giovedì 11 agosto 2016

Omaggio - Ferragosto

Omaggio

01 Agosto 2016

o-màg-gio
SIGNAtto di deferenza, devozione, ammirazione o cortesia; regalo, dono
dal francese antico homage, derivato di homme 'uomo'.
Quella dicitura che spopola nei supermercati, in cui centinaia di prodotti promettono omaggi, ha una sorprendente ascendenza antica, che dai neon dei corridoi ci porta nelle sale ombrose dei castelli medievali.
L'omaggio non nasce come un dono. Si trattava della cerimonia con cui il sovrano concedeva un feudo a qualcuno: costui, in ginocchio davanti al sovrano che gli teneva le mani giunte, giurava, in virtù delle nuove disponibilità e dei privilegi che il feudo gli assicurava, di servirlo fedelmente con tutte le forze necessarie, in quanto suo nuovo 'uomo' (e da qui l'origine del termine). La solennità di questa cerimonia e la sua impronta didevozione ha fatto sì che l'omaggio passasse a indicare in generale l'atto o la professione di deferenza e ossequio, e da questo il dono che spesso li accompagnava.
L'aura originaria di questa parola è del tutto svaporata nel costante uso commerciale del termine (per cui se compro venti pacchi di biscotti ho un portachiavi in omaggio). Ma non va scordata: l'omaggio resta un atto di deferenza, di ammirazione, di cortesia - che solo in certi casi si traduce in un dono materiale. Espressioni come 'porgere gli omaggi' possono suonare desuete, talvolta perfino affettate o ironiche, ma restano una risorsa nobile e importante. Portiamo alla bella un omaggio floreale, portiamo in omaggio al professore il libro che abbiamo scritto, i musicisti suonano un certo brano in omaggio a un maestro, il comune omaggia il cittadino illustre con un'onoreficenza.

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Ferragosto

15 Agosto 2013
fer-ra-gó-sto
SIGNFestività che ricorre il 15 di agosto
dal latino: feriae Augusti giorni di festa dell'imperatore Augusto.
Per i ritmi di vita legati ai cicli dell'agricoltura, questo è un periodo dell'anno particolarmente importante: infatti le fatiche del raccolto dei cereali giungono al culmine e volgono al termine, e in vista ci sono la vendemmia e la raccolta delle olive. Si tratta di un momento buono per riposarsi, e ritemprare lo spirito, e fare riti di propiziazione per l'inverno che già incombe.
Per questo Augusto, primo imperatore di Roma, nel 18 a.C. decise di indire le feriae Augusti in questo periodo - feriae che per esattezza iniziavano il primo giorno d'agosto -, a fianco di altre antiche festività come i Vinalia rustica e i Consualia: quale modo migliore per farsi amare dal popolo? Ad ogni modo, in epoca cristiana, nel grande sforzo di annichilire le feste pagane, il ferragosto fu spostato al 15 di agosto, in modo che potesse essere assorbito dalla festa religiosa dell'Assunzione - con cui però si è sovrapposto senza perdere la propria identità.
Infatti intorno a questa festa, che attraverso i millenni ha mantenuto una grande popolarità, sono nati molti usi: per lungo tempo è infatti stato costume che i lavoratori rendessero omaggio ai padroni delle terre che lavoravano, alle autorità religiose e agli alti dignitari della cosa pubblica, da cui ricevevano mance e doni; inoltre il ferragosto è diventata una festività spesso associata a brevi viaggi e gite fuori porta - anche per via della promozione fascista: durante il Ventennio venivano organizzati dalle istituzioni stesse.
Posta così, al mezzo d'agosto, questa festa si mostra come l'ultimo bastione sicuro prima di settembre e dell'autunno. ...

mercoledì 10 agosto 2016

«Chi ama la sua vita (in questo mondo) la perderà»




Sermone di san Leone Papa

Nel Natale di S. Lorenzo, dopo il principio


Mentre il furore delle autorità Pagane incrudeliva nelle più elette membra di Cristo, e si sfogava specialmente su quelli che appartenevano all'ordine sacerdotale, l'empio persecutore si accanì contro il levita Lorenzo, che era più in vista non solo perché preposto ai sacro ministero, ma altresì all'amministrazione dei beni ecclesiastici, ripromettendosi coll'incarcerare un solo uomo una duplice preda; perché se l'avesse fatto traditore del sacro tesoro, ne avrebbe fatto anche un'apostata della vera religione. Quest'uomo, avido di denaro e nemico della verità, è armato come di doppia face: dell'avarizia per impossessarsi dell'oro, dell'empietà per rapirgli il Cristo. Chiede al custode senza macchia del santuario di consegnargli le ricchezze della Chiesa, che avidissimamente bramava. Il Levita castissimo, per mostrargli allora il deposito che ne aveva fatto, gli presenta una truppa numerosissima di poveri fedeli, per mantenere e vestire i quali aveva impiegato quei beni ormai inammissibili, i quali tanto più erano salvi, quanto più santamente erano stati impiegati.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


Lettura 5
Perciò vedendosi frustrato nel disegno di rapina, egli freme e, ardente d'odio contro una religione che aveva istituito tale impiego di ricchezze, non avendo trovata presso di lui nessuna somma di denaro, tenta strappargli il migliore tesoro rapendogli il deposito che era per lui la più sacra delle ricchezze. Ordina a Lorenzo di rinunziare a Cristo e si dispone ad attaccare con terribili supplizi il coraggio intrepido di quell'anima di levita; ma non ottenendo nulla coi primi, ne fa seguire altri più crudeli. Comanda che le sue membra straziate, e tutte lacere dalle percosse, siano poste ad arrostire sul fuoco; e ad aumentarne la sofferenza della tortura e prolungarne il supplizio, ne fa girare e rigirare il corpo su di una graticola di ferro divenuta già rovente per il gran fuoco che vi si faceva sotto.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


Lettura 6
Non ottieni nulla, non guadagni niente, selvaggia crudeltà. L'elemento mortale si sottrae alle tue torture, Lorenzo se ne sale in cielo, e tu rimani colle tue fiamme impotenti. Le fiamme non poterono vincere la carità di Cristo; e fu più debole il fuoco che bruciava di fuori, che quello che ardeva di dentro. Hai incrudelito, o persecutore, sul Martire: hai incrudelito, ma mentre accumulavi le pene, gli ingrandivi la palma. Infatti, tutte le sue invenzioni non sono forse servite a glorificare la sua vittoria, mentre anche gli istrumenti del supplizio son diventati l'onore del suo trionfo? Gioiamo dunque, dilettissimi, di letizia spirituale, e glorifichiamo, per la felicissima fine di questo illustre eroe, il Signore, che è ammirabile nei suoi Santi, e ci dà in essi il soccorso insieme e l'esempio; egli ha fatto risplendere così la sua gloria nell'intero universo dall'oriente fino all'occidente per il fulgore abbagliante della luce dei leviti, ed altrettanto è illustre Roma per Lorenzo quanto è grande Gerusalemme per Stefano.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

R. Il beato Lorenzo esclamò e disse : Io onoro il mio Dio, e a lui solo servo; 
* E per ciò non temo i tuoi tormenti.
V. La mia notte non ha tenebre, ma tutto brilla di luce.
R. E per ciò non temo i tuoi tormenti.
V. Gloria al Padre, e al Figlio, * e allo Spirito Santo.
R. E per ciò non temo i tuoi tormenti.


Lettura 7
Lettura del santo Vangelo secondo Giovanni.
Joannes 12:24-26
In quell'occasione: Gesù disse ai suoi discepoli: In verità, in verità vi dico, se il chicco di grano non cade in terra, e non muore, rimane solo com'è. Eccetera.

Omelia di sant'Agostino Vescovo.
Trattato 51 su Giovanni, circa la metà
Lo stesso Signore Gesù era il chicco che doveva morire e moltiplicarsi; morire vittima dell'infedeltà dei Giudei, moltiplicarsi per la fede dei popoli. Ora, esortando già a seguire le tracce della sua passione: «Chi ama, dice, la sua vita, la perderà» (Gv 12,25). Il che si può intendere in due modi. Chi ama, la perderà; cioè, se l'ami, la perderai. Se brami di conservare la vita in Cristo, non voler temere di morire per Cristo. Oppure in altro modo: «Chi ama la sua vita la perderà»; non volerla amare, per non perderla; non volerla amare in questa vita, per non perderla nella vita eterna.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 8
Ma la seconda spiegazione che ho data, sembra essere più vicina al senso del Vangelo; infatti soggiunge: «E chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna» (Gv 12,25). Dunque quando sopra fu detto: «Chi ama», bisogna sottintendere, in questo mondo, costui certo la perderà sicuramente; ma chi l'odia pure in questo mondo, costui la conserverà per la vita eterna. Grande e mirabile sentenza, da cui risulta che c'è nell'uomo un amore che fa perdere l'anima sua, e un odio che gli impedisce di perire. Se l'ami male,allora la odi; se la odi bene, allora l'ami. Felici coloro che la odiano per conservarla, per non perderla amandola.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.

Lettura 9
Ma basta che non ti venga in mente di volerti suicidare, intendendo così di dovere odiare l'anima tua in questo mondo. Siccome fanno appunto certi uomini cattivi e perversi, crudeli ed empi e omicidi di se stessi, i quali si gettano nelle fiamme, si affogano, si buttano dai precipizi e periscono. Cristo non ha insegnato questo; anzi egli al diavolo che gli suggeriva di precipitarsi (dal tempio) rispose: «Va' via, satana: perché sta scritto: Non tentare il Signore Dio tuo» (Mt 4,10). A Pietro poi disse, indicando con qual morte avrebbe glorificato Dio: «Quando eri più giovane, ti cingevi da te, e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio un altro ti cingerà, e menerà dove tu non vorresti» (Gv 21,19). Con che espresse abbastanza, che chi segue le vestigia di Cristo non deve darsi la morte da sé, ma riceverla da un altro.
V. E tu, o Signore, abbi pietà di noi.
R. Grazie a Dio.


NESSUNO PROTESTA COL ROSARIO IN MANO E' QUELLA L'ARMA POTENTE CHE COMBATTE IL NEMICO MALEDETTO

Preziose indicazioni di San Luigi Maria Grignion de Montfort

Non proprio la lunghezza ma il fervore della preghiera: ecco ciò che piace a Dio e ne attira la benevolenza. 
Una sola Ave Maria detta bene è più meritoria di centocinquanta dette male. Quasi tutti i cattolici recitano il Rosario o una parte o almeno qualche decina di Ave; perché allora sono tanto pochi quelli che si correggono dei loro difetti e avanzano nella virtù, se non perché non recitano queste preghiere come si deve? 

 Vediamo dunque, in qual modo occorra recitarle per piacere a Dio e farci più santi. 

Anzitutto chi recita il Rosario deve essere in grazia di Dio o almeno risoluto ad uscire dallo stato di colpa poiché la teologia insegna che le buone opere e le preghiere fatte in peccato mortale, sono opere morte, non gradite a Dio e senza alcun merito per la vita eterna. 

Così deve intendersi quel che sta scritto: “La sua lode non s'addice alla bocca del peccatore” (Sir 15,9. 67 Mc 7,6). La lode e il saluto angelico e la stessa orazione domenicale non possono piacere a Dio quando sono pronunciate da un peccatore impenitente: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da me”. 

Le persone che si iscrivono nelle mie confraternite - dice Gesù - e recitano ogni giorno il Rosario intero o una parte senza nessuna contrizione dei propri peccati “mi onorano, sì, con le labbra, ma il loro cuore è molto lontano da me”. 

2) Ho detto “... o almeno risoluto ad uscire dallo stato di colpa”: 
I: perché se fosse assolutamente necessario essere in grazia di Dio per fare delle preghiere che Gli siano gradite, ne seguirebbe che quanti sono in peccato mortale non dovrebbero mai pregare, mentre proprio loro hanno più bisogno di pregare che non i giusti. Questo è un errore condannato dalla Chiesa e se ne comprende il motivo: se così fosse non si dovrebbe mai consigliare ad un peccatore di recitare il Rosario poiché gli sarebbe inutile! 

II: Se con la volontà di restare in peccato e senza alcuna intenzione di uscirne, ci si iscrivesse in una confraternita della Madonna o si recitasse il Rosario o altra preghiera, saremmo del numero dei falsi devoti di Maria, di quei devoti presuntuosi ed impenitenti, che sotto il manto di Lei, con lo scapolare sul petto o la corona in mano vanno gridando: “Vergine santa, o Vergine buona, io ti saluto, o Maria” e intanto crocifiggono e feriscono crudelmente Gesù con i loro peccati, e precipitano così dalla sede delle più sante confraternite di Maria nelle fiamme dell'inferno. 

 Consigliamo il Rosario a tutti
ai giusti perché perseverino e crescano in grazia di Dio; 
ai peccatori perché lascino le vie del peccato. 

Ma non sia mai che noi esortiamo un peccatore a farsi del manto di protezione di Maria, un manto di dannazione, nascondendo sotto di esso le proprie colpe, e a convertire il Rosario, che è rimedio ad ogni male, in un veleno funesto e mortale. 

Non c'è peggiore corruzione di quella in cui cade chi prima era eccellente. 

Il dotto cardinal Hugues dice: “bisogna essere angeli di purezza per accostarsi alla Vergine santa e rivolgerle il saluto angelico”. 

La Madonna stessa un giorno fece vedere ad un impudico che recitava quotidianamente il Rosario, bellissimi frutti su un lurido vassoio. Egli ne ebbe ribrezzo e la Vergine gli disse: “Ecco come mi servi; tu mi presenti, sì, delle belle rose ma in un vassoio sporco e contaminato: giudica tu stesso se io lo posso gradire!”.  (Da "Il Segreto Meraviglioso del Santo Rosario"116-8)


martedì 9 agosto 2016

PREGHIERA (composta dalla B. Elisabetta Seton con l'intreccio delle parole di Gesù in croce)


<< O MIO SIGNORE GESU’
che sei nato per me in una grotta, 
che hai vissuto per me una vita di pene e afflizioni, che sei morto per me sopra una croce, 
rivolgi anche per me la tua preghiera: 
PADRE PERDONA ed indica a tua Madre: ECCO TUO FIGLIO. Al momento della mia morte assicura anche me: OGGI SARAI CON ME IN PARADISO. 
O mio Salvatore, NON MI ABBANDONARE IO HO SETE di Te, fonte di acqua viva.
I miei giorni passano rapidamente, TUTTO SARA' PRESTO COMPIUTO per me.
NELLE TUE MANI AFFIDO IL MIO SPIRITO ora e per sempre. AMEN >>




Resistenza e fedeltà



mercoledì 5 febbraio 2014


Resistenza e fedeltà di Padre Roger-Thomas Calmel O.P.

Abbiamo spesso citato padre Roger-Thomas Calmel (1914-1975), domenicano, teologo e tomista di grande sapienza che ci ha lasciato una testimonianza di grande fermezza e scritti di elevato spessore spirituale, esemplari sia sul piano dottrinale che su quello liturgico.
La sua di celebrare soltanto il Rito Romano tradizionale è stata una scelta radicale portata fino in fondo. Lo prendiamo come esempio di fortezza e fedeltà e intercessore anche per noi, che non ci sentiamo di condannare il biritualismo di tanti sacerdoti che conosciamo secondo il cuore del Signore e che, nella situazione in cui siamo, cercano di salvare il salvabile.
Su conciliovaticanosecondo.it, ne parla Cristiana de Magistris. Metto il link a MiL perché ne pubblica il testo preceduto dalla sentita e interessante introduzione di Cristina Siccardi, che sottolinea la Resistenza di Padre Calmel. E colgo l'occasione per proporre, di seguito, due  citazioni tratte da suoi scritti. Il secondo, sulla Messa, ripreso dal testo della de Magistris.

P. Roger-Thomas Calmel, O.P., Autorité et sainteté dans l’Église, in Itinéraires n. 149, gennaio1971, pp. 13-19.
La falsa Chiesa che si presenta fra noi a partire dal curioso concilio Vaticano II, si allontana sensibilmente, anno dopo anno, dalla Chiesa fondata da Gesù Cristo. La falsa Chiesa post-conciliare si contrappone [separazione/opposizione] sempre più alla santa Chiesa che da venti secoli salva le anime (e in sovrappiù illumina e sostiene la società). La pseudo-Chiesa in costruzione si contrappone sempre più alla Chiesa vera, alla sola Chiesa di Cristo, con le più strane innovazioni, sia nella costituzione gerarchica sia nell’insegnamento e nei costumi.
Il 27 novembre 1969, tre giorni prima della data fatidica in cui entrò in vigore il Novus Ordo Missae, padre Calmel espresse il suo rifiuto con una dichiarazione d’eccezionale portata, resa pubblica sulla rivista Itinéraires.
“Mi attengo alla Messa tradizionale – dichiarò –, quella che fu codificata, ma non fabbricata, da San Pio V, nel XVI secolo, conformemente ad un uso plurisecolare. Rifiuto dunque l’Ordo missae di Paolo VI.
Perché? Perché, in realtà, questo Ordo Missae non esiste. Ciò che esiste è una rivoluzione liturgica universale e permanente, permessa o voluta dal Papa attuale, e che riveste, per il momento, la maschera dell’Ordo Missae del 3 aprile 1969. È diritto di ogni sacerdote rifiutare di portare la maschera di questa rivoluzione liturgica. E stimo mio dovere di sacerdote rifiutare di celebrare la messa in un rito equivoco.
Se accettiamo questo nuovo rito, che favorisce la confusione tra la Messa cattolica e la cena protestante – come sostengono i due cardinali (Bacci e Ottaviani) e come dimostrano solide analisi teologiche – allora passeremmo senza tardare da una messa intercambiabile (come riconosce, del resto, un pastore protestante) ad una messa completamente eretica e quindi nulla. Iniziata dal Papa, poi da lui abbandonata alle Chiese nazionali, la riforma rivoluzionaria della messa porterà all’inferno. Come accettare di rendersene complici?
Mi chiederete: mantenendo, verso e contro tutto, la Messa di sempre, hai riflettuto a che cosa ti esponi? Certo. Io mi espongo, per così dire, a perseverare nella via della fedeltà al mio sacerdozio, e quindi a rendere al Sommo Sacerdote, che è il nostro Giudice supremo, l’umile testimonianza del mio ufficio sacerdotale. Io mi espongo altresì a rassicurare dei fedeli smarriti, tentati di scetticismo o di disperazione. Ogni sacerdote, in effetti, che si mantenga fedele al rito della Messa codificata da San Pio V, il grande Papa domenicano della controriforma, permette ai fedeli di partecipare al santo Sacrificio senza alcun possibile equivoco; di comunicarsi, senza rischio di essere ingannato, al Verbo di Dio incarnato e immolato, reso realmente presente sotto le sacre Specie. Al contrario, il sacerdote che si conforma al nuovo rito, composto di vari pezzi da Paolo VI, collabora per parte sua ad instaurare progressivamente una messa menzognera dove la Presenza di Cristo non sarà più autentica, ma sarà trasformata in un memoriale vuoto; perciò stesso, il Sacrificio della Croce non sarà altro che un pasto religioso dove si mangerà un po’ di pane e si berrà un po’ di vino. Nulla di più: come i protestanti. Il rifiuto di collaborare all’instaurazione rivoluzionaria di una messa equivoca, orientata verso la distruzione della Messa, a quali disavventure temporali, a quali guai potrà mai portare? Il Signore lo sa: quindi, basta la sua grazia. In verità, la grazia del Cuore di Gesù, derivata fino a noi dal santo Sacrificio e dai sacramenti, basta sempre. È perciò che il Signore ci dice così tranquillamente: “Colui che perde la sua vita in questo mondo per causa mia, la salverà per la vita eterna”.
Riconosco senza esitare l’autorità del Santo Padre. Affermo tuttavia che ogni Papa, nell’esercizio della sua autorità, può commettere degli abusi d’autorità. Sostengo che il papa Paolo VI ha commesso un abuso d’autorità di una gravità eccezionale quando ha costruito un nuovo rito della messa su una definizione della messa che ha cessato di essere cattolica. “La messa – ha scritto nel suo Ordo Missae – è il raduno del popolo di Dio, presieduto da un sacerdote, per celebrare il memoriale del Signore”. Questa definizione insidiosa omette a priori ciò che fa la Messa cattolica, da sempre e per sempre irriducibile alla cena protestante. E ciò perché per la Messa cattolica non si tratta di qualunque memoriale; il memoriale è di tal natura che contiene realmente il sacrificio della Croce, perché il Corpo e il Sangue di Cristo sono resi realmente presenti in virtù della duplice consacrazione. Ora, mentre ciò appare così chiaro nel rito codificato da San Pio V da non poter esser tratti in inganno, in quello fabbricato da Paolo VI rimane fluttuante ed equivoco. Parimenti, nella Messa cattolica, il sacerdote non esercita una presidenza qualunque: segnato da un carattere divino che lo introduce nell’eternità, egli è il ministro di Cristo che fa la Messa per mezzo di lui; ben altra cosa è assimilare il sacerdote a un qualunque pastore, delegato dai fedeli a mantenere in buon ordine le loro assemblee. Orbene, mentre ciò è certamente evidente nel rito della Messa prescritta da San Pio V, è invece dissimulato se non addirittura eliminato nel nuovo rito.
La semplice onestà quindi, ma infinitamente di più l’onore sacerdotale, mi chiedono di non aver l’impudenza di trafficare la Messa cattolica, ricevuta nel giorno della mia ordinazione. Poiché si tratta di essere leale, e soprattutto in una materia di una gravità divina, non c’è autorità al mondo, fosse pure un’autorità pontificale, che possa fermarmi. D’altronde, la prima prova di fedeltà e d’amore che il sacerdote deve dare a Dio e agli uomini è quella di custodire intatto il deposito infinitamente prezioso che gli fu affidato quando il Vescovo gl’impose le mani. È anzitutto su questa prova di fedeltà e d’amore che io sarò giudicato dal Giudice supremo. Confido che la Vergine Maria, Madre del Sommo sacerdote, mi ottenga la grazia di rimanere fedele fino alla morte alla Messa cattolica, vera e senza equivoco. Tuus sum ego, salvum me fac (sono tutto vostro, salvatemi)”.