martedì 12 luglio 2016

Questo è parlar chiaro! 3 STELLETTE



*

A proposito delle considerazioni di padre F. Maria B., dei Francescani dell'Immacolata, sulle modalità di amministrazione e ricezione della Santa Comunione. 

Rimaniamo ancora sconcertati, nonostante le manifeste e ripetute dimostrazioni di incoerenza date dai Sacri Pastori negli ultimi decenni, per la promulgazione di norme palesemente contraddittorie. Pare infatti che, ogni volta che la Sede Apostolica emana un documento disciplinare, esso dia disposizioni su una materia specifica e al tempo stesso deroghi, nello stesso documento, alla ratio della norma che intende fissare.

Leggiamo su Una Fides un interessante e lodevolissimo articolo di padre Budani, nel quale egli sostiene che l'amministrazione della Santa Comunione sulla lingua del fedele è un diritto, mentre è unaconcessione l'amministrazione della stessa nelle mani. 

L'articolo cui fa riferimento il pio Francescano è l'Istruzione Redemptionis Sacramentum, emanata il 25 Marzo 2004 dalla Congregazione per il Culto Divino su ordine del Santo Padre. 

Nell'Istruzione si precisa:

[92.] Benché ogni fedele abbia sempre il diritto di ricevere, a sua scelta, la santa Comunione in bocca, se un comunicando, nelle regioni in cui la Conferenza dei Vescovi, con la conferma da parte della Sede Apostolica, lo abbia permesso, vuole ricevere il Sacramento sulla mano, gli sia distribuita la sacra ostia. Si badi, tuttavia, con particolare attenzione che il comunicando assuma subito l’ostia davanti al ministro, di modo che nessuno si allontani portando in mano le specie eucaristiche. Se c’è pericolo di profanazione, non sia distribuita la santa Comunione sulla mano dei fedeli.

Ecco ciò che ci sconcerta: nella stessa norma si afferma un principio giusto e corretto (l'amministrazione in bocca), si autorizza la deroga (l'amministrazione sulla mano) e poi si precisa che se c'è pericolo di profanazione non si debba dare la Comunione sulla mano. 

Qualsiasi sacerdote sa benissimo, come ricorda padre Francesco Maria, che il pericolo di profanazione c'è sempre, perché le particole, essendo di pane friabile, possono facilmente perdere delle particelle o delle briciole. In altri tempi - quando il solo sacerdote poteva toccare le Specie Eucaristiche - era uso setacciare le ostie e porle nella pisside prive di frammenti: in alcune sacristie si trova ancora il vaglio con cui il Sacrista svolgeva questa operazione che incuriosiva i chierichetti.

Ovviamente il postconcilio ha abituato i sacerdoti a disinteressarsi completamente di questi vieti comportamenti intrisi di rubricismo postridentino. Così non solo non si setacciano le ostie prima della loro consacrazione, ma spesso accade che lo stesso celebrante, per purificare la patena e la pisside (o quella orribile ciotola che dovrebbe svolgere le funzioni di entrambe) usi il purificatoio e non le dita, che dovrebbe poi astergere nel calice prima di purificare anche quello. I frammenti possono rimanere attaccati al purificatoio, che a differenza del corporale non è custodito nella borsa (peraltro ormai caduta in disuso e non prescritta dalle rubriche del nuovo rito). Non parliamo di far lavare i sacri lini da un chierico e poi di gettare l'acqua nel sacrario...

Nessuno si perita di passare la patena sul corporale per raccogliere eventuali frammenti, e non di rado la purificazione dei vasi sacri è affidata ai ministranti, alla credenza, mentre la Presenza Reale nelle Sacre Specie (che permane anche nelle particelle dell'ostia) imporrebbe di farlo all'altare e sul corporale. 

Noi stessi, in occasione di un pellegrinaggio a Lourdes, abbiamo visto coi nostri occhi - e con gravissimo scandalo - un sagrestano laico prendere l'Ostia magna dal tabernacolo e, appoggiandosi sul banco della sacristia, tagliarla con le forbici per adattarla alla lunetta dell'ostensorio. Se non fossimo stati presenti a redarguire l'empio sforbiciatore, non vogliamo immaginare quale sarebbe stata la sorte dei ritagli...

Non si può pensare che dei chierici abituati a trattare in questo modo la Ss.ma Eucaristia possano avere una qualche sensibilità per il pericolo di sacrilegio: nessuno glielo insegna in Seminario, ed anzi è ormai abitudine invalsa dire ai futuri sacerdoti che fragmenta non sunt sacramenta (sic!), come noi stessi abbiamo sentito dire da un confratello del Seminario Romano.

Torniamo alla Istruzione Redemptionis Sacramentum e traduciamo quelle norme usando una similitudine:

La norma è che ad un incrocio si passi con il semaforo verde e ci si fermi con il rosso. Tuttavia, in certi casi, è possibile passare con il rosso. Ma se vi è rischio di incidenti passando col rosso, allora si passi solo col verde.

O anche:

In un deposito di combustibile è fatto divieto usare fiamme libere. Tuttavia, in certi casi, è possibile accendere dei fuochi. Ma se vi è rischio di incendio, allora non si usino fiamme libere.
E ancora:

Il vostro parlare sia sì sì, no no: tutto il resto viene dal Maligno. Tuttavia, in certi casi, potete dire anche sì no e no sì. Ma se vi è rischio che non vi si capisca, allora dite sì sì, no no.

Ecco: siccome c'è sempre rischio di profanazione, non si capisce come la Sede Apostolica possa autorizzare le Conferenze Episcopali, e come le Conferenze Episcopali possano concedere ai loro fedeli di ricevere la Comunione sulla mano, con l'ipocrita postilla di evitare la profanazione. 

Se c'è anche il remoto rischio di profanazione, basta imporre tout court che la Comunione si dia in bocca. In nessun caso, a meno di non essere dotati di poteri di preveggenza, un sacerdote può sapere se quella particola che prende dalla pisside è perfettamente integra e priva di frammenti; quindi, se nel deporla sulla mano del fedele quei frammenti dovessero perdersi, con o senza piattello (che in questo caso non ha alcuna utilità), ecco concretizzato il rischio di profanazione. Ergo: niente Comunione in mano, mai. 
Prima Comunione secondo il rito neocatecumenale

Ancora una volta abbiamo sotto gli occhi delle contraddizioni talmente evidenti, da far quasi ritenere che il legislatore si diverta a prenderci in giro. Da una parte ribadisce un principio sacrosanto, poi concede una deroga che ex se contraddice quel principio, e poi ci ricorda che se da quella deroga derivasse una contraddizione al principio, essa non può essere praticata.

Ci sia permesso di osservare che questo modo di procedere ripugna al ruolo dei Sacri Pastori, i quali non sono costituiti in autorità per cimentarsi in grotteschi calembours [termini con doppio significato] da legulei, ma per indicare chiaramente ciò che è bene da ciò che è male. 

Il Signore chiederà conto degli innumerevoli sacrilegi compiuti da milioni di fedeli, migliaia di sacerdoti, centinaia di Vescovi, decine di Cardinali e forse anche da qualche Papa.
*

Scemo sarà lei!


Durante un discorso pronunciato il 16 Giugno 2016,
Bergoglio ha testualmente detto, riferendosi a Nostro Signore,
che "fa un po' lo scemo", "ha mancato verso la morale" e che "non era uno pulito".


L'unico "scemo", o - come ha edulcorato il suo ufficio stampa - il "finto tonto"
pare essere solo l'autore di queste bestemmie.

Nell'assordante silenzio dei Sacri Pastori...

Gambetto Danese - Apertura di Scacchi



Vi piaceranno molto queste lezioni?

Vi raccomando rimanete calmi 
e rimanete nelle vostre postazioni iniziali
Ogni pedina è stata sistemata 
nella scacchiera della vita
... ... ... 
Si tratta di dare scacco matto 
al nemico della vita...


IN SOLEMNI CANONIZATIONE BEATI ANTONII MARIAE CLARET

LA ]

Sanctum Antonium Mariam Claret 
Episcopum, Confessorem
IN SOLEMNI CANONIZATIONE
BEATI ANTONII MARIAE CLARET, ARCHIEPISCOPI, IN BASILICA VATICANA HABITA
HOMILIA SANCTISSIMI DOMINI NOSTRI 

PIO PP. XII*

Die VII mensis Maii, Anno Domini MCML

[. . .] Tum vero Summus Pontifex, sedens, ex Cathedra Divi Petri sollemniter pronunciavit:
Ad honorem Sanctae et Individuae Trinitatis, ad exaltationem Fidei Catholicae et Christianae Religionis augmentum, auctoritate Domini Nostri Iesu Christi, Beatorum Apostolorum Petri et Pauli ac Nostra, matura deliberatione praehabita et divina ope saepius implorata, ac de Venerabilium Fratrum Nostrorurn Sanctae Romanae Ecclesiae Cardinalium, Patriarcharum, Archiepiscoporum et Episcoporum in Urbe exsistentium consilio; Beatum Antonium Mariam Claret, Episcopum, Confessorem, Sanctum esse decernimus et definimus ac Sanctorum Catalogo adscribimus, statuentes ab Ecclesia Universali memoriam quolibet anno die eius natali, vigesima quarta nempe octobris, pia devotione recoli debere. In nomine Patris et Filii et Spiritus Sancti.

Venerabiles Fratres, dilecti Filii,

Cum vitam sancti caelitis Antonii Mariae Claret intenta recolimus mente, nescimus utrum magis miremur eius animi candorem, quem inde a tenera aetatula, quasi lilium inter spinas, summa cura summaque diligentia illibatum servavit, an eius caritatis ardorem, quo compulsus omne genus miseriarum relevare enitebatur, an denique indefatigabilis eius apostolatus studium, quo die noctuque permotus, et instantibus precibus pro aliorum salute Deo admotis, et itineribus susceptis innumeris, et concionibus divinum spirantibus amorem tantum contulit ad privatos ac publicos evangelico spiritu reformandos mores.

Cum adulescens textoriam artem factitabat, ut sui patris obtemperaret voluntati, ceteris officinae operariis ita christianae virtutis exemplo praelucebat, ut omnium admirationem commoveret ; ac vixdum poterat a fabrili labore vacare ac conquiescere, ad sacram confugiebat aedem : ibique, vel ad Augusti Sacramenti aram, vel ante Virginis Deiparae imaginem, precando contemplandoque dulcissimas tralucebat horas. Divinitus siquidem provisum erat ut, antequam ad altiora proveheretur, opificibus etiam imitanda ederet praeclara probitatis sanctitatisque specimina.

Post aliquot autem annos, quod in votis semper habuerat, ut nempe se totum Deo manciparet, id, variis superatis difficultatibus, divina opitulante gratia, tandem aliquando efficere potuit. In sacrum suae Dioecesis seminarium adscitus, sedulo studioseque curavit ut doctrinam alacri cura addisceret, ut statutis disciplinae normis diligentissime obtemperaret, utque potissimum supernis donis animum ornaret suum, ac vividam Iesu Christi imaginem loquendo agendoque in se referret. Itaque feliciter evenit ut, emenso studiorum curriculo, ac sacris insignitus ordinibus, in apertum apostolatus campum strenuus miles prosiliret, non humanis, sed divinis opibus armatus; atque inde a sacerdotalis muneris initio salutares fructus ederet uberrimos. Quo quidem in obeundo sacerdotali munere, hoc sibi peculiari modo proposuit, quod ad suorum temporum necessitatibus occurrendum putabat aptissimum. Cum cerneret nempe, vel ob passim diffusam divinorum praeceptorum ignorantiam, vel ob taedium quoddam caelestium rerum in multorum animum irreptum, christianam languescere pietatem, templa deseri, ac civium mores summo cum detrimento pessumdari, peropportunum iniit consilium sacras suscipiendi expeditiones, quas missiones vocant, ut in variis urbibus, oppidis, pagis per statum dierum spatium conciones ad populum haberet.

Quibus quidem in habendis concionibus, divina, qua fervebat, caritate eius vultus radiabatur ; ac tam vehemens ex ore, ex imo pectore erumpebat eloquium, ut adstantes non raro permoveret ad lacrimas, et — quod potius est — ad melioris sanctiorisque vitae propositum sincero ex animo eliciendum. Itaque factum est ut salutaris quaedam magis quam emendatio, renovatio morum haberetur, quam ipse, mirandis signis Deo donante patratis, efficaciter confirmabat.

Cum autem eius sanctitatis fama latius cotidie propagaretur, dignus habitus est, cui Archiepiscopale munus committeretur, in Cubana insula exercendum. Quia in insula, quamvis gravissimas experiretur difficultates perpetuoque subsequentia impedimenta, non laboribus tamen asperrimis, non periculis omne genus deterritus, quod in Hispania bonus Christi miles fecerat, id optimus atque intrepidus Pastor peragere enisus est.

In patriam subinde revocatus, cum a sacris Reginae confessionibus esset, eiusque consiliarium ageret, nihil aliud pensi habuit, quam ut augustae paenitentis saluti aptiore quo posset modo prospiceret, Ecclesiae iura defenderet, catholicae religionis profectum omni ope promoveret.

Quod autem saluberrimum propositum iam diu inierat, condendi nempe Missionalium Sodalitatem, Immaculato Deiparae Virginis Cordi dicandam, id tandem non modo ad effectum deducere potuit, sed ita confirmare ac sapientissimis munire legibus, ut per Hispaniam, per ceteras fere omnes Europae Nationes, ac per longinquas etiam Americae, Africae, Asiae regiones decursu temporis felici cum successu eadem Sodalitas propagaretur.

Haec sunt, Venerabiles Fratres ac dilecti filii, praecipua Sancti huius Caelitis lineamenta eiusque incepta presse breviterque descripta. Ex iisdem luculenter enitet quam excelsa virtute, quam impenso apostolatus studio S. Antonius Maria Claret enituerit, et quam ubera ediderit in proximorum salutem beneficia. In eum si opifices, si sacerdotes, si Episcopi, si universus denique christianus populus intueantur, habent profecto omnes cur praeclaris eius exemplis permoveantur, atque ad illam, pro statu cuiusque suo, christianam assequendam perfectionem excitentur, ex qua solummodo perturbatis hisce rerum condicionibus opportuna remedia oriri possunt, ac meliora tempora adduci.

Id impetret a Divino Redemptore ab eiusque Immaculata Matre Sanctus novensilis; id esto sollemnis huius celebrationis optatissimus fructus. Amen.


*Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, XII,
  Dodicesimo anno di Pontificato, 2 marzo 1950 - 1° marzo 1951, pp. 59 - 61
  Tipografia Poliglotta Vaticana
  A.A.S., vol. XXXXII (1950), n. 5 - 6, pp. 369 - 372.

© Copyright - Libreria Editrice Vaticana


COR MARIAE IMMACULATUM

INTERCEDE PRO NOBIS

Affidiamoci a San Benedetto

INVOCAZIONE a SAN BENEDETTO per L'EUROPA


(per ingrandire, cliccare sull'immagine) 

Grande donna “profetessa” che ci parla con grande attualità



Santa Ildegarda di Bingen [1]

Cari fratelli e sorelle,


nel 1988, in occasione dell’Anno Mariano, il Venerabile Giovanni Paolo II ha scritto una Lettera Apostolica intitolata Mulieris dignitatem, trattando del ruolo prezioso che le donne hanno svolto e svolgono nella vita della Chiesa. “La Chiesa - vi si legge - ringrazia per tutte le manifestazioni del genio femminile apparse nel corso della storia, in mezzo a tutti i popoli e a tutte le nazioni; ringrazia per tutti i carismi che lo Spirito Santo elargisce alle donne nella storia del popolo di Dio, per tutte le vittorie che essa deve alla loro fede, speranza e carità; ringrazia per tutti i frutti di santità femminile” (n. 31).



Anche in quei secoli della storia che noi abitualmente chiamiamo Medioevo, diverse figure femminili spiccano per la santità della vita e la ricchezza dell’insegnamento.



Oggi vorrei iniziare a presentarvi una di esse: santa Ildegarda di Bingen, vissuta in Germania nel XII secolo. Nacque nel 1098 in Renania, a Bermersheim, nei pressi di Alzey, e morì nel 1179, all’età di 81 anni, nonostante la permanente fragilità della sua salute. 



Ildegarda apparteneva a una famiglia nobile e numerosa e, fin dalla nascita, venne votata dai suoi genitori al servizio di Dio. A otto anni, per ricevere un’adeguata formazione umana e cristiana, fu affidata alle cure della maestra Giuditta di Spanheim, che si era ritirata in clausura presso il monastero benedettino di san Disibodo. Si andò formando un piccolo monastero femminile di clausura, che seguiva la Regola di san Benedetto. Ildegarda ricevette il velo dal Vescovo Ottone di Bamberga e, nel 1136, alla morte di madre Giuditta, divenuta Superiora della comunità, le consorelle la chiamarono a succederle. Svolse questo compito mettendo a frutto le sue doti di donna colta, spiritualmente elevata e capace di affrontare con competenza gli aspetti organizzativi della vita claustrale. Qualche anno dopo, anche a motivo del numero crescente di giovani donne che bussavano alle porte del monastero, Ildegarda fondò un’altra comunità a Bingen, intitolata a san Ruperto, dove trascorse il resto della vita. Lo stile con cui esercitava il ministero dell’autorità è esemplare per ogni comunità religiosa: esso suscitava una santa emulazione nella pratica del bene, tanto che, come risulta da testimonianze del tempo, la madre e le figlie gareggiavano nello stimarsi e nel servirsi a vicenda.



Già negli anni in cui era superiora del monastero di san Disibodo, Ildegarda aveva iniziato a dettare le visioni mistiche, che riceveva da tempo, al suo consigliere spirituale, il monaco Volmar, e alla sua segretaria, una consorella a cui era molto affezionata, Richardis di Strade.



Come sempre accade nella vita dei veri mistici, anche Ildegarda volle sottomettersi all’autorità di persone sapienti per discernere l’origine delle sue visioni, temendo che esse fossero frutto di illusioni e che non venissero da Dio. Si rivolse perciò alla persona che ai suoi tempi godeva della massima stima nella Chiesa: san Bernardo di Chiaravalle, del quale ho già parlato in alcune Catechesi. Questi tranquillizzò e incoraggiò Ildegarda. 



Ma nel 1147 ella ricevette un’altra approvazione importantissima. Il Papa Eugenio III, che presiedeva un sinodo a Treviri, lesse un testo dettato da Ildegarda, presentatogli dall’Arcivescovo Enrico di Magonza. Il Papa autorizzò la mistica a scrivere le sue visioni e a parlare in pubblico. Da quel momento il prestigio spirituale di Ildegarda crebbe sempre di più, tanto che i contemporanei le attribuirono il titolo di “profetessa teutonica”. 



È questo, cari amici, il sigillo di un’esperienza autentica dello Spirito Santo, sorgente di ogni carisma: la persona depositaria di doni soprannaturali non se ne vanta mai, non li ostenta e, soprattutto, mostra totale obbedienza all’autorità ecclesiale. Ogni dono distribuito dallo Spirito Santo, infatti, è destinato all’edificazione della Chiesa, e la Chiesa, attraverso i suoi Pastori, ne riconosce l’autenticità.



Parlerò ancora una volta il prossimo mercoledì su questa grande donna “profetessa”, che parla con grande attualità anche oggi a noi, con la sua coraggiosa capacità di discernere i segni dei tempi, con il suo amore per il creato, la sua medicina, la sua poesia, la sua musica, che oggi viene ricostruita, il suo amore per Cristo e per la Sua Chiesa, sofferente anche in quel tempo, ferita anche in quel tempo dai peccati dei preti e dei laici, e tanto più amata come corpo di Cristo.



Così santa Ildegarda parla a noi; ne parleremo ancora il prossimo mercoledì. Grazie per la vostra attenzione.
AMDG et BVM