giovedì 10 novembre 2016

«Il latte non si nega mai, sorella. E… ».

Lasciate che questa donna parli in pace ».
cap 365


Tutti si affollano ad ascoltare.
«Tu non ti ricordi di me, o Maria di Betlemme. Ma io da trentuno anni ricordo il tuo nome e il tuo viso come
quello della pietà. Ero venuta anche io da lontano, da Perge, per l’Editto. Ed ero gravida. Ma speravo tornare
in tempo. Il marito si ammalò per via, e a Betlemme languì fino a morire. Io avevo partorito da venti giorni
quando egli morì. E le mie grida forarono il cielo e mi seccarono il latte o lo fecero veleno. Io mi coprii di
pustole e di pustole si coprì il figlio mio… E fummo gettati in una spelonca a morire… Ebbene… Tu, tu sola
venisti, guardinga, ogni poco per tutta una luna, portandomi cibo e medicando le mie piaghe, piangendo con
me, dando latte alla mia creatura che è viva per te, per te sola… Hai rischiato di essere uccisa a colpi di
pietra, perché mi chiamavano “la lebbrosa”… Oh! mia stella soave! Non ho dimenticato questo. Sono partita
dopo la guarigione. E ho saputo della strage a Efeso. Ti ho cercata tanto! Tanto! Tanto! Non potevo crederti
uccisa col figlio nella notte tremenda. Ma non ti ho mai trovata. Nella scorsa estate uno di Efeso udì tuo
Figlio, seppe chi era, lo seguì alcun tempo, fu con altri al suo seguito ai Tabernacoli… E tornando ha detto.
Io sono venuta per vederti, o Santa, prima di morire. Per benedirti tante volte quante sono le stille del latte
che hai dato al mio Giovanni, levandolo al Figlio tuo benedetto… ». La donna piange, stando in posa
riverente, un poco curva, con le mani strette alle braccia di Maria…
«Il latte non si nega mai, sorella. E… ».
«Oh! no. Io non sorella tua! Tu, Madre del Salvatore; io, povera donna sperduta, lontana dalla casa, vedova
con figlio al seno, al seno arido come torrente in estate… Senza te sarei morta. Tu tutto mi hai dato, ed ho
potuto tornare dai fratelli miei, mercanti ad Efeso, per te ».
«Eravamo due madri, due povere madri, con due bambini, per il mondo. E tu avevi il tuo dolore di vedova, io
quello di dover essere trafitta nel mio Figlio, come diceva nel Tempio il vecchio Simeone. Non ho fatto che
il mio dovere di sorella dandoti ciò che tu non avevi più. E il figlio tuo vive? ».
«Egli è là. E il tuo Figlio santo me lo ha guarito questa mattina. Che ne sia benedetto! ». E la donna si prostra
al Salvatore gridando: «Vieni, Giovanni, a ringraziare il Signore ».
Viene avanti, lasciando i compagni, un uomo dell’età di Gesù, robusto, dal volto leale se non bello. Di bello
ha l’espressione degli occhi profondi.
«La pace a te, fratello di Betlem. Di che ti ho guarito? ».
«Dalla cecità, Signore. Un occhio perduto, l’altro prossimo a perdersi. Ero sinagogo, ma non potevo più
leggere i sacri rotoli ».
«Ora li leggerai con maggior fede ».
«No, Signore. Ora leggerò Te. Voglio rimanere come discepolo. E senza vantare diritti per le gocce del latte
succhiate al seno dove Tu ti nutrivi. Non sono niente i giorni di una luna per creare un legame. Ma tutto è la
pietà di tua Madre, allora, e la tua di questa mattina ».
Gesù si volge alla donna: «E tu che ne pensi? ».
«Che mio figlio ti appartiene per due volte. Accettalo, Signore. E il sogno della povera Noemi sarà
compiuto».
«Sta bene. Sarai del Cristo. A voi: ricevete il compagno in nome del Signore », dice volgendosi agli apostoli.
I proseliti sono esaltati di emozione. Gli uomini vorrebbero subito rimanere. Tutti. Ma Gesù fermamente
dice: «No. Voi restate ciò che siete. Tornate alle vostre case conservando la fede e attendendo l’ora della
chiamata. E il Signore sia sempre con voi. Andate ».
«Potremo trovarti ancora qui? », chiedono.
«No. Come uccello che vola di ramo in ramo, Io andrò senza sosta. Non mi troverete qui. Non ho itinerario e
dimora. Ma, se giusto sarà, ci vedremo e mi udrete. Andate. Resti la donna col nuovo discepolo ».
Ed entra in casa seguito dalle donne e dagli apostoli, che commentano commossi l’episodio, ignorato fino ad
allora, e la carità profonda di Maria.

IL PURGATORIO: COSA È E IN COSA CONSISTE

Il Purgatorio negli scritti di Maria Valtorta
17 ottobre. Dice Gesù:

«Ti voglio spiegare cosa è e in cosa consiste il Purgatorio. E te lo spiego Io, con forma che urterà tanti che si credono depositari della conoscenza dell'al di là e non lo sono. Le anime immerse in quelle fiamme non soffrono che per l'amore. 

Non immeritevoli di possedere la Luce, ma neppure degne di entrarvi subito, nel Regno di Luce, esse, al loro presentarsi a Dio, vengono investite dalla Luce. È una breve, anticipata beatitudine, che le fa certe della loro salvezza e le fa cognite di cosa sarà la loro eternità ed esperte di ciò che commisero verso la loro anima, defraudandola di anni di beata possessione di Dio. Immerse poi nel luogo di purgazione, sono investite dalle fiamme espiatrici. 

In questo, coloro che parlano del Purgatorio dicono giusto. Ma dove non sono nel giusto è nel volere applicare nomi diversi a quelle fiamme. Esse sono incendio d'Amore. Esse purificano accendendo le anime d'amore. Esse danno l'Amore perché, quando l'anima ha raggiunto in esse quell'amore che non raggiunse in terra, ne viene liberata e si congiunge all'Amore in Cielo. Ti pare dottrina diversa dalla cognita, vero? Ma rifletti. Cosa vuole il Dio Uno a Trino per le anime da Lui create? Il Bene. Chi vuole il Bene per una creatura, che sentimenti ha per la creatura? Sentimenti d'amore. 

Quale è il comandamento primo e secondo, i due più importanti, quelli che Io ho detto non esservene più grandi ed essere in quelli la chiave per raggiungere la vita eterna? È il comandamento d'amore: Ama Dio con tutte le tue forze, ama il prossimo come te stesso. 

Per bocca mia e dei profeti e dei santi, cosa vi ho detto infinite volte? Che la Carità è la più grande delle assoluzioni. La Carità consuma le colpe e le debolezze dell'uomo, perché chi ama vive in Dio, e vivendo in Dio poco pecca, e se pecca subito si pente, e per chi si pente vi è il perdono dell'Altissimo. A cosa mancarono le anime? All'Amore. Se avessero molto amato, avrebbero commesso pochi e lievi peccati, connessi alla debolezza e imperfezione vostra. Ma non avrebbero mai raggiunto la pertinacia cosciente nella colpa anche veniale. Si sarebbero studiate di non addolorare il loro Amore, e l'Amore, vedendo la loro buona volontà, le avrebbe assolte anche delle venialità commesse.

Come si ripara, anche sulla terra, una colpa? Espiandola e, se appena si può, attraverso il mezzo con cui si è commessa. Chi ha danneggiato, restituendo quanto ha levato con prepotenza. Chi ha calunniato, ritrattando la calunnia, e così via. 

Ora, se questo vuole la povera giustizia umana, non lo vorrà la Giustizia santa di Dio? E quale mezzo userà Dio per ottenere riparazione? Se stesso, ossia l'Amore, ed esigendo amore. 

Questo Dio che avete offeso, e che vi ama paternamente, e che vuole congiungersi con le sue creature, vi porta ad ottenere questo congiungimento attraverso a Se stesso. 

Tutto si impernia sull'Amore, Maria, fuorché per i morti veri: i dannati. Per essi morti è morto anche l'Amore. Ma per i tre regni - quello più pesante: la Terra; quello in cui è abolito il peso della materia ma non dell'anima gravata dal peccato: il Purgatorio; e infine quello dove gli abitatori di esso condividono con il Padre loro la natura spirituale che li affranca da ogni gravame - il motore è l'Amore. È amando sulla terra che lavorate per il Cielo. È amando nel Purgatorio che conquistate il Cielo che in vita non avete saputo meritare. È amando in Paradiso che godete il Cielo. 

Quando un'anima è nel Purgatorio non fa che amare, riflettere, pentirsi alla luce dell'Amore che per lei ha acceso quelle fiamme, che già sono Dio, ma le nascondono Dio per sua punizione. 

Ecco il tormento. L'anima ricorda la visione di Dio avuta nel giudizio particolare. Si porta seco quel ricordo e, poiché l'avere anche solo intravisto Iddio è gaudio che supera ogni creata cosa, l'anima è ansiosa di rigodere di quel gaudio. Quel ricordo di Dio e quel raggio di luce che l'ha investita al suo comparire davanti a Dio, fanno sì che l'anima veda nella loro vera entità le mancanze commesse contro il suo Bene, e questo vedere costituisce, insieme al pensiero che per quelle mancanze si è volontariamente interdetto il possesso del Cielo e l'unione con Dio per anni o secoli, costituisce la sua pena purgativa. 

È l'amore, e la certezza di avere offeso l'Amore, il tormento dei purganti. Più un'anima nella vita ha mancato e più è come accecata da spirituali cataratte, che le rendono più difficile il conoscere e raggiungere quel perfetto pentimento d'amore che è il coefficiente primo della sua purgazione e dell'entrata nel Regno di Dio. L'amore è appesantito nel suo vivere e reso tardo quanto più un'anima lo ha oppresso con la colpa. Man mano che per potere dell'Amore essa si monda, si accelera la sua risurrezione all'amore e, di conseguenza, la sua conquista dell'Amore, che si completa nel momento in cui, finita l'espiazione e raggiunta la perfezione dell'amore, essa viene ammessa nella Città di Dio.

Bisogna molto pregare perché queste anime, che soffrono per raggiungere la Gioia, siano veloci nel raggiungere l'amore perfetto che le assolve e le unisce a Me. Le vostre preghiere, i vostri suffragi, sono altrettanti aumenti di fuoco d'amore. Aumentano l'ardore. Ma - oh! beato tormento! - aumentano anche la capacità di amare. Accelerano il processo di purgazione. Innalzano a gradi sempre più alti le anime immerse in quel fuoco. Le portano alle soglie della Luce. 

Aprono le porte della Luce, infine, e introducono l'anima in Cielo. 

Ad ognuna di queste operazioni, provocate dalla vostra carità per chi vi ha preceduto nella seconda vita, corrisponde un soprassalto di carità per voi. Carità di Dio che vi ringrazia di provvedere ai suoi figli penanti, carità dei penanti che vi ringraziano di adoperarvi per immetterli nel gaudio di Dio. 

Mai come dopo la morte della terra i vostri cari vi amano, perché il loro amore è ormai infuso della Luce di Dio e a questa Luce essi comprendono come voi li amate e come avrebbero dovuto amarvi. 

Non possono più dirvi parole che invocano perdono e danno amore. Ma le dicono a Me per voi, ed Io ve le porto, queste parole dei vostri Morti, che ora vi sanno vedere e amare come si deve. Ve le porto insieme alla loro richiesta di amore e alla loro benedizione. Già valida sin dal Purgatorio, perché già infusa dell'accesa Carità che li arde e purifica. Perfettamente valida, poi, dal momento in cui, liberati, verranno incontro a voi sulle soglie della Vita o si riuniranno a voi nella stessa, se già voi li avete preceduti nel Regno d'Amore. 

Fida in Me, Maria. Io lavoro per te e per i tuoi più cari. Solleva il tuo spirito. Vengo per darti la gioia. Fidati di Me.»