domenica 27 novembre 2016

DOMENICA I DI AVVENTO Temi del sermone – Vangelo della prima domenica di Avvento: “Ci saranno segni nel sole e nella luna”; lo divideremo in quattro parti. – Anzitutto, sermone ai penitenti o ai religiosi: “In quel giorno, il germoglio del Signore”. – La confessione: “La gloria del Libano”; oppure: “In quel giorno il Signore raderà il capo”. – Parte I: Annunciazione e natività del Signore: “Vidi il Signore”, e “Il vasaio seduto al suo lavoro”. – Passione del Signore e le sue cinque piaghe: “Ci saranno cinque città”. – Parte II: Sermone ai penitenti o ai religiosi: “Mosè, preso il sangue”. – Sermone ai claustrali: “Verrà a te la gloria del Libano”, e “Nell’anno in cui morì il re Ozia”. – Sermone contro gli oratori e i sapienti di questo mondo: “In quel giorno l’uomo getterà via gli idoli”; la talpa e il pipistrello. – Sermone ai penitenti: “Álzati, àlzati”. – Parte III: Sermone sul momento della morte o sulla sepoltura del defunto: “Guarderà in alto”. – Sermone contro i lussuriosi e i golosi: “Vi vergognerete dei giardini che avete scelto”. – Parte IV: Sermone sul giorno del giudizio e sulla dannazione dei peccatori: “Andrà in pezzi la terra”, e “Urlate, perché è vicino il giorno del Signore”, e “Il Signore avanza come un prode”, e “La spada del Signore è coperta di sangue”.


P R O L O G O
Tributiamo l’omaggio della lode e inni di grazie al Dio Uno e Trino, perché con il suo aiuto, nell’esposizione dei vangeli domenicali siamo giunti alla prima domenica dell’Avvento del Signore.
Ricordiamo che durante tutto l’Avvento la chiesa ci fa leggere il libro del profeta Isaia: vogliamo, per quanto il Signore ce lo concederà, trovare la concordanza delle varie citazioni di questo profeta con i brani dei vangeli e delle epistole dello stesso Avvento.


DOMENICA I DI AVVENTO
Temi del sermone

– Vangelo della prima domenica di Avvento: “Ci saranno segni nel sole e nella luna”; lo divideremo in quattro parti.
– Anzitutto, sermone ai penitenti o ai religiosi: “In quel giorno, il germoglio del Signore”.
– La confessione: “La gloria del Libano”; oppure: “In quel giorno il Signore raderà il capo”.
– Parte I: Annunciazione e natività del Signore: “Vidi il Signore”, e “Il vasaio seduto al suo lavoro”.
– Passione del Signore e le sue cinque piaghe: “Ci saranno cinque città”.
– Parte II: Sermone ai penitenti o ai religiosi: “Mosè, preso il sangue”.
– Sermone ai claustrali: “Verrà a te la gloria del Libano”, e “Nell’anno in cui morì il re Ozia”.
– Sermone contro gli oratori e i sapienti di questo mondo: “In quel giorno l’uomo getterà via gli idoli”; la talpa e il pipistrello.
– Sermone ai penitenti: “Álzati, àlzati”.
– Parte III: Sermone sul momento della morte o sulla sepoltura del defunto: “Guarderà in alto”.
– Sermone contro i lussuriosi e i golosi: “Vi vergognerete dei giardini che avete scelto”.
– Parte IV: Sermone sul giorno del giudizio e sulla dannazione dei peccatori: “Andrà in pezzi la terra”, e “Urlate, perché è vicino il giorno del Signore”, e “Il Signore avanza come un prode”, e “La spada del Signore è coperta di sangue”.

esordio - sermone ai penitenti o ai religiosi, e sulla confessione

1. In quel tempo disse Gesù ai suoi discepoli: “Vi saranno segni nel sole, nella luna e nelle stelle” (Lc 21,25).
Dice Isaia: “In quel giorno il germoglio del Signore crescerà in magnificenza e gloria e il frutto della terra sarà sublime” (Is 4,2). Questa espressione sarà applicata dapprima in senso allegorico al Verbo incarnato; e quindi in senso morale al peccatore convertito.
Senso allegorico. “In quel tempo”, cioè nel momento della grazia, quando a coloro che erano immersi nelle tenebre (cf. Mt 4,15)rifulse “lo splendo­re della luce eterna” (Sap 7,26), ci sarà – dice Isaia con profetica sicurezza – il germoglio del Signore, cioè il Figlio del Padre, che la beata Maria, albero della vita, produsse come un germoglio nella sua nascita. Infatti Isaia implora: “Fate scendere dall’alto la vostra rugiada, o cieli”. La Glossa aggiunge: Venga Gabriele, ci mandi con il suo annuncio la rugiada; “e le nubi piovano il Giusto”, e cioè i profeti, irrigando i nostri cuori di benefica pioggia, annuncino la nascita di Cristo. “Si apra la terra”, Maria cioè creda all’annuncio dell’an­gelo, e così “faccia germogliare il Salvatore” (Is 45,8). Egli crebbe “in magnificenza” con la predicazione e compiendo i miracoli, e “in gloria” nella sua risurrezione; egli è “il frutto della terra”, cioè della beata Vergine, e fu “sublime” nella sua ascensione al cielo.
Della magnificenza dei miracoli parla Isaia: “Dio stesso verrà e ci salverà. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi, si schiuderanno le orecchie dei sordi. Allora lo zoppo salterà come cervo e la lingua dei muti parlerà” (Is 35,4-6). E della gloria della risurrezione, accennando agli apostoli, dice ancora: “Essi vedranno la gloria del Signore e lo splendore del nostro Dio” (Is 35,2). E Giovanni: “Abbiamo visto la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre” (Gv 1,14). E della sublimità dell’Ascensione, il Padre, con le parole di Isaia, dice: “Ecco, il mio Servo avrà successo; sarà innalzato ed esaltato, sarà veramente sublime” (Is 52,13). Il Figlio è detto “servo del Padre”, poiché fu a lui obbediente fino alla morte.

2. Senso morale. “In quel giorno”, ecc. Il giorno è il sole che splende sulla terra. Quando il sole della grazia illumina la terra, cioè la mente del peccatore, questa produce da sé il germoglio del Signore, nel quale è simboleggiata la contrizione. Infatti Isaia dice: “Discendono dal cielo la pioggia e la neve, impregnano e inebriano la terra e la fanno germogliare, ed essa produce la semente per il seminatore e il pane da mangiare” (Is 55,10). Nella pioggia e nella neve è raffigurata la grazia dello Spirito Santo.
Sul significato della neve, vedi il sermone della II domenica di Quaresima, parte II, “Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni”, ecc.
La grazia, a guisa di pioggia e di neve che scendono dal cielo, cioè dalla misericordia divina, scende e inebria la terra, vale a dire il peccatore dèdito alle cose terrene, affinché ne diventi insensibile, si penta fino alle lacrime e metta a nudo il segreto del suo peccato. L’ebbrezza produce appunto questi tre effetti: rende insensibile, provoca le lacrime, e fa scoprire i segreti. “La impregna” dello spirito di povertà, del quale, sempre Isaia dice: “Sia infuso in noi uno spirito dall’al­to” (Is 32,15), affinché non si accenda in essa [la terra, la mente del peccatore] la sete della cupidigia (cf. Gb 18,9). “La faccia germogliare” in modo meraviglioso, il che avviene quando il peccatore si pente in modo as­soluto di tutti i peccati commessi e di tutte le omissioni; allora “produce la semente” delle opere buone “per il seminatore”, cioè per il penitente che semina nelle lacrime, e “il pane da mangiare”, perché raccoglie nella gioia (cf. Sal 125,5). Ecco dunque che “in quel giorno il germoglio del Signore crescerà in magnificenza”.
“E in gloria”. Dal germoglio della contrizione scaturisce la gloria della confessione, della quale Isaia dice all’anima penitente: “Le è stata data la gloria del Libano, lo splendore del Carmelo e di Saron” (Is 35,2). Libano s’interpreta “candidezza”, Carmelo “circonci­sione" e Saron “canto di tristezza”. La confessione ha appunto questi tre effetti: rende candida l’anima, elimina le cose superflue, si lamenta e canta mestamente: “L’ani­ma mia è triste fino alla morte” (Mt 26,38). “La donna infatti quando partorisce è nella tristezza” (Gv 16,21).
Sulla purificazione dell’anima dai peccati, dice Isaia: “Il Signore laverà le brutture delle figlie di Sion, e il sangue dall’interno di Gerusalemme con lo spirito del giudizio e lo spirito del fuoco” (Is 4,4). Nelle brutture è indicata l’impurità; infatti dice Geremia: “Le sue brutture sono nei suoi piedi” (Lam 1,9), cioè negli affetti; nel sangue è indicata la lussuria della carne. Il Signore lava tali sozzure dalle figlie di Sion, cioè dalle anime di Sion, le anime che appartengono alla chiesa, “con lo spirito del giudizio”, che è la confessione, nella quale il penitente giudica e condanna se stesso; “e con lo spirito del fuoco”, che è la contrizione, nella quale l’anima, come infiammata, si scioglie in lacrime di compunzione.
Sulle cose superflue che devono essere eliminate con la confessione, Isaia dice: “In quel giorno il Signore, con un rasoio affilato, o preso a prestito, raderà il capo e il pelo dei piedi (delle gambe) e tutta la barba, a quelli che sono al di là del fiume” (Is 7,20). Il rasoio, detto in lat.novacula, come facesse nuovo l’uomo, raffigura la confessione, la quale rende veramente nuovo lo spirito dell’uomo. Dice Geremia: “Dissodate il terreno incolto e non seminate tra le spine” (Ger 4,3), perché quando saranno nate non soffochino (cf. Lc 8,7)la parola della confessione. Questo rasoio è detto “affilato”, o “preso a prestito”: affilato, perché taglia il peccato e le sue circostanze; preso a prestito, perché il peccatore, nell’opera della sua salvezza, deve come noleggiarlo con una certa somma, che è la devozione e l’umiltà. Con questo rasoio il Signore “rade il capo”, ecc., “a coloro che sono “al di là del fiume”, che hanno attraversato il fiume, che hanno cioè ricevuto il battesimo. Nel capo e nei piedi sono indicati l’inizio e la fine della vita, nella barba l’in­tre­pidezza nel fare il bene.
Con la lama tagliente di una vera confessione il Signore recide nel penitente i vizi, raffigurati nei peli, dall’inizio della sua conversione fino alla conclusione della sua vita. Rade anche tutta la barba, perché non confidi in alcuna delle opere buone che ha fatto, come se le avesse fatte lui. Dobbiamo infatti confidare solo in colui che ha fatto noi, e non in quello che noi abbiamo fatto. Colui che ha fatto noi è tutto il Bene, il sommo Bene; invece il bene che abbiamo fatto noi è come il panno di una donna immonda (cf. Is 64,6). Tu stesso quindi devi capire in quale bene si deve confidare. Unicamente nel Signore, nel buon Gesù, al quale il profeta dice: “Buono sei tu, o Signore” (Sal 118,68).
Parimenti, del canto di tristezza dice Isaia: “Salirà piangendo per l’erta di Luith, e per la strada di Coronaim alzeranno grida di pentimento” (Is 15,5).
Vedi su questo argomento il sermone della domenica X dopo Pentecoste, parte III.
“E il frutto della terra sarà sublime”. Il frutto della terra è la soddisfazione, cioè l’opera penitenziale. Dice Isaia: “E tutto il frutto è questo: che sia tolto il suo peccato” (Is 27,9). Il frutto della penitenza è sublime quando il penitente è umile, e si umilia di fronte al vero sole, umile e sublime, cioè a Cristo che si degnò di velare lo splendore della sua luce con il cilicio della nostra condizione mortale. Per questo il brano evangelico di oggi dice: “Ci saranno segni nel sole”, ecc.

3. Considera che quattro sono gli “avventi” (venute) del Signore.
Il primo avvento fu nella carne, e di esso è detto: “Ecco, verrà il grande Profeta: egli rinnoverà Gerusalemme” (Liturgia della I Domenica di Avvento, 5a antifona delle Lodi).
Il secondo avvento si compie nella mente; è detto infatti: “Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).
Il terzo avvento si verificherà nel momento della morte; è detto: “Beato quel servo che il Signore, al suo ritorno, troverà al lavoro” (Lc 12,43).
Il quarto avvento si compirà nella gloria; leggiamo nell’Apocalisse: “Ecco, verrà sulle nubi, e ogni occhio lo vedrà” (Ap 1,7).

Questi quattro avventi sono indicati nelle prime quattro parole di questo santo vangelo: le considereremo ognuna singolarmente.
Nell’introito della messa di oggi si canta: “A te, Signore, innalzo la mia anima” (Sal 24,1), e si legge il brano della lettera del beato Paolo ai Romani: “Sapete che è ormai ora di svegliarci dal sonno” (Rm 13,11). Confronteremo questo brano della lettera ai Romani con il primo avvento, e anche con il secondo, quello che avviene nella mente. Invece l’introito della messa lo confronteremo con il terzo e il quarto avvento.
Consideriamo anzitutto il primo avvento.

I. il primo avvento di Cristo nella carne

4. “Ci saranno segni nel sole e nella luna”. Il sole, così chiamato perché risplende solitario (lat. solsolus), è Gesù Cristo che, solo, abita una luce inaccessibile (cf. 1Tm 6,16), e lo splendore di tutti i santi quasi scompare, paragonato al suo splendore, cioè alla sua santità. Dice infatti Isaia: “Siamo divenuti tutti come cosa impura”, cioè come lebbrosi, “e tutte le nostre opere di giustizia sono come panno di donna mestruata”(Is 64,6). Questo “sole”, come è detto nell’Apocalisse, “divenne nero come un sacco fatto di crine” [detto anche cilicio] (Ap 6,12). Infatti Cristo, con il sacco della nostra umanità coprì la luce della sua divinità: “Ho indossato come vestito un sacco fatto di crine” (Sal 68,12).
Ma quale rapporto ci può essere, o Figlio di Dio, fra te e il cilicio? Di tale veste deve coprirsi non Dio ma il reo, non il Creatore ma, ben a ragione, il peccatore; è la veste del peccatore e non di colui che rimette i peccati. Quale rapporto dunque fra te e il cilicio? Un profondo rapporto, e assolutamente necessario all’uomo peccatore, perché mi sono pentito di aver fatto l’uomo (cf. Gn 6,7), vale a dire: un grande dispiacere soffro a riguardo dell’uomo. Dice infatti Isaia: “Mi hai fatto una grande offesa con i tuoi peccati, mi hai stancato con le tue iniquità”, e ancora: “Sono stanco di sopportarli” (Is 43,24; 1,14).
Ecco dunque che “il sole è divenuto nero come un sacco fatto di crine” (cilicio). Infatti sotto il cilicio della carne nascose se stesso, “fulgore della luce eterna” (Sap 7,26). Di lui dice Isaia: Principio della vita “sei tu, o Dio, e fuori di te non c’è Dio. Veramente tu sei un Dio nascosto, Dio d’Israele, Salvatore!” (Is 45,14-15). E ancora: “Il suo volto è come nascosto” (Is 53,3). Giustamente dice “nascosto”; l’amo della divinità venne nascosto nell’esca dell’umanità per uccidere, come dice sempre Isaia, il cetaceo, il mostro che vive nel mare (cf. Is 27,1), cioè il diavolo che è in questo mondo malsano e amaro.
Dice Giobbe: “Catturerà Beemoth (il mostro marino) per gli occhi, quasi con un amo” (Gb 40,19). L’umile cattura il superbo; il nostro “Bambino”, avvolto in fasce, cattura l’antico serpente. E Isaia: “Il lattante si trastullerà sulla buca dell’aspide, il bambino metterà la mano nel covo dei serpenti velenosi (Is 11,8). Il nostro “Bambino”, avvolto in fasce, adagiato nella mangiatoia (cf. Lc 2,7.12), con la mano della sua potenza strappò l’aspide e il serpente dal foro e dalla caverna, cioè il diavolo dalla coscienza dei peccatori.
Ecco dunque che “il sole è divenuto nero come il sacco fatto di crine”.
O Primo! O Ultimo! O Eccelso! O Umile e disprezzato! “E noi l’abbiamo considerato come un lebbroso, castigato da Dio e umiliato” (Is 53,4).

5. Sull’umiliazione di Cristo, concordano ancora le parole di Isaia: “Io vidi il Signore seduto su un trono eccelso ed elevato” (Is 6,1). Vediamo il significato di queste parole: seduto, trono, eccelso, ed elevato.
“Il Signore seduto” raffigura l’umile abbassamento della sua divinità nella nostra umanità. Leggiamo nell’Ecclesiastico: “Il vasaio, seduto al suo lavoro, gira con i piedi la ruota, ed è sempre attento alla sua opera” (Eccli 38,32). Il vasaio è il Figlio di Dio, del quale il salmo dice: “Ha plasmato ad uno ad uno i loro cuori” (Sal 32,15). Egli “è seduto al suo lavoro”, cioè si è umiliato nella carne per la nostra salvezza.
Sempre Isaia: [Verrà il Signore] “per compiere l’opera sua: opera non rispondente alla sua natura, opera per lui assai inconsueta” (Is 28,21). San Gregorio commenta così queste parole misteriose: “Verrà nel mondo per compiere la sua opera: per redimere il genere umano. Ma è un’opera non rispondente alla sua natura: non conviene certo alla sua divinità essere coperto di sputi, essere flagellato e appeso ad una croce”. Egli, con i piedi della sua umanità, fa girare verso la vita la ruota della nostra natura, che prima girava verso la morte; affinché, a colui al quale dapprima era stato detto: Sei terra e alla terra ritornerai (cf. Gn 3,19), si possa ora dire: “Sarai beato e godrai di ogni bene” (Sal 127,2).
E con quanto amore egli si sia impegnato per compiere la sua opera durante trentatré anni, lo testimoniano con molta evidenza i vangeli. E il salmo dice: “Io correvo assetato” (Sal 61,5). Correva con tanta brama alla croce, come il vasaio alla fornace, per realizzare e completare la sua opera, che neppure si fermò a rispondere a Pilato, proprio per non ritardare l’opera della nostra salvezza.

6. “Su di un trono”. Il trono, detto in lat. solium, quasi come solidum, è l’umanità di Cristo che, fondata sulle sette colonne (cf. Pro 9,1), fu in tutti i sensi solida e stabile. Dice Isaia: “In quel giorno sette donne afferreranno un unico uomo e gli diranno: Mangeremo il nostro pane, ci copriremo con le nostre vesti; lascia solo che siamo chiamate con il tuo nome: tòglici la nostra vergogna” (Is 4,1).
Le sette donne simboleggiano i sette doni dello Spirito Santo, che sono detti donne, in quanto nessuno può essere generato a Dio se non per opera dello Spirito. L’uomo è Cristo – unico, cioè il solo senza peccato –, che i sette doni afferreranno, per tenerlo saldamente e non perderlo. Tutti gli uomini passano, fino a Cristo, ma i “sette doni” non afferrano nessuno di essi. Non c’è infatti uomo senza peccato: in tutti lo Spirito ha una ospitalità di tribolazione, e non una dimora di riposo. Lo Spirito fu nei profeti e in altri giusti: ma poiché erano uomini, e quindi peccatori, fu in essi, ma in essi non si fermò. Perciò soltanto di Cristo è detto in Giovanni: “Colui sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito Santo, egli è colui che battezza” (Gv 1,33).
“Afferreranno un unico uomo e diranno: “Mangeremo il nostro pane”, ecc. Commenta la Glossa: Chi ha pane e vesti non ha bisogno di altro. “Mangeremo il nostro pane e indos­seremo le nostre vesti”, vuol dire: Con lo Spirito Santo, insieme con il Padre e il Figlio, possedere tutto e non avere più bisogno di nulla. “Soltanto, fa’ che siamo chiamati con il tuo nome”, e questo significa: Da te siano chiamati cristiani, coloro che bramano fruire della nostra dimora. “Tòglici la nostra vergogna”, perché, scacciati (i doni) dal cuore degli uomini per il fetore dei vizi, non siamo più costretti a cambiare così spesso dimora.

7. L’umanità di Cristo, dunque, sulla quale siede – cioè si umiliò – come su di un trono la divinità, fu eccelsa ed elevata. Fu eccelsa per la sua ineguagliabile santità di vita. Dice Giovanni: “Colui che viene dall’alto è al di sopra tutti” (Gv 3,31)per la sublimità della vita. E anche Isaia: “Mangerà burro e miele, finché non imparerà a rifiu­tare il male e a scegliere il bene” (Is 7,15).
Osserva che dal latte di pecora si ricavano due alimenti: il burro e il formaggio. Il burro è dolce e grasso, il formaggio è arido e asciutto. La pecora fu Adamo la cui natura, prima del peccato, fu come il burro per l’innocenza e la purezza; dopo il peccato fu come il formaggio, arrido e secco. Perciò: “Sia maledetta la terra”, cioè la tua carne, “nel tuo lavoro. Ti produrrà solo triboli e spine” (Gn 3,17-18). Quando dunque venne l’Ema­nuele, colui che la Vergine concepì e partorì, egli non mangiò formaggio ma burro, perché non assunse carne corrotta o soggetta al vizio, ma assunse carne purissima dalla carne della purissima Vergi­ne. Mangiò anche miele, che viene dall’alto, nel quale è raffigurata l’assoluta perfezione della sua vita.
Parimenti l’umanità di Cristo fu elevata, vale a dire innalzata sul patibolo della croce. Infatti dice Giovanni: “Quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me” (Gv 12,32)con l’uncino della croce, nella quale il nostro “sole” fu coperto con il cilicio e marcato con cinque “segni”. Per questo è detto: “Ci saranno dei segni nel sole”.

8. I “segni nel sole” furono le cinque piaghe nel corpo di Cristo. Esse sono “le cinque città in terra d’Egitto, che parlano la lingua di Canaan, la prima delle quali si chiamerà Città del Sole” (Is 19,18).
Egitto s’interpreta “mestizia” o “tenebre”. La terra d’Egitto raffigura la carne di Cristo, che fu nella mesti­zia; infatti nella lettera agli Ebrei è detto: “Offrendo con lacrime e forti grida” (Eb 5,7); e fu nelle tenebre: “Mi ha relegato nelle tenebre, come i morti da gran tempo” (Sal 142,3).
In questa terra ci furono cinque città, cioè cinque piaghe, che sono le città­rifugio, nelle quali chiunque si rifugia sarà liberato dalla morte. Fuggi dunque, rifugiati nelle città fortificate, perché chi sarà trovato fuori di esse sarà ucciso. È detto infatti nella Genesi che ogni essere che si troverà fuori dell’ar­ca, sarà distrutto dalle acque del diluvio (cf. Gn 7,21-23). Solo nell’arca infatti c’è la vita. Fuggi ad essa come fece Ruth, alla quale Booz disse: “Pieno salario riceverai dal Signore, Dio d’Israele, al quale sei venuta e sotto le cui ali ti sei rifugiata” (Rt 2,12). Cristo con le braccia aperte sulla croce, quasi come due ali, accoglie coloro che a lui accorrono, e nel rifugio delle sue piaghe li nasconde dalla minaccia dei demoni.
“Che parlano la lingua di Canaan”, nome che s’interpreta “cambiata”. Infatti le piaghe di Gesù Cristo, come con un totale cambiamento di linguaggio, parlano di noi al Padre non per ottenere vendetta, ma per impetrare misericordia. Dice l’Apostolo agli Ebrei: “Vi siete accostati al Mediato­re della Nuova Alleanza, Gesù, e al sangue dell’aspersione, dalla voce più eloquente di quella del sangue di Abele” (Eb 12,22.24): il sangue di Abele gridava vendetta, il sangue di Cristo grida misericordia.
Dice ancora Bernardo: O uomo, hai un accesso sicuro a Dio, perché davanti al Figlio trovi la Madre, e davanti al Padre trovi il Figlio. La Madre mostra al Figlio il petto e le mammelle, il Figlio mostra al Padre il costato e le piaghe. Non potrà quindi esservi rifiuto, dove sono riuniti tanti segni di amore.
“La prima sarà chiamata città del sole”. La piaga del costato è la città del sole. Con l’a­pertura del costato del Signore venne aperta la porta del paradiso, dalla quale rifulse a noi lo splendore della luce eterna. Si legge nella StoriaNaturaleche il sangue estratto dal fianco della colomba elimina le macchie dagli occhi; così il sangue estratto dal costato di Cristo con la lancia del soldato, illuminò gli occhi del cieco nato, cioè del genere umano.

9. Con questo primo avvento del Signore, concorda la prima parte dell’epistola di oggi: “È ormai tempo che noi ci destiamo dal sonno” (Rm 13,11).
Come nell’ultimo avvento “suonerà la tromba e i morti risorgeranno” (1Cor 15,52), così in questo primo avvento suona la tromba della predicazione: “È ormai tempo”, ecc. Questo tempo è l’anno della benignità (cf. Sal 64,12), “la pienezza dei tempi, in cui Dio mandò il Figlio suo, nato da donna, nato sotto la legge” (Gal 4,4). Svegliamoci dunque dal sonno, cioè dall’amore delle cose temporali, delle quali Isaia dice: “Vedono cose vane, dormono e amano i sogni” (Is 56,10), cioè le cose temporali che chiudono gli occhi del cuore alla contemplazione delle cose eterne. Le vane immaginazioni sulle cose di questo mondo, che illudono i dormienti nelle prime ore del giorno, vengano fugate dal sorgere del sole. Il sacco fatto di crine, il cilicio, il misero pannicello nel quale Gesù fu avvolto, l’umile luogo del presepio nel quale fu adagiato, ci invitano a svegliarci dal sonno e a scacciare le vane fantasie. “È veramente tempo di svegliarsi dal sonno”.
Ma guai a noi che neppure in quest’unica ora possiamo vegliare con il Signore, perché non lo vogliamo. Il Signore ha vegliato, poiché dice Geremia: “Vedo una verga vigilan­te” (Ger 1,11). Gesù Cristo fu la verga, flessibile per la sua obbedienza e umiltà, sottile per la povertà: egli vegliò con queste virtù, ma noi non vogliamo vegliare con lui. Gli uomini, schiavi delle ricchezze dormirono il loro sonno (cf. Sal 75,6); invece le ricchezze [vere] degli uomini, cioè l’umiltà e la povertà dei giusti, vegliano con il Signore e quindi possono dire in tutta sincerità: “Adesso la nostra salvezza è più vicina di quando diventammo credenti” (Rm 13,11). E questo è ciò che dice anche Salomone: “La via dei giusti è simile alla luce che incomincia a risplendere, e cresce fino a pieno giorno” (Pro 4,18). “Luce che risplende”, cioè “quando diventammo credenti”; “fino a giorno pieno”, cioè “la nostra salvezza è più vicina”. La luce splendente si ebbe nell’in­carnazione del Verbo, dalla quale scaturì la fede; il giorno pieno si verificò nella passione, con la quale fu più vicina la salvezza. “Che cosa ci sarebbe servito l’essere nati, se non fossimo stati redenti?” (dal canto Exultetdel sabato santo).
Fratelli carissimi, supplichiamo dunque Gesù Cristo che nel primo avvento si coprì per noi di cilicio, e che si contrassegnò con i segni della passione per intercedere per noi, affinché ci svegli dal sonno, ci faccia vegliare con lui, in modo da poter meritare nel suo ultimo avvento l’eredità dell’eterna salvezza.
Ce lo conceda lui stesso, che è benedetto nei secoli. Amen.

II. il secondo avvento di cristo nella mente

10. “Ci saranno segni nella luna”. I segni nella luna sono quelli descritti da Giovanni nell’Apocalisse: “La luna diventò tutta simile al sangue” (Ap 6,12), e da Gioele: “La luna si cambierà in sangue” (Gl 2,31).
Dio creò due grandi luci, la maggiore e la minore (cf. Gn 1,16); vale a dire, creò due creature ragionevoli. La luce maggiore è lo spirito angelico, la luce minore è l’anima umana. Per questo si dice luna, come a dire “una tra le luci”. Infatti l’anima umana fu creata per essere una di quegli spiriti celesti, in grado di comprendere le cose del cielo; perché lodasse il creatore e fosse felice insieme con i figli di Dio (cf. Gb 38,7). Ma per la troppa vicinanza alla terra contrasse la negrezza e perdette la sua luminosità: e quindi, se vuole ricuperarla, è necessario che prima diventi tutta sangue.
Il sangue simboleggia la contrizione del cuore. L’Apo­stolo nella lettera agli Ebrei dice: “Mosè, preso il sangue (dei vitelli e dei capri) con acqua, lana scarlatta e issopo, ne asperse il libro stesso e tutto il popolo, dicendo: Questo è il sangue dell’alleanza che Dio ha stabilito per noi. Alla stessa maniera asperse con il sangue anche la tenda e tutti i vasi adibiti al culto. (Secondo la Legge infatti), tutte le cose vengono purifica­te con il sangue e senza spargimento di sangue non c’è perdono” (Eb 9,19-22). Ecco dunque in che modo la luna è diventata tutta come sangue.
Vedremo ora quale significato morale abbiano Mosè, il sangue, l’acqua, la lana scarlatta e l’issopo, il libro e il popolo, la tenda e i vasi.
Quando Gesù Cristo, misericordioso e benigno, entra nella mente del peccatore, allora “Mosè prende il sangue”, ecc. Mosè è lo stesso peccatore già convertito; liberato dalle acque dell’Egitto, egli deve accogliere in sé queste quattro entità: il sangue della dolorosa contrizione, l’acqua della lacrimosa confessione, la lana dell’innocenza, scarlatta per la correzione fraterna, e l’issopo della vera umiltà. Con queste cose deve aspergere il libro, cioè il segreto del suo cuore, e tutto il popolo dei suoi pensieri, e la tenda, cioè il suo corpo, e tutti i suoi vasi, vale a dire i cinque sensi. Nel sangue della contrizione tutte le cose vengono purificate, tutto viene perdonato, purché ci sia il proposito di confessarsi. Infatti senza il sangue della contrizione non c’è remissione di peccato.

11. “Ci saranno segni nella luna”. Per mezzo dei segni esteriori del penitente si conoscono i segni interiori della contrizione. Quando risplenderà nel corpo la castità, l’umiltà nell’agire, l’astinenza nel mangiare, la modestia nel vestire: questi saranno gli indizi della santificazione interiore. E in merito a queste quattro pratiche, Dio, per bocca di Isaia, promette all’anima penitente: “Verrà a te la gloria del Libano: l’abete, il bosso e il pino insieme, per ornare il luogo della tua santificazione” (Is 60,13).
La gloria del Libano è la castità del corpo, della quale l’anima si gloria: “Come un cedro mi innalzai sul Libano” (Eccli 24,17): Libano s’interpreta appunto “bianchezza”. Il cedro, con il suo profumo, scaccia i serpenti. Nel Libano dunque, cioè nel corpo che pratica la castità, l’anima viene innalzata come un cedro, perché con il profumo della sua condotta santa mette in fuga i serpenti della suggestione diabolica e della concupiscenza carnale. Di queste cose dice ancora Isaia: “Su tutta la gloria, la protezione” (Is 4,5). Dove c’è la gloria della castità, lì c’è la protezione della divina misericordia, che custodisce tutte le opere buone.
Parimenti, l’abete, detto in lat. abies, perché svetta più in alto (lat. abeo) di tutte le altre piante, raffigura l’umiltà, che è la più sublime di tutte le virtù. Infatti, in merito a questa virtù, concordano le parole di Isaia: “Nell’anno in cui morì il re Ozia, io vidi il Signore che sedeva sopra un trono eccelso ed elevato; e la casa era piena della sua maestà, e le cose che erano sotto di lui riempivano il tempio” (Is 6,1).
Il re Ozia, superbo e lebbroso, raffigura il vizio della superbia: se nell’uomo questo vizio muore, il Signore siede in lui come su di un trono. L’anima del giusto è sede della sapienza. Infatti nell’anima, sublimata dall’umiltà, sollevata dalle cose terrene alla contemplazione celeste, riposa il Signore, e allora la casa dei cinque sensi è piena della sua maestà. Tutte le membra sono nello stato di quiete, quando il Signore riposa nella mente. Dice infatti il Signore per bocca di Isaia: “Il mio popolo”, quando io dimorerò in lui, “si troverà in una pace meravigliosa” per l’onestà della vita, “e nelle tende della confidenza” per la sicurezza della coscienza, “nella quiete e nella ricchezza”(Is 32,18), cioè con la ricchezza della buona fama. E infatti continua: “E le cose che erano sotto di lui riempivano il tempio”. Quando il Signore dimora nella nostra mente, tutto ciò che facciamo sotto il suo sguardo, essendo fatte nell’umiltà, riempiono il tempio, cioè danno buon esempio ed edificano il prossimo.
Ancora: il bosso, pianta di colore pallido, simboleggia l’astinenza dal cibo e dalla bevanda. Dice Isaia: “Il Signore ti darà pane duro e poca acqua” (Is 30,20), e di nuovo: “Gli asinelli che lavorano la terra”, cioè i peni­tenti che castigano il loro corpo, mangeranno una mistura di orzo e paglia” (Is 30,24), nella quale è raffigurata la frugalità dei cibi.
E infine il pino, dal quale si ricava la pece (resina), raffigura la mediocrità, la povertà delle vesti: ventre digiuno e abito dimesso implorano Dio con grande sentimento. Dobbiamo espiare con la scarsezza del cibo e la modestia delle vesti l’eccesso dei passati piaceri e dello sfarzo, affinché, come dice Isaia, “invece del profumo ci sia sentore di povertà, invece della cintura una corda, invece dei riccioli la calvizie, invece della fascia pettorale il cilicio” (Is 3,24). Queste quattro cose ornano il luogo della santificazione del Signore, cioè l’anima del penitente nella quale dimora il Signore. Infatti egli dice: “Verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14,23).



12. Con questo secondo avvento concorda la seconda parte dell’epistola: “La notte è avanzata, il giorno è vicino” (Rm 13,12). Questo è ciò che dice Isaia: “L’antico errore è scomparso: conserverai la pace; la pace, perché in te abbiamo sperato”, o Signore (Is 26,3).
La notte e l’errore simboleggiano la cecità del peccato; il giorno e la pace l’illuminazione della grazia. La ripetizione della parola pace, sta ad indicare la quiete interiore e quella esteriore, di cui l’uomo gode quando il Signore siede sopra un trono eccelso ed elevato.
“Gettiamo via, perciò, le opere delle tenebre” (Rm 13,12). Anche Isaia dice: “In quel giorno l’uomo getterà via i suoi idoli di argento e le sue statue d’oro, che raffiguravano talpe e pipistrelli, che si era fabbricato per adorarli” (Is 2,20). Nell’argento è indicata l’eloquenza, nell’oro la sapienza; nelle talpe l’avarizia e nei pipistrelli la vanagloria. La talpa, essendo priva di occhi, scava la terra; il pipistrello poi non vede di giorno perché è senza il liquido cristallino, e ha poi le ali allacciate con i piedi.
L’uomo carnale, che conosce e sa solo di terra, con l’argento dell’eloquenza e l’oro della sapienza si fabbrica degli idoli, vale a dire le talpe dell’avarizia e i pipi­strelli della vanagloria, che sono le opere delle tenebre. Infatti l’avarizia, che è priva della luce della povertà, scava la terra e ama le cose terrene. La vanagloria, mentre piace al “giorno umano”, non vede il “giorno divino”; infatti le sue ali, cioè le opere con quali avrebbe potuto volare al cielo, sono allacciate ai piedi, cioè agli affetti carnali; infatti brama essere veduta e lodata dagli uomini.
Ahimè, quanti predicatori e prelati del nostro tempo, con l’eloquenza e la sapienza che Dio ha loro elargito, si fabbricano degli idoli, e li adorano. Cercano infatti di arricchirsi, di essere onorati, di essere chiamati rabbi, maestro, e di essere salutati nelle piazze(cf. Mt 23,7). Ma in quel giorno, cioè nell’illuminazione della grazia, della quale è detto appunto “il giorno è vicino”, l’uomo getta via le talpe e i pipistrelli che non vedono la luce, e che raffigurano le opere delle tenebre. Allora si adempirà ciò che segue: “Indossiamo le armi della luce” (Rm 13,12).

13. Dice in proposito Isaia: “Àlzati, àlzati, rivèstiti della tua fortezza, o Sion. Indossa le vesti della tua gloria, Gerusalemme, città del Santo” (Is 52,1). Sion e Gerusalemme sono simbolo dell’anima che, quando pecca, si rende schiava del diavolo, mentre quando fa penitenza si libera e si eleva in alto. Álzati dunque con la contrizione, àlzati con la confessione, rivèstiti della fortezza della perseveranza finale, indossa le vesti della tua gloria, cioè della duplice carità, e così sarai la città dello Spirito Santo.
“Comportiamoci onestamente, come in pieno giorno” (Rm 13,13). Sempre Isaia: “Si vedrà in te la gloria del Signo­re, i popoli cammineranno alla tua luce e i re allo splen­dore del tuo sorgere” (Is 60,1.2-3). I popoli sono i sensi del corpo; i re gli affetti della mente. Quelli cammineran­no nella luce di un onesto comportamento e questi nello splendore della purezza, quando l’anima dell’uomo sarà illuminata della gloria di Dio.
“Non in mezzo a gozzoviglie e ubriachezze” (Rm 13,13). Sempre Isaia: “Si sono riempiti di vino e ubriacati; nella loro ubriachezza sono usciti di strada e non hanno ricono­sciuto il veggente”, cioè Dio che tutto vede; “non hanno conosciuto la giustizia. Tutte le mense sono piene di vomito e di sudiciume e non c’è più un posto pulito” (Is 28, 7-8). “Non fra impurità e licenziosità” (Rm 13,13). E Isaia: “Sarà come la tana dei draghi e il pascolo degli struzzi” (Is 34,13), ecc.
Vedi anche il sermone della domenica I di Quaresima, parte II, “Gesù fu condotto nel deserto”.
“Non in contese e gelosie” (Rm 13,13). Isaia: “Ciascuno divorerà la carne del suo braccio” (Is 9,20), infierirà cioè contro il suo prossimo, con contese e invidie. “Manasse contenderà contro Efraim ed Efraim contro Manasse”: vale a dire, i laici contenderanno contro i chierici e i chierici contro i laici; “tutti e due insieme combatteranno contro Giuda” (Is 9,20), cioè contro i religiosi.
“Rivestitevi invece del Signore Gesù Cristo” (Rm 13,14). Ed Isaia: “Mi rivestì delle vesti della salvezza”, cioè delle virtù, “e mi avvolse nel manto della giustizia” (Is 61,10), cioè di Gesù Cristo. “Quanti infatti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo” (Gal 3,27).
Fratelli carissimi, imploriamolo devotamente che cambi la luna, che tramuti cioè tutta l’anima nostra nel sangue della contrizione, con la quale, gettando via le opere delle tenebre, meritiamo di camminare in pieno giorno e di rivestirci di lui, che è benedetto nei secoli dei secoli. Amen.

III. il terzo avvento di cristo nell’ora della morte

14. “Ci saranno segni nelle stelle”. Anche i segni delle stelle sono quelli di cui parla Giovanni nell’Apocalisse: “Le stelle del cielo caddero sopra la terra, come quando un fico, investito da un grande vento, lascia cadere i fichi immaturi” (Ap 6,13).
Dell’uomo che soffre nel travaglio dell’agonia, dice il profeta: “Guarderà in alto e rivolgerà lo sguardo sulla terra: ed ecco sofferenza e tenebre; sfinimento, angustia e caligine lo tormenteranno: e non potrà liberarsi dalle sue angustie” (Is 8,21-22). Nel momento della morte c’è la sofferenza della malat­tia, l’oscurità negli occhi perché, come dicono, in quel momento sono privi della luce; c’è lo sfinimento di tutte le membra, l’angustia della morte e la caligine che tormenta, cioè la paura della geenna, ossia la presenza del diavolo che tenta in ogni modo di impadronirsi dell’anima che sta per uscire dal corpo.
Ahimè! Il misero essere umano sia che guardi in alto, sia che rivolga lo sguardo a terra, non potrà più liberarsi dal suo tormento, se non ritornando alla terra e in essa trasformandosi.
Dice Isaia: “È caduta, è caduta Babilonia”, cioè la carne dell’uomo, “e tutte le statue dei suoi dèi”, cioè i piaceri dei sensi, “sono a terra in frantumi” (Is 21,9), perché sei terra e alla terra ritornerai (cf. Gn 3,19). Questo è dunque il significato della frase: “le stelle”, cioè gli uomini viventi, “caddero dal cielo”, dal firmamento, vale a dire dal loro stato, nel quale credevano molto sicuri e di vivere molto a lungo, caddero sulla terra, dalla quale sono stati creati. “Come il fico, investito da un grande vento”, ecc. Il fico è la natura umana la quale, quando è investita dal grande vento della morte, lascia cadere i fichi immaturi, perde cioè i sensi e le membra, e così si riduce all’impotenza. Questi sono i segni nelle stelle. Beato sarà perciò quel servo che il Signore, quando viene e bussa alla porta, troverà sveglio (cf. Lc 12,36-37).

15. Beato colui che nell’ora della sua morte potrà cantare ciò che si canta nell’introito della messa di oggi: “A te, Signore, ho innalzato l’anima mia” (Sal 24,1). E questo concorda con ciò che dice Isaia: “Àlzati, àlzati, lèvati su, Gerusalemme!” (Is 51,17). O anima, àlzati dalle lusinghe della tua carne, àlzati dalla concupiscenza del mondo, sollèvati alle gioie eterne. Nel momento della morte sarà tranquillo e sereno colui che in questo modo avrà innalzato a Dio la sua anima.
“Dio mio, in te confido” (Sal 24,2). Ed Isaia: “In quel giorno il resto d’Israele non si appoggerà più su chi li ha percossi”, cioè sugli Assiri, vale a dire sul diavolo; “ma si appoggerà sul Signore, sul Santo d’Israele” (Is 10,20). “In te confido”, non nella carne, non nel mondo. E di questa fiducia dice Isaia: “Ecco, tu confidi nell’Egitto, in questo sostegno di canna spezzata, che punge e trafigge la mano di chi vi si appoggia” (Is 36,6). L’abbondanza del mondo e la salute del corpo sono quasi una canna che ha le sue radici nel fango, bella di fuori ma vuota all’interno. Questa canna, quando l’uomo si appoggia su di essa, si spezza al momento della morte, e quando è spezzata ferisce l’ani­ma, la quale così ferita cade nella geenna.
“Non sarò confuso” (Sal 24,2). È vero, è vero, colui che in vita confida nel Signore, nell’ora della morte non sarà confuso, ma esultando potrà dire con Isaia: “Io gioisco pienamente nel Signore, e la mia anima esulta nel mio Dio” (Is 61,10). Mentre lo stesso Isaia, minaccia così coloro che confidano nel mondo: “Vi vergognerete dei giardini che vi siete scelti, poiché sarete come le querce dalle foglie avvizzite, e come un giardino senza acqua, e la vostra forza sarà come il fuoco di stoppie, e le vostre opere come una scintilla, ed entrambe saranno bruciate e non ci sarà chi spenga il fuoco” (Is 1,29-31).
Alla fine della loro vita i carnali si vergogneranno “dei giardini” della gola e della lussuria, che si erano scelti durante la vita. Saranno nudi e aridi “come la quercia dalle foglie avvizzite”, simbolo delle loro ricchezze e piaceri; saranno come “un giardino senz’ac­qua”, perché ogni piacere cesserà. Per i canali dei sensi infatti non scorreranno più le acque dei piaceri mondani, per inebriare la concupiscenza della carne. E allora “la loro fortezza”, cioè la loro superbia nella quale confidavano, “sarà come il fuoco delle stoppie”, le quali ben presto si consumano, “e le loro opere come una scintilla”, cioè di nessun valore; “ed entrambe”, cioè la fortezza della superbia e le opere dell’avarizia, “saranno bruciate” dai demoni, “e non ci sarà chi spenga il fuoco”. Conclude infatti Isaia: “Il loro verme non morirà e il loro fuoco non si spegnerà” (Is 66,24).
“Non mi deridano i miei nemici” (Sal 24,3). Di questa irrisione, dice Geremia nelle Lamentazioni: “Contro di te applaudirono con le mani quanti passavano per la via; fischiarono e scossero il capo sulla figlia di Gerusalemme: È questa la città che dicevano bellezza perfetta e gioia di tutta la terra? Spalancarono contro di te la bocca tutti i tuoi nemici; fischiarono e digrignarono i denti e disse­ro: L’abbiamo divorata! Questo è il giorno che aspettavamo: siamo arrivati a vederlo!” (Lam 2,15-16).
Alla fine della vita, saranno sicuri da questa irrisione coloro che hanno posto la loro fiducia nel Signore; ad essi il Signore ha promesso: “Voi partirete con gioia”, dal vostro corpo, “e sarete condotti nella pace”, alla patria celeste. “I monti”, vale a dire gli angeli, “e i colli”, cioè gli apostoli, “canteranno la lode davanti a voi, e tutti gli alberi della regione”, cioè le anime dei santi, “batteranno le mani”(Is 55,12) per la gioia della vostra presenza, esultando e lodando con voi il Figlio di Dio.
Fratelli carissimi, chiediamogli umilmente che quando arriverà il nostro ultimo giorno e la fine della nostra vita, ci liberi dalla irrisione dei demoni e ci faccia partire nella gioia e condurre alla pace per mano degli angeli. Ce lo conceda colui che è benedetto nei secoli. Amen.

IV. il quarto avvento di cristo nella maestà

16. “E vi sarà sulla terra costernazione di popoli” (Lc 21,25). Di questa costernazione dice Isaia: “Sarà stritolata la terra, sarà frantumata la terra, crollando crollerà la terra, barcollerà la terra come un ubriaco” (Is 24,19-20).
Come l’ubriaco non sa quello che fa, così tutti quelli che sono sulla terra saranno come ubriachi per l’enormità dei mali e saranno come istupiditi di fronte agli eventi. Il fatto che la terra sia qui nominata quattro volte, indica quattro specie di peccatori: i superbi, i lussurio­si, gli avari e gli iracondi. I superbi saranno stritolati: “Dio stritolerà i denti dei leoni” (Sal 57,7). I lussuriosi saranno frantumati: “Il Signore li schiaccerà con duplice stritolamento” (Ger 17,18); perché coloro che hanno peccato con l’anima e con il corpo, nell’anima e nel corpo siano puniti. Gli avari crolleranno: “Saranno come paglia di fronte al vento, e come favilla che il turbine disperde” (Gb 21,18). Gli iracondi barcolleranno: “Vidi che coloro che fanno opere inique e seminano affanni e li raccolgono, al soffio di Dio periscono e sono annientati dallo sfogo della sua ira” (Gb 4, 8-9).
“Saranno angosciati per il fragore del mare e dei flutti” (Lc 21,25). E Isaia: “All’im­prov­viso, subito, dal Signore degli eserciti sarai visitata con tuoni, terremoti e grande frastuono di uragano e tempesta e fuoco divorato­re” (Is 29,6). Gli elementi della natura faranno vendetta in nome del loro autore. La rovina dei dannati avverrà all’im­provviso. “Il giorno del Signore verrà di notte come il ladro. E quando diranno: pace e sicurezza, allora all’improvviso li colpirà la rovina, come le doglie di una donna incinta; e nessuno scamperà” (1Ts 5,2-3). Dice ancora l’Apocalisse: “Ecco, io vengo subito, Amen. Vieni, Signore Gesù” (Ap 22,20).
Allora il peccatore sarà sorpreso dal tuono del cielo e dal terremoto sulla terra. La terra, oppressa dal peso eccessivo dei suoi peccati, si scrollerà di dosso il peccatore. Nell’aria ci sarà il frastuono dell’uragano e nel mare il fragore della tempesta. Dove fuggirà lo sventurato? Dove si nasconderà? Se vorrà salire al cielo, sarà sbattuto via dal tuono; se vorrà salvarsi nell’aria, sarà travolto dall’uragano; se vorrà restare sulla terra, non sarà in grado di resistere al suo scuotimento perché, come dice Giobbe, “la terra si rivolterà contro di lui” (Gb 20,27); se si rivolgerà al mare, sarà respinto dai suoi flutti. Che cosa resta al misero, al quale non è rimasto un posto in tutto il mondo, se non cadere nell’abisso di fiamma del fuoco divoratore? Dice infatti Giobbe: “Lo divorerà il fuoco non acceso da uomo” (Gb 20,26).

17. “Gli uomini resteranno come inariditi e rinsecchiti per il terrore e per l’attesa di ciò che dovrà accadere in tutta la terra” (Lc 21,26). Ed è ciò che dice anche Isaia: “Urlate, perché è vicino il giorno del Signore; esso viene come una devastazione da parte dell’Onnipotente. Perciò tutte le mani si sfibreranno e il cuore di ogni uomo verrà meno e si spezzerà. Spasimi e dolori li assaliranno; si contorceranno come una partorien­te; ognuno osserverà sgomento il suo vicino; i loro volti saranno come bruciati da una fiamma. Ecco, viene il giorno del Signore: giorno implacabile, pieno di indignazione, d’ira e di furore, per fare della terra un deserto e per sterminare i peccatori che sono su di essa. Le stelle del cielo e il loro splendore non daranno più luce alcuna; il sole sarà oscurato fin dal suo levare e neppure la luna spanderà più la sua luce. Io punirò tutti i mali del mondo e gli empi per la loro iniquità. Farò cessare la superbia degli infedeli e umilierò l’arroganza dei prepotenti” (Is 13,6-11).
“Le potenze dei cieli saranno sconvolte” (Lc 21,26), per lo stupore. Isaia: “Tutta la milizia celeste si dissolverà e i cieli si chiuderanno in se stessi come un libro (Is 34,4). Commenta la Glossa: Quest’aria sarà avvolta nel fuoco e sembrerà chiudersi come un libro. Infatti dopo che tutti i peccati saranno letti e svelati, verranno chiusi i libri che erano stati aperti; perché in essi mai più vengano registrati i delitti. Dice infatti Daniele: “Incominciò il giudizio e furono aperti i libri” (Dn 7,10). “E allora vedranno il Figlio dell’uomo venire nelle nubi con grande potenza e maestà” (Lc 21,27). Fa’ attenzione al­le due parole: potenza e maestà. La potenza riguarderà coloro che saranno condannati, la maestà coloro che saranno salvati. Consideriamo i due eventi.

18. Riguardo alla potenza, concordano le parole del profeta Isaia: “Il Signore avanzerà come un prode, come un guerriero ecciterà il suo ardore”, per i giusti castighi; “griderà e lancerà urla di guerra e sarà forte contro i suoi nemici. Ho sempre taciuto, ho fatto silenzio, sono stato paziente; ora griderò come una partoriente: distruggerò e divorerò insieme. Ridurrò a deserto i monti e i colli, e farò inari­dire ogni loro germoglio” (Is 42,13-15).
Il Signore tacque come un agnello quando fu condotto alla passione; e anche ora sta in silenzio, perché non interviene con i castighi; infatti dice Giobbe: La verga di Dio non si abbatte su di loro (cf. Gb 21,9). È paziente e aspetta che ognuno faccia penitenza: “ Tu fingi di non vedere i peccati degli uomini, nell’attesa che facciano penitenza” (Sap 11,24). Ma nel giorno del giudizio griderà come una partoriente, lasciando libero corso al rammarico sì a lungo represso. Allora disperderà tutte le ricchezze accumulate e distrug­gerà il loro potere; renderà deserti i monti e i colli, abbatterà cioè la superbia sia dei prelati che dei sottopo­sti, e farà inaridire ogni germe di gola e di lussuria.
Di questa potenza dice ancora Isaia: “La spada del Signore è piena di sangue, imbrattata di grasso, del sangue di agnelli e di capri, delle viscere grasse dei montoni: ci sarà la vittima del Signore in Bozra, una grande strage nel paese di Edom. Cadranno i loro unicorni e i tori con i potenti; la loro terra si ubriacherà di sangue e i loro campi del grasso dei corpi, perché è il giorno della vendetta del Signore, è l’anno della giusta retribuzione di Sion. I suoi torrenti saranno cambiati in pece, la sua polvere in zolfo, e la sua terra diventerà come pece ardente. Non si spegnerà mai più, né di giorno né di notte, e s’innalzerà il suo fumo di generazione in generazione” (Is 34,6-10).
Nel giorno del giudizio “la spada”, cioè la potenza “del Signore” che farà vendetta dei suoi nemici, sarà “piena di sangue e imbrattata di grasso: punirà cioè i peccati e la tracotanza dei carnali; [sarà piena] “del sangue degli agnelli”, cioè degli ipocriti che si fingono agnelli mentre sono lupi rapaci; “e dei capri”, cioè dei libidinosi; “e delle viscere grasse dei montoni”, cioè dei corpulenti abati e priori, che sono alla guida del gregge.
“La vittima del Signore”, cioè la sua vendetta “sarà in Bozra”, che s’interpreta “fortificata”, e raffigura la comunità dissoluta e in discordia che vive nel chiostro; è difesa dalle mura all’esterno, ma è esposta all’interno a tutti i vizi che vi entrano. Dice Isaia: “Hai fatto il tuo corpo come terra e come strada per tutti quelli che passavano” (Is 51,23). “E una grande strage nel paese di Edom”. Edom s’interpreta “di sangue” o “terreno”, e simboleggia quei chierici che sono contaminati dal sangue della lussuria e dal fango del denaro.
“E i suoi unicorni”, cioè gli imperatori e i re di questo mondo, “e i tori”, cioè i vescovi mitrati, che hanno sulla testa due corna (la mitria) come i tori; tutti costoro, che non avranno fatto una vera penitenza dei loro peccati, “cadranno giù insieme con i potenti”, cioè con i prìncipi e le autorità; cadranno nell’inferno, che è la terra dei morenti, la quale “sarà come ubriacata dal loro sangue e dal loro grasso”, cioè dalla loro malizia e superbia.
L’ultima parte della citazione di Isaia [i suoi torrenti, ecc.] non ha certo bisogno di spiegazioni.

19. Sulla maestà del Signore concorda sempre ciò che dice Isaia: “Il Signore sarà per te luce sempiterna e saranno finiti i giorni del tuo lutto”(Is 60,20), perché le sofferen­ze di prima sono dimenticate e sono ormai nascoste allo sguardo di coloro che in questa vita hanno aspettato nella santità e nella giustizia il Signore, che sarebbe venuto per il giudizio. Di questi si dice nell’introito della messa: “Tutti coloro che ti aspettano non saranno delusi” (Sal 24,3).
È vero, è vero, Signore, non saranno delusi: anzi esulteranno per l’eternità. Della gloria dei buoni e del castigo dei cattivi, tu prometti con le parole di Isaia: “Ecco che i miei servi mangeranno, e voi patirete la fame; ecco che i miei servi berranno, e voi patirete la sete; ecco che i miei servi saranno nella gioia e voi nella delusione; ecco che i miei servi, nella felicità del loro cuore, canteranno lodi, e invece voi griderete per il dolore del cuore e urlerete per la tortura dello spirito” (Is 65,13-14).
Fratelli carissimi, preghiamo il Signore Gesù Cristo perché, quando verrà nel giorno dell’ultimo giudizio per rendere a ciascuno secondo le sue opere, quando verrà con grande potenza e maestà, non voglia esercitare la sua potenza verso di noi, mettendoci con coloro che saranno dannati, ma ci renda beati, di fronte alla sua maestà, insieme con coloro che saranno salvati: possiamo anche noi con loro mangiare e bere, esultare ed essere felici nel regno dei cieli.
Ce lo conceda lui stesso, che è benedetto e glorioso per i secoli eterni. E ogni anima beata dica: Amen. Alleluia.

sabato 26 novembre 2016

NATALE SI AVVICINA: ATTENZIONE: Naturalismo e conversione. - Purificare la Chiesa senza la Messa cattolica è una tragica illusione


.........Stiamo attenti a non ricadere, anche desiderando la santità, nel Naturalismo: non ci saranno conversione e santità possibili se ci appoggeremo al solo nostro sforzo; occorre partire dagli strumenti della grazia che sono i sacramenti, accompagnati dall'unica dottrina di verità comunicata dalla Rivelazione.

Non ci sarà santità possibile, continuiamo a ripeterlo, se non ai piedi del Calvario dove Cristo ci santifica.

 Non ci sarà purificazione possibile per la Chiesa, per te e per tutti, se non ai piedi del Calvario di oggi, che è l'altare dove è celebrato il Divino Sacrificio.

 La battaglia per la Messa tradizionale, che continuiamo a compiere, si inserisce in questo principio della grazia che, unica, salverà le anime.

 Voler purificare la Chiesa senza la Messa cattolica è una tragica illusione.

 Purificare la Chiesa senza tornare alla Messa di sempre, la Messa che ha fatto i santi, la Messa che non rincorre affannosamente la modernità, equivale all’errore di un nuovo Pelagianesimo, che produrrà cadaveri dove dovevano sorgere anime salvate dalla conversione.

 Che il Natale di Cristo faccia sorgere un popolo di umili che, riconoscendosi peccatori, si abbeverano alla grazia di Cristo.
 Faccia sorgere questo popolo per la pace di tutti; Pastori e gregge rinascano alla grotta di Betlemme, che è già Calvario, che è già il luogo della grazia che salva.

 Pastori e gregge rinascano nella Messa della tradizione, che parla con purezza della grazia che salva; e che dà le condizioni perché questa grazia produca i suoi frutti di santità.

 Allora sarà la Riforma, quella vera.


AVE MARIA PURISSIMA

RICORDARE CHE DIO CHIEDE LA STABILITA'

PER I TEMPI DI 
CONFUSIONE E INCERTEZZA


 Sono tempi di confusione, non di certezze.

 Confusione nel mondo, che si è progressivamente staccato da Gesù Cristo; ma ciò che fa più male, confusione tra i cristiani, nella misura in cui si sono adeguati al mondo.

 E la confusione fa male e stanca. Nella confusione non è possibile per l'uomo nessun lavoro, perché l'uomo confuso è incapace di un lavoro. Può fare episodicamente cose buone e cose cattive, ma non può fare un lavoro.

 I tempi di confusione sono i tempi dell'uomo “episodico”.

 Intendiamoci bene, non tutto è male nel mondo e soprattutto non tutto è male nella Chiesa, questo non lo diremo mai! Ma la confusione è un male in sé: il buono nella confusione non esprime compiutamente un bene... e nella confusione tante cose buone potrebbero esprimersi in un male.

 La confusione è come un clima che tutto avvolge; è uno stato d'animo, una condizione mentale e morale, che tutto rende passeggero. La confusione impedisce la stabilità.

 L'uomo instabile ha bisogno di essere intrattenuto continuamente, per non cadere nell'angoscia del suo nulla.

 Il problema è che, a furia di vivere nella confusione, incominci ad adattarti ad essa. Ciò che ti dava fastidio, diventa la condizione della tua vita, l'orizzonte costante del tuo vivere. Con il tempo addirittura la credi normale questa continua instabilità.

Chi ama sottolineare la “vita” la cerca. Molti credono che “vivere” voglia dire cambiare continuamente; essere “vitali” vuol dire, per molti, fare cose nuove. Sentirsi vivi viene fatto coincidere con non avere legami per essere sempre pronti ad una nuova esperienza.

 È così forte l'instabile clima della confusione, che moltissimi ci restano dentro, anche tra quelli che vogliono dirsi cristiani e magari tradizionali.

 Sì, anche tra i tradizionali: cerchi per istinto il cristianesimo di sempre, quello della Tradizione, e dopo vuoi viverlo senza troppi legami, per assaporarne al suo interno tutte le esperienze possibili; e così non costruisci nulla!

 Insomma, chi fa consistere tutto nel “vitale” pensa che la confusione sia positiva; chi fa consistere tutto nel riferimento a Dio e alla Rivelazione, cerca invece la stabilità.

 È l'inganno dei tempi di confusione: prendi la confusione dilagante come alibi per non impegnarti fino in fondo.

 Cosa fare allora nei tempi di confusione? Cosa chiederci in questa bufera?

 Intanto ricordare che Dio chiede la stabilità: la vita è vocazione. Dio chiama ad abbracciare lo stato di vita dentro il quale crescere nell'unione con Lui, dentro il quale diventare santi. Diventare preti, entrare in convento, sposarsi comporta una stabilità che, secondo il mondo senza Dio, toglie libertà; ma è in questi vincoli vocazionali che Dio dona l'unica vera libertà che è vivere di Lui.

 E vuol dire ricordare che Dio per primo si è “legato” a una stabilità umana quando è diventato uomo per la nostra salvezza, nascendo a Betlemme. E dentro questo vincolarsi all'umano stabile, si è compiuta la nostra salvezza.

 Ecco perché dobbiamo fuggire lo smodato desiderio di libertà come contrario, proprio contrario al metodo di Dio. Carissimi, è su questo che può sorgere o crollare una vita.

 Così la vita cristiana si sviluppa nell'accettazione della stabilità e questa accettazione produce un modo di muoversi.

 Per queste ragioni riteniamo che sia estremamente importante eleggere un luogo di riferimento, un luogo che abbia la vita dentro; e a quel luogo fare obbedienza.

 La Chiesa è il mistico corpo di Cristo, ma è un corpo! È visibile, incontrabile. La grazia di Dio passa dentro i luoghi dove la vita cristiana si esprime con stabilità, come passa attraverso i segni esterni dei sacramenti.

 Come non sarebbe cattolico pretendere la grazia sottraendosi ai segni fisici dei sacramenti, così sarebbe non cattolico vivere la Chiesa come puro riferimento virtuale, senza un legame a un luogo umano reale.

 La Tradizione non è solo un contenuto di Dottrina, che rimane a livello di discorso, è anche un luogo fisico, dove la dottrina è vissuta nella grazia di Cristo. Chi si accosta ai sacramenti nelle nostre chiese e cappelle, che per miracolo sono concesse alla Tradizione della Chiesa, non dovrebbe mai dimenticarlo: questi sacramenti ci sono perché in quel dato luogo si vive la stabilità per Dio.

 Non fidiamoci dei discorsi che abbracciano tutto e costruiscono niente. Non fidiamoci del mondo virtuale (internet) che ci ha diseducato provocandoci a stare alla finestra giudicando tutto e vivendo niente: preghiamo il Signore perché ci indichi un riferimento possibile; e il Signore, che è fedele, ci farà riconoscere il “nostro” luogo della grazia. Ma quando il Signore ce lo avrà fatto incontrare, allora dopo poniamo sinceramente la nostra obbedienza, perché la nostra vita lì sia edificata.

 Nessun tempo di crisi può essere alibi perché non si faccia questa obbedienza. Nessuna confusione può essere alibi per noi, a meno che la confusione ci piaccia ormai per non seguire niente e nessuno. Ma chi non segue niente e nessuno, non può dire di seguire Cristo. Il riferimento a Cristo passa sempre nel riferimento a quel corpo visibile che è la Chiesa.

 E se proprio dobbiamo seguire le notizie e commenti su internet, che ha pur il merito di informare sulla Tradizione della Chiesa e di suscitarne un dibattito, ascoltiamo coloro che non scrivono solo, ma coloro che hanno un reale riferimento di obbedienza a un luogo ecclesiale, coloro che vivono realmente la corporeità della Chiesa, con stabilità.

 Non è a caso che i nemici della tradizione, dopo il motu proprio di Benedetto XVI che dichiarava la messa antica mai abolita, hanno fatto di tutto perché le messe tradizionali fossero episodiche e non stabili. E hanno fatto di tutto perché mai queste messe fossero sorrette da luoghi stabili di dottrina e vita cristiana: noi stiamo ancora attendendo dopo 8 anni la promessa parrocchia personale!

 La cosa triste è che col passare del tempo tanti amanti la Tradizione questa stabilità non la chiedono più, né nella preghiera a Dio né nella dovuta fatica della militanza anche in rapporto all'autorità.

 È invece la grazia più grande che dobbiamo chiedere in questi tempi difficili e insidiosi di confusione: la grazia di non amarla questa confusione per farla poi diventare l'arma della disobbedienza. Ad Oropa, fedeli a un voto, abbiamo domandato soprattutto questo.