venerdì 10 ottobre 2014

Sant’Agostino, Discorso 46

OGGI ANCHE S. AGOSTINO INTERVIENE AL SINODO E PARLA SOPRATTUTTO AI PASTORI ...

1. Tutta la nostra speranza è in Cristo; egli è tutta la nostra gloria, gloria vera e salutare. La vostra Carità non ode oggi per la prima volta queste cose: voi infatti appartenete al gregge di colui che provvidamente pasce Israele 1. Ma, siccome ci sono pastori che amano esser chiamati pastori mentre si rifiutano d'adempiere l'ufficio di pastori, scorriamo le parole ad essi rivolte dal profeta secondo la lettura che abbiamo or ora ascoltato. Voi ascoltate con attenzione; noi ascolteremo con tremore.
Vescovi e cristiani.

2. “Il Signore mi rivolse la parola e mi disse: Figlio dell'uomo, profetizza contro i pastori d'Israele e di' ai pastori d'Israele” 2. 
Abbiamo ascoltato poc'anzi la lettura di questo testo, sul quale abbiamo stabilito d'intrattenerci alquanto con la vostra Santità. Ci aiuterà il Signore a dirvi il vero; e a ciò riusciremo se non presumeremo dirvi cose nostre. Infatti, se diremo del nostro, saremo pastori che pasciamo noi stessi, non le pecore; se invece ci viene dal Signore quel che diciamo, qualunque sia la persona che vi pasce, è sempre il Signore a pascervi.
“Queste cose dice il Signore Iddio: Guai ai pastori d'Israele! Essi pascono soltanto se stessi. Non è invece compito dei pastori pascere le pecore?” 3. 
Vuol dire: i pastori non debbono pascere se stessi ma le pecore, sicché questo è il primo motivo per cui vengono rimproverati tali pastori: perché pascono se stessi e non le pecore. (…) Il Signore ci ha posti in questo luogo (di cui dovremo rendere stretto conto) per un tratto della sua condiscendenza e non certo per i nostri meriti. Ebbene, noi siamo insigniti di due dignità che occorre ben distinguere: la dignità di cristiani e quella di vescovi. La prima, cioè l'essere cristiani, è per noi; l'altra, cioè l'essere vescovi, è per voi. 
(…) Noi, oltre ad essere cristiani, per cui dovremo render conto a Dio della nostra vita, siamo anche vescovi, e quindi dovremo rendergli conto anche del nostro ministero. Vi fo presente tale difficile situazione affinché vogliate compatirci e pregare per noi. Verrà infatti il giorno in cui tutto sarà sottoposto a giudizio 5; e quel giorno, se per il mondo intero è lontano, per i singoli uomini è vicino, coincidendo con l'ultimo giorno della propria vita. (…)

L'esempio dell'apostolo Paolo.

7. Un manto di questo genere aveva ricevuto dal buon popolo di Dio lo stesso Paolo, vedete, quando diceva: “Mi avete ricevuto come un angelo di Dio. Io infatti vi rendo testimonianza che, se fosse stato possibile, vi sareste cavati persino gli occhi per darli a me” 19. 
Egli però, pur essendo stato fatto segno di tanto onore, forse che li risparmiò, a motivo dell'onore ricevuto, e li abbandonò nell'errore, temendo d'essere da loro rinnegato o elogiato con meno trasporto, poiché li rimproverava? Se avesse agito così, sarebbe stato tra coloro che pascono se stessi e non le pecore. 
Avrebbe infatti ragionato così: Che me ne importa? Ciascuno faccia ciò che gli piace; il mio sostentamento è assicurato, e così pure il mio onore. Ho latte e lana a sufficienza. Vada pure ciascuno dove gli pare. 
Ma davvero? ogni cosa è a posto per te quando ciascuno va dove gli pare? Non voglio supporre che tu sia vescovo; ti prendo come uno qualunque del popolo: ma anche allora varrebbero per te le parole: “Se un membro soffre, ne soffrono insieme tutte le membra” 20. 
Pertanto l'Apostolo, ricordando ai lettori come si erano comportati nei suoi riguardi per non sembrare dimentico dell'onore da loro ricevuto, attesta che lo accolsero come un angelo di Dio e che, se fosse stato possibile, si sarebbero persino cavati gli occhi per darli a lui. Nonostante ciò, però, egli si china sulla pecora malata, in via di decomposizione, per incidere la piaga e non lasciar progredire l'infezione. Diceva: “Per avervi annunziato la verità, son dunque diventato vostro nemico”? 21. Ecco uno che dalle pecore prese il latte, come poco fa ricordavamo, e si coprì con la loro lana, ma non trascurò le pecore. Egli infatti cercava non i vantaggi propri, ma quelli di Gesù Cristo 22.

Una predicazione aberrante.

8. Mai dunque succeda che veniamo a dirvi: Vivete come vi pare! State tranquilli! Dio non condannerà nessuno: basta che conserviate la fede cristiana. Egli vi ha redenti, ha sparso per voi il sangue: quindi non vi dannerà. Che se vi viene la voglia d'andarvi a deliziare con gli spettacoli, andateci pure! Alla fin fine che male c'è? E queste feste che si celebrano nell'intera città, con grande tripudio di gente che banchetta e - come essa crede - si esilara, mentre in realtà si rovina, alle mense pubbliche... andateci pure, celebratele tranquilli: tanto la misericordia di Dio è senza limiti e tutto lascerà correre! Coronatevi di rose prima che marciscano 23! E anche dentro la casa del vostro Dio, quando ve ne venisse la voglia, banchettate pure! rimpinzatevi di cibi e bevande insieme con i vostri amici. Queste creature infatti ci sono state date proprio affinché ne godiate. O che Dio le avrebbe mai date agli empi e ai pagani, negandole poi a voi? Se vi facessimo di questi discorsi, forse raduneremmo attorno a noi folle più numerose; e, se pur ci fossero alcuni che s'accorgessero come nel nostro parlare diciamo delle cose inesatte, ci inimicheremmo questi pochi, ma guadagneremmo il favore della stragrande maggioranza. 
Tuttavia, comportandoci in questa maniera, vi annunzieremmo non le parole di Dio o di Cristo, ma le nostre parole; e saremmo pastori che pascono se stessi, non le pecore.

Il pastore che uccide le pecore sane.

9. Dopo aver detto che cosa amino questi pastori, [il profeta] ci dice che cosa trascurino. Pecore viziate si trovano infatti per ogni dove, mentre sono pochissime le pecore sane e grasse, cioè nutrite del solido cibo della verità e capaci, per dono di Dio, di cibarsi in buoni pascoli. 
Ora i cattivi pastori non risparmiano nemmeno queste. Non basta loro trascurare le prime, cioè le malate, le deboli, le fuorviate, le sperdute; per quanto sta in loro, essi ammazzano anche le forti e le grasse. Eppure esse vivono: vivono per un dono della misericordia di Dio, ma, per quel che dipende dai pastori cattivi, essi le uccidono. In che modo, mi chiederai, le uccidono? Vivendo male, dando cattivo esempio. O che forse fu detto invano a quel tal servo di Dio, esimio tra le membra del sommo Pastore: “Offri a tutti te stesso quale modello di opere buone” 24, e ancora: “Sii modello per i tuoi fedeli” 25? 

Succede infatti talora che la pecora, anche quella forte, rilevi la condotta cattiva del suo pastore. Se per un istante essa distoglierà lo sguardo dai comandamenti del Signore, e lo fisserà sull'uomo, inizierà a dire in fondo al suo cuore: Se il mio pastore vive in questa maniera, chi sono io che non debba permettermi le stesse cose che egli fa? In tal modo uccide la pecora forte. (…)

Partecipi della croce di Cristo.

11. Come giudicare allora quei pastori che, per timore di dispiacere a chi li ascolta, non solo non premuniscono i fedeli contro le tentazioni che li sovrastano ma anche promettono una felicità temporale che Dio in nessun modo ha promessa allo stesso mondo? Dio predice al mondo, come tale, travagli su travagli, sino alla fine, e tu pretendi che il cristiano da tali travagli sarà esentato? Essendo invece cristiano, avrà da soffrire in questo mondo più che non gli altri! Dice infatti l'Apostolo: “Tutti coloro che vogliono piamente vivere in Cristo soffriranno persecuzioni” 33. 

Piaccia o non piaccia a te, pastore che cerchi i tuoi vantaggi e non quelli di Gesù Cristo, l'Apostolo afferma: “Tutti coloro che vogliono piamente vivere in Cristo soffriranno persecuzioni”; e tu di' pure: Se vivrai piamente in Cristo, diguazzerai nell'abbondanza di ogni bene. E se non hai figli, ne avrai e li alleverai tutti e nessuno ti morrà... Questo è dunque il tuo edificare? Guarda che cosa fai e dove costruisci. (…)

La sopportazione della prova.

13. “Ciò che era debole - dice - voi non l'avete sostenuto” 49. Son parole rivolte ai pastori cattivi e falsi, ai pastori che cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo; a coloro che godono per i vantaggi del latte e della lana ma non si curano affatto delle pecore e, quando le vedono malate, non le ristorano. (…)

L'eretico va ricondotto all'ovile.

14. “Quelle che erano fuorviate, voi non richiamaste [all'ovile]. Ecco il pericolo che ci sovrasta in mezzo agli eretici. Quelle che erano fuorviate non richiamaste[all'ovile]; quelle che si erano perdute non le ricercaste” 53. 

Noi, si voglia o no, ci troviamo in balia di predoni e come fra i denti di lupi feroci. In mezzo a tali nostri pericoli, vi scongiuriamo di pregare per noi. Si tratta di pecore riottose, le quali, quando si vedono ricercate nella via dove si sono smarrite, si proclamano estranee a noi per un loro errore e con loro perdizione. 
Perché vi interessate di noi - dicono -, perché ci ricercate? Quasi che la ragione per cui ce le prendiamo a cuore e le ricerchiamo non sia l'essere loro nella falsità e sulla via della perdizione! 

E insistono: Se sono nell'errore e nella perdizione, perché mi vieni appresso? perché mi cerchi? Proprio perché sei nell'errore, te ne voglio cavar fuori; proprio perché sei perduto ti voglio ritrovare! Ma io voglio errare così, e così magari perdermi! Vuoi errare e perderti così? Quanto più saggiamente io voglio impedirtelo! Ve lo dico francamente: Sarò un importuno, ma conosco le parole dell'Apostolo: “Annunzia la parola, insisti e quando è opportuno e quando è importuno” 54. 

A chi si predica opportunamente e a chi importunamente? Opportunamente a chi vuol ascoltare, importunamente a chi non lo vuole. 

Ebbene, sarò importuno quanto vi pare, ma con coraggio debbo dirvi: Tu vuoi camminare nell'errore e andare alla perdizione? Io non lo voglio. Del resto, non lo vuole nemmeno colui che mi infonde timore. Sì, anche se io lo volessi, osserva cosa mi dice lui, cosa mi fa risuonare agli orecchi: “Le pecore fuorviate voi non avete richiamate [all'ovile] né avete ricercato le pecore perdute” 55. 

Dovrò io temere te più che non lui? Tutti infatti “dovremo presentarci al tribunale di Cristo” 56. 
Non ho quindi timore di te, in quanto tu non riuscirai di certo a rovesciare il tribunale di Cristo, magari sostituendolo con quello di Donato. Pertanto ti richiamerò se sei una pecora sbandata, ti cercherò se sei perduta. 
Vuoi o non vuoi, farò così. E se nel ricercarti mi feriranno i rovi delle siepi, anche in tal caso mi caccerò nelle loro strettoie, frugherò per tutte le siepi e con tutte le forze che mi darà il Signore, autore della mia paura, mi spingerò per tutto il mondo, richiamando all'ovile chi si era sbandato, ricercando chi s'era perduto. Se tutto questo ti riesce insopportabile, non andare fuori strada, non metterti sulla via della perdizione.

Sant’Agostino, Discorso 46

Famiglia, Matrimonio, Avvenire dell'Umanità: "Ci sono cose che devono essere dette senza riguardo per le reazioni del mondo"


RIFLESSIONI SULLA PASTORALE DELLA FAMIGLIA E DEL MATRIMONIO

di Ludmila Grygiel



[…] Chesterton ha detto che non abbiamo bisogno di una Chiesa mossa dal mondo ma di una Chiesa che muove il mondo. Parafrasando queste parole possiamo dire che oggi le famiglie, quelle in crisi e quelle felici, non hanno bisogno di una pastorale adeguata al mondo ma di una pastorale adeguata all'insegnamento di Colui che sa che cosa desidera il cuore dell'uomo.

Il paradigma evangelico di questa pastorale lo vedo nel dialogo di Gesù con la Samaritana, da cui emergono tutti gli elementi che caratterizzano l'attuale situazione di difficoltà sia degli sposi che dei sacerdoti impegnati nella pastorale.

Cristo accetta di parlare con una donna che vive nel peccato. Cristo non è capace di odiare, è capace soltanto di amare e perciò non condanna la Samaritana ma risveglia il desiderio originario del suo cuore offuscato dagli avvenimenti di una vita disordinata. La perdona soltanto dopo che la donna ha confessato di non avere marito.

Così il passo evangelico ricorda che Dio non fa dono della sua misericordia a chi non la chiede e che il riconoscimento del peccato e il desiderio di conversione sono la regola della misericordia. La misericordia non è mai un dono offerto a chi non lo vuole, non è un prodotto in svendita perché non richiesto. La pastorale richiede un'adesione profonda e convinta dei pastori alla verità del sacramento.

Nel diario intimo di Giovanni Paolo II, troviamo questa nota scritta nel 1981, anno terzo del suo pontificato: "La mancata fiducia nella famiglia è la prima causa della crisi della famiglia".

Si potrebbe aggiungere che la mancata fiducia nella famiglia da parte dei pastori è una fra le principali cause della crisi della pastorale famigliare. Questa non può ignorare le difficoltà ma non si deve fermare su di esse e ammettere sfiduciata la propria sconfitta. Non può adeguarsi alla casuistica dei moderni farisei. Deve accogliere le samaritane non per nascondere la verità sul loro comportamento ma per condurle alla conversione.

I cristiani sono oggi in una situazione simile a quella in cui si è trovato Gesù, il quale nonostante la durezza del cuore dei suoi contemporanei ha riproposto il modello del matrimonio così come voluto da Dio fin dal principio.

Ho l'impressione che noi cristiani parliamo troppo dei matrimoni falliti ma poco dei matrimoni fedeli, parliamo troppo della crisi della famiglia ma poco del fatto che la comunità matrimoniale e famigliare assicura all'uomo non solo la felicità terrena ma anche quella eterna ed è il luogo in cui si realizza la vocazione alla santità dei laici.

Così viene messo in ombra anche il fatto che, grazie alla presenza di Dio, la comunità matrimoniale e famigliare non si limita al temporale ma si schiude al sovratemporale, perché ciascuno degli sposi è destinato alla vita eterna ed è chiamato a vivere in eterno al cospetto di Dio, che ha creato entrambi e li ha voluti uniti sigillando egli stesso questa unione con il sacramento.

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"L'AVVENIRE DELL'UMANITÀ PASSA ATTRAVERSO LA FAMIGLIA"
(Familiaris consortio, 86)

di Stanislaw Grygiel



[…] L'ignorare l'amore "per sempre" di cui Cristo parla alla Samaritana come del "dono di Dio" (Gv 4, 7-10) fa sì che i coniugi e le famiglie, e in essi le società, smarriscano "la diritta via" e vadano errando "per una selva oscura" come nell'Inferno di Dante, secondo le indicazioni di un cuore indurito, "sklerocardia" (Mt 19, 8).

Una "misericordiosa" indulgenza, richiesta da alcuni teologi, non è in grado di frenare l'avanzata della sclerosi dei cuori che non ricordano come siano le cose "dal principio". L'assunto marxista secondo cui la filosofia dovrebbe cambiare il mondo piuttosto che contemplarlo si è fatta strada nel pensiero di certi teologi sì che questi, più o meno consapevolmente, invece di guardare l'uomo e il mondo alla luce della Parola eterna del Dio vivente, guardano questa Parola nella prospettiva di effimere, sociologiche tendenze. Di conseguenza giustificano a seconda dei casi gli atti dei "cuori duri" e parlano della misericordia di Dio così come se si sfrattasse di tolleranza tinta di commiserazione.

In una teologia così fatta si avverte un disprezzo per l'uomo. Per questi teologi l'uomo non è ancora abbastanza maturo da poter guardare con coraggio, alla luce della misericordia divina, la verità del proprio diventare amore, così come "dal principio" è questa stessa verità (Mt 19, 8). Non conoscendo "il dono di Dio", essi adeguano la Parola divina ai desideri dei cuori sclerotici. È possibile che non si rendano conto di star proponendo inconsciamente a Dio la prassi pastorale da loro elaborata, come via che potrà condurLo alla gente. […]

Giovanni Paolo II si avvicinava a ogni matrimonio, anche a quelli spezzati, come Mosè si avvicinava al roveto ardente sul monte Oreb. Non entrava nella loro dimora senza essersi prima tolto i sandali dai piedi, poiché intravedeva presente in essa il "centro della storia e dell'universo". […] Perciò egli non s'inchinava davanti alle circostanze e non adattava ad esse la sua prassi pastorale. […] Rischiando di essere criticato, insisteva sul fatto che non sono le circostanze a dar forma al matrimonio e alla famiglia ma che sono invece questi a darla alle circostanze. Prima accoglieva la verità e soltanto dopo le circostanze. Mai permetteva che la verità dovesse fare anticamera. Coltivava la terra dell'umanità non per effimeri successi ma per una vittoria imperitura. Egli cercava la cultura del "dono di Dio", cioè la cultura dell'amore per sempre.

La bellezza in cui si rivela l'amore che chiama l'uomo e la donna a rinascere in "una carne" è difficile. Il dono esige un sacrificio, senza di esso non è dono. […] Gli apostoli, non riuscendo a comprendere l'interiore disciplina del matrimonio, dicono apertamente: "Se questa è la condizione dell'uomo rispetto alla donna, non conviene sposarsi". Allora Gesù dice qualcosa che costringe l'uomo a guardare sopra di sé, se vuole conoscere chi egli stesso sia: "Non tutti possono capirlo, ma solo coloro ai quali è stato concesso… Chi può capire, capisca" (Mt 19, 10-12).

Una sera nella sua casa, erano gli anni Sessanta, il cardinale Karol Wojtyla era rimasto a lungo in silenzioso ascolto degli interventi di alcuni intellettuali cattolici che prevedevano una inevitabile laicizzazione della società. […] Quando quei suoi interlocutori finirono di parlare, egli disse soltanto queste parole: "Nemmeno una volta è stata da voi pronunciata la parola grazia". Ciò che egli disse allora, lo ricordo ogni volta che leggo gli interventi di teologi che parlano dl matrimonio nell'oblio dell'amore che avviene nella bellezza della grazia. L'amore è grazia, è "dono di Dio". […]

Se così stanno le cose con l'amore, l'inserire nei ragionamenti teologici il pietoso ma contrario alla misericordia adagio "nemo ad heroismum obligatur", nessuno è obbligato ad essere eroe, avvilisce l'uomo. L'avvilisce contraddicendo Cristo che sul monte delle beatitudini dice a tutti gli uomini: "Siate dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste" (Mt , 48).

Con i matrimoni e le famiglie spezzati bisogna com-patire e non invece averne pietà. In questo caso la pietà ha in sé qualcosa di dispregiativo per l'uomo. Non lo aiuta ad aprirsi all'infinito amore al quale Dio l'ha orientato "prima della creazione del mondo" (Ef 1, 4). Il sentimentalismo pietoso è dimentico di come sono "dal principio" le  cose dell'uomo, mentre la com-passione, essendo un soffrire con quelli che si sono smarriti "nella selva oscura", ridesta in loro la memoria del Principio e indica la via del ritorno ad esso. Questa via è il Decalogo osservato nei pensieri e nelle azioni: "Non uccidere! Non fornicare! Non rubare te stesso alla persona alla quale ti sei donato per sempre! Non desiderare la moglie del tuo vicino!". […] Il Decalogo inciso nel cuore dell'uomo difende la verità della sua identità, che si compie nel suo amare per sempre. […]

In una delle nostre conversazioni su questi dolorosi problemi Giovanni Paolo II mi disse: "Ci sono cose che devono essere dette senza riguardo per le reazioni del mondo". […] I cristiani che per paura di essere riprovati come nemici dell'umanità si piegano a compromessi diplomatici con il mondo deformano il carattere sacramentale della Chiesa. Il mondo, ben conoscendo le debolezze dell'uomo, ha colpito innanzitutto "l'una carne" di Adamo e di Eva. Cerca di deformare in primo luogo il sacramento dell'amore coniugale e a partire da questa deformazione cercherà di deformare tutti gli altri sacramenti. Questi costituiscono infatti l'unità dei luoghi dell'incontro di Dio con l'uomo. […] Se i cristiani si lasceranno convincere dal mondo che il dono della libertà recato loro da Gesù rende difficile e persino insopportabile la loro vita, si porranno al seguito del Grande Inquisitore dei "Fratelli Karamazov" e metteranno Gesù al bando. Allora che cosa accadrà all'uomo? Che cosa accadrà a Dio che è diventato uomo?

Prima di essere ucciso Gesù dice ai discepoli. "L'ora viene che chiunque vi ucciderà crederà di rendere un culto a Dio… Al mondo avrete tribolazione, ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo" (Gv 16, 2.33).

Facciamoci coraggio, non confondiamo l'intelligenza mondana della ragione calcolante con la saggezza dell'intelletto che si allarga sino ai confini che uniscono l'uomo con Dio. Erode ed Erodiade erano forse intelligenti, di certo però non erano saggi. Saggio era san Giovanni Battista. Lui, non loro, aveva saputo riconoscere la via, la verità e la vita.

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I testi integrali dei loro interventi all'assemblea plenaria del "Consilium Conferentiarum Episcoporum Europæ":

> Ludmila Grygiel

> Stanislaw Grygiel

E il programma dell'assemblea:

> Plenary Assembly of CCEE, Rome, 2-4 october 2014



Sempre attuale!!!



Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati :

Fratelli, mi meraviglio che, così in fretta, da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo voi passiate a un altro vangelo. Però non ce n’è un altro, se non che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.

Ma se anche noi stessi, oppure un angelo dal cielo vi annunciasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo annunciato, sia anàtema! L’abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi annuncia un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema! 

Infatti, è forse il consenso degli uomini che cerco, oppure quello di Dio? O cerco di piacere agli uomini? Se cercassi ancora di piacere agli uomini, non sarei servitore di Cristo!

Vi dichiaro, fratelli, che il Vangelo da me annunciato non segue un modello umano; infatti io non l’ho ricevuto né l’ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.


mercoledì 8 ottobre 2014

baby genitori

Quei baby genitori che ci danno una bella lezione
di Luigi Santambrogio07-10-2014
La lezione dei baby genitori di Conegliano Veneto
Bisognerebbe aggiungerla a quelle tre buone notizie (di cui Alfredo Mantovano ha dato conto), perché il poker d’assi sia finalmente completo. Una quarta storia per dire che non tutto è perduto, che c’è sempre una scheggia di bene sfuggita al caos calmo e senza speranza della nostra società. Quella dei due baby genitori di Castelfranco Veneto, passata sui grandi giornali quasi invisibile, come la scia di una stella filante. Poi “scandalo” è tornato nell’ombra, uscito dalle pagine: ma forse è meglio così. Qualcuno avrebbe potuto guastarlo, buttarlo nella mischia delle solite battaglie abortiste. La storia, invece, ha qualcosa di inedito e meraviglioso.

Così le cronache raccontano la vicenda. Lei ha 13 anni, lui ancora meno: dodici. Si conoscono da quando erano piccoli. Frequentano la stessa scuola prima da amici poi come fidanzatini. Nemmeno hanno l’età per prendere il patentino del motorino e da giugno sono già diventati papà e mamma. La ragazzina partorisce con i genitori accanto e compiuti i 14 anni riconosce il bambino che oggi ha poco più di tre mesi. Continuano, per quanto possibile, la vita di prima. A settembre hanno ripreso a frequentare la scuola media: entrambi fanno la terza, ma in classi diverse. Il quartiere, superato l’iniziale stupore, fa il tifo per loro.

Fine della storia, anche se quella vera deve ancora iniziare. Ma l’happy end non era affatto scontato e il pupo dei due baby genitori di Castelfranco Veneto avrebbe potuto anche non nascere. Le cifre dicono che sono più di mille ogni anno le minorenni che ricorrono all’aborto: quasi tre ragazzine al giorno. Secondo la Legge 194, quando la donna è minorenne per interrompere la gravidanza è necessario il consenso di entrambi i genitori o di chi esercita la tutela. Ma i due genitori ragazzini quel piccolo lo hanno voluto, la mamma ha portato a termine la gravidanza e il papa l’ha sostenuta. Non solo: con loro pure i genitori e i nonni hanno giocato una parte che non era affatto già scritta. Hanno condiviso la decisione, li hanno sostenuti e confortati.  «Anche se», confida la nonna del baby papà, «tutto è avvenuto troppo presto, come non essere felici per la meravigliosa creatura che ci hanno regalato: è un bel maschietto sano. I nostri ragazzi sono ancora piccoli», ma, «un bimbo che nasce è una gioia per tutti». Naturale? Mica tanto, forse un tempo: oggi naturale sarebbe invece la scelta contraria e follia il tenersi quel bambino, frasi fratello per età dei suoi genitori.

Dite la verità: chi con un briciolo di buon senso potrebbe giudicare non condivisibile l’opinione della solita psico-esperta dell’età infantile che dalle colonne di Repubblica predica saccente: «no, troppo, presto, quei due perdono la giovinezza, non hanno gli strumenti, la maturità per fare i genitori. Avere un figlio a quell’età è un po’ come giocare con le bambole». Parola di Anna Oliverio Ferraris. Dunque? La legge offre una scappatoia: abortire, liberarsi di quell’intruso venuto troppo presto a scompigliare piani e prospettive e a complicare il futuro dei due improbabili genitori. Non è forse questo che suggerisce il nostro comune senso del pudore? Come faranno quei due a diventare padre e madre, e educare e far crescere un figlio, loro che vivono ancora nel mondo incantato delle barbi e delle tartarughe ninja?

Eppure, un’altra scelta è possibile, una prospettiva diversa e alla portata anche di quei due incoscienti e inesperti di tutto, neppure di come funziona la loro sessualità. É l’evidenza morale che rende disponibili alla lotta e al sacrificio quando c’è di mezzo un’esistenza umana da salvare. La sola certezza che conta e che può aiutare ad affrontare le difficoltà di una strada cominciata con il passo sbagliato.  Contro la ragionevole tentazione di togliere di mezzo il problema rifiutando il bambino, scelta che potrebbe contare su mille attenuanti e la comprensione generale. Invece no: i due baby genitori accettano il rischio, anche perché sanno che non saranno lasciati soli. E questo è il secondo grande esempio che ci arriva da Castelfranco Veneto.

I genitori e i nonni non hanno mai abbandonati i loro ragazzi e adesso sono contentissimi. «Siamo una famiglia a posto, senza problemi economici», dice la madre di lei, «le daremo tutto il sostegno di cui ha bisogno». Oltre alla baby mamma hanno un’altra figlia. «E ora abbiamo in casa anche un maschietto». Un terzo “figlio” che accudiranno con grande amore. Questo non basterà certo a garantirgli la felicità, ma è già un buon inizio. Al mattino la ragazzina va a scuola, al pomeriggio fa i compiti e poi si dedica al piccolo. Il baby papà fa lo stesso: insomma, normali scene di quotidianità familiare, ma non come fan tutti. I due genitori lo sono diventati in anticipo di almeno dieci anni su tutti gli altri: eccezione che stavolta non conferma affatto la regola. Che tuttavia, dovrebbe essere d’esempio per tante famiglie, prevedibili e del tutto “regolari”. Forse troppo.

Terzo e ultimo. A Castelfranco anche la comunità civile si è schierata. Il direttore dei servizi sociali dell’Usl approva la scelta e dice: «Le ferite di un aborto sono già profonde in una donna adulta, figuriamoci in una ragazzina. Certo, si troverà ad affrontare passaggi normali per la sua età, avendo già compiuto un’esperienza importante come la maternità. E questo può comportare scompensi, superabili con l’affetto e l’aiuto si chi le sta attorno». Com’è lontana questa consapevolezza della responsabilità sociale dal presuntuoso sapere della psicologa dal doppio cognome, che consiglia ai genitori dei due ragazzini di spiegare «che ci sono i preliminari, che quando ci si vuol bene ci si può abbracciare, accarezzare senza andare fino in fondo. E che soprattutto ci sono gli anticoncezionali». Tutta qui la saggezza dell’esperta? Solo un amore a bassa intensità, che galleggi in superficie e, soprattutto, senza rischi e spericolatezze. Ecco il massimo che può offrire la società del buon senso e del sesso sicuro: troppo poco per i due ragazzini condannati per il loro amore incosciente e una vita senza precauzioni. Ma non a Castelfranco: qui qualcosa di nuovo è davvero successo.