martedì 6 dicembre 2016

Bruno Cornacchiola - Biografia avvincente

Biografia di Bruno Cornacchiola

Roma, 9 maggio 1913 - 22 giugno 2001

Associazione catechistica S.A.C.R.I.  http://www.associazionesacri.it

Lontano vedo una luce ….Sono nato a Roma il 9 maggio 1913, in una stalla che aveva un fontanile in via Cassia Vecchia, in prossimità della quale oggi sorge la chiesa parrocchiale della Gran Madre di Dio.
Mia madre, che per arrotondare le insufficienti entrate di mio padre, faceva la lavandaia mi raccontava che mentre stava lavando i panni al fontanile le vennero le doglie e fu messa su un carretto.
Quante volte, da ragazzo, ho visto la poverina lavare i panni altrui, spesso cantando, accompagnata da muggiti e nitriti, e dal piccolo coro di galli e galline... Io aiutavo mamma a lavare i panni più piccoli. Vivevamo infatti in cascinali e in case rurali all’estrema periferia di Roma, in zone extraurbane, perché la povertà dei miei non ci permetteva di più, né ci consentiva di pagare puntualmente l’affitto, rimanendo a lungo nella stessa abitazione
A tre mesi, il 15 agosto, solennità di Maria Santissima Assunta in Cielo, fui battezzato nella Chiesa di Sant’Agnese fuori le Mura, alla via Nomentana sorta sulle catacombe che accoglievano i resti della giovane Martire.
Mamma mi raccontava non senza sorridere, che mio padre ed il padrino certo Mario Carnevale, da lui conosciuto nel Carcere di Regina Coeli, dove era stato rinchiuso per ubriachezza molesta e rissa, si presentarono al Parroco, col fiasco del vino in mano, malfermi sulle gambe.
Al Sacerdote esterrefatto, mio padre borbottò che voleva farmi battezzare col nome di Giordano Bruno: “Quello che voi preti avete bruciato vivo a Campo de’ Fiori!”; e qualora la cosa non gli fosse andata bene, avrebbe pensato lui a battezzarmi col fiasco del vino...
Invano, don Federico Fofi, cercò di dissuadere mio padre dal mettermi il nome di un monaco eretico, che il libero pensiero venera come maestro e grande annunciatore dell’umanesimo pagano. Rimaneva irremovibile. Finalmente le preghiere, la pazienza e le buone esortazioni del Sacerdote la vinsero sulla caparbietà di mio padre, che, invitato a rinunciare all’intero nome dell’orgoglioso monaco filosofo, accettò di prenderne soltanto il nome, o meglio, ignorante com’era, scelse il cognome, che per lui era il nome: Bruno.
Attraverso quel pio Sacerdote ricevetti dalla Chiesa “Madre della nostra nuova vita ... la fede e la vita nuova in Cristo mediante il Battesimo” (cfr. C.C.C. Nn 168-169).
Come ho detto la mia famiglia era poverissima.
Mia madre non sapeva leggere né scrivere. Solo mio padre, poverino, anche egli analfabeta, aveva appreso a scrivere e leggere soltanto i numeri, lavorava saltuariamente e consumava quasi l’intero e magro salario nel vizio del bere. Quando poi era ubriaco erano risse, bestemmie, botte, bicchieri e stoviglie in frantumi... Non mancavano le coltellate e, di conseguenza, la galera. Quando beveva diventava ombroso e violento con tutti. Allora erano percosse e maltrattamenti per mamma e per noi bambini.
La vita dei miei genitori certo non era di buon esempio per noi figli, che cercavamo di imitarli nelle bestemmie e nelle parole triviali.
Ricordo una dolorosa vigilia di Natale, quando vidi le guardie ammanettare mio padre e tradurlo in carcere perché, ubriaco, aveva spaccato la testa ad un suo compagno d’osteria. Rivedo mia madre, lasciati noi bambini, affamati e disperati, e la pentola a bollire, con un po’ di verdura raccolta nei campi, scappare in questura nella speranza di essere utile al marito.
La poverina doveva lavorare senza sosta, sempre di corsa, e senza lamentarsi: governare la casa, inventarsi qualcosa da mangiare con quei pochi soldi che aveva, accudire a noi bambini, seguire i miei due fratelli più grandi ammalati, fare la lavandaia...
Papà si curava poco di noi figli. Anche mamma non ci poteva custodire suo malgrado, perché sempre assillata com’era da angustie e fatiche che non finivano mai, non riusciva a fare tutto. Molte volte, per fame, andavo a pescare nella marrana, dove ora c’è il mercato dell’usato in via Sannio, che passando sotto la via Appia andava a sbucare vicino a un mulino ad acqua e alla bottega di un marmista. Per guadagnare qualche tozzo di pane ballavo e saltavo, lacero e scalzo, nel cortile del casale della Signora Maria Luzzi in Daneri in Via Tre Madonne o Acqua Mariana, dove la mia famiglia abitò dal 1916 al 1929. La casa era quasi attaccata al palazzetto del dottore Buttazzoni, medico condotto della zona di Porta Metronia. Mi conducevano a fare questo “lavoretto” perché le persone che bevevano e giocavano a carte all’osteria non senza liti e bestemmie, si divertivano a sentire il suonatore ambulante di fisarmonica, e lo ricompensavano con qualche moneta. Egli poi mi dava qualche spicciolo.
In un’unica stanza, annerita dal fumo di un fornello che funzionava male piena di mosche l’estate, e sporca di fango l’inverno abitavamo tutti: mio padre, mia madre, i miei fratelli: Tullio (nato nel 1909) il maggiore, morto in giovane età, colpito da tbc; Mario (1911) che si ammalò di malaria che gli procurò una meningite cerebrale; io (1913), che fui colpito all’età di cinque anni da quell’epidemia, chiamata spagnola, che fece tante vittime; Augusta (1915) ed Elena (1918).
Abbandonati a noi stessi, circondati dalla più squallida miseria fisica e morale, noi bambini trascorrevamo una fanciullezza molto triste. Sempre affamati, spesso mangiavamo soltanto un pò di verdura raccolta da mia madre nei campi, o quello che riuscivamo a pescare dai rifiuti dei ristoranti e dell’osterie gettati nei bidoni, i “bigonzi”, come li chiamavamo noi, per nutrire i maiali.
Sporchi, mal vestiti e mal riparati dal freddo, crescevamo nella totale ignoranza religiosa morale e civica, in mezzo ai pericoli morali e materiali della strada. Mancavamo di tutto. Ricordo che delle volte, all’alba, dopo una notte Fredda, noi ragazzi correvamo a scaldarci sotto il primo raggio di sole che entrava nella stanza. Quando capitava, andavamo a gruppi a rubare per farne negli orti. Io sradicavo rape e verdure, poi fuggivamo, e portavo a mia madre quello che ero riuscito a portar via. Nel 1920 una folla assalì un negozio sulla via Vetulonia. Il proprietario, non faccio nomi, per salvare i suoi beni ci sparò con il fucile dalla finestra di casa. La gente che fuggiva mi trascinò per terra e mi calpestò! Avevo sette anni e rimasi dolorante per molto tempo. Portai a mia madre, come bottino, un rocchetto di filo metallico. La poveretta non sapeva proprio cosa farsene!
Fui spinto ad andare a scuola ma non fui mai seguito. Mi mancavano libri, quaderni, penne e ogni accessorio scolastico. Nessuno dei miei andò mai a parlare con gli insegnanti. Frequentai la prima elementare saltuariamente. All’insegnamento proficuo nelle aule chiuse preferivo quello all’aperto ma dannoso della strada.
Dopo tre anni, per anzianità, fui promosso alla seconda classe elementare, che non riuscii a frequentare per l’intero anno perché, dopo due o tre mesi, lasciai la scuola. A dieci anni ebbi il mio primo lavoro come ragazzo di bottega di un carbonaio con l’incarico di consegnare a casa degli acquirenti il carbone. Quando passavo per via La Spezia; per il desiderio di conoscere almeno qualcosa, mi fermavo sotto le finestre della mia classe, che stava al primo piano della Scuola Elementare Giosuè Carducci. Qui, poggiavo in terra il sacchetto di dieci chili di carbone e ascoltavo, non visto e per poco tempo, la lezione della maestra. Qualche volta seguivo le operazioni aritmetiche, che sentivo dalla voce della maestra, scrivendo con il carbone sul marciapiede.
Ma purtroppo rubavo e fui cacciato. Ero molto attratto dai libri. Ricordo uno dei miei primi furti, nella casa di una signora alla quale avevo consegnato un sacchetto di carbone. Vidi all’ingresso un bel volume e non resistetti alla tentazione. Lo presi, aveva per titolo - Il catechismo di Pio X - (Ediz 1913); lo conservo ancora. Così finiscono i miei studi. Ormai ero cresciuto e per i miei genitori era un lusso mandarmi a scuola. Un lusso che non potevano permettersi.
Volentieri lasciai la scuola. Ormai per me ragazzo, lacero, spesso scalzo, o con la suola delle scarpe legata alla tomaia da cordicelle o da fili di ferro, la vergogna di sedere da ripetente, accanto a bambini ben vestiti ordinati, puliti e nutriti, forniti di libri e quaderni, era troppo grande.
Facevo anche qualche lavoretto saltuario e precario.
Feci lo strillone di giornali: Il Popolo d’italia, Il Messaggero, il Piccolo.
Ho lavorato anche come corriere al giornale di lingua francese “L’italie”. Il mio lavoro consisteva nel ritirare alla Camera dei Deputati gli articoli dei giornalisti e portarli in redazione, in Piazza di Pietra a Roma.
Un giorno, lavorando al banco dell’edicola dei giornali del Signor Giuliani, all’angolo di via Gallia, rubai cinque lire, una grossa cifra per quei tempi, che spesi comperando un pallone e tanti dolciumi, che spartii anche con i miei piccoli ed ammirati amici. Il padrone “fece la spia” a mio padre che mi impartì con la cinta una terribile ed indimenticabile lezione. Fui cacciato anche da lì, e andai a fare il garzone in un piccolo albergo di Via Veneto.
Mi viene in mente un fatto, accadutomi mentre lavoravo in Via Vittorio Veneto n. 79 vicino a Porta Pinciana nella pensione Calcagni - Gargiulo nel 1926. Facevo lo sguattero, lavavo il pavimento e accudivo ai piccoli mestieri. Terminato il mio lavoro andavo in Via Laurina a portare il latte alla mamma e alla sorella della signora Calcagni. Passavo per Trinità dei Monti dove, ai miei tempi, funzionava un ascensore, detto “del Pincio”. Alla fine di una lunga scalinata a destra, c'era una specia di arco, da lì proseguivo per Via del Babuino.
Il giorno di Natale, vedo in un angolo di Via Laurina, un Vecchio con la barba bianca. Mi chiama. C’era un fuoco acceso all’angolo destro, dove ora hanno costruito una fontana, mi giro e vedo lui, dolce, pieno di bontà, che mi dice: “Sono Paolo. Oggi è Natale. Voglio spiegarti cosa è il Natale.
Io non sapevo cosa fosse o significasse la festa del Natale e chiedevo a tutti delle spiegazioni. Le ricevevo, sempre un po’ affrettate, ma non riuscivo a comprenderle, e continuavo a pensare al Natale come a una festa dei ricchi, che quel giorno mangiano tanti dolci e si fanno tra loro molti regali. Pensavo pure che come il Bambinello, chiamato Gesù, c’erano tanti altri bambini, ancora più poveri di lui, perché non avevano i genitori, e nessuno pensava a loro.
“Sappi - prosegue il Vegliardo - che noi stiamo nelle tenebre. Il Bambino è nato 1900 anni fa da Maria Semprevergine e senza peccato. Lei ha dato alla luce un Figlio, un Figlio che è la Luce e ci dà tutti Luce per illuminare il mondo...”
Chi poteva capire quelle sublimi parole? Io ascoltavo il racconto e pian piano mi addormentai tra le sue braccia... e mi sembrò di rivivere tutto quello che il vecchio Paolo mi narrava. Quando mi svegliai mi disse: “Vai a portare il latte alla madre della tua padrona. Ci rivediamo domani e ti narrerò altre cose che riguardano la salvezza dell’umanità “.
Ogni giorno, di pomeriggio, ero li ad ascoltare. Ascoltavo... ascoltavo.., era bello sentire quei racconti cosi profondi. “Un giorno vedrai quella Luce, e sarai tu un missionario della Luce... “mi diceva. Dopo non lo vidi più. Tutte queste cose le ricordai dopo l’Apparizione. Quando accadevano non sapevo chi fosse quel Vecchio e cosa volesse dirmi.
Ogni volta che ripenso a quel Natale e ai tanti che ho passato dopo, nell’abbandono, nella fame, nel freddo, nelle malattie, nelle guerre... mi rivedo sempre quello che ero: senza famiglia e senza amore.

Soltanto dopo il 12 aprile 1947, ogni Natale, anche nella sofferenza, furono e sono belli, pieni di luce. Sento il Natale come raggio di luce celestiale che penetra il cuore, che illumina. “Se un tempo eravate tenebra ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come figli della luce, il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità” (Ef 5, 8-9). Aveva ragione il vecchio Paolo! Proprio vicino al luogo dove l’Apostolo Paolo fu ucciso, sulla Via Laurentina alle Tre Fontane, un altro Paolo (è il nome che ho preso da religioso fratello Leone Maria Paolo), povero e misero, vide quella Luce che penetra, si insedia, irradia la luce attorno a te per illuminare i cuori “luce per illuminare le genti / e gloria del tuo popolo Israele” (S. Lc 2,32). Cristo, la Grazia.
Ora sì che comprendo e posso dire: questo é il Natale, luce che illumina il retto cammino per la gioia eterna! Avanti per la strada della luce per la salvezza delle anime!
Se l’umanità comprendesse la luce di Cristo, lascerebbe la vita del mondo per la vita religiosa!
Spesso, alla sera, dopo aver passato l’intera giornata a vagabondare per strada, non avendo un luogo dove dormire, perché non volevo tornare a casa dove mi aspettavano botte ed improperi da mio padre, troppe volte ubriaco, andavo a distendermi sopra dei cartoni che mi procuravo per difendermi dal freddo, presso la “Scala Santa” in S. Giovanni in Laterano sotto l’Abside o Triclinio e passavo la notte all’addiaccio.
Altre volte, per ripararmi meglio dal Freddo, dormivo rannicchiato dentro qualche cappella al cimitero del Verano. Entravo alla sera, poco prima che il personale chiudesse i cancelli e uscivo al mattino, appena li riapriva.
Non avevo paura dei morti. Per un ragazzo come me, abbandonato e senza istruzione, pronto a recepire i pessimi insegnamenti della strada la compagnia dei vivi era la più pericolosa.
Una mattina del gennaio 1927, di buon’ora, mentre dormivo sotto l’abside del Triclinio incorporato nella Chiesa della Scala Santa, una signora mi sveglia e mi invita ad entrare in Chiesa. Era la pia Signora Maria Farzetti, morta in concetto di santità, che ogni giorno si recava lì, ad ascoltare la Santa Messa.
Sebbene avessi 14 anni, nell’ignoranza religiosa nella quale ero cresciuto, non sapevo che cosa fosse la S. Comunione, la Confessione, la Cresima, né altro Sacramento. Così, quando la signora Farzetti me ne parlò per la prima volta, pensai che fosse una pietanza speciale che mangiavano i ricchi...
La pietosa signora, preoccupata del mio stato, mi fece alcune domande: se avessi mangiato, perché dormissi per la strada, quanti anni avevo, perché non stavo con i miei genitori. Le mie risposte dovettero preoccuparla ancora di più.
Infine mi chiese:” Hai fatto la Comunione’?”
Risposi: “Cos’è la Comunione’?”
“Non sai neanche questo?!... E tua madre non fa la Comunione’?”
“Mamma delle volte ce fa la pastasciutta... er minestrone., ma sto pranzo non ce l’ha cucinato mai” La brava signora comprese la mia spaventosa ignoranza e l’urgente dovere di aiutarmi, e mi invitò a seguirla in Chiesa, promettendomi, per dopo, un pezzo di pizza per la colazione.
Affamato com’ero, non potevo immaginare un regalo più grande! Di tutto il discorso avevo capito solo la pizza.
Per tutta la mia vita ho ricordato questa azione missionaria, della cara Farzetti.
Oh, se ogni Cristiano facesse così, se ognuno di noi ricordasse che tutta la Chiesa è apostolica (...che) tutti i membri della Chiesa, sia pure in modi diversi, partecipano a questa missione’ (cfr. C.C.C., 863); se ognuno di noi mettesse in pratica l’esortazione della Vergine della Rivelazione: “Siate Missionari della Parola di Verità! “.
La signora, preoccupata per il mio stato, ancor più per quello morale che per quello fisico, decise con sollecitudine che era ora di trasformare quel piccolo battezzato, che la misericordia di Dio le aveva messo sul suo cammino, in un credente responsabile.
Mi consegnò, così com’ero - scalzo, con la maglietta strappata e con la testa quasi pelata per uno sfogo causato da parassiti - nelle mani di un buon frate passionista della Scala Santa, Frà Luigi dell’Addolorata (Marino Angelini), un anziano catechista delle classi umili, che curava anche la bancarella degli articoli religiosi.

Questi seppe bene unire il ministero della catechesi, (cfr. C. C. C., Prefazione,) col mio affidamento; e attraverso il Catechismo di San Pio X, con grande fatica e buona volontà, perché non sapevo ancora leggere correttamente, iniziò a farmi comprendere i concetti fondamentali della nostra santa Fede, e ad apprendere le prime preghiere del Cristiano: il Padre nostro, l’Ave Maria, il Gloria al Padre, il Credo e l’Atto di dolore.
Così ogni mattina la cara Signora non mi faceva mancare la colazione e fratel Luigi l’insegnamento cristiano.
Erano i primi di marzo, quando Frà Luigi ritenne che io fossi pronto per il ritiro spirituale in preparazione alla prima Comunione, mi fece accompagnare dalla Signora Farzetti a “PonteRotto”, alla Pia Casa dei Ss. Esercizi Spirituali per gli uomini, detta di Ponte Rotto o Madonna di Ponterotto, o Madonna “Rifugio dei peccatori”.
Qui fui preparato a ricevere Gesù Eucaristico con un gruppo di Discoli (così si chiamavano allora i ragazzi dei Riformatori) del vicino Carcere minorile dell’Istituto San Michele in Piazza di Porta Portese, figli di carcerati e ragazzi sbandati raccolti per la strada.

Feci la mia prima Confessione dal vecchio e paziente Sacerdote Salvatore de Angelis, che, capito il mio misero stato, molto mi aiutò per prendere il Sacramento della Penitenza, con diligenza e pentimento come vuole santa Madre Chiesa. Avanti la cerimonia della prima Comunione, egli fece una predica incentrata sull’amore materno della Madonna a cui dobbiamo corrispondere, cambiando vita e diventando veri figli di Maria. Terminò dicendo: “Adesso entreremo nella Cappella. Sull’Altare c’è il quadro della Madonna. E la Madre di Dio, è nostra Madre perché ci ama. Anche noi diciamole che l’amiamo recitando con sincero amore un”Ave Maria.” La porta fu aperta ed entrammo nella Cappella tutta illuminata. I ragazzi, commossi, si inginocchiarono, e guardando il quadro, incominciarono a recitare l’Ave Maria. Era uno straordinario momento di grande entusiasmo. Io rimasi in piedi. Guardavo la Vergine Madre e pensavo al suo amore e lo confrontavo con quello di mia madre. Come erano diversi! e quanto doveva essere felice un figlio di tale Madre! Allora, sentendomi grandemente infelice, gridai guardandoLa: “Se sei veramente Madre... Madre prendimi con te!” Nel coro di preghiere di quei poveri ragazzi, quella nota non sembrò troppo alta. Il mattino del 7 marzo 1927, nell’identica e pietosa condizione con cui ero stato preso da Frà Luigi (maglietta strappata, scalzo e croste in testa) feci la prima Comunione, piangendo per l’assenza dei miei genitori, e pregando la Vergine Santissima di prendermi con se perché il mio dolore era troppo grande. Accolsi Gesù Eucaristico devotamente con profonda commozione e col cuore ricolmo di buoni propositi.
Ministro del Sacramento della Confermazione era il Metropolita di Derna (Libia) S. Ecc. Monsignore Gisleno Veneri. Il vecchio Vescovo, vedendomi tutto solo, perché mio padre e il padrino erano assenti, sprovvisto di tutto, senza neanche il candido nastro, con in mezzo la Croce ricamata, con fili d’oro, con il quale il padrino cingeva la fronte del Cresimato, unta del Sacro Crisma, chiamò il suo segretario Dante Ferri e lo invitò a farmi da padrino.
Un ragazzo mi prestò, per il tempo della cerimonia, il nastro immacolato, che i giovani Cresimati continuavano a portare sulla fronte, per tutto il giorno con gioia e fierezza anche dopo l’unzione del sacro Crisma. Poi, con dispiacere, lo ritornai e rimasi a lungo a guardare tutti quei ragazzi attorniati da parenti e padrini, i compari come li chiamavamo.
Ero solo, ancor più solo ed infelice per la presenza dei genitori dei ragazzi e la solennità della Cerimonia. Anch’io avevo i genitori ma era come se non li avessi!
Con le lacrime agli occhi, ricevetti il Sacramento della Confermazione, che “ci unisce più saldamente a Cristo, aumenta in noi i doni dello Spirito Santo, e rende più perfetto il nostro legame con la Chiesa” (cfr. C.C.C., 1303).
Al termine ci dettero un libretto con la copertina nera, con sopra scritto Massime Eterne e la coroncina del Rosario, anch’essa di colore nero. Tornai a casa deciso a mettere in pratica tutte quelle buone cose che mi avevano insegnato.
Trovai mamma in capo alle scale, in mezzo a una nuvola di fumo, affaccendata davanti al fornello, che preparava da mangiare a papà. Appena mi vide, giustamente, mi rimproverò perché da quando ero scappato di casa, da giorni, non mi ero fatto vedere. Risposi: “Ho fatto la Comunione ma attraverso Frà Luigi vi ho fatto sapere che andavo a Ponterotto. E voi dovevate venire con il compare Gaetano Bonafaccia”. Questi, per il fatto che faceva il portiere di un palazzotto della società costruttrice Ostia Florens, era per noi una persona importante.
Mamma continuava a rimproverarmi con male parole.
“Il Confessore mi ha detto, proseguii, che non devo più disubbidire a te ne a papà e che devo chiedervi perdono. Perciò ti chiedo perdono del male che ti ho fatto. Dei pugni, degli schiaffi e dei morsi che ti ho dato. Ti chiedo perdono del dito che ti ho rotto, e ti mandai all’ospedale..“
“Ancora pensi a queste cose?! - mi gridò mamma che continuava a soffiare e ad agitare la ventola sotto la brace che non voleva acendersi -. Ancora pensi a queste cose’?! Ma dammi una mano, piuttosto!” e mi dette un calcione che mi fece rotolare per le ripide scale.
Mi alzai infuriato e tornai il Bruno di prima. La riempii di parolacce e le tirai addosso la coroncina del Rosario e il libretto delle Massime Eterne perché non avevo sassi a portata di mano; e partii per Rieti alla ricerca di un qualche la lavoro.
Lo trovai come aiuto ortolano in un convento di frati. Vi rimasi per poco e andai a fare il ragazzo nella bottega di un materassaio. Feci anche il pastore di pecore, che in periodi stabiliti, portavamo al mattatoio, all‘Ammazzatora di Testaccio, un quartiere allora alla periferia di Roma, percorrendo la strada da Rieti alla Capitale a piedi.
Avevo ricevuto Gesù ma non fui un vero testimone di Cristo come vuole la Chiesa (cfr.Lumen gentium, Il).
Fuori, ero tornato alla vita randagia e selvaggia di sempre, senza educazione né freni. Per maestri ebbi la strada e le cattive compagnie, che, con la necessità di trovare un qualsiasi lavoro per sopravvivere, accrebbero in me disonestà e malizia. Mi sentivo deliberatamente disprezzato e tenuto lontano dalla società ricca, che avvicinava i poveri solo per sfruttarli.
La squallida miseria nella quale ero costretto a vivere, senza poter intravedere il benché minimo barlume d’uscita, e la convinzione che la società “borghese” era l’unica responsabile della mia miseria ed infelicità, furono il fervido terreno sul quale una campagna atea clandestina, piena di odio e di volontà di vendetta, abbondantemente seminò e ancora più abbondantemente raccolse.
E divenni peggiore di quando incontrai la buona signora Maria Farzetti e il pio Frà Luigi...
L’ignoranza, la miseria, il peccato la lontananza dai Sacramenti, tutte queste cose che avevano reso infelice la mia fanciullezza, tormentarono e resero molto brutta la mia intera giovinezza.
E venne il giorno di partire soldato.
Famiglia Cornacchiola

SAI CHI E’ LA BESTIA DELL’APOCALISSE?”

Non scrivo per fare propaganda militare a favore di un belligerante o di un altro ma scrivo quello che ho vissuto.
Mi presentai alla Caserma Roma con un paio di scarpe rotte trovate in uno scarico al Quadraro. La suola e la tomaia erano tenute insieme da un filo di ferro. La sera, così conciato partii per Ravenna. Il 9 aprile 1934 arrivai a Ravenna al 28° Reparto Fanteria, Sezione Cannoni, al quale ero stato affidato.
Il primo paio di vere scarpe, il primo vestito e cappotto nuovi, l’ebbi nel cortile della caserma. Più volte chiesi al furiere, che mi elencava e consegnava diligentemente indumenti e buffetteria, se tutto quel ben di Dio, che non avevo mai visto, fosse mio.
Incredibile! Tutto quel corredo, che io non finivo mai di raccogliere in una coperta era veramente mio! Quel giorno, come risulta dal libretto matricolare, era il 12 aprile1934.
Ad uno come me, che non aveva mai avuto nulla, al quale la famiglia non aveva insegnato nulla e la società era stata assente, il servizio militare dette molto ed ancor più insegnò. Mi insegnò l’obbedienza, e la disciplina, l’ordine oltre al dovere, dette il diritto rispetto degli altri.
Mi guadagnai i gradi di Caporal-maggiore e fui inviato alle gare nazionali Roma al poligono della Farnesina dove vinsi alcune gare come tiratore scelto, nelle quali partecipò anche il Capo del Governo.
Al mio ritorno a Roma in licenza, in attesa di congedo che non venne mai mi fidanzai con la giovane Iolanda Lo Gatto, figlia di una guardia carceraria conosciuta da mio padre durante una sua detenzione al carcere romano di Regina Coeli. Conoscevo Iolanda, la mia fidanzata (alla SACRI sorella M. Monica, morta a Roma il 2 Dicembre 1976) fin da bambina, perché il padre era venuto ad abitare vicino alla mia famiglia.
Quando decidemmo di sposarci, le manifestai brutalmente la mia incredulità religiosa: “Non voglio sposarmi in Chiesa - le dissi - ma con cerimonia civile.” Lei si oppose con tutte le sue forze e pianse. Siccome era addoloratissima, dovetti cedere. Lo feci malvolentieri e solo in parte: “Va bene in Chiesa... ma in sacrestia! e senza cerimonie!” Lei insistette a lungo, scongiurò, ma fui irremovibile. Era il massimo che potesse concedere il mio odio e disprezzo per i “pretacci”, che consideravo disonesti e furbi sfruttatori del popolo, inventori della Chiesa, per cavarne benefici senza lavorare.
La stessa cosa, arrogantemente ripetei al Parroco nel colloquio prematrimoniale: “Mi sposo in sacrestia, purché voi preti non incominciate a parlarmi di Sacramenti... Confessioni... Comunioni perché io a voi non ci credo!”.
E così, come io avevo promesso, ci sposammo il 7 Marzo 1936 nella sacrestia della Chiesa parrocchiale di Sant’Elena sulla Via Casilina. Mi sposai in maglietta e giacchetta, senza cravatta (non come sono stato “cerimonialmente” rappresentato in alcune quadrucci e vignette.)
Quella cerimonia fu l’inizio di una vita coniugale piena di maltrattamenti, percosse, incomprensioni e tradimenti, alla quale soltanto la Vergine della Rivelazione riuscì a porre fine il 12 Aprile 1947.
Dopo il matrimonio andammo a dormire da mio padre, che abitava in una baracca alla località “Tombe Latine” a Porta Furba. Ci avevano preparato il letto in un piccolo vano ricavato dall’intercapedine di due baracche accostate, quella di mio padre e di mio fratello Mario. Dopo alcune settimane, però mio padre ci scacciò. Lei tornò da suo padre e io andai a dormire nella sala d’aspetto della Stazione Termini.

Al mio ritorno dal servizio militare, mi iscrissi al Partito d’Azione di Ferruccio Parri; e ripresi a partecipare alle riunioni politiche clandestine del Partito Comunista Italiano, 6° zona (Appio), tenute dal capocellula Antonio P.
Noi del partito d’Azione lavoravamo insieme ai comunisti perché avevamo gli stessi ideali antifascisti. Fui un attivo collaboratore e distributore della stampa clandestina e, nel periodo bellico riuscii più volte a rubare armi dalla caserma dove prestavo servizio militare e a consegnarle alla cellula.
I capi decisero che dovevo arruolarmi volontario nelle truppe fasciste, apparentemente per combattere a fianco dei falangisti del Generalissimo Francisco Franco 13 contro i bolscevichi, ma in realtà come compagno sabotatore, clandestino.
E così feci dal 1936 al 1939, anche come informatore, rischiando molte volte la vita.
Nel 1937, a Saragozza, in zona d’operazione, incontrai un soldato tedesco, certo “Otto”, anch’egli in forza presso una stazione radio tedesca, che poi fu ucciso nel bombardamento dell’aeroporto di Siviglia da aerei miliziani che colpirono la stazione radio.
Questi aveva spesso con sé, sotto il braccio, un libro che attirava la mia curiosità. Siccome ho sempre cercato d’istruirmi un po’ da solo, un giorno gli chiesi in spagnolo. “Che romanzo é’? Me lo fai leggere’?”
“Non è un romanzo - mi rispose in spagnolo - e il libro è scritto in Redesco. Questo libro è la Bibbia, la Verità”.
“La Bibbia’?! Che cosa é? Non la conosco e non ne ho mai sentito parlare”.
Allora incominciò a parlarmi di Cristo, documentando il suo dire con la sacra Bibbia. Parlavamo in spagnolo, l’unica lingua che conoscevamo abbastanza ambedue. Il suo modo di fare, affabile e suadente, e le abbastanza ambedue. Il suo nodo di fare, affabile e suadente, e le citazioni scritturali sempre a portata di mano, riuscirono a convincermi: dovevo cambiare vita e vivere come Dio ci ha insegnato.
L’occasione di mutare vita mi capitò un giorno, sempre a Saragozza, mentre ci trovavamo davanti ad una grande Chiesa, il famoso Santuario dedicato alla Virgen del Pilar.
C’era tanta gente radunata per celebrare l’anniversario di un miracolo. Durante il bombardamento della città da parte dei franchisti C.T.V. contro i miliziani, prima che fosse occupata dalle truppe di Franco e dai volontari italiani e tedeschi, tre bombe erano cadute sulla Chiesa senza esplodere, salvando il Santuario dalla distruzione. Due davanti alla statua della Vergine e la terza era rimasta incastrata nel soffitto nel tempio. Mi sentivo anch’io di partecipare a quel giorno di festa e di preghiera. Pensavo al giorno della mia prima Comunione.
Quando, però, invitai Otto ad entrare in Chiesa per confessarci e comunicarci, si rifiutò sdegnato.
Ma allora non hai capito niente! lo non voglio confessarmi!”“Ma come - risposi meravigliato - tu non mi hai sempre parlato di Dio? allora perché dici queste cose’?!”“Sì, è vero - reagì - io ti ho sempre parlato di Dio, di Gesù Cristo.., ma non ti ho mai parlato della Chiesa Cattolica, di Confessione, Comunione ... di Preti...”.
“Non hai parlato di queste cose - risposi urtato - ma parlavi sempre di Cristo. Ma di che razza sei’?!”
“lo sono protestante, e ti ho sempre insegnato che tutto quello che dice o fa la Chiesa Cattolica è sbagliato!’.
Dopo questa ammissione, che mi colpi molto, incominciò a spiegarmi che egli combatteva la Chiesa Cattolica, come il peggiore di tutti i mali che affliggono l’umanità. Le sue argomentazioni eretiche collimavano con le mie idee; e i miei dubbi, mai rimossi e sempre alimentati, finalmente trovavano per me, povero ignorante, una base di verità dottrinale inconfutabile. Argomentava sempre indicandomi i versetti della Bibbia dai quali traeva la “sua” verità. Era un fiume di parole che mi sbalordiva. Parlava contro i Sacramenti e i Dogmi di Fede, da me sempre disprezzati perché considerati utili invenzioni dei Preti, dileggiando e schernendo particolarmente la realtà dell’Eucaristia, dell’immacolata e del Papa.
Infine il segreto sconvolgente: “Sai chi vuole questa guerra di Spagna, chi controlla la finanza del mondo’? E’ la bestia dell’Apocalisse! E sai chi è la bestia dell’Apocalisse che sta a Roma’?
“No, ma dimmi chi è che l’ammazzo!”.
“E il Papa! E sai chi lo dice? La Bibbia stessa! Ma tu non devi uccidere nessuno!”
Otto continuò a presentarmi il Vicario di Cristo, come l’occulto fomentatore di guerre e rivoluzioni in tutto il mondo, e non soltanto della guerra civile in Spagna che stavamo combattendo. Era Lui “la bestia dell’Apocalisse”, che alimentava e sfruttava l’ignoranza dei popoli a proprio vantaggio, che accumulava immensi tesori, sottraendo il necessario ai poveri, per conservare il suo diabolico potere teocratico....
Credimi - concluse - per salvare l’umanità bisogna far spogliare i preti e far togliere il velo alle suore, chiudere tutti i conventi! Bisogna instaurare nella chiesa una base democratica che comandi, abolendo il potere assolutistico del Papa! Tutti devono presiedere l’assemblea come facciamo noi protestanti; bisogna togliere la Confessione, perché la Bibbia non ne parla..., l’Immacolata, perché la Bibbia non ne parla..., e tante altre idolatrie che la Chiesa ha inventato e conservato! “.
Più lo ascoltavo e più cresceva in me un odio profondo e violento contro Romano Pontefice, il Successore di Pietro. Pensavo: se riesco ad uccidere il Papa, “il capo della sinagoga di satana’’ come lo chiama Otto, libero l’umanità da tutti i mali.
A Toledo, città famosa per la qualità dell’acciaio e per la produzione di armi bianche, acquistai in un negozio un pugnale e sul manico incisi col temperino le parole, come un giuramento - A morte il Papa! -.
Come già chiarito più volte, ripeto: mai Otto e i molti protestanti che frequentai in seguito, mi dissero di uccidere il Sommo Pontefice; anzi sempre mi dissuasero dal mio progetto criminale. Furono l’ignoranza religiosa, la vita violenta della strada e il peccato, alimentati da una presentazione ingannatrice della Parola di Dio, che mi fecero giungere alla determinazione perversa di eliminare fisicamente il Papa appena mi fosse capitata l’occasione opportuna; perché con questa azione meritoria (così pensavo) avrei sradicato tutti i mali che affliggevano questa povera umanità.
Fra i tanti episodi accadutimi nella guerra di Spagna desidero ricordarne uno, a mio avviso, significativo.
Nel 1938 (mi sembra) avevamo lasciato Toledo per raggiungere Siviglia. Ci avvicinavamo alla città quando in mezzo alla strada ci ferma un bambino gridando “Bombas... camion. ..“. Capisco che c’è un camion che stà andando a fuoco. Faccio fermare il nostro camion con sopra la stazione radio e scendo di corsa.
Vedo in mezzo alla strada un camion italiano dal quale esce molto fumo.
Salgo dalla sponda posteriore dell’automezzo. Dentro vi sono tante bombe di aerei. All’improvviso seduta sul cruscotto del camion vedo una ragazza vestita di bianco che mi fa cenno con la mano di scendere. Mi sembra che dica con autorità: “Scendi. Vai!”.
Salto dal camion e grido all’automezzo con la stazione radio, che mi sta alle spalle, di fare marcia indietro. All’improvviso una terribile esplosione. Mi butto in una cunetta e così ci siamo salvati. Passato il pericolo andiamo a vedere cosa è successo. In mezzo alla strada c’è una voragine. Cerco un ricordo della giovane. Trovo soltanto un pezzetto di legno bruciato del camion che metto in tasca e porterò a Roma. Forse è qui nel mio studio e qualcuno lo troverà. Non ho mai saputo spiegarmi l’accaduto. Dopo l’Apparizione riflettendo a quello che mi ha detto la Vergine: “Ti sono sempre stata vicina”, ho pensato che quella ragazza fosse un’anima od un Angelo inviatomi dal Signore. Prima della grazia ricevuta, invece, pensavo che fosse una mia illusione...
In concomitanza a questi fatti accadde una cosa straordinaria. Nel 1937, la Signorina Luigina Sinapi, catechista alla Garbatella, portò in gita un gruppo di bambini alla vicina località allora quasi disabitata delle Tre Fontane. Questi si misero a giocare, e lei, allontanatasi un poco, si trovò nello spiazzo antistante la Grotta dell'Apparizione.

Il Granellino di Senape

La giovane raccontò che qui le apparve la Madonna che le disse (sono parole sue): "Tornerò in questo stesso luogo e convertirò un grande peccatore che perseguita la Chiesa".

Questo fatto fu riferito al Cardinale Eugenio Pacelli, allora Segretario di Stato, che nel 1939 venne eletto Papa col nome di Pio XII.
Lo conobbi l'episodio molti anni dopo l'Apparizione, ma non me ne servii mai nelle mie confessioni pubbliche. Ho spiegato il perché ad alcuni Sacerdoti del Gruppo di preghiera Amici di Luigina Sinapi che concordano col mio pensiero.
Di lei riporto un fatto, lasciando ad altri la valutazione.

Spesso la domenica, dopo la S. Messa comunitaria e la meditazione sull'Evangelo domenicale da me presentato, andavo con alcuni fratelli a fare una visita al Cimitero del Verano. Ci recavamo a pregare sulle tombe degli Arditi di Cristo e dei fratelli separati della Chiesa Battista ed Avventista. Non mancava mai una visita anche al cimitero israelita dove riposano alcuni miei amici, e al monumento funebre dei Compagni. Ora per l'età e la salute le visite si sono fatte più rare.

Domenica 20 aprile 1987 esco da Casa Betania, dove c'è la Comunità, in Via Antonio Zanoni,44 (sulla via Castel di Leva) con il fratello interno M. Tito (Armando Sacchini) e il ragazzo Marco V. allora ospite della Comunità. La méta è il Cimitero del Verano dove è sepolta la sorella M. Monica, mia moglie Iolanda, al riquadro 116. Desidero farle una visita. Entriamo dall'ultima porta dalla parte della tangenziale, e mentre camminavamo lungo il viale che porta alla Croce monumentale, mi venne in mente un sogno che brevemente accennai ai fratelli:
"Questa notte ho sognato Luigina Sinapi che mi ha detto: - Non sei venuto a trovarmi. Sono sepolta al riquadro... - ma in questo momento non ricordo il numero ".

Arrivati alla nostra tomba comunitaria, facciamo alcune preghiere e ci mettiamo a pulirla.
Mentre la pulivamo, sento dentro di me o fuori di me, non saprei spiegarlo, una voce che mi dice: "Ricorda il riquadro 50".
Mi guardo attorno e non vedo nessuno.
Si continua a pregare e a pulire.

Di nuovo sento:"Ricorda il riquadro cinquanta."

Chiedo: "Fratello Tito, non senti una voce che dice: Ricorda il riquadro cinquanta?"

"No, non sento nulla."Va bene, cerchiamo questo riquadro."

Terminata la preghiera ci mettiamo alla ricerca del riquadro cinquanta, ma non lo troviamo . Penso che sia sul viale centrale, dove c'è la grande Croce. Andiamo.

Sento il fratello M. Tito che grida: "Ecco il riquadro cinquanta!"

"Bene, dico, cerchiamo tra le tombe se c'è qualcuno che noi conosciamo: Un nome e cognome, una tomba... chi la trova chiami gli altri. Dividiamoci, faremo prima a trovarla." Così facciamo. Fratello Tito va da una parte, Marco dall'altra, io al centro, si cerca.

A un certo punto vedo una piccola lapide e leggo: Luigina Sinapi. Grido:
"Tito! Marco! Venite è qui!"


Arriva il fratello M. Tito con il ragazzo e anch'essi, come mi dissero dopo, pensano che la persona inginocchiata sia la sorella, magari la gemella della Sinapi.
Tutti e tre ci mettiamo alla sinistra della parte posteriore della tomba. "Eccola! dico."

Mentre indico la tomba, vedo inginocchiata, raccolta in preghiera. Proprio davanti alla lapide, una signora, che indossava un cappotto e aveva la testa avvolta da un fazzolettone di tipo paesano.

Spiego ai due: "Dicono che la Sinapi ha avuto anche lei una visione della Vergine, alla Grotta delle Tre Fontane, e che la Vergine le avrebbe detto che lì, dieci anni dopo, sarebbe di nuovo apparsa a un peccatore, convertendolo..."

La donna, sempre in preghiera mi risponde: "E' vero, è apparsa il 12 aprile 1937..."

Sopra la tomba della Sinapi c'è un piccolo libro di marmo con la foto. Guardo la donna inginocchiata, e uguale alla foto che sta sulla tomba. Penso che sia la sorella. Salutiamo e ci allontaniamo parlando tra di noi.

Faccio pochi passi e mi viene un dubbio... Mi volto e la donna inginocchiata non c'è più. Ci mettiamo a cercarla: scomparsa.

Raccontai tutto al mio Confessore e da lui venni a sapere che la Sinapi non aveva sorelle, e che usava vestire in quel modo, portando il fazzolettone. Ci rechiamo alla tomba nuova della SACRI e noto che sta al riquadro 49, proprio di fronte al 50. Quello che è accaduto è un caso?



1939 RITORNO DALLA SPAGNA - I NOVE PRIMI VENERDI’ DEL MESE

Terminata la guerra civile in Spagna, nel 1939 rimpatriavo in Italia col fermo proposito di uccidere il Papa.
Avevo lasciato mia moglie incinta tre anni prima. Nel frattempo era n una bambina, Isola, che non conoscevo. Avevo desiderio di vederli, ma ancor più di dire a mia moglie che dovevamo lasciare la Chiesa Cattolica. Appena la invece di chiederle di farmi conoscere mia figlia, le raccontai della “conversione” e le imposi di uscite subito dalla “sinagoga di satana”.
Iolanda era sbalordita: “Ma come! Io e la bambina abbiamo tanto pregato insieme, davanti al quadro della Madonna di Pompei, per ottenere la grazia del tuo ritorno! E tu adesso mi dici che è tutto sbagliato’?! che dobbiamo distruggere il quadro... buttarlo...”.
“Si - gridavo - dobbiamo distruggere tutte le immagini sacre, i rosari, i crocifissi... bruciare subito tutti questi oggetti d’idolatria e di superstizione diabolica!”.
E incominciai ad aprire cassetti, a rovistare nei mobili cercando qualsiasi oggetto religioso per distruggerlo e bruciano. Libretti di preghiera, coroncine del S. Rosario, quadri sacri, immaginette... tutti ebbero la stessa sorte. Incominciai col quadro della Madonna di Pompei, che gettai in terra calpestandolo e dopo averlo frantumato ne bruciai l’immagine, poi staccai dalla parete un Crocifisso di legno, che spezzai sulle ginocchia e fattolo in tanti pezzi lo gettai nel secchio dell’immondizia; infine strappai, ruppi, bruciai, gettai nell’immondizia tutti gli oggetti di pietà che scovai.
Gridavo furibondo e svegliai la piccola Isola che dormiva nel suo lettino. La bambina si mise a piangere molto spaventata. Nel furore del mio fanatismo l’avevo dimenticata!
Nel 1940 incominciai a frequentare una sala della Chiesa Cristiana Evangelica Battista in via Urbana n. 154. Qui si svolgeva il culto e le lezioni bibliche presiedute dal pastore Vincenzo Veneziano. Le mie nuove idee religiose, in realtà non le avevo mai avute, non mi impedirono di frequentare le riunioni clandestine dei compagni. Lo studio della Bibbia soddisfaceva anche il mio orgoglio: non ero più totalmente ignorante, c’era qualcosa che conoscevo e che mi permetteva di distinguermi da tanti cattolici, anche da quelli istruiti, perché, allora, pochi conoscevano il Vecchio Testamento, che non era considerato alla portata di tutti i fedeli.
Nel frattempo verso la fine del 1939 avevo trovato lavoro come manovale pulitore presso 1’A.T.A.G., Azienda Tranviaria Auto filotranviaria Governatorato (di Roma). Pulivamo l’interno e l’esterno delle vetture tranviarie e degli autobus di notte, sotto il controllo severo del personale addetto alla sorveglianza. Il lavoro era duro, ma potevo contare su una paga sicura, anche se modesta.
Feci economicamente un altro passo avanti quando nel 1940 fui assunto dall’Azienda come bigliettaio; ma litigi, tradimenti, percosse e umiliazioni non diminuirono nella mia famiglia.
Per questa nuova mansione era necessaria la licenza elementare che non avevo. Ricordo che all’esame di aritmetica mi trovai in una difficoltà insormontabile per colpa di una divisione. La cosa era grave perché il biglietto non aveva sempre lo stesso prezzo: il costo variava a seconda delle fasce orarie introdotte a beneficio dei lavoratori che si recavano sul posto di lavoro; vi erano poi biglietti differenziati per soldati e studenti o frazionati durante la stessa corsa perché durante il tragitto potevano esserci più capolinea. Fortunatamente un collega portò in quel momento la notizia che era nato mio figlio Carlo. E la commissione mi aiutò dandomi licenza elementare ed auguri.
Sebbene insistessi molto, con minacce e anche con percosse, non riuscivo a piegare mia moglie ad accettare il protestantesimo.
In ultimo la poverina, provata da tante sofferenze, mi propose un patto:
“perché non fai - mi disse - i primi nove venerdì del mese,confessandoti e comunicandoti. Sé alla fine vorrai ancora rimanere nella tua scelta, io ti seguirò e abbandonerò la Chiesa, se invece il Signore ti avrà fatto cambiare idea, la farai finita e tornerai nella Chiesa”.
“Va bene - risposi - farò come tu dici; e lo farò bene: Confessione e Comunione. Ma alla fine dei primi nove venerdì del mese, se non ho cambiato idea, tu verrai con me.”
Nella sua Fede semplice e popolana Iolanda credeva che il miracolo sarebbe certamente avvenuto. Io invece pensavo che le cose, comunque sarebbero andate, avrebbero migliorato una situazione famigliare insostenibile.
Arrivò l’ultimo dei nove venerdì, io rimasi fermo nelle mie convinzioni e Iolanda, come promesso, mi segui nell'errore.
Nella Chiesa Battista fui battezzato insieme a mia moglie ed a mia sorella Elena, che dopo l’Apparizione tornerà nella Chiesa.
Ero molto attivo e non mancai mai alle riunioni. Venivo puntualmente con tutta la famiglia.
Nulla mi fermò, neanche i bombardamenti se c’erano i mezzi pubblici, andavamo con i mezzi, se non era possibile andavamo a piedi, rischiando anche la vita. Mi mettevo sulle spalle Gianfranco e tenendo per mano Carlo ci muovevamo anche con l’allarme aereo.
Arrivati, spesso, conoscevamo la sorte di qualche assente: Quello è morto... quell’altro è ferito...” Avevamo la sala del culto in comune con la Chiesa Cristiana Avventista del Settimo Giorno. Ogni tanto i pastori facevano degli incontri - verifica. In uno di questi, trovai il pastore avventista Giovanni Cupertino più incisivo del mio, più intransigente verso la Chiesa, per cui decisi di diventare avventista. Il mio odio contro la Chiesa era più forte dell’amore per la conoscenza della verità. Passai a questo gruppo l'8 settembre 1945.
La comunità avventista di Roma era formata da una quindicina di persone, ma io divenni per loro un infaticabile e zelante apostolo; e quando la lasciai, gli avventisti erano circa centocinquanta, la maggior parte convinti da me. Sebbene fossi ignorante nella conoscenza della lingua, per il mio grande attivismo fui messo a capo della Gioventù Missionaria Avventista di Roma e del Lazio.
Dopo la guerra, incominciarono ad arrivarmi a casa dei pacchi viveri, dono degli avventisti americani. Io e mia moglie facevamo tanti pacchettini e li portavamo a quelli che erano più poveri di noi. Dentro c’era zucchero, caffè, riso... e tante altre cose da mangiare.
Quando consegnavo quel ben di Dio, dicevo: “Questo lo manda il Signore”. “Grazie Madonna! Grazie!” rispondevano.
E io: “Lascia stare la Madonna, ho detto che te lo manda il Signore!” Poi tornavo e spiegavo chi erano le persone che, con sacrificio, avevano mandato quei pacchi, e spesso li convincevo a seguirmi. Ero rozzo nei modi e arrogante nel parlare, ma tenace nella propaganda religiosa.
Su segnalazione andavamo nelle case a propagandare la Bibbia e altri libri della nostra Chiesa cercando nuovi adepti. Perfino sul posto di lavoro ero infaticabile, trovavo sempre il tempo per parlare di Cristo e del suo Ritorno anche ai compagni.
Una volta l’autista di un autobus, sul quale facevo servizio come bigliettaio, incominciò a bestemmiare. Lo ripresi dicendogli che era un temerario, perché bestemmiava Dio che avrebbe potuto punirlo facendolo morire all’istante.
Giuseppe, questo il nome dell’autista, era un convinto comunista e prese in burletta la mia ammonizione, anzi si divertì tanto da continuare a bestemmiare più forte. Gridava: “Dio, se ci sei mandami un colpo!” Rideva, saltava, si toccava le parti del corpo che aveva detto voleva colpite... Quando terminò questo brutto spettacolo mi disse:
“Hai visto? Non è successo nulla, perché non esiste Dio, né l’inferno, né il paradiso!”
L’indomani non venne al lavoro; dissero che non stava bene. Rapidamente peggiorò; dissero che stava morendo. L’andai a trovare con l’inseparabile Bibbia.
Aprì la porta la figlia. Mi disse: “Il compagno Giuseppe è in quella stanza”. Non disse “mio padre” perché i comunisti si chiamavano compagno e compagna”.
Appena lo vidi, capii che gli era rimasto poco tempo. Gli parlai di Cristo per convertirlo alle mie idee religiose.
Mi ascoltò e mi disse: “A quale Cristo devo credere? A quello dei Preti o al tuo? Mettetevi prima d’accordo tra di voi!

A Cornacchiò, lasseme morì in pace!” E il compagno Giuseppe mori così, senza conoscere Cristo.
Su una cosa, però, aveva ragione: noi Cristiani orgogliosamente disobbedienti a Pietro, presentiamo all’umanità, che ha fame e sete di Verità, un Cristo che abbiamo diviso e reso non credibile.
Ero terribile nella propaganda, ma anche cattivo e manesco con tutti. Odiavo i Preti, che chiamavo cani e ai miei figli insegnavo ad odiarli, a sputargli addosso. Perfino “Don Basilio”, lo scomunicato e velenoso settimanale anticlericale, rifiutò di pubblicare un mio articoletto contro il Clero perché rischiava un altro sequestro.
Davanti alla Parrocchia d’Ognissanti in Via Appia ne ho fatte di cose bizzarre e stravaganti. Sparlavo del Clero e della S. Messa e dicevo: “Non è Sacrificio ma una cena, il sacerdote non vale niente ecc.”.
Ricordo che chiusi nelle ante della porta dell’autobus un Sacerdote, facendo finta di non vederlo. Il poverino cadde a terra.
Dopo l’apparizione conobbi una religiosa che mi invito ad andare con lei a fare una visita ad un sacerdote malato; entrato in casa salutai il Sacerdote che stava seduto su una seggiola. C’era anche una tavola preparata per celebrarvi la S. Messa, il Sacrificio vero di Dio fatto uomo. Gli domandai cosa fosse successo, come si fosse rotto la gamba. Mi disse che in Piazza Gioacchino Belli mentre saliva sull’autobus, all’improvviso si erano chiuse le porte e lui, cadendo, si era rotto la gamba.
Lo guardai e gridai: “Padre sono stato io! L’ho fatto apposta perché odiavo i preti! Le chiedo perdono del misfatto commesso!”. Mi perdonò con un abbraccio e mi benedisse.
Piangevamo tutt’e tre. Servii la S. Messa ed insieme lodammo l’infinita misericordia di Dio e la sempre Vergine e Immacolata Maria Madre di Dio e Madre nostra.
Un’altra volta nascosi sotto il mio seggiolino la borsa di un sacerdote appena salito sulla vettura gremita di gente. Il malcapitato non si accorse di nulla perché era occupato a cercare i soldi del biglietto. Quando mi chiese se avessi notato qualcosa, gli dissi che avevo visto la borsa in mano ad un viaggiatore appena sceso, ma non l’avevo chiamato, perché pensavo che fosse sua. Quella borsa di pelle nera era quella che avevo con me il 12 aprile alla Grotta. Quanto male Vi ho fatto o Sacerdoti! Dopo l’apparizione ho sempre pregato per Voi perché restiate fedeli fino alla morte e vi dico che rimanete Sacerdoti anche se spogliati del talare. Vi amo.
avventisti

DIO, SALVACI TU

Veniamo al 12 aprile 1947 che quel giorno era per la Chiesa sabato “in albis”.
Il sabato, per gli avventisti, è “il giorno del Signore”, festa del riposo; giorno considerato sabbatico come per gli ebrei, con i quali lo festeggiavamo; giorno nel quale non ho mai voluto lavorare. Se ero di riposo bene, altrimenti - se ero di turno - o chiedevo l’esonero o scambiavo la giornata del sabato con un collega che doveva lavorare la domenica; a volte pagavo la giornata a un tranviere che prendeva servizio col mio nome. Il regolamento ATAG lo proibiva, ma col pensiero di servire la legge di Dio, lo trasgredivo.
La guerra è finita, ormai siamo in regime democratico e c’è libertà di parola, che per me e per molti è libertà di parlare contro la Chiesa. Sono divenuto direttore della Gioventù Missionaria Avventista di Roma e del Lazio e ho ricevuto dalla direzione della Chiesa Avventista del Settimo Giorno, insieme agli altri direttori, l’incarico di parlare nelle piazze romane. A me è stata assegnata Piazza della Croce Rossa, vicino a Porta Pia, e sono lasciato libero di scegliere l’argomento.
Decido, secondo la mia violenta avversione alla Chiesa Cattolica, di svolgere questo tema: - In tutta la Sacra Scrittura non vi è un versetto che sostenga che Maria è Immacolata, che è sempre Vergine, che è Madre di Dio e Assunta in Cielo; quindi ecco dimostrato che tutti i dogmi, incominciando da quelli mariani, sono invenzione della Chiesa Cattolica.
Il mio appartamentino, un seminterrato di una camera e cucina, con i bambini sempre in movimento e i rumori della strada dentro casa, non è posto adatto per prepararsi ad una conferenza importante. Decido, dunque, per un luogo all’aperto, tranquillo, dove i bambini finalmente possono correre e giocare senza pericoli, ed io raccogliere le mie idee. Dico a Iolanda di prepararsi con i bambini. Li sistema per uscire, ma mi dice che non si sente di venire perché ha la febbre.
In divisa da tranviere, portandomi dietro la mia Bibbia, nella quale confido e i miei appunti settari, esco da casa, sicuro ed orgoglioso, con i miei figli Isola di 10 anni, Carlo di 7 e Gianfranco di 4, per prepararmi seriamente ad una battaglia contro la Chiesa; battaglia che non combatterò mai.
Io non potevo certo immaginate che quel giorno, invece, la Vergine cara aveva maternamente fissato per me l’Appuntamento più importante della mia vita.
Dentro una borsa nera, quella come ho raccontato rubata ad un Prete mentre ero in servizio sulla “circolare nera” alla fermata di Santa Maria Maggiore, metto una palletta rossa di gomma dura, tipo da “tamburello” e due racchette di legno, fatte da me; e avviandomi al celeste incontro dico ai bambini: “Andiamo ad Ostia !”. Questi, tutti felici, mi seguono.
Entrando alla Stazione Ostiense, prendo dal banco dell’edicola di giornali che stava a destra, il fumetto per ragazzi il Pupazzetto. L’acquisto e corriamo a prendere il treno.
Sorpresa! Siamo arrivati troppo tardi per il trenino delle 14.30, che sta partendo in quel momento. Domando al collega addetto al controllo biglietti, quando partirà il prossimo. Questi, vedendomi in divisa, è ricco di notizie: dovrò attendere più di un’ora, perché, dopo i bombardamenti che hanno danneggiato la linea ferroviaria, il servizio si svolge su un solo binario; e il treno che è partito è lo stesso che tornerà a prenderci per Ostia.
Dico ai bambini: “Pazienza. Vi avevo promesso di portarvi ad Ostia ma non è possibile. Andiamo ai giardinetti di San Paolo, vicino alla Basilica”.
Ma anche qui, ai giardinetti di fianco alla Basilica, c’erano tanti bambini e confusione in proporzione. Decido di andare alla località Tre Fontane, dai Frati Trappisti, dove, in un negozietto interno c’è la vendita del cioccolato di loro produzione .
Una curiosità. Quando ero bambino, forse per tenerci occupati, ci dicevano che chi portava i biglietti del tram ai Frati Trappisti, riceveva una cioccolata in cambio.
Ovviamente noi ragazzi eravamo tutti intenti a cercare i biglietti del tram. E fu così che conobbi i Frati Trappisti, ai quali rubavo la frutta sugli alberi e quanto altro mi capitava di vedere.
A San Paolo prendiamo l’autobus 223 e si va alle Tre Fontane. Scendiamo davanti all’Abbazia dei Trappisti e saliamo una collina. E’ fitta di eucalipti maestosi. Ma vi sono anche grotte, cespugli di rovi e di piante selvatiche, erbacce e un enormità di insetti che scorrazzano e volano. Ci fermiamo in uno spiazzo, una specie di conca, che ha alla base di una parete di tufo, una lunga e larga feritoia slabbrata, l’apertura di una grotta.
Fa caldo. Ci alleggeriamo di qualche indumento di troppo. Faccio un giro d’esplorazione per controllare che non ci siano persone male intenzionate o bestie al pascolo. Siamo soli, è tutto tranquillo. Vado a guardare dentro la grotta per vedere se c’è qualche pericolo. E’ buia, puzzolente, piena di porcherie, erbacce..
Un ricettacolo di incontri schifosi e di peccati impuri. Ordino ai bambini di non entrare nella grotta. Vedo, lontano, anche dei serpenti e dei topi. Mi siedo vicino ad un albero e mi tolgo le scarpe. Lo stesso fanno i bambini ed ammucchiamo il tutto vicino ad un albero, che si biforca in due grossi rami (albero che, purtroppo, nei lavori di sistemazione del piazzale è stato divelto).
Dico ai bambini di non allontanarsi, perché li voglio vedere e controllare. I miei gravi difetti non mi impedivano di essere un padre affettuoso e prudente.

I bambini si mettono a giocare a palla ed io incomincio a scrivere eresie. Perdono la palla e mi chiamano per ritrovarla. Interrompo di scrivere, la rintraccio e il gioco prosegue. Non voglio che la perdano ancora e mi metto a giocare con loro. isola si mette con le spalle davanti alla scarpata, da dove siamo saliti, e incomincia il gioco.
Tiro la palla ad isola, adagio; ma la piccola sfera s’impenna, si alza e prosegue forte e veloce con una traiettoria non mia, quasi lanciata da un’altra mano, sparendo dietro i cespugli, giù per la scarpata. Mi arrabbio perché è la seconda volta che si perde la palla.
Dico ai bambini: “Andate a cercare la palla!”
Dopo poco tornano con i piedi nudi sanguinanti, punti dai rovi.
“Papà, non riusciamo a trovarla. ..Aiutaci a cercarla...”
Interrompo di nuovo il mio lavoro blasfemo e dico a Carlo: “Tu, vieni con me!”, e ad Isola: “Tu stai attenta a Gianfranco che non si faccia male e non entrare in quella grotta perché ci sono dei pericoli; tu non lo sai, ma ci sono pericoli di prendere malattie.”
“Va bene, papà - mi fa Isola - posso raccogliere dei fiori per portarli a mamma?”
Acconsento e consegno a Gianfranco il giornalino per guardare le figure.
Lascio Isola che si mette a raccogliere fiori, e Gianfranco, vicino all’albero biforcuto, che sfoglia il Pupazzetto. Con Carlo scendo la scarpata verso la Via Laurentina, per cercare questa palla introvabile. Ci muoviamo con attenzione per non pungerci i piedi scalzi. Per due o tre volte chiamo Gianfranco per nome, per assicurarmi che non si allontani e vada incontro a qualche pericolo. Ho paura che possa cadere in qualche buca. Mi risponde.
Cerco tra i cespugli spinosi di rovi e di more... sotto una selva di arbusti... niente, chiamo ancora e improvvisamente non risponde. Lo chiamo di nuovo, silenzio. Sono preoccupato e penso al peggio; come quando il bambino cadendo da un’altezza di otto metri, in una buca fatta da una bomba di aereo inesplosa, non recintata piena di lattine arrugginite, dietro all’attuale scuola “Liceo - Ginnasio Augusto” sulla via Appia Nuova, ebbe otto punti, ma fortunatamente, dopo quattro giorni, era guarito.
Abbandono le ricerche, salgo e alla conca mi trovo davanti ad una cosa sorprendente.
Gianfranco non é al suo posto! Vado avanti e lo vedo alla sinistra dell’ingresso della grotta. E’ in ginocchio con le mani giunte e ripete, sorridente, guardando davanti a se un qualcosa che non vedo: “Bella Signora, Bella Signora...” La sorpresa diventa subito furia: nessuno ha insegnato al bambino quella posizione di preghiera, né in famiglia, né nelle nostre riunioni, dove si pregava in piedi e senza giungere le mani! Irato ordino ad Isola, che sopra la grotta sta componendo un mazzetto di fiori di ginestra per la madre: “Vieni qui”
Arriva col suo mazzetto di fiori. Siamo tutti e tre vicino a Gianfranco che ripete in estasi, come una preghiera: “Bella Signora, Bella Signora...”
“Nella grotta c’è qualcuno? Vedi qualcosa?” chiedo ad Isola.
La bambina divide con le mani i rami di ginestra che ostruiscono la grotta e risponde: “Papa, non c’è nessuno dentro la grotta!”
La grotta era piccola e si sarebbe visto subito se ci fosse stato qualcuno dentro.
“Insomma, Isola, non voglio che giocate al gioco della bella signora! E non voglio che entrate nella grotta!”
“Ma io non sto giocando con Gianfranco... e poi il gioco della bella signora, io neanche lo conosco!” Detto questo, la bambina fa per allontanarsi; si ferma; si volta verso la grotta e lascia cadere il mazzolino di fiori; si inginocchia accanto a Gianfranco, alla sua destra; unisce le mani in atteggiamento orante e fissa un punto della grotta.
Anche lei ripete: “Bella Signora, Bella Signora...”
Penso: “Stanno giocando alla bella Signora... Si sono messi d’accordo per canzonarmi... Lasciamoli fare, purché non entrino nella grotta. Io devo continuare il mio lavoro!”
Do un leggero scappellotto a Carlo che mi sta vicino e gli dico: “Va a giocare anche tu, con loro; ma non entrate nella grotta! Mi raccomando!” Carlo mi risponde stizzito: “Papà, questo gioco io non lo so fare!” e fa anche lui l’atto di andarsene.
Ha appena terminato la frase, che si ferma. Non ha fatto due metri, che si gira anche lui; avanza verso la grotta; s’inginocchia alla destra di isola e unisce le mani; fissa un punto della grotta e incomincia a ripetere con i fratellini: “Bella Signora, Bella Signora...”
Vederli tutti e tre inginocchiati mi fa saltare i nervi..
Li sgrido: “Basta! Alzatevi, non potete stare qui a giocare. Isola, tu dici che non conosci il gioco della Bella Signora; tu Carlo, dici che non sai giocare... e poi vi inginocchiate tutti e tre per prendermi in giro! Su alzatevi, andate via!”
Non mi sentono. Non si muovono e continuano a ripetere in coro:
“Bella Signora! Bella Signora!”
Sono presi da qualcosa che viene dalla grotta. Ma cosa? io non vedo nulla...
Innervosito mi avvicino per sollevarli. Incomincio da Carlo: “Alzati!” Provo a scuoterlo... a smuoverlo... E’ pesante quintali, come una statua di marmo, duro come pietra.
Vado da Isola, lo stesso; dal bambino più piccolo, uguale.
Insomma cosa succede? Come mai quelle esili creature pesano quintali? Ho perduto le forze?

Carlo, Isola e Gianfranco sono sempre fermi, con le mani giunte, con lo sguardo inchiodato in un punto della grotta, che ripetono: “Bella Signora! bella Signora!”
Sono terrorizzato.
Provo ancora, riprovo, insisto... Cerco di sollevarli, li tocco, li chiamo.. .li osservo, sembrano pietrificati, bianchissimi, quasi trasparenti, le pupille dilatate e Io sguardo fisso... Impossibile spostarli di un solo millimetro!
Guardo nella grotta. Penso a una stregoneria, ad un intervento di satana, a qualche prete nascosto che abbia ipnotizzato i bambini. Sì, questo era il mio stato d’animo, questi i risultati della mia formazione anticattolica!
Entro nella grotta e con i pugni chiusi, grido: “Ma chi c’è qui dentro? Su, esci! Vieni fuori!”.
Ma la grotta è buia, vuota. Non c'è nessuno.
Alla sorpresa subentra una grande paura. Ho dei brividi. Corro verso la scarpata, guardo se c’è qualcuno sulla strada, se viene qualcuno, e grido: “Aiuto! Venite ad aiutarmi!” Non viene nessuno.
Torno dai bambini e tento di nuovo di scuoterli, ma inutilmente. Guardo verso la grotta. Sento in me dei fremiti, perché non capisco cosa sta succedendo. Mi rendo conto che da solo non posso fare nulla, e mi viene voglia di gridare.
Alzo le mani e gli occhi al cielo e lancio un forte grido di preghiera:
Dio salvaci Tu!
Dopo questa invocazione di preghiera verso il Cielo per chiedere aiuto al Signore, mi metto a piangere, con le mani nei capelli. Avevo le lacrime agli occhi, quando improvvisamente sento in me una calma, una grande dolcezza.
L’invocazione non si è ancora spenta, che vedo venire, da dentro la grotta, due mani bianchissime in direzione dei miei occhi. Si poggiano su di essi, prendono qualcosa e strappano un velo che mi procura dolore. E non vedo più nulla. E’ come una nebbia fitta che mi impedisce di vedere ciò che mi circonda, la grotta, i bambini, gli alberi, dove mi trovo . . . Ed entra dentro di me una vera pace, una tranquillità, una gioia indescrivibile, mai provata... Non riesco neanche a pensare a cosa mi sta succedendo... ai bambini che ancora in ginocchio continuano adire ‘Bella Signora, Bella Signora...”, a me che sono venuto li per scrivere contro la Vergine...
Sono come cieco, come sordo, come smemorato...
Anch’io, come i miei figli, uno accanto all’altro e scalzi, sono inginocchiato e con le mani giunte.
Preso da questa vera pace, vedo, da dentro il buio della grotta, una piccola luce che si va sempre più ingrandendo. E’ sempre più forte, come se il sole, mille soli, sfolgoranti d’intensa luce, fossero entrati nella grotta, facendo scomparire tutto . . . e io mi sento leggero, leggero, libero dal peso della carne e avvolto in una luce, che non è quella che noi uomini conosciamo; e quel ricettacolo di peccati impuri, al quale avevo vietato ai bambini di accedere, diventa per me, da quel momento e per sempre la Grotta con la G maiuscola.

La Bella Signora

E in mezzo a questa luce soprannaturale, vedo un masso di tufo. Sollevata in aria, sopra quel masso, vedo con stupore ed emozione che appena si possono sopportare, una figura di Donna di Paradiso.


E' in piedi.

Il mio primo istinto è di parlare, gridare, ma la voce mi muore in gola. Sul masso di tufo, non al centro della Grotta ma alla sinistra di chi guarda, proprio dove stanno inginocchiati i bambini, c'è veramente la Bella Signora, quella che invocano continuamente. 

Impossibile descriverne la bellezza e lo splendore.

A chi mi chiede: "Come era bella la Madonna?", spesso rispondo:
"Pensa alla cosa più bella che tu possa immaginare. L'hai pensata? Bene. La Vergine, preferisco chiamarLa così e non Madonna, è molto, molto più bella. Pensa ad una Donna giovane e bellissima ricolma di grazie donatele direttamente dalla Santissima Trinità, di virtù vissute nell'obbedienza d'Amore, di quei doni che può avere soltanto la gran Madre di Dio, di quella dignità celeste che soltanto la Regina del Cielo e della terra può avere... Eppure è ancora poco, perché il nostro sentire è umanamente limitato". 

Descrivo la Vergine cara, scarsamente, come posso. Dico soltanto che sembra il tipo di Donna orientale con carnagione olivastra, scura. Poggiato sulla testa ha un manto verde; verde come il colore dell'erba dei prati a primavera. Il manto le scende lungo i fianchi fino ai piedi nudi. Da sotto il manto verde si intravedono i capelli neri con la discriminatura al centro, come un'indiana.
Ha un vestito bianchissimo e lungo, con maniche larghe, chiuso al collo. I fianchi sono cinti da una fascia rosa, con due lembi che Le scendono a destra, all'altezza del ginocchio.
Ha l'apparente età di una giovane di sedici - diciotto anni. Dopo considererò l'altezza di un metro e sessantacinque. Eccola, veramente, la Bella Signora, davanti a me povera creatura!

Questi occhi di peccatore che hanno visto tanto male La vedono, queste orecchie che hanno ascoltato tante eresie La sentono! La Vergine è veramente bella, di una bellezza che noi non possiamo neanche immaginare! Di una bellezza celestiale, di una bellezza spirituale, di una bellezza fisica. Certo noi non potremo mai immaginare quanto è bella la Madre di Dio e Madre nostra, ma se l'amiamo, la vedremo con gli occhi del cuore.
Ha un libretto color cenere sul petto che tiene nella mano destra, che è la Bibbia cioè la Rivelazione Divina e, con l'indice della mano sinistra, mi indica un drappo nero con vicino un Crocifisso di legno spezzato in più parti, quello che io, tornato dalla Spagna avevo rotto sulle ginocchia e gettato nel secchio dell'immondizia. Il drappo nero è una veste talare sacerdotale.
Ora poggia la mano sinistra sulla destra che tiene il libretto sul petto. C'è in Lei una dolcezza materna, una dolce mestizia. Incomincia a parlare con voce calma, uguale, senza interruzione, che penetra profondamente nello spirito. 

Si presenta. Sento la Sua voce, meravigliosa e melodiosa che dice:

"Sono Colei che sono nella Trinità divina. Sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti; ora basta! Torna nell'Ovile Santo, Corte Celeste in terra. Ubbidisci alla Chiesa, ubbidisci all'Autorità. Ubbidisci, e lascia subito questa via che tu hai intrapreso e cammina nella Chiesa che è la Verità e allora troverai pace e salvezza. Fuori della Chiesa, fondata da mio Figlio, c'è buio, c'è perdizione. Tornate, tornate alla fonte pura dell'Evangelo, che è la vera via della Fede e della santificazione, che è la via della conversione(...).
La Vergine prosegue: "Il giuramento di un Dio è e rimane eterno e immutabile. I nove venerdì del Sacro Cuore, che la tua fedele sposa ti fece fare prima di entrare nella via della menzogna, ti hanno salvato(...)"

La Vergine cara si degnò anche di rivelare a me, indegno peccatore, la Sua vita dal principio della Sua creazione in Dio fino al termine della Sua vita terrena con la gloriosa Assunzione corporea: 
"Il mio Corpo non marci, né poteva marcire. Mio Figlio e gli Angeli mi vennero a prendere al momento del mio trapasso (...). Si preghi assai e si reciti il Rosario quotidiano per la conversione dei peccatori, degli increduli e per l'unita dei Cristiani. Recitate il Rosario! Perché le Ave Maria che voi dite con Fede e Amore sono tante frecce d'oro che raggiungono il Cuore di Gesù. Pregate perché sia fatta l'unita di tutti i cristiani nella Chiesa fondata da mio Figlio, e si formi un solo Ovile e un solo Pastore, con la Santità del Padre (così la Vergine chiama il Papa).Io sono la calamìta della Trinità Divina, che attira le anime alla salvezza. Il male organizzato aumenterà nel mondo e negli eremi e nei conventi entrerà il carname del mondo. Siate fedeli ai Tre Punti Bianchi e troverete la salvezza nell'umiltà, nella pazienza, nella verità: l'Eucaristia, l'immacolata, cioè nei dogmi che la chiesa ha stabilito nei miei riguardi, e la Santità del Padre, Pietro, il Papa. la Chiesa sarà lasciata vedova per le persecuzioni. Ecco!"

La Vergine cara continua a parlare: "Molti dei miei figli Sacerdoti si spoglieranno nello spirito, internamente, e nel corpo, esternamente, cioè gettando i segni esterni sacerdotali. Le eresie aumenteranno. Gli errori entreranno nel cuore dei figli della Chiesa. Vi saranno confusioni spirituali, vi saranno confusioni dottrinali, vi saranno scandali, vi saranno lotte nella stessa Chiesa, interne ed esterne. Pregate e fate penitenza. Amatevi e perdonatevi. Questa è l'azione vera, lucente, piena di Carità. E' la più bella penitenza. La più efficace penitenza è l'Amore".

La Vergine mi dice ancora che ci saranno contestazioni, violenze, che le mode prenderanno lo spirito dell'umanità, che l'impurità aumenterà nelle sue varie forme, che l'indifferenza nelle cose sante "prenderà piede e avanzerà nella Chiesa di mio Figlio.

Prosegue: "Chiamatemi Madre. Si chiamatemi Madre perché io sono Madre. Io sono vostra Madre e Madre del puro Clero, Madre del santo Clero, Madre del fedele Clero, Madre del vivente Clero, Madre dell'unito Clero".

Si, fratelli, cerchiamo di fare entrare nel Cuore di Gesù quelle frecce d'oro per mezzo di Maria. Preghiamo, recitiamo ogni giorno il S. Rosario. Quando l'umanità nega l'Autorità, quando nega la Verità, la Gerarchia, quando nega l'infallibilità, la Fede, dove possiamo trovare la salvezza? La Vergine della Rivelazione continua a ripeterci che abbiamo la salvezza: la Chiesa, che abbiamo l'Autorità che ci guida alla salvezza: la Chiesa, che abbiamo la Fede: la Chiesa!

"Chi è dentro, per grazia, non esca dice chi è fuori; per grazia, entri!" 

Poi per darmi la certezza che la Visione è una realtà divina mi dà un segno. Inoltre mi invita ad essere prudente e paziente: "Quando narrerai agli altri quello che hai veduto, non ti presteranno fede alcuna, ma tu non lasciarti deprimere ne deviare (...). La scienza rinnegherà Dio e ne declinerà gli inviti". 

La Madre di Misericordia prosegue:"Prometto un favore grande, speciale: Io convertirò i più ostinati con miracoli che opererò con questa terra di peccato (la terra del luogo dell'Apparizione,). Venite con Fede e sarete guariti nel corpo e nell'anima spirituale (Poca terra e molta Fede). Non peccate! Non andate a letto con il peccato mortale perché le disgrazie aumenteranno ". 

Cosa ci ha detto la nostra cara Madre? Ci ha voluto avvertire che si può morire in qualunque momento, con qualunque mezzo, specialmente in questi tempi: con le disgrazie, le calamità naturali, le malattie, i vizi, le violenze, le rivoluzioni, le guerre che sono in aumento in tutto il mondo.
Ci ha detto di fare penitenza e di pregare per far capire al mondo che il Sacerdote nella Chiesa è la salvezza dell'umanità.
Collaboriamo onestamente col Sacerdote, senza essergli d'impedimento nel suo dovere. La sua opera è opera di Dio. E' Cristo stesso. Imitiamolo in tutto ed egli sarà per noi un tutto divino.
Camminiamo nella Via della Verità, portiamo al mondo intero la Verità, che dobbiamo conoscere, amare, obbedire e difendere.
Ascoltiamo il Sacerdote che vive nell'Autorità del Vescovo, ascoltiamo il Vescovo che vive ed è unito alla Santità del Padre, ascoltiamo il Papa vivente nella Chiesa, che è nell'Autorità e nella Fede di N. S. Gesù Cristo, come vero suo Vicario e successore di Pietro che continuamente ed infallibilmente ci indica la Via della Verità per ottenere la Vita.

Questo è un saggio del Messaggio del 12 aprile. Queste le cose che servono a me e a voi. Questo è quello che dobbiamo comprendere, praticare e fare vivere con l'esempio e la parola.
La Vergine cara mi dettò anche un Messaggio segreto che, per Sua volontà, dovevo consegnare personalmente alla "Santità del Padre", accompagnato da "un altro Sacerdote (distinto dai precedenti) che tu conoscerai e sentirai legato a te. Ti indicherà chi ti accompagnerà". Questo Messaggio rimarrà segreto finché Dio vorrà.
Non cerchiamo di conoscere le cose nascoste che la Vergine ha detto e che non sono per tutti. Cerchiamo invece di vivere le cose che Lei nascostamente ha vissuto, le virtù che sono per tutti. 
La Vergine parla per circa un'ora e venti minuti. Quindi tace, e sempre con le mani sul petto, sorridendo, fa alcuni passi, ci saluta con un cenno del capo, attraversa la Grotta e giunta sulla parete di destra, un po' verso il fondo, scompare penetrando nel muro di tufo, in direzione di San Pietro.

Non c'è più...! E rimasto il Suo profumo di Paradiso, delicato, fresco, intenso, inconfondibile, che inonda noi e la Grotta.
Io mi ritrovo con le mani nei capelli, come all'inizio dell'Apparizione.
Siamo sbalorditi. Io sono anche turbato, perché avverto che un grande avvenimento sacro è veramente accaduto.
Tutti torniamo adagio alla normalità. Rivedo le piante, il sole, i bambini che si muovono...

Chiedo loro: “Che è successo?”
Rispondono sinceri: “Papà, abbiamo visto la Bella Signora!”.
I bambini non mostrano alcun segno di stanchezza, sono vivacissimi. Controllo i loro ginocchi, se hanno qualche escoriazione per tutto quel tempo che sono stati in ginocchio su sassolini e brecciolino, abbondanti sul limitare della Grotta. Tutto apposto niente abrasioni di sorta. Continuo ad interrogare i bambini, separatamente, su quello che hanno visto, per comprendere.. .per conferma... Ripetono tutti la stessa cosa.
Gianfranco, che non conosce i colori, mi spiega: “La Bella Signora faceva i compiti (aveva notato il libretto che teneva sul petto)” e masticava la gomma americana (parlando muoveva le labbra)”.
Nessuno dei miei figli mi dice una parola della Vergine; allora capisco che non hanno sentito le parole della Vergine. Sono il solo ad aver sentito il Messaggio, che sento ripetere in me come un disco.
Carlo grida: “Papà, ancora si vede il manto verde!” e detto questo, rientra nella Grotta e corre là, dove la Vergine è entrata nella parete di tufo, per prendere il manto, ma ha un forte impatto col muro e si fa male alle mani.
Provvediamo a pulire la Grotta. Isola ricompone il mazzolino e lo mette sul masso di tufo, noi continuiamo a pulire, usando i fasci di ginestra come scope.
Al centro dell’imboccatura della Grotta vediamo la palla che era ruzzolata lungo la scarpata. Un miracolo nel miracolo!
Subito mi pongo a sedere su un sasso e comincio a scrivere degli appunti sul taccuino, che completerà a casa.

Più tardi vengo a conoscere un particolare dell’Apparizione. Mentre io e Carlo cercavamo la palla per la scarpata, e Isola raccoglieva i fiori per la madre, la Bella Signora era apparsa a Gianfranco, che stava sotto l’albero a sfogliare il giornaletto, lo aveva preso per la mano e condotto alla Grotta.
Non scrivo più quelle eresie contro la Vergine. Chiamo i bambini e dico loro: “Sento di dovervi dire una cosa: vi dicevo che Gesù non era nell’Eucaristia. Ma sbagliavo..” e, all’istante, aggiungo: “Andiamo a fare una visita ai frati Trappisti”.
Prima di andarcene incido con la chiave di casa, in alto, a sinistra, sulla parete esterna di tufo della Grotta: - Qui, il 12 aprile 1947 è apparsa a me ed ai miei tre bambini, la Vergine della Rivelazione. Bruno Cornacchiola -. Attualmente lo scritto è stato coperto da lavori eseguiti, ma lo spazio levigato dove l’avevo inciso è rimasto. Poi, sopra l’ingresso della Grotta, lungo il bordo sterno, incido profondamente, con la stessa chiave, a lettere maiuscole:- LUOGO SANTO -. Alcune di queste lettere erano ancora visibili fino a qualche anno fa. E si va via tutti.
Scendiamo la collina e andiamo dai Frati Trappisti. Passiamo per la piccola stradetta, davanti alla statua di San Bernardo e attraversato il portale ad arco, vediamo la Chiesa. Entriamo.
Ci mettiamo in ginocchio al primo banco alla destra di chi guarda l’Altare. Noto che c’è sopra la volta un grande orologio a muro che segna le 17,40 circa.
Faccio delle considerazioni per sapere quanto è durata l’Apparizione, perché non possedevo un orologio.
Visto che molti continuavano a chiedermi, come ho fatto a calcolare la durata dell’Apparizione, dato che non avevo l’orologio, ripeto il mio calcolo. Sono uscito dalla mia abitazione, con i bambini, alle 14,10 Siamo arrivati alla stazione Ostiense per prendere il treno per Ostia alle 14,30 circa.
Vedo l’orologio della stazione, acquisto il giornalino per ragazzi il pupazzetto, raggiungo il binario proprio mentre parte il treno per Ostia delle 14,30. Siccome il treno per Ostia faceva servizio ogni ora, per non far tardi, decido di andare al capolinea dell’autobus 223, antistante la basilica di San Paolo fuori le Mura, poco distante dalla stazione. Lascio la stazione alle 14,35 circa, e presumibilmente prendo l’autobus 223. Alle tre appare. Termina l’Apparizione. Puliamo la Grotta sporca di peccati, scrivo sulla parete, parlo con i bambini dell’accaduto e arriviamo alla Trappa. Prima di recitare insieme ad Isola, per la prima volta dopo il 1927, l’Ave Maria guardo l’orologio attaccato al centro dell’arco, sopra l’altare col Santissimo.
Sono le 17,40. L’Apparizione è durata circa un’ora e venti minuti.

“...sull’Altare, vivo e reale c’è Gesù ...“

In Chiesa, inginocchiati davanti a Gesù Eucaristico, dico ai bambini:
‘Vedete dove c’è il lumicino rosso?”
‘Sì papà.”
‘Bene, lì, sull’Altare, vivo e reale c’è Gesù. E lì, dove prima vi dicevo che non sola mi dice: “Papà, tu ci dici che là, dove c’è il lumino rosso, c’è Gesù. Abbiamo visto la Bella Signora... diciamo un’Ave Maria.”
“E dal 1927 che non recito più un’Ave Maria, io l’ho dimenticata”
“Papà io la conosco.”
“Come fai a conoscerla se non hai mai frequentato la Chiesa Cattolica?”
DEVO precisare un cosa importante. Molti mi chiedono:
Come hai fatto a recitare l'Ave Maria se non la ricordavi più?
Isola frequentava le elementari alla scuola pubblica Giuseppe Garibaldi in Via Mondovi. Io per non farla assistere all'Ora di Religione, dove a quei tempi si insegnava il Catechismo della Chiesa Cattolica e non il pensiero delle altre religioni, le avevo dato un biglietto, cosi compilato:
«SI PREGA LA SIGNORA MAESTRA DI ESENTARE MIA FIGLIA ISOLA CORNACCHIOLA ALLE LEZIONI CATECHISTICHE PERCHÉ NON CATTOLICI. IL GENITORE BRUNO CORNACCHIOLA.»

“Come fai a conoscerla?” chiesi alla piccola Isola.
“Quando tu, ogni settimana, mi davi il bigliettino da consegnare alla maestra per essere esentata dalle lezioni di catechismo, io, per due volte glieli ho dati poi, mi sono vergognata, perché dovevo stare fuori dell’aula. Il bigliettino lo facevo a pezzi prima di entrare a scuola, e rimanevo seduta al mio banco. Poi ho frequentato anche le Suore Canossiane di via Don Orione, dove ci parlava un sacerdote. Così ho imparato l’Ave Maria.”
“Bene!” dico “Non ti rimprovero. Sento di pregare. Ho la testa piena di quello che o sentito alla grotta. Inizia tu, parola per parola e noi ripeteremo.”
Isola incomincia: “Ave Maria...” e noi ripetiamo: “Ave Maria...”.
Isola prosegue: “...piena di Grazia e noi: “. ..piena di Grazia..”
“il Signore è con te” e noi “il Signore è con te...” così, parola per parola fino alla fine.
Dopo tanto tempo, cioè dal giorno della mia prima Comunione, nel 1927, recito nuovamente l’Ave Maria.
Intanto il disco, che sento nel cervello, mi ripete le parole della Vergine, particolarmente quelle della conferma dell'Apparizione:
“Per darti una prova certa che quello che vedi è realtà divina e non visione satanica, come molti ti vorranno far credere, io ti do questo segno: Tu dovrai andare nelle Chiese e per le vie. Per le Chiese al primo Sacerdote che incontrerai e per le strade ad ogni Sacerdote che incontrerai, tu dirai: «Padre, devo parlarle!». Lo riconoscerai da queste parole che ti dirà: «Ave Maria, figliolo! Che cosa vuoi?». Allora tu gli dirai quello che ti viene sulle labbra. Ed egli allora ti indicherà un altro Sacerdote con queste parole: «Quello fa per il caso tuo. »“
Dopo aver detta la preghiera, compro la cioccolata, come promesso, e dico ai bambini: “Adesso ritorniamo a casa. Mi raccomando non dite niente a nessuno!”
“Sì papà!” promettono.
Torniamo a casa che sono circa le 19.

AVE MARIA, FIGLIOLO.”

Ritorno alla mia abitazione. I bambini non hanno terminato di scendere le cale del seminterrato che, dimenticata la promessa gridano: “Mamma! Abbiamo visto la Bella Signora! Abbiamo visto la Bella Signora!”
Alle grida escono fuori, la portinaia con i bambini, che abitava dirimpetto noi, ed altre persone. Dico a Iolanda, che ci era venuta incontro allarmata, e ai bambini: “Entriamo in casa” e rivolgendomi agli altri: “Non è successo niente. Scusate.”
Entro, chiudo la porta. Iolanda, sorpresa, mi chiede: “Cosè questo profumo, che ti sento addosso’!!”
Rispondo: “Quello che dicono i bambini è vero” e racconto l’accaduto. Terminato il racconto mi metto in ginocchio davanti a Iolanda e dico: “Quanto male ti ho fatto! La Bella Signora mi spinge a chiederti perdono”
Iolanda, meravigliata, esclama: “Ma allora è vero! Quando mai ti saresti messo in ginocchio davanti a me! Ero sempre io ad inginocchiarmi per chiederti di non picchiarmi più. Vedi? Avevamo fatto la Comunione i primi venerdì del mese e il Signore ha mantenuto la Sua Promessa.” Dico di sì commosso. Lei chiama i bambini e ci abbracciamo in un abbraccio pieno d’amore e di calore, e realmente il nostro freddo appartamento diventa, per la prima volta, un vero focolare.
L’esorto a fare con me il Segno di Croce, che non facevamo più da anni, io dalla prima Comunione e lei da quando mi aveva seguito nell’apostasia, e in ginocchio preghiamo stiamo lì tutta la notte a parlare di quello che la Vergine cara aveva fatto per noi. Sento nel mio cuore di completare sul quaderno quello che avevo cominciato a scrivere alla Grotta. Risento la Vergine della
Rivelazione che mi parla e io scrivo. E’ l’intero Messaggio datomi, dalla prima parola “Sono” fino all’ultima Amore. Sento nel mio cervello come un disco che ripete esattamente quello che ho sentito; se ho un dubbio su una parola, torna indietro e ripete. Mi rimangono particolarmente impressi i segni che mi ha dato per la conferma.

Io ho però dei dubbi... sono smarrito... Solo una cosa è certa: domani non andrò in piazza della Croce Rossa a parlar male di Maria Immacolata, Madre di Dio, Vergine Sempre Vergine, Assunta in Cielo.
I bambini, dopo tante emozioni, dormono tranquilli.
Incominciano i dolori e le sofferenze. Non vado alle riunioni dei “compagni” tenute a Santa Maria Maggiore da Ferruccio Parri del Partito d’Azione e degli avventisti.
Quanto ho sofferto! Giravo per le strade e per le piazze, entravo nelle Chiese... e appena vedevo un Sacerdote, che poco prima insultavo e deridevo, gli chiedevo umilmente: “Padre, vorrei parlarLe...” Ma la risposta che ricevevo non era quella che cercavo.
Tornavo alla Grotta anche di notte per vigilare che non venisse profanata, e pregavo; pregavo sempre col S. Rosario e piangevo. Supplicavo la Vergine cara di affrettarsi a darmi quel segno, senza il quale impazzivo. Lasciavo la Grotta rasserenato, ma la prova continuava.
La terza volta che vado alla Grotta, di sera, la trovo occupata da una coppia in atteggiamento peccaminoso. Mentre sto in disparte, pensando come scacciarla, mi sento leccare una mano. E’ una cagnetta di pelo rossiccio che mi fa le feste. “Vai!”, le ordino; e quella rapidissirna si lancia ringhiando contro la coppia che fugge via di corsa, spaventata.
Da quella sera, Lilla, la cagnetta, diventò l’attenta custode della Grotta e più nessuno entrò per profanarla. Questo mi è stato confermato anche da altre persone. Lei stava lì, attenta e tranquilla, giorno e notte, nei giorni freddi e nei caldi, vicina alle candele accese, incurante di qualche piccola scottatura che le poteva capitare. Poi seguendo l’istinto, divenne madre e un visitatore della Grotta, il cav. Carlo Rossi, la portò in casa sua. Ormai la Grotta aveva altri guardiani.
Intanto passano i giorni e non vado al lavoro. Sono in uno stato febbrile. I fratelli avventisti e i compagni comunisti vengono a casa a chiedere mie notizie; e si ripete la solita scena:
“Come mai non vieni’? E successo qualcosa’?
“Si. E aspetto che tutto si chiarisca.’
Mi danno del pazzo schizofrenico ed altro. I giorni passano senza che si realizzi il segno e io mi ammalo. Rileggo il messaggio che mi ricorda: “Devi cercare un Sacerdote che ti dirà: — Ave Maria, figliolo! e ti indicherà un altro Sacerdote con queste parole: “Quello fa al caso tuo “.
E’ necessario riprendere servizio e anche sul tram interrogo ogni Sacerdote che vedo:
“Padre, devo parlarLe.”
“Dimmi pure.”
“No, ci ho ripensato”, Alcuni di loro si offendono e avvengono battibecchi.
Disperato perché non avevo il “segno della certezza della mia Fede” volevo distruggere tutta la mia famiglia.
Iolanda si accosta dolce e calma e mi chiede:
“Perché non mi dici che cosa hai’? Ti vedo così triste, immusonito e strano, dimmi che cosa c’è’? “
“Iolanda, oggi è il 28 Aprile. Sono 16 giorni di tormento che ho a causa del mancato incontro col Sacerdote; non ne posso più”
“Hai chiesto anche in Parrocchia?”

“No,
“Perché non ci vai? Può darsi che proprio lì trovi il Sacerdote”.
“Va bene ci vado. Ma se non l’incontro e ritorno a casa triste, ebbene, vedi questo pugnale con il quale dovevo trafiggere il cuore del Papa? Bene! Se ritorno senza aver incontrato il Sacerdote uccido te, i bambini e me stesso. Basta! Ora mi sono stancato! Voglio farla finita!” Dopo aver messo il pugnale a sinistra della cintura, dico tutto nervoso:
“Preparati!”, e vado in Parrocchia. Alle 8.30 entro nella Chiesa di Ognissanti sulla via Appia Nuova, la mia Parrocchia tenuta dai Religiosi di don Orione. Mi fermo vicino ad un grande Crocefisso, che stava all’ingresso della Sacrestia (la sacrestia adesso non è più lì). Passano due Sacerdoti. Uno lo riconosco.
E’ quello che avevo fatto cadere giù per le scale, quando si era presentato a casa mia, sotto le feste di Pasqua per benedirla, come si usa. L’altro Sacerdote era il Parroco, don Risi. Mi giro per non farmi riconoscere e, rivolgendomi al Crocefisso, dico: “Se non l’incontro, Tu sarai il primo ad essere fatto a pezzi, come quello che ho gettato nel secchio dell’immondizia!”.
Detto questo, vedo uscire un Sacerdote, piccolo di statura, bruno di colorito, è don Albino Frosi che con cotta e stola si appresta a distribuire la Comunione.
Mi sento spinto verso di lui e gli dico, trattenendolo per le maniche della cotta:
“Padre, devo parlarLe”.
Si gira e risponde: “Ave Maria, figliolo, cosa vuoi?”
“Padre è questo che aspettavo da tanto tempo!” e gli spiego rapidamente, perché ha fretta, che ero stato protestante e che, per un fatto soprannaturale, volevo rientrare nella Chiesa. Non accenno alla seconda parte della conferma. “Bene! - mi dice - vedi quel Sacerdote in Sacrestia?”
“Si; perché?”
“Quello fa al caso tuo.”
Entro in Sacrestia e racconto tutto a quel Sacerdote, a don Gilberto Carniel, che poco tempo prima aveva convertito un altro protestante, e ritorno a casa.

don Frosi

Bruno mi sento legato a te!”

Ritornando a casa noto che il percorso mi sembra infinito. Non so dire sec orro, se sto procedendo a passo svelto o a normale andatura. Ricordo che non vedevo il momento di rincasare . Aprendo la porta di casa, con ancora la chiave nella toppa, grido: “Iolanda è tutto vero! “ La poverina, che stava piangendo, mi orride e mi abbraccia: “Allora è vero!”
“Si! La Vergine della Rivelazione e apparsa! preghiamo. “Ave Maria...”
Il giorno dopo don Gilberto viene a casa mia e ascolta dettagliatamente tutti i particolari dell’Apparizione. Gli mostro anche quanto ho scritto sul quaderno; eccetto s’intende il Messaggio che riguarda il Sommo Pastore della Chiesa del quale non rivelo nulla. Chi tace per ubbidienza rischia di essere considerato un menzognero o uno che non sa nulla, ma le labbra ubbidienti conservano Dio nel cuore. Da quel giorno, don Carniel dette a me e a Iolanda un’istruzione catechistica conveniente a comprendere ed accettare le Verità rivelate. Rimase sorpreso della mia preparazione scritturale che mi fu di aiuto, non più di contrasto, a credere la Fede degli Apostoli.
Il 6 maggio, alle 18 circa, viene don Carniel in casa mia con due pergamene. Ci confessa, mette la Bibbia sul tavolo e ci dice: “Leggete questa promessa e firmate.” Così facciamo la nostra abiura, con grande gioia e riconoscenza alla Vergine cara.
Il giorno stesso viene consegnato al Santo Ufficio una lettera per la Santità del Padre che racconta l’apparizione.
Dopo cena, vado alla Grotta. Prego e lascio un cartello col quale avvertivo che in quel luogo era apparsa la Vergine. Mentre sto lasciando il foglio, la Vergine appare e mi sorride quasi volesse dirmi: “Hai visto che tutto si realizza? Vai avanti ed offri tutto!”
Il 18 maggio facciamo una grande festa in Chiesa, perché come il figlio prodigo sono tornato nella Casa del Padre. In quell’occasione, Gianfranco riceve il Battesimo, Isola la prima Comunione e Cresima, Iolanda ed io assistiamo alla grande funzione della S. Messa e facciamo la Comunione. Carlo viene soltanto benedetto perché Iolanda l’aveva già battezzato.
L’Omelia, tenuta dal noto predicatore gesuita Padre Rotondi, cappellano dei tranvieri, che conoscendo quanto male ho fatto con la mia falsa propaganda religiosa e politica, fa intervenire un gran numero di tranvieri, parla della Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, grande dispensatrice di grazie celesti.

Don Frosi mi consegna un biglietto per invitarmi a parlare per il 20 maggio in una riunione dell’Azione Cattolica parrocchiale, e mi parla di importante Associazione e come sarebbe spiritualmente proficuo per me frequentarla.
Il giorno stabilito vado e faccio la mia confessione pubblica. Addolorato, perché mentre parlavo del fatto strepitoso e soprannaturale, Sacerdoti, presidente e iscritti mangiavano e bevevano, dico una parola di rimprovero: “Come potete mangiare e bere vino durante il racconto di un fatto celeste?!”
Il presidente dell’Azione Cattolica mi risponde: “Noi non ci crediamo!”“Son ben contento!! Però l’educazione è un’altra cosa! Potete dire che non credete, ma non potete dire che non è vero!”
Mi dispiace di trovare una resistenza passiva al lavoro spirituale che svolgo, per far conoscere il richiamo della Madre, di Dio e Madre nostra alla conversione.
Terminato di parlare, mentre sto per uscire dalla Chiesa di Ognissanti, si avvicina un sacerdote, don Mario Sfoggia che mi chiede:
“Sei tu che hai visto la Madonna alle Tre Fontane?”
‘‘Si”
“Vorrei pregare alla Grotta con te.”
“Va bene per te il giorno 23 alle16,30?”
“Si, va bene.”
don Mario Sfoggia
Come da appuntamento, trovo in parrocchia don Sfoggia pronto. Mi dice che ha invitato anche un “ex compagno”, certo Luciano Gatti, che si e messo sulla via della conversione, che ci verrà incontro alla Grotta.
Si parte. Alle 14,40 circa, alla basilica di S. Paolo, prendiamo l'autobus 223 per scendere alle “Tre Fontane”.
Si sale sulla collina, entriamo dentro la Grotta e, inginocchiati, iniziamo a recitare il S. Rosario. Don Sfoggia insiste per mettersi alla mia sinistra. Recitiamo tutti e tre i Misteri: Gaudioso, Doloroso e Glorioso. Quando è venuto il momento di recitare, credo, il secondo Mistero Glorioso, alla prima Ave Maria, viene la Vergine e mi sorride e posa le Sue mani sulle nostre teste. Ritorno in me e rispondo: “Santa Maria...” Don Sfoggia mi dice: “Che cosa è successo? Mi sono sentito strano, ho sentito del profumo e anche come se avessi toccato un filo elettrico, e avessi ricevuto una scarica. Non hai risposto quando ho terminato la prima parte. Ho atteso. Sono passati dei minuti, venti circa, e poi mi hai risposto “Che cosa è successo?” Rispondo piangendo: “E’ venuta e ci ha messo le mani sulla testa.” Don Sfoggia si alza, esce fuori, poi ritorna e riprendiamo a pregare terminando così il Santo Rosario. Da lontano si vede giungere Luciano Gatti. Don Sfoggia gli dice: “Entra e dimmi che impressione ricevi.” Luciano entra, poi esce e ridendo dice: “Per ingannarmi, avete messo del profumo.”“No. è apparsa la Vergine. L’ho sentita pure io, ma non l’ho vista.” Si gira verso di me e mi abbraccia gridando: “Bruno, mi sento legato a te!” Questo era uno dei segni dei quali La Vergine mi aveva già parlato: “Un altro Sacerdote ti condurrà alla Santità del Padre. Lo riconoscerai perché ti dirà:- Bruno mi sento legato a te! - “Non ci credo! Mi vuoi ingannare!”“Vieni.” E insieme, si va a casa mia, nel seminterrato di via Modica.
Là giunti, prendo un quaderno e gli faccio leggere quelle parole.
Si mette a piangere per la gioia: “Ha scelto me. Io sono l’ultimo dei preti!” Si va in Chiesa a pregare davanti al Santissimo.

La Commissione

Credo che fosse la metà del mese di giugno del 1947, chiamato a presentarmi davanti ad una commissione legale Ecclesiastica insediata presso il Vicariato di Roma che, in quei giorni, è situato a Piazza della Pigna. Vado, con me viene Don Sfoggia.
Mi fanno entrare in una delle aule del tribunale. Tre Sacerdoti erano seduti dietro un bancone.
La giuria era composta dai Mons.ri Giaquinta, Mattioli e Cecchi.
Mons. Mattioli Pietro si rivolge a me dicendo: “Mi dica la sua storia.”. Ed io:
“Non è storia; è un fatto vero.”
Mons. Mattioli : “Bene. Ci dica come avvenne.”
Narro tutto. Mons. Giaquinta iterroga e Mons. Cecchi scrive.
Termino il racconto. Mi dicono: 
“Può andare. Però...”
“C’è qualcosa?”
Mons. Mattioli: “A proposito, hai mai pensato che fosse il diavolo ad apparirti?”
Mi sento di rispondere: “Sì, al principio, quando i bambini erano inginocchiati e non rispondevano ai miei richiami, e io non potevo sollevarli perché pesanti come macigni . . Poi si sono avverati i fatti che la Vergine della Rivelazione mi aveva predetto il 12 Aprile per darmi una certezza: l’incontro (del 28 Aprile 1947) col Sacerdote che mi saluta con “Ave Maria, figliolo”e mi indica l’altro Sacerdote con le parole: “Quello fa per il caso tuo” e il dubbio è sparito dalla mia mente.
“Ma ragioniamo un poco. Se fosse il demonio ad essermi apparso e a dirmi:- Rientra nella Chiesa Corte Celeste in terra. - Allora le conclusioni sono due:
1) o voi siete d’accordo con lui;
2) o il diavolo si è convertito e mi ha mandato da voi.
Se voi siete d’accordo con lui, il tempo lo dirà.
Se si è convertito, la missione della Chiesa di mandare missionari della parola per tutto il mondo e di combattere satana è finita. Voi non servite più, chiudiamo tutto.”
“Se son rose fioriranno”
“State attento, che se anche doveste tagliare le radici, fioriranno ugualmente.” Concluse Mons. Mattioli: “Scusaci, ma è nostro dovere farti queste domande.”

La Pia Storia di Suor Raffaella Somma

suor raffaella somma
Fra le tante Apparizione, che per Grazia di Dio ho ricevuto senza meritarle, quella del 30 Maggio 1947, mi ricorda tante cose.
E’ la quarta nel tempo, ma è molto importante.
La Vergine cara si è fatta vedere la prima volta il 12 Aprile 1947, la seconda il 6 Maggio e la terza il 23 Maggio, tutte nello stesso anno.
Io, pur avendo avuto conferma della realtà dell’Apparizione, sia per l’incontro predetto col Sacerdote “dell’Ave Maria, figliolo “, che per le altre apparizioni che seguirono, ero sempre sotto sopra nel mio spirito.
Si, avevo presente il fatto soprannaturale; ma non riuscivo a capire cosa potesse essere una cosa soprannaturale, cosa fosse una cosa celeste!
Ecco perché andavo spesso alla Grotta, dove era avvenuto il primo contatto con la Vergine Maria; e spesso passavo la notte li dentro. Dormivo per terra, sopra una palanca, per non stare a contatto con la terra umida, perché quando pioveva l‘acqua entrava nella Grotta.
Nella Grotta, sdraiato, imploravo la Vergine Santissima che mi venisse in aiuto, che mi illuminasse e mi guidasse nella via luminosa della Verità, nella quale mi sentivo smarrito.
Spesso piangevo dal dolore di non aver ancora capito il fatto soprannaturale, e mi rivolgevo con la mente alla Vergine cara, ricordando la prima volta che l’avevo vista con i bambini.
Il giorno 30 Maggio mi sento trascinato da una forza verso il luogo dell’Apparizione.
Terminato il lavoro, invece di tornare a casa, vado sulla Collina degli Eucalipti e mi metto davanti alla Grotta. Erano circa le 19.30 e incominciava a fare buio. Ero solo. Incomincio a pregare. Le lacrime uscivano abbondantemente e mi bagnavano le guance.
Chiedevo alla Vergine Santissima: “Madre cara, tu sai come sono testardo. Non riesco ancora a credere a questo fatto celeste.
Rassicurami ed aiutami. Compi qualche miracolo! Altrimenti diranno che sono diventato matto, e perderà anche il lavoro. Ho famiglia! Aiutami!”.
Improvvisamente, dall’angolo a sinistra di chi guarda la Grotta, la Vergine cara si presenta di nuovo.
E’ dolce. E’ Madre. Mi guarda. Non aveva il libretto, ma teneva le mani unite sul petto, come chi prega. L’abito era quello di sempre: manto verde, abito bianco e fascia rosa.
Continua a guardarmi e mi sorride e mi disse solamente queste testuali parole, che risuonano nella Grotta “Vai dalle mie care figliole, le Maestre Pie Filippini, e dì loro di pregare per l’incredulità del mondo e per gli increduli del rione”. Dette queste parole va via, lasciandomi solo ma impregnato di soave profumo.
Rassicurato dall’Apparizione come rimesso a nuovo nel mio spirito, alzo gli occhi al Cielo, inumiditi di lacrime, questa volta di gioiosa speranza. Lascio la rotta e scendo la ripida scarpata. Mi fermo alla fermata dell’autobus per tornare casa e penso: “Domani guarderà sull’elenco del telefono per sapere l’indirizzo di queste Suore”.
Passa un uomo, che non ho mai saputo chi fosse, e gli chiedo: “Mi scusi, a se qui ci sono delle Suore, chiamate Maestre Pie Filippini?”
“Sì, ci sono, fanno scuola e tengono anche i miei bambini”. Dove sono?”
“Là!”. E mi fa cenno con la mano indicandomi una casa, che ora hanno demolito, della quale conservo una foto di quei tempi. Guardo e vedo che ha un portoncino, proprio vicino alla fermata. Lascio passare l’autobus e suono alla porta. Attendo... niente. Suono ancora... niente.
Passa una donna col fazzolettone in testa. Vedendomi alle prese col campanello, si ferma e mi dice: “Se cerca le Suore, è inutile che suona, perché a quest’ora non aprono a nessuno”. Poi mi chiede: “Cos’è questo profumo?” Non le dico nulla.
Desisto. Salgo sull’autobus e tutti mi guardano, come se avessi qualcosa che l’attirasse. Penso: “è il profumo che ho ricevuto alla Grotta”.
A casa, racconto tutto a Iolanda, ancora occupata in cucina. Mi guarda ed annusa:
“Cos’è questo profumo?”
“E’ la Vergine che me l’ha lasciato addosso!”
Profumavo tutto: la giacca dell’uniforme di servizio, la camicia, la maglia, a pelle, i calzini, l’alito... Insomma sembrava che la Vergine mi avesse fatto un bagno in una vasca piena di profumo!
E’ bello, sì, ma quante sofferenze e quante pene!
Iolanda, ancora fuori di se per la notizia che sta per darmi, mi dice:
“Bruno, c’è un articolo sul giornale che parla del miracolo che avete ricevuto!”
Prendo il quotidiano. Era il Giornale d’Italia; edizione del pomeriggio e leggo l’articolo del giornalista Giulio Loccatelli datato 31 Maggio 1947, e diceva che un controllore dell’ATAC, con i suoi figli, aveva visto la Madonna e si chiedeva:” Se non avverrà qualche miracolo, chi crederà a questo Cornacchiola?”
Avevo un Messaggio da portare alle Maestre Pie Filippini, ma il tempo passava e io non ci pensavo più, l’avevo quasi dimenticato.
Don Sfoggia era diventato il mio Padre confessore e attendevamo che si fosse verificato quanto aveva detto la Vergine in un precedente messaggio e cioè
che lui mi avrebbe accompagnato dal Santo Padre per consegnargli il Messaggio del 12aprile 1947.
Intanto i bambini venivano interrogati dalle Autorità Civili, la Polizia, e quelle religiose, il Vicariato.
Anch’io fui chiamato ed interrogato al Commissariato di Via Alba e da una commissione del Vicariato: Mons. Mattioli (ora defunto); Mons. Giaquinta, Vescovo di Tivoli (ora defunto); e Mons. Checchi, Parroco in Roma di San Lorenzo in Damaso.
Nel mese di Giugno, Don Sfoggia viene a trovarmi nel seminterrato di Via Modica, n°2, nostra abitazione; attualmente adibita a sala per le riunioni Catechistiche dell’Associazione Catechistica SACRI, voluta dalla Vergine Maria per l’insegnamento del Catechismo a tutti, adulti e bambini.
Don Sfoggia mi guarda e mi dice: “Hai forse chiesto ai Frati Trappisti se ti prendono i bambini?”
Rispondo: “No. Non so niente; perché?”
“I frati mi hanno detto di dirti di consegnare i bambini alle Suore Maestre Pie Filippini per farli custodire”.
Vedendo che facevo resistenza, Don Sfoggia aggiunge: “è un ordine delle Autorità: allontanare da te i figli che hanno avuto l’Apparizione, affinché non siano alimentati da te sui fatti accaduti”.
Rinuncio... prego la Vergine di illuminarmi sul da farsi.
Alcuni giorni dopo quell’incontro, che io chiamai “il grande rifiuto” Don Sfoggia ritorna con un altro signore.
“Bruno, ti presento lo scultore Signor Ponzi, che vuole riprodurre la statua della Vergine (Don Sfoggia e il Signor Ponzi dicevano “Madonna”) come tu e i bambini l’avete vista”.
“Bene, - dico, - cosa vuoi sapere?”
Il signor Ponzi, lo scultore, chiama uno alla volta i bambini e li interroga.
Poi chiama me e vuoi sapere, almeno in un qualche modo, come era il viso della,
Vergine, il colore dell’abbigliamento, del libretto, di che colore erano..le scarpe.’
Per farmi cadere in un tranello mi faceva domande su domande.
Terminato con me è di nuovo la volta dei bambini.
Sono i bambini che danno i dettagli.
Isola si mette una coperta sui capo, prende un libro e se lo mette sul petto, stringendolo con la destra e mettendo la sinistra sopra. I bambini, Carlo e Gianfranco, vedendola dicono: “Si, è la Bella Signora!”.
Ponzi mi domanda ancora qualcosa e fa degli schizzi su un foglio. Terminati i disegni, salutano e vanno via.
Prima della fine di giugno, Don Sfoggia torna sull’argomento; e questa volta, cedendo alla richiesta, mando Iolanda ad accompagnare i bambini dalle Suore “Maestre Pie Filippini”. Io non andai ad accompagnarli perché dovevo lavorare.
Dopo circa una settimana, ai primi di Luglio, vado a far visita ai bambini per vedere come stanno e se si comportano bene. Vado solo, lasciando Iolanda a casa a preparare la cena. Era di pomeriggio. Arrivo, mi accosto al portoncino, dove nel mese di Maggio avevo suonato invano il campanello. Lo suono con aria di sicurezza e attendo.
Viene una suorina magra, piccolina; è la Superiora della Casa. Mi chiede cosa voglio e chi sono.
“Desidera?”
Un poco impacciato rispondo: “Sa ... io sono Bruno Cornacchiola, quello che ha ricevuto la Grazia sulla Collina. . . “.
“Ah! Venga, venga dentro. . . si accomodi”.
Mi fa entrare in un’aula scolastica, dove ci sono i banchi per i piccoli dell’asilo.
Chiedo notizie sui bambini. Madre Anna Sisti, è il nome della Superiora, mi dice: “Ci scusi il disturbo, c’è una nostra consorella che vorrebbe parlare con lei, posso chiamarla?”
“La chiami. A proposito, “dico”, mi ricordo che nel mese di maggio, il giorno 30, per la precisione, la Vergine mi ha dato un Messaggio per voi Suore Maestre Pie Filippini”.
“Davvero?”
“Certo!”
“E cosa dice’?”
“La Vergine mi ha detto che dovete pregare per l’incredulità del mondo e per gli increduli del rione”.
“Sono contenta di sentirlo dire”.
La Madre Superiora va, ed io rimango in attesa nell’aula colma di piccoli banchi per i bambini. Madre Sisti torna con una Suora che si presenta: “Suor Raffaella Somma.”
“Si accomodi.” La Suora si mette seduta su uno dei piccoli banchi.
“Mi dica, Sorella.”
“Lei, forse, mi prenderà per una pazza, per una persona fuori di senno, ma io vorrei narrarle un sogno che ho fatto... se si può chiamare sogno, e lei deve dirmi se questo sogno risponde a verità. Le parole della Vergine, che è apparsa, sono queste? Questo è il sogno: mi trovo in una Chiesa tutta buia, e sento soltanto la voce di un predicatore, come di un oratore che tiene una conferenza. Non si vede, e incomincia: “La Vergine ha detto:- Sono Colei che sono nella Trinità divina, sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti. Ora basta. Rientra nell’Ovile Santo, Corte Celeste in terra...” e l’oratore mi spiega tutto il significato di quello che dice, parola per parola, particella per particella, i verbi “. La Suora termina chiedendomi se non sia un trucco satanico.
Rimango sorpreso perché sono le parole pronunziate dalla Vergine.
Rispondo : “Sì! Le parole sono proprio queste! Ci sono anche delle altre parole...”“Non mi interessano le altre. lo ho sentito queste parole.”
“Ma lei, ha scritto tutto? Può darsi che sia il demonio che vuoi mettere nel nostro cuore confusione spirituale. Bisogna vedere se sono cose di Dio.”
Suor Raffaella prende un piccolo libretto notes, con la copertina nera, se non erro, e mi dice :“legga” e aggiunge “Mi porteranno al manicomio. Al ritorno morirò di cancro e verrò sepolta nel cimitero dei Frati Trappisti.”
Appena inizio a leggere mi toglie il libretto dalle mani e mi dice: “Senta, prima che lo legga lei, non sarebbe bene che lo vedesse un Sacerdote, che lei conosce e stima per poter dire se queste cose sono di Dio o di satana?”
Prendo il libretto e vado nella Chiesa parrocchiale di Santa Maria ai Monti con il professore Alberto Allinay, che dopo l’Apparizione mi aveva passato la visita medico legale per controllare il mio stato psicofisico, e mi aveva fatto conoscere il Sacerdote Alberto Tommaselli della suddetta Parrocchia. Questi, letto il libretto, mi dice con la voce rotta dall’emozione: “Caro Bruno, rassicura la Suora: questo è un vero Messaggio celeste! Anzi, ti dico subito la nuova giaculatoria: “Virgo Revelationis - ora pro nobis.”
Ringrazio il Sacerdote e mi reco subito da Suor Raffaella Somma e le dico: “E’ una cosa del Cielo!” e riferisco tutto quello che avevo fatto e tutto quello che don Tommaselli mi aveva detto con tanta gioia e amore. A questo punto Suor Raffaella mi dice: “Può mandarmi un Sacerdote, al quale possa riferire tutto quello che non è scritto nel libretto, ma che tengo nella mia mente?”
“Certo, lo dirò al Padre, a don Sfoggia, che il 23 Maggio ha avuto la grazia di assistere ad un’Apparizione, mentre stava con me nella Grotta e pregava la Vergine cara con il santo Rosario.”
“Allora, caro Bruno, me lo mandi presto.”
“Va bene, Sorella, e speriamo che tutto vada a gloria di Dio e per onorare la Vergine, qui, dove è apparsa.”
Finalmente la vedo sorridente. Mi guarda serena e mi dice: “Questa è una delle tante prove. Attendiamo e preghiamo. Offriamo tutto per la conversione degli increduli del mondo e per l’incredulità del rione.”
Lo dico a Don Sfoggia che si reca subito dalla Suora.
Man mano che il tempo passava, Don Sfoggia mi raccontava tante belle cose interessanti.

Tra le altre cose, mi disse: “Bruno, è una cosa che farà sbalordire il mondo! La Suora ha avuto il privilegio di ricevere la spiegazione del misterioso Messaggio che la Santa Vergine ti ha dato il 12 aprile 1947! E in più la Vergine le ha fatto sapere cose importanti:
- Che i Bambini, che sono presso le Suore, li manderanno via. (ciò è avvenuto)
- Che la Suora sarà portata in una casa di cura per alienati mentali (è avvenuto)
- Che tornerà in comunità e si ammalerà di cancro (è avvenuto)
- Che morrà e sarà interrata nel cimitero dei Frati Trappisti (è avvenuto).
E tutto per confermare l’Apparizione della Vergine della Rivelazione alle Tre Fontane, avvenuta a te, il 12 aprile 1947; e la suora mi ha detto altre cose che scriverò e consegnerò ai miei superiori.”
Don Sfoggia non aggiunse altro e non volle dirmi più niente per non impressionarmi, perché erano cose che riguardavano me stesso.
Don Sfoggia riferisce tutto ai superiori e al Parroco Don Risi, che lo consigliano di andare alla Trappa e di parlare con il Padre Abate, riferendogli tutto quello che ha saputo. Era presente anche Padre Dettoni.
Il tempo è inesorabile passa svelto. Siamo nel 1948. Non ricordo le date precise, ma descrivo quello che ricordo in quei giorni.
Le Autorità ecclesiastiche hanno inviato una commissione di esperti, presi dal Santo Uffizio e dal Vicariato. Viene chiamata la Madre Generale delle Maestre Pie Filippini, la Superiora Maria Anna Sisti, e Madre Ninetta Jonata. Tutti vanno alla Trappa, dove il Padre Abate e il Superiore li accolgono. Mandano una persona, credo la Madre Anna Sisti a chiamare Suor Raffaella Somma, che si presenta davanti alla Commissione d’inchiesta per vagliare i fatti narrati da Don Sfoggia; che insisteva che i fatti fossero una cosa del Cielo, cioè soprannaturali. Come anche mi aveva detto Don Alberto Tommaselli e come io avevo riferito alla Suora e a Don Sfoggia.
Suor Raffaella arriva tutta tesa e si emoziona nel vedere tutta quella gente che l’aspettava.
Uno di loro le disse: “Bene, Sorella, vuole raccontarci i fatti come sono andati?”
(Queste notizie le ho raccolte da Suor Raffaella, da Don Sfoggia, da Madre Ninetta e dalla Superiora Madre Anna Sisti.)
Suor Raffaella narra il sogno e tutto il resto, punto per punto; poi dice:
“Ho scritto tutto nel mio libretto!”
“Si?! Allora ce lo consegni!”
Le Suora mette la mano nella tasca e diventa pallida. Non trova più il libretto! Cerca nella tasca, gira... rigira... niente!
Incomincia a tremare... trema ancora di più... farfuglia qualche parola incomprensibile ... Le tremano le labbra... e cade in terra, svenuta.

Presente c’era anche il direttore del manicomio, che aveva interrogato me e i miei bambini, a suo tempo.
La rialzano. Vedendo la Suora in quello stato la portano, con l’auto del Superiore della Trappa in una casa di cura per alienati mentali.
L’accompagnano anche un monsignore e la Madre Anna Sisti.
A tutti, per tranquillizzare i miei bambini, si diceva che la Suora era partita per una villeggiatura.
E pensare che questa era soltanto la prima parte di tutto quello che la Suora aveva riferito a Don Sfoggia; e a Don sfoggia aveva letto negli scritti di lei e mi aveva ripetuto.
Suor Raffaella Somma resta circa sei mesi in casa di cura; poi torna in Comunità con un certificato medico attestante che la Suora è sana di mente e di corpo e che non risulta nulla psichicamente e fisicamente a suo carico. Mi sembra che l’attestato dicesse proprio così; comunque si potrebbe farne ricerca.
Finalmente la vedo sorridere. Mi guarda e mi dice: “questa è una delle tante prove. Attendiamo e preghiamo. Offriamo tutto per la conversione degli increduli del mondo e l’incredulità del rione.”
Le suore tutte contente festeggiano il suo ritorno.
Frattanto i Padri Trappisti hanno scartato delle pianete logore e le hanno consegnate, insieme a delle pianete in buone condizioni ma con qualche difetto, a Suor Raffaella Somma, affinché accomodi queste con le parti meno logore di quelle.
Un giorno, vado con mia moglie a trovare i bambini, e vedo la Suora che toglieva dei ricami dorati da una pianeta. Mi guarda contenta e mi dice: “Quanto sarebbe bello fare, con questi ritagli, qualcosa di utile.”
Guardo e mi balena per la mente un’idea: vedo un disegno ben preciso: “Cara Sorella, le dico, è bene farci un bel disegno della perfezione divina, che racchiuda Maria e rappresenti la SS. Trinità.”
“Bene, fammi vedere con un disegno cosa bisogna fare. Al resto penso io...”
Faccio il disegno: due arpe, simili a due - C - con le parti convesse affrontate e leggermente distanziate escono da un triangolo equilatero con 1’ apice in alto, sormontato da una piccola croce latina. Il triangolo, che copre gran parte delle due arpe, ha all’interno la scritta: Dio è Amore. Tutto il disegno è inscritto in un cerchio. Fuori del cerchio, tre rose a sinistra e tre a destra.
Tutto corrisponde alla visione avuta, diciamo all’ispirazione.
Spiego alla Suora il significato del disegno: Maria è l’Armonia della Trinità Divina. Dio è Amore nella perfezione infinita.
Suor Raffaella Somma chiama lolanda e le dice: “Vieni anche tu. Non vorrei essere presuntuosa di fare il lavoro da sola. E’ meglio farlo in due per un ricordo a Bruno.” Così fanno.
Si mettono ai lavoro tutte e due dopo alcuni giorni, lo completano. Al centro di un pezzo di un vecchio camice liturgico viene riportato il disegno con ricami e perline. Ai lati due arabeschi floreali a motivo ornamentale estranei al disegno. In basso a sinistra il piccolo monogramma ricamato SRS (Suor Raffaella Somma), a destra C I ( Cornacchiola Iolanda).
La stoffa, incorniciata con vetro, è attualmente collocata all’ingresso della Cappellina in Casa Betania, sede dell’Associazione catechistica SACRI, che Suor Raffaella, senza conoscere, amava tanto, e per la quale mi dette dei consigli, come dovevo viverla e quante sofferenze avrei dovuto passare per farla nascere e crescere.
Alcuni giorni dopo ebbi con Suor Raffaella un altro incontro tutto particolare e spirituale. Ricevetti un insegnamento di forza e di Fede, unito nell’ubbidiente sottomissione alla volontà di Dio, “Bruno, mi disse, si avvicina il Natale. Ma io sento; che qui (e mi indica il petto) c’è qualche cosa che cammina e si forma. Quello che avverrà l’accetto con Amore, e mi dono per la Chiesa, per il Papa, per la Grotta della cara Madre, la Vergine della Rivelazione, come Lei ha detto e predetto, e per te”. Passa altro tempo. Lei soffre e offre per quella causa santa che è la Grotta dell’Apparizione. Frattanto mi era venuto l’ordine di riprendere i miei bambini.
Mi chiamano. E’ la Superiora Madre Anna Sisti che vuole parlarmi. Vado. Mi dice che Suor Raffaella è molto malata e non vuole andare in ospedale. Ha detto che vuole restare in Comunità. Non ha paura di morire, perché ha detto di conoscere anche il giorno che sarà portata nel Regno dei Cieli.
Accompagnato dalla Madre Superiora saliamo nella stanzetta di Suor Raffaella Somma.
La Suora mi guarda e dice. “Comportati sempre bene. lo tra poco tempo andrò dal Padre. Mi hanno visitato e hanno trovato che ho un cancro, in una fase ormai avanzata. Si sta avverando la seconda parte. Tu vedrai le seguenti. Sii forte. Pregherò per te e per la tua santificazione.”
Dico alla Madre: “Fatele una fotografia per ricordo.”
“Ci pensi lei, mi risponde. Porti un fotografo ma di nascosto, perché è meglio che non venga più qui, da noi “.
Il 19 febbraio 1949, prima che si alzasse il sole, mi presento con il fotografo, il Signor Filippini, che avevo conosciuto in Spagna. La Madre ci fa entrare di nascosto perché le Suore non volevano che io tornassi nella loro Comunità. Non ricordo l’ora. Ricordo che Suor Raffaella Somma, col vestito da religiosa, viene fatta sedere dietro un piccolo tavolo, con un cuscino per appoggiare la testa e un altro per appoggiare le mani e sorreggere così il corpo decadente.
Entriamo. Il fotografo già pronto scatta l’istantanea. La riprende sorridente che mi guarda.
Mi chiede: “Come stai?”
Pur essendo così malata, si preoccupa del mio stato! La saluto e vado via.
Stiamo uscendo dal portoncino quando sento alcune suore gridare piangendo : “E’ morta! Aveva l’età di Iolanda, quarant’anni!”.
Suor Raffaele Somma aveva detto e scritto:
1) che doveva essere ricoverata in manicomio, è avvenuto;
2) che i miei bambini sarebbero stati allontanati dalla Casa, è avvenuto;
3) che doveva ammalarsi di cancro e morire, è avvenuto;
4) che doveva essere sepolta nel Cimitero dei Padre Trappisti, dove è vietata la sepoltura di una donna, è avvenuto.
La Vergine cara ha dato direttamente un Messaggio a Suor Raffaella Somma.
Questo documento e gli altri scritti, chi li ha? Sono ben conservati per fare il bene? E’ difficile rispondere.
L’avversione delle Suore verso di me, a motivo di calunnie, cresce sempre più. In seguito soltanto Madre Ninetta Jonata venne a trovarmi in casa. Con lei parlammo di tante cose spirituali che la Madre Superiora aveva registrato sul “registratore a filo”.
Si attendono i funerali.
E’ un momento veramente drammatico. Io non posso avvicinarmi alla Casa delle Religiose, né partecipare ai funerali, perché mi è stato proibito di farmi vedere.
Credo che il giorno dopo la santa morte di Suor Raffaella Somma, il 19 febbraio, fu la data fissata per i funerali. Tutto è pronto.
Nascosto dietro un cespuglio, tra gli alberi della collina degli eucalipti, vedo i preparativi.
Mi vengono in mente tante cose, la semplicità di quell’Anima benedetta, volata in Cielo, e il suo coraggio nell’affrontare ogni cosa con animo generoso e pieno di Fede.
Suor Raffaella Somma si è offerta per la gloria di Dio, affinché venisse riconosciuta l’Apparizione alla Grotta delle tre Fontane dove la Vergine della Rivelazione ha detto tante cose per la Chiesa e per il mondo, che va in rovina.
Qui, se gli uomini avranno vera Fede, ritroveranno nella Chiesa la via perduta. Questa era Suor Raffaella Somma: una Suora senza pretese, sempre pronta, nella sua semplicità e umiltà a dare al prossimo un sorriso ed un aiuto.
I preparativi stanno per_terminare. Inizio il santo Rosario. Arriva il carro funebre. Fuori della Casa, le Maestre Pie Filippini attendono che la bara sia deposta nel carro.
Penso: “Ma, non avverrà il suo seppellimento nel Cimitero della Trappa?”
Il carro si appresta a partire, mentre le Suore salgono in macchina.
Improvvisamente si vede da lontano un’auto targata S C V (Stato Città dei Vaticano). Arriva, ne scende un Sacerdote ( che poi seppi essere un Monsignore, del quale non conosco l’identità) che consegna una lettera al Padre Abate. Questi, con la Superiora della Comunità delle Maestre Pie Filippini, leggono e parlano tra di loro. Un Padre parla con il personale addetto al carro funebre. Vedo il carro girare e entrare nella Trappa.
Che gioia! si è avverato il Messaggio!
Dopo, Madre Anna Sisti mi racconta che giunti all’arco, che segna l’ingresso alla Trappa, la cassa che conteneva il Corpo della Martire d’Amore Suor Raffaella viene preso e portato a Spalla dentro il Cimitero dei Padri Trappisti, e qui sepolta per ordine superiore della Santa Sede.
(Ripeto non conosco chi ha questi documenti, né dove vengono conservati)
Tutto si è avverato di quello che è stato scritto, detto e fatto, sempre nel nascondimento e sempre nel silenzio, in attesa che ogni cosa si fosse avverata senza interventi umani, ma soltanto per volontà di Dio e della Vergine della Rivelazione, che in molti cuori e cervelli ha portato una... rivoluzione.

SEGUITO DELLA STORIA

Ora parliamo del seguito della storia. Non vi meravigliate se c’è un seguito. Esso potrà chiarire molti lati ancora in ombra di questa storia.
Frattanto vengo convocato da Padre Bigazzi dei Santo Ufficio, che vuoi sapere se posseggo il libretto di Suor Raffaella Somma.
Rispondo: “l’ho avuto ma poi l’ho riconsegnato alla Suora.” Firmo quindi una dichiarazione di non possedere il libretto.
Nell’Anno Santo 1950 mi chiamano i Padri Francescani Minori Conventuali di Assisi. Per questo si era interessato Padre Domenico Stella, il grande musicista della cappella della basilica di San Francesco in Assisi, che nel 1948 aveva fatto la cerimonia per l’ingresso mio e di Iolanda al Terzo Ordine Francescano.
I Padri mi avevano chiamato per tenere una “confessione pubblica” di tutto quello che mi era accaduto.

Parlo nella sala di San Francesco, davanti ad una moltitudine di persone: religiosi, religiose e laici; tutti riuniti e pigiati che ascoltavano con attenzione. C’era il Padre Provinciale, presente anche Padre Jacovelli e Padre Stella, che conoscevo bene (gli altri Padri non li conoscevo ancora, ma mi erano stati soltanto presentati) e c’era anche il Maestro del Noviziato, Padre Del Ferraro. Terminata la mia “confessione pubblica” con il grido: “Evviva Maria! Evviva il Papa!” Esco, accompagnato dai Padre Stella, Del Ferraro e Jacovelli.
Qui avviene la cosa più strabiliante che la Vergine potesse combinarmi.
Uno dei Frati Minori Conventuali mi ferma a mi dice: “Lo sa che lei ha detto delle parole che io già conoscevo da molto tempo?”
Rimango meravigliato e gli dico: “Mi scusi, ma quali parole? Ne ho dette tante .“
“Sono Colei che sono nella Trinità Divina: Sono la Vergine della Rivelazione. Tu mi perseguiti, ora basta...”
“Mi scusi sa, ma dove le ha lette queste parole?”
“Venga, sediamoci e le racconterò come ho conosciuto le parole che a lei interessano tanto. Venite anche voi” Dice ai Padri che mi accompagnavano “Così saprete come ho conosciuto il Messaggio.”
“No” Dico io, “Non è tutto il Messaggio, ma soltanto alcune parole!”.
Si va in una saletta al pianterreno del convento e lì, il Padre, il giovane Padre, racconta i fatti.
“Quando ero studente a Roma ci portavano spesso alle Tre Fontane, dai Padri Trappisti. Quella volta, prima di andare dai Trappisti, facciamo una visita al luogo dove si diceva fosse apparsa la Madonna. Tutti un pò increduli, si và. Non preghiamo. Era soltanto curiosità di vedere.
Poi scendiamo per andare alla Trappa; gli occhi da giovane studente curioso, sa è da poco che sono Sacerdote, cadono sopra un libretto nero . . . Per curiosità lo prendo e me lo metto in tasca.
Quando rientro in Comunità, mi metto a leggerlo e vedo scritto quelle parole che lei ha detto nella Conferenza. Non ci capisco niente. Le ha scritte lei?”“No, non le ho scritte io, ma una Suora che, per non aver ritrovato questo libretto è andata in manicomio. Proprio la sera che lei trovava il libretto, la Suora che lo ha scritto veniva portata via...”
“Pensate”
Rivolgendomi ai Padri, che ascoltavano i fatti, dico: “Tutto quello che è accaduto era già predetto e predisposto!”.
Rivolgendomi ora al giovane Sacerdote, gli chiedo: “ Padre mi dia quel libretto, perché il Sant’Uffizio lo cerca. Me lo ha richiesto Padre Bigazzi, dell’ufficio che è a contatto con me; e me lo ha richiesto più volte. Finalmente ora posso consegnarglielo!”
“Mi dispiace, ma io non l’ho più, l’ho consegnato al Padre ...(E’ il Padre bibliotecario) “Io non ricordo più il nome di quel Sacerdote, che ho scritto però in qualche posto) che è a San Grisogomo”.
“Grazie Padre”.
Saluto tutti e scappo alla stazione di Assisi, dove prendo il primo treno per Roma. Vado a San Grisogomo e domando del Padre... mi dicono che si trova in Biblioteca a sistemare libri. Salgo e vedo un Frate, sopra la scala, con dei libri in mano.
“Mi scusi, sa dove posso trovare il Padre?”
“Sono io, cosa c’è?”
“Un giorno del 1948 uno studente le diede un libretto....” Mi presento. “Sono Bruno Cornacchiola, quello dell’Apparizione alla Grotta delle Tre Fontane. Quel libretto mi appartiene perché devo portarlo a Padre Bigazzi del Sant’Uffizio:” “eccolo. Proprio oggi, mettendo a posto la mia scrivania l’ho preso tra le mani e l’ho messo in questo cassetto. Eccolo qua, è questo?”
“Si Padre è questo.”“Primo mi dica cosa c’è scritto” lo lo dico...
“Si, risulta a verità. Eccolo, lo prenda.”
Prendo il libretto e invece di andare da Padre Bigazzi, vado alla Chiesa di Ognissanti, da Don Sfoggia. Questi riconosce il libretto e lo rilegge.
“Senti è meglio che vai a consegnarlo a Padre Bigazzi, che attende da tempo questo libretto. Però io voglio scrivere per me una copia. Tu dettalo.”
Lo detto e lui scrive.
Tutto quello che era scritto, l’ho tenuto nella mente miracolosamente, come il primo Messaggio datomi dalla Vergine cara.
Don Sfoggia mi accompagna al Sant’Uffizio e consegno il libretto a Padre Bigazzi, che dice: “Ora il Santo Padre sarà contento!”.
Tutto qui. Ha voluto raccontare interamente questo fatto, o meglio tutti questi avvenimenti per ricordare e commemorare Suor Raffaella Somma, che è la protettrice della nostra Opera Catechistica e pregarla perché interceda per noi. Lei si chiama SOMMA. Ebbene ci aiuti a fare la “somma” dei nostri peccati e a confessarli, dando la “somma” al Sacerdote, affinché ci porti in alto, verso la sommità del Regno dei Cieli.
Certo ci sono delle lacune che dovranno riempire gli altri, che sono più capaci di me a scrivere i fatti.
Per darvi una consolazione: Lei, Suor Raffaella Somma, sta tirando davanti al Signore le . . . .“somme”, affinché sia riconosciuto il Culto alla Vergine della Rivelazione e non alla “Madonna della Grotta delle Tre Fontane” come sta scritto su una lapide segnaletica alla Grotta.

Pastor Angelicus

I primi di luglio del 1947 Don Sfoggia mi conduce in via di Ripetta, ove ha sede la direzione della rivista “Civiltà cattolica”. Entriamo e mi accompagna in una piccola stanza. Erano presenti i Padri Rotondi e Lombardi. Questi mi chiede: “Hai portato con te il messaggio’?”.Rispondo affermativamente, in quanto ero stato avvertito da Don Sfoggia di farlo.”Bene! Dammelo, perché il Papa vuole sapere che cosa c’è scritto,vuole conoscere il testo, prima dobbiamo leggerlo noi e poi lo portiamo al Papa.”“Ubbidisco al Papa rispondo - ma avete un documento del Papa che vi autorizzi a leggere il messaggio della Vergine?”.
“No! Ma devi crederci se ti diciamo che il Papa ci autorizza a leggerlo in sua vece e di portarglielo”.
“Mi dispiace. Quando mi farete vedere l’ordine del Papa io ubbidirò in tutto e per tutto”.
“Ma questa è una disobbedienza!”dice Padre Rotondi.
“No!- ribatto - questa è prudenza!”.
Padre Rotondi fa un gesto di stizza e risponde malamente. Mi alzo e vado via.
Dopo due giorni, Don Sfoggia mi comunica:”Dobbiamo tornare dai Gesuiti, in via di Ripetta.”
Là giunti Padre Lombardi mi mostra una lettera firmata da Papa Pio XII. Leggo il contenuto e consegno il messaggio a loro. Non rilasciano ricevuta ma non importa.
Credo che fosse la fine di luglio 1947, di notte, le due del mattino, quando Don Sfoggia si presenta a casa e mi dice tutto tremante e preoccupato: “Il Papa ti vuole vedere. Andiamo di nascosto al Vaticano”.
Prima di andare saluto Iolanda e le dico di pregare perché tutto vada bene. Giungiamo lì con un taxi ed entrati, troviamo Padre Lombardi che si unisce a noi. Prendiamo un ascensore e circondati da un profondo silenzio giungiamo all’ufficio del Papa. Mi inginocchio e gli bacio la mano. Il Papa è tutto contento e mi fa sedere vicino a lui e mi dice: “Narrami come sono andati i fatti”.
In succinto racconto il fatto, leggo il messaggio e mi metto a piangere. Il Papa era emozionato per il contenuto del messaggio riguardante la Chiesa, i Pastori e tutto l’Orbe cattolico. Mi inginocchio con Padre Lombardi e Don Sfoggia e, ricevuta la santa benedizione, ritorniamo a casa. Erano circa le sei del mattino. Mi reco a lavoro, ero stanco, ma felice dell’incontro e per il suo esito altrettanto felice. Ho sempre mantenuto nel segreto del mio cuore questo fatto...
Il 9 dicembre del 1949 Padre Rotondi, cappellano dell’ATAC [Azienda tranviaria di Roma], con un gruppo di tranvieri, si reca dal Papa per recitare il Santo Rosario. E’ infatti desiderio del Papa Pio XII di pregare con i tranvieri. Padre Rotondi mi invita a parteciparvi. L’idea mi rende felice e penso che se il Papa mi avesse rivolto la parola gli avrei consegnato il pugnale col quale avevo giurato di ucciderLo.
coltello cornacchiola
Avevo comprato l’arma a Toledo dove avevo comprato anche la Bibbia, edizione Diodati, che ho usato molte volte per parlare contro la Chiesa. Preparo un pacchetto e lo metto nella tasca del cappotto. Il luogo d’incontro è piazza S. Pietro e quando tutti gli invitati, circa 30 persone, sono presenti, ci rechiamo nella cappella privata. Mi accomodo in fondo, dietro tutti. Dopo la recita del Santo Rosario, Padre Rotondi mi invita a leggere la preghiera dicendomi: “leggi la preghiera dell’Immacolata”. E così alla radio vaticana ho letto la preghiera. Ritornato al mio posto, dopo un po’ sento Pio XII che, rivolto a tutti, dice:
“Qualcuno di voi mi deve parlare?”
Gridai: “Sono io, Santità!”.
Si avvicina, mi abbraccia e sento il suo viso vicino al mio e mi dice: “Che cosa c’è figlio mio? Parla” ed io: “Santità ecco il pugnale sul cui manico è scritto:- A Morte il papa! - con il quale avevo giurato di ucciderLa!”.
“Figlio mio non avresti fatto altro che dare un Papa in più ed un martire in più alla Chiesa!”.
“Santità ecco la Bibbia che ho usato contro la Chiesa!” La apro e leggo :-questa sarà la morte della Chiesa Cattolica con il Papa in testa - ed aggiungo -“Chiedo perdono!”.
“Figlio mio, il miglior perdono è il pentimento!”.
“Mi benedica!”. Mi benedice e mi abbraccia una volta ancora.
Il giorno successivo il 10 dicembre il quotidiano “Il Tempo” parlava di questo episodio. Era stato Padre Rotondi a riferirlo.
Frattanto tra difficoltà, sospetti e incomprensioni portavo avanti la missione catechistica voluta dalla Vergine cara.
Chiamato dall’Arcivescovo Beniamino Socche, feci la mia prima missione in Emilia.
Partii con la Benedizione di Pio XII, che nella stessa occasione chiamò quella regione la piccola Russia d’italia.
Bruno Cornacchiola disse al Sommo Pontefice:- “Santità, domani andrò nell’Emilia rossa. I Vescovi di lì mi hanno invitato a fare un giro di propaganda religiosa. Devo parlare della misericordia di Dio, che mi è stata manifestata attraverso la Santissima Vergine.”
S.S. Pio XII:- “Bene, bene! Sono contento! Va con la mia benedizione nella piccola Russia italiana.”
Dalla mia prima confessione pubblica, circa quaranta in varie località e paesi della Diocesi di Reggio Emilia e Guastalla, ho tenuto, in cinquant’anni, circa tremila confessioni pubbliche.
In obbedienza ai Vescovi, ho parlato nelle Chiese e nelle piazze di città e paesi, in Italia e all’Estero, finché le forze me l’hanno concesso, narrando il fatto meraviglioso avvenuto alla Grotta delle Tre Fontane, nella capitale del Cristianesimo, in quel bel giorno di primavera.
Il numero delle meditazioni catechistiche da me tenute all’Opera SACRI, cinque o sei a settimana, è di gran lunga superiore al numero delle missioni pubbliche, che io non ho mai chiamato conferenze.
Attualmente a ottantatré anni continuo a lavorare a gloria di Dio. Scrivere.., parlare... mi affatica. Lo faccio perché la Vergine cara ci vuole attivi, ubbidienti. Ma non posso più testimoniare, viaggiando, la misericordia di Dio.

La Vergine mi aveva detto di formare un gruppo di fedeli per l’insegnamento catechistico. Nell’estate del 1947 sono invitato ad Assisi, in una riunione mondiale del Terzo Ordine Francescano e parlo nell'aula di S. Francesco. In questa occasione conosco Padre Stella, musicista, che compone un canto alla Vergine e lo regala a S.lla M. Monica (Jolanda) e mi chiede se può fare qualcosa per me. A tale richiesta rispondo: “La Vergine vuole una Opera Catechistica ma io non so che nome darle” e lui:
“Che cosa ti ha detto la Vergine?”“Di fare una schiera di fedeli ardenti d’amore, appartenenti esclusivamente a Cristo, che è la Salvezza, il Re che non muore, che è Immortale.”“Bene.” Riprende Padre Stella “Scrivi:
Schiere, Arditi, Cristo, Re, Immortale. Metti: S.A.C.R.I. Ecco che hai la SACRI. Per ciò che riguarda lo statuto cerca qualcun altro che sia più competente di me.”
Mi rivolgo a Padre Jacovelli il quale, però, si ritiene poco competente per tale lavoro ma io non riuscivo a capire il perché. Ritornato a Roma, incontro Padre Bonaventura Mariani, francescano del Terzo Ordine, e poiché l’avevo già conosciuto, con un altro sacerdote, due mesi prima del 12 Aprile 1947 in occasione di un dibattito per confutare le argomentazioni dei protestanti, gli parlo. Porto con me la brutta copia che io, persona ignorante, avevo preparato, ed egli la rettifica, la sistema. Così mi consegna il primo statuto, che faccio firmare da altri sacerdoti. Vescovi. Cardinali e Parroci. Quante ne ho passate! Dolori, farne. rifiuti, penitenze e offerte, il tutto per servire la Santa Chiesa!
Ubbidisci! Anche se ti fanno a pezzi, tu dirai ‘ubbidisco’“. Queste parole sono una parte del messaggio del 12 Aprile 1947.
La SACRI pertanto fu fondata il 12 aprile 1948, esattamente un anno dopo la prima apparizione, I primi Arditi di Cristo furono: Fratello Battista, Fratello Didimo, Fratello Cristoforo, con i quali facevamo le meditazioni ove capitava, anche dentro una Fiat Cinquecento a Piazza Venezia.
Grandissimo aiuto nella fondazione della SACRI che allora assieme agli arditi chiamavamo “l’Opera”, venne da Mormina Concetta, da tutti poi conosciuta come Madre Maria Prisca, oppure la Fondatrice.
Madre M. Prisca ed io ci siamo conosciuti nel 1949. La Vergine mi ha fatto capire che sarebbe
stata la Co-fondatrice e avrebbe lavorato nella SACRI. lo attendevo che lei ricevesse un segno dalla Vergine stessa:
La Vergine mi aveva detto: “Ti manderò un aiuto”, e io l’aspettavo. Venne a trovarmi una suora spagnola, che poi fondò un noto istituto, ma non era lei. Arrivò una giovane, che poi fondò un movimento internazionale, ma non era lei.
Quando Concetta Mormina, piccola e timorosa creatura, venne a trovarmi io ero a letto ammalato, quando da lontano, la vedo sulla porta dell’ingresso, perché in quel momento la porta era aperta, la guardo e fisso lo sguardo sul suo volto. Quando son sicuro che mi sta guardando anche lei, sento la Vergine che mi dice: “Fai tre inchini.” Ubbidisco e le faccio tre inchini. La giovane mi chiede:
“Perché fa tre inchini?”“Me lo ha detto la Vergine.” Lei si avvicina tutta tremante e mi racconta di un sogno che ha fatto: in un prato tutto verde la Vergine cara, davanti a lei, china per tre volte la testa. Ecco, questo era il segno prestabilito. Le dico: “Sei tu che devi lavorare con me per fondare un’Opera”. Diventa rossa in viso e mi dice: “Io non so né cantare né ballare”. Le chiarisco che non è un’opera teatrale, ma l’Opera SACRI, voluta dalla Vergine. Lei mi risponde affermativamente.

Un episodio che esige un chiarimento di giustizia e carità

Il 10 aprile 1952, l’avvocato Giuseppe Sales, Segretario del Comitato Romano della Democrazia Cristiana in Piazza Nicosia, mi conduce dal Senatore Umberto Tupini che mi chiede se accetto di iscrivermi nella lista della Democrazia Cristiana, come indipendente, per le prossime elezioni amministrative del 1952.
Rispondo: “Sulle mie spalle c’è il fatto dell’Apparizione. Io sono sotto obbedienza dell’Autorità Ecclesiastica senza il permesso del Cardinale Vicario non posso prendere decisioni.”
S. E. Tupini concorda e mi invita a tornare l’indomani.
Al mattino passo alla Chiesa del Gesù e parlo con il mio confessore Padre Guglielmo Misserville, e con Padre Vittorio Genovesi c. J. E Padre Felice Mari Cappello c. i., che mi dicono di obbedire alla decisione di Sua Eminenza. La stessa cosa mi ripete il cappellano dell’A.T.A.C. Padre Rotondi e. i..
Perché sentii il parere di tanti Sacerdoti? Non bastava il mio confessore?
Avevo come confessore Padre Misserville, ma come Direttori spirituali e consiglieri mi servivo di questi ottimi Sacerdoti. La proposta che mi era stata fatta era importante (non ho detto interessante) e desideravo comprenderla bene, perché non volevo in nessun modo ombrare, magari con un atteggiamento incauto, la realtà delle Apparizioni.
Lo stesso giorno, accompagnato dal Senatore Tupini e dall’avvocato Sales, andiamo in Vicariato da Sua Eminenza il Cardinale Vicario Clemente Micara, che dice: “Se è per il bene dell'amministrazione comunale che avete fatto questa scelta, accetto che il Cornacchiola sia messo in lista. Però pensate alla retribuzione mensile che gli dovete dare per vivere, perché, come avete spiegato, egli, ogni anno, dovrà chiedere l’aspettativa dall’azienda, aspettativa che lo priva dello stipendio”.
I due uomini politici accettano e prendono l’impegno di corrispondermi un mensile.
A me dice: “Si presenti pure e faccia un buon lavoro!”.
Vengo messo in lista. Tengo alcuni comizi. Non traccio un programma politico, che è già presentato dal partito, ma parlo del Signore e di Maria Sempre Vergine Madre di Dio e Madre dei peccatori, che ci chiama a conversione e ad onestà di vita, I manifesti vengono stampati ed offerti gratuitamente dalla cara ed indimenticabile Madre Virginia Carone delle Suore Domenicane di San Sisto, direttrice della Tipografia Missionaria di suddetto Ordine.
Sono eletto consigliere nel Comune di Roma, risultando sedicesimo nella lista D.C. che comprendeva ottanta candidati, carica che allora non era retribuita ricevo l’incarico di ufficiale di stato civile presso l’ufficio “Matrimoni civili’’ all’Anagrafe di Roma, in via del Mare.
Dopo aver richiesto il parere del mio confessore e di P. Lombardi, P, Rotondi e P. Cappello e Genovesi, che definiscono lecita la mia nuova mansione, in quanto incarico d’ufficio, accetto; e chiedo ed ottengo l’aspettativa dall’A.T.A.C. di Roma, azienda municipalizzata dalla quale dipendevo come bigliettaio, che, a norma di legge, non poteva avere alle dipendenze un fattorino che esercitava contemporaneamente la carica di consigliere comunale. Perdo quindi sia lo stipendio di bigliettaio, che i quattro anni di versamenti INPS, per cui verrò collocato in quiescenza con la decurtazione del suddetto periodo.
Sono consigliere comunale senza stipendio, senza retribuzione dell’Azienda A.T.A.C., con quattro anni di versamenti perduti.
La Vergine cara, come mi aveva promesso, mi fa incontrare nel Consiglio Comunale persone importanti o che diventeranno tali, per richiamarci e convertirci.
Tra i Consiglieri c’è il senatore, avvocato Mario Berlinguer, il cui figlio Enrico diventerà Segretario del partito Comunista Italiano; il dottor Aldo Bozzi che diventerà Segretario del Partito Liberale Italiano; il professore, dottore Giovanni Borromeo, insigne cardiologo; il senatore, professore, avvocato Giovanni Carrara; l’onorevole dottore Leone Cattani; il senatore dottore Mario Cingolani; l'ammiraglio Raffaele De Courten; l’onorevole Giuseppe Di Vittorio che diventerà presidente della Confederazione Generale dei Lavoratori Italiani (PCIPSI); il senatore Edoardo D’Onofrio; il generale Ezio Garibaldi; l’onorevole Oreste Lizzadri; il senatore avvocato Enrico Molè; l’ammiraglio Umberto Monico; l’onorevole dottore Aldo Natoli; il senatore e professore Francesco Saverio Nitti, già capo del governo; il senatore Ferruccio Parri, fondatore e Segretario del Partito d’Azione; il professore ingegnere Salvatore Rebecchini, allora sindaco di Roma; il senatore ingegnere Giuseppe Romita; l’onorevole dottore Giuseppe Saragat che diventerà presidente della Repubblica; l’onorevole Tommaso Smith; l’onorevole Giulio Turchi; Enrico Vinci presidente dell’Azione Cattolica Italiana.
Nella mia funzione di ufficiale di stato civile avevo il diritto di dare un saluto e un augurio ai futuri sposi, e, a matrimonio avvenuto, il dovere di leggere loro gli articoli del codice civile sui doveri e diritti del loro nuovo stato. Prima di unire la coppia in matrimonio prendevo il crocefisso e la corona del santo rosario e li mettevo sul tavolo davanti a me. Mi segnavo con il segno della croce, facevo una preghiera e poi cominciavo a parlare agli sposi per spiegargli quello che stavano per compiere, era come un intrattenimento religioso. Non poche volte mi ritrovavo dei sacerdoti spogliati che si andavano a sposare al comune. Seppure in borghese li riconoscevo perché quando ero protestante non mancavo l’occasione di perseguitarli in ogni modo e mi ricordavo chi erano.

E anche loro riconoscevano me. Tanto che uno si rifiutò di farmi officiare il suo matrimonio. Così avvenne. lo vengo sostituito, ma vado ugualmente al matrimonio, rimango fuori e quando gli sposi escono, mi inginocchio davanti allo sposo: “Padre, mi benedica”. Mi risponde con una miseria, senza degnarmi di uno sguardo. Dopo diversi anni ho saputo con gioia che era tornato nella Congregazione, che aveva lasciato con la volontà di dare scandalo. E tornato pentito ed è morto da convertito. Ho pregato la “Madre del puro Clero, del santo Clero, del fedele Clero per questo suo figlio disubbidiente”. E così per tanti altri. Alcuni sono tornati alla Chiesa, altri sono rimasti indifferenti.
Appena preso l’incarico per due o tre mesi ricevo una regalia dall’avvocato Sales, che il 20 giugno 1952 mi fa sapere che il partito non vuole corrispondermi il “mensile”. Mi dispiace. Ma faccio le mie considerazioni: sono uomini e come tali non mantengono la parola data. Non accuso nessuno. Invano mi rivolgo a varie personalità politiche affinché intervengano per far rispettare i patti accettati davanti al Cardinal Vicario.
E un andare da Erode a Pilato.. incomincia allora l’umiliazione della questua. Ogni mese al Consiglio Comunale, la consigliera D.C. Maria Muu, tra i lazzi dall’opposizione che mi invita a lasciare gli amici democristiani e riabbracciare i compagni, raccoglie tra gli appartenenti al partito l’elemosina per me, padre di famiglia senza stipendio, con moglie, tre figli a carico, l’affitto di casa da pagare e senza un soldo!
Ho postulato presso tante personalità politiche, alcune molto note ed importanti, un piccolo sussidio, ma ho raccolto solo parole... e neanche tutte di solidarietà. L’unica proposta concreta che ebbi fu di dare le dimissioni d'assessore comunale, in modo da permettere ad un produttore cinematografico di succedermi. Questi, riconoscente, in attesa che riprendessi servizio all’A.T.A.C., mi avrebbe procurato un posto da maschera in un suo locale cinematografico per accompagnare gli spettatori in sala. Non accettai.
In questo difficile momento di fame, patita da me e da tutta la mia famiglia, che andava avanti con gli aiuti soprattutto di viveri di tante persone buone, alcune delle quali vollero conservare l’anonimato, incontro un amico giornalista che avevo conosciuto nella clandestinità. Nell’agosto 1954 Massimo D., questo il nome della persona che ho appena chiamato “amico”, viene a trovarmi in Via Modica e si rende conto della situazione. Mi fa una proposta: “Ti voglio presentare al nostro capo, a piazza del Gesù. Basta che tu firmi le dimissioni da consigliere D.C. e dichiari di passare al Gruppo Monarchico che avrai cinquanta milioni; cinque subito e quarantacinque a rate mensili”.
Andiamo. In quell’edificio c’è anche la sede della Democrazia Cristiana, dove poco tempo prima avevo avuto un incontro con l’onorevole A. F. pregandolo di interessarsi del mio caso e avevo ottenuto la risposta: “Non sono questioni mie. Vai dall’amministratore del partito e parlane con lui”.. .parlai con la persona indicatami. Niente da fare, nessun aiuto.
“Se non ricevo un mandato, non posso pagare” questa la risposta.
Avevo fame e dovevo tenere conferenze dove i Vescovi mi chiamavano, parlare del male che avevo fatto alla Chiesa e del bene che avevo ricevuto dalla Vergine della Rivelazione...
Costretto da tale situazione economica, salgo le scale con Massimo D. che mi presenta ad un personaggio massone, che mi chiede: “Allora è d’accordo con quanto le ha detto l’amico e fratello Massimo?”
“Si, sono d’accordo”.
Mi presenta un assegno da cinque milioni.
Per averlo devo firmare l’adesione al loro gruppo massonico monarchico. Prendo la penna. Vado per firmare. Mi cade dalle mani. La raccolgo, e ancora per due volte mi cade dalle mani, come se una mano mi desse un colpo sulla penna facendola rotolare lontano...
Comprendo. Alla terza volta mi alzo e dico: “Mi dispiace, ma non posso firmare! Tre volte mi è caduta la penna dalle mani. Vuol dire che la Vergine Maria non vuole che faccia questo passo”.
S’infuriano tutti e due e mi coprono d’ingiurie.
Il personaggio importante, del quale non ho mai saputo il nome, prende l’assegno e lo fa a pezzi, l'“amico” Massimo mi guarda in faccia e mi grida:
“Vedrai che scherzo ti faccio sul giornale! Ti farò scrivere contro tre articoli! Ti svergognerò davanti a tutti!”.
Infatti così fece. Ricordo due articoli calunniosi usciti sul giornale “La Repubblica d’italia”, non firmati da lui. Il primo era titolato “Ecco come vide la Madonna” raccontava il fatto dell’Apparizione come una mia invenzione: il 12 aprile ero andato alle Tre Fontane con la mia amante, ma sorpreso nella Grotta con la donna, dai bambini che cercavano la palla, mi metto d’accordo con lei e grido ai bambini “E la Madonna! E la Madonna!” questi, ingannati da me credono continua il giornalista — e trasmettono, testimoni innocenti, la falsa notizia come vera.
Questa falsità, ad oggi, ancora viene presentata in ambienti anti-cattolici come la verità sull’Apparizione.

Giovanni XXIII

Alla fine del 1954, in occasione delle feste natalizie, Pio XII avendo conosciuto lo stato miserevole in cui ero venuto a trovarmi, mi inviò un sussidio di centomila lire.
Il Padre Fondatore ricorda in un suo scritto, S. Ecc. il Vescovo del Venezuela Paparoni, morto in un attentato fatto al Cardinal Bianco, con il quale si incontrò a Roma nel 1958: “...S. Ecc. Paparoni mi viene a trovare e mi dice: “Ti porto con me dal Papa Giovanni XXIII. Ha tempo per venire con me?”. “Certo!” rispondo. Così un giorno siamo andati a San Pietro, entriamo in Vaticano e ci fanno accomodare in una sala d’attesa. Viene chiamato S. Ecc. Paparoni e più tardi veniamo chiamati anche noi che aspettavamo pregando. In me sentivo qualcosa che mi provocava dolore e che cosa fosse l’ho saputo più tardi dalla Vergine Cara (“Questo Papa aprirà più tardi il Concilio Vaticano II ma non lo porterà a termine, perché a farlo sarà il Cardinal Montini, che prenderà il nome di Paolo VI in quanto sarà eletto Lui Papa”). Queste cose mi ronzavano per la testa. Giungiamo davanti al Papa, ci saluta con un abbraccio, poi mi prende per mano e mi dice: “Vieni, ti fai una foto con un papavero”. Ed io di rimando: “Un vero Papa”. Lui ride. Dopo la foto mi domanda: “Che cosa dice la gente di me?”“Santità, dice che abbiamo un S. Giovanni Rotondo” e nel dire queste parole gli faccio con le mani per indicare Lui con l’epa rotonda. Ride e la pancia Gli sobbalza. Poi mi guarda e mi ricorda quando a Parigi abbiamo pranzato insieme. Io ero stato invitato da una dama Contessa con la Signora Charton. Ricordo a Sua Santità il fatto della mela che porse alla Signora Contessa dicendoLe: “Tenga, Le farà bene”. La Contessa Lo guarda e chiede: “Perché proprio a me?”” Perché Eva, dopo il peccato si è coperta”. La Contessa, infatti, aveva tutto il seno scoperto. Ridiamo, poi mi dice: “Ubbidisci sempre ai Vescovi anche se qualche volta.. .beh! Tu ubbidisci sempre”. Ci benedice tutti. Grazie a Dio!

I papi della mia vita

1903-1914
Il primo Papa, quando sono nato,
era Giuseppe Sarto, il nome vero
fu Pio Decimo. Santo molto amato
del Catechismo fu vero Nocchiero.

Scrisse a Salzano il primo Catechismo
Quando era Parroco non conosciuto
Da Papa scrisse contro il modernismo.
Per tutta la Chiesa fu il Benvenuto.

1914- 1922
Il secondo, Giacomo della Chiesa,
Quindicesimo Papa Benedetto.
Nel periodo triste fu la Sua ascesa,
nella guerra mondiale venne eletto.

Si prodigò per la pace con Iena,
contro tutti gli eccessi disumani,
per far cessare la grande cancrena,
sopportò calunnie e vituperi umani.

1922-1939
Fu il terzo, Achille Ratti di Desio,
salì col nome di Pio Undicesimo,
combatté il germanico vanesio
per salvare Chiesa e Cristianesimo.

A Lui m’opposi, povero ignorante,
e nell’errore mi rafforzai in Spagna.
Di corbellerie ne combinai tante.
Contro la Chiesa feci una campagna!

1939-1958
Il quarto fu Papa Eugenio Pacelli,
che prese il nome Pio Dodicesimo.
Pastore nel mondiale “casus belli”.
Lottò contro il nuovo paganesimo.

Clandestin, dalla Chiesa separato,
fui compagno nei difficili tempi
dalle fosse ardeati ne fui salvato
la Vergine m’apparve: “Lascia gli empi!”
1958-1963
Il quinto Angelo Giuseppe Roncalli,
nel millenovecentosessantuno
indisse il Concilio “Ripara falli”.
Nell’ottobre sessantadue, il Raduno.

Fu chiuso il Primo che restò aperto.
Nell’infallibil Dottrina di Fede
Papa Giovanni santamente esperto
Mostrò l’Ovile che in Roma ha Sede.

1963-1978
Il sesto Giovanni Battista Montini
Col nome dell’Apostol, Paolo Sesto.
Continuò il Concilio tra gli spini.
E al mondo il suo pensier fu manifesto.

L’unità dei Cristiani, cosa buona,
chi è uscito può rientrare,
la Chiesa è Madre, salva e perdona
ma eresia ed error devon lasciare.

1978-1978
Settimo il gioioso Albino Luciani
Giovanni Paolo in romana Sede,
non gustò molto il Seggio dei Romani.
Restò Papa poco, con tanta Fede.

Stavo all’udienza. Fece Catechismo,
interrogò i bambini: “Chi è Dio?”
AlCiel voleva senza accademismi
portare l’anime senza sciupio.

1978...
L’ottavo Karol Wojtyla il “Polacco”
chiamato Giovanni Paolo Secondo,
malgrado l’età mette tutti.. .in sacco
girando missionario tutto il mondo.

Nel settantacinque, innanzi alla Grotta,
a Lui Cardinale raccolto in preghiera,
parlai della catechistica lotta:
“Odiavo la Chiesa, ora so ch’è vera!”

E’ la vera Guerra, quella dalla quale vengono tutte le guerre dell’intera umanità dell’èra cristiana


  • Dal mio cielo Io, Capo del mistico Corpo composto da tutti i cristiani, effondo le mie onde vitali e dalla mia Chiesa le spargo  sul mondo. Le spargerei ma il mondo drizza argini e dighe e mi interdice l’effondermi. Il mondo spinge contro la Chiesa queste dighe per affogarla, per seppellirla e Me con lei. E’ una lotta senza pace. E’ la vera Guerra, quella dalla quale vengono tutte le guerre dell’intera umanità dell’èra cristiana. La lotta contro il Cristo. 6.2.44
  • “Religione” vuol dire seguire Dio e la sua Legge, non solo cantare begli inni, fare delle belle processioni, delle belle funzioni, andare a prediche eleganti, essere membro A o B di tale associazione; tutte cose che vellicano il vostro sentimento e nulla più. Religione vuol dire fare dell’uomo – animale, l’uomo semidio. Occorre annullare, attraverso la religione, l’animalità nelle sue svariate forme che vanno dalla carne al pensiero.
    Giù la gola, giù la lussuria, via l’avarizia, abbasso l’accidia, sia uccisa la menzogna e la superbia. Siate casti, caritatevoli, umili, onesti, siate insomma come Dio vuole e come Io vi ho insegnato a essere. Allora sarete adulti nella religione, nella fede, sarete uomini fatti, aventi “dalla pratica addestrate le facoltà al discernimento del bene e del male”. 16.3.44
AMDG et BVM

San Nicola di Mira (di Bari) Vescovo


San Nicola di Mira (di Bari) Vescovo
6 dicembre - Memoria 
Pàtara, Asia Minore (attuale Turchia), ca. 250 - Mira, Asia Minore, ca. 326

Proveniva da una famiglia nobile. Fu eletto vescovo per le sue doti di pietà e di carità molto esplicite fin da bambino. Fu considerato santo anche da vivo. Durante la persecuzione di Diocleziano, pare sia stato imprigionato fino all’epoca dell’Editto di Costantino. Fu nominato patrono di Bari, e la basilica che porta il suo nome è tuttora meta di parecchi pellegrinaggi. San Nicola è il leggendario Santa Claus dei paesi anglosassoni, e il NiKolaus della Germania che a Natale porta i doni a bambini.
Patronato: Bambini, Ragazzi e ragazze, Scolari, Farmacisti, Mercanti, Naviganti, Pescatori,
Etimologia: Nicola = vincitore del popolo, dal greco
Emblema: Bastone pastorale, tre sacchetti di monete (tre globi d'oro)
Martirologio Romano: San Nicola, vescovo di Mira in Licia nell’odierna Turchia, celebre per la sua santità e la sua intercessione presso il trono della grazia divina.


San Nicola è uno dei santi più venerati ed amati al mondo. Egli è certamente una delle figure più grandi nel campo dell’agiografia. Tra il X e il XIII secolo non è facile trovare santi che possano reggere il confronto con lui quanto a universalità e vivacità di culto.

Ogni popolo lo ha fatto proprio, vedendolo sotto una luce diversa, pur conservandogli le caratteristiche fondamentali, prima fra tutte quella di difensore dei deboli e di coloro che subiscono ingiustizie. Egli è anche il protettore delle fanciulle che si avviano al matrimonio e dei marinai, mentre l’ancor più celebre suo patrocinio sui bambini è noto soprattutto in Occidente. 

La Patria di San Nicola
San Nicola nacque intorno al 260 d.C. a Patara, importante città della Licia, la penisola dell’Asia Minore (attuale Turchia) quasi dirimpetto all’isola di Rodi. Oggi tutta la regione rientra nella vasta provincia di Antalya, la quale comprende, oltre la Licia, anche l’antica Pisidia e Panfilia. 
Nell’antichità i due porti principali erano proprio quelli delle città di San Nicola: Patara, dove nacque, e Myra, di cui fu vescovo.
Prima dell’VIII secolo nessun testo parla del luogo di nascita di Nicola. Tutti fanno riferimento al suo episcopato nella sede di Myra, che appare così come la città di San Nicola. Il primo a parlarne è Michele Archimandrita verso il 710 d. C., indicando in Patara la città natale del futuro grande vescovo. Il modo semplice e sicuro con cui riporta la notizia induce a credere che la tradizione orale al riguardo fosse molto solida. 
Di Patara parla anche il patriarca Metodio nel testo dedicato a Teodoro e ne parla il Metafraste. La notizia pertanto può essere accolta con elevato grado di probabilità.

L'infanzia

Di S. Nicola di Bari, si sa ben poco della sua infanzia. Le fonti più antiche non ne fanno parola. Il primo a parlarne è nell’VIII secolo un monaco greco (Michele Archimandrita), il quale, spinto anche dall’intento edificante, scrive  che Nicola sin dal grembo materno era destinato a santificarsi. Sin dall’infanzia dunque avrebbe cercato di mettere in pratica le norme che la Chiesa suggerisce a chi si avvia alla vita religiosa.  
Nicola nacque nell’Asia Minore, quando questa terra, prima di essere occupata dai Turchi, era di cultura e lingua greca. La grande venerazione che nutrono i russi verso di lui ha indotto alcuni in errore, affermando che sarebbe nato in Russia. Non è mancato chi lo facesse nascere nell’Africa, a motivo del fatto che a Bari si venerano alcune immagini col volto del Santo piuttosto scuro (“S. Nicola nero”). In realtà, Nicola nacque intorno all’anno 260 dopo Cristo a Patara, importante città marittima della Licia, penisola della costa meridionale dell’Asia Minore (oggi Turchia). Nel porto di questa città aveva fatto scalo anche S. Paolo in uno dei suoi viaggi.
Il fatto che l’Asia Minore fosse di lingua e cultura greca, sia pure all’interno dell’Impero Romano, fa sì che Nicola possa essere considerato “greco”. Il suo nome, Nikòlaos, significa popolo vittorioso, e, come si vedrà, il popolo avrà uno spazio notevole nella sua vita. 
Da alcuni episodi (dote alle fanciulle, elezione episcopale) si potrebbe dedurre che i genitori, di cui non si conoscono i nomi, fossero benestanti, se non proprio aristocratici. In alcune Vite essi vengono chiamati Epifanio e Nonna (talvolta Teofane e Giovanna), ma questi, come vari altri episodi, si riferiscono ad un monaco Nicola vissuto (480-556) due secoli dopo nella stessa regione. Questo secondo Nicola, nato a Farroa, divenne superiore del monastero di Sion e poi vescovo di Pinara (onde è designato anche come Sionita o di Pinara).
Amante del digiuno e della penitenza, quando era ancora in fasce, Nicola era già osservante delle regole relative al digiuno settimanale, che la Chiesa aveva fissato al mercoledì ed al venerdì. Il suddetto monaco greco narra che il bimbo succhiava normalmente il latte dal seno materno, ma che il mercoledì ed il venerdì, proprio per osservare il digiuno, lo faceva soltanto una volta nella giornata. 
Man mano che il bimbo cresceva, dava segni di attaccamento alle virtù, specialmente alla virtù della carità. Egli rifuggiva dai giochi frivoli dei bambini e dei ragazzi, per vivere più rigorosamente i consigli evangelici. Molto sensibile era anche nella virtù della castità, per cui, laddove non era necessario, evitava di trascorrere il tempo con bambine e fanciulle.

La dote alle fanciulle
  
Carità e castità sono le due virtù che fanno da sfondo ad uno egli episodi più celebri della sua vita. Anzi, a questo episodio si sono ispirati gli artisti, specialmente occidentali, per individuare il simbolo che caratterizza il nostro Santo. Quando si vede, infatti, una statua o un quadro raffigurante un santo vescovo dell’antichità è facile sbagliare sul chi sia quel santo (Biagio, Basilio, Gregorio, Ambrogio, Agostino, e così via). Ed effettivamente anche in libri di alta qualità artistica si riscontrano spesso di questi errori. Il devoto di S. Nicola  ha però un segno infallibile per capire se si tratta di S. Nicola o di uno fra questi altri santi. Un vescovo che ha in mano o ai suoi piedi tre palle d’oro è sicuramente S. Nicola, e non può essere in alcun modo un altro Santo. Le tre palle d’oro sono infatti una deformazione artistica dei sacchetti pieni di monete d’oro, che sono al centro di questa storia.
L’episodio si svolge a Mira, città marittima ad un centinaio di chilometri da Patara, ove probabilmente Nicola con i suoi genitori si era trasferito. Secondo alcune versioni i suoi genitori erano morti ed egli era divenuto un giovane pieno di speranze e di mezzi. Secondo altre, i genitori erano ancora vivi e vegeti e Nicola dipendeva ancora da loro. Quale che sia la verità, alle sue orecchie giunse voce che una famiglia stava attraversando un brutto momento. Un signore, caduto in grave miseria, disperando di poter offrire alle figlie un decoroso matrimonio, aveva loro insinuato l’idea di prostituirsi allo scopo di raccogliere il denaro sufficiente al matrimonio.
Alla notizia di un tale proposito, Nicola decise di intervenire, e di farlo secondo il consiglio evangelico: non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra. In altre parole, voleva fare un’opera di carità, senza che la gente lo notasse e lo ammirasse. La sua virtù doveva essere nota solo a Dio, e non agli uomini, in quanto se fosse emersa e avesse avuto gli onori degli uomini, avrebbe perduto il merito della sua azione. Decise perciò di agire di notte. Avvolte delle monete d’oro in un panno, uscì di casa e raggiunse la dimora delle infelici fanciulle. Avvicinatosi alla finestra, passò la mano attraverso l’inferriata e lasciò cadere il sacchetto all’interno. Il rumore prese di sorpresa il padre delle fanciulle, che raccolse il denaro e con esso organizzò il matrimonio della figlia maggiore. 
Vedendo che il padre aveva utilizzato bene il denaro da lui elargito, Nicola volle ripetere il gesto. Si può ben immaginare la gioia che riempì il cuore del padre delle fanciulle. Preso dalla curiosità aveva cercato invano, uscendo dalla casa, di individuare il benefattore. Con le monete d’oro, trovate nel sacchetto che Nicola aveva gettato attraverso la finestra, poté fare realizzare il sogno della seconda figlia di contrarre un felice matrimonio.
Intuendo la possibilità di un terzo gesto di carità, nei giorni successivi il padre cercò di dormire con un occhio solo. Non voleva che colui che aveva salvato il suo onore restasse per lui un perfetto sconosciuto. Una notte, mentre ancora si sforzava di rimanere sveglio, ecco il rumore del terzo sacchetto che, cadendo a terra, faceva il classico rumore tintinnante delle monete. Nonostante che il giovane si allontanasse rapidamente, il padre si precipitò fuori riuscendo ad individuarne la sagoma. Avendolo rincorso, lo raggiunse e lo riconobbe come uno dei suoi vicini. Nicola però gli fece promettere di non rivelare la cosa a nessuno. Il padre promise, ma a giudicare dagli avvenimenti successivi, con ogni probabilità non mantenne la promessa. E la fama di Nicola come uomo di grande carità si diffuse ancor più nella città di Mira.

Nicola è eletto vescovo
Intorno all’anno 300 dopo Cristo, anche se il cristianesimo non era stato legalizzato nell’Impero e non esistevano templi cristiani, le comunità che si richiamavano all’insegnamento evangelico erano già notevolmente organizzate. I cristiani si riunivano nelle case di aristocratici che avevano abbracciato la nuova fede, e quelle case venivano chiamate domus ecclesiae, casa della comunità. Per chiesa infatti si intendeva la comunità cristiana. E questa comunità partecipava attivamente all’elezione dei vescovi, cioè di quegli anziani addetti alla cura e all’incremento della comunità nella fede e nelle opere. Questi divenivano capi della comunità e la rappresentavano nei concili, cioè in quelle assemblee che avevano il compito di analizzare e risolvere i problemi, e quindi di varare norme che riuscissero utili ai cristiani di una o più province. 
Solitamente erano eletti dei presbiteri (sacerdoti), laici che abbandonavano lo stato laicale per consacrarsi al bene della comunità. L’imposizione delle mani da parte dei vescovi dava loro la facoltà di celebrare l’eucarestia, e questo li distingueva dai laici. Non mancano però casi, e Nicola è uno di questi, in cui l’eletto non è un presbitero, ma un laico. Il che non significa che passava direttamente al grado episcopale, ma che in pochi giorni gli venivano conferiti i vari ordini sacri, fino al presbiterato che apriva appunto la via all’episcopato.
In questo contesto ebbe luogo l’elezione di Nicola, che lo scrittore sacro descrive in una cornice che ha del miracoloso. Essendo morto il vescovo di Mira, i vescovi dei dintorni si erano riuniti in una domus ecclesiae per individuare il nuovo vescovo da dare alla città. Quella stessa notte uno di loro ebbe in sogno una rivelazione: avrebbero dovuto eleggere un giovane che per primo all’alba sarebbe entrato in chiesa. Il suo nome era Nicola. Ascoltando questa visione i vescovi compresero che l’eletto era destinato a grandi cose e, durante la notte, continuarono a pregare. All’alba la porta si aprì ed entrò Nicola. Il vescovo che aveva avuto la visione gli si avvicinò e chiestogli come si chiamasse, lo spinse al centro dell’assemblea e lo presentò agli astanti. Tutti furono concordi nell’eleggerlo e nel consacrarlo seduta stante vescovo di Mira.
L’episodio forse avvenne diversamente, anche perché, come si è detto, all’elezione dei vescovi partecipava sempre il popolo. Ma l’agiografo, vissuto in un’epoca in cui i vescovi avevano un potere più autonomo rispetto al laicato, narrando così l’episodio intendeva esprimere due concetti: Nicola fu fatto vescovo da laico e la sua elezione era il risultato non di accordi umani, ma soltanto della  volontà di Dio.

La persecuzione di Diocleziano
Nel 303 d.C. l’imperatore Diocleziano mise fine alla sua politica di tolleranza verso i cristiani e scatenò una violenta persecuzione. Questa durò un decennio, anche se i momenti di crudeltà si alternarono con momenti di pausa. Nel 313 gli imperatori Costantino e Licinio a Milano si accordarono sulle sfere di competenza, prendendosi il primo l’occidente, il secondo l’oriente. Essi emanarono anche l’editto che dava libertà di culto ai cristiani. Sei anni dopo (319), in contrasto con la politica costantiniana filocristiana, Licinio riaprì la persecuzione contro i cristiani. 
Nelle fonti nicolaiane antiche (anteriori al IX secolo) non si trova alcun riferimento alla persecuzione. Considerando però che il vescovo di Patara Metodio affrontò coraggiosamente la morte, sembra probabile che anche il nostro Santo abbia dovuto patire il carcere ed altre sofferenze, non ultima quella di vedere il suo gregge subire tanti patimenti.     
Alcuni scrittori, come il Metafraste verso il 980 d.C., specificavano che Nicola aveva sofferto la persecuzione di Diocleziano, finendo in carcere. Qui, invece di abbattersi, il santo vescovo avrebbe sostenuto ed incoraggiato i fedeli a resistere nella fede e a non incensare gli dèi. Il che avrebbe spinto il preside della provincia a mandarlo in esilio. Autori successivi hanno voluto posticipare la persecuzione patita da Nicola, individuandola in quella di Licinio, piuttosto che in quella di Diocleziano. Ciò per ovviare al fatto che durante la persecuzione Nicola era già vescovo e, secondo loro,  sarebbe stato consacrato vescovo fra il 308 ed il 314.  
Lo storico bizantino Niceforo Callisto, per rendere più viva l’impressione di un Nicola vicino al martirio e con i segni delle torture ancora nelle carni, scriveva: Al concilio di Nicea molti splendevano di doni apostolici. Non pochi, per essersi mantenuti costanti nel confessare la fede, portavano ancora nelle carni le cicatrici e i segni, e specialmente fra i vescovi, Nicola vescovo dei Miresi, Pafnuzio e altri.

Il Concilio di Nicea
L’imperatore Costantino, con la sua politica a favore dei cristiani, il 23 giugno dell’anno 318 emanava un editto col quale concedeva a coloro che erano stati condannati dalle normali magistrature di presentare appello al vescovo. Ma, mentre la Chiesa con simili provvedimenti si rafforzava nella società pagana, ecco che un’opinione intorno alla natura di Gesù Cristo come Figlio di Dio (se uguale o inferiore a quella del Padre) suscitò una polemica tale da spaccare l’impero in due partiti contrapposti. A scatenare lo scisma fu il prete alessandrino Ario (256-336), coetaneo di S. Nicola. Per risolvere la questione e riportare la pace l’imperatore convocò la grande assemblea (concilio) a Nicea nel 325. 
Data l’ubicazione in Asia Minore ben pochi furono i vescovi occidentali che vi presero parte, mentre quelli orientali furono quasi tutti presenti. Qualcuno ha voluto mettere in dubbio la partecipazione di Nicola a questo primo ed importantissimo concilio ecumenico. Ma se è vero che il suo nome (come quello di S. Pafnuzio) non compare in diverse liste, è anche vero che compare in quella redatta da Teodoro il Lettore verso il 515 d.C., ritenuta autentica dal massimo studioso di liste dei padri conciliari (Edward Schwartz). 
Una delle preghiere più note della liturgia orientale si rivolge a Nicola con queste parole: O beato vescovo Nicola, tu che con le tue opere ti sei mostrato al tuo gregge come regola di fede (kanòna pìsteos) e modello di mitezza e temperanza, tu che con la tua umiltà hai raggiunto una gloria sublime e col tuo amore  per la povertà le ricchezze celesti, intercedi presso Cristo Dio per farci ottenere la salvezza dell’anima. 
Questa antica preghiera viene solitamente collegata proprio al ruolo svolto da Nicola al concilio di Nicea. Alla carenza di documentazione sulle sue azioni a Nicea suppliscono alcune leggende, la più nota delle quali (attribuita in verità anche a S. Spiridione) è quella del mattone. Dato che a provocare lo scisma era stato Ario, che non ammetteva l’uguaglianza di natura fra il Dio creatore e Gesù Cristo, il problema consisteva nel dimostrare come fosse possibile la fede in un solo Dio se anche Cristo era Dio. Considerando poi che la formula battesimale inseriva anche lo Spirito Santo, Nicola si preoccupò di dimostrare la possibilità della coesistenza di tre enti in uno solo. Preso un mattone, ricordò agli astanti la sua triplice composizione di terra, acqua e fuoco.  Il che stava a significare che la divinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo non intaccava la verità fondamentale che Dio è uno. Mentre illustrava questa verità, ecco che una fiammella si levò dalle sue mani, alcune gocce caddero a terra e nelle sue mani restò soltanto terra secca.
Ancor più nota a livello popolare è la leggenda dello schiaffo ad Ario, legata all’usanza dei pittori di raffigurare agli angoli in alto il Cristo e la Vergine in atto di dare l’uno il vangelo l’altra la stola. Secondo questa leggenda Nicola, acceso di santo zelo, udendo le bestemmie di Ario che si ostinava a negare la divinità di Cristo, levò la destra e gli diede uno schiaffo. Essendo stata riferita la cosa a Costantino, l’imperatore ne ordinò la carcerazione, mentre i vescovi lo privavano dei paramenti episcopali. I carcerieri dal canto loro lo insultavano  e beffeggiavano in vari modi. Uno di loro giunse anche a bruciargli la barba. Durante la notte Nicola ebbe la visita di Cristo e della Madonna che gli diedero il vangelo (segno del magistero episcopale) e la stola o omophorion (segno del ministero sacramentale). Quando andò per celebrare la messa, indotto da spirito di umiltà, Nicola evitò di indossare i paramenti vescovili, ma alle prime sue parole ecco scendere dal cielo la vergine con la stola e degli angeli con la mitra. Ed appena terminata la celebrazione ecco rispuntargli folta la barba che la notte precedente i carcerieri gli avevano bruciata.
Queste però sono tutte leggende posteriori, poiché, a parte la sua presenza in quel concilio (sull’autorità di Teodoro il Lettore ed alcune liste del VII-VIII secolo), non si sa nulla di ciò che fece Nicola a quel concilio. Certo è che fu dalla parte di Atanasio e dell’ortodossia, altrimenti la liturgia non l’avrebbe chiamato regola di fede. 

L'eretico Teognide 
Il silenzio degli antichi scrittori sul ruolo di Nicola a quel concilio si spiega forse col fatto che Nicola ebbe un atteggiamento diverso da quello del capo del partito cattolico ortodosso, Atanasio di Alessandria. Pur avendo un carattere altrettanto energico, Nicola era più sensibile alla ricomposizione dell’armonia nella Chiesa. Non si fermava come Atanasio alla difesa ad oltranza delle fede, ma tentava anche tutte le vie per riportare gli erranti (eretici) nel grembo della Chiesa. Un atteggiamento che dovette apparire ad Atanasio come troppo incline al compromesso, e di conseguenza non degno di essere ricordato fra i difensori della fede. Questa “damnatio memoriae” da parte di Atanasio (che pure menziona molti vescovi) si spiega anche col fatto che quasi certamente Nicola militava politicamente nel “partito” opposto. Mentre infatti Atanasio parla di Ablavio, prefetto di Costantino, come “amato da Dio”, l’antico biografo di Nicola lo definisce “perverso e malvagio” (come ritiene anche il grande storico Eusebio di Cesarea e tutti gli storici pagani). Né la cosa deve sorprendere più di tanto. Anche oggi infatti persone degnissime militano politicamente su versanti opposti.
Che in S. Nicola si incontrassero il grande amore per la retta fede col grande amore dell’armonia nella Chiesa, è testimone S. Andrea di Creta, il quale scrive: Come raccontano, passando in rassegna i tralci della vera vite, incontrasti quel Teognide di santa memoria, allora vescovo della Chiesa dei Marcianisti. La disputa procedette in forma scritta fino a che non lo convertisti e riportasti all’ortodossia. Ma poiché fra voi due era forse intervenuta una sia pur minima asprezza, con la tua voce sublime citasti quel detto dell’Apostolo  dicendo: “Vieni, riconciliamoci, o fratello, prima che il sole tramonti sulla nostra ira”.
Nonostante il riferimento ai Marcianisti (talvolta è scritto Marcioniti), il vescovo Teognide è quasi certamente il vescovo di Nicea al tempo del Concilio di cui si è parlato. Simpatizzante dell’eretico Ario, Teognide si lasciò tuttavia convincere e alla fine firmò gli atti del concilio. Quasi certamente Nicola si era messo in contatto con lui già in precedenza e dovette avere un certo ruolo nel farlo decidere a firmare gli atti. In realtà Teognide successivamente non mutò atteggiamento verso Atanasio, che continuò ad avversare decisamente. Dopo un esilio di tre anni in Gallia, al ritorno continuò a criticare il termine “consustanziale” col quale Atanasio e la Chiesa definivano il rapporto fra Padre e Figlio. Nel 336 contribuì a fare esiliare S. Atanasio.
Come si può vedere, l’antichità cristiana non fa eccezione. Anche all’interno di sostenitori della retta fede si formarono “partiti” diversi. Il che comportò persino giudizi contrapposti sul piano della spiritualità. E’ il caso di Teognide, da S. Andrea di Creta ritenuto di “santa memoria”, da altri pur sempre un eretico. Ed è il caso di Teodoreto (storico della Chiesa), dalla chiesa greca considerato un eresiarca, dalla russa un “beato” (blažennyj). Ed è pure il caso del patriarca Anastasio (729-752), dalla chiesa latina ritenuto un iconoclasta, da quella greca “di santa memoria” perché pentito, dopo essere stato salvato proprio da S. Nicola dall’annegamento.

Il tempio di Diana

Costantino aveva lasciato libertà di culto ai pagani, tuttavia è chiaro che almeno a partire dal 318, coi poteri giurisdizionali ai vescovi, i cristiani ebbero uno spazio privilegiato all’interno dell’impero. Non pochi vescovi, e sembra che Nicola sia stato fra di essi, si impegnarono per quanto possibile a cancellare dalle loro città i segni della religione pagana fino ad abbattere alcuni templi. La tradizione ci fa vedere Nicola impegnato in tal senso. Andrea di Creta nel suo celebre Encomio di S. Nicola, rivolgendosi al nostro Santo esclama: Hai dissodato, infatti,  i campi spirituali di tutta la provincia della Licia, estirpando le spine dell’incredulità. Con i tuoi insegnamenti hai abbattuto altari di idoli e luoghi di culto di dèmoni abominevoli e al loro posto hai eretto chiese a Cristo. Pur rimanendo molto vicino al testo di Andrea, Michele Archimandrita, “concretizzava” l’opera di Nicola facendo riferimento non alle armi della parola e dell’insegnamento, ma a vere e proprie spranghe di ferro per abbattere il tempio di Diana, che si ergeva imponente. Era questo il maggiore di tutti i templi sia per altezza che per varietà di decorazioni, oltre che per presenza di demoni.
Che Michele Archimandrita si fosse documentato su fonti miresi dirette è dimostrato proprio da queste sue parole. Se non avesse fatto ricorso a tali documenti difficilmente avrebbe potuto sapere di questo ruolo preminente del tempio di Diana. Dopo recenti scavi archeologici è risultato infatti che nel 141 questo tempio era stato restaurato ed ampliato dal mecenate licio Opramoas di Rodiapoli. Una conferma, questa, che quanto dice il monaco Michele riflette i racconti che si narravano a Mira nell’VIII secolo.
E’ probabile che la verità sia quella di Andrea di Creta, che ci mostra un Nicola che abbatte il paganesimo con le armi della parola. Tuttavia, a giudicare dal carattere energico del vescovo di Mira (dimostrato in altre occasioni), non è impossibile che sia avvenuto secondo il racconto dell’Archimandrita. Ciò che li accomuna, ed era una credenza molto diffusa a livello popolare, è il particolare dei demoni che abitavano in questi templi pagani, per cui quando questi venivano demoliti, i demoni venivano a trovarsi senza un tetto ed erano costretti a cercarsi altre dimore. 

Carestia e grano
Il santo vescovo era impegnato però non soltanto nella diffusione della verità evangelica, ma anche nell’andare incontro alle necessità dei poveri e dei bisognosi. La parola della fede era seguita dalla messa in pratica della carità.
Al tempo del suo episcopato mirese scoppiò una grave carestia, che mise in ginocchio la popolazione. Pare che Nicola prendesse varie iniziative per sovvenire ai bisogni del suo gregge, e l’eco di queste attraversò i secoli, rimanendo nella memoria dei Miresi. Una leggenda lo vede apparire in sogno a dei mercanti della Sicilia, suggerendo loro un viaggio sino alla sua città per vendere il grano, ed aggiungendo che lasciava loro una caparra. Quando i mercanti si resero conto di aver avuto la stessa visione e trovarono effettivamente la caparra, subito fecero vela per Mira e rifornirono la popolazione di grano.
Ancor più noto è l’episodio delle navi che da Alessandria d’Egitto fecero sosta nel porto di Mira. Nicola accorse e, salito su una delle navi, chiese al capitano di sbarcare una certa quantità di grano. Quello rispose che era impossibile, essendo quel grano destinato all’imperatore ed era stato misurato nel peso. Se fosse stato notato l’ammanco avrebbe potuto passare i guai suoi. Nicola gli rispose che si sarebbe addossato la responsabilità, e alla fine riuscì a convincerlo. Il frumento fu scaricato e la popolazione trovò grande sollievo, non solo perché si procurò il pane necessario, ma anche perché arò i terreni e seminò il grano che restava e poté raccoglierlo anche negli anni successivi. Quanto alle navi “alessandrine”, queste giunsero a Costantinopoli e, come il capitano aveva temuto, il tutto dovette passare per il controllo del peso. Quale non fu la sua gioia e meraviglia quando vide che il peso non era affatto diminuito, ma era risultato lo stesso della partenza delle navi da Alessandria.
Questo miracolo è all’origine non solo di tanti quadri che lo raffigurano, ma anche di tante tradizioni popolari legate al pane di S. Nicola. A Bari, anche per facilitarne il trasporto nei paesi d’origine, ai pellegrini che giungono nel mese di maggio vengono date “serte” di taralli, tenuti insieme da una funicella.

Nicola salva tre innocenti

Tutti gli episodi sinora narrati hanno subìto l’incuria del tempo. Essi venivano narrati dai miresi e da nonni a nipoti giunsero fino all’VIII-IX secolo. Il lungo travaglio orale fece loro perdere i connotati della “storia” per apparire piuttosto come “tradizione” o come “leggenda”. I nomi dei protagonisti delle vicende si perdettero quasi del tutto. E’ vero che in tante Vite di S. Nicola si trovano i nomi dei genitori, dello zio archimandrita, del suo predecessore sulla cattedra di Mira, del nocchiero che l’avrebbe condotto in pellegrinaggio in Egitto e in Terra Santa, e così via. Ma si tratta di nomi che nulla hanno a che fare col nostro Nicola. Bisogna rassegnarsi alla realtà che, ad eccezione del concilio di Nicea e del vescovo Teognide, nessun nome compare nella vita del nostro Santo prima della storia dei tre innocenti salvati dalla decapitazione. 
Questa storia, insieme a quella successiva dei generali bizantini (Praxis de stratelatis), è il pezzo forte di tutta la vicenda nicolaiana. Nell’antichità, per esprimere il concetto che questa narrazione era la più importante di tutte quelle che riguardavano S. Nicola, spesso non veniva indicata come Praxis de stratelatis (racconto intorno ai generali) ma semplicemente come Praxis tou agiou Nikolaou (storia di S. Nicola), quasi che tutti gli altri racconti non rivestissero alcuna importanza a paragone con questo.
In occasione della sosta di alcune navi militari nel porto di Mira, nel vicino mercato di Placoma scoppiarono dei tafferugli, in parte provocati proprio dalla soldataglia che sfogava così la tensione di una vita di asperità. In quei disordini le forze dell’ordine catturarono tre cittadini miresi, i quali dopo un processo sommario furono condannati a morte. Nicola si trovava in quel momento a colloquio con i generali dell’esercito Nepoziano, Urso ed Erpilio, i quali gli stavano dicendo della loro imminente missione militare contro i Taifali, una tribù gotica che stava suscitando una rivolta in Frigia. Invitati da S. Nicola, i generali riuscirono a fare riportare l’ordine. Ma ecco che alcuni cittadini accorsero dal vescovo, riferendogli che  il preside Eustazio aveva condannato a morte quei tre innocenti.
Seguito dai generali, Nicola prese il cammino per Mira. Giunto al luogo detto Leone, incontrò alcuni che gli dissero che i condannati erano nel luogo detto Dioscuri. Nicola procedette così fino alla chiesa dei santi martiri Crescente e Dioscoride. Qui apprese che i condannati erano già stati portati a Berra, il luogo ove solitamente venivano messi a morte i condannati. Ben sapendo che solo lui, in quanto vescovo, avrebbe potuto fermare il carnefice, accelerò il passo e vi giunse, aprendosi la strada fra la folla che faceva da spettatrice. Il carnefice era già pronto, e i condannati stavano già col collo sui ceppi, quando Nicola si avvicinò e tolse la spada al carnefice.
Avendo liberato gli innocenti dalla decapitazione, Nicola si recò al palazzo del preside Eustazio, entrandovi senza farsi annunciare. Giunto dinanzi al preside l’apostrofò accusandolo di ingiustizie, violenze e corruzione. Quando minacciò di riferire la cosa all’imperatore, Eustazio rispose che era stato indotto in errore da due notabili di Mira, Simonide ed Eudossio. Ma Nicola, senza contestare il particolare, gli rinfacciò nuovamente la corruzione e, giocando sulle parole, gli disse che non Simonide ed Eudossio, ma  Crisaffio (oro) e Argiro (argento) l’avevano corrotto. Avendo così ristabilita la verità e la giustizia, Nicola non infierì ma perdonò al preside pentito.

I generali liberati dalla prigione
Edificati dal comportamento del santo vescovo,  tre generali ripresero il mare e raggiunsero la Frigia, ove riuscirono a sottomettere le forze ribelli all’impero. Un po’ per il successo dell’impresa un po’ perché Nepoziano era parente dell’imperatore, il loro ritorno a Costantinopoli avvenne in un’atmosfera di vero e proprio trionfo. Tuttavia la gloria e gli onori durarono poco, perché queste sono spesso accompagnate da gelosie ed invidie.
Gli agiografi parlano di malevoli suggerimenti del diavolo, certo è che ben presto si formò un partito avverso a Nepoziano e compagni. I componenti di questo partito riuscirono a coinvolgere il potente prefetto Ablavio, il quale convinse l’imperatore che i tre generali stavano complottando per rovesciarlo dal trono. Convinto o meno dell’attendibilità della notizia, Costantino preferì non correre rischi, e li fece mettere in prigione. Dopo alcuni mesi i seguaci di Nepoziano si stavano organizzando su come liberare i generali. Per cui i loro avversari, col denaro promesso a suo tempo, tornarono da Ablavio e lo convinsero a suggerire all’imperatore un provvedimento più drastico. Infatti, Costantino diede ordine di sopprimerli quella notte stessa.
Appresa la notizia, il carceriere Ilarione corse ad avvertire i generali, che furono presi da grande angoscia. Sentendosi prossimo alla morte, Nepoziano si sovvenne dell’intervento in extremis del vescovo Nicola a favore dei tre innocenti. Allora levò al Signore questa preghiera: Signore, Dio del tuo servo Nicola, abbi compassione di noi, grazie alla tua misericordia e all’intercessione del tuo servo Nicola. Come, per i suoi meriti, hai avuto compassione dei tre uomini condannati ingiustamente salvandoli da sicura morte, così ora rida’ la vita anche a noi, mosso a misericordia dall’intercessione di questo santo vescovo.
Il Signore esaudì la preghiera di Nepoziano, fatta propria dai compagni. Quella notte S. Nicola apparve in sogno all’imperatore minacciandolo: Costantino, alzati e libera i tre generali che tieni in prigione, poiché vi furono rinchiusi ingiustamente. Se non fai come ho detto, conferirò con Cristo, il re  dei re, e susciterò una guerra e darò in pasto i tuoi resti a fiere ed avvoltoi. Spaventato, Costantino chiese chi fosse: Sono Nicola, vescovo peccatore, e risiedo a Mira, metropoli della Licia.
Nicola apparve minaccioso anche ad Ablavio, e quando l’imperatore lo mandò a chiamare, entrambi pensarono ad un’opera di magia. Mandarono a prendere i tre generali per chiedere spiegazioni. Il colloquio aveva preso il binario della “magia”, quando Costantino chiese a Nepoziano se conoscesse un tale di nome Nicola. Nepoziano si illuminò, accorgendosi che la sua preghiera era stata esaudita. E narrò tutto all’imperatore, che seduta stante ne ordinò la liberazione. Anzi, volle che andassero a Mira a ringraziare il santo vescovo ed a portargli da parte sua preziosi doni, fra cui un Vangelo tutto decorato d’oro e candelieri ugualmente d’oro. Altri autori aggiungono che giunti a Mira si tagliarono i capelli in segno di gratitudine e di devozione verso il Santo.

La riduzione delle tasse    

E’ difficile dire quanto ci sia di vero e quanto sia stato il parto della fantasia di un popolo consapevole di aver avuto un “progenitore” ed un difensore. Per i Miresi Nicola era colui che aveva riportato la retta fede, la giustizia ed il benessere alla loro città. Non per nulla, secondo la testimonianza sia della Vita Nicolai Sionitae sia dell’Encomio di Andrea di Creta, essi istituirono la festa delle “rosalie del nostro progenitore S. Nicola”. 
Fra le tante iniziative del Santo a favore della popolazione, intorno al VII secolo si narrava il suo intervento per fare ridurre le tasse per i Miresi (Praxis de tributo). 
E’ nota a diversi storici la tendenza di Costantino a gravare le popolazioni dell’impero con tasse esorbitanti. Ed anche se i cristiani cercavano delle attenuanti, i pagani come Zosimo ricordavano che Costantino era costretto a una pesante politica tributaria a causa della sua eccessiva prodigalità. L’anonimo scrittore che compose l’Epitome de Caesaribus descriveva così la sua politica tributaria: Per dieci anni eccellente, nei dodici anni successivi predone, negli ultimi dieci fu chiamato pupillo per le eccessive prodigalità.
Quando anche la città di Mira si trovò a dover pagare tasse esorbitanti, i rappresentanti del popolo si rivolsero a Nicola affinché scrivesse all’imperatore. Nicola fece di più. Partì alla volta di Costantinopoli e chiese udienza. L’anonimo scrittore qui si lascia prendere la mano e, non tenendo conto che Nicola era vissuto al tempo di Costantino, immagina i vescovi della capitale che gli rendono omaggio riunendosi nel tempio della Madre di Dio alle Blacherne, chiedendogli la benedizione. A parte l’esagerazione di una simile accoglienza, quel tempio sarebbe stato costruito un secolo dopo la morte del Santo.
L’abbellimento agiografico si nota anche al momento dell’arrivo di Costantino. Prima che cominciasse il colloquio, l’imperatore gettò il suo mantello ed ecco che questo, incrociando un raggio di sole, rimase sospeso ad esso. Il prodigio rese timoroso e benevolo l’imperatore. Quando Nicola gli riferì come i Miresi fossero oppressi dalle tasse, chiedendogli di apportare una sensibile riduzione, l’imperatore chiamò il notaio ed archivista Teodosio, e secondo il desiderio di Nicola operò una netta  riduzione a soli cento denari.
Nicola prese la carta su cui era registrata questa concessione e legatala ad una canna, la gettò in mare. Per volere di Dio la canna giunse nel porto di Mira e pervenne nelle mani dei funzionari del fisco, i quali furono molto sorpresi ma si adeguarono. Intanto però a Costantinopoli i consiglieri di Costantino fecero notare all’imperatore che forse la concessione era stata un tantino esagerata. Per cui l’imperatore chiamò nuovamente Nicola per correggere la somma della tassa che i Miresi dovevano pagare. Il Santo gli rispose che da tre giorni la carta era pervenuta a Mira. Essendo ciò impossibile, Costantino promise che se le cose stavano veramente così avrebbe confermato la precedente concessione. I nunzi, da lui inviati per verificare quel che era accaduto, tornarono e riferirono che Nicola aveva detto la verità. Mantenendo la promessa, l’imperatore confermò la concessione.

La morte del Santo
  
Considerando la tradizione secondo la quale era già anziano al tempo del concilio di Nicea, con ogni probabilità il nostro Santo morì in un anno molto prossimo al 335 dopo Cristo. Come della sua nascita, anche della sua morte non si sa alcunché. Gli episodi e i particolari che si leggono in alcune Vite non riguardano il nostro Nicola, ma un santo monaco vissuto due secoli dopo nella stessa regione.

Traslazione delle reliquie
Nel 1087 una spedizione navale partita dalla città di Bari si impadronì delle spoglie di San Nicola, che nel 1089 vennero definitivamente poste nella cripta della Basilica eretta in suo onore. L’idea di trafugare le sue spoglie venne ai baresi nel contesto di un programma di rilancio dopo che la città, a causa della conquista normanna, aveva perduto il ruolo di residenza del catepano e quindi di capitale dell’Italia bizantina. In quei tempi la presenza in città delle reliquie di un santo importante era non solo una benedizione spirituale, ma anche mèta di pellegrinaggi e quindi fonte di benessere economico.


Autore: 
Padre Gerardo Cioffari O.P.

Fonte:
www.basilicasannicola.it

AMDG et BVM

ORRORE!


  • Nei secoli futuri, non potrà più essere ucciso il Figlio di Dio, ma la fede in Dio, l’idea di Dio, sì, perciò sarà compiuto un deicidio ancor più irreparabile perché senza risurrezione. Oh, si potrà compiere, sì. Io vedo … Si potrà compiere per i troppi Giuda di Keriot dei secoli futuri. Orrore! …  La mia Chiesa scardinata dai suoi stessi ministri! Ed Io che la sorreggo con l’aiuto delle vittime. Ed essi, i Sacerdoti, che avranno unicamente la veste e non l’anima del Sacerdote che aiutano il ribollire delle onde agitate dal Serpente infernale contro la tua barca, o Pietro. In piedi! Sorgi! Trasmetti quest’ordine ai tuoi successori: “Mano al timone, sferza sui naufraghi che hanno voluto naufragare e tentano di far naufragare la barca di Dio”. Colpisci, ma salva e procedi. Sii severo, perché sui predoni giusto è il castigo. Difendi il tesoro della fede. Tieni alto il lume come un faro sopra le onde sconvolte, perché quelli che seguono la tua barca vedano e non periscano. Pastore e nauta per i tempi tremendi; raccogli, guida, solleva il mio Vangelo perché in questo e non in altra scienza è la salute. 635.12

  • Nella mia Chiesa saranno sempre sacerdoti, dottori, profeti, esorcisti, confessori, operatori di miracoli, ispirati, quanto occorre ad Essa perché le genti abbiano quello che è necessario.
    Il Cielo: la Chiesa trionfante, non lascerà sola la Chiesa docente e questa soccorrerà la Chiesa militante. Non sono tre corpi, sono un sol Corpo. Non c’è divisione fra loro ma comunione d’amore e di fine: amare la Carità, goderla in Cielo suo Regno. Per questo ancora la Chiesa militante dovrà con amore sovvenire ai suffragi della parte di essa che già destinata alla trionfante, ancora ne è esclusa per l’espiazione soddisfattoria delle mancanze assolute ma non interamente scontate davanti alla Perfetta divina Giustizia. Tutto nell’amore e per l’amore deve farsi nel Corpo mistico, perché l’amore è il sangue che circola in esso. 635.20
AMDG et BVM

UMILTÀ DELLA VERGINE DIVINA

AVE  MARIA  PURISSIMA!


  • Io, Maria, ho redento la donna con la mia Maternità divina, ma non fu che l’inizio della redenzione della donna, questo. Negandomi ad ogni umano sponsale col voto di verginità, avevo respinto ogni soddisfazione concupiscente meritando grazia da Dio. Ma non bastava ancora, perché il peccato di Eva, era albero di quattro rami: superbia, avarizia, golosità, lussuria e tutti e quattro andavano stroncati prima di sterilire l’albero dalle radici. 29.7

  • Umiliandomi sino al profondo, ho vinto la superbia. (…)
    Ho vinto l’avarizia dei Progenitori, rinunciando in anticipo di tempo alla mia Creatura. (…)
    Ho vinto la golosità, del sapere e del godere, accettando di sapere unicamente ciò che Dio voleva sapessi, senza chiedere a me o a Lui più di quanto mi fosse detto. Ho creduto senza investigare. (…)
    Ho vinto la lussuria, la quale è  la golosità portata all’ingordigia. Perché ogni vizio non frenato conduce ad un vizio più grande. La golosità di Eva, già riprovevole, la condusse alla lussuria. (…) 29.11  Eppure non bastava ancora per ottenere alla donna la pace perduta da Eva. Quella ve la ottenni ai piedi della Croce. 29.12