sabato 18 gennaio 2014

Bellezza della musica



La Bellezza della Musica


L’universo è armonia e l’armonia è bellezza: chi, ascoltando la sua musica preferita, non prova un senso di benessere? La musica ti riconcilia con il mondo e attraverso la musica si può raggiungere la parte più profonda dell’anima: quella che ognuno di noi tiene nascosta per la maggior parte del tempo.

Anticamente più di oggi si dava una grande importanza alla musica perché basata sulle giuste proporzioni e sull’armonia. La musica, in epoca Medievale, faceva parte delle sette arti liberali perché rappresentava una disciplina che permetteva la conoscenza del mondo e dunque anche di avvicinarsi a Dio

Le arti liberali erano quelle discipline puramente intellettuali che preparavano alla conoscenza e rappresentavano il percorso di studi dei giovani che vissero in quel periodo. Un tempo, ancora più di oggi, l’estetica musicale era considerata una forma fondamentale di sapere; un modo per arrivare ad impadronirsi delle leggi segrete che governano l’universo.

Da questa immensa eredità che ci ha lasciato il passato è nata la musica classica che rappresenta una forma alta di cultura e un modo per crescere, per esprimere liberamente le proprie passioni ed i propri stati d’animo. 

  • Emozioni
  • passione
  • stati d’animo
  • sensazioni
tutto può essere espresso tramite la musica che influenza in maniera preponderante lo sviluppo dell’individuo, segno che questa disciplina rappresenta una parte fondamentale nella storia della cultura del genere umano.

Schopenhauer ritiene la musica un linguaggio universale ed uno dei suoi pregi è proprio quello di poter “parlare” a tutti perché utilizza i suoni e si basa sull’armoniaNon c’è bisogno di conoscere la lingua per amare una melodia o una combinazione di suoni. Basta molto poco per interiorizzare un brano musicale. 

Per il filosofo tedesco è l’unica arte che è in grado di superare la materia; è dunque capace di raggiungere l’essenza delle cose. E’ questo il motivo per cui riesce a toccare la parte più profonda dell’animo umano. Il grande Osho la ritiene come una delle poche arti che offre la possibilità di poter esprimere l’inesprimibile perché è capace di arrivare all’essenza delle cose.

La musica è possibilità creativa, libertà di espressione, opportunità di comunicare le proprie sensazioni per questo ha una grande valenza formativa: riempie il cuore ed il cervello

Fare musica, ascoltare musica, studiare la musica significa avvicinarsi alla conoscenza vera; significa elevarsi culturalmente ed iniziare un lungo cammino di conoscenza.

Lo stesso Socrate era convinto del grande valore della musica e la riteneva una delle forme più elevate di filosofia. Grandi filosofi, illustri poeti, celebri artisti, rinomati scrittori e registi hanno apprezzato la musica e ne hanno riconosciuto il grande valore. 

T. Tasso la considera come una delle strade attraverso le quali l’anima può ritornare al cielo.

Il Novalis la ritiene l’arte attraverso la quale il musicista riesce a tirare fuori l’essenza da sé stesso perché ode dal di dentro.

Creare, esprimersi, emozionarsi, provare sensazioni fortissime: tutto è possibile con la musica. E che dire di quelli che ne hanno fatto uno strumento di protesta? La musica diventa dunque anche un modo per contestare; per esprimere liberamente le proprie idee e “cantare” le contraddizioni del mondo.

Il legame tra musica e politica è stato sempre molto forte, specie alla fine degli anni Sessanta, quando la contestazione giovanile divenne sempre più forte. La musica non è solo un modo per evadere dalla realtà ma uno strumento attivo per agire su di essa e cambiarla. Non è solo arte ma è anche tecnica e sacrificio.

Godere della bellezza della musica è enorme opportunità che ci è offerta in quanto essere umani. Il grande Platone diceva: “La musica può illuminare l’anima di una luce eterna e mettere le ali ai vostri pensieri”. 

Non è forse un’esperienza comune a tutti? La musica avvicina, unisce, accomuna perché parla un linguaggio universalissimo. E’ spirito, è afflato mistico, è possibilità di avvicinarsi al divino o di combattere per cambiare la realtà. Essa è in grado di suscitare i sentimenti fraterni e di accomunare nell’amore tutti gli uomini. Tutto dipende ovviamente da chi ascolta. 

Chi sa apprezzare la buona musica molto spesso sa leggere anche la realtà.  E' importante amare la musica, perché ci aiuta ad amare.

giovedì 16 gennaio 2014

Domenica 19 genaio 2014, II Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

"Prendete, prendete quest’opera e ‘non sigillatela’, ma leggetela e fatela leggere"
Gesù (cap 652, volume 10), a proposito del
"Evangelo come mi è stato rivelato"
di Maria Valtorta




Domenica 19 genaio 2014, II Domenica del Tempo Ordinario - Anno A

Dal Vangelo di Gesù Cristo secondo Giovanni 1,29-34.


Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: «Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!
Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me. 
Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele». 
Giovanni rese testimonianza dicendo: «Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui. 
Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo. 
E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio». 
Traduzione liturgica della Bibbia


Corrispondenza nel "Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta : Volume 1 Capitolo 45 pagina 281.


Vedo una pianura spopolata di paesi e di vegetazione. Non ci sono campi coltivati, e ben poche e rare piante riunite qua e là a ciuffi, come vegetali famiglie, dove il suolo è nelle profondità meno arso che non sia in genere. Faccia conto che questo terreno arsiccio e incolto sia alla mia destra, avendo io il nord alle spalle, e si prolunghi verso quello che è a sud rispetto a me.

A sinistra invece vedo un fiume di sponde molto basse, che scorre lentamente esso pure da nord a sud. Dal moto lentissimo dell’acqua comprendo che non vi devono essere dislivelli nel suo letto e che questo fiume scorre in una pianura talmente piatta da costituire una depressione. Vi è un moto appena sufficiente acciò l’acqua non stagni in palude. L’acqua è poco fonda, tanto che si vede il fondale. Giudico non più di un metro, al massimo un metro e mezzo. Largo come è l’Arno verso S.Miniato-Empoli: direi un venti metri. Ma io non ho occhio esatto nel calcolare. Pure è d’un azzurro lievemente verde verso le sponde, dove per l’umidore del suolo è una fascia di verde folta e rallegrante l’occhio, che rimane stanco dallo squallore petroso e renoso di quanto gli si stende avanti.

Quella voce intima che le ho spiegato di udire e che mi indica ciò che devo notare e sapere, mi avverte che io vedo la valle del Giordano. La chiamo valle, perché si dice così per indicare il posto dove scorre un fiume, ma qui è improprio di chiamarla così, perché una valle presuppone dei monti, ed io qui di monti non ne vedo vicini. Ma insomma sono presso il Giordano e lo spazio desolato, che osservo alla mia destra, è il deserto di Giuda. Se dire deserto per dire un luogo dove non ci sono case e lavori dell’uomo è giusto, non lo è secondo il concetto che noi abbiamo del deserto. Qui non le arene ondulate del deserto come lo concepiamo noi, ma solo terra nuda, sparsa di pietre e detriti, come sono i terreni alluvionali dopo una piena. In lontananza, delle colline.

Pure, presso il Giordano, vi è una grande pace, un che di speciale, di superiore al comune, come è quello che si nota sulle sponde del Trasimeno. E’ un luogo che pare ricordarsi di voli d’angeli e di voci celesti. Non so dire bene ciò che provo. Ma mi sento in un posto che parla allo spirito. 
Mentre osservo queste cose, vedo che la scena si popola di gente lungo la riva destra (rispetto a me) del Giordano. Vi sono molti uomini vestiti in maniere diverse. Alcuni appaiono popolani, altri dei ricchi, non mancano alcuni che paiono farisei per la veste ornata di frange e galloni. 
In mezzo ad essi, in piedi su un masso, un uomo che, per quanto è la prima volta che lo vedo, riconosco subito per il Battista. Parla alla folla, e le assicuro che non è una predica dolce. Gesù ha chiamato Giacomo e Giovanni ‘i figli del tuono’. Ma allora come chiamare questo veemente oratore? Giovanni Battista merita il nome di fulmine, valanga, terremoto, tanto è impetuoso e severo nel suo parlare e nel suo gestire.


Parla annunciando il Messia ed esortando a preparare i cuori alla sua venuta estirpando da essi gli ingombri e raddrizzando i pensieri. Ma è un parlare vorticoso e rude. Il Precursore non ha la mano leggera di Gesù sulle piaghe dei cuori. E’ un medico che denuda e fruga e taglia senza pietà.

Mentre lo ascolto -e non ripeto le parole perché sono quelle riportate dagli Evangelisti, ma amplificate con irruenza- vedo avanzarsi lungo una stradicciola , che è ai bordi della linea erbosa e ombrosa che costeggia il Giordano, il mio Gesù. Questa rustica via, più sentiero che via, sembra disegnata dalle carovane e dalle persone che per anni e secoli l’hanno percorsa per giungere ad un punto dove, essendo il fondale del fiume più alto, è facile il guado. Il sentiero continua dall’altro lato del fiume e si perde fra il verde dell’altra sponda. 
Gesù è solo. Cammina lentamente, venendo avanti, alle spalle di Giovanni. Si avvicina senza rumore e ascolta intanto la voce tuonante del Penitente del deserto, come se anche Gesù fosse uno dei tanti che venivano a Giovanni per farsi battezzare o per prepararsi ad essere mondi per la venuta del Messia. Nulla distingue Gesù dagli altri. Sembra un popolano nella veste, un signore nel tratto e nella bellezza, ma nessun segno divino lo distingue dalla folla.

Però si direbbe che Giovanni senta una emanazione di spiritualità speciale. Si volge e individua subito la fonte di quell’emanazione. Scende con impeto dal masso che gli faceva da pulpito e va sveltamente verso Gesù, che si è fermato qualche metro lontano dl gruppo, appoggiandosi al fusto di un albero.

Gesù e Giovanni si fissano un momento. Gesù col suo sguardo azzurro tanto dolce. Giovanni col suo occhio severo, nerissimo, pieno di lampi. I due, visti vicino, son l’antitesi l’uno dell’altro. Alti tutti e due -è l’unica somiglianza- sono diversissimi per tutto il resto. Gesù biondo e dai lunghi capelli ravviati, dal volto di un bianco avoriato, dagli occhi azzurri, dall’abito semplice ma maestoso. Giovanni irsuto, nero di capelli che ricadono lisci sulle spalle, lisci e disuguali in lunghezza, nero dalla barba rada che gli copre quasi tutto il volto non impedendo col suo velo di permettere di notare le guance scavate dal digiuno, nero negli occhi febbrili, scuro nella pelle abbronzata dal sole e dalle intemperie e per la folta peluria che lo copre, seminudo nella sua veste di pelo di cammello, tenuta alla vita da una cinghia di pelle e che gli copre il torso scendendo appena sotto i fianchi magri e lasciando scoperte le coste a destra, le coste sulle quali è, unico strato di tessuti, la pelle conciata dall’aria. Sembrano un selvaggio e un angelo visti vicini.

Giovanni, dopo averlo scrutato col suo occhio penetrante esclama: “Ecco l’Agnello di Dio. Come è che a me viene il mio Signore?” 
Gesù risponde placido: “Per compiere il rito di penitenza.” 
“Mai, mio Signore. Io sono che devo venire a Te per essere santificato, e Tu vieni a me?” 
E Gesù, mettendogli una mano sul capo, perché Giovanni s’era curvato davanti a Gesù, risponde: “Lascia che si faccia come voglio, perché si compia ogni giustizia e il tuo rito divenga inizio ad un più alto mistero e sia annunciato agli uomini che la Vittima è nel mondo.”

Giovanni lo guarda con occhio che una lacrima fa dolce e lo precede verso la riva, dove Gesù si leva il manto e la tunica, rimanendo con una specie di corti calzoncini, per poi scendere nell’acqua dove è già Giovanni, che lo battezza versandogli sul capo l’acqua del fiume, presa con una specie di tazza che il Battista tiene sospesa alla cintola e che mi pare una conchiglia o una mezza zucca essiccata e svuotata. 
Gesù è proprio l’Agnello. Agnello nel candore della carne, nella modestia del tratto, nella mitezza dello sguardo.

Mentre Gesù risale la riva e dopo essersi vestito si raccoglie in preghiera, Giovanni lo addita alle turbe, testimoniando di averlo conosciuto per il segno che lo Spirito di Dio gli aveva indicato quale indicazione infallibile del Redentore. 
Ma io sono polarizzata nel guardare Gesù che prega, e non mi resta che questa figura di luce contro il verde della sponda. 




Dice Gesù: 
“Giovanni non aveva bisogno del segno per se stesso. Il suo spirito, presantificato sin dal ventre di sua madre, era possessore di quella vista di intelligenza soprannaturale che sarebbe stata di tutti gli uomini senza la colpa di Adamo. 

Se l’uomo fosse rimasto in grazia, in innocenza, in fedeltà col suo Creatore, avrebbe visto Dio attraverso le apparenze esterne. Nella Genesi è detto che il Signore Iddio parlava familiarmente con l’uomo innocente e che l’uomo non tramortiva a quella voce, non si ingannava nel discernerla. Così era la sorte dell’uomo: vedere e capire Iddio proprio come un figlio fa col genitore. Poi è venuta la colpa e l’uomo non ha più osato guardare Dio, non ha più saputo vedere e comprendere Iddio. E sempre meno lo sa.

Ma Giovanni, il mio cugino Giovanni, era stato mondato dalla Colpa quando la Piena di Grazia s’era curvata amorosa ad abbracciare la già sterile ed allora feconda Elisabetta. Il fanciullino nel suo seno era balzato di giubilo, sentendo cadere la scaglia della colpa dalla sua anima come crosta che cade da una piaga che guarisce. Lo Spirito Santo, che aveva fatto di Maria la madre del Salvatore, iniziò la sua opera di salvazione, attraverso Maria, Vivo Ciborio della Salvezza Incarnata, su questo nascituro destinato ad essere a Ma unito non tanto pel sangue, quanto per la missione che fece di noi come le labbra che formano la parola. Giovanni le labbra, Io la Parola. Egli il Precursore nell’Evangelo e nella sorte di martirio. Io, Colui che perfeziona della mia divina perfezione l’Evangelo iniziato da Giovanni ed il martirio per la difesa della Legge di Dio.
Giovanni non aveva bisogno di nessun segno. Ma alla ottusità degli altri il segno era necessario. Su cosa avrebbe fondato Giovanni la sua asserzione, se non su una prova innegabile che gli occhi dei tardi e le orecchie dei pesanti avessero percepita?

Io pure non avevo bisogno di battesimo. Ma la sapienza del Signore aveva giudicato esser quello l’attimo e il modo dell’incontro. E traendo Giovanni dal suo speco nel deserto a me dalla mia casa, ci unì in quell’ora per aprire su Me il Cieli e farne scendere Se Stesso, Colomba Divin, su colui che avrebbe battezzato gli uomini con tal Colomba, e farne scendere l’annuncio, ancor più potente di quello angelico perché dal Padre mio: “Ecco il mio Figlio diletto col quale mi sono compiaciuto”. Perché gli uomini non avessero scuse o dubbi nel seguirmi e nel non seguirmi. 
Le manifestazioni del Cristo sono state molte. La prima, dopo la Nascita, fu quella dei Magi, la seconda nel tempio, la terza sulle rive del Giordano. Poi vennero le infinite altre che ti farò conoscere, poiché i miei miracoli sono manifestazioni della mia natura divina, sino alle ultime della Risurrezione e Ascensione al Cielo. 
La mia patria fu piena delle mie manifestazioni. Come seme gettato ai quattro punti cardinali, esse avvennero in ogni strato e luogo della vita: ai pastori, ai potenti, ai dotti, agli increduli, ai peccatori, ai sacerdoti, ai dominatori, ai bambini, ai soldati, agli ebrei, ai gentili. Anche ora esse si ripetono. Ma, come allora. il mondo non le accoglie. Anzi non accoglie le attuali e dimentica le passate. Ebbene, Io non desisto. Io mi ripeto per salvarvi. per portarvi alla fede in Me. 
Sai, Maria, quello che fai? Quello che faccio, anzi, nel mostrarti il Vangelo? Un tentativo più forte di portare gli uomini a Me. Tu lo hai desiderato con preghiere ardenti. Non mi limito più alla parola. Li stanca e li stacca. E’ una colpa, ma è così. Ricorro alla visione, e del mio Vangelo, e la spiego per renderla più chiara e attraente.
A te do il conforto del vedere. A tutti do il modo di desiderare di conoscermi. E se ancora non servirà, e come crudeli bambini getteranno il dono senza capirne il valore, a te resterà il mio dono e ad essi il mio sdegno. Potrò ancora una volta fare l’antico rimprovero: “Abbiamo suonato e non avete danzato; abbiamo intonato lamenti e non avete pianto”. 
Ma non importa. Lasciamo che essi, gli inconvertibili, accumulino sul loro capo i carboni ardenti, e volgiamoci alle pecorelle che cercano di conoscere il Pastore. Io son quello, e tu sei la verga che le conduci a Me.”
Estratto di "l'Evangelo come mi è stato rivelato" di Maria Valtorta ©Centro Editoriale Valtortiano http://www.mariavaltorta.com/

Domingo 19 de enero 2014, II Dom. Tiempo Ordinario - A: Bautismo de Jesús en el Jordán (45)




BAUTISMO DE JESÚS EN EL JORDÁN






EL VALLE DEL JORDÁN

Veo una llanura en donde no hay casas, solo vegetación. No hay campos cultivados, las pocas plantas en grupo que aparecen aquí y allá como mechones o como si formasen una familia, se encuentran donde el sol es menos ardiente. Haga Ud. de cuenta que este terreno seco y sin cultivo está a mi derecha, teniendo el norte a mi espalda, y se prolonga hacia el sur, respecto a mí.
Por el contrario a mi izquierda veo un río de bajas riberas, que lentamente corre también de norte a sur y tan lentamente corre que creo que no debe de haber desniveles en su lecho y que en tal forma es plana que forma una depresión. Hay apenas un deslizamiento de aguas que hace que el río no quede en la llanura. El agua no es profunda. Veo el cauce, no creo que tenga más de un metro; o tal vez al máximo metro y medio. Es ancho como el Arno cuando se dirige hacia S. Miniato-Empoli: algo así como unos 20 metros de anchura. Yo no soy muy buena calculadora. El río es de un azul ligeramente verde y alegra la vista cansada del terreno lleno de piedras y arenoso que se extiende ante ella.
Aquella voz íntima, de la que le he hablado a usted que oigo y que me ordena lo que debo anotar y saber, me dice que estoy viendo el valle del Jordán. Digo valle, porque se llama así el lugar donde corre el río, pero ciertamente no debería llevar tal nombre, porque un valle tiene siempre montes, y yo aquí no veo ninguno. Pero en fin estoy cerca del Jordán y el lugar árido que veo a mi derecha es el desierto de Judá.
Si damos el nombre de desierto a un lugar en donde no hay casa o trabajo de hombre, estamos en lo justo; pero no lo es según el concepto que tenemos de desierto. No hay ondulaciones de arena, como nos imaginamos que tiene un desierto. Es la tierra desnuda, cubierta de tierra y carroña como se ven los terrenos por donde va pasando un camino. En la lejanía hay colinas.
Junto al Jordán existe una gran tranquilidad, un algo muy especial y raro, como lo que suele llamar la atención en las riberas del Trasimeno. Es un sitio que parece acordarse de ángeles que volaron sobre de él y de voces celestiales. No puedo explicar exactamente lo que experimento. Pero siento que me encuentro en un lugar que habla al espíritu

LA ESCENA SE LLENA DE GENTE A LO LARGO
DE LA RIBERA DEL JORDÁN

Mientras estoy contemplando esto, veo que la escena se llena de gente a lo largo de la ribera en el Jordán. Hay muchos hombres vestidos de diversas maneras. Algunos parecen de la campiña, otros ricos y no faltan algunos que parecen fariseos por el vestido adornado de franjas y de tiras.

DE PIE, SOBRE UN PEÑASCO, HAY UN HOMBRE,
ES JUAN EL BAUTISTA

En medio de ellos, de pié sobre un peñasco, hay un hombre que, aunque es la primera vez que lo veo, al punto reconozco en él al Bautista. Habla a las multitudes y le aseguro que no es un sermón dulce. Si Jesús llamó a Santiago y a Juan "Hijos del Trueno"... ¿Qué nombre podría  dar a este vehemente orador?... Juan Bautista merece el nombre de rayo, avalancha, terremoto; es tan impetuoso y duro en el hablar y en el gesticular.

ESTÁ HABLANDO DEL MESÍAS

Está hablando del Mesías y exhortando a preparar los corazones para su venida para que extirpen de ellos todos los obstáculos y enderecen los caminos. Pero es un hablar duro, férreo. Al Precursor le falta la mano ligera de Jesús en las llagas de los corazones. Es un médico que desnuda, que rasga y corta sin piedad.

VEO A MI JESÚS

Mientras lo escucho... veo una vereda larga, que está al borde de la hilera de arbustos que la sombrean a lo largo del Jordán, ahí veo a mí Jesús. Este camino agreste, más bien vericueto que camino, parece que durante años y siglos lo hubieran recorrido para buscar un sitio en donde fuera posible vadear el río, precisamente por ser la parte menos profunda. El sendero continúa a la otra parte del río y se pierde entre el verdor de la ribera opuesta.

JESÚS VIENE SOLO

Jesús viene solo. Camina despacio, avanza a espaldas de Juan. Se acerca sin hacer ruido y escucha la voz fulmínea del Penitente del desierto, como si también Él fuese uno de tantos que se llegase a Juan para recibir el bautismo y prepararse para la venida del Mesías. En Jesús no hay nada que lo distinga de los demás. Parece uno del pueblo por el vestir, aunque señor por el porte y belleza, pero ninguna señal divina lo diferencia de los demás.

PODRÍA DECIRSE QUE JUAN SIENTE UNA EMANACIÓN
ESPIRITUAL DEL TODO DIVERSA

Podría decirse que Juan siente una emanación espiritual del todo diversa. Se vuelve y reconoce al punto al que es fuente de aquella emanación. Al punto desciende del peñasco que le servía de púlpito y veloz se dirige a Jesús, que se ha parado como a un metro de distancia del grupo apoyándose en el tronco de un árbol. Jesús y Juan se miran por un momento. Jesús con su mirada azul, que es tan dulce. Juan con sus negrísimos ojos de mirar severo, llenos de fulgor. Los dos, vistos de cerca son diferentes el uno del otro. Ambos de estatura elevada -es lo único en que se parecen- son completamente diferentes entre sí.

DESCRIPCIÓN DE JESÚS Y DE JUAN

Jesús es rubio, de larga y bien peinada cabellera. Su rostro tiene el color del marfil, ojos azules, vestido sencillo pero majestuoso. Juan es hirsuto, los cabellos negros le caen sueltos por la espalda, desiguales de tamaño. La poca barba le cubre casi todo el rostro que sin embargo no impide ver en las mejillas las oquedades que el ayuno ha dejado. Los ojos vivaces de Juan son negros y su piel está quemada por el sol, la intemperie y por la abundancia del pelaje que la cubre. Su vestido consiste en una piel de camello que lo deja casi semidesnudo, sostenida con un cinturón de cuero, le cubre el dorso bajando apenas hasta los flancos descarnados y dejando al descubierto el costado derecho, cuya piel está tostada por el viento. Parecen un salvaje y un ángel vistos de cerca.

JUAN GRITA: HE AQUÍ EL CORDERO DE DIOS.

Juan, después de haberlo mirado atentamente con su penetrante pupila grita: "He aquí al Cordero de Dios. ¿Cómo es posible que venga a mí, El que es mi Señor?" Jesús tranquilamente le responde: "Para cumplir con el rito de penitencia".
"Jamás, Señor mío. Soy yo quien debo de venir a Ti para ser santificado, y eres Tú el que vienes a mí". Jesús, que le pone la mano sobre la cabeza, pues Juan se ha inclinado ante Él, le dice: "Deja que se haga como Yo quiero, para que se cumpla toda justicia y tu rito se convierta en el principio de otro misterio mucho más alto y se avise a los hombres que la víctima está ya en el mundo".

JUAN LO MIRA CON UNOS OJOS QUE UNA LÁGRIMA
ABLANDECE

Juan lo mira con unos ojos que una lágrima ablandece y lo precede hacia la ribera, donde Jesús se quita el manto y la túnica, quedándose con una especie de calzoncillos cortos, para poder entrar en el agua en donde está ya Juan, que lo bautiza echando sobre Él, agua del río, que toma con una especie de tazón que lleva colgado a la cintura y que parece como una concha o la mitad de una calabaza seca y vacía.

JUAN LE RECONOCIÓ POR LA SEÑAL QUE
EL ESPÍRITU DE DIOS LE HABÍA DADO.

Jesús es exactamente el Cordero. Cordero en la pureza de su carne, en la modestia de su trato, en la mansedumbre de su mirar. Mientras Jesús torna a subir a la ribera, se viste y se recoge en oración. Juan lo señala a las turbas, a las que les dice que lo reconoció por la señal que el Espíritu de Dios le había dado, señal que era prueba infalible del Redentor.
Mas yo estoy entretenida en ver solo a Jesús que ora, y no me quedo con otra cosa que con esta figura de luz, recalcada sobre el verdor de la ribera.
I. 271-274
A. M. D. G.et B.V.Mariae

mercoledì 15 gennaio 2014

appello a gesù cristo

appello a gesù cristo
Gesù ha disposto che  sia offerta a tutti una speciale richiesta di preghiera che venga chiamata “Il Mio Appello a Gesù”.
Egli ha detto che tutte le richieste formulate, se in conformità con la Sua Santa Volontà, avranno una risposta.
Quello che dovete fare:
Inviate la vostra richiesta di preghiera senza eccedere le 250 parole.
Non importa quante siano le richieste inoltrate, ciascuno verrà ascoltato da Gesù Cristo e riceverà una risposta secondo la Sua Santa Volontà.
Ogni settimana, dopo essere state ricevute e ascoltate da Gesù, saranno eliminate.
Vi preghiamo di comprendere che non vi sarà nessuna risposta via e-mail da parte di Maria della Divina Misericordia. Dovete solo avere fiducia nel fatto che sia Gesù ad ascoltare la vostra preghiera.
cliccate qui e inviate la vostra richiesta di preghiera.

Umberto Eco: "Caro nipote, studia a memoria"

Umberto Eco: "Caro nipote, studia a memoria"

Scritto da Redazione de Gliscritti: 


Riprendiamo da L’Espresso del 3/1/2014 quasi integralmente un articolo scritto da Umberto Eco. Restiamo a disposizione per l’immediata rimozione se la sua presenza sul nostro sito non fosse gradita a qualcuno degli aventi diritto. I neretti sono nostri ed hanno l’unico scopo di facilitare la lettura on-line.
Il Centro culturale Gli scritti (15/1/2014)


Caro nipotino mio,

non vorrei che questa lettera natalizia suonasse troppo deamicisiana, ed esibisse consigli circa l’amore per i nostri simili, per la patria, per il mondo, e cose del genere.
[...]
Ma non è di questo che volevo parlarti, bensì di una malattia che ha colpito la tua generazione e persino quella dei ragazzi più grandi di te, che magari vanno già all’università: la perdita della memoria.
È vero che se ti viene il desiderio di sapere chi fosse Carlo Magno o dove stia Kuala Lumpur non hai che da premere qualche tasto e Internet te lo dice subito. Fallo quando serve, ma dopo che lo hai fatto cerca di ricordare quanto ti è stato detto per non essere obbligato a cercarlo una seconda volta se per caso te ne venisse il bisogno impellente, magari per una ricerca a scuola. Il rischio è che, siccome pensi che il tuo computer te lo possa dire a ogni istante, tu perda il gusto di mettertelo in testa. Sarebbe un poco come se, avendo imparato che per andare da via Tale a via Talaltra, ci sono l’autobus o il metro che ti permettono di spostarti senza fatica (il che è comodissimo e fallo pure ogni volta che hai fretta) tu pensi che così non hai più bisogno di camminare. Ma se non cammini abbastanza diventi poi “diversamente abile”, come si dice oggi per indicare chi è costretto a muoversi in carrozzella. Va bene, lo so che fai dello sport e quindi sai muovere il tuo corpo, ma torniamo al tuo cervello.

La memoria è un muscolo come quelli delle gambe, se non lo eserciti si avvizzisce e tu diventi (dal punto di vista mentale) diversamente abile e cioè (parliamoci chiaro) un idiota. E inoltre, siccome per tutti c’è il rischio che quando si diventa vecchi ci venga l’Alzheimer, uno dei modi di evitare questo spiacevole incidente è di esercitare sempre la memoria.

Quindi ecco la mia dieta. Ogni mattina impara qualche verso, una breve poesia, o come hanno fatto fare a noi, “La Cavallina Storna” o “Il sabato del villaggio”. E magari fai a gara con gli amici per sapere chi ricorda meglio. Se non piace la poesia fallo con le formazioni dei calciatori, ma attento che non devi solo sapere chi sono i giocatori della Roma di oggi, ma anche quelli di altre squadre, e magari di squadre del passato (figurati che io ricordo la formazione del Torino quando il loro aereo si era schiantato a Superga con tutti i giocatori a bordo: Bacigalupo, Ballarin, Maroso eccetera). Fai gare di memoria, magari sui libri che hai letto (chi era a bordo della Hispaniola alla ricerca dell’isola del tesoro? Lord Trelawney, il capitano Smollet, il dottor Livesey, Long John Silver, Jim…) Vedi se i tuoi amici ricorderanno chi erano i domestici dei tre moschettieri e di D’Artagnan (Grimaud, Bazin, Mousqueton e Planchet)… E se non vorrai leggere “I tre moschettieri” (e non sai che cosa avrai perso) fallo, che so, con una delle storie che hai letto.

Sembra un gioco (ed è un gioco) ma vedrai come la tua testa si popolerà di personaggi, storie, ricordi di ogni tipo. Ti sarai chiesto perché i computer si chiamavano un tempo cervelli elettronici: è perché sono stati concepiti sul modello del tuo (del nostro) cervello, ma il nostro cervello ha più connessioni di un computer, è una specie di computer che ti porti dietro e che cresce e s’irrobustisce con l’esercizio, mentre il computer che hai sul tavolo più lo usi e più perde velocità e dopo qualche anno lo devi cambiare. Invece il tuo cervello può oggi durare sino a novant’anni e a novant’anni (se lo avrai tenuto in esercizio) ricorderà più cose di quelle che ricordi adesso. E gratis.

C’è poi la memoria storica, quella che non riguarda i fatti della tua vita o le cose che hai letto, ma quello che è accaduto prima che tu nascessi.

Oggi se vai al cinema devi entrare a un’ora fissa, quando il film incomincia, e appena incomincia qualcuno ti prende per così dire per mano e ti dice cosa succede. Ai miei tempi si poteva entrare al cinema a ogni momento, voglio dire anche a metà dello spettacolo, si arrivava mentre stavano succedendo alcune cose e si cercava di capire che cosa era accaduto prima (poi, quando il film ricominciava dall’inizio, si vedeva se si era capito tutto bene - a parte il fatto che se il film ci era piaciuto si poteva restare e rivedere anche quello che si era già visto). Ecco, la vita è come un film dei tempi miei. Noi entriamo nella vita quando molte cose sono già successe, da centinaia di migliaia di anni, ed è importante apprendere quello che è accaduto prima che noi nascessimo; serve per capire meglio perché oggi succedono molte cose nuove.

Ora la scuola (oltre alle tue letture personali) dovrebbe insegnarti a memorizzare quello che è accaduto prima della tua nascita, ma si vede che non lo fa bene, perché varie inchieste ci dicono che i ragazzi di oggi, anche quelli grandi che vanno già all’università, se sono nati per caso nel 1990 non sanno (e forse non vogliono sapere) che cosa era accaduto nel 1980 (e non parliamo di quello che è accaduto cinquant’anni fa). Ci dicono le statistiche che se chiedi ad alcuni chi era Aldo Moro rispondono che era il capo delle Brigate Rosse - e invece è stato ucciso dalle Brigate Rosse.

Non parliamo delle Brigate Rosse, rimangono qualcosa di misterioso per molti, eppure erano il presente poco più di trent’anni fa. Io sono nato nel 1932, dieci anni dopo l’ascesa al potere del fascismo ma sapevo persino chi era il primo ministro ai tempi dalla Marcia su Roma (che cos’è?). Forse la scuola fascista me lo aveva insegnato per spiegarmi come era stupido e cattivo quel ministro (“l’imbelle Facta”) che i fascisti avevano sostituito. Va bene, ma almeno lo sapevo. E poi, scuola a parte, un ragazzo d’oggi non sa chi erano le attrici del cinema di venti anni fa mentre io sapevo chi era Francesca Bertini, che recitava nei film muti venti anni prima della mia nascita. Forse perché sfogliavo vecchie riviste ammassate nello sgabuzzino di casa nostra, ma appunto ti invito a sfogliare anche vecchie riviste perché è un modo di imparare che cosa accadeva prima che tu nascessi.

Ma perché è così importante sapere che cosa è accaduto prima? Perché molte volte quello che è accaduto prima ti spiega perché certe cose accadono oggi e in ogni caso, come per le formazioni dei calciatori, è un modo di arricchire la nostra memoria.

Bada bene che questo non lo puoi fare solo su libri e riviste, lo si fa benissimo anche su Internet. Che è da usare non solo per chattare con i tuoi amici ma anche per chattare (per così dire) con la storia del mondo. Chi erano gli ittiti? E i camisardi? E come si chiamavano le tre caravelle di Colombo? Quando sono scomparsi i dinosauri? L’arca di Noè poteva avere un timone? Come si chiamava l’antenato del bue? Esistevano più tigri cent’anni fa di oggi? Cos’era l’impero del Mali? E chi invece parlava dell’Impero del Male? Chi è stato il secondo papa della storia? Quando è apparso Topolino?

Potrei continuare all’infinito, e sarebbero tutte belle avventure di ricerca. E tutto da ricordare. Verrà il giorno in cui sarai anziano e ti sentirai come se avessi vissuto mille vite, perché sarà come se tu fossi stato presente alla battaglia di Waterloo, avessi assistito all’assassinio di Giulio Cesare e fossi a poca distanza dal luogo in cui Bertoldo il Nero, mescolando sostanze in un mortaio per trovare il modo di fabbricare l’oro, ha scoperto per sbaglio la polvere da sparo, ed è saltato in aria (e ben gli stava). Altri tuoi amici, che non avranno coltivato la loro memoria, avranno vissuto invece una sola vita, la loro, che dovrebbe essere stata assai malinconica e povera di grandi emozioni.

Coltiva la memoria, dunque, e da domani impara a memoria “La Vispa Teresa”.