sabato 12 marzo 2016

LO SPIRITO DELLA CHIESA NELL'ANNO LITURGICO: Domenica di Passione



Domenica di Passione (813)

Oggi incomincia la settimana di Passione. Il pensiero dominante di questa settimana e della seguente dev'essere la Passione di N.S.Gesù Cristo. É come una novena del Venerdì Santo. S. Bonaventura dice: a Se vuoi avanzare di virtù in virtù, di grazia in grazia, medita ogni giorno la Passione di N S Gesù` Cristo "(814). I Santi furono tutti devotissimi della Passione di Gesù; passavano lunghe ore davanti al Tabernacolo, ma anche davanti alla Croce. A ciò ci spingono diversi motivi:

1 - Per avere un vero dolore dei nostri peccati e un sincero proposito di non più ricadervi. Chi riflette che Gesù è stato trafitto per le nostre iniquità(815) deve compungersi e desiderare di riparare con la penitenza le proprie colpe.

2 - Per intenerire santamente il nostro cuore e rivolgerlo alle cose spirituali. Ci lamentiamo di essere freddi nella preghiera, di non sentire gusto delle cose di Dio, ebbene, meditiamo la Passione di Nostro Signore, e il nostro cuore, se non è di pietra, si commuoverà.

3 - Per farci acquistare molti meriti.
4 - Per motivo di riconoscenza. S. Bonaventura dice che non dobbiamo tediarci di pensare sovente a ciò che Nostro Signore non si tediò di soffrire(816). Che direste di uno che non pensasse ai sacrifici che voi avete fatto per lui, anzi ne scacciasse di proposito il ricordo? Lo direste un ingrato, un indegno. Così di noi, se passassimo i giorni, le settimane, i mesi senza pensare ai dolori che Nostro Signore soffrì per ciascuno di noi. E Gesù ci ebbe tutti presenti individualmente, soffrì per ciascuno di noi, come se fossimo soli: Mi ha amato e ha dato se stesso per me (817).

5 - Per procurare la nostra salvezza. Il Signore ha fatto tutto, i suoi meriti sono infiniti, ma vuole che anche noi facciamo qualche cosetta. S. Paolo diceva: Completo nella mia carne quello che manca delle sofferenze di Cristo (818). E che manca a questa Passione, se non la nostra corrispondenza, cioè che facciamo nostra questa fonte di grazia? Unire dunque i nostri piccoli sacrifici corporali e spirituali alle sue sofferenze.

Tutto questo significa che noi dobbiamo fare nostra la Passione di Nostro Signore, procurare cioè che essa sia sempre ben fissa nella nostra mente, nel nostro cuore, nel nostro corpo, nel nostro spirito.

Nella nostra mente - Pensiamoci sovente, anche durante l'anno, ma specialmente in questi giorni; conformiamo ad essa i nostri pensieri sul valore dei dolori, delle umiliazioni. In questo tempo la Chiesa ci fa pensare, meditare e come assistere alla Passione del Signore. Se ci sono persone che devono pensare alla Passione di Gesù, sono appunto i Missionari. Per voi dev'essere questa una divozione principale. Lo stesso SS. Sacramento è un memoriale e una rinnovazione della Passione: recolitur memoria Passionis eius (819).

Nel nostro cuore - Sì, sfoghiamo i nostri affetti sui dolori sofferti da Nostro Signore. Così faceva S. Paolo, il quale diceva: Quanto a me sia lungi il gloriarmi d'altro che della croce di N. S. Gesù Cristo (820). Noi incliniamo più alla malinconia che alla gioia, essendo questo un luogo di esilio e di pianto; ebbene, versiamo la nostra tenerezza sui patimenti di Gesù.

Nel nostro corpo - Uniamo i nostri dolori, le nostre sofferenze ai dolori di Gesù Crocifisso. Io porto nel mio corpo le stimmate di Gesù (821) diceva S. Paolo... Ci alziamo al mattino con un po' di mal di capo... sentiamo freddo... siamo calunniati... Ebbene, o Gesù, che tanto patisti per santificare ogni nostro dolore, accetta ciò che soffro e rendi dolce il mio patire! ".

In punto di morte - soleva dire il B. Sebastiano Valfrè - non ci pentiremo di aver sofferto, ma forse di non aver sofferto o non aver sofferto bene " (822). Procuriamo anche di moltiplicare i piccoli sacrifici lungo la giornata, in modo da preparare il fasciculus myrrhae per il Venerdì Santo.

Facciamo sovente la meditazione sulla Passione di Nostro Signore, facciamola ogni giorno durante il tempo quaresimale. A ciò ci gioverà il tener presenti alla mente le seguenti domande suggerite dal P. Spinola: Chi patisce? Chi lo fa patire? Per chi patisce? Per qual fine patisce? In che modo patisce? (823). Tenetele presenti nella meditazione dei singoli Misteri della Passione; ci aiuteranno assai e ci daranno materia di serie riflessioni. Non è necessario far passare tutti questi punti, ma è certo che ci aiutano. Poi bisogna fare atti di dolore, di contrizione, perché è per causa mia che Gesù ha sofferto tanto.

Dobbiamo andare a fondo nel meditare i dolori di Gesù Sofferente. Da questo verrà anche a voi il desiderio di soffrire per Lui, di fare dei sacrifici, di vincere le pene del cuore e dello spirito e, per quanto si può anche quelle del corpo. E' questo per voi il tempo di acquistare e praticare una virtù maschia. Ma fino a che non siamo ben penetrati della Passione di Nostro Signore, non saremo generosi nello spirito di sacrificio. Prendete amore, fortificatevi nello spirito della Passione. Ciò che vi darà più forza quando sarete in Missione, sarà appunto il pensiero della Passione di Gesù. Che cosa farà un Missionario, un successore di S. Paolo, se non avrà amore a Gesù Crocifisso? La meditazione sulla Passione di Nostro Signore vi farà comprendere il suo Sitio e vi accenderà di zelo per la salvezza delle anime.

Siamo divoti del SS. Crocifisso; procuriamo di averlo nelle nostre camere, sulla nostra persona; rivolgiamogli frequenti atti di fede e di amore specialmente in chiesa.

S. Filippo Benizzi, in punto di morte, chiese il suo libro, e questo era il Crocifisso(824). Il SS. Sacramento non l'avrete sempre con voi, ma il Crocifisso sì. Sarà un libro in cui leggerete i vostri doveri Perché non basta portare il Crocifisso, né voi lo portate solo per far bella figura, ma per imitarlo. Gesù, per le anime ha fatto molto di più di quello che voi potrete e dovrete fare per le anime che vi saranno affidate. i Egli non ha lasciato la croce a metà strada; è caduto, ma si è rialzato e ha continuato fino alla fine. La nostra croce non è pesante come la sua; e, se portata in unione di amore con Gesù, diventa soave. Questo spirito dobbiamo averlo sempre, tutta la vita: sempre sacrificarci. La Passione di Nostro Signore vi sosterrà nelle fatiche e nelle pene dell'apostolato e nella stessa morte.

Santifichiamo dunque questa Settimana di Passione, procuriamo di passar bene questi quindici giorni, secondo lo spirito della Chiesa: preghiera, meditazione della Passione, sacrifici. Facciamo tutti i sacrifici che ci sono permessi; e i piccoli sacrifici son tutti permessi e a tutti. Più silenzio interno ed esterno, non divagarci troppo; e tutto per ben prepararci alla Settimana Santa. Nostro Signore ci darà tante grazie. Se avremo sofferto con Lui, canteremo con lui l'Alleluja della Pasqua!

Da Vita Spirituale, del Beato Giuseppe Allamano

AVE MARIA PURISSIMA!


mercoledì 9 marzo 2016

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martedì 8 marzo 2016

PROFETICA VOCE

La profetica voce di Benedetto XVI a Ratisbona
Nel 2006 aveva invitato l'Islam al dialogo partendo dalla ragione...
 
 





Mentre la violenza dell’autoproclamato Stato Islamico si rivolge contro i cristiani, gli yazidi e altre minoranze, nuove voci si uniscono alla condanna. Tra queste, spiccano quelle del mondo musulmano, da quelle ben articolate degli imam della Gran Bretagna o del King Abdullah Bin Abdulaziz International Centre for Interreligious and Intercultural Dialogue (KAICIID), con sede a Vienna, passando per intellettuali e giornalisti di varie latitudini, fino a commoventi manifestazioni da parte di gente semplice. La condanna è unanime. I fanatici manipolano l’islam, pervertono il Corano e tradiscono la religione che dicono di professare. Mi ricordano la lezione di Ratisbona del professor Ratzinger.

Il 13 settembre 2006 Joseph Ratzinger, ossia Benedetto XVI, ha visitato l’Università di Ratisbona, dove in passato aveva insegnato. Ha pronunciato una memorabile lezione che oggi risuona con forza. Ha parlato della vocazione naturale delle religioni alla giustizia e alla pace, la cui realizzazione dipende dalla corretta articolazione tra fede e ragione, a sua volta uno dei grandi topici della sua teologia e del suo magistero. Ha spiegato che, quando manca il dialogo, si presentano le patologie della ragione e della religione che le fanno scivolare, all’estremo, nel fanatismo. Allora, di fronte all’ascesa dell’irrazionalità mascherata da fondamentalismo, ha lanciato una sfida ai musulmani per condannare la violenza come mezzo per imporre la fede, senza scusare peraltro i cristiani.

Papa Benedetto XVI aveva messo il dito nella piaga. Tre reazioni devono essere ricordate.

Da un lato, il mondo mediatico e intellettuale dell’Occidente, che si dice espressione di tolleranza e libertà, si è lanciato con violenza irrazionale contro Ratzinger accusandolo di essere fanatico e provocatore, quando in realtà aveva rivolto un invito al dialogo nella ragione. Dall’altro lato, coloro che tradiscono il Corano hanno lanciato condanne incendiarie chiamando a ulteriore violenzaIn entrambi i casi hanno dato ragione a Ratzinger. Gli uni e gli altri si sono mostrati affetti dalle patologie descritte nella lezione di Ratisbona.

La reazione più interessante e decisa è venuta dall’islam. Un nutrito gruppo di leader e intellettuali musulmani ha firmato una lettera nella quale raccoglieva la sfida del dialogo. L’epicentro è stato il Regno di Giordania, ma si è esteso rapidamente a varie latitudini. Nel testo, oltre a segnalare il proprio disaccordo con il professore, sono stati condannati quanti pretendono di imporre con la violenza “sogni utopistici nei quali il fine giustifica i mezzi”.

È giusto dire che la lezione e la lettera non hanno avviato il dialogo tra cristiani e musulmani, ma senza dubbio sono stati un fattore importante per promuoverlo a livelli mai visti prima. Oggi, è certo, questo dialogo sta dando frutti non solo tra certe élites, ma anche tra la gente comune, che molto prima che apparissero questi fanatici aveva fatto della convivenza interreligiosa la propria forma naturale d’essere e oggi protesta perché vuole continuare a vivere nello stesso modo. A mio avviso, è la voce più potente tra quelle che possono essere ascoltate. L’incontro tra la gente semplice e l’intellettualità mi riempie di speranza. Quando questo rapporto si alimenta con pazienza e costanza, allora genera movimenti culturali potenti.


La memorabile lezione di Ratisbona ha avuto altre conseguenze che oggi possiamo osservare in un interessante chiaroscuro. Le parole di Ratzinger hanno dato maggiore impulso a un’idea nata dalla realtà delle persecuzioni religiose del XIX secolo e della prima metà del XX viste alla luce del Vangelo, espressa chiaramente nel Concilio Vaticano II, alimentata dal Magistero pontificio successivo e articolata al meglio dalla diplomazia della Santa Sede. 

Si vuole fare della libertà religiosa una delle pietre angolari del Diritto e delle relazioni internazionali. Da qui il costante sforzo della Chiesa per favorire la voce dei leader e dei movimenti religiosi che cercano la pace mediante la giustizia di modo che si generino ambienti di convivenza armoniosa in ogni società, iniziativa chiamata genericamente “lo spirito di Assisi”. La libertà religiosa deve quindi diventare cultura con il sostegno deciso delle politiche pubbliche dei vari Stati. Uno dei più importanti promotori di questa proposta, per citare un esempio significativo, è stato il dottor Thomas Farr, che dirige il Religious Freedom Project al Berkeley Center for Religion, Peace and World Affair dell’Università di Georgetown.

Purtroppo, né negli Stati Uniti né nell’Unione Europea si è voluta ascoltare la lezione di Ratisbona o la proposta della Chiesa, e men che meno le eccellenti ragioni articolate da accademici e diplomatici di varie latitudini. Quando le religioni li incrociano sul loro cammino, il che accade continuamente, perdono il senso della realtà accecati dalla propria arroganza. I tentativi di farli tornare alla ragione sono interpretati come una violazione del loro laicismo radicale. È un peccato.

L’Occidente laicista – politici, intellettuali e mezzi di comunicazione – ha disdegnato la proposta e, senza volere, si è reso complice per omissione del fondamentalismo che ha manipolato l’islam fino a creare un’ideologia di sterminio. La sua mancanza di comprensione è tale che ha tentato di mantenere il silenzio di fronte al sacrificio dei cristiani e di altre minoranze in Medio Oriente, ma la dura realtà si è impostaÈ ora che comprenda che solo azioni multilaterali basate su una strategia che faccia della libertà religiosa e del dialogo interreligioso le proprie pietre angolari potrà raggiungere pace, giustizia e stabilità in Medio Oriente. Di fronte all’evidenza, sarà disposto a comprendere la lezione impartita dal vecchio professore? La risposta dipende dalla portata della sua superbia.

Ratzinger aveva ragione al di là della lezione di Ratisbona. Nelle prime righe del suo libro “Introduzione al Cristianesimo”, ci ricorda la parabola di Kierkegaard sul clown e sul villaggio in fiamme. Un circo si è fermato alla periferia di un villaggio, e all’improvviso viene avvolto dalle fiamme. Il padrone ordina a un clown, che aveva già indossato il costume di scena, di avvisare dell’imminente pericolo. Gli abitanti, anziché ascoltarlo, ridono di lui rendendone vani gli sforzi. Quando riescono a reagire è troppo tardi. Il villaggio è stato consumato dalle fiamme. In Medio Oriente è più di una semplice parabola.

Ad ogni modo, Ratzinger era ben lungi dall’esortare allo scoraggiamento. La sua teologia e il magistero pontificio sono stati un canto di speranza di acuta intelligenza. Il suo appello è al realismo nella speranza. La situazione attuale di chi evangelizza nella cultura dell’indifferenza, in realtà, ha poco di nuovo. Come Chiesa, non condividiamo la nostra sorte con il clown, ma con i santi e i profeti che hanno calcato la terra. Lo dice Geremia: “La parola del Signore è diventata per me motivo di obbrobrio e di scherno ogni giorno. Mi dicevo: ‘Non penserò più a lui, non parlerò più in suo nome!’. Ma nel mio cuore c’era come un fuoco ardente, chiuso nelle mie ossa; mi sforzavo di contenerlo, ma non potevo”. Sono convinto che questo sia il fuoco che Gesù ha portato nel mondo e che voleva tanto veder ardere.

La lezione di Ratisbona si è trasformata in un’evocazione. Il regno di Dio è simile a un seme che, una volta deposto nella terra, cresce giorno e notte anche se il lavoratore non se ne rende conto, fino a dare un frutto abbondante. Lo ha detto Gesù.


Per leggere il discorso del 2006 di Papa Benedetto XVI clicca qui

MARÍA VALTORTA: IN ITALIANO E SPAGNOLO