramente si fusse mandata da Dio, per utilità e grande
edificazione della gente; ma guai a noi Frati, se noi non saremo tali uomini,
quali noi dobbiamo essere! Certa cosa è, che in questa vita non si troverebbono
più beati uomini di noi: imperocchè colui è santo che seguita il santo, e colui
è veramente buono che va per la via del buono, e colui è ricco che va per li
andamenti del ricco; conciossiacosachè la religione delli Frati Minori, più che
nessuna altra religione, seguita le vestigie e gli andamenti del più buono, del
più ricco del più santo, che mai fosse nè mai sarà, cioè del nostro Signore
Gesù Cristo.
Capitolo
della santa obbedienzia.
Quanto più sta lo religioso costretto sotto il
giogo della santa obbedienzia, per l’amore di Dio, tanto maggiore frutto darà
di sè medesimo a Dio, quanto sarà soggetto al suo maggiore per onore di Dio,
tanto sarà più libero e mondo delli suoi peccati. Lo religioso vero obbediente
si è simile al cavaliere bene armato e bene a cavallo, il quale passa e rompe
sicuramente la schiera delli suoi inimici senza timore, perchè nessuno di loro
non lo può offendere. Ma colui che obbedisce con mormorazione e con violenzia,
si è simile al cavaliere disarmato e male a cavallo; il quale entrando nella
battaglia, sarà gittato per terra dalli suoi nimici, e ferito da loro e preso,
e alcuna volta incarcerato e morto. Quello religioso, che vuole vivere secondo
lo arbitrio della sua propia volontà, mostra che vuole edificare abitazione
perpetua nel profondo dello inferno. Quando il bue mette il capo sotto il
giogo, allora lavora bene la terra, sicchè rende buono frutto a suo tempo: ma
quando il bue si gira vagabondo, rimane la terra inculta e salvatica, e non
rende il frutto suo alla stagione. E così lo religioso che sottomette il capo
sotto il giogo della obbedienzia, molto frutto rende al Signore Iddio al tempo
suo: ma colui, che non è obbediente di buono cuore al suo Prelato, rimane
isterile e salvatico e senza frutto della sua professione. Gli uomini savi e
magnanimi si sottomettono prontamente, senza timore e senza dubitazione, il
capo sotto il giogo della santa obbedienzia ma gli uomini istolti e pusillanimi
si studiano di trarre fuora il capo di sotto il giogo della obbedienzia santa,
e dappoi non vogliono obbedire ad alcuna creatura. Maggiore perfezione reputo
che sia al servo di Dio, obbedire puramente al suo Prelato, per reverenzia e
amore di Dio, che non sarebbe ad obbedire propriamente a Dio, se esso Iddio il
comandasse: imperocchè colui che è obbediente ad uno vicario del Signore, certa
cosa è che bene sarebbe ancora obbediente piuttosto al Signore medesimo, se
egli gli comandasse. Ancora mi pare, che se alcuno uomo avesse promesso
obbedienzia ad altri ed egli avesse grazia di parlare con gli Angeli; e
accadesse, che egli stando e favellando con essi Angeli, e colui al quale
avesse promesso obbedienzia lo chiamasse; dico, che incontanente debba lasciare
il favellare con gli Angeli, e debba correre a fare la obbedienzia per onore di
Dio. Colui che ha posto il capo sotto il giogo della obbedienzia santa, e poi
vuole trarre il capo fuori di sotto a quella obbedienzia, per volere seguitare
vita di più perfezione; dico, che s’egli non è bene perfetto prima nello stato
della obbedienzia, che è segno di grande superbia, la quale ascosamente giace
nella anima sua. La obbedienzia si è via di pervenire ad ogni bene, e ad ogni
virtude; e la inobbedienzia si è via d’ogni male, e d’ogni vizio.
Capitolo
della memoria della morte.
Se l’uomo avesse sempre dinanzi agli occhi
della mente la memoria della morte sua, e dello ultimo giudicio eternale, e
delle pene e delli cruciamenti delle anime dannate; certa cosa è, che mai non
gli verrebbe voglia di peccare, nè di offendere Iddio. Ma se fusse cosa
possibile, che alcuno uomo fosse vissuto dal principio del mondo per infino al
tempo che è ora, e in tutto questo tempo avesse sottenuta ogni avversità,
tribolazione, pene, afflizioni e dolori; e costui morisse, e l’anima sua
andasse a ricevere quello eterno bene celestiale; ma che gli nocerebbe tutto
quello male, che avesse sostenuto al tempo passato? E così similmente; se
l’uomo avesse avuto tutto il tempo predetto ogni bene e ogni dilettazione,
piacere e consolazione del mondo, e poi morendo e l’anima sua ricevesse quelle
eternali pene dello Inferno; ma che gli gioverebbe ogni bene, ch’egli avesse
ricevuto al tempo passato? Uno uomo vagabondo disse a Frate Egidio: Io sì ti
dico, che volentieri vorrei vivere molto tempo in questo mondo, e avere grandi
ricchezze e abbondanzia d’ogni cosa, e vorrei essere molto onorato, al quale
Frate Egidio disse: Fratello mio, ma se tu fossi Signore di tutto il mondo, e
dovessi vivere in esso mille anni in ogni dilettazione, delizie e piaceri e
consolazioni temporali, deh dimmi; che premio, o qual merito aspetteresti
d’avere di questa tua misera carne, alla quale tanto tu vorresti servire e
piacere? Ma io ti dico; che l’uomo che vive secondo Iddio, e che si guarda di
non offender Iddio, certo egli riceverà da esso Iddio sommo bene e infinito
premio eternale, e grande abbondanzia e grande ricchezza e grande onore e lunga
vita eternale in quella perpetua gloria celestiale; alla quale ci produca esso
buono Iddio, Signore e Re nostro Gesù Cristo; a laude di esso Gesù Cristo, e
del poverello Francesco.
Note
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[21] perveranza:
forse errore del copista, ma non ho trovato esempi di questa parola: perseveranza (subito
dopo c'è scritto: “chi persevera infino al fine”. Anche perseverazione.
[22] maliziasse: maliziare era
detto del cavallo che si riteneva preda del 'maligno'. Possiamo intendere:
imbizzarrisse.