lunedì 31 ottobre 2016

Non voglio andare all'inferno! GESU' MIO PERDONA LE NOSTRE COLPE ! PRESERVACI DAL FUOCO DELL'INFERNO !


ANNA E CLARA 
(Lettera dall'Inferno)

IMPRIMATUR

E Vicariatu Urbis, die 9 aprilis 1952 

+ ALOYSIUS TRAGLIA
 Archie.us Caesarien. Vicesgerens

INVITO

Il fatto qui esposto ha un'importanza eccezionale. L'originale è in lingua tedesca; delle edizioni sono state eseguite in altre lingue.
Il Vicariato di Roma ha dato il permesso di pubblicare lo scritto. L'«Imprimatur» dell'Urbe è garanzia della traduzione dal tedesco e della serietà del tremendo episodio.
Sono pagine svelte e terribili e raccontano un tenore di vita in cui vivono molte persone dell'odierna società. La misericordia di Dio, permettendo il fatto qui narrato, solleva il velo del più spaventoso mistero che ci attende al termine della vita.
Ne sapranno approfittare le anime?...

PREMESSA

Clara e Annetta, giovanissime, lavoravano in una: Ditta commerciale a*** (Germania).
Non erano legate da profonda amicizia, ma da semplice cortesia. Lavoravano. ogni giorno l'una accanto all'altra e non poteva mancare uno scambio di idee: Clara si dichiarava apertamente religiosa e sentiva il dovere di istruire e richiamare Annetta, quando questa si dimostrava leggera e superficiale in fatto di religione.
Trascorsero qualche tempo assieme; poi Annetta contrasse matrimonio e si allontanò dalla Ditta. Nell'autunno di quell'anno, 1937, Clara trascorreva le vacanze in riva al lago di Garda. Verso la metà di settembre la mamma le mandò dal paese natio una lettera: «E' morta Annetta N... E' rimasta vittima di un incidente automobilistico. L'hanno sepolta ieri nel "Waldfriedhof"».
La notizia spaventò la buona signorina, sapendo che l'amica non era stata tanto religiosi. Era preparàta a presentarsi davanti a Dio?... Morendo all'improvviso, come si sarà trovata?...
L'indomani ascoltò la S. Messa e fece anche la Comunione in sud suffragio, pregando fervorosamente. La notte seguente, 10 minuti dopo la mezzanotte, ebbe luogo la visione...

«Clara, non pregare per me! Sono dannata. Se te lo comunico e te ne riferisco piuttosto lungamente non credere che ciò avvenga a titolo di amicizia. Noi qui non amiamo più nessuno. Lo faccio come costretta. Lo faccio come « parte di quella potenza che sempre vuole il male e opera il bene ».
In verità vorrei vedere anche te approdare a questo stato, dove io ormai ho gettato l'àncora per sempre!
Non stizzirti di questa intenzione. Qui noi pensiamo tutti così. La nostra volontà è impietrita nel male in ciò che voi appunto chiamate « male ». Anche quando noi facciamo qualche cosa di «bene», come io ora, spalancandoti gli occhi sull'inferno, questo non avviene con buona intenzione.

Ti ricordi ancora che quattro anni fa ci siamo conosciute a * * *? Contavi allora 23 anni e ti trovavi colà da mezz'anno quando ci arrivai io.
Tu mi hai levata da qualche impiccio; come a principiante, mi hai dato dei buoni indirizzi. Ma che vuol dire «buono»?
Io lodavo allora il tuo « amore del prossimo». Ridicolo! Il tuo soccorso derivava da pura civetteria, come, del resto, lo sospettavo già fin d'allora. Noi non riconosciamo qui nulla di buono. In nessuno.
Il tempo della mia giovinezza lo conosci. Certe lacune le riempio qui. 

Secondo il piano dei miei genitori, a dire il vero, non sarei neanche dovuta esistere. « Capitò loro appunto una disgrazia». Le mie due sorelle contavano già 14 e 15 anni, quando io tendevo alla luce.
Non fossi mai esistita! Potessi ora annientarmi e sfuggire a questi tormenti! Nessuna voluttà uguaglierebbe quella con cui lascerei la mia esistenza, come un vestito di cenere, che si perde nel nulla.
Ma io devo esistere. Devo esistere così come mi son fatta io: con una esistenza fallita.

Quando papà e mamma, ancora giovani, si trasferirono dalla campagna in città ambedue avevano perduto il contatto con la Chiesa. E fu meglio così.
Simpatizzarono con gente non legata alla chiesa. Si erano conosciuti in un ritrovo danzante e mezz'anno dopo « dovettero » sposarsi.
Nella cerimonia nuziale rimase attaccata a loro tant'acqua santa, che la mamma si recava in chiesa alla Messa domenicale un paio di volte l'anno. [!!!] Non mi ha mai insegnato a pregare davvero. Si esauriva nella cura quotidiana della vita, benché la nostra situazione non fosse disagiata.
Parole come: pregare, Messa, istruzione religiosa, chiesa...  le dico con una ripugnanza intera senza pari. Aborrisco tutto, come odio chi frequenta la chiesa e in genere tutti gli uomini e tutte le cose.
Da tutto, infatti, ci deriva tormento. Ogni cognizione ricevuta in punto di morte, ogni ricordo di cose vissute o sapute, è per noi una fiamma pungente.

E tutti i ricordi ci mostrano quel lato che in essi era grazia, e che noi sprezzammo. Quale tormento è questo! Noi non mangiamo, non dormiamo, non camminiamo coi piedi. Spiritualmente incatenati, guardiamo inebetiti « con urla e stridor di denti » la nostra vita andata in fumo:  odiando e tormentati!
Senti? Noi qui beviamo l'odio come acqua. Anche l'uno verso l'altro. Soprattutto noi odiamo Dio.
Te lo voglio... rendere comprensibile.

I Beati in cielo devono amarlo, perché essi lo vedono senza velo, nella sua bellezza abbagliante. Ciò li beatìfica talmente, da non poterlo descrivere. Noi lo sappiamo e questa cognizione ci rende furibondi. 
Gli uomini in terra che conoscono Dio dalla creazione e dalla rivelazione, possono amarlo; ma non ne sono costretti. Il credente - lo dico digrignando i denti - il quale, meditabondo, contempla Cristo in croce, con le braccia stese, finirà con l'amarlo.
Ma colui al quale Dio si avvicina solo nell'uragano come punitore, come giusto vendicatore, perché un giorno fu da lui ripudiato, come avvenne di noi, costui non può che odiarlo, con tutto l'impeto della sua malvagia volontà, eternamente, in forza della libera accettazione di esseri separati da Dio: risoluzione con la quale, morendo, abbiamo esalato l'anima nostra e che neppure ora ritiriamo e non avremo mai la volontà di ritirare.

Comprendi ora perché l'inferno dura eternamente? Perché la nostra ostinazione giammai si scioglierà da noi.

Costretta, aggiungo che Dio è misericordioso persino verso di noi. Dico « costretta ». Poiché, anche se dico queste cose volutamente, pure non mi è permesso di mentire, come volentieri vorrei. Molte cose le affermo contro la mia volontà. Anche la foga d'improperi, che vorrei vomitare la devo strozzare.
Dio fu misericordioso verso di noi col non lasciare esaurire sulla terra la nostra malvagia volontà, come noi saremmo stati pronti a fare. Ciò avrebbe aumentato le nostre colpe e le nostre pene. Egli ci fece morire anzitempo, come me, o fece intervenire altre circostanze mitiganti.
Ora egli si dimostra, misericordioso verso di noi col non costringerci ad avvicinarci a lui più di quanto lo siamo in questo remoto luogo infernale; ciò diminuisce il tormento.
Ogni passo che mi portasse più vicino a Dio, mi cagionerebbe una pena maggiore di quella che a te recherebbe un passo più vicino a un rogo ardente.

Ti sei spaventata, quando io una volta, durante il passeggio, ti raccontai che mio padre, pochi giorni avanti la mia prima Comunione, mi aveva detto: « Annettina, cerca di meritarti 
un bel vestitino; il resto è una montatura ».
Per il tuo spavento quasi mi sarei perfino vergognata. Ora ci rido sopra. L'unica cosa ragionevole in quella montatura era che ci si ammetteva alla Comunione solo a dodici anni. Io allora, ero già abbastanza presa dalla mania dei divertimenti mondani, così che senza scrupoli mettevo in un canto le cose religiose e non diedi grande importanza alla prima Comunione.
Che parecchi bambini vadano ora alla Comunione già a sette anni, ci mette in furore. Noi facciamo di tutto per dare a intendere alla gente che ai bambini manca una cognizione adeguata. Essi devono prima commettere alcuni peccati mortali.
Allora la bianca Particola non fa più in essi così gran danno, come quando nei loro cuori vivono ancora la fede, la speranza e la carità puh! questa roba ricevute nel battesimo. TI ricordi come abbia già sostenuto sulla terra questa opinione?

Ho accennato a mio padre. Egli era sovente in lite con la mamma. Te ne feci allusione solo raramente; me ne vergognavo. Cosa ridicola la vergogna del male! Per noi, qui tutto è lo stesso.
I miei genitori neanche dormivano più nella medesima camera; ma io con la mamma, e il papà nella camera attigua, dove poteva rincasare liberamente a qualsiasi ora. Beveva molto; in tal modo scialacquava il nostro patrimonio. Le mie sorelle erano ambedue impiegate e abbisognavano esse stesse, dicevano, del denaro che guadagnavano. La mamma, cominciò a lavorare per guadagnare qualche cosa.
Nell'ultimo anno di vita papà batteva spesso la mamma, quando lei non gli voleva dar nulla. Verso di me, invece. fu sempre amorevole. Un giorno te l'ho raccontato e tu, allora, ti sei urtata del mio capriccio (di che cosa non ti sei urtata nei miei riguardi?) un giorno dovette portare indietro, per ben due volte, le scarpe comprate, perché la forma e i tacchi non erano per me abbastanza moderni.

La notte, in cui mio padre fu colpito da apoplessia mortale, avvenne qualche cosa che io, per timore di una interpretazione disgustosa, non riuscii mai a confidarti. Ma ora devi saperlo. E' importante per questo: allora per la prima volta fui assalita dal mio spirito tormentatore attuale.
Dormivo in camera con mia madre. I suoi respiri regolari dicevano il suo profondo sonno.
Quand'ecco mi sento chiamare per nome. Una voce ignota mi dice: « Che sarà se muore papà? ».
Non amavo più mio padre, dacché trattava così villanamente la mamma; come, del resto, non amavo fin d'allora assolutamente nessuno, ma ero solamente affezionata ad alcune persone, che erano buone verso di me. L'amore senza speranza di contraccambio terreno, vive solo nelle anime in stato di Grazia. E io non lo ero.
Così risposi alla misteriosa domanda, senza darmi conto donde venisse: « Ma non muore mica! ».
Dopo una breve pausa di nuovo la stessa domanda chiaramente percepita. « Ma non muore mica! » mi scappò ancora di bocca, bruscamente.
Per la terza volta fui richiesta: « Che sarà se muore tuo padre? ». Mi si presentò alla mente come papà spesso veniva a casa piuttosto ubriaco, strepitava, maltrattava la mamma, e come egli ci aveva messi in una condizione umiliante dinanzi alla gente. Perciò gridai indispettita. « E gli sta bene! ».
Allora tutto tacque.
La mattina seguente, quando la mamma volle mettere in ordine la stanza del babbo, trovò la porta chiusa a chiave. Verso mezzogiorno si forzò la porta. Mio padre, mezzo vestito, giaceva cadavere sul letto. Nell'andare a prendere la birra in cantina, doveva essersi buscato qualche accidente. Era già da lungo tempo malaticcio. (*)

(*) Aveva forse Dio legato la salvezza del padre all'opera buona della figlia, verso la quale quell'uomo era stato pur buono? Quale responsabilità per ognuna, lasciar perdere l'occasione di fare del bene al prossimo!

Marta K ... e tu mi avete indotta a entrare nell' « Associazione delle Giovani ». Veramente non ho mai nascosto che trovavo abbastanza intonate con la moda parrocchiale le istruzioni delle due direttrici, le signorine X ...
I giuochi erano divertenti. Come sai vi ebbi subito una parte direttiva. Ciò mi andava a genio.
Anche le gite mi piacevano. Mi lasciai perfino indurre alcune volte ad andare alla Confessione e alla Comunione.

A dire il vero, non avevo nulla da confessare. Pensieri e discorsi per me non avevano importanza. Per azioni più grossolane, non ero ancora abbastanza corrotta.

Tu mi ammonisti una volta: « Anna, se non preghi, vai alla perdizione! ». Io pregavo davvero poco e anche questo, solo svogliatamente.
Allora tu avevi purtroppo ragione. Tutti coloro che bruciano nell'inferno non hanno pregato, o non hanno pregato abbastanza.
La preghiera è il primo passo verso Dio. E rimane il passo decisivo. Specialmente la preghiera a colei che fu la Madre di Cristo, il nome della quale noi non nominiamo mai.
La devozione a lei strappa al demonio innumerevoli anime, che il peccato gli consegnerebbe infallibilmente nelle mani.

Proseguo il racconto consumandomi d'ira e solo perché devo. Pregare è la cosa più facile che l'uomo possa fare sulla terra. E proprio a questa cosa facilissima Dio ha legato la salvezza di ognuno.
A chi prega con perseveranza egli a poco a poco dà tanta luce, lo fortifica in maniera tale, che alla fine anche il peccatore più impantanato si può definitivamente rialzare. Fosse pure ingolfato nella melma fino al collo.
Negli ultimi anni della mia vita non ho più pregato come di dovere e così mi sono privata delle grazie, senza le quali nessuno può salvarsi.

Qui non riceviamo più nessuna grazia. Anzi, quand'anche le ricevessimo, le rifiuteremmo cinicamente. Tutte le fluttuazioni dell'esistenza terrena sono cessate in quest'altra vita.
Da voi sulla terra l'uomo può salire dallo stato di peccato allo stato di Grazia e dalla Grazia cadere in peccato: spesso per debolezza, talvolta per malizia.
Con la morte questa salire e scendere finisce, perché ha la sua radice nella imperfezione dell'uomo terreno. Ormai. abbiamo raggiunto lo stato finale.
Già col crescere degli anni i cambiamenti divengono più rari. E' vero, fino alla morte si può sempre rivolgersi a Dio o voltargli le spalle. Eppure, quasi trascinato dalla corrente, l'uomo, prima del trapasso, con gli ultimi deboli resti nella volontà, si comporta come era abituato nella vita.
La consuetudine, buona o cattiva, diviene una seconda natura. Questa lo trascina con sè.

Così avvenne anche a me. Da anni vivevo lontana da Dio. Per questo nell'ultima chiamata della Grazia mi risolvetti contro Dio.
Non fu il fatto che peccassi spesso a esser fatale per me, ma che io non volli più risorgere.
Tu mi hai più volte ammonita, di ascoltare le prediche, di leggere libri di pietà. « Non ho tempo », era la mia risposta ordinaria. Non ci mancava altro per aumentare la mia incertezza interna!
Del resto devo constatare questo: dal momento che la cosa era ormai così avanzata, poco prima della mia uscita dalla « Associazione delle Giovani », mi sarebbe riuscito enormemente gravoso mettermi su un'altra via. Io mi sentivo malsicura e infelice. Ma davanti alla conversione si ergeva una muraglia.
Tu non lo devi aver sospettato. Tu te l'eri rappresentata così semplice quando un giorno mi dicesti: « Ma fa una buona Confessione, Anna, e tutto è a posto ».
Io sentivo che sarebbe stato così. Ma il mondo, il demonio, la carne mi tenevano già troppo saldamente nei loro artigli. 

All'influsso del demonio non credetti mai. E ora attesto che egli influisce gagliardamente sulle persone che si trovano nella condizione in cui mi trovavo io allora.
Soltanto molte preghiere, di altri e di me stessa, congiunte con sacrifici e sofferenze, mi avrebbero potuta strappare da lui.
E anche ciò, solo a poco a poco. Se ci sono pochi ossessi esternamente, di ossessi internamente ce n'è un formicolaio. Il demonio non può rapire la libera volontà a coloro che si dànno al suo influsso. Ma in pena della loro, per dir così, metodica apostasia da Dio, questi permette che il « maligno» si annidi in essi.
Io odio anche il demonio. Eppure egli mi piace, perchè cerca di rovinare voialtri; lui e i suoi satelliti, gli spiriti caduti con lui al principio del tempo.

Essi si contano a milioni. Girovagano per la terra, densi come uno sciame di moscerini, e voi neanche ve ne accorgete
Non tocca a noi riprovati di tentarvi; questo è, ufficio degli spiriti decaduti. Veramente ciò accresce ancor più il loro tormento ogni volta che essi trascinano quaggiù all'inferno un'anima umana. Ma che cosa non fa mai l'odio?

Benché io camminassi per sentieri lontani da Dio, Dio mi seguiva.
Preparavo la via alla Grazia con atti di carità naturale che compivo non di rado per inclinazione dei mio temperamento.
Talvolta Dio mi attirava in una chiesa. Allora sentivo come una nostalgia. Quando curavo la mamma malaticcia, nonostante il lavoro d'ufficio durante il giorno, e in certo modo mi sacrificavo davvero, questi allettamenti di Dio agivano potentemente.
Una volta, nella chiesa dell'ospedale, in cui tu mi avevi condotta durante la pausa del mezzogiorno, mi venne qualcosa addosso che sarebbe bastato un solo passo per la mia conversione: io piansi!
Ma poi la gioia del mondo passava di nuovo come un torrente sopra la Grazia.
Il grano soffocava tra le spine.
Con la dichiarazione che la religione è affare di sentimento, come si diceva sempre in ufficio, cestinai anche questo invito della Grazia, come tutti gli altri.
Una volta tu mi rimproverasti, perché invece di una genuflessione fino a terra, feci appena un informe inchino, piegando il ginocchio. Tu lo ritenesti un atto di pigrizia. Non sembrasti neppur sospettare che io fin d'allora non credevo più nella presenza di Cristo nel Sacramento.
Ora ci credo, ma solo naturalmente, come si crede in un temporale di cui si scorgono gli effetti.

Intanto mi ero accomodata io stessa una religione a mio modo.
Sostenevo l'opinione, che da noi in ufficio era comune, che l'anima dopo la morte risorga in un altro essere. In tal modo continuerebbe a pellegrinare senza fine.
Con ciò l'angosciosa questione dell'al di là era insieme messa a posto e resa a me innocua.

 Perché tu non mi hai ricordato la parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro, in cui il narratore, Cristo, manda, immediatamente dopo la morte, l'uno all'inferno e l'altro in paradiso?... Del resto, che cosa avresti ottenuto? Nulla di più che con gli altri tuoi discorsi di bigottismo!
A poco a poco mi creai io stessa un Dio: sufficientemente dotato da essere chiamato Dio; lontano abbastanza da me da non dover mantenere nessuna relazione con lui; vago abbastanza da lasciarsi, secondo il bisogno, senza mutar la mia religione; rassomigliare a un Dio panteistico del mondo, oppure da lasciarsi poetizzare come un Dio solitario.
Questo Dio non aveva nessun paradiso da regalarmi e nessun inferno da infliggermi. Lo lasciavo in pace. In ciò consisteva la mia adorazione per lui.

A ciò che piace si crede volentieri. Nel corso degli anni mi tenni abbastanza convinta della mia religione. In questo modo si poteva vivere.
Una cosa soltanto mi avrebbe spezzato la cervice: un lungo, profondo dolore. E questo dolore non venne!
Comprendi ora cosa vuol dire: « Dio castiga quelli che ama »?

Era una domenica di luglio, quando l'Associazione delle giovani organizzò una gita a * * *. La gita mi sarebbe piaciuta. Ma quegli insulsi discorsi, quel fare da bigotti mi
[urtavano]
Un altro simulacro ben diverso da quello della Madonna di * * * stava da poco tempo sull'altare del mio cuore. L'aitante Max N.... del negozio attiguo. Poco tempo prima avevamo scherzato più volte.
Appunto per quella, domenica, egli mi aveva invitata a una gita. Quella con cui andava di solito, giaceva, malata all'ospedale.
Egli aveva ben capito che gli avevo messo gli occhi addosso. Sposarlo non ci pensavo ancora allora. Era bensì agiato, ma si comportava troppo gentilmente con tutte le ragazze. E io, fino a quel tempo, volevo un uomo che appartenesse unicamente a me. Non sola essere moglie, ma moglie unica. Un certo galateo naturale, infatti, l'ebbi sempre.
Nella suaccennata gita Max si profuse in gentilezze. Eh! già, non si tennero mica delle conversazioni pretesche come tra voialtre!
Il giorno seguente, in ufficio, tu mi facesti dei rimproveri, perchè non ero venuta con voi a * * *. Io ti descrissi il mio divertimento di quella domenica.
La tua prima domanda fu: « Sei stata alla Messa? » Sciocchina! Come potevo, dato che la partenza era fissata per le sei?!
Sai ancora, come io, eccitata aggiunsi: « Il buon Dio non ha una mentalità così piccina come i vostri pretacci! ».

Ora devo confessare: Dio, nonostante la sua infinita bontà, pesa le cose con maggior precisione che tutti i preti.
Dopo quella prima gita con Max, venni ancora una volta sola all'Associazione: a Natale, per la celebrazione della festa. C'era qualche cosa che mi allettava a tornare. Ma internamente mi ero già allontanata da voialtre:
Cinema, ballo, gite si avvicendevano senza tregua. Max e io bisticciammo alcune volte, ma seppi sempre incatenarlo di nuovo a me.
Molestissima mi riuscì l'altra amante, che, tornata dall'ospedale, si comportò come un'ossessa. Veramente per mia fortuna; poiché la mia nobile calma fece potente impressione su Max, che fini col decidere, che io fossi la preferita.
Avevo saputo rendergliela odiosa, parlando freddamente: all'esterno positiva, nell'interno vomitando veleno. Tali sentimenti e tale contegno preparano eccellentemente per l'inferno. Sono diabolici nel più stretto senso della parola.

Perché ti racconto ciò? Per riferire come io mi staccai definitivamente da Dio. Non già, del resto, che tra me e Max si sia arrivati molto spesso fino agli estremi della familiarità. Comprendevo che mi sarei abbassata ai suoi occhi, se mi fossi lasciata andare del tutto, prima del tempo; perciò mi seppi trattenere.
Ma in sé, ogni volta che lo ritenevo utile, ero sempre pronta a tutto. Dovevo conquistare Max. A tale scopo nulla era troppo caro. Inoltre, a poco a poco ci amavamo, possedendo ambedue non poche preziose qualità, che ci facevano stimare vicendevolmente. Io ero abile, capace, di piacevole compagnia. Così mi tenni saldamente in mano Max e riuscii, almeno negli ultimi mesi prima del matrimonio, a essere l'unica, a possederlo.
In ciò consistette la mia apostasia da Dio: elevare una creatura a mio idolo. In nessuna cosa può avvenire questo, in modo che abbracci tutto, come nell'amore di una persona dell'altro sesso, quando quest'amore rimane arenato nelle soddisfazioni terrene. E' questo che forma la sua attrattiva, il suo stimolo e il suo veleno.

L' « adorazione », che io tributavo a me stessa nella persona di Max, divenne per, me religione vissuta.

Era il tempo in cui in ufficio mi scagliavo velenosa contro i chiesaioli, i preti, le indulgenze, il biascichìo dei rosari e simili sciocchezze.
Tu hai cercato, più o meno argutamente, di prendere le difese di tali cose. Apparentemente senza sospettare che nel più intimo di me non si trattava, in verità, di queste cose, io cercavo piuttosto un sostegno contro la mia coscienza: allora avevo bisogno di un tale sostegno per giustificare anche con la ragione la mia apostasia.
In fondo in fondo, mi rivoltavo contro Dio. Tu non lo comprendesti; mi ritenevi ancora per cattolica. Volevo, anzi, essere chiamata così; pagavo perfino le tasse ecclesiastiche. Una certa « controassicurazione», pensavo, non poteva nuocere.
Le tue risposte può darsi alle volte abbiano colpito nel segno. Su di me non facevano presa, perché tu non dovevi avere ragione.
A causa di queste relazioni falsate fra noi due, fu meschino il dolore del nostro distacco, allorché ci separammo in occasione del mio matrimonio.

Prima dello sposalizio mi confessai e comunicai ancora una volta, Era prescritto. Io e mio marito su questo punto la pensavamo ugualmente. Perché non avremmo dovuto compiere questa formalità? Anche noi la compimmo, come le altre formalità.
Voi chiamate indegna una tale Comunione. Ebbene, dopo quella Comunione « indegna », io ebbi più calma nella coscienza. Del resto fu anche l'ultima.

La nostra vita coniugale trascorreva, in genere, quanto mai in grande armonia. Su tutti i punti di vista noi eravamo dello stesso parere. Anche in questo: che non volevamo addossarci il peso dei figli. Veramente mio marito ne avrebbe volentieri voluto uno; non di più, si capisce. Alla fine io seppi stornarlo anche da questo desiderio.
Vesti, mobili di lusso, ritrovi da thè, gite e viaggi in auto e simili distrazioni m'importavano di più.
Fu un anno di piacere sulla terra quello trascorso tra il mio sposalizio e la mia repentina morte.
Ogni domenica andavamo fuori in auto, oppure facevamo visite ai parenti di mio marito. Di mia madre ora mi vergognavo. Essi galleggiavano alla superficie dell'esistenza, né più né meno di noi.

Internamente, si capisce, non mi sentii mai felice, per quanto esternamente ridessi. C'era sempre dentro di me qualcosa di indeterminato, che mi rodeva. Avrei voluto che dopo la morte, la quale naturalmente doveva essere ancora molto lontana, tutto fosse finito.
Ma è proprio così, come un giorno, da bambina, sentii dire in una predica: che Dio premia ogni opera buona che uno compie, e quando non la potrà ricompensare nell'altra vita, lo fa sulla terra.
Inaspettatamente ebbi un'eredità dalla zia Lotte. A mio marito riuscì felicemente di portare il suo stipendio a una cifra notevole. Così potei ordinare la nuova abitazione in modo attraente.
La religione non mandava più che da lontano la sua luce, scialba, debole e incerta.
I caffè della città, gli alberghi, in cui andavamo durante i viaggi, non ci portavano certamente a Dio.
Tutti coloro, che frequentavano quei luoghi, vivevano, come noi, dall'esterno all'interno, non dall'interno all'esterno.
Se nei viaggi delle ferie visitammo qualche chiesa, cercavamo di ricrearci nel contenuto artistico delle opere. L'alito religioso che spiravano, specialmente quelle medioevali, sapevo neutralizzarlo col criticare qualche circostanza accessoria: un frate converso impacciato o vestito in modo non pulito, che ci faceva da cicerone; lo scandalo che dei monaci, i quali volevano passare per pii, vendessero liquori; l'eterno scampanio per le sacre funzioni, mentre non si tratta che di far soldi...
Così seppi continuamente scacciare da, me la Grazia ogni volta che bussava. Lasciavo libero sfogo al mio malumore in modo particolare su certe rappresentazioni medioevali dell'inferno nei cimiteri o altrove, nelle quali il demonio arrostisce le anime in brage rosse e incandescenti, mentre i suoi compagni, dalle lunghe code, gli trascinano nuove vittime. 
Clara! L'inferno si può sbagliare a disegnarlo, ma non si esagera mai.
Il fuoco dell'inferno l'ho sempre preso di mira in modo speciale. Tu lo sai come durante un alterco, in proposito ti tenni una volta un fiammifero sotto il naso e ti dissi con sarcasmo: «Ha questo odore?» Tu spegnesti in fretta la fiamma. Qui non la spegne nessuno.

Io ti dico: il fuoco di cui si parla nella Bibbia, non significa tormento della coscienza. Fuoco è fuoco! E' da intendersi letteralmente ciò che ha detto lui: «Via da me, maledetti, nel fuoco eterno! ». Letteralmente.
«Come può lo spirito essere toccato da fuoco materiale? », domanderai. Come può l'anima tua soffrire sulla terra quando tu metti il dito sulla fiamma? Difatti non brucia l'anima; eppure che tormento ne prova tutto l'individuo!
In modo analogo noi qui siamo spiritualmente legati al fuoco, secondo la nostra natura e secondo le nostre facoltà. L'anima nostra è priva del suo naturale battito d'ala; noi non possiamo pensare ciò che vogliamo né come vogliamo. 

Non meravigliarti di queste mie parole. Questo stato, che a voialtri non dice nulla, mi riarde senza consumarmi.

Il nostro maggior tormento consiste nel sapere con certezza che noi non vedremo mai Dio.
Come può questo tormentare tanto, dal momento che uno sulla terra rimane così indifferente?
Fintanto che il coltello giace sulla tavola, ti lascia fredda. Si vede quanto è affilato, ma non lo si prova. Immergi il coltello nella carne e ti metterai a gridare dal dolore.

Adesso noi sentiamo la perdita di Dio; prima la pensavamo soltanto.
Non tutte le anime soffrono in misura eguale.
Con quanta maggior cattiveria e quanto più sistematicamente uno ha peccato, tanto più grave pesa su di lui la perdita di Dio e tanto più lo soffoca la creatura di cui ha abusato.
I cattolici dannati soffrono di più che quelli di altre religioni, perché essi, per lo più, ricevettero e calpestarono più grazie e più luce.
Chi più seppe, soffre più duramente di chi conobbe meno.
Chi peccò per malizia, patisce più acutamente di chi cadde per debolezza.
Mai nessuno patisce più di quello che ha meritato. Oh, se non fosse vero ciò, io avrei un motivo d'odiare!
Tu mi dicesti un giorno che nessuno va all'inferno senza saperlo: ciò sarebbe stato rivelato a una santa.
Io me ne risi. Ma poi mi trincerai dietro questa dichiarazione:
« Così, in caso di necessità, rimarrà abbastanza tempo per fare una «voltata», mi dicevo segretamente.

Quel detto è giusto. Veramente, prima della mia subitanea fine, non conobbi l'inferno com'è. Nessun mortale lo conosce. Ma io ne avevo la piena coscienza: « Se muori, vai nel mondo di là dritta come una freccia contro Dio. Ne porterai le conseguenze ».
Io non feci dietrofront, come ho già detto, perché trascinata dalla corrente dell'abitudine. Spinta da quella conformità per cui gli uomini, quanto più invecchiano, tanto più agiscono in una stessa direzione.

La mia morte avvenne così.
Una settimana fa parlo secondo il vostro computo, perché rispetto al dolore, potrei dire benissimo che son già dieci anni che brucio nell'inferno! una settimana fa, dunque, mio marito e io facemmo di domenica una gita, l'ultima per me.
Il giorno era spuntato radioso. Mi sentivo bene quanto mai. M'invase un sinistro sentimento di felicità, che serpeggiò in me per tutta la giornata.
Quand'ecco all'improvviso, nel ritorno, mio marito fu abbacinato da un'auto che veniva di volata. Perdette il controllo.
« Jesses » (*), mi scappò dalle labbra con un brivido. Non come preghiera, solo come grido. 

(*) Storpiamento di Jesus, usato frequentemente fra alcune popolazioni di lingua tedesca.

Un dolore straziante mi compresse tutta. In confronto con quello presente una bagatella. Poi perdetti i sensi.
Strano! Quella mattina era sorto in me, in modo inspiegabile, questo pensiero: «Tu potresti ancora una volta andare a Messa ». Suonava come un'implorazione.
Chiaro e risoluto, il mio «no» troncò il filo dei pensieri.         «Con queste cose bisogna farla finita una volta. Mi addosso tutte le conseguenze!». Ora le porto.
Ciò che avvenne dopo la mia morte, già lo saprai. La sorte di mio marito, quella di mia madre, ciò che accadde del mio cadavere e lo svolgimento del mio funerale mi son noti nei loro particolari mediante cognizioni naturali che noi qui abbiamo.
Quello, del resto, che succede sulla terra noi lo sappiamo solo nebulosamente. Ma ciò che in qualche modo ci tocca da vicino, lo conosciamo. Così vedo anche dove tu soggiorni.
Io stessa mi risvegliai improvvisamente dal buio, nell'istante del mio trapasso. Mi vidi come inondata da una luce abbagliante.
Fu nel luogo medesimo dove giaceva il mio cadavere. 

Avvenne come in un teatro, quando nella sala d'un tratto si spengono le luci, il sipario si divide rumorosamente e si apre una scena inaspettata, orribilmente illuminata. La scena della mia vita.
Come in uno specchio l'anima mia si mostrò a me stessa. Le grazie calpestate dalla giovinezza fino all'ultimo «no» di fronte a Dio.

Io mi sentii come un assassino, al quale, durante il processo giudiziario, vien portata dinanzi la sua vittima esanime. Pentirmi? Mai! Vergognarmi? Mai!
Però non potevo neppure resistere sotto gli occhi di Dio, da me rigettato. Non mi rimaneva che una cosa: la fuga. Come Caino fuggì dal cadavere di Abele, così l'anima mia fu spinta via da quella vista di orrore.
Questo fu il giudizio particolare: l'invisibile Giudice disse:    « Via da me! ». Allora la mia anima, come un'ombra gialla di zolfo, precipitò nel luogo dell'eterno tormento.

CONCLUDE CLARA

La mattina, al suono dell'Angelus, ancora tutta tremante per la notte spaventosa, mi alzai e corsi per le scale nella cappella.
Il cuore mi pulsava fin sulla gola. Le poche ospiti, inginocchiate vicino a me, mi guardarono; ma forse pensarono che fossi così eccitata per la corsa fatta giù per le scale.
Una signora bonaria di Budapest, che mi aveva osservata, mi disse dopo sorridendo:
Signorina, il Signore vuole essere servito con calma, non di corsa!
Ma poi si accorse che qualcosa d'altro mi aveva eccitato e mi teneva ancora in agitazione. E mentre la signora mi rivolgeva altre buone parole, io pensavo: Dio solo mi basta!
Sì, egli solo mi deve bastare in questa e nell'altra vita. Voglio un giorno poterlo godere in Paradiso, per quanti sacrifici mi possa costare in terra. Non voglio andare all'inferno!

AMDG et BVM

domenica 30 ottobre 2016

ATTO DI CONSACRAZIONE DEL GENERE UMANO A CRISTO RE DELL'UNIVERSO PERCHE' LO E' SEMPRE STATO E LO SARA' IN ETERNO

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ATTO DI CONSACRAZIONE DEL GENERE UMANO 
A CRISTO RE

« O Gesù dolcissimo, o Redentore del genere umano, riguarda a noi umilmente prostrati innanzi a te. Noi siamo tuoi, e tuoi vogliamo essere; e per vivere a te più strettamente congiunti, ecco che ognuno di noi, oggi spontaneamente si consacra al tuo sacratissimo Cuore. 


« Molti, purtroppo, non ti conobbero mai; molti, disprezzando i tuoi comandamenti, ti ripudiarono. O benignissimo Ge­sù, abbi misericordia e degli uni e degli altri e tutti quanti attira al tuo sacratissimo Cuore. 

« O Signore, sii il Re non solo dei fe­deli, che non si allontanarono mai da te, ma anche di quei figli prodighi che ti abbandonarono; fa' che questi, quanto prima, ritornino alla casa paterna, per non morire di miseria e di fame. Sii il Re di coloro, che vivono nell'inganno e nell'errore, o per discordia da te separati: ri­chiamali al porto della verità, all'unità della fede, affinché in breve si faccia un solo ovile sotto un solo pastore. 

« Largisci, o Signore, incolumità e liber­tà sicura alla tua Chiesa, concedi a tutti i popoli la tranquillità dell'ordine: fa' che da un capo all'altro della terra risuoni quest'unica voce: Sia lode a quel Cuore divino, da cui venne la nostra salute; a lui si canti gloria e onore nei secoli dei secoli. Amen ».


(Indulgenza plenaria, se si recita pub­blicamente nella solennità di Cristo Re; parziale, invece, se si recita privatamente).

cfr: http://www.conchiglia.us/C_DOCUMENTI/MONOS_2013_nov_20_Solennita'_Cristo_Re_dell_Universo_Atto_di_Consacrazione_del_Genere_Umano_a_Cristo_Re.pdf


AMDG et BVM

ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...: Magnitudo Jorge? (..in attesa di Lund)

ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...: Magnitudo Jorge? (..in attesa di Lund): NUOVA SCOSSA NELLA CAPITALE Roma, crepe nelle basiliche di San Paolo  e San Lorenzo| Salaria chiusa | Foto | Video San Paolo, a sini...

Due grandi poteri, che di per se stessi sono utili e buoni, ma che sono facilmente abusabili: il potere della finanza e il potere dei media".


"Si parla molto della Chiesa, ma speriamo che si parli anche della nostra fede..."


papa
Non è una novità che Benedetto XVI abbia tenuto una "lectio divina" agli alunni del seminario maggiore della sua diocesi, Roma. Tra le precedenti resta memorabile quella del 20 febbraio 2009, quando il papa citò e commentò – nel pieno delle polemiche per la revoca della scomunica ai vescovi lefebvriani – quel fulminante monito di Paolo ai Galati: "Se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!".
Questa volta, la sua "lectio" di mercoledì 15 febbraio è caduta nel pieno di un'altra tempesta polemica – tra uomini di Chiesa in primo luogo – e a pochi giorni dal concistoro per la creazione di nuovi cardinali.
Benedetto XVI ha voluto che questo concistoro fosse preceduto da una giornata "di riflessione e di preghiera" con tutti i cardinali, sul tema: "L'annuncio del Vangelo oggi". Un tema strettamente legato a quella che egli ha indicato come la "priorità" del suo pontificato – portare gli uomini a Dio, e non a un dio qualsiasi ma a quello che si è rivelato in Gesù – e all'anno della fede che farà iniziare il prossimo autunno.
Infatti, fin dall'inizio della "lectio divina" Benedetto XVI è entrato nel vivo, quando ha detto: "Anche oggi si parla molto della Chiesa di Roma, di tante cose, ma speriamo che si parli anche della nostra fede, della fede esemplare di questa Chiesa".
Più avanti, il papa ha richiamato i due significati della parola "mondo" nel Vangelo di Giovanni:
"Da una parte il mondo creato da Dio, amato da Dio, fino al punto di dare se stesso e il suo Figlio per questo mondo, affinché esso sia realmente creazione e risposta al suo amore. Ma c’è anche l’altro concetto del mondo: il mondo che sta nel potere del male, che riflette il peccato originale. Vediamo questo potere del male oggi, per esempio, in due grandi poteri, che di per se stessi sono utili e buoni, ma che sono facilmente abusabili: il potere della finanza e il potere dei media".
E riguardo allo strapotere dell'opinione pubblica, ove "l'apparenza si sovrappone alla realtà", Benedetto XVI ha proseguito esortando al "non conformismo cristiano":
"Non vogliamo sempre essere 'conformati', lodati, vogliamo non l’apparenza, ma la verità e questo ci dà libertà e la libertà vera cristiana: il liberarsi da questa necessità di piacere, di parlare come la massa pensa che dovrebbe essere, e avere la libertà della verità, e così ricreare il mondo in modo che non sia oppresso dall’opinione, dall’apparenza che non lascia più emergere la realtà stessa. [Quando] il mondo virtuale diventa più vero, più forte e non si vede più il mondo reale della creazione di Dio, il non conformismo del cristiano ci redime, ci restituisce alla verità".
Il papa ha tenuto la "lectio" a braccio, con davanti semplicemente un foglio con degli appunti.
Il brano biblico da lui scelto era l'inizio del capitolo 12 della lettera di Paolo ai Romani:
"Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, ad offrire i vostri corpi come sacrificio vivente, santo e gradito a Dio; è questo il vostro culto spirituale. Non conformatevi alla mentalità di questo secolo, ma trasformatevi rinnovando la vostra mente, per poter discernere la volontà di Dio, ciò che è buono, a lui gradito e perfetto".
Sabato 18 febbraio, giorno del concistoro, nella cerimonia di consegna della berretta dei nuovi cardinali, sarà invece letto il brano del Vangelo di Marco (10, 32,-45) nel quale gli apostoli – incuranti della predizione di Gesù sulla sua passione, morte e risurrezione – litigano tra loro come "i capi delle nazioni" per accaparrarsi i posti di potere nel futuro regno

"Io sono l’Alfa e l’Omega, il principio e il fine" (Ap 22,13).

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OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Basilica Vaticana
Solennità di Nostro Signore Gesù Cristo Re dell'Universo
Domenica, 25 novembre 2012

Signori Cardinali,
venerati Fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
cari fratelli e sorelle!

La solennità odierna di Cristo Re dell’universo, coronamento dell’anno liturgico, si arricchisce dell’accoglienza nel Collegio Cardinalizio di sei nuovi Membri che, secondo la tradizione, ho invitato questa mattina a concelebrare con me l’Eucaristia. A ciascuno di essi rivolgo il mio più cordiale saluto, ringraziando il Cardinale James Michael Harvey per le cortesi parole rivoltemi a nome di tutti. Saluto gli altri Porporati e tutti i Presuli presenti, come pure le distinte Autorità, i Signori Ambasciatori, i sacerdoti, i religiosi e tutti i fedeli, specialmente quelli provenienti dalle Diocesi affidate alla guida pastorale dei nuovi Cardinali.
In quest’ultima domenica dell’anno liturgico la Chiesa ci invita a celebrare il Signore Gesù quale Re dell’universo. Ci chiama a rivolgere lo sguardo al futuro, o meglio in profondità, verso la meta ultima della storia, che sarà il regno definitivo ed eterno di Cristo. Egli era all’inizio con il Padre quando è stato creato il mondo, e manifesterà pienamente la sua signoria alla fine dei tempi, quando giudicherà tutti gli uomini. Le tre Letture di oggi ci parlano di questo regno. Nel brano evangelico che abbiamo ascoltato, tratto dal Vangelo di San Giovanni, Gesù si trova in una situazione umiliante - quella di accusato -, davanti al potere romano. E’ stato arrestato, insultato, schernito, e ora i suoi nemici sperano di ottenerne la condanna al supplizio della croce. L’hanno presentato a Pilato come uno che aspira al potere politico, come il sedicente re dei Giudei. Il procuratore romano compie la sua indagine e interroga Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?» (Gv 18,33). Rispondendo a questa domanda, Gesù chiarisce la natura del suo regno e della sua stessa messianicità, che non è potere mondano, ma amore che serve; Egli afferma che il suo regno non va assolutamente confuso con un qualsiasi regno politico: «Il mio regno non è di questo mondo … non è di quaggiù» (v. 36).
E’ chiaro che Gesù non ha nessuna ambizione politica. Dopo la moltiplicazione dei pani, la gente, entusiasmata dal miracolo, lo voleva prendere per farlo re, per rovesciare il potere romano e stabilire così un nuovo regno politico, che sarebbe stato considerato come il regno di Dio tanto atteso. Ma Gesù sa che il regno di Dio è di tutt’altro genere, non si basa sulle armi e sulla violenza. Ed è proprio la moltiplicazione dei pani che diventa, da un lato, segno della sua messianicità, ma, dall’altro, uno spartiacque nella sua attività: da quel momento il cammino verso la Croce si fa sempre più chiaro; lì, nel supremo atto di amore, risplenderà il regno promesso, il regno di Dio. Ma la folla non comprende, è delusa, e Gesù si ritira sul monte da solo a pregare, a parlare con il Padre (cfr Gv 6,1-15). Nel racconto della Passione vediamo come anche i discepoli, pur avendo condiviso la vita con Gesù e ascoltato le sue parole, pensavano ad un regno politico, instaurato anche con l’aiuto della forza. Nel Getsemani, Pietro aveva sfoderato la sua spada e iniziato a combattere, ma Gesù lo aveva fermato (cfr Gv 18,10-11). Egli non vuole essere difeso con le armi, ma vuole compiere la volontà del Padre fino in fondo e stabilire il suo regno non con le armi e la violenza, ma con l’apparente debolezza dell’amore che dona la vita. Il regno di Dio è un regno completamente diverso da quelli terreni.
Ed è per questo che davanti ad un uomo indifeso, fragile, umiliato, come è Gesù, un uomo di potere come Pilato rimane sorpreso; sorpreso perché sente parlare di un regno, di servitori. E pone una domanda che gli sarà sembrata paradossale: «Dunque tu sei re?». Che tipo di re può essere un uomo in quelle condizioni? Ma Gesù risponde in modo affermativo: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce» (18,37). Gesù parla di re, di regno, ma il riferimento non è al dominio, bensì alla verità. Pilato non comprende: ci può essere un potere che non si ottiene con mezzi umani? Un potere che non risponda alla logica del dominio e della forza? Gesù è venuto per rivelare e portare una nuova regalità, quella di Dio; è venuto per rendere testimonianza alla verità di un Dio che è amore (cfr 1 Gv4,8.16) e che vuole stabilire un regno di giustizia, di amore e di pace (cfr Prefazio). Chi è aperto all’amore, ascolta questa testimonianza e l’accoglie con fede, per entrare nel regno di Dio.

Questa prospettiva la ritroviamo nella prima Lettura che abbiamo ascoltato. Il profeta Daniele predice il potere di un misterioso personaggio collocato tra cielo e terra: «Ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; giunse fino al vegliardo e fu presentato a lui. Gli furono dati potere, gloria e regno: tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (7,13-14). Sono parole che prospettano un re che domina da mare a mare fino ai confini della terra, con un potere assoluto che non sarà mai distrutto. Questa visione del Profeta, una visione messianica, viene illuminata e trova la sua realizzazione in Cristo: il potere del vero Messia, potere che non tramonta mai e che non sarà mai distrutto, non è quello dei regni della terra che sorgono e cadono, ma è quello della verità e dell’amore. Con ciò comprendiamo come la regalità annunciata da Gesù nelle parabole e rivelata in modo aperto ed esplicito davanti al Procuratore romano, è la regalità della verità, l’unica che dà a tutte le cose la loro luce e la loro grandezza.
Nella seconda Lettura l’autore dell’Apocalisse afferma che anche noi partecipiamo alla regalità di Cristo. Nell’acclamazione rivolta a «Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue» dichiara che Cristo «ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre» (1,5-6). Anche qui è chiaro che si tratta di un regno fondato sulla relazione con Dio, con la verità, e non di un regno politico. Con il suo sacrificio, Gesù ci ha aperto la strada per un rapporto profondo con Dio: in Lui siamo diventati veri figli adottivi, siamo resi così partecipi della sua regalità sul mondo. Essere discepoli di Gesù significa, allora, non lasciarsi affascinare dalla logica mondana del potere, ma portare nel mondo la luce della verità e dell’amore di Dio. L’autore dell’Apocalisse allarga poi lo sguardo alla seconda venuta di Gesù per giudicare gli uomini e stabilire per sempre il regno divino, e ci ricorda che la conversione, come risposta alla grazia divina, è la condizione per l’instaurazione di questo regno (cfr 1,7). E’ un forte invito rivolto a tutti e a ciascuno: convertirsi sempre di nuovo al regno di Dio, alla signoria di Dio, della Verità, nella nostra vita. Lo invochiamo quotidianamente nella preghiera del “Padre nostro” con le parole “Venga il tuo regno”, che è dire a Gesù: Signore facci essere tuoi, vivi in noi, raccogli l’umanità dispersa e sofferente, perché in Te tutto sia sottomesso al Padre della misericordia e dell’amore.
A voi, cari e venerati Fratelli Cardinali – penso in particolare a quelli creati ieri – viene affidata questa impegnativa responsabilità: dare testimonianza al regno di Dio, alla verità. Ciò significa far emergere sempre la priorità di Dio e della sua volontà di fronte agli interessi del mondo e alle sue potenze. Fatevi imitatori di Gesù, il quale, davanti a Pilato, nella situazione umiliante descritta dal Vangelo, ha manifestato la sua gloria: quella di amare sino all’estremo, donando la propria vita per le persone amate. Questa è la rivelazione del regno di Gesù. E per questo, con un cuore solo ed un’anima sola, preghiamo: «Adveniat regnum tuum». Amen.

***


Dalla Lettera Enciclica di Papa Pio XI
Lett. Encicl. Quas primas, del dì 11 Dicembre 1925


Avendo questo Anno santo concorso non in uno ma in più modi ad illustrare il regno di Cristo, ci sembra che faremo cosa quanto mai consentanea al nostro ufficio Apostolico, se, assecondando le preghiere di moltissimi Cardinali, Vescovi e fedeli fatte a Noi sia da soli che collettivamente, chiuderemo questo stesso Anno coll’introdurre nella sacra liturgia una festa speciale di Gesù Cristo Re. Da gran tempo si è usato comunemente di chiamare Cristo con l'appellativo di Re per il sommo grado di eccellenza, che ha in modo sovraeminente fra tutte le cose create. In tal modo infatti, si dice ch'egli regna nelle «menti degli uomini» non solo per l'altezza del suo pensiero e per la vastità della sua scienza, ma anche perché egli è Verità, ed è necessario che gli uomini attingano e ricevano con obbedienza da lui la verità; similmente «nelle volontà degli uomini», sia perché in lui alla santità della volontà divina risponde la perfetta integrità e sottomissione della volontà umana, sia perché colle sue ispirazioni influisce sulla libera volontà nostra, in modo da infiammarci verso le più nobili cose. Infine Cristo è riconosciuto « Re dei cuori» per quella «sua carità che sorpassa ogni comprensione umana» e per le attrattive della sua mansuetudine e benignità: nessuno infatti degli uomini fu mai tanto amato e lo sarà in seguito al pari di Gesù Cristo. Ma per entrare in argomento, tutti devono riconoscere ch'è necessario rivendicare a Cristo-uomo nel vero senso della parola il nome e i poteri di re; infatti soltanto in quanto è uomo si può dire che abbia ricevuto dal Padre la «potestà, l'onore e il regno» perché, come Verbo di Dio, essendo della stessa sostanza del Padre, non può non avere in comune col Padre ciò ch'è proprio della divinità; e per conseguenza egli su tutte le cose create ha il sommo e assolutissimo impero.

Ben a proposito Cirillo Alessandrino, a mostrare il fondamento di questa dignità e di questo potere, avverte che: «Egli, per dirla in una parola, ha il dominio su tutte le cose create, non estorto con violenza né venutogli da altri, ma per la sua stessa essenza e natura»; cioè il principato di Cristo si fonda su quella unione mirabile, ch'è chiamata unione ipostatica. Dal che segue, che Cristo non solo deve essere adorato come Dio dagli Angeli e dagli uomini, ma che anche a lui come Uomo debbono e gli Angeli e gli uomini essere soggetti ed obbedire: cioè che pel solo fatto dell'unione ipostatica Cristo ebbe potestà su tutte le creature. Volendo ora esprimere la natura e il valore di questo principato, accenniamo brevemente ch'esso consta di una triplice potestà, la quale se venisse a mancare, già non si avrebbe più il concetto d'un vero e proprio principato. Le testimonianze attinte dalle sacre Lettere circa l'impero universale del nostro Redentore provano più che a sufficienza quanto abbiamo detto, ed è dogma di fede, che Gesù Cristo è stato dato agli uomini quale Redentore in cui debbono riporre la loro fiducia, ed allo stesso tempo come legislatore a cui debbano ubbidire. I santi Vangeli non soltanto ci narrano che Gesù abbia promulgato delle leggi, ma ce lo presentano altresì nell'atto stesso di legiferare: e il divino Maestro afferma in varie circostanze e con diverse espressioni, che chiunque osserverà i suoi comandamenti, darà prova di amarlo e rimarrà nella sua carità. Lo stesso Gesù davanti ai Giudei che l'accusavano di aver violato il Sabato coll'aver ridonata la sanità al paralitico, afferma che a lui fu dal Padre attribuita la potestà giudiziaria: «Ché il Padre non giudica alcuno, ma ha rimesso ogni giustizia al Figlio» (Joann. 5,21). Nel che è compreso anche il diritto di premiare e punire gli uomini anche durante la loro vita (perché ciò non può disgiungersi da una certa forma di giudizio). Inoltre la potestà esecutiva devesi parimenti attribuire a Gesù Cristo, poiché è necessario che tutti obbediscano al suo comando, e nessuno può sfuggire ad esso e ai supplizi da lui stabiliti.

Che poi questo regno sia principalmente spirituale e attinente alle cose spirituali, ce lo mostrano i passi della sacra Bibbia sopra riferiti, e ce lo conferma Gesù Cristo stesso col suo modo di agire. In varie occasioni, infatti, quando i Giudei e gli stessi Apostoli credevano per errore che il Messia avrebbe reso la libertà al popolo, ed avrebbe ripristinato il regno d'Israele, egli cercò di togliere loro dal capo questa vana attesa e questa speranza; e così pure quando stava per essere proclamato re dalla moltitudine che, presa di ammirazione, lo attorniava, egli declinò questo titolo e questo onore ritirandosi e nascondendosi nella solitudine; finalmente davanti al Preside romano annunciò che il suo regno «non è di questo mondo» (Joann. 18,36). Questo regno nei Vangeli viene presentato in tal modo, che gli uomini debbono prepararsi ad entrarvi per mezzo della penitenza, e non possano entrarvi se non per la fede e per il battesimo, il quale sacramento, benchésia un rito esterno, significa però e produce la rigenerazione interiore; questo regno è opposto unicamente al regno di Satana e alla potestà delle tenebre, e richiede dai suoi sudditi non solo l'animo distaccato dalle ricchezze e dalle cose terrene, la mitezza dei costumi e la fame e sete di giustizia, ma anche che essi rinneghino se stessi e prendano la loro croce. Avendo Cristo come Redentore costituita col suo sangue la Chiesa, e come Sacerdote offrendo se stesso in perpetuo quale ostia di propiziazione per i peccati degli uomini, chi non vede che la regale dignità di lui rivesta il carattere spirituale dell'uno e dell'altro ufficio? D'altra parte gravemente errerebbe, chi togliesse a Cristo-uomo il potere su tutte le cose temporali, dato ch'egli ha ricevuto dal Padre un diritto assoluto su tutte le cose create, in modo che tutto soggiaccia al suo arbitrio. Pertanto colla nostra apostolica autorità istituiamo la festa di Nostro Signor Gesù Cristo Re, stabilendo che sia celebrata in tutte le parti della terra l'ultima Domenica dì Ottobre, cioè la Domenica precedente la festa di Tutti i Santi. Similmente ordiniamo che in questo medesimo giorno, ogni anno, si rinnovi la consacrazione di tutto il genere umano al Cuore Santissimo di Gesù.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.