martedì 9 giugno 2015

L'ASSUNTA. Festa solennissima

Rallegriamoci nella contemplazione di Maria SS.ma 
pregando e leggendo questo discorso di 
San Bonaventura

SULL’ASSUNZIONE DELLA B. V. MARIA
SERMONE SESTO

«Nel cielo apparve un segno grandioso: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e sul suo capo una corona di dodici stelle» (Ap 12,1).
Se per cielo si intende la Chiesa trionfante, allora qui si tratta dell’assunzione della beata Vergine; se invece si intende la Chiesa militante, allora si tratta della nascita della beata Vergine.
Ella è comunque un segno, segno del cammino, dell’alleanza e dell’amore
È segno del cammino, perché è Stella del mare: è colonna di nube durante il giorno e colonna di fuoco durante la notte. 
È segno d’alleanza, prefigurata dalla colomba fatta uscire dall’arca. «Il mio arco pongo sulle nubi e ricorderò l’alleanza» (Gn 9,13.15); anzi, ella è la tenda dell’alleanza. 
È segno di amore, «il roveto tanto ardeva, ma non si consumava» (Es 3,2). Come pure il germoglio fiorito che produce fronde e frutti: «Un germoglio è spuntato sulla radice di lesse» (Is 11,1). E ancora: «Dalla luna viene il segno indicativo delle feste» (Sir 43,7). 
E si tratta di un segno che è pronostico, dimostrativo e commemorativo: pronostico della liberazione, dimostrativo dell’amore, commemorativo dell’umiliazione. 
Pronostico della liberazione; per cui si legge in Isaia: «Pertanto il Signore stesso vi darà un segno» (Is 7,14); e nel Cantico dei Cantici si dice: «Chi è costei che sorge [insieme] come l’aurora?» (Ct 6, 9); «aurora», in quanto recò al mondo il sole; «che sorge insieme», in quanto con la sua ha determinato anche la nostra elevazione. 
Ella è segno dimostrativo di carità; bella come la luna; «testimone fedele nei cieli» (Sal 88,38). Nel Cantico dei Cantici viene detta «amica» per eccellenza (cf. Ct 2,2). Per cui nel Vangelo di Giovanni si legge: «Ci fu uno sposalizio a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù» (Gv 2,1), quasi a significare che a Cana si sono celebrate le nozze dell’Incarnazione, vale a dire in un luogo di esilio. E nel libro dei Salmi: «Là li precedette Beniamino, il più giovane, come in estasi»(Sal 67,28). In ciò ella è anche segno commemorativo di umiltà; infatti: «Ha guardato l’umiltà della sua serva» (Lc 1,48). Infatti la Chiesa canta: «Ricordati, o autore della salvezza» ecc.
Se dunque la beatissima Signora fu «un segno grandioso», lo fu per novità, dignità ed efficacia
Per novità; infatti: «Né prima né dopo di lei vi fu mai donna paragonabile a lei»e nella Lettera agli Ebrei si legge: «Attraverso una tenda più grande e più perfetta, non costruita da mano d’uomo» (Eb 9,11); e Geremia dice ancora: «Il Signore ha fatto una cosa nuova sulla terra: una donna avvolgerà l’uomo» (Ger 31,22). Dionigi e il Damasceno dicono che un Dio che si fa uomo e una madre vergine rappresentano una novità assoluta; tale novità è prefigurata dal «roveto ardente» dell’Esodo (Es 3,2), dalla «porta chiusa» di Ezechiele (Ez 44,2), dal «manufatto meraviglioso, opera dell’Altissimo», di cui parla il Siracide (Sir 43,2). 
Fu un segno grandioso per dignità; per cui venne prefigurata dal «trono di Salomone» (1 Re 10,18), dalla «casa che la sapienza edificò a se stessa» (Prov 9, 1), «dal tempio», sul quale si posò «la maestà del Signore» (2 Cr 7,1.2), dalla cui presenza venne illuminata tutta la terra. Di lei si può ancora dire che era adombrata nel «propiziatorio che i Cherubini contemplavano con le facce rivolte verso il coperchio» (Es 25,20). 
Fu inoltre un segno grandioso per efficacia; e come tale venne prefigurata dal «vello di Gedeone» (Gdc 6,38), dal «piccolo ruscello che divenne un fiume immenso» (Est 11,10, Vulgata; cf. anche Ez 47); «dal fiume che usciva da Eden e formava quattro corsi d’acqua» (Gn 2,10); come pure dalla terra buona e ottima: buona per creazione, ottima per contemplazione; buona perché produsse frumento, migliore perché diede l’argento, ottima perché diede l’oro; buona e ottima, perché offrì tutte queste cose insieme. 
Questo è dunque il segno grandioso, cioè la beata Vergine, che a lungo rimase nascosta all’ombra della Legge, avvolta nel manto delle Scritture, celata in varie figure, predetta dagli oracoli e dai proclami dei profeti, evocata dalle invocazioni dei santi, come questa di Isaia: «Stillate, cieli, dall’alto e le nubi piovano il giusto» (Is 45,8); oggi «è apparsa nel cielo», uscita dal grembo con grande gioia degli angeli; «rivestita di sole», ossia non passibile di peccato, in quanto santificata fin dal grembo materno, e inattaccabile dal diavolo, perché «rivestita di sole», ed esente da ogni tentazione: luminosa nel corpo a motivo della sua castità, agile per la sua carità. Queste sono le quattro proprietà della beata Vergine, che illustrano e rivestano sontuosamente la sua altissima condizione. 
Da questo sole venne a noi il calore che dà la vita e lo splendore che illumina: il calore che illumina e vivifica, che conserva e fa crescere, ossia colui che è venuto «perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10); lo splendore che illumina, ossia colui che «illumina ogni uomo che viene in questo mondo» (Gv 1,9).
Il testo continua: «con la luna sotto i suoi piedi»; per «luna» si deve intendere tutto ciò che brilla di luce altrui, ossia ogni creatura, e «sotto i suoi piedi» sta a indicare che è sottomessa al suo potere, in quanto colei che «ha posto la sua dimora lassù» (Sir 24,4), ossia colei che «prima dei secoli, fin dal principio fu creata» (Sir 24,14), supera in dignità ogni creatura, come elegantemente viene detto di Ester, quando Assuero rivolgendosi a lei puntualizza: «Questa legge vale per tutti, ma non per te» (Est 15,13, Vulgata), come a dire: tu non sei una qualsiasi, ma sei superiore a tutti, in quanto «generata prima di ogni altra creatura» (Sir 24,5, Vulgata).

Poi si dice: «e sul capo una corona di dodici stelle»
Le «dodici stelle» stanno a indicare i santi. Si legge infatti nella Prima Lettera ai Corinzi: Ogni stella differisce da un’altra nello splendore (1 Cor 15,41); e nel libro di Daniele: «Risplenderanno come le stelle per sempre» (Dn 12,3). 
Le «dodici stelle» stanno a indicare la totalità dei santi, ossia tutti coloro che nelle quattro parti del mondo, coronati dalla fede nella santissima Trinità, si salvano. Dire che porta «sul capo una corona di dodici stelle» equivale a dire che la sua corona è costituita da tutti i santi, i quali a loro volta riconoscono di dovere a lei, dopo che a Dio, il fatto di essere incoronati, come si legge nell’Apocalisse: «I ventiquattro vegliardi gettavano le loro corone davanti al trono» (Ap 4,10), dove per «i ventiquattro vegliardi» è da intendersi la totalità dei santi, come per i dodici patriarchi si deve intendere l’insieme dell’Antico Testamento e per i dodici Apostoli l’insieme del Nuovo Testamento; e ciò in ragione del fatto che ventiquattro è il prodotto di sei per quattro, come spiega una Glossa relativa ad Ap 4,4. Tutti i santi quindi gettano le loro corone «ai piedi di colui che siede sul trono», perché tutti si riconoscono incoronati da Dio e dalla Madre sua, rappresentati appunto dal trono.

Le «dodici stelle» possono anche rappresentare le dodici prerogative o privilegi di cui è insignita la beata Vergine e che la rendono superiore a qualsiasi altra pura creatura. 
La prima prerogativa consiste nell’immunità dal peccato, dal momento che ella non peccò mai, né mortalmente né venialmente. Scrive a tale proposito Agostino: «Quando parlo di peccato, per rispetto del Signore, non intendo in alcun modo riferirmi alla beata Vergine Maria. Infatti sappiamo che le fu concessa una sovrabbondanza di grazia proprio perché evitasse il benché minimo peccato e così potesse concepire e partorire senza ombra di peccato. Fatta eccezione della Vergine, quindi, se fosse possibile radunare tutti i santi e le sante per domandare loro se hanno commesso qualche peccato, non potrebbero fare altro che rispondere di sì». Infatti nella Prima Lettera di Giovanni si legge: «Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi» (1 Gv 1,8). Pertanto la Vergine fu preservata dal peccato per una grazia singolare, di cui fu anche riempita perché il frutto del suo grembo fosse opera esclusiva del Signore e non della natura. Grazie a tale prerogativa ella è dunque superiore non solo agli esseri umani, ma anche a quelli angelici, perché se ebbe una natura umana, visse una vita angelica
In entrambe si distinse in modo singolare per tre aspetti specifici di questa prerogativa. 
In primo luogo: gli angeli non possono peccare, ma neppure meritare in vista di un premio, e quindi non possono né perdere né guadagnare, mentre gli uomini possono meritare e demeritare, e quindi possono perdere o guadagnare. La beata Vergine è superiore tanto agli uni quanto agli altri perché potè guadagnare e meritare. Potè guadagnare grazie alla sua condizione viatrice; ma non potè perdere perché immune dal peccato. E che non potesse peccare risulta chiaramente dalla condizione del suo libero arbitrio che, come dicono i santi Padri, non fu inquinato da alcuna predisposizione o inclinazione al male, ma fu, per pienezza di grazia, sempre incline al bene. 
In secondo luogo: se la condizione degli angeli è indubbiamente più nobile per il fatto che non possono peccare, quella degli uomini è più gloriosa perché lottando possono conseguire la gloria della vittoria. La condizione della beata Vergine fu insieme nobile e gloriosa: nobile perché non potè peccare; gloriosa perché, pur appartenendo alla natura umana, schiacciò la testa al serpente (cf. Gn 3,15). 
In terzo luogo: la condizione degli angeli è più stabile, dal momento che non possono cadere, mentre quella degli uomini è più fruttuosa perché agendo sotto la spinta della carità possono conquistare il regno dei cieli. La condizione della beata Vergine fu stabile e fruttuosa insieme, poiché se da una parte non potè peccare, dall’altra potè meritare.
La seconda stella è costituita dalla seconda prerogativa, che consiste in una sublime purezza, purezza che nella beata Vergine conobbe quattro aspetti o gradi: la santificazione fin dal grembo materno, la pratica di tutte le virtù, l’intervento fecondatore dello Spirito Santo e il concepimento del Figlio di Dio. 
Quanto al primo grado, ella fu purificata a tal punto da rimanere esente dall’inclinazione a qualsiasi genere di peccato; e in ciò fu superiore a tutti gli altri che furono santificati fin dal grembo materno. In questi, infatti, rimase almeno una certa predisposizione e inclinazione al peccato veniale, come sembra evidente in Giovanni Battista, del quale fu detto che «tra i nati di donna non è sorto uno più grande di lui» (Mt 11,11), ma che, pur essendo stato santificato fin dal grembo materno, tuttavia fuggì in seguito nel deserto «per evitare di macchiare la propria vita col sia pur minimo peccato di lingua»
Quanto al secondo grado, ella fu purificata non tanto per assenza di impurità, quanto piuttosto per la presenza della massima purezza. 
Similmente, quanto al terzo grado, ella venne consacrata con l’acqua benedetta e il crisma santificante dello Spirito Santo come il sancta sanctorum, nel quale potesse accedere una sola volta il sommo pontefice nell’anno della misericordia (cf. Sal 64,12, Vulgata). 
Quanto al quarto grado, la maestà di Dio ha fatto il suo ingresso in lei come nel tempio. Nel primo grado venne conferita alla beata Vergine la perfezione della grazia sacramentale; nel secondo, la perfezione delle virtù e delle beatitudini; nel terzo la pienezza dei doni; nel quarto l’eccellenza dei frutti. 
A proposito del primo grado, nel Cantico dei Cantici si legge: «Tutta bella sei, amica mia», tutta bella per l’assenza del peccato originale e attuale mortale, «e in te non v’è macchia alcuna», per l’assenza anche di qualsivoglia peccato veniale (Ct 4,7). 
A proposito del secondo grado, sempre nel Cantico si legge: «Come sei bella, amica mia, quanto sei bella! facendo astrazione da quello che nascondi dentro» (Ct 4,2); «quanto sei bella» in ciò che fai sospinta dalla carità, «quanto sei bella» nel corpo a motivo della castità; «facendo astrazione da quello che nascondi dentro», nel cuore, grazie alla tua umiltà. 
A proposito del terzo grado di purezza, „nel Salmo si legge: «L’Altissimo ha santificato la sua abitazione» (Sal 45,5); Nel Vangelo di Luca: «Lo Spirito Santo scenderà su di te» (Lc 1,35); e ancora nel libro di Isaia: «Un germoglio spunterà dal tronco di lesse; su di lui poserà lo Spirito del Signore» (Is 11,1), e indubbiamente anche su di lei. 
A proposito del quarto grado, come se un recipiente contenesse acqua e vino senza che ne risultino mescolati, Ezechiele dice: «La gloria del Signore entrò nel tempio per la porta che guarda a oriente» (Ez 43,4); e da allora la terra rifulse della maestosa presenza della divinità; non fa meraviglia quindi se rifulse in colei nella quale abita la luce di tutti gli esseri celesti e sovraccelesti. Ecco perché Giuseppe non potè sostenere la sua vista; non dobbiamo stupircene, dal momento che l’occhio della civetta non è in grado di fissare la ruota infuocata del soleInfatti il cerchio del sole si è nascosto dietro la luna, così che l’annientamento della divinità è da ritenersi una vera e propria eclissi. Per manifestare con degli esempi la grazia ineffabile di tale sublime purezza, Geremia e Giovanni Battista vennero santificati fin dal grembo materno. Geremia stesso ne da la spiegazione in questi termini: «Il Signore crea una cosa nuova sulla terra: la donna cingerà l’uomo…» (Ger 31,22), alludendo sottilmente a colui che doveva venire, e che Giovanni segnò a dito. A proposito di tale sublime purezza, Anselmo dice che «rifulgeva di una purezza di cui è impossibile pensarne una maggiore in una creatura».
La terza stella consiste nella pienezza di grazia, che comporta tre caratteristiche: 
primo, essa è tale che non se ne può immaginare una maggiore; 
secondo, non manca di alcun bene; 
terzo, è affluita in lei in modo tale da riempirla tutta e da renderla stabilmente piena. Così ella non potè contenerne di più; infatti, dopo Dio, nessun bene è maggiore di quello di essere Madre del Signore. Perciò si dice nel Vangelo di Luca: «Ave, o piena di grazia» (Lc 1,28). Non mancò di alcun bene, per cui in Luca si legge ancora: «Maria si è scelta la parte migliore in assoluto [=optimum]» (Lc 10,42). Fra i molteplici beni terrestri e celesti condivisi da tutti, ella «ha scelto la parte migliore in assoluto» di ciascuno. 
In primo luogo si distinse quanto ai beni comuni a tutti. Negli uomini infatti vi sono due tendenze buone: la tendenza all’operare e la tendenza al contemplare. Ma se è cosa buona l’agire, è cosa migliore il contemplare, ed è cosa migliore in assoluto dedicarsi a entrambe. Ora, la beatissima Maria scelse per sé di dedicarsi a entrambe. Ciò che il Signore chiama la parte migliore in assoluto è pertanto rappresentato da Marta e da Maria. Se infatti avesse voluto che l’atteggiamento contemplativo prescindesse dall’operatività, avrebbe dovuto dire: Maria si è scelta la parte migliore (= meliorem); ma avendo detto la parte migliore in assoluto (= optimam), volle significare che la beata Vergine incarnò in modo perfetto sia il modello della vita contemplativa sia quello della vita attiva. 
In altro modo ancora ella si distinse quanto ai beni condivisi da tutti gli uomini. Questi infatti possono scegliere uno dei seguenti stati di vita: coniugale, vedovile e verginale. La vita coniugale è buona, la condizione vedovile è migliore, ma lo stato di verginità è migliore in assoluto. Ebbene, la santa Vergine ha scelto la parte migliore in assoluto, non solo perché ha optato per lo stato verginale, ma perché ha sperimentato tutti questi stati di vita.
In terzo luogo ella si è distinta rispetto alle vergini e alle madri. La parte delle madri è buona, ma è migliore quella delle vergini, perché possiedono la dignità verginale; ma anche qui la beata Vergine ha scelto la parte migliore in assoluto, dal momento che fu ornata e della fecondità della madre e della dignità della vergine.
In quarto luogo ella si distinse nello stare dalla parte di Dio e delle creature. L’essere creatura fu per lei cosa buona, perché potè accogliere il Signore Gesù Cristo come suo Dio; migliore fu il suo stare dalla parte di Dio Padre, perché potè accogliere il Signore Gesù Cristo come proprio Figlio: scelse dunque la parte migliore in assoluto, dal momento che il Signore Gesù Cristo fu per lei Dio e Figlio insieme. In quinto luogo si distinse nei confronti dello Spirito Santo. Lo Spirito Santo procede dal Figlio e non il Figlio dallo Spirito Santo; la beata Vergine invece procede dal Figlio e il Figlio da lei. In sesto luogo si distinse nei confronti del Figlio, col quale ha condiviso il regno dei cieli, che è costituito da due aspetti: la giustizia e la misericordia. La beata Vergine si è scelta la parte migliore in assoluto, poiché è diventata regina di misericordia, mentre il Figlio suo è costituito Re di giustizia; ora la misericordia è migliore della giustizia, infatti «la misericordia ha sempre la meglio nel giudizio» (Gc 2,13), e: «la misericordia del Signore si espande su tutte le sue creature» (Sal 144,9). Da ultimo si distinse ancora nei confronti del Figlio, in quanto, se questi siede alla destra del Padre, ossia fu messo a parte dei migliori beni del Padre, ella si è assisa Regina alla destra del Figlio, ossia è stata resa partecipe dei migliori beni del Figlio; ma tra le cose migliori questa rappresenta l’ottimo: Maria ha dunque scelto per sé la parte migliore in assoluto. Ed è evidente, dal momento che non mancò di alcun bene.
La terza caratteristica della pienezza di grazia consiste in questo: che in lei la grazia è affluita in modo tale da riempirla tutta e da renderla stabilmente piena. Perciò ebbe quella pienezza tipica della fonte traboccante, di cui si legge nel libro di Ester: «Un piccolo ruscello divenne un fiume immenso, ecc.» (Est 11,10, Vulgata). E ancora, si tratta di una pienezza come quella di un vaso, ma di un vaso stupendo, come quello di cui si legge nel libro dell’Ecclesiastico: «Vaso stupendo è l’opera dell’Altissimo» (Sir 43,2, Vulgata). Per due motivi è detta vaso stupendo: primo, perché ha contenuto chi è infinitamente più grande di lei: «Hai portato nel tuo grembo colui che i cieli non possono contenere»; secondo, perché contenne realtà diverse, senza confusione e senza commistione: infatti portò dentro di sé il vino della divinità e l’acqua dell’umanità senza che perdessero la rispettiva natura e le specifiche proprietà.
Salus nostra in manu tua est, o Maria!
La quarta stella consiste in una perfetta conoscenza contemplativa di Dio e nella conoscenza del mistero dell’Incarnazione, conoscenze che la beata Vergine ebbe nella condizione viatrice, ma non dalla condizione di viatrice, come è possibile arguire dal fatto che in seguito non beneficiò di alcun’altra rivelazione. Se ella non fu presente al momento della trasfigurazione, né fu fatta oggetto di una qualche apparizione dopo la risurrezione, è appunto perché non aveva bisogno di essere confermata nella fede, dal momento che fu sempre al corrente di tutti i segreti, come risulta evidente dall’episodio delle nozze di Cana (cf. Gv 2,1ss.). In quella circostanza, infatti, sapendo in anticipo quello che il Figlio intendeva fare, disse ai servi: «Fate quello che vi dirà». Dice bene Bernardo: «„Su te stenderà la sua ombra la potenza dell’Altissimo” (Lc 1,35)? „Chi può capire, capisca” (Mt 19,12). Chi infatti, tranne forse colei che sola meritò di farne felicissima esperienza, potrebbe comprendere e razionalmente spiegarsi in che modo lo splendore inaccessibile si sia addentrato nelle viscere di una vergine, e come, affinchè ella fosse in grado di sopportare che l’inaccessibile le si avvicinasse, a partire da una piccola parte vitale di quel corpo al quale si unì, egli abbia coperto della sua ombra tutto il resto? E forse proprio per questo le fu detto: „su te stenderà la sua ombra”, perché la realtà era mirabilmente avvolta nel mistero, e ciò che da sola la Trinità volle operare unicamente nella Vergine e con la sua esclusiva collaborazione, fu dato di conoscere soltanto a chi ne ha fatto diretta esperienza». E ancora: «La potenza e la sapienza di Dio (cf. 1 Cor 1,24), cioè Cristo, coprirà e nasconderà, adombrandolo nel suo arcano disegno, il modo in cui concepirai dallo Spirito Santo, così che sia noto soltanto a lui e a te. E come se l’angelo rispondesse alla Vergine: „Perché mi domandi quello che tra poco sperimenterai in te? Lo saprai, lo saprai, e sapendolo ne godrai, ma te lo rivelerà lo stesso autore”… Soltanto il donatore può spiegarlo e soltanto chi lo riceve può comprenderlo». È dunque evidente che ella ebbe una perfetta contemplazione di Dio e una adeguata conoscenza dell’Incarnazione. Ora, questa prerogativa comporta tre primati: 
in primo luogo ebbe una conoscenza superiore a quella dei profeti, per cui era in grado di dare una risposta alla domanda di Isaia: «Chi racconterà la sua generazione?» (Is 53,8), potendo dire consapevolmente a se stessa: certamente colei che fu scelta come madre. Ella potè dunque raccontare, come fece Luca, che scrisse narrando di lei. 
In secondo luogo superò in tale conoscenza anche Giovanni Battista, che fu profeta e più che profeta (cf. Mt 11,9). Per cui ella fu degna di sciogliere il legaccio del sandalo (cf. Gv 1,27) del Figlio suo, ciò che invece non era degno di fare Giovanni Battista. 
In terzo luogo, in tale conoscenza fu superiore anche agli angeli; per cui fu in grado di rispondere alla domanda che essi si ponevano: «Chi è costui che viene da Edom? ecc.» (Is 63,1). Chi fosse costui, lo sapeva bene colei che per lui aveva intessuto una tunica dalle lunghe maniche (cf. Gn37, 3). Si badi però che tale conoscenza non fu temporanea, cioè concessa per un determinato tempo, quasi un’intuizione fuggente, ma fu continua e inalterata, come si conviene a colei che è il trono di Dio e la mensa della Trinità. A lei si addicono dunque in sommo grado le prerogative che Dionigi attribuisce ai Troni: «Siedono in modo immutabile ed equilibrato, con la totalità delle loro potenze, nella parte più sublime e intorno a colui che è veramente l’Altissimo; e ricevono l’illuminazione tearchica impassibilmente e immaterialmente; e portano Dio; e si aprono premurosamente ai doni divini». Allo stesso modo ritengo che la Vergine abbia goduto fin da quaggiù di una sublime contemplazione, di cui furono resi partecipi anche i sentimenti e gli affetti del cuore, così che tutte le sue facoltà furono rese in qualche modo deiformi. Non è possibile dunque che su questa terra qualcun altro abbia potuto conoscerlo ed essergli familiare più di quanto non lo conobbe e gli fu familiare sua Madre. In favore di ciò depone tutto quanto è scritto nel libro sapienziale dell’Ecclesiastico, se viene letto e spiegato in riferimento a nostra Signora. Il Signore stesso, del resto, volle esprimersi attraverso le figure, quando fece deporre il libro e la manna nell’arca santa (cf. Dt 10,2 e Es 16,33), quasi a dire: Quanto vi è di gustoso e di sapida conoscenza è stato riposto nella Madre mia, la quale «conservava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore» (Lc 2,19).

La quinta stella consiste nella perfezione della carità. Il Cantico ce la presenta piena di carità e di amore; ora tale pienezza di triplice natura. Possedette in sommo grado l’amore naturale, l’amore acquisito e l’amore gratuito, sia singolarmente presi che nel loro insieme, al punto che è impossibile trovarne l’eguale nelle altre creature. L’amore naturale più grande è quello che nutre la madre per un figlio, come si legge: «Più che amore di donna…» (2 Sam 1,26). Ora, la beata Vergine ebbe tale amore al massimo grado. Mai nessuna donna amò il proprio figlio quanto nostra Signora amò il suo e di amore naturale. La natura dell’amore è come quella del fuoco: quanto più lo si divide e lo si sparge, tanto più diminuisce, e quanto più lo si raccoglie e lo si mette insieme, tanto più aumenta. Così tutte le altre madri, che ebbero dei figli, dovettero dividere il loro amore tra questi e gli uomini dai quali li ebbero. Inoltre, le madri che ebbero diversi figli e figlie hanno dovuto dividere il loro amore, dandone un po’ a ciascuno. Nostra Signora fu la sola madre a non avere un uomo e un altro figlio o un’altra figlia, per cui potè riversare tutto il proprio cuore con l’intera sua potenzialità affettiva naturale sul suo Unigenito. Ella quindi possedette in sommo grado l’amore naturale più grande. L’amore acquisito più grande è quello che una sposa nutre per il proprio sposo; e la Vergine Maria ebbe anche questo al massimo grado nei confronti del Figlio suo. Infatti, se le vergini sono spose di Cristo, la Vergine delle vergini fu Sposa dello Sposo in modo superlativo, per cui non solo ella seguì l’Agnello dovunque andasse (cf. Ap 14,4), ma l’Agnello stesso seguiva lei dovunque andasse. L’amore gratuito più grande è la carità; e anche questo ella ebbe al massimo grado. Ella infatti fu piena, come è detto, di carità e di amore: di carità verso Dio e di amore verso il prossimo. In lei questi tre massimi amori si trovano uniti al punto da costituire un unico grandissimo amore, come non è mai avvenuto in nessun’altra creatura. Ogni altra creatura infatti ama il proprio figlio e ama Dio: ma si tratta di due amori diversi. Soltanto la Madre di Dio potè amare di un unico medesimo amore il proprio Figlio e Dio, dal momento che il Figlio suo era anche il suo Dio. Da ciò appare evidente che ella conobbe la perfezione della carità.
La sesta stella consiste nella comunicazione del gesto della più alta carità, quale fu la redenzione del genere umano attraverso la passione; gesto gloriosissimo e di immensa carità che compì colui che disse con autorevolezza: «Nessuno ha un amore più grande…» (Gv 15,13). Tale fu riconosciuto dal Padre delle misericordie, sia che per condiscendenza della somma misericordia la Madre stessa lo abbia compiuto, sia che sia stata di aiuto al Figlio nel compierlo, affinchè si adempisse quanto profeticamente è detto nella Genesi: «Facciamogli un aiuto che gli sia simile» (Gn 2,18). 
Ella infatti, a somiglianza del Figlio suo, provò sotto la Croce e presso la Croce un’immensa gioia e un immenso dolore, come il Figlio crocifisso. Provò un immenso dolore naturale a motivo della morte del Figlio e un immenso gaudio razionale a motivo della redenzione del genere umano che attraverso tale morte veniva operata. 
A proposito del primo, nella prima Lamentazione si legge: «O voi tutti che passate per via» (Lam 1,12). 
A proposito del secondo possiamo addurre come argomento eloquentissimo quanto si legge in Luca: «Il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra» (Lc 22,44); tale sudore infatti non fu determinato dalla paura ma dall’amore. La paura infatti fa contrarre il cuore, frena il fluire del sangue e della vita, raggela le estremità degli arti, produce tremore e raccapriccio; il gaudio invece accresce la vitalità e fa scorrere il sangue per tutto il corpo, dilata i pori e riscalda le estremità del corpo. Da ciò si può naturalmente arguire che il sudore di sangue fu motivato dall’ineffabile gioia che il Redentore provò per il fatto che ci salvò nel modo più amichevole di quanto non si potesse pensare. Similmente, anche la Madre sua benedetta provò un grandissimo dolore naturale a motivo dell’amore che nutriva per il Figlio messo a morte, mentre assisteva al di lui supplizio; ma provò anche un grandissimo gaudio razionale per il fatto che colui che era nato da lei salvò il genere umano con una così grande attestazione di carità. Quanto al primo, nel Vangelo di Luca si legge: «Una spada ti trapasserà l’anima» (Lc 2,35). Quanto al secondo, Ambrogio dice che «stava presso la croce non a conforto del Figlio sofferente ma in attesa che si operasse la salvezza del genere umano».
La settima stella consiste nell’esaltazione al di sopra di ogni altra pura creatura. Per cui, se l’onore che rendiamo agli altri santi è di normale convenienza, quello che dobbiamo alla beata Vergine è esigito dalla sua alta dignità. Per cui giustamente è detto: «con la luna sotto i suoi piedi», come sopra; e i Cherubini contemplano con le facce rivolte verso il propiziatorio, come sopra; e ancora «i ventiquattro vegliardi gettavano le loro corone», come sopra. Tutti segni attestanti che come Dio è detto nostro Signore per eccellenza, così Maria è giustamente chiamata nostra Signora. Infatti ella è al di sopra di tutte le creature, essendo Madre del Creatore. E proprio perché il Signore riconosce questa sua sovreminenza, vuole che sia tributato anche a lei tutto l’onore che gli è dovuto su questa terra. Così ha stabilito che si celebrassero in suo onore quattro feste distinte, una per ciascuna delle quattro parti dell’anno, quasi a dire: come per l’intero anno vi dedicate al mio servizio, così dovete servire pure la mia carissima Madre. Non contento di ciò, volle che fosse dedicato al ricordo di lei un giorno alla settimana, quel sabato che gli sta tanto a cuore e a proposito del quale ha espressamente detto: «Ricordati di santificare il giorno di sabato» (Es 20,8), mentre destinò in modo speciale il seguente al proprio culto. E come se ciò non bastasse, volle che la Madre sua venisse onorata, come viene onorato Lui stesso, con un servizio quotidiano distribuito nelle diverse ore del giorno e della notte, così che risultasse evidente quanto l’avesse esaltata al di sopra di ogni altra creatura; e ciò, non solo in teoria ma con una reale sua elevazione, come si legge nel libro di Ester: «Il terzo giorno Ester si adorno splendidamente…»; e poco più oltre: «quindi, attraversate una dopo l’altra le varie porte che ve la separavano, si introdusse alla presenza del re, che se ne stava assiso sul suo trono in abiti regali, splendenti di oro e di gemme preziose» (Est 15,4.9, Vulgata). 
Le «porte» di Assuero altro non sono che le porte delle beatitudini, che il Signore elenca nel Vangelo di Matteo: «Beati i poveri in spirito…» (Mt 5,3ss.), enumerando in tal modo le porte che la beata Vergine attraversò, come risulta evidente dalla sua condotta di vita. 
La settima beatitudine: «Beati i pacifici…», ha per oggetto la pace, che non è più una porta da attraversare, ma piuttosto la sede, il trono sul quale riposare. Alla prima porta stanno i confessori; alla seconda i martiri; alla terza i profeti; alla quarta i patriarchi; alla quinta gli apostoli; alla sesta le vergini e gli angeli. Ritengo che chiunque concordi con questa interpretazione. La beatissima Vergine, «oltremodo piacente, appoggiata al suo diletto» (Ct 8,5), attraversando per ordine queste porte, superò tutte le schiere degli angeli, acclamanti al suo passaggio: «Avanza per la verità, la mitezza e la giustizia» (Sal 44,5), e così potè assidersi ‘in trono accanto al Figlio suo, al di sopra di ogni altra creatura: «Fece collocare un trono per la madre del re, la quale sedette alla sua destra» (1 Re 2,19). Quale mai donna è stata altrettanto esaltata al di sopra di tutte le creature?
L’ottava stella consiste nell’assunzione di quella dignità che viene espressa con l’immagine di «porta del cielo». Ciò significa che nessuno entra in cielo, come pure che nessun dono di grazia è mai venuto dal cielo, se non per mezzo suo: infatti, senza la fede nel Figlio di Dio fatto Uomo dalla Vergine Maria mai nessuno è entrato o entrerà in cielo, come pure nessun dono di grazia è mai uscito dal cielo. 
Ne consegue che il Signore non accoglie chicchessia se non tramite lei. Si legge infatti nel libro della Sapienza: «Insieme con essa mi sono venuti tutti i beni»; e ancora: «ignoravo che di tutti i beni essa è madre» (Sap 7,11.12). Questa è dunque «porta del cielo»; ma come è possibile ciò, dal momento che il Signore ha detto: «Io sono la porta» (cf. Gv 10,7)? Non vi è comunque contraddizione, dal momento che ogni ingresso è munito di porta, come si dice chiaramente a proposito del tempio, alla cui navata si accedeva attraverso un portale munito di due battenti che si aprivano insieme (cf. 1 Re 6,34). Ma nella fattispecie, di che porta si tratta? Giovanni nell’Apocalisse vide dodici porte (cf. Ap 21,12), ma tutte e dodici riconducibili a quest’unica porta che, per merito, per esempio e per potenza di intercessione, metteva in comunicazione con ogni parte del mondo. È essa quindi la porta Bella e luminosa del vero tempio (cf. At 3,10), che guarda verso Oriente, la porta spalancata che invita i passanti a entrare dicendo: «Venite a me, voi che mi desiderate…» (Sir 24,18), ossia che li lusinga come il vino del Signore.
La nona stella consiste nel parto indolore di tale Madre. E tale prerogativa è triplice, dal momento che la beata Vergine, unica tra tutte le madri, andò esente dall’onta fisica, dall’onta del bisogno degli altri, dall’onta della colpa e della pena. L’onta fisica di una qualsiasi madre è triplice: nel concepire perde la verginità; durante la gestazione perde l’avvenenza del corpo; al momento del parto si isola dal consorzio umano. La beata Vergine invece nel concepire acquisì una purezza tale che è impossibile immaginarne una più grande dopo quella di Dio; durante la gestazione divenne ancora più bella, tanto che Giuseppe non osava guardarla; al momento del parto godette della compagnia degli angeli e di Dio, come del resto le aveva detto Gabriele: «Il Signore è con te» (Lc 1,28). 
In ogni altra madre, l’onta di dover avere bisogno degli altri è pure triplice: per concepire ha bisogno del maschio; durante la gestazione ha bisogno di stare tranquilla; al momento del parto necessita dell’aiuto di un’ostetrica. La beata Vergine invece concepì per intervento dello Spirito Santo; durante la gestazione, anziché essere servita si recò a servire, come si legge in Luca: «Si mise in viaggio verso la montagna» (Lc 1,39); al momento del parto, diede alla luce alla presenza degli angeli adoranti. 
Anche l’onta della colpa e della pena nelle altre madri ha una triplice manifestazione: nel concepire pecca di libidine; durante la gestazione soffre di pesantezza; al momento del parto geme nel dolore. La beata Vergine invece concepì senza alcuna libidine, durante la gestazione non si sentì appesantita, e partorì senza dolori di sorta. Si legge infatti in Isaia: «Ecco, la vergine concepirà» (Is 7,14); e ancora: «Prima che le venissero i dolori, ha dato alla luce» (Is 66,7).
La decima stella consiste nel fatto che ella fu insieme madre e vergine. Anche questa prerogativa presenta tre aspetti: si tratta evidentemente di un grande privilegio, dal momento che la verginità comporta un inestimabile merito, un ineffabile premio, un incomparabile valore e dignità: quanto al valore può essere paragonata al «tesoro nascosto in un campo» (Mt 13,44), più prezioso del mondo intero, anzi di mille mondi messi insieme, poiché «non si può valutare il peso di un’anima pudica» (Sir 26,15). Infatti il voto di castità non è passibile né di quantificazione né di compenso adeguato: è semplicemente ineffabile. Quanto a dignità e merito supera di quattro gradini la stessa condizione degli angeli: la verginità umana è molteplice rispetto a quella degli angeli; negli esseri umani infatti essa riguarda il corpo e lo spirito, mentre quella degli angeli riguarda soltanto lo spirito. È inoltre più nobile: negli uomini essa è frutto della grazia, mentre negli angeli è un fatto naturale; in quelli è volontaria, mentre in questi è necessaria. In terzo luogo è più gloriosa: negli uomini essa è frutto di una lotta vittoriosa, mentre negli angeli non comporta né lotta né vittoria. In quarto luogo è più utile, in quanto nei primi è meritoria, mentre nei secondi non lo è perché costituisce una dote naturale.
Al di sopra della decima stella vi è l’undicesima, la quale consiste nel fatto che la Madre di Dio è tanto superiore alla stella precedente quanto Dio è superiore all’uomo. Già sarebbe stata grande cosa se la Vergine avesse generato un uomo santo. Ma per l’eccellenza della grazia di cui fu ricolmata gli va riconosciuta una triplice grandezza. 
Grande cosa sarebbe stata per lei essere vergine e madre di un uomo santissimo; 
cosa infinitamente più grande l’essere Madre di Dio; 
ma cosa più grande ancora delle due precedenti, e quindi grandissima, fu per lei il fatto di essere Madre di un Uomo santissimo e insieme di Dio. Tutto ciò la colloca indubbiamente a un’altezza vertiginosa e incomparabile.
La dodicesima stella consiste nel fatto che ella oltre ad essere Madre di Dio secondo la carne, fu anche Madre degli uomini secondo lo spirito. Come Eva generò tutti per questa terra, così nostra Signora generò tutti per il cielo. Si legge infatti nell’Ecclesiastico: «Avvicinatevi a me voi che mi desiderate ed entrate nel numero dei miei figli» (Sir 24,26, Vulgata). Dice «figli» perché, pur avendone generato uno solo nella carne, ne ha generati una moltitudine di altri nello spirito. Per questo giustamente in Luca si legge: «Maria diede alla luce il suo figlio primogenito» (Lc 2,7), perché, mentre ne partorì uno solo fisicamente, partorì tutti noi spiritualmente. A ragione quindi Isaia ha potuto esclamare ammirato: «Forse che la terra partorirà in un solo giorno, o darà alla luce un intero popolo in un istante? Chi ha mai udito una cosa simile?» (Is 66,8). Questo privilegio della beata Vergine comporta tre aspetti: ella è madre spirituale di tutti, è madre dell’universo, ed è madre dell’angelica restaurazione. Per cui Bernardo scrive: «Giustamente, o mia Sovrana, gli occhi di tutte le creature sono rivolti a te, poiché per te, in te e a partire da te la benignissima mano di Dio ricreò quanto aveva creato». Del resto, nel libro della Sapienza si legge: «Godetti di tutti questi beni, perché la sapienza mi guidava, ma ignoravo che di tutti essa è madre» (Sap 7,12). Ci conduca alle regali abitazioni del cielo l’intercessione di questa beatissima Madre e l’intervento salutare di nostro Signore Gesù Cristo, che vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.
AVE MARIA PURISSIMA!
[Orig. lat.: Opera Omnia, t. IX, ediz. Quaracchi, Ad Claras Aquas, 1902, pp. 700-706. Trad. ital.:Testi mariani del secondo Millennio, t. IV Autori medievali dell’Occidente. Secoli XIII-XIV, a cura di L. Gambero, Citta Nuova Editrice, Roma 1996, pp. 275-288]

La scure: Fino a quando verrò. Id quod habetis tenete donec ...

La scure:
Fino a quando verrò

Id quod habetis tenete donec ...
: Fino a quando verrò Id quod habetis tenete donec veniam (Ap 2, 25). Fino a che il Signore non ritorni, teniamo ben stretto ciò...






lunedì 8 giugno 2015

SAN BONAVENTURA


Sermone XXI De nativitate Domini in italiano

Dal Sermone XXI De nativitate Domini, pronunciato nella chiesa di Santa Maria della Porziuncola, che illustrava alcuni fatti miracolosi accaduti nel momento del Santo Natale (qui sotto una traduzione dal testo originale latino):

«Questi, secondo diverse testimonianze, sono i miracoli manifestatisi al popolo peccatore il giorno della Natività di Cristo.

Primo – Una stella splendente apparve nel cielo verso Oriente, e dentro di essa si vedeva la figura di un bellissimo bambino sul cui capo rifulgeva una croce, per manifestare la nascita di Colui che veniva a illuminare il mondo con la sua dottrina, la sua vita e la sua morte.

Secondo – In Roma, a mezzo giorno, apparve sopra il Campidoglio un cerchio dorato attorno al sole – che fu visto dall’Imperatore e dalla Sibilla raffigurante al centro una Vergine bellissima che portava un Bambino, volendo così rivelare che Colui che stava nascendo era il Re del mondo che si manifestava come lo «splendore della gloria del Padre e la figura della sua stessa sostanza» (Ebrei 1,3). Vedendo questo segnale, il prudente Imperatore (Augusto) offrì incenso al Bambino, e da allora rifiutò di essere chiamato dio.

Terzo – In Roma venne distrutto il “tempio della Pace”, sul quale, quando era stato costruito, i demoni si domandavano per quanto tempo sarebbe durato. Il vaticinio fu: «fino al momento in cui una vergine concepirà». Questo segnale rivelò che stava nascendo Colui che avrebbe distrutto gli edifici e le opere della vanità.

Quarto – Una fonte di olio di oliva sgorgò improvvisamente a Roma e fluì abbondantemente, per molto tempo, fino al Tevere, per dimostrare che stava nascendo la Fonte della pietà e della misericordia.

Quinto – Nella notte della Natività, le vigne di Engadda, che producevano balsamo e aromi, si coprirono di foglie e produssero nettare, per significare che stava nascendo Colui che avrebbe fatto fiorire, rinnovare, fruttificare spiritualmente e attirare con il suo profumo il mondo intero.

Sesto – Circa trentamila ribelli furono uccisi per ordine dell’Imperatore, per manifestare la nascita di Colui che avrebbe conquistato alla sua Fede il mondo intero e avrebbe precipitato i ribelli nell’inferno.

Settimo – Tutti i sodomiti, uomini e donne, morirono su tutta la terra, secondo quanto ricordò San Gerolamo commentando il salmo:«È nata una luce per il giusto», per evidenziare che Colui che stava nascendo veniva a riformare la natura e a promuovere la castità.

Ottavo – Nella Giudea un animale parlò, e lo stesso fecero anche due buoi, affinché si comprendesse che stava nascendo Colui che avrebbe trasformato gli uomini bestiali in esseri razionali.

Nono – Nel momento in cui la Vergine partorì, tutti gli idoli dell’Egitto caddero in frantumi, realizzando il segno che il profeta Geremia aveva dato agli egiziani quando viveva tra loro, affinché si intendesse che stava nascendo Colui che era il vero Dio, l’unico che doveva essere adorato assieme al Padre e allo Spirito Santo.

Decimo – Nel momento in cui nacque il Bambino Gesù, e venne deposto nella mangiatoia, un bue e un asino si inginocchiarono e, come se fossero dotati di ragione, Lo adorarono, affinché si capisse che era nato Colui che chiamava al suo culto i giudei e i pagani.

Undicesimo -–Tutto il mondo godette della pace e si trovò nell’ordine, affinché fosse palese che stava nascendo Colui che avrebbe amato e promosso la pace universale e impresso il sigillo sui propri eletti per sempre.

Dodicesimo – In Oriente apparvero tre stelle che in breve si trasformarono in un unico astro, affinché fosse a tutti manifesto che stava per essere rivelata l’unità e trinità di Dio, e anche che la Divinità, l’Anima e il Corpo si sarebbero congiunti in una sola Persona.


Per tutti questi motivi la nostra anima deve benedire Dio e venerarlo, per averci liberato e per avere manifestato la sua maestà, con così grandi miracoli, a noi poveri peccatori».


Rosario in Latino, di Benedetto XVI - Misteri Luminosi







OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI Giovedì, 7 giugno 2012


OMELIA DEL SANTO PADRE BENEDETTO XVI
Roma, Giovedì, 7 giugno 2012


Cari fratelli e sorelle!
Questa sera vorrei meditare con voi su due aspetti, tra loro connessi, del Mistero eucaristico: il culto dell’Eucaristia e la sua sacralità. E’ importante riprenderli in considerazione per preservarli da visioni non complete del Mistero stesso, come quelle che si sono riscontrate nel recente passato.



Anzitutto, una riflessione sul valore del culto eucaristico, in particolare dell’adorazione del Santissimo Sacramento. 
E’ l’esperienza che anche questa sera noi vivremo dopo la Messa, prima della processione, durante il suo svolgimento e al suo termine. 
Una interpretazione unilaterale del Concilio Vaticano II aveva penalizzato questa dimensione, restringendo in pratica l’Eucaristia al momento celebrativo. 

In effetti, è stato molto importante riconoscere la centralità della celebrazione, in cui il Signore convoca il suo popolo, lo raduna intorno alla duplice mensa della Parola e del Pane di vita, lo nutre e lo unisce a Sé nell’offerta del Sacrificio. 

Questa valorizzazione dell’assemblea liturgica, in cui il Signore opera e realizza il suo mistero di comunione, rimane ovviamente valida, ma essa va ricollocata nel giusto equilibrio. 
In effetti – come spesso avviene – per sottolineare un aspetto si finisce per sacrificarne un altro. In questo caso, l’accentuazione giusta posta sulla celebrazione dell’Eucaristia è andata a scapito dell’adorazione, come atto di fede e di preghiera rivolto al Signore Gesù, realmente presente nel Sacramento dell’altare

Questo sbilanciamento ha avuto ripercussioni anche sulla vita spirituale dei fedeli. Infatti, concentrando tutto il rapporto con Gesù Eucaristia nel solo momento della Santa Messa, si rischia di svuotare della sua presenza il resto del tempo e dello spazio esistenziali. 
E così si percepisce meno il senso della presenza costante di Gesù in mezzo a noi e con noi, una presenza concreta, vicina, tra le nostre case, come «Cuore pulsante» della città, del paese, del territorio con le sue varie espressioni e attività. Il Sacramento della Carità di Cristo deve permeare tutta la vita quotidiana.



In realtà, è sbagliato contrapporre la celebrazione e l’adorazione, come se fossero in concorrenza l’una con l’altra. E’ proprio il contrario: il culto del Santissimo Sacramento costituisce come l’«ambiente» spirituale entro il quale la comunità può celebrare bene e in verità l’Eucaristia
Solo se è preceduta, accompagnata e seguita da questo atteggiamento interiore di fede e di adorazione, l’azione liturgica può esprimere il suo pieno significato e valore. 

L’incontro con Gesù nella Santa Messa si attua veramente e pienamente quando la comunità è in grado di riconoscere che Egli, nel Sacramento, abita la sua casa, ci attende, ci invita alla sua mensa, e poi, dopo che l’assemblea si è sciolta, rimane con noi, con la sua presenza discreta e silenziosa, e ci accompagna con la sua intercessione, continuando a raccogliere i nostri sacrifici spirituali e ad offrirli al Padre.



A questo proposito, mi piace sottolineare l’esperienza che vivremo anche stasera insieme. Nel momento dell’adorazione, noi siamo tutti sullo stesso piano, in ginocchio davanti al Sacramento dell’Amore. Il sacerdozio comune e quello ministeriale si trovano accomunati nel culto eucaristico. E’ un’esperienza molto bella e significativa, che abbiamo vissuto diverse volte nella Basilica di San Pietro, e anche nelle indimenticabili veglie con i giovani – ricordo ad esempio quelle di ColoniaLondraZagabriaMadrid. E’ evidente a tutti che questi momenti di veglia eucaristica preparano la celebrazione della Santa Messa, preparano i cuori all’incontro, così che questo risulta anche più fruttuoso.

 Stare tutti in silenzio prolungato davanti al Signore presente nel suo Sacramento, è una delle esperienze più autentiche del nostro essere Chiesa, che si accompagna in modo complementare con quella di celebrare l’Eucaristia, ascoltando la Parola di Dio, cantando, accostandosi insieme alla mensa del Pane di vita. 
Comunione e contemplazione non si possono separare, vanno insieme. 
Per comunicare veramente con un’altra persona devo conoscerla, saper stare in silenzio vicino a lei, ascoltarla, guardarla con amore. Il vero amore e la vera amicizia vivono sempre di questa reciprocità di sguardi, di silenzi intensi, eloquenti, pieni di rispetto e di venerazione, così che l’incontro sia vissuto profondamente, in modo personale e non superficiale. 

E purtroppo, se manca questa dimensione, anche la stessa comunione sacramentale può diventare, da parte nostra, un gesto superficiale. Invece, nella vera comunione, preparata dal colloquio della preghiera e della vita, noi possiamo dire al Signore parole di confidenza, come quelle risuonate poco fa nel Salmo responsoriale: «Io sono tuo servo, figlio della tua schiava: / tu hai spezzato le mie catene. / A te offrirò un sacrificio di ringraziamento / e invocherò il nome del Signore» (Sal 115,16-17).



Ora vorrei passare brevemente al secondo aspetto: la sacralità dell’Eucaristia. Anche qui abbiamo risentito nel passato recente di un certo fraintendimento del messaggio autentico della Sacra Scrittura. La novità cristiana riguardo al culto è stata influenzata da una certa mentalità secolaristica degli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso. 

E’ vero, e rimane sempre valido, che il centro del culto ormai non sta più nei riti e nei sacrifici antichi, ma in Cristo stesso, nella sua persona, nella sua vita, nel suo mistero pasquale. E tuttavia da questa novità fondamentale non si deve concludere che il sacro non esista più, ma che esso ha trovato il suo compimento in Gesù Cristo, Amore divino incarnato. 

La Lettera agli Ebrei, che abbiamo ascoltato questa sera nella seconda Lettura, ci parla proprio della novità del sacerdozio di Cristo, «sommo sacerdote dei beni futuri» (Eb 9,11), ma non dice che il sacerdozio sia finito
Cristo «è mediatore di un’alleanza nuova» (Eb 9,15), stabilita nel suo sangue, che purifica «la nostra coscienza dalle opere di morte» (Eb 9,14). 

Egli non ha abolito il sacro, ma lo ha portato a compimento, inaugurando un nuovo culto, che è sì pienamente spirituale, ma che tuttavia, finché siamo in cammino nel tempo, si serve ancora di segni e di riti, che verranno meno solo alla fine, nella Gerusalemme celeste, dove non ci sarà più alcun tempio (cfr Ap 21,22). Grazie a Cristo, la sacralità è più vera, più intensa, e, come avviene per i comandamenti, anche più esigente! Non basta l’osservanza rituale, ma si richiede la purificazione del cuore e il coinvolgimento della vita.



Mi piace anche sottolineare che il sacro ha una funzione educativa, e la sua scomparsa inevitabilmente impoverisce la cultura, in particolare la formazione delle nuove generazioni
Se, per esempio, in nome di una fede secolarizzata e non più bisognosa di segni sacri, venisse abolita questa processione cittadina del Corpus Domini, il profilo spirituale di Roma risulterebbe «appiattito», e la nostra coscienza personale e comunitaria ne resterebbe indebolita. 

Oppure pensiamo a una mamma e a un papà che, in nome di una fede desacralizzata, privassero i loro figli di ogni ritualità religiosa: in realtà finirebbero per lasciare campo libero ai tanti surrogati presenti nella società dei consumi, ad altri riti e altri segni, che più facilmente potrebbero diventare idoli. 

Dio, nostro Padre, non ha fatto così con l’umanità: ha mandato il suo Figlio nel mondo non per abolire, ma per dare il compimento anche al sacro. Al culmine di questa missione, nell’Ultima Cena, Gesù istituì il Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue, il Memoriale del suo Sacrificio pasquale. Così facendo Egli pose se stesso al posto dei sacrifici antichi, ma lo fece all’interno di un rito, che comandò agli Apostoli di perpetuare, quale segno supremo del vero Sacro, che è Lui stesso. 

Con questa fede, cari fratelli e sorelle, noi celebriamo oggi e ogni giorno il Mistero eucaristico e lo adoriamo quale centro della nostra vita e cuore del mondo. Amen. 

AMDG et BVM

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