sabato 6 dicembre 2014

Domenica 7 Dicembre 2014, II Domenica di Avvento (Anno B)


"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta

Domenica 7 Dicembre 2014, II Domenica di Avvento (Anno B)

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Marco 1,1-8.

Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio. Come è scritto nel profeta Isaia: Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te, egli ti preparerà la strada. Voce di uno che grida nel deserto: preparate la strada del Signore, raddrizzate i suoi sentieri, si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati. Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati. Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico e predicava: «Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali. Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo».
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" 
di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 45 pagina 281.

[...].Lo stesso 3 febbraio 1944, a sera.
Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.

A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S.Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.


Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito.

Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni.In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. 

Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire. Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. 

Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda.

Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dl gruppo, appoggiandosi al fusto di un albero.Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, son l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto. 

Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria. 

Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama: “Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?”Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza.”“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?”E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde: “Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo.”


Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata.Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo. 
Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore. 
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro il verde della sponda.
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Catechismo della Chiesa Cattolica

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CATECHISMO DELLA CHIESA CATTOLICA

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venerdì 5 dicembre 2014

MARIA DIVINA EST


Ecco a voi uno dei libri più belli e sublimi donati dal Cielo a questa Terra: "MARIA DIVINA EST". Solo Dio è l'Autore di queste Parole. ...nessun essere umano sarebbe capace di scrivere ciò che qui si legge e si ascolta: questo libro suona musica Divina e canta le Parole di Dio... Nemmeno i più dotti e i più sapienti ne sarebbero capaci poiché ogni uomo è piccolo e misero davanti agli Occhi di Dio. Solamente Dio può degnamente cantare Colei che E' LA PERFETTA. COLEI CHE E' L'IMMACOLATA CONCEZIONE.    
I piccoli... i semplici... i poveri di spirito... comprendono e accettano.   Perché gli altri vogliono insistere nel resistere a non proclamare il Dogma della Materna Corredenzione?
Offriamo molte Santissime Comunioni e Santissimi Rosari perché venga presto quel giorno beato. "Vieni, Spirito Santo, vieni, per mezzo della potente intercessione  del Cuore Immacolato di Maria, Tua Sposa Amatissima".

AVE MARIA! GRATIA PLENA!

IMMACOLATA

IMMACOLATA AUSILIATRICE





       Sono lieto di rivolgermi a voi dalla Chiesa di San Francesco di Assisi dove l’otto dicembre, sotto lo sguardo di Maria, si gettò il seme delle nostre opere e congregazioni. La salvezza, portata da Cristo, si fece tangibile nell’incontro tra Don Bosco e Bartolomeo Garelli, il giorno dell’Immacolata. Nella tradizione spirituale salesiana Maria è rimasta caratterizzata con due titoli: Immacolata e Ausiliatrice. Così la invochiamo ogni giorno nella preghiera di affidamento che oggi vogliamo rinnovare tutti insieme, aprendoci con fiducia alla speranza nella presenza salvifica di Dio nel millennio che comincia segnato già per vari fatti dall’intervento di Maria. Le Costituzioni Salesiane e delle FMA fanno, di ognuno di questi titoli, un commento sostanziale, per quanto breve: Immacolata, modello della nostra consacrazione totale al Signore e del nostro desiderio di santità; Ausiliatrice, segno e ispiratrice del nostro impegno pastorale nel popolo di Dio, particolarmente tra i giovani (cf SDB C 92; FMA C 44).

I due titoli non sono stati scelti ed accostati a caso, per pura simpatia o devozione. Riflettono la storia salesiana e sintetizzano le caratteristiche della spiritualità della nostra Famiglia. È vero che, al di sopra delle diverse rappresentazioni, guardiamo sempre alla persona di Maria, Madre di Gesù, della Chiesa, di ciascuno di noi. Oggi nell’affrontare con fiducia gli avvenimenti del terzo millennio, vogliamo vivere la stessa esperienza fondante del nostro Padre sotto lo sguardo, l’ispirazione e la protezione della Madre del Verbo Incarnato.

L’Immacolata


   domina nell’esperienza oratoriana. Alcune coincidenze provvidenziali portarono poi Don Bosco ad attribuire a lei un’intercessione particolare negli inizi della sua opera: “Tutte le nostre grandi iniziative – dirà – hanno avuto inizio il giorno dell’Immacolata” (MB XVII, pag. 510). Il paradigma era l’oratorio, 8 dicembre 1841.

L’immagine che rappresenta Maria col serpente sotto i piedi gli ricordava il trionfo della grazia sulle passioni umane e la vittoria della fede sull’empietà nella storia del mondo.

Don Bosco la rende vivacemente presente tra i ragazzi di Torino. Maria Mazzarello tra le ragazze di Mornese. La preoccupazione dominante era allora educare i giovani del proprio contesto. Tutto lo sforzo veniva rivolto a dare loro dignità umana e ad aprirli alla fede. Il ragazzo/a doveva prendere coscienza di sé e della vita di grazia. Si rendeva consapevole delle possibilità di vincere il male. L’educatore-educatrice avevano per lui una cura paterno-materna. È il momento in cui nasce e si plasma il Sistema preventivo.
Nell’ambiente oratoriano c’è un fatto evidente: Maria è sentita da educatori e giovani come una presenza viva, materna, potente. 

Questa presenza così sentita lasciò il segno nella pedagogia dell’Oratorio. La celebrazione della solennità dell’Immacolata, con la relativa preparazione spirituale, divenne centrale (cf MB VII, pag. 334). E continua ad esserlo ancora ai nostri giorni, dove esistono oratori-centri giovanili.
Nell’oratorio poi nacque la Compagnia dell’Immacolata, che corrisponde a quello che oggi chiamiamo il gruppo di giovani animatori. Fu il seme e la prova della futura congregazione salesiana. Nove su sedici membri della congregazione salesiana, che il 18 dicembre 1859 si radunarono con Don Bosco, erano membri della Compagnia dell’Immacolata (cf MB VI, 335).


In questa atmosfera mariana maturarono i temi più importanti dell’educazione dei giovani: la grazia, la purezza, la familiarità col soprannaturale, l’amore a Gesù, mentre per i salesiani e le salesiane si configurò il Sistema preventivo, come assistenza materna e cammino verso la santità, con una esigenza di generosa donazione a Dio e ai giovani. Il frutto di questo ambiente è Domenico Savio.
Si sviluppò anche un insieme di intuizioni sul valore pedagogico della devozione a Maria. Dobbiamo contare sulla presenza materna e invisibile di Maria nel nostro lavoro. Ella ama ciascuno, ma specialmente i giovani, perché li aiuta a crescere come ha fatto con Gesù. È una verità di fede cristiana, ma vissuta in una maniera non comune e trasferita all’esperienza educativa.



La presenza materna di Maria poi, sentita interiormente dai giovani, infonde in loro sicurezza e speranza per costruirsi come persone in un momento difficile e delicato della loro vita, a causa dell’instabilità, dello sviluppo corporale, della discussione della fede. Maria Immacolata, come ideale di purezza, esercita un’attrazione sui giovani e dà loro il gusto e la voglia di impegnarsi in progetti nobili.
La pedagogia di Don Bosco ha una certa componente estetica. Sin dall’inizio egli parlò della bellezza della virtù, della religione e della bruttezza del peccato. “Al giovane assetato di luce, di innocenza, di bontà Don Bosco presenta Maria come un ideale di umanità, non inquinata dal peccato, come la concretizzazione dei suoi sogni più audaci. Un ideale luminoso, non freddo né astratto, ma incarnato in una persona che lo ama intensamente perché è sua madre”(C. Colli, Patto della nostra alleanza con Dio, pag. 438). È l’aspetto psico-pedagogico.
Inoltre la devozione a Maria aiuta a familiarizzarsi con le realtà soprannaturali e a sentire Dio più vicino ed incarnato. Lo si pensa in rapporto con una donna che viene presentata sempre come Madre e come Aiuto nostro. È lo stimolo spirituale.
La catechesi oratoriana tendeva dunque a far accogliere ed interiorizzare questa immagine fino a farla penetrare nella vita dei giovani come una garanzia per la perseveranza futura. A questo tendevano tridui, novene, fioretti, addobbi, pellegrinaggi, gite a luoghi mariani. La tappa “oratoriana” per Don Bosco si estende fino all’organizzazione di Valdocco; per Madre Mazzarello a tutto il tempo delle Figlie dell’Immacolata fino alla fondazione dell’Istituto di vita consacrata.

Cresce poi la contemplazione dell’Ausiliatrice,


    con la visione universale della Chiesa e la concezione delle opere che ne costituiscono anche una esperienza definitiva.

La costruzione del tempio va al di là di un lavoro tecnico, di una sola preoccupazione, di piani e finanziamenti. Rappresenta per Don Bosco un’esperienza spirituale e una maturazione della sua mentalità pastorale. Don Bosco si trova attorno ai 45-50 anni, gli anni della sua maturità sacerdotale e della sua assodata proiezione sociale, con alcune opere già organizzate e altre appena iniziate. Alla fine della costruzione qualche cosa si è trasformato in Lui. Per quali ragioni?

In primo luogo perché la realizzazione supera l’idea iniziale: da una chiesa per la sua casa, il suo quartiere e la sua congregazione, si sta profilando l’idea di una basilica, meta di pellegrinaggi, centro di culto e punto di riferimento per una famiglia spirituale. La realtà gli è cresciuta tra le mani.
I problemi economici poi si sono risolti con grazie e miracoli che stimolarono una generosità non calcolata del popolo. Tutto ciò radicò in Don Bosco la convinzione che “Maria si era edificata la sua casa”, “che ogni mattone corrispondeva a una grazia” (cf MB IX, pag. 247; XVIII, pag. 338).


Affermò un sacerdote di quel tempo, il teologo Margotti: Dicono che Don Bosco fa miracoli. Io non ci credo. Ma qui ne ebbe luogo uno che non posso negare: è questo sontuoso tempio che costa un milione e che è stato costruito in soli tre anni con le offerte dei fedeli”(Processo ordinario, I. pag. 511ss; La Madonna dei tempi difficili, pag. 118).

La costruzione coincide ed è seguita dalla fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice. Esse rappresentano l’allargamento del carisma al mondo femminile, col conseguente arricchimento; così come un’altra fondazione, l’Arciconfratenita di Maria Ausiliatrice è, insieme ai Cooperatori, l’estensione verso il mondo laico.

Se l’esperienza dell’oratorio aveva dato come risultato positivo la prassi pedagogica, l’opera del santuario fece emergere nel lavoro salesiano una visione di Chiesa, come popolo di Dio sparso su tutta la terra, in lotta contro le potenze del male: una prospettiva che presenterà in un’altra forma il sogno delle due colonne (1862), raffigurato oggi in un dipinto sulla parete di fondo del santuario. Forgiò uno stile pastorale fatto di audacia e fiducia: saper cominciare con poco, osare molto quando si tratta del bene, andare avanti affidandosi al Signore. Scolpì una convinzione nel cuore della congregazione: “Propagate la devozione a Maria Ausiliatrice e vedrete che cosa sono i miracoli”... in tutti i campi, economici, sociali, pastorali, educativi.
Con la fondazione dell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, Don Bosco e, dopo di lui, i suoi successori e le superiore, parlarono di “un tempio vivo e spirituale”, di un “monumento di gratitudine” a Maria Ausiliatrice. È interessante vedere cosa intendevano. “È la denominazione di una congregazione educativa, catechista e missionaria” – ha detto Madre Angela Vespa (Circolare del 24-10-1965; cf C. Colli, ib., pag. 455-456) – la denominazione di un Istituto nel quale Maria deve rivivere nelle sue Figlie in modo che la facciano presente in tutto il mondo” (Don Rinaldi: cf E. Ceria, Vita del servo di Dio..., pag. 294-295) e che ciascuna di loro sia una copia viva di Maria (Madre Luisa Vaschetti: Circolare del 24-4-1942; cf C. Colli, ibid. pag. 445).
Anche nel ramo femminile dunque il nome di Maria Ausiliatrice sottolinea il tratto apostolico, l’uscita dal villaggio e il servizio alla Chiesa e al mondo 



La fondazione delle congregazioni lasciò come risultato in Don Bosco il sentimento di essere strumento di un progetto ispirato e realizzato con una particolare mediazione di Maria: “La Madonna vuole che incominciamo una società... ci chiameremo salesiani”, dice il 26 gennaio 1854. Lo ribadirà spesso. Come quando nel 1885, rivolgendosi ai salesiani radunati nel coro della Basilica di Maria Ausiliatrice, dopo aver descritto quello che era l’Oratorio quarantaquattro anni prima ed averne fatto il raffronto con il suo stato d’allora, sottolineò che “tutte le benedizioni piovuteci dal cielo per mezzo della Madonna fossero frutto di quella prima Ave Maria detta con fervore e con retta intenzione insieme con il giovinetto Bartolomeo Garelli là nella chiesa di s. Francesco d’Assisi” (MB XVII, pag. 510-511). O ancora di più, quando durante la Santa Messa nella chiesa del Sacro Cuore a Roma, interrotta quindici volte dal pianto, ripensava alla sua vicenda e ricordava le parole del primo sogno: “A suo tempo tutto comprenderai” (MB XVIII, pag. 341).
Madre Mazzarello d’altronde soleva ripetere che l’Istituto non è altro che la famiglia della Madonna, il “focolare” che Lei si è formato. Che Lei è la superiora e ha una vicaria che ogni notte mette le chiavi della casa ai suoi piedi. Si può dunque accettare il giudizio: “Don Bosco ha sperimentato in modo del tutto singolare l’intervento di Maria nella guida di tutta la sua vita e nella realizzazione della sua opera. Al tramonto della sua esistenza terrena, dopo l’ennesimo intervento della Madre celeste, Don Bosco condensa in questa espressione la convinzione che ha maturato durante tutto il corso della sua vita: Finora abbiamo camminato nel certo. Non possiamo errare. È Maria che ci guida” (cf. Colli, ib., pag. 433-434).

Icona e testo della nostra spiritualità


    Da questa esperienza carismatica ci viene un testo di vita spirituale e di stile pastorale che appare abbondantemente nelle nostre Costituzioni. 

Rileggendo nella fede la storia dei nostri Istituti e della Famiglia salesiana, vediamo che Maria è stata l’ispiratrice dell’impresa e anche la Madre della nostra vocazione comunitaria e la Maestra della nostra spiritualità (cf FMA C 4; cf SDB C 1).

La nostra vocazione personale e la nostra formazione ha in Lei un modello, una guida e un’educatrice. “In Lei troviamo una presenza viva e l’aiuto per orientare decisamente la nostra vita a Cristo e rendere sempre più autentico il nostro rapporto con Lui” (FMA C 79; cf SDB C 98).
Perciò Le riserviamo un luogo privilegiato nella nostra preghiera: “Ricorreremo a Lei con semplicità e fiducia celebrando le sue feste liturgiche e onorandola con le forme di preghiera proprie della chiesa e della tradizione salesiana” (FMA C 44; cf SDB C 92).
Tutto ciò porta a farla sentire presente nell’educazione dei giovani e nella pastorale in mezzo al popolo. “Le aiuteremo a conoscere Maria, Madre che accoglie e comprende. Ausiliatrice che infonde sicurezza, perché imparino ad amarla ed imitarla, nella sua disponibilità a Dio e ai fratelli” (FMA C 71; cf SDB C 34).
La medesima fisionomia spirituale è stata rappresentata nel quadro dell’altare maggiore della Basilica. Della nostra spiritualità, esso comunica bene l’unità fra il senso dell’iniziativa di Dio e la nostra intraprendenza pastorale. La nostra vocazione viene dal Padre e per Lui noi ci dedichiamo al lavoro educativo. Comunica immediatamente anche il senso ecclesiale, di servizio: partecipiamo alla missione della Chiesa e lavoriamo in essa, attenti alle sue urgenze ed orientamenti. Raffigura bene pure l’impegno missionario di evangelizzazione. E anche la modalità della nostra presenza educativa: materna, protettrice, preventiva.
Abbiamo voluto vivere un anno giubilare segnato dall’interiorità. Oggi, sentendoci in comunione con tutti i salesiani del mondo, lo concludiamo ravvivando la fede nella efficace presenza del Verbo nella nostra storia e in particolare a favore dei giovani, guardando dunque con fiducia il tempo che ci attende e guardando verso Maria come Colei che per opera dello Spirito Santo continua a donare Gesù a noi e ai giovani. Per questo faremo l’atto di affidamento con le parole più semplici e conosciute: quelle che sono già storia. Anche noi crediamo che tutto lo farà Maria. Rinnoviamo dunque il proposito di vivere in comunione con Lei e di diffondere nei giovani e nel popolo la sua devozione.
                                                
 Juan E. Vecchi, Rettor Maggiore
 Nella festa dell’Immacolata, l’8 dicembre 2000, nella chiesa di S. Francesco di Assisi, a Torino, il Rettor Maggiore dei Salesiani, Don Juan Vecchi, commemorò così gli inizi dell’Opera Salesiana.

IMMAGINI:1 Don Bosco sogna la grande chiesa di M.A. - Quadro di Carlo Mezzana
2  Maria Ausiliatrice: il grande quadro della Basilica di Torino-Valdocco